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Governi in esilio

Per Governi in esilio quegli enti che si trasferiscono o si costituiscono sul territorio di uno Stato alleato a
seguito di invasione bellica o di conflitti interni sul territorio che intendono governare (es.: Governi in esilio
a Londra di vari Stati europei occupati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, Governo kuwaitiano
in esilio in Arabia Saudita durante la guerra del Golfo del 1991). Tuttavia il governo in esilio privo di
effettivo controllo sul territorio e sulla popolazione ed completamente dipendente dallo stato ospite,
avvicinandosi, di fatto, ad un organo di esso. Pertanto privo di soggettivit internazionale.
Un ente analogo ad un governo in esilio pu essere considerato il Consiglio delle Nazioni Unite per la
Namibia. La Namibia era una colonia tedesca passata al Sud Africa dopo la prima guerra mondiale a titolo di
Mandato costituito ai sensi dellart. 22 del Patto della Societ delle Nazioni. Alcuni anni dopo la seconda
guerra mondiale la Namibia fu praticamente annessa al Sud Africa. LAssemblea Generale, di fronte al
persistente rifiuto del Sud Africa di collaborare con lONU perch la Namibia non restasse estranea al
processo di decolonizzazione, decise di porre fine al mandato sudafricano, avocando alle Nazione Unite la
responsabilit della amministrazione del territorio con listituzione nel 1967 del Consiglio delle NU per il
Sud Ovest Africano, poi rinominato Consiglio per la Namibia. Questo Consiglio aveva i seguenti compiti:
promulgare le leggi, i decreti e i regolamenti necessari all'amministrazione del territorio fino a quando non
fosse stata creata, con libere elezioni a suffragio universale, un'Assemblea legislativa; prendere
immediatamente tutte le misure necessarie, in consultazione con la popolazione, per istituire un'Assemblea
costituente incaricata di elaborare una Costituzione, sulla cui base avrebbero avuto luogo le elezioni
dellAssemblea legislativa e di un Governo responsabile; compiere ogni azione necessaria al mantenimento
dell'ordine pubblico nel territorio; trasferire tutti i poteri alla popolazione al momento della proclamazione
dell'indipendenza. Le funzioni esecutive furono affidate ad un Commissario delle NU. Nella pratica, tuttavia,
il Sud Africa, considerando illegittima la revoca del proprio mandato, imped de facto lazione del Consiglio,
che non esercito mai reali poteri legislativi o esecutivi e per tale motivo anche ad esso si deve negare
soggettivit internazionale. Peraltro, uno degli atti del Consiglio stato quello di proibire la ricerca,
lestrazione e la vendita, senza autorizzazione, di tutte le risorse del paese e di stabilire che, in caso di
esportazione non autorizzata, tali risorse dovessero essere sequestrate e confiscate.
Secondo Natalino Ronzitti si dovrebbe riconoscere la soggettivit dei Governi in esilio perch, in caso
contrario, si escluderebbe lapplicazione della norma cogente che vieta di riconoscere leffettivit di
acquisizioni territoriali mediante atti di aggressione. Lesempio che cita quello dellinvasione irachena del
Kuwait nel 1990 e della sua annessione allIraq, annessione dichiarata nulla dalla risoluzione del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 662/1990, mentre il Governo del Kuwait insediatosi allestero, in Arabia
Saudita, aveva conservato la sua rilevanza internazionale, tanto da chiedere ed ottenere lintervento armato
in legittima difesa collettiva e da continuare a conservare il seggio allONU.






