Padri della Chiesa, "l'Ortodossia il vero concetto di Dio e della creazione". L'Ortodossia, vale a dire la giusta fede, la verit. Secondo la parola di Cristo: "Io sono la via, la verit, la vita", la verit incarnata. Non possiamo trovare e conoscere la verit se non nella persona di Cristo: dunque unicamente in Cristo che noi siamo salvati. L'Ortodossia - la Verit - si identifica nel Cristo che la verit eterna. Poich Dio-Trinit la sorgente della verit, la Sua stessa esistenza egualmente verit: questa verit l'Ortodossia fondamentale ed eterna nella quale gli uomini sono chiamati a vivere. Dopo la sua caduta, l'uomo ha perso la grazia di Dio: decaduto dalla comunione con Dio-Verit. I discendenti del primo Adamo, per ritornare all'unione primitiva con Dio, devono entrare in comunione con il nuovo Adamo: Cristo. La salvezza dell'uomo non possibile che in Cristo. Ma quale verit ci offre Cristo? E dove questa verit rimasta inalterata, pura e senza confusione? La risposta si trova nelle Sante Scritture che designano la Chiesa come "colonna e fondamento della verit (I Tim. 3, 15). La volont di Dio che tutti giungano alla Verit, vale a dire a Cristo (L'Ortodossia incarnata), nel suo Corpo che la Chiesa. La redenzione dell'uomo, il suo ritorno e la sua unione a Dio e la sua salvezza finale non possono realizzarsi che nella Chiesa. La Chiesa stata fondata nel mondo poich in esso l'uomo realizza la sua esistenza e la sua comunione con Dio ed il resto del mondo. E nella Chiesa, l'uomo trova il senso della vita, del suo destino ed una reale comunione con gli altri uomini e l'insieme della creazione. Secondo l'Apostolo Paolo, la Chiesa "il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef. 1, 23). La salvezza che Cristo ci porta con la sua Crocifissione e la sua Resurrezione, continua nella Chiesa. Ecco perch il Beato Agostino chiama la Chiesa "Cristo esteso in tutti i secoli". Questo significa che la Chiesa Cristo, il Quale, anche dopo la sua Resurrezione e la sua Ascensione, continua a salvare il mondo con lo Spirito-Santo. L'umanit pu continuamente trovare Dio nel corpo di Cristo, nella Chiesa. "Ecco perch non possiamo separare Cristo dalla Chiesa. Non si pu avere la Chiesa senza Cristo e non vi Cristo fuori della Chiesa: senza di Essa non vi n verit n salvezza. La verit fuori dalla Chiesa-Corpo di Cristo simile a polvere d'oro nel fango. Non sono altro che raggi momentanei della presenza divina nella condizione dell'uomo decaduto, niente altro che la sua incapacit ad elevarsi e ad essere salvato". Il Cristo, Verit assoluta, ci conduce alla salvezza con la sua Chiesa e la Chiesa fondata sulla Verit. Se si vuole avere un'autentica conoscenza di Cristo nella sua universalit e pienezza si deve necessariamente ricorrere alla Chiesa. "Fuori dalla Chiesa, anche nelle cosiddette eresie "cristiane", l'incapacit di trovare la pienezza del Cristo esclude la possibilit della salvezza". Ecco perch le parole di S. Cipriano, vescovo di Cartagine, secondo le quali "fuori dalla Chiesa non vi affatto salvezza", non sono esagerate. "Senza la Chiesa non possiamo conoscere il Cristo. Parallelamente, senza la Chiesa non possiamo comprendere n le S. Scritture n il tesoro della tradizione. E' evidente che, per conoscere Cristo nella Chiesa qui ed ora, occorre che la Chiesa esprima la verit di Cristo nella sua pienezza. Altrimenti il vero Cristo rimane sconosciuto e inaccessibile fintanto che l'uomo rimane lontano dalla salvezza, esatta condizione delle diverse eresie. E' unicamente nella Chiesa, nell'Ortodossia - vale a dire la Fede giusta - che l'uomo pu veramente incontrare il Cristo ed essere salvato". La Chiesa, secondo uno dei Santi Padri, "l'Assemblea del popolo ortodosso". La Chiesa vive attraverso i secoli e vive come l'Ortodossia. E' impossibile pensare la Chiesa senza l'Ortodossia. In questo contesto noi dobbiamo comprendere la Chiesa come tradizione: processo divino e movimento dinamico di Dio nella Storia. Padre Dumitru Staniloae, teologo romeno, dice che "l'Ortodossia una condizione vivente, la vita incessante della Chiesa". "La Chiesa ha sempre considerato come sua responsabilit pi elevata quella di conservare, nello Spirito Santo, la fede apostolica inalterata. Se la Chiesa non fosse rimasta fedele alla verit della sua esistenza, non potrebbe restare fedele a se stessa e non avrebbe potuto conservare la sua identit. Il contenuto e la sostanza della Chiesa l'Ortodossia". Questa responsabilit che la Chiesa ha di conservare la verit attraverso la tradizione non qualche cosa di astratto. La Chiesa veglia affinch ciascuno dei suoi figli rimanga nella verit, nell'ortodossia e nell'ortoprassi (giusta fede e giusta azione). Ogni cristiano che si trovi nella Chiesa, non deve accontentarsi di credere semplicemente ma deve credere in Dio; e non soltanto credere in una potenza suprema ed invisibile, ma in Dio-Trinit che si rivela nel Cristo. Allo stesso modo, non deve semplicemente amare, ma amare il suo Dio amando il suo prossimo. "La Chiesa ha l'obbligo di conservare questa ortodossia di fede e di vita e di farne partecipare il mondo con la sua missione e la sua testimonianza". Coscienti di questo, possiamo facilmente comprendere perch la Chiesa rigetta tutti coloro che hanno cercato di falsare o di rifiutare la sua verit, coloro che tentano di aggiungere o di togliere qualche cosa a quella verit che Cristo stesso. La Chiesa li rigetta come eretici non perch manchi di amore verso gli uomini ma, al contrario, a causa del suo eccesso d'amore per essi dal momento che fuori dalla Chiesa non vi salvezza. La Chiesa non pu compromettere n sacrificare la verit e la fede ortodossa poich perderebbe allora la sua identit e la sua cattolicit". "Il cristiano, in ogni tempo, deve accettare tutto ci che il Cristo ha rivelato e che trasmesso dal Suo Corpo (la Chiesa). Deve accettare la verit intera e non un "minimum di fede". "La cattolicit e l'ortodossia della Chiesa sono preservate unicamente nella plenitudine e nella totalit della fede. La Chiesa cattolica nella misura in cui ortodossa, poich allora soltanto ha preservato la plenitudine della verit in Cristo". Sicuramente, oggi, siamo abituati a semplificare le cose e diventiamo indifferenti alla Verit della Chiesa. Superficiali e frivoli, ci arrestiamo davanti alle forme esteriori e proclamiamo che sufficiente essere d'accordo su di una fede di base e che tutto il resto inutile: i dogmi ed i canoni (regole del diritto ecclesiastico) sono stati fatti per gli uomini ed necessario accantonarli "per carit". "Invece i dogmi, come regole di fede, non hanno distrutto l'unit della Verit. Hanno creato i limiti dell'Ortodossia, della Chiesa, in modo tale che la Chiesa - l'Ortodossia - possa essere distinta dall'eresia... Per la Chiesa, il fondamento della fede unico: la pienezza della verit in Cristo". Per la Chiesa, una cosa necessaria: conservare la verit inalterata cos come l'ha ricevuta. Per questo scopo la Chiesa ha mobilitato tutte le sue forze per combattere l'eresia, il suo nemico pi irriducibile. Le persecuzioni non hanno mai minacciato l'unit della Chiesa n la sua capacit di conservare la verit. Al contrario, esse l'hanno a volte aiutata a radunare le sue forze, allorch l'eresia l'ha turbata a diverse riprese. L'eresia, che altro non che un mascheramento della verit, minaccia l'esistenza e la sostanza (ipstasi) della Chiesa, minaccia la Verit tentando di separare e di dividere il Cristo. Ma un Cristo frantumato e diviso, che non sia l'intera "verit incarnata", non affatto il Cristo salvatore. Gli eretici non rigettano la totalit della verit, non rifiutano affatto il Cristo: non l'accettano interamente ma soltanto in parte. Ario, per esempio, non rifiutava l'umanit di Cristo ma rigettava la sua divinit. Altri accettavano la sua divinit e rifiutavano la sua umanit. Ma nessuno di loro accettava il Cristo totale ed indiviso. "La verit della Chiesa una pienezza, una unit che deve sempre dimorare indivisa e inseparabile.
L'eresia, tuttavia, cerca di sottomettere la verit della tradizione ecclesiastica ai criteri dell'uomo decaduto. L'eretico si pone a giudice e criterio della verit rivelata. Per questa ragione, gli eretici di tutte le epoche sono stati dei razionalisti. Un eretico (divenuto tale poich l'orgoglio lo possiede ed pieno sino all'eccesso della fiducia nella sua sola ragione e nelle sue opinioni) si stacca da solo dalla grazia divina vivificante e tenta di salvarsi con le sue forze, con la "verit" che si forgiato e non con la Verit donata da Dio. L'eresia conduce inevitabilmente ad una religiosit fondata sull'uomo". Anzi, la lotta di tutti i Padri contro le diverse eresie tendeva a conservare la fede nella sua integralit - cosa indispensabile alla salvezza - con lo scopo di mantenere ogni uomo nell'Arca della Chiesa, che il corpo di Cristo. Si pu dire che questa lotta la loro pi grande offerta alla Chiesa. E' per questo che essi non hanno mai consentito a coesistere con gli eretici in un "minimum" di fede n a soddisfarsi di una parte di verit, ma hanno lottato per conservare tale fede intera ed indivisa poich in tal modo erano Ortodossi - nella Verit - ed ottenevano la salvezza. Il metodo dei nostri giorni, secondo il quale si cerca di non menzionare le differenze per mettere in rilievo i punti comuni, non sarebbe mai stato accettato dai Padri come punto di partenza di una discussione teologica con gli eretici. Al contrario, essi hanno riunito dei Concili Ecumenici ed hanno lottato non per un "minimum" di fede, non per trovare ci che gli eretici avevano in comune con essi, ma per ben mostrare ci che li separavano, quali insegnamenti degli eretici deturpavano la verit e, di conseguenza, rompevano l'unit della fede. In altre parole, se la Chiesa si fosse mostrata indifferente alla conservazione della fede e della tradizione, tali e quali erano state ricevute, pure e inalterate, essa non sarebbe stata pi la Chiesa di Cristo, il suo corpo, ma una qualunque organizzazione umana o politica, Essa cesserebbe di essere legata al Cristo, al suo sacrificio sulla Croce, alla salvezza.
