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Fondato nel 1868

Pubblicato dalla
SERIE XIII - VOLUME IV
FASCICOLO 1
GENNAIO-MARZO 2011
LO SPAZIO DELLA DIFFERENZA
a cura di
Rachele Borghi e Marcella Schmidt di Friedberg
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Fondato nel 1868
Pubblicato dalla
SERIE XIII - VOLUME IV
FASCICOLO 1
GENNAIO-MARZO 2011
LO SPAZIO DELLA DIFFERENZA
a cura di
Rachele Borghi e Marcella Schmidt di Friedberg
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Gli scritti proposti in pubblicazione al Bollettino della Societ Geografica
Italiana, prima di essere accettati e inclusi nella sezione Articoli, sono soggetti
alla lettura di tre revisori esterni (peer review) alla Redazione. La revisione a
doppio cieco (double blind) e i pareri sono considerati vincolanti. Al gennaio
2011 collaborano alla revisione i colleghi:
John Agnew (Universit di Los Angeles, Stati Uniti), Abel Albet i Mas (Universit
Autonoma di Barcellona, Spagna), Onofrio Amoruso (Universit di Bari), Marco
Antonsich (Universit di Budapest, Ungheria), Marcella Arca (Universit Roma
Tre), Corradino Astengo (Universit di Genova), Stefania Bertazzon (Universit
di Calgary, Canada), Marina Bertoncin (Universit di Padova), Josep Vicent
Boira i Maiques (Universit di Valencia, Spagna), Paola Bonora (Universit di
Bologna), Ilaria Caraci Luzzana (Roma), Emanuela Casti (Universit di
Bergamo), Raffaele Cattedra (Universit di Montpellier 3, Francia), Carlo
Cencini (Universit di Bologna), Batrice Collignon (Universit di Parigi 1,
Francia), Berardo Cori (Universit di Pisa), Giacomo Corna Pellegrini (Milano),
Mara Rosa Cozzani de Palmada (Universit di Cuyo, Argentina), Fiorella
Dallari (Universit di Bologna), Egidio Dansero (Universit di Torino), Elena
dellAgnese (Universit di Milano Bicocca), Giuseppe Dematteis (Politecnico di
Torino), Gino De Vecchis (Universit di Roma La Sapienza), Francesco Dramis
(Universit Roma Tre), Paolo Roberto Federici (Universit di Pisa), Laura
Federzoni (Universit di Bologna), Jaume Feliu Torrent (Universit di Girona,
Spagna), Mario Fumagalli (Politecnico di Milano), Luigi Gaffuri (Universit
dellAquila), Guillaume Giroir (Universit di Orlans, Francia), Francesca
Governa (Politecnico di Torino), Dorina Ilie (Universit di Oradea, Romania),
Arturo Lanzani (Politecnico di Milano), Mirella Loda (Universit di Firenze),
Gerardo Massimi (Universit di Chieti-Pescara), Salvatore Milli (Universit di
Roma La Sapienza), Claudio Minca (Universit di Durham, Gran Bretagna),
Cl udio J. Moura de Castil ho (Universit di Pernambuco, Brasile),
Giandomenico Patrizi (Roma), Peris Persi (Universit di Urbino), Petros
Petsimeris (Universit di Parigi-Sorbona, Francia), Fabio Pollice (Universit di
Napoli Federico II), Carlo Pongetti (Universit di Macerata), Massimo Quaini
(Universit di Genova), Claude Raffestin (Ginevra), Franco Rapetti (Universit di
Pisa), Luisa Rossi (Universit di Parma), Vittorio Ruggiero (Universit di Catania),
Marcella Schmidt di Friedberg (Universit di Milano Bicocca), Joo Seixas
(Universit di Lisbona, Portogallo), Giovanni Sistu (Universit di Cagliari),
Claudio Smiraglia (Universit di Milano), Luigi Stanzione (Universit della
Basilicata), Francesco Surdich (Universit di Genova), Francesco Vallerani
(Universit di Venezia Ca Foscari), Lida Viganoni (Universit di Napoli
LOrientale), Gabriele Zanetto (Universit di Venezia Ca Foscari), Luca Zarrilli
(Universit di Chieti-Pescara).
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SOMMARIO
7 Rachele BORGHI e Marcella SCHMIDT di FRIEDBERG
Introduzione [Introduction]
Articoli
13 David BELL e Jon BINNIE
Remapping Desire. Riflessioni sulle geografie delle sessualit [Remapping
Desire: Thoughts on the Geographies of Sexualities]
23 Monica M. PASQUINO
Se la filosofia del linguaggio incontra la politica queer [Philosophy of Lan-
guage meets Queer Theory]
31 Marianne BLIDON
La citt e gli effetti delleteronormativit. Emancipazione, normalizzazio-
ne e produzione di soggetti gay [The Town and the Effects of Heteronorma-
tivity. Emancipation, Normalization and Production of Gay Subjects]
41 Gisella CORTESI, Elena IZIS e Michela LAZZERONI
Vivere la differenza: come la citt ridisegna s stessa in una prospettiva
cosmopolita [Living the Difference: How the City Repaints Itself into a
Cosmopolitan Perspective]
51 Victoria Ayeln SOSA
Ripensare il gay friendly. Turismo e mercificazione della differenza nella
citt di Buenos Aires [Rethinking Gay Friendly: Tourism and Commodifica-
tion of Difference in the City of Buenos Aires]
63 Fiammetta MARTEGANI e Chen MISGAV
Lanno prossimo... a Tel Aviv. Queering the Representations from the Out-
side and the Inside [Next Year... in Tel Aviv. Queering the Representa-
tions from the Outside and the Inside]
73 Mirella LODA, Silvia ARU e Diego CARIANI
La convivenza urbana nello spazio pubblico fiorentino. Pratiche sociali e
negoziazione della differenza [Florentine Urban Public Spaces: Social Prac-
tices and Negotiation of the Difference]
83 Adriano CANCELLIERI
La citt e le differenze. Tra battaglie per il senso del luogo e welfare space
[The City and the Differences. The Struggles over the Sense of Place and the
Empowerment of the Welfare Space]
93 Claire HANCOCK
Il luogo della differenza. Stabilire luguaglianza, aprire spazi di soggettiva-
zione politica [Placing Difference: Establishing Equality, Opening Spaces
for Political Subjectification]
103 Lawrence BERG
Geografia femminista (neo)liberalismo supremazia bianca [Feminist
Geography (Neo)Liberalism White Supremacy]
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113 Elena dellAGNESE
Mens sana in corpore sano? Dis-abilit e differenza fisica fra Hollywood e
Bollywood [Mens sana in corpore sano? Dis-ability and Physical Differen-
ce between Hollywood and Bollywood]
125 Juliet FALL
Dolori della crescita. Quando le erbacce invadono il giardino [Growing
Pains: When Weedy Others take over the Garden]
137 Federico FERRETTI
GIS femminista e queer GIS. Conflitti epistemologici nella rappresentazione
dello spazio [Feminist GIS and Queer GIS: Epistemological Conflicts in the
Representation of Space]
147 Simon MAURANO
Gli spazi delle differenze nei conflitti ambientali [The Spaces of Differences
in the Environmental Conflicts]
159 Michele IPPOLITO
Pratiche cosmopolite in ambiente urbano [Cosmopolitan Practices in Urban
Context]
165 Maria Laura PAPPALARDO e Paola MARAZZINI
Seduti s, sdraiati no. Dalle panchine anti-barbone di Verona uno sguardo
sul diverso [You may sit, but not lay down: From the Anti Homeless Ben-
ches of Verona a Look on the Misfit]
179 Elena IZIS e Paolo MACCHIA
Il chilometro gay. Nascita ed evoluzione del primo queer space italiano:
Torre del Lago Puccini in Versilia [The Chilometro Gay: The First Queer
Space in Italy. The Case of Torre del Lago Puccini in Versilia (Tuscany)]
187 Stefano MALATESTA
Superare una didattica eminentemente rappresentazionale. Leducazione
geografica pu davvero essere attiva, individuale e attenta alle differenze?
