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CLASSICA - Libro III - pagina 1

DOMENICO CARRO




C L A S S I C A

(OVVERO "LE COSE DELLA FLOTTA")


STORIA DELLA MARINA DI ROMA
TESTIMONIANZE DALL'ANTICHITA'


LE GRANDI COALIZIONI MARITTIME
NELL'ARCIPELAGO




IN COPERTINA:
Aquila romana trionfante
(Bassorilievo custodito nell'atrio della
chiesa SS. Apostoli di Roma)
E' vietata la riproduzione, anche parziale,
del testo e delle illustrazioni.


RIVISTA MARITTIMA 1994
CLASSICA - Libro III - pagina 2

I N D I C E




Pag.

PRESENTAZIONE ...................................................................................... 3


PREMESSA .................................................................................................. 4


CAPITOLO XXI
Inizio della II guerra Macedonica ......................................................... 6


CAPITOLO XXII
Tito e Lucio Quinzio Flaminino ..............................................................


CAPITOLO XXIII
Crisi Siriaca e fuga di Annibale ..............................................................


CAPITOLO XXIV
Guerra Spartana .......................................................................................


CAPITOLO XXV
Preparativi per la guerra Siriaca ..............................................................


CAPITOLO XXVI
Caio Livio Salinatore ..............................................................................


CAPITOLO XXVII
Controllo navale della sponda asiatica ...................................................


CAPITOLO XXVIII
Lucio Emilio Regillo ...............................................................................


CAPITOLO XXIX
Proiezione delle forze in Asia .................................................................


CAPITOLO XXX
Controllo dei mari d'Italia .......................................................................


BIBLIOGRAFIA .............................................................................................
CLASSICA - Libro III - pagina 3
PRESENTAZIONE



La pubblicazione di questa III Parte di "Classica" certamente destinata a
riscuotere il gradimento di quei Lettori che, avendo assaporato le prime due (dicembre
1992 e novembre 1993), hanno mostrato di attendere con una certa impazienza la
prosecuzione ed il completamento dell'opera.

In una lettera di solo pochi mesi fa, il Comandante Carro cos si esprimeva: "Mi
hanno singolarmente colpito le seguenti considerazioni che Tito Livio riporta all'inizio
del suo XXXVI libro: Essere arrivato al termine della narrazione della guerra punica d
anche a me un senso di sollievo, come se io stesso ne avessi condiviso il peso ed il
pericolo. A dir il vero, essendomi prefisso il compito di narrare per disteso tutti gli
avvenimenti della storia romana, non avrei ragione di trovare maggior fatica in quello o
questo periodo particolare di essa: tuttavia se penso che i sessantatr anni (tanti infatti
sono intercorsi dal principio della prima alla fine della seconda) mi hanno preso tanti libri
quanti occorsero per i quattrocento ottantotto anni dalla fondazione di Roma sino al
consolato di Appio Claudio, durante il quale si incominci a combattere contro i
Cartaginesi, vedo gi aprirmisi dinnanzi orizzonti sempre pi vasti, come ad uno che, fatti
i primi passi nelle acque basse del lido del mare, avanza poi verso l'alto; il compito
diventa pi gravoso, mi pare di essere trascinato verso un abisso senza fondo, mentre mi
illudevo che, condotta a termine quella prima parte, il resto sarebbe andato via pi
spedito [Liv.11]. Pur tenendo conto della particolare snellezza di Classica a fronte della
vastit dell'opera monumentale di Tito Livio, quel passo riflette in qualche modo la
situazione in cui mi trovo dopo aver gi visto pubblicare i primi due fascicoli ed aver
avviato la preparazione del terzo. Ci deriva dalle dimensioni complessive dell'impegno
(circa dieci fascicoli), dallo scarsissimo tempo di cui posso disporre e, paradossalmente,
anche dal discreto successo inizialmente riscosso".

Nonostante le comprensibili preoccupazioni dell'Autore, che ha continuato a
reggere l'Ufficio Piani ed Operazioni dello Stato Maggiore della Difesa mentre le forze
nazionali venivano impegnate in molteplici teatri di crisi (Adriatico, ex-Jugoslavia,
Somalia, Mozambico, Yemen e Ruanda), vediamo bene, da questa nuova parte dedicata
alle "Grandi Coalizioni marittime nell'Arcipelago", il grande impegno profuso dal
Comandante Carro, a cui va il nostro ringraziamento ed il pi caloroso incoraggiamento
per il prosieguo del lavoro.


