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La bancarotta non troppo lontana.

. Ultimi dati sul nostro declino e sulla voglia (persa) di far le cose di cui un tempo eravamo maestri
U
na bella dama, potenzialmente seducen-
te ma terribilmente svogliata, incapace
di attrarre i pretendenti e troppo indulgen-
te nei confronti dei propri vizi capitali.
Giorgio Ferrari: la fotografia dellItalia
come risulta dallultima rilevazione Istat, la
quale assegna una sostanziale crescita zero
per lanno 2005 (nel 2004 era stata di un mi-
sero 1,1%) a fronte di un rapporto deficit-Pil
che ha raggiunto il 4,1%. Loccupazione (sce-
sa dello 0,4% con un vistoso calo del com-
parto agricolo) rimane stabile, mentre cre-
scono le esportazioni e diminuisce - se pure
di pochissimo - la pressione tributaria. In
altre parole quello 0,0 che funge da termo-
metro della nostra crescita non cambia
granch il quadro di unItalia galleggiante
sulle proprie rendite di posizione e poco
propensa a investire, a innovare, soprattut-
to a rischiare. [1]
Premesso che bisognerebbe cercare di mi-
surare lo sviluppo non pi solo col pil, ma
con un set di indicatori che ci dicano anche
se cresce il benessere sociale e se migliora
o peggiora la qualit della vita delle perso-
ne (Aldo Carra) [2], dai dati di contabilit
nazionale emerge purtroppo il ritratto di
uneconomia in coma, non solo ferma nelle
quantit, ma anche in probabile peggiora-
mento nella qualit (Mario Deaglio). [3]
Luciano Gallino, autore de LItalia in frantu-
mi (Laterza): Il nostro apparato industriale
messo male e quindi non cera da aspet-
tarsi altro. Lindustria continua ad essere
lasse portante della nostra economia. Molti
parlano di servizi ma dimenticano che nel
nostro paese i servizi sono prevalentemen-
te servizi alle imprese. inutile vendere il-
lusioni, noi non siamo la Gran Bretagna, gi-
gante dei servizi finanziari. Da noi anche
linformatica, la logistica e i trasporti sono
legati allandamento dellindustria. [4]
Torri gemelle, scoppio della bolla aziona-
ria, guerra in Iraq, euro troppo forte, concor-
renza cinese: di chi la colpa della nostra
crisi? Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi:
La performance molto migliore di altri
Paesi europei alle prese con gli stessi in-
ciampi non concede facili alibi. Il severo
giudizio confermato dallunica consola-
zione di questi tempi: la ripresa che ha pre-
so corpo nei mesi recenti soprattutto trai-
nata dallestero, tanto che tutte le previsio-
ni danno una crescita dellEurozo-na (e an-
cor pi del resto del mondo) pi vivace che
in Italia. [5] Deaglio: In molti altri Paesi
europei, a cominciare dalla Francia, si os-
servauncertorisvegliodellaproduzionein-
dustriale mentre in Germania avvertibile
un miglioramento del clima economico; il
contrasto particolarmente stridente con i
cugini spagnoli, il cui ritmo di crescita si
mantiene vivacissimo. [3]
Siamo nel pieno di un declino strutturale.
Enrico Cisnetto: Se vero che questa legi-
slatura ci ha consegnato una crescita di me-
no della met della media europea, e lonta-
na astralmente dallandamento dellecono-
mia americana e di quella cinese (che, non
a caso, ci ha superato nella classifica mon-
diale), non era andata molto meglio nei cin-
que anni precedenti, che pur avendo con-
suntivato un +1,9% medio, ci hanno visto
ugualmente distanti dai vecchi e dai nuovi
competitor dellera della globalizzazione.
[6] Tito Boeri: La Cina cresce, giusto?
Dunque il made in Italy potrebbe esporta-
re di pi verso questo paese. Invece subia-
mo larrivo delle merci cinesi e basta. Altri
ex malati dEuropa come Francia e
Germania no. I problemi della mancata
crescita italiana sono di tipo strutturale e
nessuno li ha rimossi. Tantomeno questo
governo. I servizi costano moltissimo alle
imprese e non sono neppure di qualit. Poi
non facciamo ricerca e dunque non creia-
moprodotti competitivi. Risultachedei mi-
gliori prodotti in diverse discipline segna-
lati dalle universit italiane ad un panel di
esperti stranieri, solo il 20-30% raggiunge
leccellenzadei parametri internazionali.
una desolazione. [7]
Nel decennio della Seconda Repubblica,
lItalia non stata caratterizzata solo da una
crescita mai cos bassa dal dopoguerra in
poi (la media dal 1996 al 2005 dell1,27%),
ma anche da un ridotto incremento della
produttivit del lavoro, dalla perdita di
quote rilevanti di commercio internaziona-
le e da una sostanziale stabilit, con ten-
denza al reincremento, dello stock del de-
bito pubblico, una volta venuto meno lef-
fetto benefico della riduzione internazio-
naledei tassi dinteresse. Cisnetto: Nel pe-
riodo 1996-2000 lattivit produttiva cre-
sciuta di 0,7 punti percentuali in meno ri-
spetto alla media di Eurolandia, mentre in
quello 2001-2005 cresciuta di mezzo pun-
to in meno. Cos come lincremento della
produttivit del lavoro nei settori indu-
striali soggetti alla concorrenza stato
dell1%nel primoquinquennioepressoch
nullo nel secondo (a fronte del +4,3% e 1,9%
francese, e del +3,2 e +2,6 tedesco). [6]
La quota italiana del commercio interna-
zionale scesa dal 4,6% al 3,5 e poi al 2,7.
Cisnetto: Infine, i conti pubblici: senza i
cinque punti di pil di spesa per interessi in
meno - per i quali i nostri governi non pos-
sono vantare alcun merito - non solo non
saremmo entrati nelleuro, ma avremmo
gi fatto bancarotta, visto che dalla met
del 99 in poi il rapporto deficit-pil ha ri-
preso a crescere, come pure il il debito ri-
spetto al pil negli ultimi due anni. E ora
che i tassi hanno ripreso a salire, ecco arri-
vare il dato sul fabbisogno del primo bime-
stredi questanno- 10 miliardi, picherad-
doppiato rispetto allo stesso periodo del
2005 - a dirci che la finanza pubblica andr
ancora peggio. [6]
Ristagno? Declino? Trasformazione? E
quali sono state le implicazioni dellunione
economica e monetaria europea? Da anni
queste sono le domande che vengono poste
quando si analizzano i temi e i problemi
dellindustria manifatturiera italiana. Un
lavoro dellIstituto di studi e analisi econo-
mica (Isae, centro di ricerca autonomo an-
che se vigilato dal ministero delleconomia
e delle finanze) mostra che dal 2000 al 2005
lItalia , con la Gran Bretagna, il paese la
cui industria manifatturiera stata inte-
ressata dal cambiamento pi intenso.
Contrarian (rubrica del quotidiano finan-
ziario MF): Dunque, sotto il ristagno c
la trasformazione strutturale. Non , per,
un cambiamento che fa convergere la no-
stra struttura industriale con quella del re-
sto dEuropa. Altri dati Isae evidenziano
che dal 1995 (quando leuro stava per esse-
re varato) le strutture industriali europee
hanno mostrato un processo di graduale di-
vergenza reciproca. [8]
Dal 2000 la divergenza aumentata.
Contrarian: Per lItalia, inparticolare, ladif-
ferenza del nostro apparato manifatturiero
da quello dei partner si accentuata, con il
risultatochenel 2005 lanostraindustriaap-
pare la pi diversa, in termini di mix setto-
riale, rispetto a quanto si verifica nel resto
dEuropa. Abbiamo perso punti special-
mente nei rami ad alto contenuto tecnolo-
gico, proprio quelli in cui il resto dEuropa
andato relativamente bene. Siamo andati
particolarmente male nel made in Italy co-
me il tessile, labbigliamento, il mobile.
Spiegazioni? Unanalisi dellaBancadItalia
si sofferma proprio sul made in Italy e pun-
ta il dito sulle politiche di prezzo: con lo-
biettivo di non ridurre i margini unitari di
profitto, le imprese italiane non hanno di-
feso le proprie quote di mercato. [8]
Le opportunit delleuro sono state spreca-
te. Galimberti e Paolazzi: Uno spreco con
due volti. Per leconomia reale, le grucce
dei rimedi impropri che lingresso nelleu-
ro aveva tolto per sempre (svalutazione, in-
flazione, spesa pubblica) non sono state so-
stituite dalle cure appropriate: liberalizza-
zioni vere, privatizzazioni vere, semplifica-
zioni amministrative, difesa della concor-
renza in tutti i cantucci pi nascosti, taglio
dei nodi gordiani che impediscono, con un
groviglio di competenze (dunque di irre-
sponsabilit) di attaccare il deficit infra-
strutturale del Paese. Gli interventi hanno
agito invece sui sintomi, con il sostegno dei
redditi (riduzioni fiscali, aumenti di pen-
sioni, stipendi pubblici). Si commessoler-
rore fondamentale di credere che i proble-
mi fossero di carenza di domanda e non di
mancanza dellofferta. Le poche risorse di-
sponibili dovevanoessererivolteaoliarela
ristrutturazione di un apparato produttivo
la cui specializzazione era inadeguata alle
sfide di una concorrenza globalizzata. [5]
La dimensione si sta rivelando un vincolo
serio. Contrarian: Specialmente in un con-
testo in cui il marketing e la distribuzione
commerciale diventano elemento cruciale
(a volte anche pi importante delle econo-
mie di scala nel processo produttivo) nella
competizione internazionale. [8] Pasquale
Pistorio, vicepresidente di Confindustria:
Il 97,7% delle imprese ha meno di 50 di-
pendenti, quasi il 90% meno di dieci. Per
queste imprese difficile andare allestero.
Bisogna mantenere lagilit dei piccoli con
la forza della dimensione di scala. [9]
Ela grande industria? Contrarian: Invece
di cogliere loccasione delle privatizzazioni
per ristrutturarsi (come avvenuto in
Francia e Germania), la grande industria
corsa alla ricerca della rendita negli ex mo-
nopoli pubblici. Ponendosi, con poche ec-
cezioni, ai margini del vero cambiamento.
[8] Linnovazione ha due facce. Pistorio:
Una riguarda il prodotto e il processo pro-
duttivo, laltra i processi operativi delle im-
prese. I punti principali si possono sintetiz-
zare in quattro pilastri: primo, linformatiz-
zazione, che deve essere diffusa in tutti i
settori dellimpresa; secondo, la filosofia
IL FOGLIO
quotidiano
Ehi, italiano, ma cos finisci male...
del quality management: occorre il coinvol-
gimento di tutto il management per la lotta
agli sprechi, il miglioramento continuo, il
focus sul cliente. Terzo, lambiente: se si ot-
timizza un processo sostenibile si riduce
limpiegodi energiaematerieprime, conri-
sparmio di costi. [9]
pi facile spiegare perch le cose sono
andate male che indicare una ricetta per
uscire dalla doppia crisi di crescita e di fi-
nanza pubblica. Stefano Micossi: La di-
scussione sulla politica economica nella
campagna elettorale piuttosto scoraggian-
te. I contendenti si inseguono nel promette-
re agli elettori denaro che non hanno, evi-
tando accuratamente di parlare dei proble-
mi difficili: gli squilibri della finanza pub-
blica, dove la spesa corrente fuori con-
trollo e il debito ha ripreso ad aumentare;
la rigidit del mercato del lavoro, soprat-
tutto nel settore pubblico; linefficienza dei
grandi sistemi di pubblico servizio, giusti-
zia, sanit, scuola e universit; la mancanza
di concorrenza. [10] Dice Confindustria: le
imprese hanno capito e stanno reagendo.
Pistorio: Corrono. Purtroppo il Paese a
essere lento. Micossi: Entrambi i poli ri-
fiutano di riconoscere quello che invece
di macroscopica evidenza: che lincapacit
di crescere delleconomia italiana ha origi-
ne nel miserevole stato delle istituzioni
pubbliche, nelle colossali distorsioni deter-
minate dal dilagare del settore pubblico
nelleconomia, nelle protezioni accordate a
piene mani a una miriade di piccoli inte-
ressi organizzati, senza curarsi degli effetti
sulla crescita e loccupazione. Insomma, la
causa della stagnazione nel settore pub-
blico, nella presenza abnorme della politi-
ca nelleconomia; la debolezza del settore
privato ne solo lo specchio, la manifesta-
zione degli effetti. [10] Lultimo report di
Global Insight prevede che questanno la
crescita italiana non superer l1%.