Popoli e autodeterminazione

Il principio di autodeterminazione postula il diritto di ciascun popolo a vivere libero da qualsiasi genere di
oppressione, sia interna che esterna, presupposto questo indispensabile, alla stregua della Carta delle Nazioni
Unite, per garantire relazioni amichevoli tra gli stati membri, nonch un effettivo e generale progresso
economico e sociale, fondato a sua volta su unequa distribuzione delle risorse economiche e naturali, sia sul
piano internazionale che sul piano interno.
La dichiarazione relativa alla concessione dellindipendenza ai popoli e ai paesi sottoposti a dominio
coloniale del 1960 afferma che: la sottoposizione di un popolo ad un giogo, dominio o sfruttamento straniero
costituisce un diniego di un diritto fondamentale delluomo, contraria alla Carta e costituisce un
impedimento alla promozione della pace e della cooperazione mondiali. La dichiarazione relativa ai principi
del diritto internazionale concernenti i rapporti amichevoli e la cooperazione tra gli stati in conformit alla
Carta delle Nazioni Unite del 1970 afferma che i popoli che esercitano il diritto allautodeterminazione
hanno diritto di avere il sostegno e lappoggio secondo la Carta delle Nazioni Unite. La dichiarazione
relativa alla definizione dellaggressione afferma che i popoli hanno diritto allimpiego della forza e a porre
in essere atti violenti nellesercizio dellautodeterminazione, senza per ci stesso integrare la fattispecie
dellaggressione.
Malgrado tali disposizioni facciano riferimento al popolo nel senso di protagonista delle azioni materiali
identificabili come esercizio dellautodeterminazione, il popolo non pu essere considerato soggetto del
diritto internazionale. A queste considerazione, si deve aggiungere lulteriore complicazione derivante dalla
sovente ineffabilit del concetto di popolo: per quanto astrattamente riconducibile ad una collettivit di
individui caratterizzata da comunanza di lingua, razza, religione e tradizioni, esso pu anche non coincidere
con linsieme degli abitanti di una data entit statuale. Questo pu verificarsi essenzialmente per due motivi:
o perch due o pi popoli hanno dato vita ad un unico Stato, o perch ciascuno di essi non ha potuto
costituirsi in Stato autonomo. Dunque solo gli stati membri delle N.U. sono al tempo stesso destinatari
dellobbligo e titolari del diritto allautodeterminazione, mentre il popolo ne solo il beneficiario. Pertanto,
da un lato, si configura un obbligo, a carico di tutti gli stati membri, di rispettare il diritto di tutti i popoli
allautodeterminazione e di assicurarne per quanto possibile la concreta soddisfazione. Dallaltro, si pone, in
capo a ciascuno di essi, il diritto di pretendere losservanza del suddetto obbligo nei confronti degli altri stati.
Alcuni studiosi propendono per annettere al principio un valore politico o meramente programmatico. Tale
opinione non sembra potersi accogliere perch lo Statuto delle Nazioni Unite un trattato internazionale che
determina effetti immediatamente obbligatori nei rapporti tra gli stati. Se si vuole tuttavia sottolineare un
aspetto per cos dire programmatico nel principio, lo si pu cogliere nel fatto che lobbligo che da esso
discende va adempiuto non solo e non tanto sul piano internazionale, ma anche sul piano interno e con scelte
operate nel singolo ordinamento statuale. Questultima constatazione, se consente al singolo Stato di
scegliere i mezzi attraverso cui realizzare lobbligo imposto dal diritto internazionale (che si configura perci
come obbligo di risultato, e non obbligo di mezzi), non pu per implicare in alcun modo la concessione di
una discrezionalit ulteriore e, in particolare, la attribuzione ad esso del potere di giudicare unilateralmente
lavvenuto adempimento o meno.
Il principio di autodeterminazione pu essere inteso in due dimensioni: quella esterna e quella interna. Nel
primo caso, si parla di autodeterminazione per riferire del diritto di un popolo sottoposto a dominio straniero
di sottrarsi a tale condizione di soggezione per dare vita ad uno stato indipendente od integrarsi con uno stato
terzo preesistente. Nel secondo caso, si parla di autodeterminazione per riferirsi al diritto di tutti i popoli di
perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale.
Non mancano in dottrina isolate voci critiche

che escludono che costituisca un obbligo del diritto
internazionale quello per cui i governi costituiti debbono godere del consenso dei rispettivi popoli, e in base
al quale questi ultimi scelgano i loro governanti con metodi democratici. Tale tesi si fonda sul tradizionale
assunto che il diritto internazionale ha ad oggetto i rapporti tra gli stati, e non pu spingersi sino a decidere
della loro conformazione. Essa daltronde trova piena conferma nel dato fattuale per cui ancora oggi la
societ internazionale comprende un numero considerevole di stati che non sono democratici o che
comunque non rispettano pienamente le condizioni previste dal diritto internazionale dei diritti umani.
Quindi, lelemento scriminante ai fini del rispetto o meno del principio non la qualit pi o meno
democratica del regime adottato, bens il fatto che esso venga instaurato sulla base di un impulso
esclusivamente interno e autonomo.
Costituendo lautodeterminazione, alla stregua della Carta delle Nazioni Unite, uno dei presupposti dal cui
assolvimento dipende lo sviluppo di relazioni pacifiche tra i membri dellorganizzazione, la logica
conseguenza non pu che essere quella per cui essa una condizione altrettanto indispensabile per assicurare
relazioni pacifiche anche al di fuori della cerchia delle Nazioni Unite, proprio in ragione della sua
composizione pressoch universale. In questo senso, non si capirebbe come mai tra i beneficiari del principio
di autodeterminazione siano da lungo tempo annoverati i movimenti di liberazione nazionale, i quali non
sono parti alla Carta delle Nazioni Unite, se tale principio dovesse ritenersi di natura esclusivamente pattizia.
Peraltro, unindicazione nel senso che il principio di autodeterminazione abbia non solo carattere
consuetudinario, ma pure imperativo, proviene dallart.19 degli articoli CDI