La Chiesa dove la Verit di gheron Gheorghios Kapsanis igumeno del Sacro Monastero di Grigoriu - Monte Athos
In questi ultimi tempi molto si parla dellunione delle Chiese. In realt si tratta dellunione dei Cristiani eterodossi, staccatisi dalla Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Non esistono molte Chiese che si debbano riunire, poich il Signore Uomo-Dio fond una sola Chiesa. La continuit di questa Chiesa rappresentata solo dallunica Chiesa cattolica- ortodossa. Da questa unica Chiesa cattolica si stacc definitivamente Roma nel 1054 per il rifiuto degli Ortodossi di sottoporsi alle sue pretese anticanoniche sul primato dautorit su tutta la Chiesa e per altri errori. In seguito ai numerosi abusi del Papato, in Occidente nel 1517 sinizi la lotta dei Protestanti (o Evangelici) contro i Romano-cattolici, che produsse un frammentarismo religioso nellOccidente cristiano. Come noto, oggi esistono molte centinaia di sette protestanti specialmente negli Stati Uniti. Quindi la vera Chiesa del Cristo non si spezzata, al punto di dover parlare di unione delle Chiese. Al contrario essa, con tutte le persecuzioni ed i difetti dei suoi membri, continua ad attenersi fermamente allo stesso Evangelo ed alla stessa fede nel Salvatore, alla fede degli Apostoli e dei Santi Padri. Perci errato parlare di unit delle Chiese. Dal punto di vista ortodosso e per la precisione, possiamo solo parlare di riunificazione degli eterodossi staccatisi dalla Chiesa ortodossa, i quali, coscientemente o inconsapevolmente, si trovano nellerrore e nelleresia. Chi, senza nutrire alcun dubbio, crede che solo la Ortodossa La Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica del Simbolo della Fede, non deve parlare di unione delle Chiese, ma del ritorno degli eterodossi allunica vera Chiesa. () Purtroppo oggi su questo argomento sussiste una grande confusione sia per ignoranza che per malafede. Perci spesso sentiamo parlare, addirittura da personalit rivestite di funzioni ufficiali, che tra gli Ortodossi e gli eterodossi non esistono differenze sostanziali; che la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica composta da tutte le chiese ortodosse ed eterodosse, poich, cos si afferma, nessuna Chiesa storica pu sostenere di conservare la verit intatta, per cui con tutte le forze bisogna tendere allunione con gli eterodossi e giungere addirittura alla comunione del Calice. Tutto ci, assieme ad altre affermazioni del genere, rappresenta un vero allontanamento dalla Fede degli Apostoli e dei Padri e costituisce uneresia, poich colpisce i fondamenti della Fede. Il popolo ortodosso, che il custode della Fede ortodossa, deve sapere la verit. E la verit la seguente: 1) Sussistono molte e gravi divergenze con gli eterodossi. Tali divergenze sono note e si studiano a scuola. Esse si sintetizzano nella concezione della Chiesa. Chi ne il centro, il fattore decisivo, la massima autorit? LUomo-Dio Ges Cristo o un uomo? Secondo la dottrina ortodossa, il capo infallibile, il criterio e la fonte della Verit lUomo-Dio e il Santo Spirito che scende non su un singolo uomo, ma su tutta la Chiesa. Secondo la dottrina romano-cattolica la suprema autorit ed il criterio infallibile un uomo, linfallibile Papa di Roma. Senza il Papa, a giudizio dei Romano-cattolici, la Chiesa non pu esistere n ci pu essere ununione. Per i Protestanti il criterio e la fonte della verit non il Papa di Roma, ma ogni fedele pu trovare la Verit, o almeno una parte della Verit, senza che sia necessaria lautorit di tutto il corpo della Chiesa. Il che significa che sia presso i Romano cattolici che presso i Protestanti ci troviamo di fronte ad una forma di soggettivismo. I Romano-cattolici hanno un solo Papa, i Protestanti ne hanno tanti quanti sono essi stessi. Sostanzialmente sia presso gli uni che presso gli altri ci troviamo alla presenza dello stesso grave peccato: lallontanamento dallUomo-Dio da parte delluomo. Gli Occidentali, allontanando lUomo-Dio e ponendo al centro della Chiesa luomo, diventano antropocentrici. Lantropocentrismo rappresenta la sostanza di tutte le eresie dellOccidente. Noi, invece, rimaniamo nellambito della santa tradizione umano-divina dellOrtodossia. In fondo il problema quello della salvezza. Chi si pu salvare in una Chiesa, il cui centro non lUomo-Dio, ma un uomo infallibile? Perci noi ortodossi non possiamo accettare di unirci con i Romano-cattolici n con i protestanti, finch essi persistono nel loro antropocentrismo. Ogni unione con gli eterodossi, prima di un loro ritorno alla tradizione umano-divina dellOrtodossia, sarebbe un tradimento del Cristo, il quale s incarnato, ha sofferto, risorto, salito al Cielo ed ha fondato la sua Chiesa proprio per diventare il centro della nostra salvezza e per porre fine ad ogni forma di antropocentrismo, che significa la ripetizione del peccato dei nostri progenitori, legoismo che distrugge la vera unione con Dio e con gli uomini, la credenza in un Dio ed il rifiuto delluomo ad affidarsi incondizionatamente alla Grazia salvatrice del Signore. 2) Un altro tema, che posto spesso in risalto nelle raccomandazioni di personalit ecclesiastiche e sulle colonne della stampa profana, il cos detto Calice comune. Affermano costoro che per raggiungere lunit dobbiamo cominciare a comunicarci gli uni nelle chiese degli altri. Gli eterodossi nelle nostre chiese e noi nelle loro. Ma come possiamo comunicarci nelle chiese degli eterodossi, i quali sono nellerrore? Il Calice comune presuppone una fede comune. Se pur non professando la stessa fede, ci comunichiamo gli uni dagli altri, ci significa che abbiamo in comune con gli eterodossi anche la fede. Se io, ortodosso, mi comunico in una chiesa non ortodossa, significa che condivido gli errori degli eterodossi. caratteristico che i santi canoni della nostra Chiesa, a cui integralmente dobbiamo attenerci, poich sono opera dei Santi e dei Concili, proibiscono non solo il Calice comune, ma anche la preghiera comune con gli eterodossi, poich anche la semplice preghiera in comune rappresenta la partecipazione alla fede di colui con il quale preghiamo o, per lo meno, gli fa falsamente credere che non nellerrore, per cui non necessario che ritorni alla verit. Il Cristo sempre lo stesso nei Sacramenti, nei dogmi e nel culto e non possiamo unirci nei sacramenti e nel culto, quando non siamo uniti anche nei dogmi. Lunione solo nei sacramenti e nel culto una specie di schizofrenia e di rottura dellunit nel Cristo. Il Nuovo Testamento cinsegna che uno il Signore, una la Fede ed uno il Battesimo (s. Paolo, Efesini 4,5) 3) Infine deve essere reso noto che il piano del Vaticano per lunione degli Ortodossi con Roma consiste nello sviluppo di reciproci buoni rapporti, contatti, simposi, preghiere in comune e della comunione eucaristica, come pure nellintorpidimento della coscienza degli Ortodossi, cos che questi ultimi si abituino a comunicarsi nelle chiese romano- cattoliche. Quando fosse raggiunto questo fine, si giungerebbe anche allunione. Infatti che altro lunione se non comunicarsi nelle chiese degli altri? Si tratta del cosiddetto ecumenismo laico, poich allunione non si arriver dallalto da parte dei vescovi e dei teologi, ma attraverso il popolo, il quale si preparer psicologicamente con tutti i mezzi affinch non reagisca o non impedisca lunione dallalto. Il piano dellecumenismo laico ha cominciato ad essere applicato con successo. Molti ortodossi, per influsso dellindifferenza religiosa e della predicazione dei protagonisti dellecumenismo laico, i quali si chiedono: Che significato hanno i dogmi? Lamore deve avere il primato. Lamore cimpone di unirci anche se sussistono differenze dogmatiche, hanno cominciato a comunicarsi nelle chiese romano-cattoliche. Lamore cristiano cimpone damare i nostri fratelli eterodossi, a riconoscere ci che hanno di buono, a pregare ed a lavorare senza fanatismo perch si riveli loro la verit dellOrtodossia. Ma a questi obiettivi non si deve giungere sacrificando la vera Fede e per di pi per ununit che non avr il suo fondamento nella Verit, ma nei compromessi, nella diplomazia in fini non religiosi. La Volont di Dio espressa nella Sacra Scrittura e nella Tradizione: Lunione nella Verit. Sia oggi che sempre la Chiesa ortodossa ha posseduto e possiede il vero Evangelo del Cristo e perci rappresenta una speranza per il mondo. Da questo punto di vista, il nostro pi grande contributo nei confronti degli eterodossi e di tutto il mondo consiste nel conservare immutata e viva la nostra santa Fede che quella degli Apostoli e dei Padri.
Da Teoloski Pogledi, n. 4, 1975 Trad. di A.S. In Messaggero Ortodosso, Roma, ottobre 1976 n. 10, 5-9.
PRECISAZIONI SULLA PRESENZA ROMANA DI PIETRO E SUL PRIMATO PAPALE
a cura di Angelo Altan
La tesi tradizionale nella manualistica cattolica afferma che Pietro fu vescovo di Roma per 25 anni e vi mor martire; imprigionato da Erode Agrippa nella Pasqua del 44 e liberato prodigiosamente, se ne va altrove, cio ad Antiochia, dove si ferma per sette anni: lo affermano Origene, Eusebio di Cesarea, Teodoretto, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Papa Leone Magno. Ad Antiochia, dopo il Concilio di Gerusalemme, ha un incontro burrascoso con Paolo. Scrive due epistole per i giudaizzanti dOriente, convertiti nella Pentecoste e muore a Roma in data imprecisata. Altra notizia eusebiana, raccolta da San Girolamo, afferma: Simon Petrus secundo Claudii imperatoris anno, Romam pergit ibique XXV annos cathedram tenuit usque ad ultimum Neronis annum, e vi mor lo stesso giorno ed anno di Paolo: 29 Giugno del 67 d.C. La notizia ricorre pure nel Chronografo del 354, la cui indipendenza dalla fonte eusebiana non per dimostrata e loriginale di Eusebio perduto. Comunque i 25 anni di episcopato romano di Pietro, dovevano ridursi a 23 ma soprattutto, occorre notare che la notizia ha tutto il sapore di una volta encomiastica filocostantiniana, messa in forma dallaulico vescovo di Cesarea, Eusebio (+339) il quale, per di pi si contraddice, perch altrove mostra pure di condividere la tesi di altri padri della Chiesa, cio che Pietro, dopo la prodigiosa liberazione dal carcere di Gerusalemme, and a dimorare ad Antiochia. Ora la presenza di Pietro e la sua morte a Roma indubitabile; le testimonianze patristiche e catacombali sono troppo imponenti, per poter asserire il contrario. Anche tralasciando Eusebio, che per insiste in ben tre punti diversi della sua storia della Chiesa, abbiamo Dionigi a Corinto, Origene e Clemente ad Alessandria, Giustino ad Efeso, inoltre, in Gallia San Ireneo da Lione, in Africa Tertulliano. Per quali sono i limiti della presenza romana di Pietro? Quale la data della sua morte? Ebbene, intanto esaminiamo il gruppo degli ultimi 10 anni in questione (57-67) e poi gli anni che vanno dal 40 al 56. Nel 57-58 Pietro non a Roma; Paolo da Corinto invia ai romani una monumentale lettera, vi saluta ben 28 persone nominativamente, e globalmente i membri di cinque chiese domestiche, ma di Pietro nessun cenno. Nel 59-60 Pietro non a Roma; Paolo vi arriva nella primavera del 61 ed apprende che i giudei del luogo non sono ancora stati evangelizzati (Act. 28;22); ma non sarebbe stato proprio questo il compito di Pietro?! (Gal. 2,7-8); dunque in questi anni Pietro non fu a Roma. Nel 61-63 Pietro non a Roma; Paolo in questi anni di cattivit romana, scrive quattro epistole, di cui solo quella agli Efesini non porta i saluti di persone residenti a Roma; ma in quella a Filemone, invia i saluti di quattro persone, in quella ai Colossesi i saluti di sei persone, in quella ai Filippesi invia i saluti del proprio gruppo e di quelli di casa Cesare; ma di Pietro nessun cenno e neppure di un suo gruppo: silenzio assoluto. Nel 64 Pietro non a Roma; Paolo, reduce dalla Penisola Iberica, e ritornato in Italia, scrive con Barnaba la lettera agli Ebrei; manda a loro i saluti dei fratelli dItalia; informa che Timoteo stato liberato dal carcere; ma di Pietro, lapostolo dei circoncisi, nessun cenno! N.B. lincendio di Roma del luglio successivo alla lettera, ma anche stavolta non c lindizio della presenza di Pietro in Roma. Nel 65-66 Pietro non a Roma. Paolo vi arriva in catene, arrestato a Troade come malfattore; scrive la seconda a Timoteo nellautunno del 66, dandogli tante notizie personali e dellambiente romano, e conclude solo Luca non con me; ma per Pietro, assoluto silenzio!! Ma mai possibile che tra i due corifei degli Apostoli, ci fosse una tale ruggine di antitesi (Paolinismo e Petrinismo come farneticheranno i modernisti!) da far si che Paolo volesse ignorare Pietro con assoluta ostinazione??!! Ed ora saliamo