Roma, 1 dicembre 1994

____________________

RIVISTA MARITTIMA
La Direzione
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P R E ME S S A

Se nella prima Guerra Punica (le cui epiche vicende sono state narrate nella I parte di
"Classica") i Romani riuscirono, a coronamento di un gigantesco ed indomabile impegno
sul piano prettamente navale, a strappare ai Cartaginesi il dominio del mare, fu nella
seconda Guerra Punica (o "Guerra Annibalica", che stata oggetto della II parte di
"Classica") che essi ebbero l'occasione di utilizzare il potere marittimo per contenere,
contrastare e finalmente eliminare la tremenda minaccia recata, per impulso di Annibale,
dalla citt rivale.
Nel corso di tale conflitto, infatti, la grande strategia marittima di Roma venne retta dal
Senato con perspicacia e lungimiranza, fronteggiando tutti gli imprevisti - ivi incluse le
gravissime situazioni di emergenza generate dall'incontenibile progressione di Annibale
nel teatro terrestre - con una serie di provvedimenti calibrati con accortezza ed indirizzati
in modo coerente con la trama che veniva tessuta per irretire progressivamente ed
inesorabilmente il nemico: precludendogli l'accesso al mare in Italia ed il controllo della
Sicilia, recidendo le sue linee di comunicazioni marittime, privandolo del suo serbatoio
logistico in Spagna e della possibilit di ricevere un consistente aiuto da parte della
Macedonia, costringendolo poi a combattere in Africa ed a rassegnarsi infine alle
condizioni della pace ed alla distruzione della sua flotta.
Sarebbe perlomeno singolare supporre che ci sia stato frutto di una fortunata casualit
anzich, come tutto lascia intendere, di un'ampia visione strategica e di una sicura
maestria nel gestire le risorse disponibili, avvalendosi soprattutto del potere marittimo per
ottenere un complesso di risultati - grandi e piccoli, prescelti con il consueto pragmatismo
ed opportunamente mirati - tali da concorrere in modo determinante al conseguimento
della vittoria finale.
Con l'avvenuta acquisizione della piena maturit della propria originale concezione
marittima, Roma entr, in quel periodo, nella pi importante fase della sua storia. I
Romani, infatti, costretti fin dai primi secoli dopo la fondazione dell'Urbe a lottare ed a
navigare per la propria sopravvivenza, erano stati in un primo tempo impegnati a
combattere intorno alla stessa citt con i popoli confinanti [Flo.1], riuscendo infine ad
affermarsi nel Lazio che comprende la foce del Tevere e Roma, capitale del mondo, sita
a 16 miglia [~23,7 km] di distanza dal mare [Plin.1]. Questa la prima et del popolo
romano, per cos dire la sua infanzia. Nel successivo periodo, che si potrebbe definire
l'adolescenza [Flo.1], i Romani avevano potuto estendere la propria influenza sulle altre
regioni della Penisola e sul Mediterraneo centrale e occidentale.
A quel punto, il popolo romano realmente cominci ad essere robusto: essendosi rese
possibili le prime proiezioni oltremare verso le penisole iberica e balcanica, inizi la fase
della giovinezza dell'impero. Questa fu la terza et del popolo romano, quella
transmarina, nel corso della quale, osando uscire dall'Italia, esso port le armi in tutto il
mondo [Flo.1].
Questa et transmarina (*) fu quella in cui Roma, per l'effetto combinato delle sue