[Overcome the Representational Approach to School Geography. Can Geo-
graphical Education be Active, Subjective and Difference-Oriented?]
195 Enrico SQUARCINA, Marinella BALDUCCI e Fiammetta MARTEGANI
Ragazze e ragazzi nella geografia dei libri scolastici [Girls and Boys and
Italian School Books]
205 Lorenzo BAGNOLI
Chinate sullago, su rapida spola, su ferro che scorre, su ruota che vola.
Gender, cultural e post-colonial studies dallultracentenario periodico La
Lavoratrice [Chinate sullago, su rapida spola, su ferro che scorre, su ruota
che vola. Gender, Cultural and Post-Colonial Studies from the Ultracente-
narian Review La Lavoratrice]
213 Fatma Zohra MEBTOUCHE NEDJAI
Il rapporto rurale/urbano attraverso gli insulti verso le donne. Qualche
riflessione dal punto di vista della pragmalinguistica [Exclusion Relation
between Rural/Urban Character through Insults to Women: A Pragmalingui-
stic Study]
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In memoria di Daniela Lombardi
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 7-12
RACHELE BORGHI - MARCELLA SCHMIDT DI FRIEDBERG
INTRODUZIONE (*)
Lo spazio, per la geografia, non un semplice sfondo per le azioni umane,
una piattaforma statica di relazioni sociali, quanto piuttosto una delle loro dimen-
sioni costitutive, a sua volta prodotto storicamente, riconfigurato e trasformato
(Brenner, 1999, p. 40). Per Doreen Massey: Immaginare lo spazio come la sfera
delle possibilit dellesistenza delle molteplicit [] si accorda inoltre con la cre-
scente enfasi posta, in epoca recente, dal discorso politico progressista sulla dif-
ferenza e sulla molteplicit (Massey, 2009, p. 41). Gli studi pi recenti sul rap-
porto tra differenza e spazio hanno dimostrato come lo spazio pubblico sia co-
struito intorno alla nozione di comportamento appropriato. Lo spazio pubblico
pensato, gestito e modellato in base a una rigida concezione dualistica (ma-
schio/femmina, lecito/illecito, eterosessuale/omosessuale, italiano/immigrato, sa-
no/malato, giovane/vecchio). Le pratiche discorsive che influenzano e, spesso,
determinano luso dello spazio pubblico, la natura gendered dello spazio sociale
sono nascoste dietro la naturalizzazione della divisione tra spazio pubblico e spa-
zio privato, riflesso della divisione della vita sociale in pubblica e privata (Borghi
e dellAgnese, 2009). Lo spazio pubblico, fortemente normato, quindi, tende
spesso a escludere i modi di vivere considerati non conformi alla supposta nor-
malit e, dal punto di vista del genere, non centrati sulla monogamia, leteroses-
sualit e il sesso procreativo, cardini dellordine sociale nella maggior parte delle
societ patriarcali. Inoltre, lesclusione spaziale dei dissidenti, di quegli individui
cio che non si conformano per diverse ragioni a ci che considerato normale,
contribuisce a riprodurre le nozioni di cittadinanza e di diritto sulla base dellete-
ronormativit (Hubbard, 2001). Con tale termine sintende la naturalizzazione del-
leterosessualit quale unica e normale espressione delle relazioni sessuali allin-
terno dello spazio pubblico (Wiegman, 2006).
(*) Dedichiamo questo numero monografico del Bollettino della Societ Geografica Italiana a
Daniela Lombardi, scomparsa il 21 gennaio 2011: la ricordiamo come amica, collega, studiosa e inse-
gnante, sempre disponibile, sempre pronta a spendersi per la geografia e per i giovani. Daniela,
nonostante il progredire della malattia, ha partecipato attivamente alla realizzazione di questopera,
in tutte le sue fasi fino alla conclusione, dalla progettazione e organizzazione del Convegno (come
membro del Comitato Scientifico), alla selezione dei draft, stata chair di Sessione, ha partecipato
alla scelta degli articoli da pubblicare e alla loro elaborazione come referee.
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Lo spazio pubblico gioca un ruolo fondamentale nella costruzione e nella le-
gittimazione di una serie di politiche, formulate a partire da tale concetto, mai ve-
ramente esplicitato. Relegare la sessualit solo alla sfera privata dellindividuo si-
gnifica ignorarne la funzione di dispositivo nella formazione dellidentit colletti-
va: ci che rappresenta il potere dello spazio normativo la sua presunta neutra-
lit (Borghi, 2010). I soggetti deboli, infatti, non sono soltanto le donne o gli
omosessuali, ma anche lumanit freak formata, secondo la fotografa americana
Diane Arbus, dagli individui che possiedono solo in parte, o non possiedono af-
fatto, le caratteristiche necessarie per rientrare nella categoria di soggetti norma-
li. Il corpo giusto che occupa a pieno diritto lo spazio pubblico , infatti, etero-
sessuale, bianco, occidentale, giovane e sano: quanto esula da questi parametri
viene rapidamente classificato nella a-normalit. Tale processo si riflette sulla pia-
nificazione degli spazi pubblici, in particolare urbani, che diventano contenitori
della normalit, traendo la loro forza da una presunta neutralit. Ecco allora che
uno spazio considerato neutro pu diventare estremamente violento dal momen-
to che mette al bando i soggetti sbagliati, quali anziani, bambini, immigrati, di-
versamente abili e animali. Lo spazio di tutti si trasforma tacitamente nello spazio
di pochi, ove si manifestano dinamiche di potere, tradotte in pratiche di esclusio-
ne e di marginalizzazione dei soggetti deboli.
A partite da queste premesse, abbiamo voluto qui proporre una riflessione sul-
la questione dello spazio pubblico, a chi appartenga e come vi si acceda; su quel-
le che possono essere considerate violazioni alle regole della normalit, sulle
norme e su come lo spazio (quello urbano in particolare) rifletta tali dinamiche.
La constatazione della scarsit di ricerche geografiche in Italia intorno a questi te-
mi ha stimolato liniziativa di riunire studiosi e studiose della disciplina dapprima
in un convegno che si tenuto presso le Facolt di Scienze della Formazione e di
Sociologia dellUniversit di Milano-Bicocca (
1
), dal 20 al 22 ottobre 2010, e di
proporre, poi, alcuni dei contributi in questo numero del Bollettino. La risposta
al binomio spazio-differenza stata assai ricca e stimolante; come il lettore avr
modo di osservare, gli articoli qui raccolti ricoprono una gamma di temi assai am-
pia e varia. La scelta tra i contributi proposti al Convegno non stata facile e, ben-
ch alcuni di essi non provengano da studiosi di geografia, il denominatore co-
mune privilegiato nella scelta stato sempre lo spazio. Abbiamo prediletto i casi
di studio, a costo di penalizzare a volte lo sviluppo del quadro teorico e metodo-
logico; i contributi sono brevi per dare pi spunti, lanciare idee e offrire una pa-
noramica quanto pi possibile ampia dei filoni di ricerca, delle piste da percorre-
re seguendo chi le sta gi percorrendo, per scoprire, magari, lungo il tragitto, altri
sentieri, senza avere timore di addentrarvisi. Il punto di riferimento si conferma la
citt, da intendere come un laboratorio, ove possibile osservare e anche parte-
cipare a modalit di uso dello spazio e politiche di inclusione/esclusione e, allo
stesso tempo, pratiche di resistenza alle norme messe in atto, di territorializzazio-
ne spontanea di alcuni gruppi in spazi pubblici secondari (o interstiziali). Risultati
8 Rachele Borghi e Marcella Schmidt di Friedberg
(1) Con il contributo del Centro Interdipartimentale per lo Studio dei Problemi di Genere
ABCD.