Giuseppe Turani: E dall1%, purtroppo, si
fa presto a finire a zero (basta uno sciopero
un po robusto o un qualunque altro acci-
dente). Per il 2007 si annuncia una crescita
italiana pari a appena l1,2%. E nel 2008 si
andr pi su di un soffio: 1,3%. Urge una
svolta decisa. [11]
La prospettiva migliore sarebbe che gli ita-
liani (e le forze politiche che li rappresen-
tano e competono per il loro voto) si spa-
ventassero davvero. Deaglio: E dessero al-
leconomia un ordine di priorit rispetto a
quello finora riservato nelle politiche e nei
programmi. Nella rimeditazione dei pro-
grammi economici occorrerebbe tener con-
to di tre principi guida. Il primo che
l'Italia non uscir dallimbuto in cui si
cacciata con una politica delle piccole co-
se edevedirebastaai provvedimenti-aspi-
rina; non bastano ritocchi fiscali e piccoli
bonus, occorre pensare in grande. Il secon-
do che va ampliato lorizzonte temporale
dei programmi economici: non si pu vive-
re alla giornata, occorre immaginare come
potrebbe essere questo Paese di qui a dieci
o ventanni e ragionare in questottica tem-
porale pi lunga. Il terzo che non si pu
fareunafrittata, comediceunproverbioin-
glese, senza rompere le uova mentre le for-
ze politiche hanno la tentazione di presen-
tare programmi che, forse in virt di una
bacchetta magica, accontentano tutti. [3]
Alma Praser, di anni 64, pensionata, cie-
ca, sola. Una vicina la aiuta nelle faccende
e una domenica mattina, non sentendola
da qualche giorno, va a vedere come sta. La
trova morta in tinello, sdraiata per terra, la
gola tagliata, una larga chiazza di sangue
sul pavimento. Si accert poi che le coltel-
late erano state decine e decine. In casa
non mancava niente, nessuno aveva forza-
to la porta. Trieste, al numero 4 di via
Pacenco, non lontano dallUniversit.
Domenica 29 gennaio.
Luis Alberto Muniz Tomala, 44 anni, ecua-
doriano, clandestino, barbone famoso col
soprannome di el gato, per via degli oc-
chi chiari e allungati, trovato stecchito in
mezzo alla strada con una coltellata in mez-
zo al cuore. Dopo qualche ora gli investiga-
tori fermavano un Epifanio Lopez, 45 anni,
spagnolo, barbone pure lui, che saggirava
in zona Brignole con un coltello a serrama-
nico in tasca. Esclusa la rapina, Muniz
Tomala aveva ancora 15 euro nel portafo-
glio e lorologio al polso. Genova, presso le-
dicola di corso Buenos Aires. Gioved 16
febbraio. Alba.
Severino Pont, 60 anni, ex operaio, ex
guardia nel Parco del Gran Paradiso, rotto il
vetro del magazzino, mise dentro il braccio
e spar al nipote Felice Cachoz, di 32 anni,
che stava rigovernando. Cera una donna
nel locale, ed era zia Anita. Severino spar
pure a lei. Torn quindi allagriturismo
Edelweis, che era suo, e si spar in fronte.
Il nipote Felice morto sul colpo, la zia
Anita rester viva. Franca Cachoz, sorella
di Anita e moglie sua, se nera andata da
poco di casa con le due figlie. A Rhmes-
Saint-Georges (Aosta) non lontano dai sen-
tieri percorsi da Benedetto XVI durante le
vacanze estive. Gioved 24 febbraio. Due
del pomeriggio
Domenico Minutiello, 32 anni, disoccupa-
to, ha comprato da tre una giorni una Smith
& Wesson, la tiene in mano e a un certo
punto la pistola spara e due proiettili si in-
filano nella fronte e nel petto di
Massimiliano Sabatini, che gli stava di
fronte. Vedendolo morto, Minutiello si pun-
ta la canna alla tempia e fa fuoco, soppri-
mendosi. I due proiettili che hanno ucciso
Sabatini potrebbero essere stati esplosi
per sbaglio. Chieti Scalo, sotto il porticato
di via Ricciardi, altezza del civico 40.
Luned 27 febbraio, poco prima delle 14.
Suicidi
Elena Maniero, di anni 29, figlia del boss
del Brenta, Felice Faccia dangelo, nella
notte tra mercoled 22 e gioved 23
febbraio si fer i polsi con un paio di
forbicine, prese dei tranquillanti, si tagli
qualche ciocca di capelli, scrisse un
biglietto al fidanzato (Quello che cercavi
da me evidentemente lo hai trovato con
unaltra). Alla fine saffacci sul
terrazzino della mansarda dove viveva e si
butt di sotto. Il padre sceso a Pescara
per riconoscerne il corpo ed stato due
ore a parlare col capo della Mobile, che fu
gi suo nemico. Piangeva. Gli
raccontarono che Elena aveva litigato col
suo ragazzo, ristoratore e figlio di un
medico, al punto che dopo cena ognuno
era andato a dormire a casa sua. Era gi
stata sposata con un campione di
pallanuoto. Il padre le aveva da poco
regalato una Porsche. Un paio di anni fa,
temendo che qualche nemico del padre
potesse farla fuori, aveva lasciato il
Veneto per trasferirsi a Pescara e,
cambiato il nome in Eva Marini, aveva
sposato il pallanuotista Enrico
Mammarella, ora nella formazione Artigli
Circolo Nautico Salerno, serie A1. Avendo
divorziato, frequentava un Lucio D.V., di
anni 27, ristoratore, con cui divideva una
mansarda in centro di Pescara. Gioved 23
febbraio, in Pescara. Notte
Mariam Tebrz Betaxio Mullunesh, suora
etiope di 39 anni, cos depressa da non
frequentare pi neppure il seminario per
il quale a ottobre si era trasferita in Italia.
Le sorelle del convento francescano,
oppresse dalla sua tristezza, non
cessavano di sorvegliarla. Maria, tuttavia,
mercoled trov il modo di restar sola in
cucina e di piantarsi in gola il coltello con
cui di solito si tagliava la carne. Giugulare
recisa, i soccorsi arrivarono che era gi
dissanguata. Roma, via Terni, quartiere
San Giovanni, convento delle suore
francescane Missionarie di Cristo.
Pomeriggio.
Didona Antonio, trentenne, militare
dellAeronautica a Vigodarzere, Padova.
Venerd era in servizio ma non rispondeva
alle telefonate della fidanzata, che
preoccupata chiese al ragazzo di guardia
dandarlo a cercare. Lo trovarono morto
nel suo alloggio, sulla porta il cartello
Non disturbare.
ANNO XI NUMERO 55 - LUNED 6 MARZO 2006 DIRETTORE GIULIANO FERRARA IL FOGLIO 1 - IL FOGLIO + DVD-ROM (abbinamento facoltativo) 10,90 (1+9,90)
Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO
Delitti
La figlia del boss Maniero si butta dalla
finestra. La suora che riesce a rimaner
sola e a tagliarsi la gola
Oggi, omaggio aMina, che lo scorso 10 gen-
naio hasposato aLugano il cardiologo Eugenio
Quaini, suo compagno da25 anni. Come minu-
scolo regalo di nozze, unascelte delle lettere che
MinacurasuVanity Fair.
Vanity Fair, datevarie
Ho 19 anni e vivo coni miei genitori. Ho sem-
pre condotto una vita tranquilla e felice. Fino a
pochi giorni fa. Lamiafamigliahaassuntounra-
gazzo polacco, poco pi grande di me, per occu-
parsi dellacasa. Untipo simpatico e onesto, o al-
meno questo credevo fino a quando nonl'ho sor-
presomentrebaciavamianiadre. accadutoper
caso: io tornavo a casa prima del solito e li ho vi-
sti da dietro la porta della cucina. Loro nonsan-
no che io so e io non voglio dirglielo. Ma non so
checosafare. Miamadreha42anni, unmaritoe
due figli: vuole davvero lasciare tutto per questo
ragazzino? Non si rende conto del torto che fa a
mio padre? Eio dovrei spifferare tutto?
Elisa
Probabilmente hai visto male. Eanche se
hai visto bene, hai visto male lo stesso. Cerca
di convincerti che non successo niente.
Quindi non c' niente da dire a nessuno.
Dimentica. Noncompitotuoquellodi inter-
pretareunacosache, magari, gistataclas-
sificata e cancellata. Ci sono troppe cose im-
portanti ingiocoequestotuamadrelosabe-
nissimo.
Ti sei giustamente offesaquandohoparlatodi
tuepresuntefotosadomasosuPlaymen(ricordi?
Hai risposto: Saranno di tua nonna). Chiedo
venia: avolte lamemoriainganna. Ineffetti non
si trattavadi Playmen, madel mensile Iodel feb-
braio 1971. E, rivedendole oggi, mi rendo conto
che le immagini non erano piccanti come le ri-
cordavo, masolo molto sexy (per lepoca).
Enrico 43, Milano
P.S. Se tu avessi let di mia nonna dovresti
avere113 anni. Enoni tuoi magnifici 65.
Maguardachenonmi sonooffesapernien-
te. Sai che nonriesco a ricordare? Ache foto
ti riferisci, datochenellamiavitaneavrfat-
te alcuni milioni? Aproposito di tua nonna.
Pensa, io ho proprio la sua stessa et: 113 an-
ni. Pernedimostrosolo sessantacinque.
Cara Mina,, mi permetto di chiederle un pia-
cerepersonale, sevorrconcedermelo. Confessodi
non conoscere la sua musica, ma vorrei tentare
di colmare questa mia lacuna. Mi citi tre dischi
suoi eioli comprereli ascolter. Cos il mio(mo-
destissimo) parere sullasuapersonasar, se pos-
sibile, ancoramigliore. Senellesuecanzoni can-
chesolounpo dellaMinacherispondesullarivi-
stasaranno sicuramente pezzi bellissimi.
Aldo Macciani
Sono veramente lusingata, caro Aldo, del
tuopareresullemiemodestissimerispostee
ti ringrazio. Eccoqui i titoli di tremiei album,
ocd, comesi diceadesso, chesonoandati ab-
bastanza bene: Abbey Road, The Dark Side of
the MooneMy Name Is Barbra.
Cara Mina, secondo te Celentano lento op-
pure rock?
Paola Nicoletti
CelentanoCelentano. Adrianononcom-
primibile inuna dicotomia unpo fredda, un
po strumentale, unpo imprecisa, troppoina-
dattaadefinirlo. Epoi unfratello; nonsi toc-
caebasta. Mi capita, per, di avereunrifiuto
convinto per slogan, tormentoni e luoghi co-
muni. Riconosco, come aggravante a mio fa-
stidio, il tentativo di trasformare un adagio o
unproverbio o unjingle inprincipio filosofi-
co. Odiolasemplificazionedei problemi com-
plessi. Odio i bigini della vita tanto quanto
amo la vita vera. Odio la compressione delle
categorie etiche ed estetiche in dualismi de-
pravati. Ricordo ancora il raccapriccio pro-
vato fin da piccola, a scuola, quando la divi-
sionenelleauleseparavamaschi efemmine,
buoni ecattivi, alti ebassi per lassegnazione
dei banchi in uno schierantismo ante litte-
ram. Mi toccavasempreil postopeggioreper-
ch femmina, alta e cattiva. Adesso che non
vadopiascuoladaalcuni secoli assistoalla
stessa identica banalizzazione spalmata sul
mondochesembranonpotereononvolereri-
conoscerechi nonappartengaalladestraoal-
la sinistra e neppure al Nordo al Sud. Etan-
tomenoallOvest oallEst.
Limone, fragoloni e uovamache bellaschifez-
za. Non so se ti ricordi, ma parecchi anni fa hai
dato in tv la ricetta di un dolce che ho provato a
fareunamareadi volte, machenonmi mai riu-
scita. Ti ricordo gli ingredienti: poco limone, un
chilo di fragole, anzi meglio fragoloni, 2 uova, fa-
rinae niente lievito perch se no viene tutto rot-
to. Pur avendo fatto la scuola alberghiera non
sono mai riuscito acapire il procedimento. Me lo
puoi ripetere? Cos se riesco a farla ti aspetto a
Veneziaper unt e unafettadi torta!