nel progetto adottato in prima
lettura nel 1996, secondo cui un crimine internazionale pu tra laltro risultare da una violazione grave di un
obbligo internazionale di importanza essenziale per la salvaguardia del diritto di autodeterminazione dei
popoli, come quello che vieta listituzione o il mantenimento con la forza di un dominio coloniale. Non
sembra di qualche importanza il fatto che tale disposizione sia stata stralciata dalla versione definitiva del
2001, visto che non ogni violazione di norme imperative costituisce crimine internazionale.

Minoranze
Secondo Francesco Capotorti la minoranza un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione
di un determinato Stato, in posizione non dominante, i cui membri, che hanno la cittadinanza dello Stato
stesso, posseggano dal punto di vista etnico, religioso o linguistico, caratteristiche diverse da quelle del resto
della popolazione e manifestino un sentimento di solidariet, tendente a preservare la propria cultura, le
proprie tradizioni, la propria religione o la propria lingua. Si tratta di collettivit che siano munite dei
caratteri storico-politici tipici di un popolo, e che tuttavia siano minoritarie nel territorio di un determinato
Stato (Treves). In presenza di una minoranza relativamente esigua nel territorio di un determinato Stato
altrimenti omogeneo, limposizione a questultimo dellobbligo di assicurare lautodeterminazione non pu
implicare automaticamente la necessit di acconsentire alla secessione di detta minoranza, anche nellipotesi
in cui essa sia desiderosa di ergersi a Stato indipendente. In questi casi, assume invece un ruolo di primo
piano lesigenza di garantire non tanto uno statuto politico-istituzionale autonomo, quanto piuttosto un
livello accettabile di preservazione della loro identit e di protezione dei loro diritti da parte dello Stato in cui
esse sono inserite. Del resto, lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali, nel
1992, da un lato acutamente osservava che se ognuno dei gruppi etnici, religiosi o linguistici dovesse
pretendere la condizione di stato, la frammentazione non avrebbe pi limiti, e la pace la sicurezza e il
progresso economico per tutti diverrebbero pi difficili da realizzare, dallaltro poneva poi laccento proprio
sulla tutela dei loro diritti come una delle condizioni da soddisfare per scongiurare i problemi derivanti dai
rischi di frammentazione cui lautodeterminazione pu condurre. La tutela delle persone appartenenti alle
minoranze viene fatta rientrare nellambito degli interessi fondamentali protetti dalla comunit
internazionale, e costituisce fonte di obblighi erga omnes, tali per cui ciascuno di questi soggetti pu esigere
il rispetto di tali obblighi, chiedere la riparazione delle loro violazioni, e se del caso ricorrere a contromisure
nei limiti consentiti dallordinamento. Di conseguenza, possibile anche dire che le situazioni cosiddette di
gross violations (cio violazioni massicce e continuate dei diritti fondamentali di individui appartenenti a
minoranze) non possono essere considerate pi rientrare nella sfera di dominio riservato di uno Stato, n gli
stati terzi sono vincolati al rispetto dellobbligo di non ingerenza.