a ritroso, per partire dagli anni 40. Nel 40 Pietro a Gerusalemme con Giacomo; riceve la visita di Paolo fuggito da Damasco, dopo tre anni di Arabia (Gal. I , 18-19). Nel 41 Pietro a Jope, poi a Cesarea per far battezzare Cornelio, poi a Gerusalemme per rendere conto agli Anziani ed alla comunit; frattanto arrivano notizie da Antiochia che anche l, il Vangelo accolto dai Gojm. Missione di Barnaba ad Antiochia. Siamo nel 42: non vi viene mandato Pietro, bens il cipriota Barnaba. Evidentemente, nonostante lepisodio di Cornelio, la Chiesa di Gerusalemme non reputa che uno dei dodici si applichi allevangelizzazione dei Gojm. Pietro resta quindi accanto a Giacomo, entro il girone giudaizzante della Chiesa Madre; difatti nel 44, quando Giacomo viene decapitato, anche Pietro viene arrestato; significa che fino ad allora, Pietro era sempre rimasto in Palestina, sotto il doppio controllo dei giudaizzanti e del Sinedrio. Perci: nel 42-43 Pietro non a Roma; la presenza di una comunit cristiana a Roma qualora sia mai esistita in quegli anni ha origini ignote, pi ancora che quella antiochena, i cui fondatori sono ignoti missionari, dei quali per si conosce almeno la provenienza: Cipro e Cirene (Act. XI, 19). In ogni caso Pietro non ha fondato la comunit romana. Nel 44 dopo la liberazione dal carcere di Gerusalemme, egli non va a Roma bens ad Antiochia: lo affermano i pi illustri Padri della Chiesa, compreso Papa San Leone e vi resta per sette anni (come lo afferma pure Papa San Gregorio Magno). Nel 45-49 Pietro non a Roma, egli ad Antiochia dove ha il suo recapito ufficiale; anche la liturgia romana ricorda questo, fin dal quarto secolo, il 22 Febbraio. E questa la festa originaria tradizionale dal titolo: Natali Petri de Cathedra. Le Chiese Gallicane per, forse per non celebrare questa festa in Quaresima, la anticipavano al 18 Gennaio, ispirandosi alla Liturgia Orientale che celebra il 16 Gennaio La prodigiosa liberazione di San Pietro dal carcere. I due usi si svolsero indipendenti e paralleli per pi secoli, ma finirono per perdere lunit primitiva di significato cosicch, invece che di ununica Cattedra di San Pietro in Antiochia ne risultarono due di cui una fu arbitrariamente attribuita a Roma, quella del 18 Gennaio. Oggi abolita dopo il Concilio Vaticano II, la festa del 18 Gennaio stata abolita; rimasta solo quella del 22 Febbraio, ma senza pi unindicazione antiochena o romana. Ad Antiochia, Pietro ritorner anche dopo il Concilio di Gerusalemme. Negli anni della Cattedra Antiochena, Pietro visita i suoi primi convertiti fin dal giorno della Pentecoste, sparsi nelle regioni orientali. Evidentemente, non visita tutte le regioni, al termine del suo giro apostolico, manda la sua prima epistola da Babilonia, indirizzandola ai fedeli del Ponto, Cappadocia, Asia e Bitinia. Questa lista dindirizzi, se confermata con Act. II 9-11, risulta assai incompleta: tralascia i fedeli di Egitto, Libia, Cirenaica, Roma e Creta. Ci porta a concludere che fino alla vigilia del Concilio di Gerusalemme (a.50), Pietro ancora non era stato a Creta o nellAfrica Settentrionale, ma neppure a Roma. Si obietta che Babilonia significa Roma, tanto nella scrittura (Apocalisse), quanto nella Patrisitica, nel linguaggio rabbinico, come pure nella tradizione codiciale. Ebbene, nella Patristica il primo a dire Babilonia per Roma Papia di Gerapoli, discepolo dellapostolo Giovanni che scrisse lApocalisse; ma lApocalisse, come ci informano SantIreneo e San Vittorino fu scritta alla fine del Regno di Domiziano (+96), cio quasi mezzo secolo dopo della I Petri; dunque Babilonia della I Ptr. non riguarda Roma. Modus dicendi del linguaggio rabbinico? S, per non anteriore al 70 E.V. come appare degli Oracoli Sibillini, composti con la caduta di Gerusalemme e la fine del primo secolo. Circa poi la variante ROMI, essa solo in due codici greci minuscoli, assai tardivi. Si obietta che allepoca di San Pietro, Babilonia era un cumulo di rovine. Ebbene, a parte il fatto che Babilonia indicava allora una regione vastissima come lArabia Paolina che andava da Damasco al Sinai, Babilonia era pure un centro fiorentissimo della diaspora ebraica. Giuseppe Flavio Ben Gurion scrive che al tempo del primo Erode molte migliaia di membri del popolo ebraico si erano stabiliti in terra babilonese ed Erode ne scelse uno pure a fungere persino da Gran Sacerdote: Ananele. Quindi Babilonia della prima Petri non significa Roma e non c nessun motivo per negare che tale epistola sia stata veramente scritta dan San Pietro, presso la Chiesa Giudeo Cristiana di Babilonia. Nel 50-51 Pietro non a Roma: a Gerusalemme per il Concilio Apostolico (Act. XV); anche ad Antiochia, dove Paolo lo apostrofa con violenza; insomma, dove cerano gli ebrei espulsi da Roma, nelleditto di Claudio del 49. (Act. XVIII, 2). Nel 52-53 Pietro in Oriente ancora; allora dei pasti si presenta alle mense delle varie comunit, assieme alla moglie; lo desumiamo da Paolo, che nella Pasqua del 53 da Efeso (dove si era fermato tre anni) scrive la prima epistola ai Corinzi in cui, tra laltro, domanda risentito: Forse non abbiamo la potest di mangiare e di bere? O non abbiamo la facolt di portarci attorno, una fedele donna, come gli altri apostoli e fratelli del Signore, e Cefa? (I Cor. IX, 4,5). La II di Pietro, verso la chiusa, ha un accento malizioso a Paolo: Il nostro diletto fratello Paolo, pure vi scrisse secondo la sapienza datagli, parlando cos come fa in tutte le sue lettere, nelle quali comunque, ci sono cose difficili a capirsi (II Ptr. III, 15-16). Ora questa II Ptr. certamente del 54, perch nellautunno del 53 Paolo ha scritto la II ai Corinzi la quale epistola la quarta che Paolo scrive, dopo le due ai Tessalonicesi nel 52 e la I ai Corinzi nella Pasqua del 53. Effettivamente, in codeste lettere, ci sono alcuni punti di difficile interpretazione. La I Ptr. ha un presentimento di morte imminente (I, 13-15); quindi Pietro in carcere, in attesa di giudizio o addirittura di esecuzione. Dove? Se pensiamo che proprio in questo tempo sotto Claudio, lapostolo Giovanni viene portato a Roma per subire il supplizio della caldaia dolio bollente e che viene graziato con lesilio a Patmos, unicamente perch ne esce vivo e ancora pi vegeto, dobbiamo concludere che anche Pietro fu condotto a Roma, regnante Claudio, per subire un micidiale martirio. Proprio nel 54 si rinnova leditto di Claudio di espulsione dei Giudei da Roma (Act. XVIII, 2): Judeos, impulsore Chresto; assidue tumultuantes, Roma expulit. N.B: I coniugi Giudeo Cristiani, Aquila e Priscilla, sono nuovamente a Roma nel 58 (Rom. XIX, 3). San Clemente Romano, nel 95-96 cos scrive ai Corinzi: Osserviamo i SS. Apostoli, specialmente Pietro che, per ingiusta invidia, sub pene acerbe, non una volta o due, ma molte volte, e che, compiuto il suo martirio, se ne and al suo luogo di gloria che gli spettava (C. IV). Ora, Claudio muore nellottobre del 56; Pietro dunque muore prima, probabilmente gi nel 55; lo deduciamo dalla lettera che Paolo da Efeso scrive ai Galati. N.B.: alcuni Giudeo- Cristiani della Galazia inculcavano lobbligo della circoncisione e della osservanza mosaica a tutti i battezzati; dicevano che anche Giacomo e Pietro, la pensavano cos. Paolo smentisce energicamente, affermando che Giacomo e Pietro (che egli aveva incontrato fin dalla prima visita a Gerusalemme [Gal. I, 18-20] e che ora non sono pi), si dichiararono daccordo con la non obbligatoriet della circoncisione. Il passo che ci interessa in [Gal. II, 6-9]: Giacomo e Cefa e Giovanni, quelli che sembravano essere qualcosa, lo erano un tempo, non obiettarono nulla a quanto esposi, e porsero a me e Barnaba le destre. La lettera ai Galati del 56, ma Giacomo Zebedeo era gi morto (fu ucciso nel 44); dunque anche Pietro era gi morto nel 56 . Non si obbietti che Paolo accenna pure allancora vivo Giovanni; intanto, da osservare che laccenno per transenna soltanto; e poi, indubitato che Giovanni veniva allora considerato un fuori serie rispetto alla morte. Infatti se era ancora vivo, dopo la spietata flagellazione ed il bagno nellolio bollente, lo era unicamente per intervento soprannaturale; i carnefici stessi ne furono cos meravigliati, da graziare il condannato a morte, relegandolo a Patmos. Anzi, tutto ci, conferma la voce corrente tra gli apostoli: Giovanni non sarebbe morto, fino al ritorno di Ges, voce che sar ridimensionata solo mezzo secolo dopo, dallo stesso Giovanni, quando ad Efeso, scriver il Vangelo. Conclusione: i 25 anni di episcopato romano di San Pietro sono inammissibili biblicamente, anche 25 mesi sarebbero troppi: non combinano con la cronologia degli Acta e delle epistole paoline: restano al massimo 25 settimane di permanenza romana; quelle di attesa del processo e della condanna, tenendo conto anche del martirio della moglie di Pietro. Il 25 Settembre del 54-55: questa la presenza di San Pietro in Roma; in questi termini, in questo scorcio di tempo soltanto. Il fatto pure che i viaggi marittimi dalla Palestina allItalia duravano, in certe stagioni, anche sei mesi, non pu consentire altra conclusione, per i brevi intervalli lasciati dalla cronologia neotestamentaria ad un ipotetico Vescovo di Roma. Pietro presente a Roma solo perch arrestato in Oriente, vi viene condotto in catene per subire processo e condanna a morte. Cos allora per Giovanni Zebedeo; cos, una dozzina danni dopo, sar per Paolo da Troade (II Tim. IV, 13): presenza di morituro. Quindi il martirio romano dei due corifei, pu essere avvenuto lo stesso giorno (29 Giugno), ma in anni e luoghi diversi: Pietro morto martire prima del 56, sul colle Vaticano; Paolo nel 67, fuori le mura. Antiochia pu contare la presenza attiva dei due corifei cosicch tuttora il Patriarca di Antiochia, si fregia del titolo primaziale di Padre dei Padri e Pastore dei Pastori; i due apostoli non vi hanno versato il sangue; ma in Roma, s! Per questo Roma la prima sedes. Pietro e Paolo sono i dioscuri della Cattedra Romana (San Giovanni in Laterano). I graffitti catacombali sono sintomatici al riguardo: le invocazioni a Pietro e a Paolo, pressocch si equivalgono numericamente, e anche i disegni li mostrano a pari merito: Cristo d le chiavi, talora a Pietro, talora a Paolo. Oppure il rotolo della Legge, talora a Pietro, talora a Paolo, ugualmente. Nel Medioevo, il Papa era detto Vicarius Petri quando era in Urbe; Vicarius Pauli quando era fuori sede. I Papi tuttora, nei documenti solenni o quando prendono decisioni importanti, usano la formula: Auctoritate Sanctorum Apostolorum Petri et Paoli. Inoltre fino allepoca di Bonifacio VIII, i Papi siglavano la firma con la triplice P: Petro Paoloque Princibus (ablativo assoluto di tutto rispetto che mette ben in evidenza, le Radici del Principato Ecclesiale Romano). Ora egli sigla in doppia P per togliere ansa alla malignit della papessa Giovanna: Papissa Peperit Papellum. Comunque sia, da tutto ci si vede che, parlando dellautorit papale, non basta dire: Tu es Petrus, ma bisogna aggiungere subito: Tu es Paulus. Del resto eloquente il fatto che, non ci fu Papa a Roma, prima della morte di Paolo: infatti bisogna dire che San Lino comincia il suo pontificato nel 67, dopo il martirio di Paolo. Dunque i due corifei sono i Dioscuri della Cattedra Romana; e lespressione di tale cattedra la Basilica di San Giovanni in Laterano. Anche quando i Papi saranno ad Avignone, durante circa 70 anni, per continuare ad essere Papi, (quindi Vescovi di Roma) saranno necessitati a prendere quanto prima, possesso del Laterano, almeno attraverso un procuratore, altrimenti non avrebbero potuto legittimamente esercitare il primato papale. Perch la potenzialit papale non proviene da Cristo, bens dalla Cattedra Romana, dal momento che la Chiesa di Roma fondata sul sangue dei due corifei apostolici: Pietro e Paolo. E questa duplice base che rende Roma superiore alle altre Chiesa Apostoliche. E la sedes che d preminenza al Sedens (Papa) e non viceversa! Solo in virt della Sede, il Papa il primo dei Vescovi nel Collegio Episcopale, il primo dei Padri nel Concilio Ecumenico; il Primo dei Patriarchi della Pentarchia. E tutti questi Primati non perch il Papa sia successore di Pietro, n Vicario di Cristo, anzi il Concilio Vaticano Secondo, contro ogni manualistica della controriforma, sorprendentemente afferma che i vescovi, in quanto successori degli apostoli, non sono vicari del Papa bens i Vicari di Nostro Signore Ges Cristo (Lumen Gentium c. 27, paragrafo 532).
CELEBRE DISCORSO DEL VESCOVO MONSIGNOR STROSSMAYER DURANTE IL CONCILIO VATICANO I DEL 1870 CONTRO LA SUPREMA PRETESA DEL PAPA
Venerabili Padri e Fratelli.