esigenze di sicurezza sul mare e delle sue notevoli capacit di dominio navale, realizz la
propria progressiva espansione marittima, prima sulle isole pi vicine, poi sulle coste
dell'Iberia, della Dalmazia e dell'Ellade, passando in seguito in Asia ed in Africa, fino ad
acquisire un completo controllo tutto intorno al Mediterraneo. Se, per la propria
espansione, Roma avesse contato prioritariamente sulla forza delle proprie legioni e,
trovandosi a disagio sul mare - come ama ripetere chi poco conosce della Storia - avesse
relegato la flotta ad un ruolo di mero concorso alle operazioni terrestri, essa avrebbe
creato, secondo la logica, un impero continentale. Il carattere eminentemente marittimo
dell'impero romano, che si svilupp attraverso il mare fino ad occuparne tutte le rive e che
utilizz il mare stesso quale via di comunicazione e di raccordo (anzich circondarsene,
quale limite invalicabile per le conquiste terrestri), ci fornisce l'evidenza della naturale
vocazione marittima dei Romani e della non casualit delle scelte transmarine per mezzo
delle quali Roma pacific tutto il mondo [Flo.1].
____________
(*) Accogliendo volentieri in eredit questo aggettivo (in latino: transmarina [Flo.2]), mi sembra
opportuno che, nell'adottarlo in italiano, gli venga attribuito il pi ampio significato derivante dalla sua
duplice semantica ("che attraversa il mare" e "che sta al di l del mare"): con un'ottica consapevolmente
marittima, dovremo quindi considerare "transmarino" ci che si svolge in mare e, successivamente, anche
nei pressi o all'interno di una costa oltremare.
CLASSICA - Libro III - pagina 5
In questa III parte di "Classica", ritroviamo Annibale che, vinto in Africa, esule e
insofferente della pace, cercava in tutto il mondo un nemico per il popolo romano
[Flo.1], Alle nuove sfide lanciate, in successione, dai re Filippo V di Macedonia ed
Antioco III il Grande di Siria, i Romani risposero con spedizioni transmarine in Grecia ed
in Asia, raccogliendo intorno a s, soprattutto per le operazioni marittime nell'Egeo
(l'"Arcipelago" per antonomasia), delle ampie coalizioni che non potrebbero non
richiamare alla mente quanto si recentemente visto in vari teatri di crisi, ed in particolare
nel Golfo Persico.
Non vi fu altra guerra pi temibile per la sua fama. Ne certo vi era nulla che pi della
Siria fosse fornita abbondantemente di uomini, ricchezze, armi [Flo.1]. Inoltre, la Siria
produce il cedro che si adopera per le triremi. [Teof.].
Nell'ultimo capitolo, l'attenzione viene nuovamente concentrata sul controllo marittimo
intorno alla nostra Penisola e sui confini stessi di questa Italia di cui i Romani seppero
adeguatamente apprezzare l'assoluta unicit: in tutto il mondo, per quanto si estende la
volta celeste, la regione fra tutte pi bella per quei prodotti che giustamente occupano il
primo posto nella natura l'Italia, regina e seconda madre del mondo, per i suoi uomini e
le sue donne, i suoi capi e i suoi militi, la superiorit nelle arti, la rinomanza dei suoi
geni, e ancora la sua posizione geografica e la salubrit del suo clima temperato, il facile
accesso offerto a tutti i popoli, le coste ricche di porti, il soffio benigno dei venti
[Plin.4].
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CAPITOLO XXI
INIZIO DELLA II GUERRA MACEDONICA