Fabio
Tantopercambiare, nonmi ricordoquesto
fatto, madagli ingredienti chemi descrivi de-
vevenirfuori unabellaschifezza. Quindi, per
il nostro appuntamento a Venezia, sar me-
gliochelatortalainventi tu.
MINA
Amori
Mina si sposata. Antologia delle
lettere con risposta che la nostra
collega cura su Vanity Fair
C
redo di sapere perch morto Nicola
Calipari, un anno fa. Credo lo sappiano
tutti, anche coloro che fanno finta di ignorar-
lo. Calipari stato ammazzato a un posto di
blocco, in zona di guerra. Sono cose che suc-
cedono anche in tempo di pace. Ma Calipari
non era un passante distratto, che non si fer-
ma allalt, non era un contrabbandiere che
fugge la perquisizione col bottino, nonera un
ragazzino imprudente che incappa inmotori-
no conuna pattuglia inesperta o nervosa, era
un servitore dello stato che riscattava, mo-
rendo, la vita di una cittadina italiana rapita
dagli aguzzini della resistenza irachena e
liberata mediante un riscatto.
Antonio Martino ha parlato di unaura di
tragedia che fa da sfondo a questa triste sto-
ria. Non ha torto. La tragedia non sta nella
casualit o fatalit degli eventi, ma nello
scambio di una morte in servizio con una vi-
ta salvata, nella profonda ingiustizia, e impe-
netrabile, di uno scrupoloso funzionario che
muore per mano amica, visto che Calipari
stato ammazzato ma nessuno voleva ammaz-
zare Nicola Calipari.
Gianni Letta non ha torto, nemmeno lui,
quandosi ribellaallideadel fatoechiedeche
siaaccertatalaverit, perchluomoliberoe
responsabile, le istituzioni devono essere con-
trollate e scrutinate severamente, la guerra
provoca lerrore umano, e lo moltiplica, ma
non lo autorizza. Per bisogna intendersi.
Esclusoil dolo, chesoltantoinundelirioideo-
logico pu essere evocato in questo caso, ed
stato sommariamente evocato, resta la colpa:
unacolpaounconcorsodi colpa. Questovaac-
certato, questo si cercato di accertare, e su
questo molto probabilmente non si arriver
mai aunaconclusioneunivoca. Per ragioni tra-
gicamente ovvie: perch in guerra ciascuno
tendeadifenderei suoi, noi Calipari egli ame-
ricani lapattugliadellaereoportodi Baghdad.
Anche inunbanale incidente stradale ciascu-
no tira lacqua al suo mulino, ma in guerra di
pi, e conconseguenze pidrammatiche.
C poi una questione ulteriore. Il processo
al potere uno sport praticato consuperficia-
lit e rozzezza inOccidente. La cosa pifacile
dire: vogliamo la verit, qualcuno nasconde
la verit. Aforza di denunciare il potere che
uccide, che nasconde la verit perch gravato
da interessi inconfessabili, abbiamo educato
generazioni di italiani, di europei e di occi-
dentali aunavisionedeformata, grottesca, del
potere. Il Pentagono ha scoperto e sanzionato
le torture di Abu Ghraib, ma tutti resteranno
per sempre convinti che vero il contrario,
che lesercito americano stato preso in trap-
poladallabuonacoscienzadei popoli echeha
una vocazione criminale. Il mito alimenta al-
tri miti: i miti della stampa, il mito dei ribelli,
la leggenda nera di una colpa radicale del-
loccidente per essere quel che .
Il potere mente come mentiamo tutti, spes-
so per ragioni pi onorevoli: di qua, nella so-
ciet, per interessi particolari, di l, nel po-
tere, per interessi generali. Nonsempre co-
s, ma prevalentemente cos. La finzione
che il potere sia un elemento non necessario
alla nostra vita non deve essere nutrita di
ipocrisie. Noi del potere abbiamo bisogno.
Noi siamo il potere, lo legittimiamo in ogni
momento della nostra vita sociale, quando
paghiamo le tasse, quando votiamo, quando
evitiamo di imboccare una direzione vietata,
quando chiediamo sicurezza.
Letta un uomo di potere come pochi, co-
nosce il segreto, lo gestisce ogni giorno. Deve
fare attenzione a noniscriversi anche lui nel-
la lista dei semplicisti, dei cercatori di verit
che fingono di ignorare la verit. Ela verit
che Calipari morto ammazzato da colpi che
non erano diretti a lui, che dipendevano da
un protocollo di guerra che qualcuno ha vio-
lato, forse i marines di guardia sulla strada,
forse i nostri. Ma non una vittima della fe-
rocia dellOccidente, della ferinit del pote-
re in divisa. Il suo eroismo non sta nellesse-
re stato ucciso per errore, ma nellaver resti-
tuito morendo la vita a una citta-
dina italiana, per semplice scru-
polo e dignit civile.
Credo di sapere perch un anno fa morto Nicola Calipari
[1] Giorgio Ferrari, Avvenire 2/3/2006; [2]
Aldo Carra, il manifesto 3/3/2006; [3] Mario
Deaglio, La Stampa 2/3; [4] Bruno Perini, il
manifesto 2/3; [5] Fabrizio Galimberti e Luca
Paolazzi, Il Sole-24Ore 2/3; [6] Enrico Cisnetto,
Il Messaggero 2/3; [7] Elena Polidori, la
Repubblica 3/3; [8] MF 2/3; [9] Nicoletta
Picchio, Il Sole-24 Ore 2/3; [10] Stefano
Micossi, La Stampa 4/3; [11] Giuseppe Turani,
la Repubblica 4/3.
NOTE
ANNO XI NUMERO 55 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO LUNED 6 MARZO 2006
La Stampa, venerd 3 marzo
A
forza di dire che leconomia lessenza stessa
dellunit europea, che la ragione per cui sei
paesi decisero nel 1951 di costruirla, e che ancor og-
gi la sua pivera se nonunica finalit, si finisce col
non capire del tutto quel che sta gravemente dan-
neggiando lo stare insieme degli stati europei. Il
danno particolarmente visibile in questi giorni, a
seguito del muro che il governo francese ha innalza-
to contro lintenzione dellEnel di prender possesso
della compagnia elettrica Suez, ma sono ormai anni
che lUnione minaccia di disfarsi. I suoi ultimi mo-
menti di eccellenza sono stati la creazione delleuro
nel 1999 e il progetto di costituzione approvato dai
governi il 29 ottobre 2004, su proposta di una Con-
venzione democraticamente rappresentativa. Ma la
costituzione in alto mare dopo il referendum che
lha bocciata in Francia e Olanda, e leuro la mo-
neta unica di unEuropa che si sta disunendo.
La vicenda Enel-Suez-Gaz de France una delle
moltegoccechedaanni scavanolarocciadi cui fat-
to ledificio europeo, e che hanno finito col renderla
friabile, pericolante. Sembra una vicenda tutta eco-
nomica (uno scontro fra spiriti animali capitalistici e
istinti nazionalisti, scrive John Plender sul Financial
Times) ma la sua natura piprofonda politica, e po-
litica la disputa che essa sta suscitando.
Ci si domanda se lEuropa sia ancora una priorit,
per i politici dellUnione e in particolare per i paesi
fondatori che ultimamente hanno fatto molto per
sciuparla. Ci si domanda se surrettiziamente nonstia
scatenandosi una specie di guerra nella casa euro-
pea, che vede oggi contrapporsi Italia e Francia ma
che pu divenire guerra generalizzata. Il linguaggio
militaresco diffusissimo, nei commenti di giornali
e politici. Proprio perch cos diffuso vale la pena
rimettere ordine nelle parole, e ricordare quel che
in origine convinse gli europei a unirsi e condivide-
re parte delle rispettive sovranit.
Come Heidegger dice che lessenza della tecnica
non qualcosa di tecnico, cos lessenza del Merca-
to Comune non era il mercato, nel dopoguerra. LU-
nione nacque non per creare un mercato, ma si pro-
pose di creare un mercato per metter fine a uno sta-
to di guerra che durava da secoli. Economia libera-
le e mercato integrato sono mezzi per un fine strate-
gico-politico, e non a caso la mossa iniziale fu quel-
la di mettere in comune carbone e acciaio: due set-
tori strategici, come strategici sono oggi elettricit e
gas. La finalit dellUnione la pace duratura tra eu-
ropei, superamento politico dei nazionalismi. Non
lo spirito animale del mercato.
Quando le cose vanno male in economia dalla
politica che conviene dunque ripartire, visto che
con la politica si cominci. Non stupisce che il pri-
mo decisivo progresso che gli europei volevano com-
piere negli anni Cinquanta, subito dopo la Comunit
del carbone e dellacciaio, fu unEuropa della difesa
(la Ced, Comunit europea di difesa). Quel che ven-
ne poi (trattati di Roma, Comunit economica,
Comunit dellenergia atomica) furono espe-
dienti per far fronte al fallimento - causato
ancora una volta da Parigi, nel 54 - della
Difesa comune. Gli espedienti furono
grandiosi, ma espedienti rimanevano.
il motivo per cui il ministro Tre-
monti ha un modo di vedere profe-
tico, quando descrive il comporta-
mento francese con parole non so-
lo dure ma volutamente politiche.
Quando dice che si rischia una de-
riva da agosto 1914: nessuno a quel
tempo voleva il conflitto ma poi alla
fine il conflitto ci fu, fa capire che gli stati europei
senza neppure accorgersene rischiano di fare mol-
to pi che un errore economico. Rischiano di risve-
gliare spettri che distruggono lUnione e la sua ori-
ginaria, pi autentica finalit.
La Francia ha avuto forse le sue ragioni, per di-
fendersi dalloffensiva italiana. Secondo molti
esperti ha profittato delloccasione per privatizza-
re di fatto Gaz de France, anche se per questa via
lo Stato accresce la propria presenza in Suez, ancor
ieri privata. La Francia un paese immobilizzato
dallo statalismo, da potenti forze corporative che ri-
tardano la liberalizzazione della sua economia, e
ha usato lItalia per aggirare ostacoli interni che
non osava aggirare in altro modo. Ma pur sempre
da Parigi che parte laggressione contro un merca-
to europeo dellenergia. pur sempre Parigi che
eleva muri che impediscono il farsi dellEuropa,
non da oggi ma da anni. Questinchiesta sullEuro-
pa comincia da qui, dal vero paese malato dellU-
nione. Perch non con lInghilterra che si trover
unuscita politica dalla crisi, per il semplice fatto
che i dirigenti britannici non la vogliono, n a de-
stra n a sinistra. Se rinascer, lEuropa sar rifat-
ta mantenendo viva la memoria storica e non di-
menticando quali sono i paesi che lunione lhanno
pensata, voluta, costruita in cinquantanni. Tra que-
sti paesi, la Francia resta cruciale.
Un misto di smemoratezza e non conoscenza spin-
ge parecchi commentatori, in questi giorni, a criti-
care leuropeismo di chi punta ancora su Parigi, e
non su Londra che dellEuropa avrebbe una visione
diversa, pi dinamica, fondata su un grande libero
mercato. Lidea che esista unEuropa alternativa a
quella attuale basata in realt su un equivoco: da
quando esiste lUnione, i responsabili inglesi non
hanno mancato di far capire che lEuropa politica
non la volevano e che avrebbero cercato di disfarla
semmai si fosse fatta. Blair ha dimostrato che il ri-
sveglio dellUnione era per lui completamente se-
condario, nei mesi della presidenza inglese. Ha par-
lato molto bene di un modello sociale europeo meno
compiaciuto dei propri insuccessi, ma parallela-
mente ha distrutto un po pi lUnione (trasforman-
do la pausa di meditazione concordata dopo i no
referendari in pausa abissalmente vuota; negozian-
do sul bilancio europeo alla stregua di un meschino
mercante egoista). Se ne sono accordi gli europei
orientali, delusi da quello che sembrava un alleato
intelligente, solidale. Se n accorta Angela Merkel,
che ha finito col prendere le cose in mano e risolve-
re un litigio divorato dai nazionalismi.
Tanto pi importante che le classi dirigenti fran-
cesi guariscano dei propri mali, e tornino a lavorare
per lEuropa: un lavoro tra laltro che ha dato a Pa-
rigi ben pi prestigio e grandezza, in passato, di
quando gliene dia oggi la chiusura nazionalista. I
mali sono vasti infatti, affliggono destra e sinistra,
hanno aspetti sia economici e interni sia europei: il
muro innalzato per fermare lEnel fatto di ingre-
dienti che contraddistinguono non solo le pratiche
francesi in economia, ma il suo modo di essere in
Europa e di minacciarla a intervalli regolari. Gli in-
gredienti sono la tendenza nazionalista, la tentazio-
ne del protezionismo, il ruolo preponderante dello
Stato nelleconomia e la retorica molto ampollosa,
piena di s, con cui tale ruolo sempre di nuovo sot-
tolineato e pubblicamente esibito.