Non che tremando, ma con la coscienza libera e tranquilla davanti a Dio che vive e mi vede, che prendo la parola in mezzo di voi, in questa augusta assemblea. Da che seggo qui con voi, ho con attenzione seguiti i vostri discorsi che si son fatti in quest'aula, sperando con vivo desiderio che un raggio di luce, scendendo dall'alto, illuminasse gli occhi del mio intendimento, e mi permettesse votare i canoni di questo santo concilio ecumenico, con perfetta cognizione di causa. Penetrato della parte di responsabilit, di cui Dio mi chieder conto, mi sono dato a studiare con la pi seria attenzione gli scritti dell'antico e Nuovo Testamento, ed ho domandato a questi venerabili monumenti della verit, di farmi conoscere se il santo Pontefice che ci presiede veramente il successore di S. Pietro, Vicario di G. C. e dottore infallibile della Chiesa. Per risolvere questa grave questione, ho dovuto far tavola rasa dello stato attuale delle cose, e trasportarmi con la mente, con in mano la fiaccola evangelica, nel tempo in cui non si conosceva n ultramontanismo n gallicismo, e in cui la chiesa aveva per dottori san Paolo, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, dottori ai quali non potremmo negare la divina autorit, senza mettere in dubbio quello che c'insegna la SANTA BIBBIA, che qui davanti a me, e che il Concilio di Trento ha proclamata regola della fede e dei costumi. Ho dunque aperte queste sacre pagine ... Ebbene! ardir dirlo? io nulla vi ho trovato che legittimi n da vicino n da lontano l'opinione degli oltramontani. Di pi, con mia gran meraviglia, non si fa questione, nei giorni apostolici, n di un papa, successore di san Pietro e vicario di G. Cristo, come di Maometto, che ancora non esisteva. Voi, Monsignor Manning, direte che io bestemmio; voi Monsignor Pie, che son fuori di senno; no, io non bestemmio, non son fuori di senno, Monsignori; ora, a meno che non abbia letto tutto intero il Nuovo Testamento, dichiaro davanti a Dio, la mano alzata verso questo gran crocifisso, che non vi ho trovata traccia alcuna del papato, come esiste attualmente. Non mi recusate, venerabili fratelli, la vostra attenzione, e con i vostri mormorii e interruzioni non giustificate coloro che dicono, come il padre Giacinto, che questo Concilio non libero, e che i nostri voti ci sono stati in precedenza imposti. Dopo ci, questa augusta assemblea, sulla quale son rivolti gli occhi del mondo intero, cadrebbe nel pi vergognoso disprezzo. Se vogliamo farla grande, siamo liberi. Ringrazio S. E. Mons. Dupanloup del suo segno d'approvazione che fa con la testa; ci mi d coraggio e continuo. Leggendo dunque con quella attenzione, di cui il Signore mi ha fatto capace, i sacri libri, non vi ho trovato un sol capitolo, un sol versetto, nel quale G. Cristo commetta a S. Pietro di ammaestrare gli apostoli, suoi compagni d'opera. Se Simone, figlio di Giona, fosse stato quello che noi crediamo esser oggi S. S. Pio IX, fa meraviglia come non abbia detto loro: Quando sar salito presso mio Padre, voi tutti obbedirete a Simon Pietro, come obbedite a me; io lo stabilisco mio vicario sulla terra. N solamente Cristo su questo punto, ma ancora pensa s poco a dare un capo alla Chiesa, che quando promette dei troni a' suoi apostoli, per giudicare le dodici trib di Israele, (Matt. XIX 28) glie ne promette dodici, uno per ciascuno, senza dire che fra questi troni, ve ne sar uno pi alto degli altri, che spetter a Pietro. Certamente, se avesse voluto che fosse cos, lo avrebbe detto: che cosa concludere dal suo silenzio? La logica lo dice: che Cristo non ha voluto fare di S. Pietro il capo del collegio apostolico. Quando Cristo manda gli apostoli alla conquista del mondo, a tutti ugualmente d il potere di sciogliere e legare: a tutti fa la promessa dello Spirito Santo. Permettetemi che lo ripeta: se avesse voluto costituire Pietro suo vicario, gli avrebbe dato il comando in capo della sua milizia spirituale. Cristo, lo dice la S. Scrittura, proibisce a Pietro ed ai suoi colleghi di regnare, signoreggiare e aver potest sui fedeli, siccome usano i re delle genti (Luca XXII 25). Se S. Pietro fosse stato eletto papa, Ges non avrebbe parlato cos, imperocch, secondo le nostre tradizioni, il papato tiene nelle sue mani due spade, simbolo del potere spirituale e temporale. Un fatto mi ha vivamente meravigliato: constatandolo, diceva a me stesso: Se Pietro fosse stato eletto papa, i suoi colleghi si sarebbero permessi di mandarlo con S. Giovanni in Samaria, per annunziarvi l'Evangelo del figlio di Dio? (Atti VIII, 14). Che pensereste, venerabili fratelli, se in questo momento noi ci permettessimo deputare S. S. Pio IX e S. E. Monsignor Plantier a recarsi dal patriarca di Costantinopoli, per impegnarlo a far cessare lo scisma orientale? Ma ecco un altro fatto pi importante. Un concilio ecumenico riunito a Gerusalemme, per decidere sulle questioni che dividono i fedeli. Chi avrebbe convocato quel concilio, se S. Pietro fosse stato papa? S. Pietro: chi lo avrebbe presieduto? S. Pietro o i suoi legati; chi ne avrebbe formulati e promulgati i canoni? S. Pietro: Ebbene! Nulla di tutto questo avviene. L'apostolo assiste al concilio, come tutti gli altri suoi colleghi: non lui che ne prende le conclusioni, ma S. Giacomo, e quando se ne promulgano i decreti, a nome degli apostoli, degli anziani e dei fratelli. (Atti XV.) cos che facciamo noi nella nostra chiesa? Pi che mi addentro, o venerabili fratelli, nel mio esame, pi mi convinco che nella Santa Scrittura non apparisce primato nel figliuolo di Giona: ora, mentre che noi insegniamo che la Chiesa fabbricata sopra S. Pietro, S. Paolo, la cui autorit non pu esser messa in dubbio, ci dice nella sua lettera agli Efesi (II, 20) essere edificata sopra il fondamento degli apostoli e de' profeti, essendo G. C. stesso la pietra del capo del cantone. E il medesimo apostolo crede cos poco alla supremazia di san Pietro, che biasima apertamente quelli che dicono: Noi siamo di Paolo, noi siamo d'Apollo, (Corinti I, 12) come quelli che direbbero: noi siamo di Pietro. Se dunque quest'ultimo apostolo fosse stato vicario di G. Cristo, S. Paolo si sarebbe guardato bene di censurare cos violentemente quelli che si attenevano al suo collega. Lo stesso apostolo Paolo, enumerando le cariche della Chiesa, rammenta gli Apostoli, i Profeti, gli Evangelisti, i Dottori, i Pastori. egli credibile, venerabili fratelli, che S. Paolo, il gran dottore delle genti, avesse dimenticata la prima delle cariche, il papato, se il papato fosse stato d'istituzione divina? Questa dimenticanza non mi sembrata possibile, come sarebbe quella di uno storico di questo concilio, che non dicesse una parola di S. Santit Pio Nono. (Alcune voci: Silenzio, eretico, silenzio!) Moderatevi, venerabili fratelli, non ho ancora detto tutto; impedendomi di continuare, mostrereste al mondo di aver torto e di aver chiusa la bocca al pi piccolo membro di quest'assemblea. Continuo. L'apostolo Paolo, in alcuna delle sue lettere dirette alle varie chiese, non fa menzione del primato di Pietro. Se questo primato fosse esistito, se in una parola, la Chiesa avesse avuto nel suo seno un capo supremo, infallibile nello insegnare il gran dottore delle genti avrebb'egli dimenticato di tenerne parola? Che dico io? Avrebbe scritta una lunga lettera su questo importante e capitale subietto. Allora quando, com'egli ha fatto, si erige l'edificio della dogmatica cristiana, pu dimenticarsi il fondamento, la chiave della volta? Ora, a meno che non si ritenga per eretica la chiesa apostolica, ci che noi non vorremo n oseremo dire, siamo costretti a convenire che la Chiesa non mai stata n pi bella, n pi pura, n pi santa, come nei giorni, nei quali non aveva il papa. (Voci: Non vero. Non vero.) Monsignore de Laval non dica no, poich se alcuno di voi, venerabili fratelli, ardisse pensare che la Chiesa che ha oggi un papa per capo, pi ferma nella fede, pi pura nei costumi della Chiesa Apostolica, lo dica apertamente in faccia all'Universo, imperocch questo il centro, da cui le nostre parole volano da un polo all'altro. Proseguo. Non negli scritti di S. Paolo, n in quelli di S. Giovanni, o di S. Giacomo, ho trovato traccia o germe del potere papale. S. Luca, lo storico dei lavori missionari degli apostoli, tace su questo punto capitale.
Il silenzio di questi santi uomini, i cui scritti fan parte del canone delle Scritture divinamente ispirate, mi parso aggravante, e impossibile, se Pietro fosse stato papa, come non sarebbe giustificabile quello di Thiers se omettesse nella storia di Napoleone Bonaparte il titolo dimperatore. Sento l, davanti a me, un membro dell'assemblea che dice, mostrandomi a dito: un vescovo scismatico, introdottosi fra noi sotto falso nome. No, no, venerabili fratelli, io non sono entrato in questa augusta assemblea, come un ladro per la finestra; ma sibbene dalla porta come voi: il mio titolo di vescovo me ne dava il diritto, come la mi coscienza di cristiano m'impone parlare e dire quello che credo esser vero. Ci che mi ha maggiormente stupito, e pi di quello che potrei dimostrare, il silenzio di S. Pietro. Se l'apostolo fosse stato quello che noi proclamiamo essere, cio il vicario di G. Cristo sulla terra, egli avrebbe dovuto saperlo: se lo ha saputo, come mai neppure una volta, una volta sola non ha fatto da papa? Avrebbe potuto farlo il giorno della Pentecoste, quando pronunzi il suo primo discorso, e non lo fece: al concilio di Gerusalemme, e non lo fece: ad Antiochia, e non lo fece: nelle due lettere dirette alla chiesa, e non lo fece: immaginate voi un tal papa, venerabili fratelli, se S. Pietro fosse stato papa? Se dunque vuolsi sostenere che egli stato papa, ne nasce la naturale conseguenza che bisogna del pari sostenere che non ha saputo di esserlo; ora io domando a chiunque ha testa che pensa e mente per riflettere, sono possibili queste due supposizioni? Riassumendo, dico: Mentre vivevano gli apostoli, la Chiesa non ha mai pensato che potesse esservi un papa: per sostenere il contrario, bisognerebbe dare alle fiamme gli scritti sacri, o ignorarli affatto. Sento da tutte le parti dire: ma S. Pietro non stato a Roma? Non vi stato crocifisso col capo all'ingi? La sedia sulla quale insegnava e l'altare su cui diceva la messa, non sono in questa citt eterna? La dimora di S. Pietro a Roma, venerabili fratelli, non ha altra prova che la tradizione: ma se egli fosse stato vescovo di Roma, che forse dal suo vescovato in questa citt, potr trarsi e concludere per la sua supremazia? Un dotto di primo ordine, lo Scaligero, non ha esitato dire, che il vescovato e la dimora di S. Pietro a Roma debbono essere posti fra le ridicole leggende. (Grida ripetute: Toglietegli la parola, toglietegli la parola! Discenda dall'ambone!)
Venerabili fratelli, son pronto a tacermi, ma non egli pi conveniente in un assemblea, quale la nostra, esaminar tutto, siccome lo comanda l'apostolo e credere ci ch' buono? Ma, venerabili, noi abbiamo un dittatore, davanti al quale tutti dobbiamo prostrarci e tacere, anche Sua Santit Pio IX e abbassare la testa. Questo dittatore la storia. Essa non come la leggenda, di cui si fatto quello, che il vasellaio fa dell'argilla: il diamante che incide sul vetro parole incancellabili. Finora non mi sono appoggiato che su lei, e se non ho trovato traccia del papato nei giorni apostolici, mia non la colpa, ma sua. Volete mettermi in stato di accusa per delitto di falso? Padroni di farlo.
Mi giungono dalla destra queste parole: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificher la mia chiesa. Matt. XVI. Fra poco, venerabili fratelli, risponder a questo obietto: ma prima di farlo, debbo presentarvi il resultamento delle mie ricerche storiche. Non trovando traccia del papato nei giorni apostolici, ho detto fra me: Troverai quello che cerchi negli annali della Chiesa. Ebbene! lo dir francamente: ho cercato un papa nei primi quattro secoli e non l'ho trovato. Nessuno di voi, spero, vorr contestare la grande autorit del santo vescovo d'Ippona, il grande e beato s. Agostino. Questo pio dottore, onore e gloria della Chiesa cattolica, era segretario nel concilio Melivetano. Nei decreti di quella venerabile assemblea si leggono queste significanti parole: Chiunque vorr appellare AL DI LA' DEL MARE, non sia ricevuto da alcuno, in Affrica, alla comunione. I vescovi d'Affrica riconoscevano s poco la supremazia del vescovo di Roma, che colpivano di scomunica coloro che a lui ricorressero in appello. Questi medesimi vescovi, nel sesto concilio di Cartagine, tenuto sotto Aurelio, vescovo di quella citt scrissero a Celestino vescovo di Roma, avvertendolo che non ricevesse appelli dei vescovi, preti e chierici d'Affrica: che non mandasse pi legati, n commissari, e che non introducesse l'orgoglio umano nella Chiesa. Che il patriarca di Roma abbia pensato fino dai primi tempi a trarre a s tutta l'autorit, un fatto evidente: ma fatto del pari indubitato che egli non aveva la supremazia, che gli oltramontani gli attribuiscono: se l'avesse avuta, i vescovi d'Affrica, S. Agostino il primo, avrebbero ardito proibire di appellare dai loro decreti al suo tribunale supremo? Confesso senza difficolt che il partriarcato di Roma teneva il primo posto: una legge di Giustiniano dice "Ordiniamo, dietro la definizione dei quattro concilii, che il santissimo papa della vecchia Roma sia il primo dei vescovi, e che l'altissimo arcivescovo di Costantinopoli, che la nuova Roma, sia il secondo." Inchinati dunque alla supremazia del papa, mi direte. Non siate si corrivi a questa conclusione, venerabili fratelli, imperciocch la legge di Giustiniano ha scritto in fronte "dell'ordine delle sedute dei pariarchi" Altra cosa dunque la precedenza, altra il potere di giurisdizione: cos, per esempio, supponiamo che in Firenze fosse una riunione di tutti i vescovi del regno: la precedenza sarebbe data al primate di Firenze, come presso gli orientali accordata al Patriarca di Costantinopoli, e in Inghilterra all'arcivescovo di Cantorbery. Ma n il primo, n il secondo, n il terzo potrebbero dedurre dal posto che sarebbe loro assegnato, una giurisdizione sui loro colleghi. La importanza dei vescovi di Roma proveniva, non da un potere divino, ma dalla considerazione della citt, in cui avevano la loro sede. Monsignor Darboy non superiore in dignit all'arcivescovo di Avignone: non per tanto, Parigi gli d una considerazione che non avrebbe, se in vece di avere il suo palazzo sulle rive della Senna, lo avesse su quelle del Rodano. Quel che vero nell'ordine religioso, lo pure nel civile e politico: il prefetto di Firenze non pi prefetto di quello di Pisa: ma civilmente e politicamente ha una maggiore importanza. Ho detto che il patriarca di Roma aspir fino dai primi secoli al governo universale della chiesa. Sventuratamente vi giunse in appresso: ma certamente non lo aveva allora poich, non ostante le sue pretese, l'imperatore Teodosio II. fece una legge con la quale stabil che il patriarca di Costantinopoli aveva la medesima autorit , che quello di Roma. Leg. Cod. de Scr. ecc. I padri del concilio di Calcedonia posero il vescovo della antica e nuova Roma al medesimo ordine in tutte le cose, anche nelle ecclesiastiche. Can. 28. Il sesto concilio di Cartagine proib ai vescovi tutti di prendere il titolo di principe dei vescovi, o di vescovo sovrano. Quanto al titolo di vescovo universale, che i papi presero pi tardi, S. Gregorio I, credendo che i suoi successori non se ne sarebbero mai fregiati, scrisse queste notevoli parole: "Nessuno de miei predecessori ha consentito di prendere questo nome profano, imperocch quando un patriarca si d il nome di universale, il titolo di patriarca ne soffre di discredito. Lungi dunque dal cristiano il desiderio di darsi un titolo che lo discredita fra i suoi fratelli!" Le parole di S. Gregorio sono dirette al suo collega di Costantinopoli, che pretendeva al primato nella chiesa. Il papa Pelagio II chiama Giovanni, vescovo di Costantinopoli, che aspirava al pontificato massimo, empio, e profano "Non vi curate, egli dice del titolo di universale, che Giovanni usurp illegalmente: che nessuno dei patriarchi prenda questo nome profano: imperocch, quale sventura non dovremo aspettarci, se fra i preti sorgono tali elementi? Si avvererebbe quello che stato predetto. il re dei figli dellorgoglio. (Pelagio II. lett. 13)" Queste autorit, e ne avrei cento altre di ugual valore, non provano esse, con chiarezza pari allo splendore del sole a mezzogiorno, che i primi vescovi di Roma non sono stati che molto tardi riconosciuti per vescovi universali e capi della chiesa?