LE RELAZIONI CON I MACEDONI

La contesa ebbe origine dal patto, gi riferito nel precedente Capitolo XV, con cui il
re Filippo V di Macedonia gi da tempo si era unito come alleato ad Annibale, mentre
questi era padrone dell'Italia. Perci, sotto il consolato di Levino, per la prima volta il
popolo romano entr nel mare ellenico e percorse tutti i lidi della Grecia con la sua
flotta come in trionfo [Flo.1].
La prima Guerra Macedonica si era poi conclusa nel 204 a.C., 10 anni dopo l'inizio delle
operazioni navali romane, con la firma della pace alle condizioni dettate, forte della
propria flotta, dal proconsole Publio Sempronio Tuditano.
Nel 202 a.C., essendo stato riferito al Senato che i Macedoni avevano compiuto delle
devastazioni sui territori delle citt greche alleate ed avevano anche inviato delle forze e
del denaro in Africa per aiutare i Cartaginesi (vedasi Capitolo XX), un'ambasceria
romana, di cui faceva parte il legato Marco Aurelio, si era recata con tre quinqueremi da
Filippo, per notificargli che tali atti erano considerati contrari al recente trattato di pace.

LA MINACCIA NAVALE MACEDONE

Nel 201 a.C., finalmente libero dagli impegni marittimi e d'oltremare contro Cartagine, il
Senato decret che il console P. Elio mandasse qualcuno, scelto da lui stesso, che
prendesse in consegna la flotta che Gneo Ottavio doveva ricondurre dalla Sicilia e con
essa passare in Macedonia; fu mandato il propretore Marco Valerio Levino, il quale al
comando delle trentotto navi ricevute a Vibone da Gneo Ottavio raggiunse la Macedonia.
Venne ad incontrarlo il legato Marco Aurelio dal quale fu informato del gran numero di
navi messe insieme dal re e degli approcci che il re stesso o personalmente o per mezzo di
legati andava facendo non solo con le citt del continente, ma anche con le isole per
indurle a prendere le armi: sicch i Romani dovevano prepararsi ad affrontare la guerra
con maggior impegno, affinch Filippo, approfittando del loro indugiare, non osasse
ritentare l'impresa di Pirro [Liv.9].
Nel campo marittimo, Filippo rappresentava una minaccia tutt'altro che trascurabile. Egli
aveva prescritto ai popoli delle sue maremme di apparecchiare una flotta, e con questa
pigli Samo e Chio [App.1]. Cos, in occasione della battaglia navale di Chio contro le
navi del re Attalo e di Rodi (202 a.C.), egli disponeva gi di una flotta costituita da
cinquantatr navi corazzate e da centocinquanta navi semplici fra lembi e "pristi",
anche se non aveva potuto allestire tutte le navi che erano in Samo [Pol.1].
Pi tardi, Filippo convinse Dicearco d'Etolia, che era stato il proprio Ammiraglio, a
darsi alla pirateria, e gli diede per questo venti navi. Gli affid anche il compito di
raccogliere i tributi dalle isole e di andare in aiuto ai Cretesi nella guerra contro Rodi. E
quello ubbidiva alle consegne, pirateggiava i commercianti, saccheggiava le isole e ne
riscuoteva i tributi [Diod.2].

I MOTIVI DELLA GUERRA

Gi da molti anni il Senato era profondamente irritato con il re Filippo per gli aiuti che
egli aveva prestato ai Cartaginesi e perch, con le sue prepotenze contro gli alleati del
popolo romano quando la guerra divampava in Italia, aveva messo i Romani nella
necessit di mandare flotte ed eserciti in Grecia, il che aveva causato una sottrazione di
forze e portato specialmente un ritardo dello sbarco in Africa [Liv.9].
Ora si delineavano ben pi gravi motivi di allarme: la crescita della potenza navale
macedone, le ostilit di Filippo contro tutti i pi importanti amici dei Romani nei mari
ellenici (le citt alleate, il re Attalo ed i Rodi) e l'ulteriore insidia al potere marittimo
costituita dalla pirateria fomentata dal re macedone.
Giunsero opportune a stimolare gli animi alla guerra lettere del legato M. Aurelio e del
propretore M. Valerio Levino ed una nuova ambasceria degli Ateniesi la quale informava
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che il re si avvicinava ai loro confini e che ben presto non solo il territorio ma anche la
citt stessa sarebbero caduti in suo potere se i Romani non avessero portato qualche
aiuto [Liv.9].