A queste tentazioni la Francia cede con una spen-
sieratezza che non ha eguali in Europa: senza com-
plessi, senza senso del limite e del ridicolo, senza
memoria dei guai che nazionalismi e protezionismi
hanno causato nel continente. Lampollosit parte
di questa impressionante spensieratezza: Parigi si
permette quel che generalmente non fa parte del ga-
lateo dellUnione, e che lei stessa rifiuta quando so-
no gli altri a permetterselo. Che a questo comporta-
mento si reagisca con asprezza non male: la Fran-
cia deve sapere che non pu continuare a svolgere il
ruolo, in Europa, del paese che detta le regole a tut-
ti ma senza assoggettarvisi.
Bisogna infatti vedere perch si arrivati a que-
sto punto, di militarizzazione verbale delle dispute.
Alcune conversazioni che abbiamo avuto in Euro-
pa ci hanno convinti di una cosa: i partner della
Francia sono stanchi di vedere Parigi rompere con
disinvoltura quasi infantile un giocattolo dopo lal-
tro, senza quasi rendersi conto di quello che sta fa-
cendo. Sono stanchi soprattutto nei paesi fondatori
(Germania e Italia) perch lInghilterra non pu
che rallegrarsi di queste continue lesioni. A forza
di strappi e muri, lEuropa si allontaner da quel-
lunione politica che i fondatori dicono di volere
senza farla, e che Londra - pi coerentemente - non
vuole e non fa .
il motivo per cui il comportamento parigino fa
pi danni di un analogo comportamento britannico.
Quel che si costruito nellUnione, fin dagli esordi,
stato edificato grazie alla Francia, e non solo per
imbrigliare la Germania ma per edificare con essa
una comunit destinata a diversificare i poteri trop-
po assoluti dello stato nazione. Dalla Francia dun-
que vengono i principali progressi dellEuropa, com-
presi i progressi sulla via della sovranazionalit. Ma
anche le regressioni e gli stalli son venuti da Parigi,
perch la Francia resta nazionalista: non a caso il
paese pi affezionato al diritto di veto nelle decisio-
ni europee. E la permanenza del veto (cio lobbligo
di unanimit anche quando c disaccordo) quel
che impedisce allEuropa di camminare e divenire
potenza.
Negli ultimi anni, i governi francesi hanno mo-
strato, di questi suoi due volti, quello pi regressi-
vo, nazionalista e supponente. un arretramento
emerso con la caduta del muro di Berlino e lallar-
gamento, quando la verit venuta alla luce: la
Francia non era pi lunico e preminente centro po-
litico dEuropa. Cos diventata non la locomotiva
del farsi europeo ma la forza di inibizione. Il suo pe-
so politico sempre assai forte, ma proprio per que-
sto le conseguenze sono temibili. In Germania mi di-
cono che ogni regressione francese ha effetti nefasti
sugli stati membri vecchi e nuovi, disabituandoli al-
la disciplina europea e sbrigliando gli impulsi na-
zionalisti. Karl Lamers, gi consigliere di Kohl, te-
me il decadere dei tab che a partire dalla seconda
met del Novecento son serviti a incivilire lagire
europeo. Se a cominciare loffensiva la Francia,
tutti si sentiranno abilitati a rinazionalizzare le lo-
ro politiche. Anche nel mercato comune energetico
sar cos. Se Madrid aveva qualche remora ad ac-
cettare il controllo della compagnia tedesca E.on
sul gruppo Endesa, ora si sentir attratta da mal
congegnate soluzioni nazionali. Una fonte mi dice in
Germania: come per il referendum sulla costitu-
zione. Il no francese ha dato le ali a tutti i no che cir-
colano nellUnione.
Gli elettori sono diventati essenziali, ogni politico
pensa pi a loro che allEuropa, ha detto il ministro
degli Esteri Fini. In Italia si arriva a rivalutare la re-
gressive e falsamente patriottiche visioni di Fazio
sullItalianit. Berlusconi accusa addirittura i magi-
strati di aver sventato le truffe di Fiorani, conse-
gnando in tal modo una banca italiana allo stranie-
ro. La Francia malata, non ha spazio dentro di s
per vedere laltro. Ma ci sono malati che hanno pi
forza dei sani, e lEuropa intera contagiata da que-
sta forza strana e ingannevole.
Pi volte ho chiesto ai miei interlocutori in Fran-
cia come mai questa sfilza di errori isolazionisti, ne-
gli ultimi anni. Come mai son cos flebili le voci non
ortodosse (sulla vicenda Enel i critici europeisti son
rari: tra essi il socialista Strauss-Kahn, il centrista
Bayrou, leconomista Fitoussi, il quotidiano Le Mon-
de). Ho trovato smarrimento, ho constatato lassen-
za di proposte, ma il cruccio di fronte a una lista co-
s lunga di passi falsi grande. Rievochiamola bre-
vemente.
C stata in primo luogo la decisione di ignorare i
vincoli del Patto di stabilit, in accordo col tedesco
Schrder. Era un insieme di regole volute proprio da
Parigi e Berlino, ma i due stati hanno deciso che per
essi non valevano: era il 25 novembre 2003, e leffet-
to di quel tradimento perdura ancor oggi. Poi ve-
nuta la decisione di indire un referendum sulla co-
stituzione europea, sfociata nel No del 29 maggio
scorso. Una decisione assurda, un controsenso de-
mocratico che solo per finta rispettava gli elettori.
Perch si poteva prevedere il
disastro, dopo il referen-
dum su Maastricht che
Mitterrand vinse di poco
nel 92. Perch il refe-
rendum del 2005 non ha
avuto luogo simultanea-
mente nei 25 paesi, co-
me sarebbe stato onesto
e democratico fare.
Il no francese ha avuto ef-
fetti sullOlanda, e ha con-
tribuito alleurofobia che sta
agitando lEuropa orientale. Si
consentito a un solo paese di rovina-
re tutto, e quel paese ancor oggi sem-
bra non rendersene conto. Non sono solo i
No a essere indifferenti. Anche i S sono l tutti mor-
tificati, taciturni, e sovranamente disinteressati. Mi
capitato di interrogare un noto esponente del S,
nelle settimane scorse. Ha rifiutato di parlare della
crisi europea perch laffare ormai molto, molto
lontano dai miei interessi.
Poi c stata lirresponsabilit di un politico euro-
peista come Fabius, che cambiando casacca ha la-
cerato la sinistra e fatto vincere il No. E non tutto:
nella serie di prevaricazioni francesi ci sono state le
offese di Chirac ai paesi europei orientali, durante
il negoziato dadesione e prima della guerra dellI-
raq. Avete perso loccasione di stare zitti, tuon il
Presidente, ingigantendo le loro diffidenze antieu-
ropee. La posizione sullIraq stata decisa con
Schrder senza alcuna consultazione con gli altri eu-
ropei. Anche questo fu fatto per far brillare Parigi,
non lEuropa.
Tutte queste condotte sono avvolte ogni volta da
retorica europeista. straordinaria lipocrisia del-
la Francia, mi dice Pierre Lellouche, studioso di
strategia e deputato gollista, si mescola leuropei-
smo con lillusione del fare da s, il modernismo
verbale con il pi arcigno conservatorismo econo-
mico. Invariabilmente, gli atteggiamenti francesi
sono impregnati di una gioiosa arroganza, che ha
radici nel gollismo e nelle politiche della sedia vuo-
ta. Anche oggi di fatto c una sedia vuota, solo vir-
tualmente occupata da una Francia caoticamente
senza idee.
Barbara Spinelli
il Giornale, gioved 2 marzo
C
hi paga lo Stato sociale? Chi ne trae benefici e
chi ci rimette. Illusioni e inganni delleconomia.
Il problema cruciale che i governi danno troppo a
troppe persone e non a chi ne ha realmente bisogno.
Nel Novecento, in molti Paesi europei, Italia in te-
sta, si venuto creando un circolo vizioso tra ecces-
si del fisco (tasse), spesa pubblica e alcune tendenze
di tipo storico-politico che occorre conoscere perch
sono determinanti nella forma che hanno assunto i
nostri regimi democratici.
Alla radice delle troppe tasse c unesagerazione
nella spesa pubblica, cio nella spesa a opera dello
Stato. Questa spesa ha avuto unaccelerazione nel
Novecento ma almeno dal Cinquecento che tende
a dilatarsi. La spesa pubblica, fatta con i soldi pub-
blici, quelli versati allo Stato dai cittadini ammini-
strati dal medesimo, e divenuta, via via, un ottimo ge-
neratore di consenso politico. In una situazione do-
ve c mano libera sulla spesa pubblica naturale
che ci che nonviene concesso dal governante di tur-
no sar poi concesso da quello successivo. Ma qui si
annida la prima illusione, il primo imbroglio: i soldi
che lo Stato d sono gli stessi che lo Stato ha tolto.
patologica lapparente, e solo apparente, gratuit dei
vari servizi offerti. Li fornisce attraverso il welfare
state o attraverso aiuti alle imprese. Li ha tolti a tut-
ti, non solo ai pi ricchi, attraverso unimposizione
fiscale che ormai arriva vicino alla met della ric-
chezza prodotta dal Paese. Quando la tassazione rag-
giunge livelli alti, come nel caso dei Paesi europei, il
prelievo deve essere per forza generalizzato, altri-
menti troncherebbe letteralmente gruppi di cittadi-
ni appartenenti allunica o alle poche fasce di red-
dito colpite. Il prelievo deve forzosamente riguarda-
re i redditi alti, medi e bassi.
Laltra illusione che la spesa pubblica produce
quella che riguarda lo scarto tra i benefici immedia-
ti della spesa pubblica e i danni posposti che essa
stessa provoca. Il caso delle pensioni il pi chiaro
di tutti: benefici alla generazione attuale, danni alle
generazioni successive a causa di un sistema pensio-
nistico che, se non riformato radicalmente, non sar
in grado di assicurare lerogazione delle pensioni ai
lavoratori di domani. Questeffetto non riguarda solo
le pensioni ma in generale tutto il debito pubblico
che lo Stato ha accumulato col passare degli anni.
un debito che ha provocato benefici immediati ma
anche danni posposti: dallammanco di credibilit fi-
nanziaria del sistema Paese nel suo complesso, che
fa molto male a tutti, allimpossibilit di spendere
soldi per ci che indispensabile che lo Stato faccia
inalcuni settori importanti dellavitadel Paeseapar-
tire dallammodernamento delle infrastrutture.
Dunque sostanzialmente un welfare spendac-
cione allorigine dellaumento sconsiderato della
spesa pubblica. Un welfare che ha dato troppo ge-
nerosamente a troppi e non solo a chi ne aveva real-
mente bisogno provocando, tra laltro, una dere-
sponsabilizzazione generale sulla spesa pubblica,
sulla sua entit, sui suoi danni. Questo aumento an-
dava bloccato in tempo ma la politica, e si capisce
bene, ha posticipato il pi possibile perch ogni go-
vernante ha preferito far compiere questopera a chi
sarebbe venuto dopo. I cittadini beneficiari di tale
spesa hanno invocato il perpetuarsi di questo tipo di
welfare o perch ne erano vittime inconsce (vittime
delle tasse attuali e dei danni posposti) o perch, pur
sapendolo, non potevano fare a meno di quei soldi
(imprese che invocavano laiuto dello Stato per co-
prire le proprie incapacit e inefficienze).
C poi da rilevare una questione importante che
riguarda i sistemi economici nazionali. Le economie
che sono riuscite e riusciranno a essere favorite nel
lungo periodo non saranno quelle in grado di soste-
nere la spesa pubblica con forte prelievo fiscale, ma
quelle che sapranno far sviluppare il reddito e quin-
di allargare la base imponibile, cio coloro che pa-
gano le tasse. fallito il pensiero economico che so-
steneva la spesa pubblica come rimedio agli insuc-
cessi del mercato. Ora occorre trovare le soluzioni a
questo problema e far convivere, in altro modo, esi-
genze del mercato ed esigenze dello Stato.