E daltra parte, chi non sa come dallanno 225, in cui si tenne il primo concilio di Nicea, fino al 580 in cui si tenne il secondo ecumenico di Costantinopoli, sopra 1109 vescovi che assisterono ai sei primi concilii generali, non vi furono presenti che 19 vescovi occidentali? Chi non sa che i concili erano convocati dagli imperatori, senza prevenire, e qualche volta contro la volont del vescovo di Roma? Che Osio vescovo di Cordova, presied il primo concilio di Nicea e ne redig i canoni? Lo stesso Osio presied di poi il concilio di Sardica, escludendone i legati di Giulio vescovo di Roma: non insisto di pi, venerabili fratelli, e vengo a parlare del grande argomento, che ponete innanzi, per istabilire il primato del vescovo di Roma. Per la pietra, sulla quale la Santa Chiesa fabbricata, voi intendete Pietro. Se fosse vero, la disputa sarebbe terminata: ma i nostri antenati, e certamente sapevano qualche cosa, non la pensavano come noi. S. Cirillo, nel suo quarto libro sulla Trinit, dice "Io credo che per la pietra, bisogna intendere la incrollabile fede dellapostolo". S. Ilario, vescovo di Poitiers, nel suo secondo libro sulla Trinit dice "La pietra (petra), la beata ed unica pietra della fede confessata per bocca di S. Pietro: ed , dice nel sesto libro della Trinit, su questa pietra della confessione, che la chiesa edificata. "Dio, dice S. Girolamo, nel 6 libro di S. Matteo, ha fondato la sua chiesa su questa pietra ed su questa pietra che lapostolo Pietro stato nominato." Dopo lui, S. Grisostomo dice, nella sua 53 omelia sopra S. Matteo". Su questa pietra edificher la mia chiesa, cio sulla fede della confessione: or qual era la confessione dellapostolo? Eccola "Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente." Ambrogio, il santo arcivescovo di Milano, nel secondo capitolo agli Efesi, S. Basilio di Seleucia, ed i padri del Concilio di Calcedonia insegnano esattamente la medesima cosa. Di tutti i dottori della antichit cristiana, S. Agostino quello, che occupa uno dei primi posti nella Chiesa, per la scienza e santit. Ascoltate dunque ci chegli scrive nel suo secondo trattato sulla prima lettera di S. Giovanni. "Che cosa vogliono dire le parole. "Io edificher la mia chiesa su questa pietra? Su questa fede, su quello che detto. Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente." Nel suo 124 trattato sopra S. Giovanni, troviamo questa significantissima frase "Sopra questa pietra che tu hai confessato, io edificher la mia chiesa, imperocch Cristo era la pietra." Il gran vescovo credeva tanto poco che la chiesa fosse fabbricata su S. Pietro, che diceva a suoi fedeli nel suo 13 sermone. "Tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessato, su questa pietra, che tu hai conosciuto dicendo Tu sei Cristo, il figlio di Dio vivente io edificher la mia chiesa sopra me stesso, che sono il figlio di Dio vivente: io la edificher su ME, E NON ME SU TE." Quello che S. Agostino pensava sopra questo celebre passo, era la opinione di tutta la cristianit del suo tempo. Dunque riassumendo, stabilisco:
1 Che Ges ha dato agli apostoli il medesimo potere che a san Pietro;
2 Che gli apostoli non hanno mai riconosciuto in S. Pietro il vicario di Ges Cristo e il dottore infallibile della chiesa;
3 Che S. Pietro non ha mai pensato di essere papa, e non ha mai fatto da papa;
4 Che i concilii dei quattro primi secoli, mentre riconoscevano lalto posto, che il vescovo di Roma occupava nella Chiesa, appunto per cagione di Roma, non gli hanno accordato che una preminenza donore, mai un potere, n una giurisdizione;
5 Che i SS. Padri nel famoso passo "Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificher la mia chiesa" non hanno mai inteso che la Chiesa fosse edificata su Pietro (super Petrum), ma sulla pietra (super petram), cio sulla confessione della fede dellapostolo.
Concluder vittoriosamente con la storia, con la ragione, con la logica, col buon senso e con la coscienza cristiana, che Ges Cristo non ha conferito alcuna supremazia a S. Pietro, e che i vescovi di Roma non son divenuti sovrani della Chiesa, se non che confiscando ad uno ad uno tutti i diritti dellepiscopato. (voci: Taccia lo sfacciato protestante, taccia!)
Io sono uno sfacciato protestante! N, mille volte no! La storia non n cattolica, n anglicana, n calvinista, n luterana, n armena, n greca scismatica, n oltramontana: ella quello che , cio qualche cosa di pi forte di tutte le confessioni di fede dei canoni dei concilii ecumenici. Scrivete in falso contro di lei, se lo ardite: ma voi non potete distruggerla, come un mattone tolto dal Colosseo non lo farebbe cadere. Se ho detto qualche cosa che la storia dimostri in contrario, mi si faccia conoscere con la storia, e senza esitare un momento, far onorevole ammenda: ma siate pazienti e vedrete che non ho detto tutto ci che io voleva e doveva: quando anche il rogo mi attendesse sulla piazza di S. Pietro, io non debbo tacere e mi obbligo continuare. Monsignor Dupanloup, nelle sue celebri Osservazioni su questo concilio del Vaticano, ha detto e con ragione, che se noi dichiariamo Pio IX infallibile, siamo per necessaria e naturale logica obbligati a ritenere infallibili tutti i suoi antecessori. Or bene! Venerabili fratelli, ecco la storia che alza la sua voce autorevole, per assicurarvi che alcuni papi hanno errato: avete un bel protestare, un negare, io vi dir con quella:
Papa Vittore (192) approv il montanismo, poi lo condann.
Marcellino(296, 303) fu idolatra, entr nel tempio di Vesta e offr incensi alla dea. Voi direte fu un atto di debolezza: ma io risponder: un Vicario di Ges Cristo muore ma non diviene apostata.
Liberio (358) consent alla condanna di Anatasio e fece professione di Arianismo, per esser richiamato dallesilio e reintegrato nel suo seggio.
Onorio (625) ader al monotelismo: il padre Gratry lo ha alla evidenza dimostrato.
Gregorio I (578-90) chiama anticristo colui, che prende il nome di Vescovo universale, e al contrario Bonifazio III. (607-8) si fa conferire questo titolo dal parricida imperatore Foca.
Pasquale II. (1088-1099) ed Eugenio III. (1145 - 1153) autorizzano il duello: Giulio II. (1509) e Pio IV. (1560) lo proibiscono.
Eugenio IV. (1431-39) approva il Concilio di Basilea e la restituzione del calice alle chiese di Boemia: Pio II. (1658) revoca la concessione.
Adriano II. (867-872) dichiara valido il matrimonio civile, Pio VII. (1800-23) lo condanna. Sisto V. (1585-1590) pubblica un edizione della Bibbia e ne raccomanda la lettura con una Bolla: Pio VII ne condanna la lettura.
Clemente XIV (1700-21) abolisce lOrdine dei Gesuiti, permesso da Paolo III: Pio VII. lo ristabilisce.
Ma perch cercare delle prove cos remote? Il nostro santo padre Pio IX, qui presente, nella sua bolla che d le norme per il concilio, nel caso in cui egli morisse, mentre aperto, non ha revocato tutto quello che in passato gli sarebbe contrario anche quando provenisse da decisioni de suoi predecessori? E certamente se Pio IX ha parlato ex cattedra, non quando dal fondo del suo sepolcro impone le sue volont ai sovrani della Chiesa.
Non terminerei pi, Venerabili fratelli, se ponessi davanti ai vostri occhi le contraddizioni dei papi nei loro insegnamenti. Se voi dunque proclamate la infallibilit del papa attuale, bisogner forzatamente, o che voi proviate ci che impossibile, che i papi non si sono contraddetti oppure che dichiariate che lo Spirito Santo vi ha rivelato che la infallibilit papale non data che dal 1870. Avrete voi tanto ardimento? I popoli passeranno indifferenti forse accanto a questioni teologiche, delle quali non intendono e non sentono la importanza: ma per quanto siano indifferenti ai principi, non lo sono punto dei fatti. Ora non villudete! se decretate il dogma della infallibilit papale, i protestanti, nostri avversari, monteranno sulla breccia tanto pi arditi, in quanto che avranno contro di noi e in loro favore, la storia, mentre noi non avremo contro loro, che le nostre negative. Che cosa diremo loro quando faranno marciare davanti al pubblico i vescovi di Roma da Luca a sua santit Pio Nono? Ah! se tutti fossero stati come Pio IX, noi trionferemmo su tutta la linea; ma ohim! non cos..- Grida: silenzio, silenzio! basta, basta! Non gridate, Monsignori! Temere la storia darsi per vinti: e d'altronde se faceste passare sopra di lei le acque del Tevere, non ne cancellereste una pagina. Lasciatemi parlare e sar breve, per quanto il comporta questo importante subietto.
Il papa Vigilio (538) compr il papato da Belisario, luogotenente dellimperatore Giustiniano: vero che, rompendo la promessa, pag nulla.
egli canonico questo mezzo di cingere la tiara? Il secondo Concilio di Calcedonia laveva formalmente condannato. In uno dei suoi canoni si legge "che il vescovo, il quale ottiene il vescovato per danari, lo perda e sia degradato".
Il papa Eugenio IV. (1145) imit Vigilio. San Bernardo, fulgida stella del suo secolo, rimprover il papa dicendogli: "Potresti indicarmi alcuno in questa gran citt di Roma, che ti abbia ricevuto per papa, senza che abbia ricevuto oro od argento?"
Un papa, Venerabili fratelli, che erige banco alle porte del tempio, sar egli inspirato dallo Spirito Santo? Avr diritto dinsegnare infallibilmente alla Chiesa?