LA SCELTA DELL'OPZIONE TRANSMARINA

Nel 200 a.C., pochi mesi dopo la pace concessa ai Cartaginesi, essendo consoli P.
Sulpicio Galba e C. Aurelio [Cotta], ebbe principio la guerra con il re Filippo. La sorte
design al comando della Macedonia Publio Sulpicio Galba [Liv.9], il quale dovette
innanzi tutto convincere il popolo (che pareva piuttosto restio) ad approvare la spedizione
oltremare.
Convocati i comizi nel campo Marzio, il console, chiamato a raccolta il popolo, prima
di dar corso alla votazione, cos parl: "Mi pare, o Quiriti, che voi non abbiate bene
inteso che non vi si chiede il vostro parere a proposito di fare o no la guerra - il che non
lasciato alla vostra libera scelta da Filippo che sta scatenando una grossa guerra per
mare e per terra -, ma se si debbano trasportare le legioni in Macedonia o stare ad
aspettare il nemico in Italia; certo che proprio codesto Filippo che si era gi
accordato con Annibale, per mezzo di legati e di lettere, per fare uno sbarco in Italia, non
pot muoversi dalla Macedonia perch gli fu mandato contro con una flotta Levino che
gli portava la guerra in casa. E quello che si fece allora, quando avevamo in Italia un
nemico come Annibale, non ci decideremo a farlo ora, dopo aver cacciato dall'Italia
Annibale, dopo aver sconfitto i Cartaginesi? Ebbene: lasciamo che il re abbia la prova
della nostra indolenza espugnando Atene, come l'ebbe Annibale espugnando Sagunto.
Non dopo cinque mesi, come fu per Annibale da Sagunto, ma dopo cinque giorni dalla
sua partenza con le navi da Corinto egli sar qui in Italia" [Liv.9]. Se Annibale, quindi,
era stato temibilissimo su terra, l'ex-alleato di Annibale costituiva ora una minaccia ancor
pi temibile, poich poteva tentare una proiezione delle proprie forze dal mare.
Dopo questo discorso, il popolo, chiamato a dare il voto, approv la guerra con la
formula usuale [Liv.9].

I MACEDONI ASSEDIANO ATENE - AVVIO DELLA SPEDIZIONE TRANSMARINA

Il re Filippo mand Filocle, uno dei suoi prefetti, a saccheggiare il territorio degli
Ateniesi [Liv.9]. In tal modo, mentre egli si addentrava in Tracia e nel Chersoneso, con
l'intenzione di passare in Asia, con altra parte di esercito malmenava l'Attica, e strinse
Atene di assedio, come se niuna di tali cose interessasse i Romani [App.1].
Ma a Roma tutto era pronto. Il console Publio Sulpicio, rivestito del "paludamento",
accompagnato da littori, part dalla citt e si rec a Brindisi, dove scelse alquante navi
dalla flotta di Gneo Cornelio [Lentulo]: di l salp [Liv.9], intanto che Lucio (Apustio)
comandava la flotta [App.1]; nel giorno seguente a quello a cui era salpato da Brindisi
giunse in Macedonia. Ivi furono pronti ad incontrarlo legati degli Ateniesi che lo
pregarono di liberarli dall'assedio.
Fu tosto mandato ad Atene C. Claudio Centone con venti navi lunghe e un migliaio di
militi ("militum") [Liv.9].

FILIPPO ASSEDIA ABIDO

Il re Filippo infatti non si trovava personalmente all'assedio di Atene; egli era
fortemente impegnato nell'espugnazione di Abido, poich si sentiva sostenuto
dall'alleanza stretta con Antioco, re della Siria [Liv.9].
Mi sembra superfluo descrivere particolareggiatamente la posizione di Abido e di
Sesto. Si pu comprendere quanto sia vantaggiosa la posizione delle suddette citt, non
tanto dalla descrizione diretta, quanto dal confronto con gli altri luoghi dei quali ora
parler. Come non possibile passare nel mare che alcuni chiamano Oceano, altri
Atlantico, se non attraverso le Colonne d'Ercole, cos non possibile passare dal nostro
mare nella Propontide e nel Ponto se non attraverso lo stretto di Sesto e di Abido.
Inoltre, lo Stretto di Abido in posizione pi favorevole che non le Colonne d'Ercole
perch essendo abitate le regioni che lo circondano da entrambe le parti, sembra una
CLASSICA - Libro III - pagina 8
porta attraverso le due sponde possono comunicare: qualche volta fu costruito su di esso
un ponte, in modo che si potesse passare a piedi da un continente all'altro; per lo pi esso
viene attraversato per mare [Pol.1].
La citt di Abido circondata da entrambe le parti da promontori appartenenti
all'Europa e possiede un porto capace di difendere da ogni vento quanti vi approdano.
Non possibile invece ancorarsi in alcun luogo fuori dal porto presso la citt a causa
della violenza e della rapidit della corrente nello Stretto.
Filippo dopo aver piantato palizzate e scavato fosse, assedi Abido per terra e per mare
[Pol.1].