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Introduzione 9
interessanti sono emersi dalla percezione che i soggetti hanno dello spazio urba-
no e dei luoghi ove si instaurano le relazioni e si vivono le differenze, perch
proprio lo spazio a definire larea semantica in cui avviene il contatto.
Il linguaggio non mai neutrale e il suo uso, come la sua traduzione, di-
ventano un progetto politico. Il tema trattato in questa sede ci ha messo di fronte
a una serie di scelte e di questioni legate alluso di termini problematici e ci ha
offerto spunti di riflessione su come affrontare, anche dal punto di vista
linguistico, fenomeni ancora poco conosciuti e contraddittori, come tutto ci che
riguarda il politicamente corretto. Scontrarsi con i limiti del linguaggio significa,
tuttavia, tentare di superarli e dare visibilit ai problemi. La scelta pi difficile
stata quella di rassegnarci a usare il genere maschile per intendere maschile e
femminile; litaliano ci pone di fronte allobbligo di fare una scelta, una scelta non
solo di carattere linguistico ma che assume spesso connotati di carattere politico.
In una societ dimpronta maschilista e patriarcale come la nostra, infatti, non si
pu pensare che luso del maschile per indicare maschile e femminile sia un atto
neutro. Luso del maschile legittima di fatto lo stato delle cose e contribuisce a
perpetrare il ruolo ancora subordinato delle donne nella sfera pubblica e nella
rappresentanza politica. Si nota, inoltre, come nelle sedi istituzionali del nostro
paese, universit comprese, nella letteratura scientifica e nella pubblicistica,
anche di alto livello, non si sia ancora stabilita, come in altri paesi, una prassi
linguistica non discriminatoria. In questa sede, alcuni autori hanno specificato la
scelta terminologica, altri hanno utilizzato le virgolette, alcuni usano lacronimo
LGBTQ (Lesbian, Gay, Bisex, Transgender, Questioning), altri solo LGBT: emerge
comunque la mancanza di uniformit e di codificazione di un linguaggio non
ancora consolidato. Tale assenza di un metodo e di una terminologia condivisa
mostra come molti temi siano ancora troppo poco diffusi nella ricerca
accademica.
Il contesto di riferimento internazionale e interdisciplinare: linterdisciplina-
rit permette di confrontarsi con altre chiavi di lettura del territorio (sociologiche,
per esempio), di osservare luso dei concetti geografici in una prospettiva compa-
rativa e di offrire una lettura spaziale di fenomeni gi ampiamente trattati nelle
scienze sociali, a livello nazionale e internazionale, ma ancora molto trascurati
dalla geografia. Lintenzione di delineare una traccia per un dialogo interdisci-
plinare, un compito sempre difficile, sempre auspicato, ma troppo spesso dato
per scontato.
La cornice teorica di riferimento prevalente quella che intreccia la queer
theory con gli studi postcoloniali nelle loro interconnessioni tra genere, sesso, et-
nia e condizione sociale. La critica ai modelli dominanti e a una visione del mon-
do dicotomica che tende ad abbinare a fenomeni e persone etichette identitarie
accomuna questi approcci teorici, figli del cultural turn degli anni Settanta. Il
confronto internazionale qui dobbligo, in riferimento soprattutto allabbondan-
te letteratura anglosassone e a quella francofona che permette un confronto e un
riposizionamento del nostro contesto rispetto a quello europeo.
Il filone di pensiero queer ha avuto il merito di mettere in discussione le eti-
chette sessuali, evidenziando tutte le declinazioni multiple e creative del deside-
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rio e dei suoi oggetti. Il termine rimanda alla fenomenologia dello strano e di tut-
te le sue accezioni (eccentrico, dubbio, poco chiaro, deviante), fino a prendere la
connotazione dispregiativa (checca, finocchio) che ne ha dato la lingua dellete-
rosessualit normativa. Lutilizzo del termine queer ha subito diversi e profondi
cambiamenti ed tuttora controverso; esso non un semplice sinonimo di LGBT,
un termine politico. Alcuni LGBT hanno scelto di appropriarsi di una connota-
zione generalmente utilizzata in maniera denigratoria per metterla al servizio di
un progetto politico che contrastasse la tradizionale divisione binaria uo-
mo/donna, maschile/femminile, nonch la mano oppressiva delleteronormati-
vit (Rondinone, 2009). Lesperienza spaziale dei gay e delle lesbiche, infatti, non
consiste tanto in una forma di segregazione e di esclusione quanto in uningiun-
zione costante allinvisibilit, accantonando cos lomosessualit alla sfera privata,
al placard, prima espressione della violenza, a parte qualche rara eccezione spa-
ziale e temporale come i gay pride (Blidon, 2009).
In un quadro teorico cos denso e stimolante sinseriscono e sintrecciano, in
modo non sempre coerente e ordinato, i percorsi di oltre venti studiosi e studiose,
italiani e stranieri che hanno prima aderito alliniziativa del convegno, poi svilup-
pato la loro riflessione sul tema della differenza. Gli autori e le autrici degli artico-
li qui riuniti hanno colto la sfida di produrre lavori su argomenti, come la geogra-
fia della sessualit e della dissidenza, che penano ancora a ricevere la giusta legit-
timazione a livello accademico, legati spesso invece allimpegno della societ ci-
vile. Non solo i contenuti ma anche gli stili narrativi sono molto diversi, evidente
risultato da una parte di un tentativo di sperimentazione, dallaltra di un abbando-
no dellidea di oggettivit della produzione della conoscenza, a favore della pre-
sa di posizione. Molti autori e autrici usano la prima persona singolare; in questa
maniera mettono in primo piano la loro soggettivit e posizione di fronte allog-
getto di ricerca, inserendosi cos nella tradizione sviluppata dalla critica femmini-
sta. I gender studies, infatti, hanno reagito contro lidea che la scientificit (e quin-
di legittimit) dei contenuti sia subordinata a unimpostazione metodologica e sti-
listica oggettiva (in particolare nella ricerca sul campo). In questa maniera, nuo-
vi modi di comprendere il mondo e di rappresentarlo sono stati legittimati e si so-
no sviluppate metodologie di ricerca altre rispetto a quelle istituzionali, metten-
do in discussione la produzione della conoscenza anche in campi riservati tradi-
zionalmente alloggettivit scientifica per eccellenza, come la cartografia e i GIS.
La critica femminista ha il merito di aver aperto la strada alluso di strumenti din-
dagine che si focalizzano sui soggetti e che mettono in luce gli aspetti nascosti,
irrazionali, motivazionali, sentimentali, esistenziali, connessi con il coinvolgimen-
to degli individui nelle azioni spaziali (Cortesi, 2006, p. 319). Storie di vita, bio-
grafie personali, inchieste, interviste individuali, produzioni letterarie e artistiche,
narrative, performances, confronti generazionali hanno affiancato i metodi tradi-
zionali dindagine, dando finalmente il giusto rilievo alla componente soggettiva
della ricerca e valorizzando i prodotti dellincontro tra ricercatore/trice e narrato-
re/trice (Borghi, 2009).