Sergio Ricossa
La via francese alla dissoluzione
Gli sbagli, le prevaricazioni e le gioiosa arroganza di un paese senza idee
Tasse
La dilatazione storica della spesa pubblica e
lillusione del Welfare: i soldi che lo Stato d
sono gli stessi che lo Stato toglie.
la Repubblica, mercoled 1 marzo
L
annunciatafusionefraGaz deFranceeSuez non
priva di merito industriale, uniformandosi a
due trend oggi prevalenti nel settore energetico: la
crescita di dimensione (lentit derivante dalla fusio-
ne sarebbe per capitalizzazione la seconda in Euro-
pa, dopo Electricit de France e sempre che la tede-
sca Eon non riesca ad acquisire la spagnola Endesa);
e, ancor pi, laccorpamento di gas ed elettricit.
La possibilit delloperazione, del resto, era gi
stata considerata in passato, trovando un ostacolo
nella riduzione della quota pubblica in Gaz de Fran-
ce, oggi largamente maggioritaria. Ma la questione,
evidentemente, non questa. Quel progetto stato ti-
rato fuori dalla naftalina, e lostacolo stato supera-
to, non appena Enel ha goffamente (fino a prova con-
traria) manifestato lintenzione di fare unofferta per
Suez. Ed stato tirato fuori non solo con il gradi-
mento, ma per impulso del governo francese, che ha
scritto una nuova pagina nella storia della corporate
governance di societ quotate, quando ha mandato in
televisione primo ministro e ministro del tesoro ad
annunciare la fusione, mentre gli amministratori de-
legati delle due societ restavano silenti in seconda
fila; e che gi prima aveva intimato ad altre societ
francesi di ritirare il proprio gradimento allacquisi-
zione delle attivit non energetiche di Suez ove que-
sta fosse passata in mano di Enel. A questo punto la
mossa francese diventata una questione politica,
configurandosi come una rinnovata manifestazione
di ostilit del governo francese allingresso di grandi
imprese straniere: con laggravante che si trattava in
questo caso di unimpresa dellUnione europea.
Sulledebolezzeendemichedel nostrosistema, che
ci pongono ancora una volta in condizioni di inferio-
rit e che ci hanno fatto cadere fra due sedie - quella
del modello statalista francese e quella del modello
mercatistabritannico- AlessandroPenati hadettolu-
ned scorso, impeccabilmente, tutto quello che cera
da dire. Occorre tuttavia riconoscere che lerezione
oltralpe di una linea Maginot contro i nostri timidi
tentativi di ingresso richiede una risposta politica.
Ma conviene distinguere fra quanto si pu e si deve
fare subito, quanto non consigliabile fare in fretta
e quanto n si pu n si deve fare.
Ovviamente, la Commissione di Bruxelles la pri-
ma istanza a cui rivolgersi, anche se non immedia-
tamenteevidentesottoquali profili, al di ldellacen-
sura morale di violazione dello spirito del trattato,
la Commissione possa intervenire. Si consideri in-
tanto che il governo italiano ha sinora mostrato gran-
declemenzanei confronti, guardacaso, di Electricit
de France (EdF). Quando lEnel fu obbligato a di-
smettere in parte la generazione di corrente, con la
vendita delle cosiddette Genco, o compagnie di gene-
razione, un decreto del presidente del Consiglio sta-
bil che nessuna societ controllata da un soggetto
pubblico potesse acquisirne pi del 30%. EdF, attra-
verso Edison, supera quel limite, che non stato fat-
torispettare. Losi facciaora; esi aggiungachelastes-
sasortetoccheraElectrabel, lasocietdi elettricit
belga incorporata recentemente in Suez, che an-
chessa in una Genco italiana con una quota superio-
re al 30%: dopo la fusione con Gaz de France, anche
Electrabel sar sotto controllo pubblico.
Non sarebbe invece saggio confezionare in fretta e
furia una nuova legge sulle Opa come reazione alla
guerra gallica. La direttiva europea da recepire (di
cui funestamente un nostro ministro fu la levatrice)
pessima, consentendo a chiunque di fare quello che
vuole. Prima di modificare in radice la nostra buona
legge, quella del testo unico della finanza, modellata
sulla disciplina inglese, ci si pensi due volte. La guer-
ra gallica temporanea. Le conseguenze sul mercato
del controllo societario, gi ingessato nel nostro Pae-
se, sarebbero permanenti.
E poi le cose da non fare, anche perch non le si
possono fare. Le agenzie attribuiscono al presidente
Prodi il suggerimento di bloccare lofferta di Bnp Pa-
ribas sullaBancanazionaledel lavoro. Singolarepro-
posta. Che facciamo? Vietiamo a Unipol, priva del-
lautorizzazione a fare lofferta, di vendere le sue
azioni di Bnl a qualsivoglia soggetto francese? Via si-
curanonsoloper mettereUnipol nei pasticci, maper
procurarci un procedimento di infrazione da parte
della Commissione di Bruxelles. E poi, dove sono
queste banche italiane pronte a sostituirsi agli stra-
nieri? Fazio ne trov una: era la banca di Fiorani.
Ma qualcosa di altro c da fare. A Bruxelles e a
Strasburgo lItalia conta poco o nulla. Alla Commis-
sione abbiamo perso unportafoglio di grande rilievo,
che poteva toccare solo a Mario Monti; e abbiamo
perso tutte le direzioni generali importanti. Al Par-
lamento europeo i membri italiani, con qualche ec-
cezione, sono presenti, se lo sono, solo al momento
delle votazioni in aula. Alla commissione per gli af-
fari economici e monetari, dove si decide la legisla-
zione sullindustria finanziaria, gli altri Paesi schie-
rano parlamentari ferratissimi, che difendono gli in-
teressi nazionali; i nostri parlamentari sono solita-
mente assenti. Per difendere i nostri interessi in Eu-
ropa bisogna lavorare da europei: ossia, semplice-
mente, lavorare.
Luigi Spaventa
Il caso Suez
Conviene distinguere fra quanto si pu fare
subito, quanto non consigliabile fare in fretta
e quanto n si pu n si deve fare
ANNO XI NUMERO 55 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO LUNED 6 MARZO 2006
Corriere della Sera, venerd 17 febbraio
C
he succede lass, nelle segrete stanze di
Stoccolma dove si decidono i premi No-
bel per la letteratura? Molte informazioni
sui retroscena pu darle Enrico Tiozzo, voce
autorevole della cultura italiana in Svezia,
ben introdotto nei circoli ristretti dellAcca-
demia, tra i pochi ad avere accesso ai suoi
archivi. Tiozzo osserva: Il nostro Paese sta
sbagliando tutto, sia in campo culturale che
politico. Limmagine dellItalia a Stoccolma
, a dir poco, deformata e paradossale. Un
esempio? Lars Forssell, potente membro
della commissione, ma anche figura di asso-
luto prestigio come poeta, commediografo e
uomo di teatro, mi confid nel 91: spero di
far assegnare il Nobel a Tot. Forssell, oltre
che di Tot, era ammiratore di Dario Fo.
Ladecisionedi premiarequestultimo- se-
condo Tiozzo - ha rappresentato anche un
modo, da parte dellAccademia, di mettere a
tacereladiatribaormai decennale, moltodie-
trologica, sui presenti illeciti legati al manca-
to riconoscimento a Mario Luzi. In che sen-
so? Visto che la polemica si scatenava pun-
tualmente ogni anno sui giornali italiani, in
concomitanza con lassegnazione del Nobel,
si pensatochelunicomododi uscirnefosse
premiare un altro candidato italiano. Uno
scandalo, come hanno sostenuto in molti, la
scelta di Dario Fo invece di altri candidati?
Piuttosto la prova implicita del fatto che la
letteratura italiana - intesa come romanzo e
poesia - non aveva in realt figure degne del
Nobel, e che se si voleva onorare la nostra
cultura era necessario rivolgersi al cinema o
al teatro. LItalia come Paese di attori e giul-
lari unimmagine che piace ai membri del-
lAccademia e agli svedesi in generale.
Tiozzo, che lavora da quasi quarantanni
nel mondo universitario svedese (attualmen-
teordinariodi italianoaGteborg), amico
personale di quasi tutti i membri della com-
missione ristretta che, anno dopo anno, sele-
zionalecandidatureal Nobel riducendoleda
trecento a cinque, vaglia e soppesa le pre-
scelte, infine le sottopone al plenumdi quin-
dici accademici perch si proceda alla vota-
zione decisiva. E si assume le sue responsa-
bilit nel lanciare lallarme.
La prima, sconfortante conclusione que-
sta: lItalia di solito fuori dai giochi perch
non presenta candidature, salvo poche ecce-
zioni. Un po per ignoranza del regolamento
(lepropostedevonoraggiungerelAccademia
entro il 1 febbraio di ogni anno e provenire
da rappresentanti di istituzioni culturali au-
torevoli sul genere dei Lincei, professori uni-
versitari di lingue e letterature, scrittori gi
premiati, dirigenti di associazioni tipo i Pen
Club). Unpo per mancanza diniziativa o per
fatalismo eccessivo, dovuto alla convinzione
sbagliata che in ogni caso le domande non
verrebbero prese in considerazione (mentre
lameticolositscandinavaimponedi conser-
varesempretutto, persinolelettereanonime
o illeggibili provenienti da Paesi sconosciuti,
per la gioia dei posteri e futuri ricercatori).
Einfine, si direbbe, per miopia o clienteli-
smo letterario. I candidati italiani sono stati
una ventina in tutto nellarco dei primi cin-
quantaquattro anni, e la maggioranza di que-
sti decisamentepococonosciuta(qualcheno-
me: Angelo de Gubernatis, Salvatore Farina,
Dora Melegari, Roberto Bracco), mentre ce-
lebritindiscutibili comedAnnunzio, Pasco-
li, Verga, Capuana, De Roberto, Pavese, Vit-
torini, Gadda e tantissime altre non hanno
mai avuto lonore di una segnalazione.
La denuncia di Enrico Tiozzo riguarda an-
chelamancanzadi unapoliticaculturaleita-
liana a Stoccolma. La cosa pi riprovevole -
afferma - che in tutta la Svezia non esista
una sola cattedra universitaria di letteratura
italiana. Su questo punto particolarmente
graveil disinteressedei nostri ministeri com-
petenti, come gli Esteri e lUniversit, che di-
rettamente o attraverso lambasciata e lIsti-
tutodi culturapotrebberofar pressionesulle
autorit svedesi e sulle singole universit af-
finch creassero cattedre di letteratura ita-
liana. Si sfiorail grottesco, dal momentoche
lItalia spende pi denaro e appoggia mag-
giormente, senza contropartita, linsegna-
mento dello svedese nelle universit italiane
di quanto faccia con litaliano negli atenei
svedesi.
I frutti di questapoliticaautolesionisticasi
vedono, eccome. Gli accademici del Nobel,
nonostantelatradizionaleammirazioneper i
canali di Veneziaelapizzadi Napoli, nonco-
nosconolitalianoestentanoaddiritturaatro-
vare consulenti in grado di informarli sulla
produzione dei nostri scrittori pisignificati-
vi. Si rivolgono ai cosiddetti periti occasio-
nali - rivela Tiozzo - con una vaga infarinatu-
ra sulla nostra letteratura, di fonte per lo pi
giornalistica. Non c da meravigliarsi se le
candidature non vengono prese sul serio e,
come nel caso di Bacchelli, alla fine abban-
donate.
Come potuto avvenire, allora, che per sei
volteduranteil secoloscorsoi nostri campio-
ni letterari siano riusciti ad annullare lhan-
dicap, lassenza di sponsor nazionali, e a vin-
cere? La spiegazione c, ed sorprendente.
Tutto dipeso da una circostanza fortunata
- rivela Tiozzo - e cio dalla presenza in com-
missione per un periodo eccezionalmente
lungo, il sessantenniodal 21 all81, di Anders
sterling, grandeestimatoredellaletteratura
italiana e traduttore in svedese delle liriche
di QuasimodoeMontale. Unclassico, italico
colpo di fortuna, insomma. Fu per sua ini-
ziativa che questi ultimi due poeti (altrimen-
ti inaccessibili agli accademici svedesi), ma
anche i due premiati precedenti, la Deledda
e Pirandello, riuscirono a spuntarla. Senza
sterling, lItalia delle lettere insignita del
Nobel sarebbe rimasta ferma a Carducci.