AMBASCERIA ROMANA DA FILIPPO

In quei giorni, entravano a Rodi le navi romane che portavano i tre legati inviati dal
Senato nel Mediterraneo orientale per annunziare ai re Tolomeo (dell'Egitto) ed Antioco
(della Siria), la felice conclusione della II Guerra Punica. I Romani informati a Rodi
dell'assedio di Abido e volendosi incontrare con Filippo in persona in obbedienza agli
ordini ricevuti, rimandarono la loro ambasceria ai due re e inviarono Marco Emilio
[Lepido] ad Abido. Fu cos che Marco Emilio, il pi giovane degli ambasciatori
romani, veleggi verso Abido [Pol.1], dove raggiunse Filippo, e gli rifer le decisioni
del senato sulla questione degli alleati [Diod.2]. In particolare, gli disse che il senato lo
diffidava dal muover guerra ad alcun popolo greco e dall'immischiarsi nelle faccende di
Tolomeo; gli imponeva inoltre di render conto delle ingiustizie compiute a danno di
Attalo e dei Rodi; se non avesse voluto, si aspettasse la guerra da parte dei Romani
[Pol.1].

CADUTA DI ABIDO

Avendo il re macedone respinto tali ingiunzioni, i Romani si allontanarono; Filippo,
impadronitosi della citt, trov ammassate le ricchezze degli Abideni; questi ultimi, per
non soggiacere al re macedone, senza indugio si diedero la morte famiglia per famiglia
[Pol.1].
Come per Annibale lo scempio di Sagunto, cos per Filippo la strage di Abido fu la
spinta decisiva ad assumere la guerra contro i Romani: suoi informatori gli portarono la
notizia che il console aveva gi condotto in Epiro ad Apollonia l'esercito terrestre, e
costituito la base navale a Corf [Liv.9].

OPERAZIONI NAVALI DI CAIO CLAUDIO CENTONE A DIFESA DI ATENE

Caio Claudio [Centone] con le triremi romane tolte dalla flotta che stanziava in secco a
Corf e mandate, come si detto sopra, ad Atene, arrivato al Pireo, aveva aperto a
grandi speranze gli animi degli alleati ormai sfiduciati. Ci, in quanto la presenza
navale romana vanificava l'assedio assicurando agli Ateniesi il libero uso del mare. Infatti,
le navi dei pirati, che movendo da Calcide rendevano pericolosi non solo il mare ma
anche tutto il territorio litoraneo degli Ateniesi, non osavano pi passare oltre il Sunio;
anzi, nemmeno arrischiarsi in mare aperto al di l dello stretto di Euripo.
Si aggregarono (alle navi romane) tre quadriremi di Rodi e tre navi ateniesi scoperte,
allestite specialmente per la difesa dei territori litoranei. A giudizio di Claudio codesta
flotta poteva bastare per il momento solo a difendere la citt di Atene e i suoi campi; ma
gli si present anche l'occasione per una impresa di maggiore importanza [Liv.9],
nell'isola di Eubea.

PRESA NAVALE DI CALCIDE

Alcuni esuli costretti a fuggire da Calcide per le soperchierie del partito regio lo
informarono che si poteva occupare la citt senza alcuna lotta: ch i Macedoni
ritenendosi sicuri per l'assenza di nemici vicini andavan vagando or qua or l, e gli
abitanti fidandosi del presidio macedone non si curavano della difesa della citt. Con la
CLASSICA - Libro III - pagina 9
garanzia di costoro, Claudio part (con le navi) e, quantunque fosse giunto al capo Sunio
in tempo da poter raggiungere l'imboccatura del canale dell'Eubea, tenne la flotta alla
banda sino alla notte per evitare di essere veduto se avesse girato il promontorio. Al
calar delle prime tenebre riprese la navigazione e con mare tranquillo giunse a Calcide
sul far del giorno e, attaccandola dalla parte meno popolata, con pochi soldati prese di
scalata la torre pi vicina e il muro ad essa contiguo: le sentinelle o dormivano o
mancavano del tutto. Andarono in fiamme i granai regi e i magazzini militari con tutte
le attrezzature e le macchine di guerra; tutta quanta la preda, raccolta prima nel Foro,
fu poi trasportata sulle navi. I Rodii irruppero anche nel carcere e ne liberarono i
prigionieri che Filippo vi teneva rinchiusi in sicurissima prigione. Infine furono abbattute
e mutilate le statue del re. E, dato il segnale della ritirata, risalirono sulle navi e
tornarono al Pireo donde erano partiti. Ch se il numero dei soldati romani fosse stato
sufficiente a conservare il possesso di Calcide senza abbandonare la difesa di Atene -
importante presa di posizione all'inizio delle ostilit - Calcide e l'Euripo erano perdute
per Filippo: perch come in terra le gole delle Termopili sono le chiave della Grecia, cos
lo stretto dell'Euripo lo era per mare [Liv.9].