Il filo rosso che riunisce tutti i lavori presentati il loro rapporto con la sfera
della politica: la definizione di norma (e di trasgressione di essa), sia linguistica
10 Rachele Borghi e Marcella Schmidt di Friedberg
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Introduzione 11
sia operativa, diventa centrale come metro del potere nella sfera sociale e si esten-
de ai contesti pi vari, dal genere e dalleteronormativit alluso pubblico della
citt e dei suoi spazi interstiziali, al corpo sbagliato, al razzismo, al non umano
(linvasione di specie aliene), ai movimenti di cittadini, allopposizione alla ca-
morra, allinsegnamento della geografia, al linguaggio nella sua funzione normati-
va: dallincontro/scontro tra valori e protagonisti diversi emergono idee alternati-
ve di territorializzazione; il valore delle differenze e il potere delle norme si trasfe-
riscono allo spazio della politica, uno spazio carico oggi di nuovi significati, non
sempre legato alla rappresentazione istituzionale, in continua costruzione, in ri-
sposta a nuove forme di resistenza, di partecipazione, di rottura dellordine, ma
questo forse potr essere il tema di un altro convegno.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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INTRODUCTION. Public space plays a key role in the construction and legitimiza-
tion of a set of political measures advanced through a concept of heteronormativity, never
precisely defined. In this volume we aim at investigate any form of violations to the rules
of normality, and to explore the multiplicity and diversity of geographic subjects. Our
intention is to focus on concept first originated within gender studies and then developed
in queer theory, in order to reflect on any form of social exclusion reproduced in, and
thus legitimized by, public space. It is a consequence of such a process that what we con-
sider as neutral spaces are, in fact, extremely violent spaces of exclusion for ab-normal
individuals, such as the elderly, children, LGTB, migrants, differently able people, and ani-
mals. In a very subtle way, therefore, public space although it apparently belongs to
everybody becomes a space for a few, where power relationships become visible and
translated into practices of exclusion and marginalization of vulnerable subjects. The arti-
cles collected here cover a wide and varied range of issues: from the public use of the city
and its interstitial spaces, to queer and LGBT spaces, the wrong body, racism, non-
humans, movements of citizen, the teaching of geography, language in its regulatory func-
tion. The thread that unites all the works submitted is the relationship with the sphere of
politics and the definition of norms (and the transgression of it).
Universit degli Studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Storia
rachele.bor@gmail.com
Universit degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la
Formazione Riccardo Massa
marcella.schmidt@unimib.it
12 Rachele Borghi e Marcella Schmidt di Friedberg
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 13-21
DAVID BELL - JON BINNIE
REMAPPING DESIRE
RIFLESSIONI SULLE GEOGRAFIE DELLE SESSUALIT
Step Back in Time. La storia dello sviluppo delle geografie delle sessualit
come area di ricerca rivelatrice di molti aspetti della disciplina nel suo comples-
so, e del suo specifico rapporto con la sfera della differenza. Uno dei primi con-
tributi in tal senso risulta certamente il lavoro proposto da Barbara Weightman
(1980) sulla semiotica dei bar gay, in cui la sessualit viene affrontata come forma
di cultura e in quanto tale analizzata e mappata: questo tipo di lavoro apre un
varco nella ricerca volta a esaminare il rapporto tra sessualit e geografie, e per-
tanto anche sulla possibilit per i geografi di analizzare e studiare questo tipo di
luoghi e di spazi. Anche il sociologo Manuel Castells propose un lavoro simile
nella sua opera The City and the Grassroots (1983), mappando la sociologia urba-
na dellomosessualit come fenomeno sociale, culturale e politico, con una parti-
colare attenzione rivolta alla citt di San Francisco. Altri studiosi si sono cimentati
nellanalisi delle diverse problematiche relative ai rapporti tra geografia e sessua-
lit: in particolare Bob McNee (1984) nel saggio If You Are Squeamish, racconto
di un field trip svoltosi nellarea di Castro, a San Francisco, organizzato dellAsso-
ciazione dei Geografi Americani nel corso della Conferenza Annuale. Questo re-
soconto ha determinato un vero e proprio dibattito, relativo al modo in cui la geo-
grafia pu riflettere sulla sessualit, cercando di evitare il rischio sia di scandaliz-
zare il pubblico, sia di finire con lesoticizzare largomento.
Nel corso degli anni Ottanta, il lavoro relativo a queste tematiche si sviluppa
sempre di pi, e la sessualit (o quanto meno lomosessualit) diventa oggetto di
forte dibattito nella geografia anglofona, anche in libri di testo come Maps of Mea-
ning di Peter Jackson (1989), dove ancora una volta al centro dellanalisi troviamo
San Francisco e gran parte delle riflessioni sviluppate precedentemente da Castells.
Linclusione di questo dibattito in Maps of Meaning risulta molto significativa per
la geografia anglofona perch contribuisce al processo di posizionamento (e le-
gittimazione) dello studio delle geografie delle sessualit; inoltre svolge anche la
funzione di collocare questo tipo di riflessione nel contesto pi specifico della co-
siddetta new cultural geography, ovvero una geografia influenzata e ispirata dai
cultural studies e dalla prospettiva post-strutturalista, particolarmente interessata
allo studio della differenza nella costruzione delle politiche identitarie. Senza
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dubbio, questo tipo di posizionamento ha anche posto dei limiti al ruolo della
sessualit allinterno della geografia, come stato messo in luce dalle critiche
mosse precedentemente gi al cultural turn stesso: di essere troppo culturale, te-
stuale e postmoderno (Barnett, 1998).
Un altro momento cruciale nella storia della disciplina si ebbe lanno successi-
vo al lavoro di Jackson, con la pubblicazione di The Social Consequences of Ho-
mosexuality di Larry Knopp (1990). Questo articolo, infatti, come il precedente la-
voro di Jackson, ha fornito una vasta panoramica di alcuni di quelli che oggi risul-
tano lavori chiave nello sviluppo della disciplina, esplicitando perch le sessualit
potrebbero diventare un oggetto di studio rilevante per i geografi. La pubblicazio-
ne dellarticolo ha determinato un dibattito molto acceso, con tanto di lettere di
protesta indirizzate alla stessa rivista (rivolta sia alle universit sia alle scuole), so-
stenendo che largomento proposto fosse alquanto inappropriato. Lo stesso arti-
colo, tuttavia, cattura anche lattenzione di un docente di un corso di geografia so-
ciale, avvicinatosi da poco a questo tipo di dibattito. A seguito della lettura sia del-
larticolo sia delle lettere di protesta, David decide non solo di inserire il tema del-
la sessualit nellambito del suo corso, ma anche di allargare il proprio sguardo su
quanto pubblicato fino ad allora, per riflettere su che tipo di direzione avrebbe
potuto intraprendere la ricerca nella disciplina. Da questo lavoro di ricerca
emerso il suo articolo Insignificant Others (Bell, 1991), che si concludeva con un
appello rivolto a coloro che lavorano sullo stesso tema, al fine di poter sviluppare
un dibattito. Grazie anche a questo appello ha avuto luogo, nel 1992, la Conferen-
za Sexuality & Space Network e, sempre nello stesso anno, stato concepito Map-
ping Desire.
Alla stregua di Maps of Meaning, Mapping Desire (Bell e Valentine, 1995) rap-
presenta una tappa simbolica nella sua ambivalenza tra inclusione e accettazio-
ne della sessualit (pur se entro certi limiti) come argomento della geografia, ma
anche ricollocazione del tema come argomento peculiare della cultural geo-
graphy in quanto disciplina innovativa e trendy, e pertanto in linea con il cultural
turn di quegli anni, nel quale il ruolo della casa editrice britannica Routledge
stato determinante.