Conoscete pur troppo la storia di Formoso, perch io la renda pi grave. Stefano XI. fece disseppellire il suo corpo, vestirlo di abiti pontificali, e tagliategli le dita, con le quali dava la benedizione lo fece gettare nel Tevere, e lo dichiar spergiuro e illegittimo. Egli poi fu dal popolo imprigionato, avvelenato e strangolato: ma vedete il giusto rimetter delle cose: Romano successore di Stefano e dopo lui, Giovanni X, riabilitarono la memoria di Formoso. Ma direte, queste son favole, non storia. Favole! andate Monsignori, andate alla biblioteca vaticana, e leggete il Platina, lo storico del papato e gli annali del Baronio (anno 897). Vi sono dei fatti che vorremmo cancellare, per lonore della santa Sede; ma quando si tratta di definire un domma, che pu provocare un gran scisma in mezzo di noi, lamore che portiamo alla nostra venerabile madre Chiesa cattolica, apostolica e romana, cimpone silenzio Aggiungo. Il dotto Cardinale Baronio, parlando della corte papale, dice (prestate attenzione Venerabili fratelli, a queste parole) "Qual era in quel tempo la faccia della Chiesa romana, e come obbrobriosa, non dominando a Roma che onnipossenti cortigiane? Esse erano quelle che davano, permutavano, toglievano vescovati, e orribil cosa a credersi, i loro amanti, i falsi papi, venivan posti sul trono di san Pietro. (Baronio anno 912)." Quelli erano falsi papi, non veri, si replica: e sia pure: ma in tal caso, Venerabili fratelli, se per cinquanta anni la sede di Roma non stata occupata che da antipapi, come troverete voi il filo della successione pontificale? La chiesa ha ella potuto fare a meno per un secolo e mezzo del suo capo, e trovarsi acefala? Vedete! La maggior parte di questi antipapi figurano nellalbero genealogico del papato, e certamente bisognava bene che fossero tali, quali Baronio li dipinge, perch Genebrardo, il grande adulatore dei papi, abbia osato dire nelle sue cronache (anno 901). "Questo secolo sventurato, imperocch per 150 anni circa, i papi sono del tutto decaduti dalle virt dei loro antecessori, essendo piuttosto apostati, che apostolici." Capisco come lillustre Baronio abbia dovuto, narrando questi fatti dei vescovi di Roma, sentirsi arrossire il volto. Parlando di Giovanni XI. (931), bastardo di papa Sergio e di Marozia, quegli scriveva queste parole nei suoi annali. "La santa Chiesa, cio la romana, ha dovuto vilmente esser calpestata da un tal mostro". Giovanni XII (946) eletto papa a 18 anni per influenza di cortigiane, non era punto meglio del suo antecessore. Deploro, Venerabili fratelli, di agitare tanto laidume: mi taccio di Alessandro VI., padre e amante di Lucrezia: trasvolo su Giovanni XXII. (1316), che negava limmortalit dellanima e fu deposto dal santo concilio ecumenico di Costanza. Alcuni asseriscono che questo concilio non fosse che un concilio particolare. E sia pure: ma se gli ricusate ogni autorit, per essere logicamente conseguenti, bisogna tenere per illegale la nomina di Martino V. (1417). Che cosa avverr allora della successione papale? Potrete voi trovarne il bandolo? Non parlo degli scismi che hanno disonorato la chiesa. In codesti sventurati giorni, la sede di Roma era occupata da due, e qualche volta da tre competitori: quale di questi era il vero papa? Riassumendomi dico, se voi decretate la infallibilit dellattuale vescovo di Roma, vi abbisogner stabilire la infallibilit di tutti i precedenti, senza escluderne alcuno: ma lo potrete voi, quando la storia l, che stabilisce con chiarezza eguale a quella del sole, che i papi hanno errato nei loro insegnamenti? Lo potrete voi, sostenendo che dei papi avari, incestuosi, omicidi, simoniaci sono stati vicari di Ges Cristo? Oh! Venerabili fratelli, sostenere tale enormit, sarebbe tradire Cristo peggio di Giuda: sarebbe gettargli del fango nel volto. (Grida: Gi dal pulpito! zitto, silenzio leretico!) Venerabili fratelli, voi gridate: ma non sarebbe cosa pi dignitosa pesare le mie ragioni e le mie prove sulla bilancia del santuario? Credetemi, la storia non si rif: ella l e lo sar in eterno per protestare energicamente contro il domma della infallibilit papale. Voi lo ploclamerete allunanimit, ma meno un voto, il mio! I veri fedeli, Monsignori, hanno gli occhi su noi, attendono da noi il rimedio aglinnumerevoli mali che disonorano la Chiesa: glinganneremo nelle loro speranze? Qual non sarebbe innanzi a Dio la nostra responsabilit, se ci lasciassimo fuggire questa solenne occasione che Dio ci ha data, per render salda la vera fede? Afferriamola, fratelli; armiamoci di un santo coraggio; facciamo un violento e generoso sforzo; torniamo aglinsegnamenti apostolici: imperocch, fuori di questi, non abbiamo che errori, tenebre e false tradizioni. Valghiamoci della nostra ragione e della nostra intelligenza, per avere gli apostoli e profeti a nostri soli maestri infallibili, intorno alla domanda per eccellenza "che mi convien fare per essere salvato?" Ci deciso, noi avremo posta la base della nostra dommatica. Fermi ed immobili sulla roccia stabile e incrollabile della Santa Scrittura, divinamente inspirata, fiduciosi andremo innanzi al secolo, e come lapostolo Paolo, in presenza dei liberi pensatori, non vorremo saper altro che G. Cristo, e Ges Cristo crocifisso: lo conquisteremo con la predicazione della folla della croce, come Paolo conquist i retori di Grecia e di Roma, e la Chiesa romana avr il suo glorioso 89. (Grida clamorose Abbasso, fuori il protestante, il calvinista, il traditore della chiesa!)
Le vostre grida, Monsignori, non mi spaventano: se il mio dire caldo, la testa fredda: io non sono n di Lutero n di Calvino, n di Paolo, n di Apollo, ma di Cristo. (Nuove grida Anatema, Anatema allapostata!)
Anatema! Monsignori, Anatema! voi sapete bene che non protestate contro di me, ma contro i santi apostoli, sotto la cui protezione vorrei che questo concilio ponesse la Chiesa. Ah! se coperti dei loro sudarii, uscissero dalle loro tombe, vi parlerebbero essi un linguaggio differente dal mio? Che cosa direste loro, quando coi loro scritti vi dicessero che il papato ha deviato dal Vangelo del figlio di Dio, che essi con tanto coraggio hanno predicato e confermato col loro generoso sangue? Ardireste dir loro: Noi preferiamo ai vostri insegnamenti quelli dei nostri papi, dei nostri Bellarmino, e Ignazio di Loiola? N, n, mille volte n, a meno che non abbiate chiuse le orecchie per non udire, gli occhi bendati per non vedere, la intelligenza ottusa per non intendere. Ah! se colui che regna nei cieli vuole aggravare su noi la sua mano, siccome fece su Faraone, non ha bisogno di permettere ai soldati di Garibaldi di scacciarci dalla citt eterna, non ha che lasciar fare di Pio IX un Dio, come abbiamo fatto della Beata Vergine una dea. Fermatevi fermatevi, Venerabili fratelli, sul pendio odioso e ridicolo, su cui vi siete posti. Salvate la Chiesa dal naufragio che la minaccia, domandando alle sole sante scritture la regola di fede, che dobbiamo credere e professare. Ho detto. Dio mi aiuti!
Queste ultime parole furono ricevute con i pi plateali segni di disapprovazione. Tutti i padri si alzarono; molti uscirono dalla sala; buon numero di Italiani, Americani, Tedeschi, e un piccol drappello di Francesi ed Inglesi circondarono il coraggioso oratore, gli strinsero fraternamente la mano, e gli mostrarono esser concordi nel suo modo di pensare.
Questo discorso nel secolo XVI avrebbe procurato al coraggioso vescovo la gloria di morire sul rogo: nel secolo attuale, provoca lo sdegno di Pio IX e di tutti coloro che vogliono abusare della ignoranza dei popoli.
Poveri ciechi! "Cadranno nella fossa cheglino stessi hanno fatta" Salmo VII 15. vescovo Georg Joseph ( o Juraj Josip ) Strossmayer vescovo di akovo (Croazia)
Josip Juraj Strossmayer (Osijek, 4 febbraio 1815 akovo, 8 maggio 1905) stato un vescovo cattolico croato. Strossmayer fu eletto vescovo di akovo l'8 novembre 1849 e conserv la stessa cattedra episcopale fino alla morte. Fu un vescovo mecenate e la sua attivit di promozione culturale segn il risveglio della cultura croata nellOttocento. Diede vita assieme a Raki e a Jagi ad alcune delle pi importanti istituzioni culturali croate: lAccademia jugoslava (1867) a Zagabria, luniversit di Zagabria (1874) e la Galleria delle belle arti (1884). Amico di Mihajlo Obrenovi, sotto il suo auspicio vennero rafforzate alcune istituzioni culturali preesistenti. Incentiv la nascita di giornali e di riviste letterarie e scientifiche. Grazie al suo supporto Dimitr Miladinov pubblic a Zagabria nel 1861 i "Canti popolari bulgari raccolti dai fratelli Miladinov Dimitr e Konstantin ed editi da Konstantin"; grazie a lui emerse anche la giovane Maria Juri Zagorka poi scrittrice croata di successo del primo Novecento. Al Concilio Vaticano I si mantenne su posizioni antiinfallibiliste.
TRADURRE E TRADIRE
Riguardo alla traduzione di testi liturgici e Sacra Scrittura.
Esistono diversi testi sia della Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo e di San Basilio, sia di vari testi liturgici e della Sacra Scrittura; tradotti dai testi originali si proclama. Sicuramente in passato ci sono stati diversi errori nel tradurre il testo greco, originale, in latino per la non perfetta conoscenza della lingua greca. Vedi a questo proposito la preghiera Domenicale e lesegesi del Padre nostro da SantAmbrosio (Libretto: La Fede dei Padri). Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volont, come in cielo, cos in terra. Dacci oggi il nostro pane essenziale, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. E non ci esporre in tentazione, ma liberaci dal maligno. Vedi anche Luca 17, 20-21, il testo originale in greco dice: , , , , , , . , . Traduzione CEI e non solo: Interrogato dai farisei: Quando verr il regno di Dio?, rispose: Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dir: Eccolo qui, o: eccolo l. Perch il regno di Dio in mezzo a voi!. Chi ha una minima conoscenza di greco, anche scolastica, si chieder come mai stato tradotto in mezzo a voi invece di dentro di voi. Una mia piccola ricerca fa risalire questi, ma anche altri, errori alla Vulgata, in altre parole al beato Gerolamo. Ma mi pongo la domanda perch anche nei giorni nostri si continua a portare avanti errori del genere? I professori che traducono la Sacra Scrittura dai testi originali possibile che non conoscano il greco? Non sar forse che per il Vaticano riconoscere gli errori, anche errori di questo genere, sempre difficoltoso? Consideriamo adesso anche le odierne traduzioni di testi liturgici. Ci si ostina a chiamare la Vergine Maria Madre di Dio cancellando il fatto che largomento stato affrontato da un Concilio Ecumenico e che i Padri nel Concilio Ecumenico del 432, riunito nella citt di Efeso, dichiaravano: Professiamo la Vergine Theotokos poich il Verbo di Dio si incarnato diventando uomo in lei... Theotokos, cio colei che ha partorito Dio incarnato. Questo termine stato adottato dalla Chiesa universale di allora. La Chiesa doccidente adoper il termine Deipara che in latino significa appunto colei che ha partorito Dio. Nelle varie traduzioni dellInno Acathistos, al di fuori di quella dellAntologhio, larcangelo si rivolge alla Vergine con Ave o Salve ignorando le considerazioni dei teologi bizantini riguardo al saluto dellangelo. Giovanni Geometris riguardo al saluto dellAngelo dice: Gioisci, perch la gioia hai concepito, la gioia cresciuta nel tuo ventre, la gioia che oltrepassa ogni intelletto e parola hai generato ... Larcangelo Gabriele porta alla Vergine il gioioso annuncio ed insieme a lei gioiscono le schiere angeliche e ogni uomo in terra. Gioiscono tutti, piccoli e grandi, servi e potenti, poich la Vergine diventa motivo di gioia spirituale per lecumene. Gioisci perch partorirai il Salvatore. Ci si ostina a chiamare il Signore amico delluomo nella quasi totalit dei testi tradotti, ma il rapporto fra il Signore Iddio e luomo non un rapporto di amicizia ma di amore, di eros dicono i Padri della Chiesa. Il rapporto fra Dio e luomo un rapporto di amore come ci conferma anche levangelista Giovanni: Dio ha cos amato luomo da mandare il suo Figlio unigenito... Dio non si incarna per amicizia ma per amore, non subisce la passione perch amico delluomo ma lo fa perch lo ama. Dio colui che ama luomo. A me personalmente il termine Filantropo sembra il pi appropriato anche se oggi giorno ha un significato, nella lingua corrente, diverso ma ha la sua valenza nel linguaggio ecclesiastico. Filantropo infatti composto da due parole: flos e antropo che significa colui che ama luomo. Il termine Kirie eleison (un termine che stato usato fino a qualche anno indietro da tutta la Chiesa, doriente e doccidente) tradotto con la parola piet, ma anche il termine che significa compassione tradotto allo stesso modo piet. Kirie eleison risulta essere di difficile traduzione poich il suo significato esatto sarebbe: Signore abbi compassione di me peccatore e donami nella tua misericordia e amore quello di cui ho bisogno: amore per amarti, pace, forza per resistere alle trappole del demonio, purezza ecc.. La traduzione pi appropriata di eleison abbi misericordia e a questo proposito seguir un testo di padre Ambrosio di Torino che ha affrontato e approfondito largomento. Mi chiedo perch si continua a usare questi e altri termini che alterano la teologia fin qui tramandata dalla Chiesa? Perch anche gli ortodossi (non tutti) che dovrebbero essere i pi attenti a custodire usano queste traduzioni?
Note sulluso di piet e misericordia dell Igumeno Ambrogio
DOMANDA Caro padre Ambrogio, nelle tue traduzioni, il greco elison tradotto con abbi misericordia. Perch non segui la maggioranza delle versioni correnti, che traducono abbi piet?