IL CONCORSO NAVALE ALLA DIFESA DI ATENE

Filippo in quei giorni si trovava a Demetriade; bramoso di vendetta, si mise
immediatamente in rapida marcia verso Calcide. Dopo aver visto lo spettacolo
desolato della citt alleata semidistrutta e incendiata, passando l'Euripo su di un
ponte, si port attraverso la Beozia ad Atene [Liv.9], ove arriv di sera. Siccome gli
Ateniesi si chiusero in citt, Filippo si accamp presso il Cinosarge; quindi fece
incendiare l'Accademia e saccheggi le tombe e rec anche oltraggio al santuario degli
di [Diod.2].
Il giorno seguente, le porte di Atene vennero aperte perch erano entrate in citt truppe
di aiuto mandate da Egina dal re Attalo e dal Pireo dai Romani [Liv.9].
Filippo si diresse quindi ad Eleusi nella speranza di potersi impadronire di sorpresa del
tempio e delle opere di fortificazione che lo dominano e lo circondano; tuttavia,
accortosi che la vigilanza non era punto trascurata e che dal Pireo veniva in aiuto la
flotta romana, rinunziando al tentativo, and a Megara e poi subito a Corinto [Liv.9].
Nel periodo di tempo che Filippo pass in Acaia, Filocle, suo prefetto, partito
dall'Eubea con duemila soldati traci e macedoni, valic il Citerone dalla parte di Eleusi
per saccheggiare il territorio ateniese; a tal fine, egli si mosse per conquistare la
fortezza eleusina; ma costretto a ritirarsi per i molti feriti, si congiunse con Filippo che
tornava dall'Acaia. Questi ritent personalmente l'impresa; ma le navi romane che
sopraggiungevano dal Pireo e un rinforzo di truppe introdotto nella fortezza costrinsero
lui pure a rinunziare a quel tentativo.
Divise allora di nuovo l'esercito e mand Filocle con una parte di esso ad Atene, mentre
con l'altra si diresse al Pireo. Ma la conquista del Pireo non fu pi facile di quella di
Eleusi, questa e quello difesi quasi dagli stessi combattenti. Dal Pireo corse tosto ad
Atene. Da l, per, venne ricacciato da una improvvisa sortita, balzata fuori dalle
anguste brecce del muro semidiroccato che congiunge con due braccia il Pireo con
Atene [Liv.9].
Filippo, infine, abbandonata l'idea di espugnare la citt, proced ad un nuovo
saccheggio del territorio; poi, pass in Beozia, n comp altro meritevole di essere
ricordato [Liv.9].

CONTATTI CON ATTALO, CON RODI E CON LA LEGA ETOLICA

Il console Sulpicio che allora aveva il suo campo sul fiume Apso, tra Apollonia e
Durazzo, chiam a s il legato L. Apustio, gli affid una parte delle sue forze e lo mand
a saccheggiare territori nemici. Apustio comp la sua opera di devastazione nelle estreme
regioni della Macedonia e ritorn con buona preda. Il legato, consegnate al console
incolumi le truppe, fu tosto rinviato alla flotta [Liv.9].
Dopo questa spedizione ben riuscita, molti rappresentanti di popolazioni limitrofe alla
Macedonia si presentarono al campo romano. Ciascuno veniva ad offrire l'opera sua.
Publio Sulpicio incaric Aminandro [re degli Atamani] di attirare alla guerra gli Etoli.
CLASSICA - Libro III - pagina 10
Ai legati di Attalo - giunti pure in quel tempo - diede ordine che il loro re aspettasse ad
Egina, dove svernava, la flotta romana; si unisse ad essa per metter alle strette Filippo,
come gi era stato fatto. Anche ai Rodii furono mandati legati per stimolarli a prendere
parte attiva alla guerra [Liv.9].
Poco tempo dopo, si tenne a Naupatto l'adunanza generale della Lega Etolica. Vi
presero anche parte sia dei legati dei Macedoni, stretti agli Etoli da un recentissimo
patto di alleanza, sia il legato L. Furio Purpurione mandato dal console e degli
ambasciatori degli Ateniesi [Liv.9].
Pareva che il discorso dell'ambasciatore romano avesse ottenuto l'adesione generale
degli ascoltatori, quando il pretore degli Etoli, Damocrito, riusc a chiudere la riunione
con una sospensiva, non pronunziandosi n per un partito n per l'altro [Liv.9].