La funzione di Mapping Desire nello sviluppo e nella legittimazione della di-
sciplina risulta ancora oggi decisamente rilevante, come possibile osservare dal-
le bibliografie di riferimento e dagli scaffali delle biblioteche dedicate al tema. Un
tema particolarmente interessante, che ha vissuto una storia altrettanto interessan-
te, ma che ormai oggi appartiene al passato, e riflette il tempo (e il luogo) in cui
stato concepito: le maggiori preoccupazioni degli anni Novanta, cos come le teo-
rie e gli oggetti di ricerca che erano rilevanti allora. Oggi si tratta dunque di una
sorta di testimonianza, quasi di un pezzo da museo. Quando ci siamo riuniti al-
cuni di noi a Parigi la scorsa estate per celebrare il quindicesimo compleanno
dellopera, abbiamo dedicato un momento della riflessione persino su cosa stesse
a significare e a suggerire lo sguardo dellombelico rappresentato sulla copertina
del libro, al fine di riflettere su cosa significhi, oggi, Mapping Desire. In ogni caso,
dopo la sua pubblicazione, ci siamo resi conto di come il tema della sessualit ini-
ziasse a diffondersi attraverso la geografia umana, sia pure in modo non unifor-
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Remapping Desire. Riflessioni sulle geografie delle sessualit 15
me, passando dalle roccaforti della geografia culturale, urbana e femminista, fino
a trovare il suo spazio allinterno di tutte le diverse branche della geografia: dalla
rurale alleconomica, dalla politica alla storica e alla medica.
Se la diffusione di una geografia delle sessualit stata in certi momenti sol-
tanto parziale e in ogni caso molto irregolare, possibile comunque individuare
una sorta di mappatura, o quanto meno una sua collocazione, allinterno della
stessa geografia. I contributi pi recenti, come Geographies of Sexualities di
Browne, Lim e Brown (2007) e Space, Place and Sex di Johnston e Longhurst
(2010), testimoniano, infatti, come il lavoro relativo a questa disciplina si sia spin-
to verso nuove direzioni. Ed entro tutta la geografia umana abbiamo modo di ri-
scontrare lo sviluppo di diversi filoni di ricerca che spesso si intersecano tra di lo-
ro: come per esempio nella geografia rurale, allinterno della quale stato avviato
un programma di ricerca molto stimolante sulle sessualit rurali (si veda, per una
sintesi, Little, 2002).
Queer Geography? Quando abbiamo deciso di scrivere Mapping Desire, il
nostro sguardo non rappresentava solo quello della geografia, ma anche la gran-
de influenza che la teoria e gli studi queer stavano avendo in quel momento stori-
co. E cos abbiamo cercato anche di introdurre alcuni contributi geografici nel pi
ampio pubblico dei queer studies. Limpatto iniziale in questo contesto stato ab-
bastanza disomogeneo: se, da una parte, molti di coloro che si muovevano nel-
lambito della teoria queer si sono interessati ai temi legati allo spazio, dallaltra,
solo pochi si sono davvero impegnati nello sviluppo di ricerche specificatamente
geografiche, forse perch la geografia vista ancora come una materia noiosa,
troppo scientifica rispetto alla carica di riferimenti umanistici su cui era basata
tutta la teoria queer. In un certo senso, il flusso di traffico intellettuale stato ab-
bastanza a senso unico. Tuttavia, oggi possiamo vedere come la teoria queer ab-
bia avuto un profondo impatto sulle geografie delle sessualit, fornendoci nuovi
oggetti di studio e nuovi strumenti con cui cimentarsi. E questo ci porta a pensare
al nostro specifico apporto allo studio della geografia delle sessualit, e a riflettere
su alcuni dei limiti e degli aspetti pi critici in questo lavoro.
Una delle principali critiche rivolte alle geografie delle sessualit quella di
essere troppo gay. Per esempio, Richard Phillips (2006) rimprovera Mapping
Desire per il suo focalizzarsi sullomosessualit, e per non aver provato a riflettere
attorno alla pi ampia sfera delle sessualit diverse e sulle diverse geografie delle
sessualit. Le critiche di Phillips relative al primo lavoro interamente dedicato al-
la geografia non soltanto gay, ma rivolta anche alle esperienze lesbiche, bisessua-
li e transgender, rimangono ancora oggi alquanto sconcertanti. Tuttavia, nei ter-
mini di lungo periodo ha avuto modo di rivelarsi anche come valido. Negli ultimi
anni, infatti, si assistito a un ampliamento del lavoro sulla sessualit, volto a in-
cludere un fenomeno significativo e centrale, ovvero tutto il lavoro sviluppatosi
attorno alla prostituzione e allo sfruttamento sessuale: in particolare, i lavori di
Phil Hubbard (2000, 2008), Phil Howell (2009) e di Stephen Legg (2010). Hubbard
(2000; 2008), infatti, ha ribadito pi volte la necessit che le geografie delle ses-
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sualit si impegnino pi intensamente nellassumere le eterosessualit come og-
getto di studio, e ha ragione a sostenere che le eterosessualit rimangono ancora
oggi poco studiate nellambito della ricerca geografica sulla sessualit. Allo stesso
modo va sottolineato come ancora oggi esista una ricerca abbastanza limitata re-
lativa ai transgender (Doan, 2007; Namaste, 1996; Browne, Nash e Hines, 2010) e
alla bisessualit (Hemmings, 2002), argomenti che restano affrontati solo in parte
nelle geografie delle sessualit.
Unosservazione molto critica, emersa anche al di fuori della geografia, quel-
la di Judith Halberstam che, facendo riferimento anche a Phillips, sottolinea come
nella ricerca su sessualit e spazio emergano per lo pi uomini gay e possibil-
mente bianchi. In In a Queer Time and Place Halberstam sostiene che: The liter-
ature on sexuality and space is growing rapidly, but it tends to focus on gay men,
and it is often comparative only to the extent that it takes white gay male sexual
communities as a highly evolved model that other sexual cultures try to imitate
and reproduce (2005, pp. 12-13). La critica di Halberstam (pur basandosi, va det-
to, su una lettura abbastanza sommaria e superficiale della letteratura), mette in
luce una serie di lacune relative alle geografie lesbiche, come quelle di Gill Valen-
tine, Lynda Johnston e Linda Peake. Tuttavia, le osservazioni di Halberstam han-
no aperto la via alla necessit di allargare il dibattito entro la disciplina, suscitando
contributi come quelli di Natalie Oswin e Heidi Nast. Negli ultimi anni abbiamo
registrato un crescente numero di lavori che esaminano le politiche intersettoriali
tra razza e sessualit: per esempio la ricerca di Andrew Tucker (2009) sulla geo-
grafia politica delle disuguaglianze sociali e sessuali a Citt del Capo, e il lavoro di
Camila Bassi (2006) sugli spazi delleconomia rosa a Birmingham. Grazie al con-
cetto di intersectionality e alle sue radici intellettuali che attingono al femminismo
nero, il suo contributo stato prezioso nel mettere in discussione il modo mono-
litico con cui la nozione stessa di identit pu rischiare di escludere le identit
multiple. Tuttavia altri studiosi, come per esempio Umut Erel (Erel e altri, 2008) e
Jasbir Puar (2005), hanno sostenuto che il concetto di intersectionality possa al
tempo stesso rischiare di risultare ambiguo: As a tool of diversity management,
and a mantra of liberal multiculturalism, intersectionality colludes with the disci-
plinary apparatus of the state census, demography, racial profiling, surveillance
in that difference is encased within a structural container that simply wishes
the messiness of identity into a formulaic grid (Puar, 2005, p. 128). A nostro avvi-
so, proprio questo concetto di disordine, peculiare delle identit, che spesso
sfuggito alla ricerca sulla sessualit, nonostante lo spirito decostruzionista che ca-
ratterizza la teoria queer. Come afferma Lee Edelman (2004, p. 17): Queerness
can never define an identity; it can only disturb one.