RISPOSTA La terminologia abbi piet lo specchio di un uso molto povero e decadente della lingua italiana, nel quale ha non poco peso linserimento della mentalit feudale che ha progressivamente estraniato lOccidente cristiano dallOrtodossia. Il latino pietas indica precisamente la devozione (evlavia in greco e in romeno, blagochestie o lequivalente blagogovenie in slavonico), cio latteggiamento di giusto rapporto con la divinit (ovvero, come ancora oggi si dice in italiano, l'essere pio). Tale qualit non ha correlazione con lesercizio della misericordia (in slavonico e romeno mila: la sua sfera semantica pu comprendere: amore, tenerezza, indulgenza, commiserazione, compassione) se non nel senso lato e popolaresco di appello alla piet di una data persona, di cui si vuole stimolare il senso religioso perch usi compassione. Il fatto di volersi appellare alla piet (=devozione?) di Dio indica quanto improprio sia l'uso di questa espressione corrente. In latino spero non ci sia dubbio tra alcuno studioso pietas e misericordia non erano affatto sinonimi. Sulpizio Severo, al punto 27/2 della Vita Sancti Martini episcopi et confessoris, scrive di san Martino: numquam in illius ore nisi Christus, numquam in illius corde nisi pietas, nisi pax, nisi misericordia inerat. Se nel cuore di san Martino non cera altro che piet e pace e misericordia, pare piuttosto evidente che piet e misericordia ameno alle orecchie di un autore cristiano del IV-V secolo come Sulpizio Severo non siano la stessa cosa, cos come nessuna delle due la stessa cosa della pace. Prendiamo come altro esempio soprattutto perch riguarda un appello accorato una delle colonne del pensiero cristiano ortodosso in (ottima!) lingua latina, i Dialoghi di san Gregorio Magno. Nel primo capitolo del libro III, san Paolino di Nola accompagna una vedova in Africa per ottenere la liberazione del figlio della donna, prigioniero del genero del re dei Vandali. La donna prega il barbaro con le parole: solummodo pietatem in me exhibe, soltanto mostra piet nei miei confronti, ovvero abbi soltanto piet di me. Versione perfetta e antica e ortodossa, MA riferita al genero di Genserico, NON a Dio onnipotente! Nessuno, nellantichit cristiana, avrebbe avuto la sfacciataggine di chiedere la pietas di Dio (a chi dovrebbe essere devoto, Dio?): si chiedeva piuttosto la sua misericordia (termine latino cos come italiano), e questo quel che fa ogni autore ortodosso in Italia fino al tempo del feudalesimo. Poi, con il moltiplicarsi degli appelli alla pietas per stimolare il potente di turno a essere pius e a non scannarti, la misericordia inizia surrettiziamente a cedere il passo alla piet nel periodo pi oscuro dei latinismi liturgici. Uno dei meriti del Compendio liturgico ortodosso (1990) per il quale non sar mai ringraziato abbastanza quello di avere messo in discussione nellambiente ortodosso italiano la traduzione di leos con il termine piet. Al suo posto propone il termine misericordia, nulla di fantasioso, ma semplicemente la corretta traduzione latina (e italiana) di leos. In tal senso non si mosso solo un gruppo di ortodossi: cos traducevano gi da tempo serie figure del mondo cattolico come padre Giovanni Vannucci, osm (1913-1984) e don Divo Barsotti (1914-2006), buoni letterati e poeti oltre che esperti di lingua liturgica. Non vedo buone ragioni, in una nuova traduzione della Liturgia, di tornare al linguaggio sacrocuorista delle versioni precedenti. In tale linguaggio non c nessun dogma conclamato, senzaltro, ma perch, se ce labbiamo teologicamente con i sacri cuori, dobbiamo meschinizzarci linguisticamente a parlare da sacrocuoristi? Forse che i modi con i quali ci esprimiamo non hanno alcun nesso con il modo di vivere la nostra fede? Non riesco a spiegarmi perch gli ortodossi di oggi, talvolta attenti in modo maniacale a cogliere i pensieri dellOccidente latino (radici di eresie vere o presunte) devono poi bersi supinamente le espressioni linguistiche che vengono dalla stessa fonte, invece di usare i termini altrettanto accettabili dellantico Occidente ortodosso. Queste piccole ma importanti considerazioni sono il sine qua non di una sensibilit linguistica alle cose sacre. Se una retta dottrina porta a una retta pratica, una buona semantica non pu che aiutare una buona intelligenza della fede. Vogliamo poi vedere che razza di caos viene a crearsi nelle nostre traduzioni con linclusione di questa piccolezza, la piet di Dio, di questo iota, di questa innocua espressione che tanto ormai entrata nellitaliano corrente? 1 Quei punti che meriterebbero davvero la traduzione letterale di piet per esempio la petizione per quelli che entrano in chiesa con fede, piet e timor di Dio diventano oscuri. Di solito si mantiene in questi punti il termine piet, e non si riesce pi a capire in cosa questa piet dovrebbe distinguersi da quella riferita a Dio negli altri punti in cui si tradotto eleos in questo modo. 2 Quando si traduce eleos con piet non si riesce mai ad andare a fondo nella coerenza. Perch Abbi piet di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia e non: Abbi piet di me, o Dio, secondo la tua grande piet? Si tratta dello stesso termine. 3 A misericordioso cede il passo pietoso, oggi piuttosto sinonimo di oggetto di compassione (come in: avere un aspetto pietoso), e chi non si sente di parlare di un Dio pietoso se non in apnea, ritorna spesso e volentieri a usare il termine misericordioso, usando deliri di confusione del genere abbi piet perch sei un Dio misericordioso.
La Bibbia dei Settanta
Confronto con il Masoretico
Come noto storicamente, circa 200 anni prima di Cristo, gli ebrei avevano tradotto le loro Scritture in lingua greca. Questa traduzione stata chiamata Bibbia dei Settanta (LXX). Questa traduzione dei Settanta era molto rispettata in tutto il mondo antico anche tra gli stessi ebrei, soprattutto tra coloro che comunemente utilizzavano il greco come lingua di comunicazione. Infatti le Scritture sono state tradotte in greco per renderle pi accessibili al resto del mondo che utilizzava il greco come lingua universale delle persone istruite. Molti studiosi ebrei hanno basato sulla Bibbia dei Settanta i loro lavori. Circa 100 anni dopo Cristo, i rabbini ebrei cominciarono a riconsiderare l'accettabilit della Bibbia dei Settanta da parte degli ebrei. Ci si verificato in parte a causa del legame dei cristiani con la Settanta e in parte perch dichiaravano che Ges il Messia ed in lui si sono compiute le profezie dell'Antico Testamento. Dopo la Riforma protestante, gli studiosi protestanti nel tentativo di screditare la Chiesa cattolica romana abbandonano la Bibbia dei Settanta e iniziano ad usare solo le versioni ebraiche per le loro traduzioni della Scrittura nelle lingue moderne. Il testo masoretico che divenne la versione ufficiale delle Scritture ebraiche si definito tra il settimo e il decimo secolo d.C., e quindi non un testo pi antico della Bibbia dei Settanta, ma un testo pi recente. Il testo masoretico corrisponde allebraico / aramaico del II secolo d.C., ma si differenzia in diversi punti dalla Bibbia dei Settanta, a volte in modo molto significativo. I moderni studiosi biblici continuano a consultare il testo dei Settanta, anche quando si basano sul testo masoretico perch la Settanta un testo pi antico del masoretico ma anche perch il testo dei Settanta stato tradotto da un testo ebraico/aramaico molto antico e permette quindi di conoscere come gli studiosi ebrei 200 anni prima di Cristo interpretavano e comprendevano le loro Scritture. La versione dei Settanta, non stata tradotta dai cristiani perch il cristianesimo non esisteva a quel tempo, per cui i cristiani non hanno avuto nessuna influenza sulla traduzione in greco delle Scritture ebraiche. E 'accaduto per che i cristiani trovarono nella Bibbia dei Settanta una solida base per il pensiero cristiano e era piuttosto utile nella polemica contro gli ebrei nei secoli successivi. Dai tempi della Riforma protestante alcuni studiosi biblici hanno diffidato del testo dei Settanta e non lo accettano come una Bibbia per i cristiani. Alcuni ritengono che sia troppo "cattolica romana". Altri pensano che sia una traduzione inaffidabile o l'interpretazione delle Scritture ebraiche, anche se stata fatta dagli ebrei stessi e onorata dagli ebrei al tempo di Cristo. Inoltre, molti studiosi ritengono che gli autori del Nuovo Testamento, gli evangelisti, usavano il testo dei Settanta, come dimostrato dal loro frequente utilizzo quando citano l'Antico Testamento. Mentre leggevo la traduzione inglese di Robert Charles Hill del commento di s. Giovanni Crisostomo sui Salmi vol. 2 (pp 343-344), mi sono imbattuto in due sue note che di fatto fanno avvalorare l'importanza dei Settanta (LXX) per la nostra conoscenza del Vecchio Testamento. Entrambe queste note erano in relazione al Salmo 145. "... nel nostro (masoretico) testo ebraico manca un versetto (il 13), che c lo fornisce la LXX, come confermato dai manoscritti ebraici scoperti presso il Mar Morto." "Questo un versetto che si trova nella LXX ed un manoscritto ebraico trovato a Qumran. Questo versetto non esiste nel testo masoretico ebraico di questo salmo alfabetico e nel punto in cui ci si aspetterebbe un inizio del versetto ma comincia con la lettera nun...."
Ho letto vari argomenti circa la maggiore attendibilit delle Scritture ebraiche della versione dei Settanta e il motivo per cui gli studiosi protestanti preferiscono il testo masoretico per le loro traduzioni del Vecchio Testamento. Ma il testo dei Settanta che viene utilizzato ufficialmente da cattolici e ortodossi orientali ha dimostrato di essere una finestra buona sulle antiche Scritture ebraiche (Pre-masoretiche). Alcuni hanno sostenuto che i traduttori nel mondo antico erano pi propensi a eliminare parti di testi (accidentalmente o di proposito). Ma almeno nei due casi che Hill cita riguardo i Salmi, alla Settanta si pu fare affidamento su un testo pi antico del testo masoretico delle Scritture ebraiche e ci fornisce quindi una visione migliore negli scritti sacri dell'antico Israele. La versione dei Settanta ha conservato qualcosa che il testo masoretico ha perso.
La stessa Orthodox Study Bible basa la traduzione delle Scritture dell'Antico Testamento sul testo dei Settanta a differenza delle versioni protestanti della Bibbia. L'O.S.B. segue cos la versione cristiana antica e tradizionalmente storica delle Scritture, che stata addottata dai primi cristiani. Questo non vuol dire che le comuni versioni in lingua inglese della Bibbia sono completamente sbagliate, semplicemente seguono i principi protestanti nelle loro traduzioni del Vecchio Testamento e quindi hanno una versione meno completa delle scritture dell'Antico Testamento.
Il nostro Signore tramite il suo sacrificio ha liberato luomo dalla tirannia del diavolo rendendolo libero. Luomo prima dellincarnazione e del sacrificio del Verbo era sotto la tirannia del demonio, come uomo caduto, avendo il demonio dentro di s che lo tentava violando la sua libert. Con il battesimo luomo scaccia il demonio e si veste di Cristo. Cristo con il battesimo prende il posto del demonio dentro di noi e ci libera dalla sua tirannia, ridando all'uomo la libert. Cos luomo pu usare il libero arbitrio, libero e pu scegliere se seguire la via del Signore o la via del peccato. Il demonio continua a tentarlo attaccandolo e tentandolo, cercando di indurlo a cadere preda della passione ma non pu violare il libero arbitrio delluomo. L'esito finale della battaglia dipende dall'uomo stesso. luomo che decide quale via intraprendere: pu scegliere la via della morte o la via della Vita, la via che conduce ad essere servo delle passioni o la Vita che conduce alla libert in Cristo. Possiamo scegliere se essere figli del demonio o figli di Dio. Il demonio cerca in tutti i modi di buttare luomo nel peccato e nella sofferenza. Con i pensieri cattivi attacca la mente delluomo cercando di entrare nella sua anima, al fine di farlo inghiottire dal mare delle passioni.
Se il demonio dunque il tentatore, il menzognero, perch alcuni nella loro preghiera chiamano Dio tentatore dicendo non ci indurre in tentazione?
possibile che il Signore che, per amore delluomo, desiderando la sua salvezza, sceso in terra incarnandosi, prendendo forma di servo, e versando, di suo volere, il suo sangue sulla croce possa indurre luomo alla tentazione e al peccato? Dio il nostro liberatore e salvatore.
Preghiamo dunque il Signore di non esporci in una tentazione che non siamo in grado di superare e che ci liberi anche dalla tentazione del demonio di pregare chiamando Dio tentatore. Amin
LA DIVINA EUCARESTIA
Quando Cristo ha parlato per la prima volta agli uomini del mistero della Divina Eucaristia, ha chiamato se stesso pane della vita, pane disceso dal cielo per offrirsi per la vita del mondo: Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo il pane che discende dal cielo, affinch uno ne mangi e non muoia. Io sono il pane vivente che disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivr in eterno; or il pane che dar la mia carne, che dar per la vita del mondo. Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro, dicendo: Come pu costui darci da mangiare la sua carne?. Perci Ges disse loro: In verit, in verit vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha vita eterna, e io lo risusciter nell'ultimo giorno. Poich la mia carne veramente cibo e il mio sangue veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato ed io vivo a motivo del Padre, cos chi si ciba di me vivr anch'egli a motivo di me. Questo il pane che disceso dal cielo; non come la manna che mangiarono i vostri padri e morirono; chi si ciba di questo pane vivr in eterno (Gv 6,48- 51).