E la politica, quanto conta oggi nella scel-
ta? Non sempre pi evidente - lo si visto
recentemente con la Jelinek e Pinter - uno
spostamento a sinistra dei giurati? In realt
- ammette Tiozzo - la politica sempre stata
importante per il Nobel. Oltre al famoso
esempio di Borges, mai premiato, c quello
del tedesco Bll che dovette aspettare venti-
sette anni dopo la fine della guerra per po-
terloricevere. Untempogli ostacoli eranodi-
versi: Carducci, adesempio, dovettesuperare
quello dellanticlericalismo, allora conside-
rato una colpa. Oggi lAccademia di Svezia -
continua Tiozzo - ha assunto una generica
connotazionedi sinistra, fattadi pacifismo, at-
ti umanitari, integrazione razziale, rifiuto di
ogni formadi violenza, solidarietadogni co-
sto. E dunque pressoch impossibile oggi,
per uno scrittore che nella sua opera sia an-
dato in una direzione opposta o sia legato
chiaramente alla destra, avere il premio. Un
criterio etico-politico che, nel caso di Fo, ha
avuto il suo peso.
I giochi sembrano destinati a complicarsi
sempre pi nei prossimi anni. Per non di-
speriamo - rassicura Tiozzo -. vero che i no-
mi dei favoriti sono ufficialmente segreti,
per le indiscrezioni non sono vietate. Tra i
candidati, da alcuni anni, ci sono Bonaviri,
Magris e Tabucchi. Il primo, come mi hanno
segnalato alcuni amici di cui nonposso fare i
nomi, si pudirechearrivatoindiritturafi-
nale.
Dario Fertilio
La caduta di Jovanka
A un certo punto Tot stava per vincere il Nobel
Dario Fo stato scelto perch agli intellettuali-giudici svedesi piace molto lidea che lItalia sia solo un paese di attori e giullari
Che succede a Stoccolma, dove si decide a chi devono andare i premi pi prestigiosi del mondo
La moglie di Tito, dimenticata da tutti, vive in miseria
Corriere della Sera, gioved 2 marzo
N
on vero che la peggior stroncatura
il silenzio. Ce ne sono anche di pi cat-
tive. Come quelle che Alessandro Baricco
denunciava ieri sulla Repubblica; colpevo-
le, nel caso specifico, la coppia Citati&Fer-
roni, entrambi rei di unaggressione subdo-
la nei confronti dellautore di Seta. Il pri-
mo, descrivendo lestasi prodotta dal patti-
naggio olimpico, diceva che si dimenticava
perfino dellIliade di Baricco; laltro, re-
censendo sullUnit un libro di Vassalli,
sottolineava in una parentesi la distanza
abissale dalla stucchevole e ammiccante
epica automobilistica dellultimo Baricco,
alludendo al romanzo Questa storia (che pe-
raltro Ferroni aveva stroncato gi sulla ri-
vista Giudizio universale).
Vittima di questa gomitata assestata a
tradimento, Baricco richiamava alle loro
responsabilit i Critici: fate il vostro me-
stiere, ma non ricorrete a queste battutine
trasversali messe l per raccogliere lap-
plauso dei fedelissimi.
Lappassionato Baricco, per, non tiene
conto di un fatto: che cio noi viviamo in
tempi davvero trasversali. A cui, forse, an-
che la critica - se esiste ancora - si sta rapi-
damente adeguando. Perci, a uso dei cri-
tici vogliosi di essere allaltezza dei tempi,
e ad ammaestramento di autori che po-
trebbero incappare in battutine e battutac-
ce, proviamo a fornire un decalogo di go-
mitate. Magari ricorrendo a esempi di un
passato che tutti hanno dimenticato e che
perci oggi molto cool.
1) Non parlare di libro/film/opera musi-
cale dicendo che porta male (Oreste del
Buono non vide Lili Marleen di Fassbinder
per le qualit iettatorie della canzone).
2) Fare paragoni tremendi, che mentre
discreditano lautore in questione liberano
il recensore dalla necessit di entrare nel
merito dellopera (i neo-avanguardisti del
Gruppo 63 liquidarono Cassola accostan-
dolo a Liala).
3) Viceversa, rifarsi a una categoria alta
per distruggere un onesto produttore di
cultura bassa (Enrico Manca accus Pippo
Baudo chiamando in causa la categoria
gramsciana del nazional-popolare).
4) Adoperare giudizi di valore ideologi-
co, dando per scontato tutto il resto (negli
anni Cinquanta Pratolini e il suo Metello fu-
rono crocifissi dallaccusa di populismo;
negli anni Novanta Susanna Tamaro e Ani-
ma mundi, con il loro sapore di foiba, fini-
rono allindice).
5) Usare il plurale per lesecuzione som-
maria: come quando si dice i Nove, i La-
branca, gli Scarpa per far fuori tutti i Can-
nibali.
6) Usare la locuzione dei poveri, fa-
cendo attenzione a scegliere un modello
piuttosto basso (Anna Tatangelo la Pausi-
ni dei poveri?).
7) Giudicare libro (o disco) dalla coperti-
na, o un film dalle foto pubblicitarie (pre-
cedente illustre, ancora Oreste del Buono,
che raccont Kramer contro Kramer parlan-
do dei manifesti e della gente che, nono-
stante quelli, entrava in sala).
8) Dire che inutile parlare di qualcuno
che ha gi vinto la gara a cui sta per parte-
cipare (questanno prima si detto che
Sandro Veronesi vincer il premio Strega,
ma ora rischia di essere scalzato da Rossa-
na Rossanda).
9) Rifarsi al classico Manganelli: Non
lho letto e non mi piace (con la variazione
di Franco Cordelli, che nella sua rubrica
teatrale di anni fa esercitava la critica
presuppositiva: spettacoli non visti e
stroncati, come ben sa Mem Perlini).
10) Aggredire, massacrare, annichilire
qualcuno senza nemmeno dirne il nome.
(lha fatto ieri Gabriele Ferraris sulla Stam-
pa, chescomodaBrecht - beatoil paeseche
nonhabisognodi eroi- per infierirecontro
Panariello, comicomodestoesenzanome).
Ranieri Polese
Corriere della Sera, luned 27 febbraio
B
elgrado. Da pochi giorni il riscalda-
mento ha ripreso finalmente a funzio-
nare in un piccolo appartamento statale
di Dedinje, al 65 di Bulevar Mira, zona re-
sidenziale di Belgrado. E un gruppo di
operai sta studiando come bloccare le in-
filtrazioni di umidit e di pioggia dal tet-
to. una notizia, perch sotto quel tetto
malconcio vive la prima vedova di Ju-
goslavia: Jovanka Broz, 81 anni, per 28 mo-
glie di Tito. Lultima.
Ma non era morta tanto tempo fa?
hanno chiesto, sorpresi, funzionari di go-
verno trenta-quarantenni ai giornalisti
che chiedevano spiegazioni sullinfelice
declino della Signora Tito. No, lottan-
tenne Jovanka, considerata un tempo una
delle tre donne pi belle nella storia del-
lumanit, dopo Nefertiti e Marilyn Mon-
roe, non morta. sopravvissuta, senza
clamori e senza denaro, allinsofferenza
dei successori del marito che poco dopo
la morte del presidente, il 4 maggio 1980,
lhanno relegata in una cadente casa di
propriet pubblica, attrezzata con il mini-
mo indispensabile. Come una qualunque
pensionata senza diritti. Proprio lei, che
per oltre un quarto di secolo si era occu-
pata, senza risparmio di energie e di sol-
di, delle quaranta residenze del consorte
sparse per la Jugoslavia. Proprio lei che,
appena ventottenne, aveva accettato di
sposare luomo pi potente del Paese,
giunto al suo sessantesimo compleanno e
al suo terzo o quarto matrimonio.
Unaltra, al suo posto, avrebbe finito per
regolare i conti, in banca e in piazza, ven-
dendo a caro prezzo dettagliate memorie.
Ma Jovanka, come sanno bene i giornalisti
e gli editori locali, una vedova di ferro:
non parla, non apre la porta e nemmeno la
posta. Di giorno pulisce la casa, stira e si
cucina il pranzo. protetta da tre guardie
del corpo che, a turno, vanno a farle la
spesa e vegliano sulle sue serate solitarie
e, per anni, anche piuttosto gelide. Riceve
soltanto la sorella e un paio di nipoti.
Allinizio la signora Broz temeva di
mettere in pericolo la sua vita, se avesse
svelato segreti e retroscena dei suoi anni
con Tito - considera Toma Fila, il suo av-
vocato -. Ma adesso tutto ci che vuole
ritrovare i suoi ricordi, le foto, le lettere,
i cimeli del marito. Non un semplice
desiderio n un desiderio semplice: da
oltre ventanni, a differenza dei due figli
che Tito ha avuto da nozze precedenti, Jo-
vanka si batte senza tregua nei tribunali
per quelli che considera beni personali.
A complicare la vertenza c una legge,
varata poco dopo i funerali solenni del
consorte, in base alla quale tutto quanto
appartenuto a Tito spetta allo Stato: la
legge Jovanka, come la definisce il suo
legale.
Di pi, furono stilati quattro inventari
delle propriet del defunto presidente e il
quarto elenco comprendeva il 90 per cen-
to degli oggetti, anche di uso comune, pas-
sati per le storiche mani, destinati alla na-
zionalizzazione ma poi scomparsi. A mo-
glie e figli toccavano un po di abiti e alcu-
ni fucili da caccia. Jovanka, del resto, non
godeva pi delle simpatie dello staff del
marito gi tre anni prima che lui morisse,
quando il vecchio presidente era stato di
fatto esautorato dei suoi poteri. La volitiva
consorte era stata confinata agli arresti
domiciliari, lontana da lui, con laccusa di
complottare contro il governo.
Riapparve in pubblico ai funerali di Ti-
to, per evitare interrogativi imbarazzanti
tra i cento capi di Stato invitati alla ceri-
monia. Ma il giorno dopo aveva perso di
nuovo tutte le prerogative che il marito
aveva invano cercato di conservarle nelle
sue ultime, non scritte, volont. I palazzi in
cui aveva vissuto, con tutti gli arredi, le
scuderie, i preziosi doni ricevuti durante i
viaggi ufficiali e da ospiti di rango, scom-
parvero per sempre dai suoi orizzonti. Era
finita, ma Jovanka non si mai arresa, an-
che se il patrimonio personale di Tito ha
un valore pi storico che finanziario, e la
popolarit dellex capo partigiano era in
declino gi negli anni 80: Devono resti-
tuirmi almeno i vestiti, i telegrammi di
condoglianze per la sua morte, le sue let-
tere, le nostre foto - reclamava lei allavvo-
cato, che riuscito a farle assegnare alme-
no una pensione -, si sono presi anche i be-
ni provenienti dalla mia famiglia. Una
causa persa, se loblio calato su Jovanka
non lavesse spinta quasi allindigenza. La
pratica arrivata sul tavolo del ministro
dei diritti umani e delle minoranze, Rasim
Ljajic: La sua situazione era una vergogna
nazionale - ha riconosciuto Ljajic -, la si-
gnora Broz viveva in condizioni catastrofi-
che e bisognava correre ai ripari. Il tetto
sar sistemato, i termosifoni ora funziona-
no, ma di eredit non si parla.
Elisabetta Rosaspina
Match point al veleno
Il pap di una tennista che faceva fuori gli avversari della figlia
La Stampa, luned 27 febbraio
P
arigi. Maxime Fauviau era un tennista
mediocre, non aveva i colpi, dritto appe-
na passabile, rovescio didattico e sciatto,
uno che la buttava semplicemente di l
sanzionavano i pratici con una sola occhiata
da bordo campo. Poteva far paura allavver-
sario al massimo nei tornei dei dopolavoro e
dei dilettanti.
Eppure Maxime vinceva, vinceva sempre.
Dallaltra parte della rete gli avversari sem-
bravano storditi, non riuscivano a correre, si
trascinavano senza speranza boccheggiando,
quasi sempre labulia li spingeva alla resa in
anticipo, come se avessero capito di nonave-
re possibilit. Da Nantes a Bordeaux, da
Montepellier a Dax, il giovane Maxime arri-
vava scortato dal padre e scalava i tabelloni
pi impervi come se fosse mosso da una for-
za misteriosa.