Un ulteriore limite rappresentato dallegemonia anglo-americana della ricer-
ca sulla sessualit in geografia, il che pu in parte essere ritracciato nelle origini,
esposte in precedenza, del lavoro geografico incrementatosi anche grazie allim-
patto del femminismo e del cultural turn, che si sono sviluppati in modo dise-
guale nella geografia internazionale (Monk, 1994). Come geografi della sessualit
dobbiamo anche essere particolarmente attenti alle politiche della localit, nella
produzione di geografie e metodologie queer, nonostante che si sia percorsa gi
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molta strada, grazie anche al lavoro di Jasbir Puar (2005), volto a destabilizzare le
politiche locali.
Fin dagli albori della ricerca relativa alle geografie delle sessualit, come per
esempio la discussione sullinibizione di McNee (1984), i ricercatori hanno cerca-
to di comprendere e sfidare il ruolo di emarginazione della sessualit in quanto
potenziale fattore di conoscenza nellambito della disciplina. Influenzati dalla cri-
tica femminista alle conoscenze geografiche, i geografi della sessualit hanno cer-
cato di offrire un quadro epistemologico queer per la geografia, anche se in que-
sto contesto, come sostiene Howell (2007), risulta singolare come i geografi delle
sessualit non abbiano fatto un uso pi ampio del lavoro di Michel Foucault. Al
centro della tesi avanzata in Coming Out of Geography (Binnie, 1997) cera pro-
prio il tentativo di mettere in discussione la base fortemente positivista della co-
noscenza geografica: una base epistemologica che ha reso la soggettivit sessuale
e la complessa materialit del sesso come qualcosa di irrilevante.
Qui vogliamo sostenere che il problema nei confronti della sessualit, tipico
della geografia anglo-americana, potrebbe essere in parte fatto risalire alla storia
relativamente recente della disciplina: in particolare alla rivoluzione quantitativa
negli anni Cinquanta e Sessanta, e alla posizione della disciplina a met strada tra
scienze sociali e naturali, con uno scarso impegno verso le questioni della posi-
zionalit e della riflessivit, cos come verso la complessa questione relativa alla
materialit. Fortunatamente oggi assistiamo ad esempi di lavoro sulla pratica ses-
suale e sul ruolo di primo piano del ricercatore, come per esempio nel saggio di
Gavin Brown (2008) sui servizi igienici pubblici utilizzati per incontri sessua-
li. Inoltre, grazie soprattutto al lavoro di Karen Nairn (2003) si sviluppata anche
una critica relativa alla politica istituzionale della sessualit entro gli spazi peda-
gogici, come per esempio i field trip. Il tema della politica sessuale nella produ-
zione di conoscenza geografica e la valenza politica del fare ricerca sulla sessua-
lit hanno sviluppato inoltre un vivo dibattito relativo al come fare ricerca sulla
sessualit. Coming Out of Geography era rimasto sullo sfondo nella Gran Breta-
gna della prima met degli anni Novanta, periodo di intensa creativit intellettua-
le e politica, anche in risposta alle politiche statali nei confronti dei movimenti
dissidenti emersi durante la crisi causata dallAIDS. Lobiettivo di sviluppare una
prospettiva epistemologica e metodologica queer intendeva anche promuovere
una conoscenza anti-omofobica e anti-erotofobica, ispirandosi soprattutto al lavo-
ro di Foucault sulla sfida al potere in quanto parte della produzione discorsiva
della conoscenza.
Mentre non possiamo che sostenere con entusiasmo il recente sviluppo di una
pi ampia gamma di prospettive queer sulle metodologie e sulle epistemologie,
come dimostra luscita di Queer Methods and Methodologies di Browne e Nash
(2010), e del numero speciale del Graduate Journal of Social Science sulle meto-
dologie queer (Kulpa e Liinason, 2008), tuttavia oggi siamo ancora meno fiducio-
si nella possibilit di vedere emergere una metodologia che risulti queer per defi-
nizione nel suo statuto epistemologico, e anche se il tema dellomofobia e delle-
rotofobia nella disciplina sono altrettanto importanti ancora oggi, ogni narrazione
trionfalista relativa al progresso della teoria queer entro la Critical Human Geo-
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graphy andrebbe sempre guardata con sospetto. Cos come, nei dibattiti relativi
alla geografia femminista, la metodologia quantitativa risultata centrale nella
stessa prassi femminista, allo stesso modo dovremmo riconoscere il forte poten-
ziale queer che linfluenza di determinate metodologie (comprese sia quella
quantitativa sia quella qualitativa, come messo in luce nei recenti saggi di Michael
Brown e Larry Knopp, 2008, e di Kath Browne, 2007) potrebbe sviluppare al fine
di costruire un approccio metodologico queer appropriato.
Sappiamo bene che il concetto di queer rimane pur sempre un concetto con-
troverso, forse (ancora di pi) rispetto a quando si svincolato dallattivismo poli-
tico e accademico dei primi anni Novanta. Chi pu definire cosa e fino a che pun-
to queer, e cosa rende queer una metodologia? Nelle recenti opere di Muoz
(2009), Edelman (2004) e Halberstam (2005) sono stati avanzati ambiziosi (e spes-
so contrastanti) tentativi di delineare metodologie queer. Per Muoz, per esem-
pio, una metodologia queer implica una rivisitazione del rapporto tra passato,
presente e futuro, attraverso la produzione di un luogo e di un tempo utopi-
co. Tuttavia, avanzare una metodologia queer significa inevitabilmente anche
aderire a una visione collettiva su cosa si intende per queer, il che potrebbe per
esempio mettere in discussione la proposta di Muoz, in quanto non include altri
tipi di letture, altre potenzialit. Muoz, infatti, non sempre fornisce prove molto
convincenti a sostegno della sua tesi. Tuttavia, sarebbe auspicabile anche articola-
re un approccio pi rigoroso alle metodologie queer, senza necessariamente do-
versi ritrovare allinterno di un nozionismo prescrittivo di una metodologia queer
corretta, in particolar modo in geografia: una disciplina che ha sofferto di una
base metodologica quasi endemicamente prescrittiva su ci che definisce un mo-
do legittimo di fare ricerca geografica. In quanto studioso di performance studies,
Muoz si esprime in tal modo in merito alleffetto conservatore dellempirismo
positivista: practices of knowledge production that are content merely to cull se-
lectively from the past, while striking a pose of positivist undertaking or empirical
knowledge retrieval, often nullify the political imagination (2009, p. 27).
Esiste inoltre un pericolo nel tentativo di articolare a tutti i costi un unico ap-
proccio metodologico queer. nostra opinione che in relazione alla ricerca in
materia di sessualit lapproccio qualitativo a volte possa, come per esempio nel-
lapproccio di Muoz, rischiare di incoraggiare una visione delle cose attraverso
dicotomie morali tra buoni e cattivi. La sua analisi, infatti, talvolta tende a re-
stringere il campo delle possibilit e delle interpretazioni critiche dei fenomeni e
dei significati (tanto da supporre di aver chiaro chi e cosa queer e cosa non lo
), mentre Edelman, per esempio, cerca di fare il contrario, e di respingere ogni ti-
po di chiusura e di fissit delle identit.