Cristo il nostro amore e la nostra gioia
Cristo la gioia, la vera luce, la felicit. Cristo la nostra speranza. Il rapporto con Cristo un rapporto damore, eros, emozione, desiderio del divino. Cristo tutto. Cristo il nostro amore, Egli ci ama. Lamore di Cristo non ci pu essere tolto. Da l nasce la gioia. La gioia Cristo. E una gioia che ti trasforma in altra persona. Si tratta di una follia spirituale, ma in Cristo. Ti inebria come il vino non adulterato questo vino spirituale. Come disse David: Hai unto d'olio il mio capo e il tuo calice inebriante quanto impareggiabile. (Sal 22, 5). Il vino spirituale puro ed molto forte e quando lo bevi ti inebria. Questa ebbrezza Divina un dono di Dio, donata a coloro che sono puri di cuore (cfr. Mt. 5, 8). Per quando vi possibile digiunate, prostratevi di fronte a Cristo, vegliate in preghiera, ma cercate di essere sempre gioiosi. Cercate di avere dentro di voi la gioia di Cristo. E una gioia che dura per sempre, la gioia eterna. la gioia del nostro Signore, che ci dona serenit, calma, piacevolezza e beatitudine. La gioia che contiene ogni gioia, al di l di ogni gioia. Cristo vuole ed lieto di donare a piene mani la gioia, desidera arricchire i fedeli con la gioia. Prego "affinch la vostra gioia sia completa." I Giovanni 1,4). Questa la nostra Fede. l che bisogna andare. Cristo il Paradiso, figli miei. Che cosa il Paradiso? Cristo. Da Cristo si apre il Paradiso. E proprio la stessa cosa, chi qui sulla terra vive in Cristo si trova in Paradiso. Le cose stano come le dico. E cosa giusta e vera credetemi! Il nostro compito cercare di trovare un modo per entrare nella luce di Cristo. Non fare solo le cose essenziali. Lessenza di essere con Cristo. Fate risvegliare a vostra anima da amare Cristo, per diventare santa. Darsi allamore divino. Cos ci amer anche Lui. Allora la gioia non ci potr mai essere tolta. questo che vuole di pi Cristo di riempirci di gioia, perch la fonte della gioia. Questa gioia un dono di Cristo. Allinterno di questa gioia conosceremo Cristo. Non possiamo conoscerlo se Lui non conosce noi. Come dice Davide? Se il Signore non costruisce la casa, invano hanno faticato i costruttori. Se il Signore non custodisce la citt, invano ha vigilato il custode (Sal 126, 1). Queste sono le cose che la nostra anima vuole acquisire. Se ci prepariamo di conseguenza la grazia ci doner ogni cosa. Non difficile. Se avremo la grazia, tutto sar facile, felice e benedetto da Dio. La grazia divina bussa continuamente alla porta della nostra anima e aspetta che noi apriamo, per entrare nel nostro assetato cuore e riempirlo: da Cristo, dalla Vergine Maria, dalla nostra Santissima Trinit. Che cose stupende! Se ami vivi in concordia senza renderti conto di questo. Non sei interessato ne ai automobili, n al mondo ne da altre cose. Sei in te con la persona che ami. una situazione che vivi, ti rende felice, ti ispira. Pensate che non sia vero? Cercate di pensate che la persona che amate Cristo. Cristo nella tua mente, Cristo nel tuo cuore, Cristo in tutto il tuo essere, Cristo ovunque. Cristo la vita, la fonte della vita, la fonte della gioia, la fonte della vera luce, Cristo tutto. Chi ama Cristo e gli altri, lui vive la vita. La vita senza Cristo la morte linferno, non vita. Questo linferno, non amore. La vita Cristo. Lamore la vita di Cristo. O nella vita o nella morte. Dipende da voi la scelta. Uno il nostro obiettivo, amare Cristo, la Chiesa e il nostro fratello. Lamore, ladorazione a Dio, il desiderio, lunione con Cristo e con la Chiesa il Paradiso in terra. Lamore in Cristo amore anche verso il confratello, verso tutti, verso i nostri nemici. Il cristiano sente dolore per tutti, vuole la salvezza di tutti, desidera che tutti assaporano il regno di Dio. Questo il cristianesimo. Attraverso lamore per il fratello riusciremo ad amare Dio. Finch noi lo desideriamo, finch noi lo vogliamo, finch siamo degni, la grazia arriva per mezzo del nostro fratello. Quando amiamo il nostro fratello amiamo la Chiesa e di conseguenza Cristo. Anche noi stiamo nella Chiesa. Cos, quando amiamo la Chiesa, amiamo noi stessi. Gheron Porfirios Kapsocalivitis.
Luomo di oggi si sente un piccolo dio, un super uomo, tutte le sue energie sono spese alla ricerca frenetica di colmare il vuoto che sente. e questo vuoto lo colma con il successo, con il denaro e con tanti beni materiali. Il possesso di queste cose e il dominio sugli altri uomini la fa sentire un dio, pensa di essere al sicuro e dice a se stesso che Dio non esiste. Questo finche per un scherzo del destino perde il suo potere, il suo denaro, oppure la sua salute e allora vede la sua vita vuota e la sua esistenza senza significato arrivando anche ad estremi decisioni. Si accorge di non aver vissuto ma di avere creato linferno sulla terra. Questa la vita delluomo senza Cristo, senza la gioia, senza lamore di vivere una vita in Cristo.
LA SECONDA VENUTA DI CRISTO
CANTI E PREGHIERE
Quando sulla terra verrai, o Dio, con gloria, e tremer luniverso, e un fiume di fuoco scorrer davanti al tuo tribunale, e saranno aperti i libri e rese pubbliche le cose segrete: liberami allora dal fuoco inestinguibile, e fammi degno di stare alla tua destra, o Giudice giustissimo. Pensando al tuo tremendo tribunale, o glorioso Signore, e al giorno del giudizio, fremo e sono preso da paura, perch la coscienza mi accusa; quando ti sederai in trono e inizierai lesame, allora nessuno potr negare i peccati, perch la verit lo accuser e lo dominer la paura: alto strider il fuoco della geenna e i peccatori digrigneranno i denti. Abbi dunque piet di me, prima della fine, usami indulgenza, Giudice giustissimo. Quando avrai chiamato per il giudizio ogni essere vivente, o Cristo, allora vi sar l grande timore, grande angustia, e soltanto le azioni potranno per leternit aiutare. O Salvatore, giusto Giudice, abbi misericordia di me e liberami dal fuoco e dalla minaccia alla quale giustamente dovr nel giudizio sottostare: prima della fine perdonami, grazie a virt e pentimento. Quando ti siederai come Giudice misericordioso, e mostrerai, o Cristo, la tua tremenda gloria, oh, quale timore allora, mentre arder la fornace, e tutti saranno nello spavento davanti al tuo tribunale, a cui nessuno pu resistere! Considerando il giorno tremendo del giudizio e della tua ineffabile gloria, tutto fremente e tremante per il timore, a te grido, Signore: Quando verrai sulla terra, o Cristo, a giudicare luniverso, o Dio, nella tua gloria, libera allora da ogni castigo questo misero che geme, facendomi degno, o Sovrano, di stare alla tua destra. Ecco, viene il giorno del Signore onnipotente: chi regger al timore della sua venuta? infatti giorno di furore, il giorno della fornace ardente, quando il Giudice si assider per rendere a ciascuno quanto avranno meritato le sue azioni. Considerando lora dellesame e della tremenda venuta del Sovrano Filantropo, io tremo tutto, e afflitto a te grido: O mio giustissimo Giudice e solo molto misericordioso, accoglimi penitente, per intercessione della genitrice di Dio. Penso a quel giorno e a quellora, quando tutti, nudi e come condannati, ci presenteremo al Giudice imparziale; allora risuoner alta la tromba, saranno scosse le fondamenta della terra, risorgeranno i morti dai sepolcri, e tutti diverranno contemporanei; di tutti saranno manifesti i segreti davanti a te; si batteranno il petto, piangeranno e se ne andranno al fuoco esteriore quanti non avranno mai fatto penitenza; e con gioia ed esultanza leredit dei giusti entrer nel talamo celeste. Oh, quale momento, e quale giorno tremendo, quando il Giudice sieder sul temibile trono! I libri verranno aperti, le azioni sottoposte a giudizio e i segreti della tenebra verranno resi pubblici. Gli angeli correranno intorno per radunare tutte le genti. Venite, ascoltate, re e capi, schiavi e liberi, peccatori e giusti, ricchi e poveri: viene il Signore per giudicare tutta la terra; chi resister davanti al suo volto, quando gli angeli staranno intorno per presentare al giudizio le azioni, le intenzioni, i pensieri fatti di giorno o di notte? Oh, quale timore allora! Prima dunque che giunga la fine, affrttati, anima, a gridare: O Dio, siimi propizio e salvami, tu che solo sei misericordioso e Filantropo. Purifichiamoci, o fratelli, col re delle virt: eccolo qui, infatti, per portarci abbondanza di beni; arresta il gonfiarsi delle passioni e riconcilia col Sovrano i caduti; accogliamolo dunque con letizia, gridando al Cristo Dio: O risorto dai morti, custodiscici liberi da condanna, per dare gloria a te, il solo senza peccato.
PICCOLA DOSSOLOGIA Dio mio, ti ringrazio perch per un giorno ancora mi hai permesso di chiamati Dio. Grazie perch per un giorno ancora ho visto il sole sorgere mentre lodavo te il grande sole delle cose visibili ed invisibili. Grazie perch per un giorno ancora mi hai portato nel tuo Tempio santo per chiamarti "Abb Padre". Grazie ancora perch con la tua ineffabile bont sei il fondamento della mia vita difficile e non hai mai smesso di tollerare la mia imperfezione e la mia debolezza. Grazie perch che pur essendo Onnipotente non mi disprezzi perch sono debole, non mi perseguiti per le mie mancanze, non mi condanni perch sono ingiusto. Ma cerchi ogni giorno per mezzo dello santo Spirito con miriadi di modi di farmi uomo giusto, onesto e retto; cittadino del tuo regno celeste e tuo figlio cercando di salvarmi dal maligno che arriva astuto portando la corruttibilit. Grazie che hai fato nascere dal profondo del mio cuore questa piccola dossologia.
PREGHIERA DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMOS
Ges Cristo, nome meraviglioso, la mia soavit, il mio desiderio, la mia speranza, Tu che ti sei fatto uomo per noi e hai disposto tutto con sapienza per la nostra salvezza! Io ti rendo lode, o Signore mio Dio, con tutto il mio cuore. Mi prostro di fronte a te con il corpo e lanima e confesso i miei peccati. Chinati e ascolta la mia supplica e perdona la mia irriverenza. Ho peccato, ho trasgredito, ho disubbidito, ti ho irritato e addolorato, te che sei il mio buon Signore, colui che mi nutre e mi protegge. Non esiste male che non ho fatto sia con azioni, sia con la parola, consapevolmente o inconsapevolmente. Con la memoria e con pensieri maligni ho molto peccato. E per quante volte ho promesso di pentirmi tante ho compiuto le stesse cose. E' pi facile contare le gocce della pioggia, che numerare i miei peccati. Sono arrivate oltre la mia testa! Perch fin dalla mia giovinezza e ancora oggi ho aperto le porte della mia anima a desideri inappropriati, ho coltivato impulsi disordinati e sfrenati, ho sporcato la veste bianca del battesimo, ho inquinato il tempio del mio corpo e ho sporcato la mia anima con le passioni del disonore che ho commesso. Tu conosci tutto - cosa sto a dirlo? Il mio cuore schiacciato e la mia anima affonda nella miseria, perch di fronte ai tanti peccati, non ho mai esibito alcun pentimento (...) per questo il mio animo turbato, pieno di dolore e di tristezza (...). Tuttavia non posso che sperare di salvarmi (...) sperando nel tuo amore. Abbi compassione di me, o mio Dio, per la tua grande misericordia, perch io credo in te (...). Perdonami il malvagio e povero. Ascolta la preghiera del tuo umile servo (...) essendo uomo ho peccato. Misericordia e amore per gli uomini, per mezzo anche delle preghiere della gloriosa e sempre lodata, beata e piena di grazia, Signora nostra Theotokos e sempre Vergine Maria ... Amin.
San Giovanni Crisostomos
RIFLESSIONE SULLA CRISI ECONOMICA E MORALE
Viviamo in un periodo molto difficile durante il quale si parla sempre di pi della crisi economica globale e le sue conseguenze. Questa crisi, anche se appare come una evoluzione casuale essenzialmente una evoluzione voluta e guidata e fa parte della strategia della globalizzazione. Si tratta di una leva di pressione, uno strumento della globalizzazione e del nuovo ordine mondiale che porta avanti un nuovo modello di vita dei popoli con il fine di far lavorare le persone sempre di pi per poter far fronte alle loro sempre maggiori responsabilit in condizione di intollerabile pressione ed ansia, con debiti insostenibili, non avendo il tempo necessario e la tranquillit debita per dedicarsi al loro progresso spirituale. In questo modo si cerca di tenere luomo attaccato unicamente al denaro e alle cose materiali. Si tenta di trasformare luomo in un schiavo depotenziato e insensibile senza anticorpi morali e attento non alle cose celesti e spirituali ma rivolto verso le cose carnali. Questo nuovo modello di vita tenta di trasformare luomo da un essere libero e indipendente a un membro, senza volont, di un gregge globale, in un essere senza volont che penser e agir come il resto del branco. Tutto indica che l'uomo moderno, intrappolato in uno stile di vita materialista, sembra essere privo di qualsiasi obiettivo spirituale significativo nella sua vita. Perch la vera crisi che l'umanit sta vivendo innanzitutto spirituale e secondariamente economica. Si tratta di una crisi di valori che porta al declino sociale. Il miracolo dellincarnazione e della Risurrezione di Ges Cristo nel corso dei secoli un messaggio senza tempo che si riferisce alla rinascita spirituale e alla resurrezione delluomo, alla vittoria sulla morte e sulla materia corruttibile. E' un miracolo al quale possono partecipare tutte le persone, perch con Cristo risuscita e si rigenera l'umanit intera. Questo il messaggio di Cristo: la rinascita spirituale e la risurrezione dell'uomo in questa vita, in modo che dopo la sua morte possa arrivare alla vera resurrezione in un mondo ultraterreno incorruttibile ed eterno, il Regno di Dio. Durante i secoli lanticristo, attraverso uomini che avevano rinnegato Dio, ha preparato la sua venuta e negli ultimi tempi prende corpo la profezia sul marchio del libro dellApocalisse: .. tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio.. Ma se Dio con noi chi sar contro di noi? Speriamo nel Signore perch i ricchi sono diventati poveri e hanno avuto fame ma a coloro che si sono affidati al Signore non mancato nessun bene. Possa lo Spirito Santo illuminare i nostri cuori per farci gustare la felicit della sua effusione, rallegrarci con l'abbondanza dei suoi doni, abbracciare la nostra piet sterile e glaciale, dissipare le tenebre dell'ateismo e dell'empiet che si vanno diffondendo sulla terra, condurre il mondo sulla via della retta via, istruirci sulla verit tutta intera. Santo Spirito consolatore vieni e dimora in noi.