Insorti
Possiamo distinguere due ipotesi tipiche dinsurrezione in relazione alle finalit del movimento
insurrezionale: la prima si ha quando il sommovimento popolare nasce in vista della sostituzione del governo
costituito nello Stato con uno diverso costituito dagli insorti; la seconda invece si verifica quando i medesimi
intendono costituire un nuovo Stato in una parte di quello preesistente entro il quale essi si collocano. Questi
fenomeni, pur essendo interni ad uno Stato, si accompagnano a significative implicazioni internazionali.
Difatti, gli insorti godono di soggettivit internazionale, a determinate condizioni. In primo luogo gli insorti
devono essere organizzati in una catena di comando responsabile e chiaramente individuabile. In secondo
luogo devono esercitare un controllo di fatto su di una porzione di territorio dello Stato. In terzo luogo
devono stabilire relazioni e contatti di varia natura con stati terzi. In tal modo sar loro applicabile il diritto
internazionale, sebbene la loro soggettivit internazionale non potr mai considerarsi completa (ad esempio,
si potranno applicare norme per il trattamento dei cittadini di stati terzi che si trovino nel territorio da essi
controllato). La soggettivit degli insorti di natura necessariamente temporanea, in quanto dovr
necessariamente risolversi o nello scioglimento del movimento insurrezionale, qualora la loro lotta non abbia
successo, o nella sua trasformazione in nuovo Stato nellipotesi in cui invece essa consegua i suoi scopi
iniziali.
Significativi del rilievo attribuito dal diritto internazionale agli insorti sono gli sviluppi della codificazione
del diritto internazionale di guerra.
In primo luogo, vengono in considerazione le quattro convenzioni di Ginevra del 12 Agosto 1949, nelle quali
si rinviene una disposizione che prevede nellipotesi di un conflitto armato sorto in seno al territorio di uno
Stato parte lapplicazione di alcune fondamentali disposizioni di diritto umanitario, oltre a tutte quelle che
attraverso appositi accordi i contendenti si impegnino volontariamente ad osservare.
In secondo luogo, assume rilievo il secondo protocollo addizionale alle medesime convenzioni, relativo alla
protezione delle vittime dei conflitti non internazionali e aperto alla firma a Ginevra l8 Giugno 1977. Esso si
applica ai conflitti armati, diversi da quelli internazionali che si svolgono sul territorio di una parte tra le sue
forze armate e le forze armate dissidenti che sotto la guida di un comando responsabile esercitano su di una
parte del suo territorio un controllo tale da permettere loro di condurre delle operazioni militari continue e
concertate e di applicare il presente protocollo.
Nellipotesi di un conflitto qualificabile come interno, quale il caso di una insurrezione, il diritto
internazionale impone ai soggetti della comunit internazionale il divieto di intervenire negli affari domestici
dello Stato interessato dal conflitto, il quale pu a buon diritto rivendicare tanto il diritto allesclusiva
gestione degli affari interni, quanto il rispetto del divieto di riconoscimento prematuro degli insorti. Per
nellipotesi di un conflitto armato sorto allinterno di uno Stato, il governo in lotta contro un gruppo di insorti
che sia privo di unorganizzazione indipendente sul piano delle relazioni internazionali, pu legittimamente
invocare lintervento di stati terzi a sostegno del suo intervento di repressione.
Lindirizzo della non ingerenza negli affari interni di uno Stato stato parzialmente rivisitato con
lemersione in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di un avviso favorevole a consentire luso
della forza da parti di Stati terzi in conflitti obiettivamente qualificabili come interni. E ci allo scopo di
assicurare la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione coinvolta. Altre volte, invece, sono state
autorizzate missioni di mantenimento della pace, che tuttavia, una volta sul terreno e sotto la pressione degli
eventi, si sono evolute in missioni di peace enforcement, comportanti luso della forza. Preso atto in
particolare del fatto che tali decisioni si giustificavano sulla base delle peculiari situazioni di emergenza
umanitaria, non sembra opportuno trarne argomenti sufficienti per rigettare lorientamento tradizionale del
diritto internazionale, che propugna il principio della non ingerenza esterna nelle guerre civili.