In questa analisi abbiamo dunque cercato di esaminare alcuni dei limiti del la-
voro geografico sviluppatosi attorno alle sessualit, tentando di fornire alcune ri-
flessioni sulle epistemologie e sulle metodologie queer. Pertanto, pur essendo
consapevoli del limite e del pericolo di ogni tentativo prescrittivo di individuare
una metodologia queer, concluderemo il nostro contributo cercando di riflettere,
pur se brevemente, in merito alla possibilit e al significato di una metodologia
queer per la geografia.
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Queered Geography? Spostare lattenzione da Mapping Desire verso la ricer-
ca di unepistemologia queer rappresenta un modo diverso di riflettere su ci che
accade quando il queer entra in contatto con la geografia. Ci, infatti, permette
di pensare al queering come a un processo che critica le pratiche di produzione
della conoscenza e lascia spazio alla possibilit di adottare un approccio queer ai
modi di fare e di pensare della geografia, come possiamo osservare attraverso la
diffusione di approcci queer in tutta la geografia, al di l del suo epicentro rappre-
sentato dalla geografia culturale. Naturalmente ci riflette le pi ampie trasforma-
zioni nel post-cultural-turn e nelle discipline post-identity-politics, attraverso un
ritorno al sociale con un nuovo accento sulla materialit, e persino sulla materia-
lit del sesso, che presenta spesso confini ancora confusi. Nuovi approcci teorici
e metodologici, con cui la geografia continua a giocare in modo promiscuo, han-
no consentito, attraverso unepistemologia queer, di esplorare nuovi territori. Re-
lational geographies, actor-network theory, non-representational theory: tutti
questi approcci offrono interessanti prospettive per ripensare a ci cui potrebbe
puntare una geografia queered.
Mentre i critici spesso si stancano delle mode e dellopacit dei continui cultu-
ral turns, noi preferiamo vedere questi cambiamenti come sintomo di vitalit e di
non appiattimento di una disciplina che resiste al collocarsi in via definitiva.
Inoltre, anche alcuni approcci innovativi come lactor-network theory e la
non-representational theory sono stati molto importanti per i fondamenti della di-
sciplina, in particolare nella distinzione tra umano e non umano, e quindi anche
nella discussione tra geografia umana e fisica.
Tutte le discussioni sul tentativo di attraversare questo divario sembrano risuo-
nare nellepistemologia queer, in particolare nella fondamentale distinzione tra
forme di conoscenza e produzione di conoscenza. Cos, mentre alcuni dei nostri
colleghi di geografia fisica aggrottano ancora la fronte in modo ironico ad alcune
idee come lecologia queer (Mortimer-Sandilands ed Erikson, 2010), questi dibat-
titi, tuttavia, ci spingono verso territori interessanti. Ci auguriamo pertanto che
una geografia queered possa continuare a rifiutare la facile dicotomia tra umano e
non umano, scienze umane e fisiche, scienze e scienze sociali, e che un giorno,
piuttosto che di geografia delle differenze, si possa parlare di una geografia diffe-
rente.
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REMAPPING DESIRE: THOUGHTS ON THE GEOGRAPHIES OF SEXUALITIES. In
this paper we begin by sketching something of the history and current shape of work on
geographies of sexualities, drawing on our own experiences within that history. This is
inevitably therefore a partial and personal story, but in it we signal some of the main
developments and also some of the critiques and gaps in work in this area. We then move
on to discuss key themes and debates, such as queer epistemologies and methodologies
looking again at some of the critical discussions inside and outside the discipline. The
paper ends by thinking about the future, about where geographies of sexualities might be
headed, including the possibility of queering of the human/physical division in the disci-
pline itself.
University of Leeds, Centre for Interdisciplinary Gender Studies
d.j.bell@leeds.ac.uk
Manchester Metropolitan University, Division of Geography & Environmental
Management
j.binnie@mmu.ac.uk
(Traduzione dallinglese di Fiammetta Martegani)
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01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:18 Pagina 22
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 23-30
MONICA M. PASQUINO
SE LA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO INCONTRA
LA POLITICA QUEER
Il queer, lo spazio pubblico. Nel 1990, durante un convegno presso lUniver-
sit della California a Santa Cruz, Teresa De Lauretis propone di nominarsi queer:
Il termine nella lingua inglese un insulto che lautrice vuole neutralizzare e met-
tere provocatoriamente a servizio delle pratiche di resistenza allomofobia. Fino
ad allora, queer era un appellativo dispregiativo, usato per indicare pratiche ses-
suali considerate anomale o pervertite. Dora in avanti, il queer simboleggia tutti i
soggetti sessuali presi in mezzo dalle categorie binarie travestiti/e, ermafroditi,
androgini e diventa una figurazione, cio comincia a incarnare il modello di
una soggettivit post-identitaria in lotta contro i regimi di verit imposti al fine di
rendere vivibile e degna la vita dei soggetti non previsti dallordine sociale, come
la nomade di Rosi Braidotti e il cyborg di Donna Haraway. Questa riformulazione
stimola la nascita di un campo interdisciplinare di studi queer creazioni artisti-
che e culturali, produzioni teoriche e ricerche interdisciplinari che presto oltre-
passano lOceano e si diffondono anche in Europa. In questi lavori, lobbligo so-
ciale alleterosessualit descritto come forma attraverso la quale il soggetto di-
venta possibile e il genere lapparato storico-culturale attraverso il quale letero-
sessualit prodotta come prediscorsiva e naturale. Le differenze coorporee tra i
due sessi, anchesse raffigurate come precedenti alla cultura e quindi politicamen-
te neutre, sono rese significative dal valore sociale attribuito alleterosessualit.
La teoria queer si sviluppa grazie al contributo di numerosi autori e autrici; ol-
tre a De Lauretis una delle pi importanti Judith Butler, che in diversi scritti si
sofferma sulle sue fondamenta teoriche e quindi sul concetto della performati-
vit termine che indica il potere di alcune espressioni linguistiche di realizzare
il compimento di una determinata azione nel momento stesso in cui sono enun-
ciate.
De Lauretis e Butler descrivono il queer come una soggettivit aperta che per
ragioni politicamente significative deve rimanere tale e non pu mai dirsi comple-
ta: una figurazione che rappresenta lalterit questa la condizione stessa del-
la sua efficacia politica. Lobiettivo del queer violare le norme (eteronormative)
e sfidare la presunta neutralit dello spazio pubblico, sapendo che proprio la
neutralit il vero punto di forza dello spazio pubblico come spazio normativo. Lo
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(1) Oltre alle sue tesi riguardo alla costituzione del genere e della soggettivit, proprio nelle
argomentazioni concernenti la natura sociale del linguaggio che Butler rivela i propri debiti filosofici,
intrattenendo un continuo e puntuale dialogo con autori fondamentali della tradizione del pensiero
critico francese e tedesco. Per unanalisi delle opere filosofiche e dei nuclei teorici pi ricorrenti nella
filosofa statunitense, si veda il volume curato da Monica Pasquino e Sandra Plastina (2009).
24 Monica M. Pasquino
spazio pubblico non infatti una semplice scenografia che fa da sfondo alle azio-
ni umane: esso stesso disciplina e legittima regole e comportamenti appropriati.