AVVIO DELLE OPERAZIONI NAVALI DI LUCIO APUSTIO

Gi al principio dell'estate la flotta romana partita da Corf agli ordini del legato L.
Apustio, doppiato il capo Maleo, si un a quella del re Attalo al promontorio Scilleo,
della regione di Ermione. Ed allora davvero il popolo Ateniese, nella speranza dell'aiuto
vicino, diede libero sfogo a quell'odio contro Filippo che la paura aveva tenuto
compresso lungo tempo. In quella citt non fanno mai difetto chiacchieroni sempre pronti
ad eccitare la plebe; gena che sempre, in tutte le citt libere, ma allora specialmente in
Atene, dove l'arte della parola tenuta in gran conto, si alimenta del favore delle masse.
Essi proposero subito una legge - che la plebe sanzion - per la quale vennero bandite le
immagini ed il nome di Filippo, che doveva anche essere oggetto di maledizioni nelle
pubbliche preghiere, mentre si facevano voti per il popolo ateniese, per i suoi alleati e
per i loro eserciti e le loro flotte [Liv.9].

CAMPAGNA NAVALE NELL'EGEO CENTRO-SETTENTRIONALE

Attalo e i Romani, partiti da Ermione, raggiunsero prima il Pireo, dove si fermarono
alquanti giorni, quasi oppressi dagli Ateniesi con decreti tanto eccessivi in onore degli
alleati quanto erano stati eccessivi nello sfogo dell'ira contro il nemico: navigarono poi
dal Pireo ad Andro. Gettate le ancore nel porto, detto Gaurio, mandarono alcuni che
saggiassero lo stato d'animo dei cittadini, se fossero, cio, disposti a consegnare
volontariamente la citt anzich esperimentare la forza: fu risposto che la rocca della
citt era in mano di una guarnigione macedone; il re e il legato romano allora,
sbarcate le truppe e il materiale occorrente per l'espugnazione di una citt, mossero
all'attacco da diverse parti. I Greci, che non avevano mai visto eserciti romani, n soldati
attaccare cos risolutamente le mura, ne furono atterriti, e fuggirono precipitosamente
sulla rocca, lasciando la citt alla merc dei nemici. E col rimasero due giorni, pi
fidando nella posizione che non nella forza delle armi, ma il terzo, tanto essi quanto il
presidio macedone, chiesta e ottenuta la concessione di essere trasportati a Delio di
Beozia portando seco soltanto le vesti, consegnarono la citt con la rocca. Essa fu data
dai Romani in potere di Attalo; presero per s e asportarono la preda e tutto ci che
abbelliva la citt [Liv.9].
Da Andro passarono a Citno. Spesi ivi alcuni giorni in un vano tentativo di espugnare la
citt, giudicando che la conquista non compensava la fatica, se ne partirono e
raggiunsero Prasia, piccola localit della costa dell'Attica. Col venti piccole unit degli
Issei entrarono a far parte della flotta romana; furono subito mandate a saccheggiare il
territorio dei Caristi, mentre il resto delle navi stava ad attenderli a Geresto, noto porto
dell'Eubea.
Quando tornarono, tutti quanti insieme veleggiarono al largo in mare aperto e,
oltrepassata Sciro, giunsero all'isola di Ico, dove un furioso vento del nord li trattenne
per alcuni giorni. Non appena si ebbe un poco di bonaccia, passarono a Sciato, la citt
poco prima saccheggiata e distrutta da Filippo. I soldati si sparsero per i campi e
riportarono alle navi frumento e quant'altro poteva servire di cibo: di preda non era il
caso di parlare n, del resto, quei Greci avevano meritato di essere depredati.
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