Anche nel luglio del 2003 Alexandre La-
gardre, un giovane maestro, era uscito dal
campo a Tartas nelle Landes dopo appena
un set disastroso: stava male, le gambe non
rispondevano agli impulsi del cervello, le
palline giocate in modo squinternato da
Maxime gli sembravano missili imprendibi-
li. E pensare che erano bastati pochi colpi
preliminari per capire che quellavversario
era ben al di sotto del suo livello di gioco,
una preda tranquilla. Furioso con se stesso,
Alexandre sal subito in auto per tornare a
casa: lo trovarono i gendarmi, senza vita, nel-
lauto che era uscita di strada dopo pochi
chilometri. Non cera un giallo evidente, for-
se tutto sarebbe finito nei dossier della im-
prudenza stradale se i gendarmi non aves-
sero, per caso, scoperto che il giovane poco
prima si era sentito male durante il torneo
di tennis. Lautopsia accert che aveva nel
sangue tracce di Temesta, un ansiolitico che
ha pericolosi effetti collaterali come la per-
dita di controllo. Nessun medico gli aveva
mai prescritto quel farmaco: perch lo ave-
va utilizzato, per di pi sapendo di dover
giocare un incontro di tennis?
Valentine Fauviau la sorella minore di
Maxime, nel 2003 aveva quindici anni. Lei,
s, sapeva giocare a tennis, un folletto del
fondo campo con i colpi a due mani che sem-
bravano moltiplicare la forza di braccia an-
cora esili, da bambina. Valentine era gi
considerata dalla federazione francese co-
me la migliore promessa delle categorie gio-
vanili. Ma anche i suoi incontri spesso, trop-
po spesso, finivano prima del tempo con il
ritiro dellavversaria. Le ragazze si sentiva-
no male, gettavano la spugna contro quella
piccola furia che, certo, alla fine avrebbe
vinto ma che potevano ancora impegnare.
Il padre-allenatore dei due tennisti, Chri-
stophe, mercoled siedersul bancodegli im-
putati in corte di assise a Mont-de- Marsan.
Laccusa grave: somministrazione preme-
ditata di sostanze nocive che hanno causato
involontariamente la morte. Rischia venti
anni di prigione. lui, secondo laccusa, che
ha riempito di Temesta la bottiglietta di ac-
qua minerale dellavversario di suo figlio pri-
ma della partita. Lo faceva da tre anni, da
quandodopoaver abbandonatolesercito, do-
ve era pilota di elicotteri, aveva deciso di tra-
sformare i suoi due ragazzi in campioni.
Una volta che gli investigatori avevano af-
ferrato il filo dellinchiesta lo hanno sgomito-
lato senza problemi; era un filo interminabi-
le, decine e decine di episodi, malesseri, riti-
ri, tennisti finiti allospedale, giovani sportivi
che sprizzavano salute che di colpo, appena
scesi in campo, diventavano automi imbam-
bolati, come in preda a una mala. Episodi
che nessuno aveva pensato di collegare, tor-
nei giocati a centinaia di chilometri di di-
stanza nellanonimato, senza riflettori, diven-
tavano di colpo uno scenario sconcertante,
articolato, un complotto. Emerse dai verbali
anchequalchetestimone, comeunavversario
di Maxime che aveva sorpreso il padre che
armeggiava attorno alle bevande dei giocato-
ri. E da nuove analisi sempre il Temesta, la
pozione avvelenata dei fratelli Fauviau.
Eppure questa non la storia, squallida e
terribile, dellennesimo padre padrone del
tennis, uno di quei despoti psicotici che ro-
vesciano sui figli, che siano la scintillante
Sharapova o talenti appena sbozzati, le fru-
strazioni dei loro insuccessi, che chiedono ai
ragazzi a tutti i costi di incassare lassegno
della fortuna che a loro mancato. Chri-
stophe Fauviau era paziente, gentile, non
pretendeva dai suoi due campioncini pi di
quanto potessero dare, li voleva felici, si era
persino rassegnato a non immaginare per il
poco talentoso Maxime nulla di pi che un
futuro di piccoli tornei di provincia. Allora
perch? Il torneo del delitto non proponeva
premi sontuosi, era una gara di serie B, an-
che vincendo Maxime sarebbe rimasto un
incorreggibile mediocre. E lei, Valentine,
era in grado di farcela da sola, aveva vinto
tornei anche quando il padre e i suoi raggi-
ri erano assenti. Forse perch un padre pu
uccidere anche per troppo amore.
Domenico Quirico
la Repubblica,
marted 13 dicembre 2005
Marlene Dietrich. La si ri-
trovava ogni estate a Co-
penhagen, ancora nei pri-
mi anni Settanta, ben-
ch ufficialmente a riposo
dopo un celebre addio al Caf de Paris
londinese, immortalato in un disco live
con presentazioni di Nol Coward e He-
mingway. Due spettacoli ogni sera al
Tivoli, alle 19,30 e alle 21,30, in car-
tellone con Birgit Nilsson, i Mills
Brothers, il celebre comico Victor Bor-
ges. E una estate, aveva come pianista
Burt Bacharach poco pi che bambino,
cotonato e da lei vezzeggiato come un
imbarazzato amante. Unaltra volta, ap-
pariva in un programma darte varia
per famiglie turistiche, con orchestrina
di vecchietti briosi e un presentatore
grullo identico a Danny Kaye. Pubblico
da gelateria.
Sul palchetto azzurro, dopo il gioco-
liere cinese con tanti piatti e il vecchio
cantante ossigenato poliglotta, una zin-
gara argentina tutta in rosso danza Una
notte sul Monte Calvo registrata mentre
lorchestrina fa le percussioni. Poi uno
tzigano in viola e con violino elettrico fa
un pot-pourri di Cumparsite e Ociciornie.
Quindi un ventriloquo identico a
Kierkegaard fa un inquietante numero
di Paperini drogati di LSD. E dopo un
brevissimo intervallo, e un sommario
accenno al tema dellAngelo azzurro,
semplicemente lei.
Identica a com sempre apparsa:
volpi bianche e permanentina del
Trenta. Pacata e diretta, no nonsen-
se: il vestito sotto luccica di pailletti-
ne argentate, e il sopracciglio si dilata
fra il severo e lironico. Voce molto te-
desca, mentre rapidamente fra una
canzone e laltra riassume notizie rife-
rite in ogni storia del cinema. Con ge-
sti molto semplici, quasi elementari,
accompagna le canzoni amate in gio-
vent forse imbrogliando un po le da-
te: Youre the cream in my coffee, Blue
heavens. Gran grinta riaffiora in taluni
cavalli di battaglia pi memorabili:
The boys in the backroom, Not because I
shouldnt. Ma tutto liscio e continuo.
Tutto molto professionale ma quasi
meccanico, quasi minore.
Poi, impeccabilmente, via le volpi, e
allora sfolgora labito da concerto che
da tanti anni fa parte della sua perso-
nalit. Con una foderina di plastica co-
lor pelle sotto le pieghe di chiffon, si
dice. E certe canzoni apparentemente
nuove saranno la manire de, o ri-
pescate nelle oubliettes fra le due
guerre, o australiane radiofoniche? In-
dubbiamente risulta meno donna di
spettacolo che non Wanda Osiris o
Barbra Streisand o Edith Piaf. La sua
Vie en rose tutta sobria continua a rap-
presentare unostinazione ultraven-
tennale. Ma non si pu dimenticare le-
secuzione della Piaf disperata e smar-
rita con la sua testona enorme e il ve-
stitino nero da orfanella, sul palco
enorme dellOlympia, davanti a un
pubblico bramoso di vederla morire in
scena come Molire. (Il che pressapo-
co avvenne).
Per Marlene diventa eccellente
quando ritorna al tedesco per Johnny,
langosciosa telefonata alluomo che ha
promesso di venire e poi non viene. Co-
me nella Voix humaine di Cocteau. Tut-
ti froci?. Qui le grinfie riappaiono, per-
ch non pi il richiamo di una ragaz-
zina innamorata ma di una nonna
espressionista che la sa fin troppo lun-
ga. E Sentimental journey suona improv-
visamente rarefatta, in una sconsola-
tezza senza fine. Ma non esegue pi La
canzone finita, non chiedermi dove
vado del tenore e compositore Ri-
chard Tauber.
Cos, con economia, con distacco, con
Nuova Oggettivit, dopo quindici can-
zoni impeccabili in fila, arriva a un ve-
ro piccolo capolavoro, unesecuzione
disperata di Where have all the flowers
gone, lontanissima dalla melodiosit ag-
graziata di Joan Baez, e carica invece di
eleganti sofferenze berlinesi da piano-
bar epico e dry. Cammina un po a fa-
tica, ma termina su una gag graziosa.
Un vecchio usciere gallonato le porta
un mazzo di fiori, e lei gli d un bel ba-
cio. Dopo un minuto, altro mazzo e altro
bacio. Poi mazzi e baci si moltiplicano,
accelerandosi come nei film dei Fratel-
li Marx.
TACCUINO
di Arbasino
Baricco
Dalla critica presuppositiva
allannichilimento. Decalogo (con
esempi) di come si danno le gomitate
Firme
diletta con la maratona (ne ho fatte pi di
30) e con la letteratura latina (soprattutto
gli autori della decadenza, quelli che non si
studiano a scuola).
RICOSSASergio. 78 anni, ordinariodi Poli-
tica Economica a Torino, scrive sul Giornale
da 20 anni. Laureato in Economia, ha debut-
tato nel giornalismo nel 1969, collaborando
con La Stampa. Sposato, due figli: Francesco
e Luca, di 37. Nel tempo libero dipinge.
ROSASPINAElisabetta. 48anni, milanese,
si occupata di cronaca per il Corriere del-
la Sera, dove lavora dall89 e ora inviata.
Hacominciatonel 78 conAvvenire, nel 79
passata a La Notte, nell86 al Giornale di
Montanelli. Prima di andare al Corriere ha
lavorato per qualche mese a Capital.
SPAVENTALuigi. Professore di economia
alla facolt di Scienze Statistiche presso lU-
niversitLaSapienzadi Romaemembrodel
Centrefor Economic Policy Researchdi Lon-
dra. Ha ricoperto numerosi incarichi istitu-
zionali, fra cui la presidenza della Consob.
SPINELLI Barbara. Romana, editorialista
della Stampa, vive a Parigi dall80. stata ri-
cercatrice allIstituto di politica internazio-
nale di Roma (IAI), nel 72 ha cominciato la
carriera giornalista al Globo, dopo un bre-
ve periodo allEspresso,
andata a Repubblica,
prima come corrispon-
dente da Bruxelles, poi
come inviata. passata
poi al Corriere della Se-
ra. Da oltre dieci anni
alla Stampa.
Lapertura di prima pagina
stata realizzata da Massimo Parrini
QN, venerd 24 febbraio
N
ew York. la pi bella storia di questo
inverno inverno. Una pulita favola
americana che fa tornare speranza e
buon umore. Otto operai di una grande in-
dustria di macellazione del Nebraska, con
5 dollari a testa hanno fatto la pi grande
vincita del Lotto nella storia degli Stati
Uniti: 365 milioni di dollari oltre 310 milio-
ni di euro.
Si tratta di 7 uomini e 1 donna. Quasi tut-
ti hanno fatto il turno di notte nel grande
macello di Lincoln che impacchetta bistec-
che e prosciutti per il resto dAmerica. I lo-
ro orari di lavoro superano le 60 ore a set-
timana. I 40 dollari in pi di straordinario
che ricevono sono sempre risultati indi-
spensabili per pagare luce affitto gas. Tre
dei vincitori sono immigranti. Hanno la-
sciato il Vietnam e il Congo per trovare for-
tuna nella land of opportunity. E la for-
tuna arrivata, per tutti , in 8 parti uguali.
I moschettieri del Nebraska hanno
chiesto di ricevere la vincita invece che in
30 anni, in ununica soluzione. Ciascuno
avr circa 13 milioni di euro netti e in con-
tanti.
Giocavano, lavoravano e sognavano in-
sieme da 4 o 5 anni. Lultimo si aggiunto
al gruppo 3 settimane fa. Spesso anche i lo-
ro turni di lavoro, allimpacchettamento,
nella sezione sanitaria e della
manutenzione coincideva-
no.Venerd pomeriggio
Dung Tran 34 anni uno dei
due immigarti vietnamiti,
ha pescato la combinazione
giusta nel supermercato poi
andato regolarmente a lavorare
come meccanico al ConAgra
Food.
Quando marted ci siamo
accorti del biglietto vin-
cente - ha detto Tran -
non siamo pi riusciti a
dormire. Non sapevamo
come e dove conservar-
lo. Abbiamo girato 3 o 4
motel della zona fa-
cendo perdere le no-
stre tracce e veglian-
dolo come un tesoro.