Movimenti di liberazione nazionale

I Movimenti di liberazione nazionale costituiscono enti organizzati rappresentativi di un popolo in lotta per
lautodeterminazione. Proprio con riferimento ai movimenti di liberazione nazionale, appaiono di grande
rilievo gli sviluppi del diritto umanitario avutisi con i due protocolli addizionali alle convenzioni di Ginevra
del 1949. Essi operano infatti una fondamentale distinzione nellambito dei conflitti interni o civili, fondata
proprio sul fine che spinge coloro che combattono contro il governo costituito: ai popoli che si sollevano
avverso regimi coloniali, razzisti o stranieri nellesercizio del diritto dei popoli di disporre di loro stessi, si
applica il primo protocollo che valido per i tradizionali conflitti tra stati; agli insorti che invece lottano per
fini diversi si applica il secondo protocollo che offre una protezione pi limitata. In particolare, va segnalato
che lapplicazione del primo protocollo presuppone che il movimento di liberazione nazionale indirizzi al
destinatario una dichiarazione di impegno unilaterale. In questo contesto, va poi dato conto della prassi (alla
quale non sembra per potersi attribuire rilevanza generale) seguita dalle Nazioni unite dinvitare, in qualit
di osservatori permanenti, i movimenti di liberazione nazionale riconosciuti dallOrganizzazione dellUnit
Africana o dalla Lega degli Stati Arabi. Peraltro, sarebbe arbitrario dedurre che da questa condizione
giuridica riconosciuta ai movimenti di liberazione nazionale dal diritto internazionale discenda lattribuzione
ad essi di una soggettivit piena e paragonabile a quella di uno stato. Sul piano generale, nella sentenza
arbitrale resa nel 1989 sul caso della delimitazione della piattaforma continentale fra Guinea-Bissau e
Senegal stato notato come in ogni processo di liberazione, c sempre allorigine un piccolo gruppo di
uomini determinati che si organizza e che, a poco a poco, sviluppa unattivit sui piani intellettuale, politico
e militare fino ad ottenere lindipendenza del loro paese. Tuttavia, lelemento che appare determinante ai fini
del successo o dellinsuccesso della sua missione, non tanto il fatto della sua nascita, bens la necessit del
concorso alla sua azione della volont collettiva del popolo che rappresenta e in ultima analisi la verifica
della portata internazionale della sua attivit. Tale dimensione pu essere constatata solo nel momento in cui
essa diviene un avvenimento anormale nella vita di un certo Stato, tale da indurlo ad adottare misure
eccezionali per cercare di dominare gli eventi. Per quanto riguarda la legittimazione ad accertare la natura
razzista o colonialista del governo contro cui gli insorti combattono, sembra a che non sia sufficiente che lo
Stato terzo dichiari unilateralmente, per giustificare un eventuale suo appoggio militare ai ribelli, che il
governo legittimo opera discriminazioni basate sulla razza o attua una dominazione di tipo coloniale: fin
troppo facile prevedere gli abusi a cui darebbe luogo il riconoscimento di un simile potere discrezionale.
Perci, occorre che la lotta dei movimenti di liberazione nazionale sia in qualche modo legittimata da un atto
delle Nazioni Unite, come ad esempio una risoluzione di condanna nei confronti del regime, o una
dichiarazione di sostegno agli insorti. A tal proposito la Corte internazionale di giustizia, dopo aver
riconosciuto la legittimit delle insurrezioni volte alla liberazione nazionale, ne ha tratto due conseguenze di
rilievo: la liceit del sostegno morale e materiale agli insorti per il ripristino dei loro diritti inalienabili;
lilliceit di qualsiasi forma di assistenza nella repressione delle lotte degli insorti. Invece, il ricorso alle armi
e ad altri mezzi di coercizione per promuovere il diritto allautodeterminazione non potrebbe configurarsi se
non come ipotesi veramente eccezionale e straordinaria. Alcuni autori

hanno cercato pure di giustificare
lintervento diretto configurandolo come unipotesi di legittima difesa collettiva contro laggressione armata
del governo costituito. Non ci pare per che questa tesi possa essere condivisa, giacch lart.51 della Carta
delle Nazioni Unite riconosce questo diritto solo ed esclusivamente agli stati. Peraltro, proprio traendo
spunto dalle deficienze e dalle distorsioni del sistema di difesa collettiva previsto dai capitoli VI e VII della
Carta N.U., un autorevole studioso

(Leanza) ha argomentato a partire dalle numerose risoluzioni adottate dal
Consiglio in materia per avanzare lidea che non sarebbe azzardato ammettere che gli stati siano legittimati
ad intervenire militarmente a sostegno delle istanze di autodeterminazione dei popoli. A conferma della non
arbitrariet di questultima tesi, va ricordato che pi volte, in passato, numerosi Stati africani (i c.d. Front-
lines States) hanno messo a disposizione i rispettivi territori, per ospitare basi di addestramento, depositi di
armi e persino basi operative da cui organizzare attacchi armati, a favore dei movimenti di liberazione
nazionale. A tali attacchi, sono poi seguite spesso rappresaglie militari ad opera degli stati colpiti, motivate
da esigenze di legittima difesa. Di fronte a tali situazioni, il Consiglio di Sicurezza non ha mancato di fare
sentire la sua voce per condannare le azioni di reazione dei governi oppressori, mentre nemmeno una parola
ha speso relativamente alla condotta dei c.d. Front-lines States, cos implicitamente riconoscendo che il
sostegno prestato a favore dei popoli in lotta per lautodeterminazione non pu essere considerato illegittimo.
Ovviamente se lintervento di uno Stato terzo vada in soccorso di un governo che viola il principio di
autodeterminazione, pur se tale intervento sia validamente richiesto da questultimo, esso non potr mai
ritenersi legittimo, poich lo Stato che sostiene o coopera con il regime oppressore in forma armata
contribuisce al pari di questi ad ostacolare o calpestare la realizzazione del principio. E tale valutazione di
antigiuridicit copre non soltanto limpiego delle armi, ma pi in generale qualsiasi tipo di assistenza o di
intervento diretti e indiretti, intesi in ogni modo a ostacolare la realizzazione del diritto
allautodeterminazione.

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