Lo tenevo infilato nei
jeans, ma avevo paura
persino a tirarlo fuori. So-
lo quando abbiamo trovato un avvocato che
ha steso un accordo firmato da tutti e 8 nel
quale si chiariva la ripartizione della vin-
cita siamo andati allufficio del Lotto a de-
positarlo. Molti di noi sono ancora in stato
di trans. Non sappiamo cosa vuol dire
essere miliardari.
Qualcuno per lo sta imparan-
do molto in fretta.
Robert Stewart 30 anni si subi-
to licenziato dicendo: Ho fatto
cinque lavori nella mia vita e questo
stato lultimo.
Chasity Rutiens, 29 anni, unica ragazza
del gruppo mentre cerca di guardar-
si allo specchio come miliardaria
molto determinata nellindicare
come utilizzer la vincita. Il suo
fidanzato non contemplato nel-
le spese: Questi soldi rimar-
ranno miei e solo miei. Li vo-
glio far bastare per tutta la vita
e non intendo correre rischi.
Eric Zorners 40 anni ha gi
avuto la nausea da prosciut-
ti. Mi piace lavorare nel
macello, ma vi comunico che
sono gi in pensione da 4 giorni e ci
rimmar.
Anche la mano fortunata del gruppo
Dung Tran non andr pi al lavoro per un
po ma rimarr interi pomeriggi a giocare
coi suoi due bambini che non lo vedevano
mai quando faceva i turni.
Tutti hanno un sogno con una cifra si-
mile in mano dice Michael Terpstra 47 an-
ni. Potrebbero comprarsi unisola o un ae-
reo, ma io devo confessare che non sono
amante del volo e non mi piace nemmeno
lacqua. Comunque continuer a lavorare e
a vivere a Lincoln.
Ha le lacrime agli occhi Quang Dao il se-
condo immigrato vietnamita e riesce solo a
dire: Sono arrivato in America per essere
libero. Questo un grande paese. Oggi sono
libero e ricco.
Alin Maboussou, 26 anni, fuggito dal Con-
go ha una bambina di tre mesi in braccio e
dichiara davanti alle telecamere: Prima,
ogni mattina, ero preoccupato per come
farla studiare. Adesso sar una bambina fe-
lice per il resto dei suoi giorni.
Otto famiglie, otto vite semplici travolte
da un piacevolissimo destino. Il sogno
americano che in un colpo solo si molti-
plica e si integra in quello multirazziale.
Nessuno poteva immaginare una vincita al
Lotto pi simbolica. Chi ha sempre pensa-
to che la fortuna una dea bendata proba-
bilmente deve ricredersi.
Giampaolo Pioli
ANNO XI NUMERO 55 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO LUNED 6 MARZO 2006
GHEDDAFI. Angelo Del Boca, massimo
storico dellavventura coloniale italiana,
lapidario: Sostanzialmente, Gheddafi hara-
gione.
Professore, non crede che il colonnello
stia speculando sui disordini di Bengasi?
Probabilmente s. Ma se fossimo stati
pi corretti non saremmo a questo punto.
Gheddafi fa riferimento a promesse reali?
Gi negli accordi del 56 con re Idris il
nostro Paese si obbligava a costruire un
ospedale a Tripoli. Ho visto personalmente
lAllegato B che stabiliva questo impegno.
Nell84 anche Andreotti, allora ministro de-
gli Esteri, ha rinnovato la promessa. Ma la
Libia voleva una struttura con 1200 letti,
mentre noi ne offrivamo cento.
LItalia non ha mantenuto la parola data?
Ceravamo impegnati anche a sminare
la Marmarica, al confine con lEgitto, piena
di ordigni inglesi, tedeschi ma anche italia-
ni. Non se ne fatto nulla. Lunica promes-
samantenutastataquelladi ricostruirela
vicenda dei prigionieri libici ai tempi di
Giolitti. Ho fatto parte anchio di una com-
missione che ha appurato il destino di que-
sti 4000, deportati dopo la battaglia di Scia-
ra Sciat. Ne sono venuti fuori tre volumi di
dati: poca cosa, ma con unimportanza mo-
rale.
Intempi pirecenti si riparlatodegli im-
pegni italiani?
Anche Berlusconi, quando andato in
visita, ha rinnovato la promessa. Si parlava
di un ospedale da 63 mila euro, ma Ghed-
dafi ha rilanciato, chiedendo la costruzione
dellautostrada litoranea dalla Tunisia al-
lEgitto. Sono 1700 chilometri, sulla traccia
della via costruita da Italo Balbo. A questo
punto il conto sarebbe arrivato a tre miliar-
di di euro, e Berlusconi rimasto gelato.
Ei beni sequestrati agli italiani?
vero, nel 1970 il regime ha espulso 20
mila nostri connazionali e incamerato ter-
reni e immobili per duemila miliardi di li-
re. Gheddafi sostiene: era roba nostra. Ma
questo pu valere per le terre: alberghi, ci-
nema, aziende erano invece il frutto del la-
voro di persone che hanno trasferito l in-
telligenza e capacit italiane. Ma nessuno
dei nostri politici si mai seduto a un tavo-
lo con il colonnello per dire: facciamo una
stima, trattiamo. E poi, soprattutto, nessuno
ha mai chiesto scusa in sede ufficiale.
Ma questi conti insospeso giustificano lo-
stilit emersa a Bengasi?
Ricordiamoci che siamo stati protago-
nisti di unoccupazione sanguinosa, con 100
mila morti. Insomma, un libico su otto ha
perso la vita per difendere il suo Paese da-
gli italiani. Solovedendoquestecifresi pu
spiegare la rabbia libica (Giampaolo Ca-
dalanu, la Repubblica 4/3).
DEBITI/1 Il governo libico deve ancora
pagare 627 milioni di dollari a un centinaio
di aziendeitaliane. Per esempioil ministero
della Salute deve 10 milioni di dollari alla
Monteme, leForzearmate103allaAstaldi, il
Comitatoper linformazionerivoluzionaria8
milioni aTeleradioSicilia. Trai creditori an-
che Alitalia (7,6 milioni di dollari) e Impre-
gilo (39) (Paolo Emilio Russo, Libero 4/3).
DEBITI/2 Per pagare i debiti, il tennista
Bjorn Borg metter allasta il 21 giugno a
Londrai cinquetrofei vinti aWimbledontra
il 1976eil 1980pileracchetteDonnaydi le-
gnousateinduedi quellefinali (controil ru-
meno Nastase nel 1976 e lamericano McEn-
roe nel 1980). La casa daste Bonhams d al-
le racchette un valore oscillante tra i 15.000
ei 20.000euro. Per lecoppedargento, battu-
te in un unico lotto, si spera di ricavare tra i
300.000 e i 400.000 euro (F. M. Ricci, Corriere
della Sera 4/3).
SCI Secondo una ricerca Nielsen-Asso-
sport losci ladisciplinasportivapicosto-
sa, con 249 euro di spesa media annua solo
per lattrezzatura (L. Corna, Io Donna 25/2).
740 Quello di Marcello DellUtri nel 2005
stato di un milione di euro (Claudio Sa-
belli Fioretti, Magazine 23/2).
FIGLI Per il 2005 il presidente del Consi-
glio Silvio Berlusconi ha dichiarato un red-
dito di 3,5 milioni di euro (nel 2004 era di 12
milioni). Sono aumentate le tasse che paga
(un milione e mezzo di euro contro un mi-
lionee100 miladel 2004). Ladiminuzionedi
redditosi spiegasoprattuttoconlacessione
di azioni Fininvest ai figli Eleonora, Luigi e
Barbara: adessociascunodi loropossiedeil
7,5 per cento di Fininvest, come i figli pi
grandi PiersilvioeMarina. Il presidentedel
Consigliorimastoconil 62,5 per centodel-
le azioni, contro l87 di prima (Nino Sunse-
ri, Libero 3/3).
PADRE Alla nascita di Modigliani, il pa-
dre, finanziariamente in rovina (aveva pos-
seduto e prodotto olio, vino, mandorle, oli-
vi, erastatoproprietariodi miniereedi car-
bone), ordin di ammassare gli averi di ca-
sa sul letto della moglie: la legge vietava in-
fatti di sequestrare quanto era sul giaciglio
di una partoriente, e proprio quel giorno
era atteso lufficiale giudiziario (Fabio
Isman, Il Messaggero 20/2).
PARRUCCHIERI In Italia ci sono oltre
100 mila negozi di parrucchiere. Ogni anno
si spendono per la bellezza circa 7.300 mi-
liardi di euro (Lucia Corna, Io Donna
8/10/2005).
La Libia non ha tutti i torti, ma intanto paghi i debiti
BUS T E PAGA
ARBASINO Alberto. 76 anni, di Voghera.
Scrive su Repubblica. Autore di fama, ha
esorditonel 1959 conLanonimo lombardo. Ul-
timo libro: DallEllade a Bisanzio, Adelphi.
CADALANUGiampaolo. 48 anni, di Nuoro.
Ha iniziato a scrivere allUnione Sarda.
Nell89 era in Germania, da dove mandava
pezzi al Corriere della Sera. Nel 1996 stato
assuntodaRepubblica. Sposato, haduebam-
bini: Federico (8 anni) ed Elias (2). un bu-
limico della lettura e ogni tanto ama rileg-
gere Il giorno del giudizio di Salvatore Satta e
Dedalus di James Joyce. Il poco tempo libero
che ha lo dedica ai figli, ma non gli dispiace-
rebbe andare di pi al cinema e riprendere
a fare nuoto.
FERTILIODario. 56 anni, famiglia di ori-
gine dalmata e matrimonio precocissimo con
il CorrieredellaSera, cui nonneseguitoan-
cora uno con una fanciulla in carne ed ossa.
Libri: Le notizie del diavolo (Spirali), Arrembag-
gi e pensieri (Rizzoli), Teste a pera e teste a mela
(Rubettino), La morte rossa (Marsilio). Preferi-
sce il rugby al calcio, e niente (a parte la gra-
ziafemminile) loemozionacomegli scacchi e
la boxe.
MINA (Anna Mina Mazzini). 66 anni, da
Busto Arsizio, ma cresciuta a Cremona. la
pi grande cantante italiana del dopoguer-
ra: debutto nel 1958 alla Bussola di Marina
di Pietrasanta, esordio in tv lanno dopo al
Musichiere con Nessuno. Lattivit giornalisti-
ca ha inizio dopo il ritiro nel 1978 (ultimo
concerto alla Bussola di Viareggio, ultima
apparizione tv Ancora ancora ancora). Pezzi
settimanali su La Stampa e su Vanity Fair.
Ultimo disco: Allieva, in cui interpreta quat-
tordici brani a suo tempo cantati da Frank
Sinatra.
PIOLI Giampaolo. Inviato speciale per gli
Stati Uniti di Quotidiano Nazionale (Il Resto
del Carlino - La Nazione - Il Giorno) dal 1986.
Vive e lavora a NewYork.
POLESERanieri. Nato a Cascina (Pisa) nel
1946. Dopo la laurea in Filosofia ha collabo-
rato con la Nazione come critico cinemato-
grafico. Dal 1987 a LEuropeo, due anni dopo
passato al Corriere della Sera per lavorare
allinserto culturale del luned prima di di-
ventarecaporedattoreeinviato(1995). Passio-
ni: cinema, musica pop anni Sessanta e libri.
Ne ha anche scritto uno: Il filmdella mia vita,
Rizzoli 1995. Ha curato nel 2005 lalmanacco
Guanda La musica che abbiamo attraversato.
QUIRICO Domenico. 55 anni, di Asti, lau-
reato in Giurisprudenza. Sposato con Giu-
lietta, ha due figlie: Metella (ho una fissa
per lantichit classica) e Eleonora. Ha ini-
ziato a scrivere nell80 per La Stampa. sta-
to caposervizio degli Esteri, ora corrispon-
dente da Parigi. Libri: Lo squadrone bianco
(Mondadori, 2002) e Adua (Mondadori, 2004).
un grande appassionato della storia e
della societ africana. Nel tempo libero si
Gli otto operai che hanno vinto al lotto 310 milioni di euro
Impacchettavano bistecche nel Nebraska con in testa il sogno americano. Sbancando la lotteria hanno dimostrato che la fortuna non (sempre) cieca
IL FOGLIO quotidiano
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