Nello spazio pubblico si realizza lesclusione di tutti i modi di vivere non confor-
mi allordine sociale e allorientamento eterosessuale. Nello spazio pubblico sono
racchiusi i tanti avvenimenti in cui costantemente si riproducono le strutture sim-
boliche che dividono la sfera del visibile in due poli, uno positivo e laltro negati-
vo. Uomo/donna, eterosessuale/omosessuale, civilizzato/primitivo, bianco/nero
sono dualismi che esprimono un rapporto gerarchico; anche se sembrano indica-
re differenze apparentemente neutrali, sono dicotomie costituite da un elemento
dominatore e uno dominato. Allinterno dello spazio pubblico, alcuni soggetti svi-
luppano le caratteristiche necessarie per rientrare nella categoria degli individui
normali, mentre altri, classificati come irregolari e pericolosi, sono marginalizzati
o esclusi. Una successione di pratiche culturali e discorsi performativi istituisce il
modello maschile o femminile (eterosessuale) come sola identificazione lecita,
mentre lomosessualit unidentificazione preclusa al soggetto e costituisce
lambito dellabietto, del temuto socialmente e dellinvivibile. Questo processo di
inclusione/esclusione dallorizzonte sociale si riflette nella progettazione e nellu-
so degli spazi pubblici, in particolare quelli urbani, come testimonia la storia della
segregazione razziale o, anche, la progettazione di spazi pubblici con impedi-
menti o barriere architettoniche per diversamente abili, anziani/e, bambini/e. In
questi processi che trasformano la polis nello spazio di pochi, il linguaggio svolge
una funzione chiave: le parole delimitano i confini di ci che appare nello spazio
pubblico e partecipano in modo sostanziale alla formazione dellidentit indivi-
duale e collettiva. Il linguaggio la dimensione in cui le vite sono narrate nella
polis. Se dal linguaggio dipende la nostra esistenza e la qualit dello spazio che
abitiamo, allora siamo costitutivamente vulnerabili ai suoi atti; a causa della soffe-
renza che, parlando, possiamo arrecare agli altri, siamo responsabili delle parole
che pronunciamo, anche se lautorit che agisce sulle formule verbali che profe-
riamo eccede noi stessi, anche se la forza di quel che diciamo ci sovrasta e supera
la nostra capacit di immaginazione (Butler, 2004a).
Secondo Butler, la funzione performativa del discorso svolge un ruolo prima-
rio nel delimitare i confini di ci che appare degno di essere mostrato nello spazio
pubblico. In diverse opere, la performativit per la filosofa unoccasione per ri-
flettere sulla intrinseca politicit del dire e sulla responsabilit etica che abbiamo
quando scegliamo certe locuzioni verbali piuttosto che altre. Lanalisi di Butler su-
gli atti performativi si sviluppa in dialogo con il ragionamento avanzato dal teori-
co francese Jacques Derrida nel saggio Firma evento contesto, contenuto nel vo-
lume Margini della filosofia (1997a) (
1
). Butler da un lato accoglie le analisi di
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(2) Con questo non si intende sostenere che la teoria degli atti linguistici proposta originariamen-
te sia priva di giudizi etici, ma solo che non la dimensione morale la principale meta dellanalisi
austiniana.
(3) Questi due concetti, presi separatamente, sono stati sostenuti anche da studiosi che non pos-
sono essere definiti in senso stretto esponenti della teoria degli atti linguistici, ma non di loro che si
occupa questo scritto, piuttosto intendiamo offrire alla discussione alcuni spunti di riflessione legati al-
linterpretazione del linguaggio performativo proposta da Judith Butler, tracciandone le linee di pro-
venienza, sviluppo e direzione.
Derrida sul linguaggio performativo, dallaltro sembra sopravanzarlo, trattenen-
dosi sugli effetti etico-politici del performativo e non su quelli filosofici e linguisti-
ci (Butler, 2010, 2004a; Butler e Spivak, 2009) (
2
).
Lidea filosofico-linguistica del performativo. La filosofia ha tradizionalmen-
te ritenuto che il linguaggio avesse come funzione pi interessante quella di de-
scrivere o rappresentare, in modo vero o falso, la realt, mantenendo in questo
modo un rapporto privilegiato con la verit, come si evince da quella particolare
modalit di indagine che la logica. La novit centrale introdotta dal filosofo John
L. Austin, nella storia delle idee linguistiche, consiste nellinvito a guardare al lin-
guaggio non pi, o non solo, come a uno strumento per descrivere uno stato di
cose (esteriore o spirituale), bens come a un agire: ecco da dove prende spunto
la fortunata nozione di performativo. Gli atti performativi sono componenti di atti
rituali ai quali sono applicabili degli specifici criteri di valutazione. Mentre gli
enunciati constativi, che Austin preliminarmente contrappone ai performativi,
hanno come criterio di valutazione la verit e la falsit, i performativi hanno come
criterio di valutazione la felicit o linfelicit, ovvero la completa riuscita o meno
dellatto stesso.
Due le idee che caratterizzano questa posizione (
3
): a) si distingue tra il signifi-
cato di un enunciato e il modo in cui lenunciato usato e quindi il concetto di
forza; b) si afferma che il proferimento di un enunciato coincide con lesecuzione
di un atto, qualunque sia il tipo di enunciato che viene proferito. Lobietivo di Au-
stin dimostrare che la funzione veritativa solo uno dei tanti possibili modi in
cui viene usato il linguaggio. Queste idee sono contenute in una serie di lezioni
tenute ad Harvard, pubblicate postume col titolo di Come fare cose con le parole
(1987; ediz. or. How to Do Things with Words, 1962). La trama argomentativa di
questo testo fa perno sulla nozione di enunciati performativi. Riporto alcuni degli
esempi che Austin fa di questo genere di enunciati:
S (prendo questa donna come legittima sposa) pronunciato nel
corso di una cerimonia nuziale.
Battezzo questa nave Queen Elizabeth pronunciato quando si rompe
la bottiglia contro la prua.
Lascio il mio orologio in eredit a mio fratello quando ricorre in un
testamento.
Scommetto uno scellino che domani piover [Austin, 1987, p. 10].
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La peculiarit di questi enunciati risiede nel fatto che la persona che li proferi-
sce non sta semplicemente dicendo qualcosa e tanto meno sta descrivendo ci
che sta facendo, piuttosto sta compiendo unazione di cui latto di proferire le-
nunciato una componente essenziale. Affinch latto si realizzi, tali enunciati
vanno pronunciati nel giusto contesto. Austin parla proprio di circostanze appro-
priate: latto di enunciare le parole la prima condizione per lesecuzione del
performativo, ma non sufficiente affinch latto sia considerato riuscito. Per spo-
sarsi non basta dire: Prendo questo uomo come mio sposo; necessario che le
circostanze siano appropriate e che il parlante e le altre persone coinvolte ese-
guano altre specifiche azioni fisiche, linguistiche o mentali.
Un enunciato performativo sar, ad esempio, in un modo particolare
vacuo o nullo se pronunciato da un attore sul palcoscenico, o se inserito in
una poesia, o espresso in un soliloquio [] In tali circostanze il linguaggio
viene usato in modi particolari in maniera intelligibile non seriamente,
ma in modi parassitici del suo uso normale modi che rientrano nella teo-
ria degli eziolamenti del linguaggio. Noi escludiamo tutto ci dal nostro
esame. I nostri enunciati performativi, felici o meno, devono essere intesi
come proferiti in circostanze ordinarie [Austin, 1987, p. 21].
Inoltre, va tenuto in conto che lenunciazione non deve essere una burla o
uno scherzo e deve essere autentica, rispecchiando lesecuzione di un atto inte-
riore in modo privo di malafede. Se qualcosa allinterno di questo quadro funzio-
nasse male, se le circostanze di enunciazione non fossero appropriate, lenuncia-
to performativo risulterebbe infelice. Queste sono le condizioni che determinano
la buona riuscita degli atti performativi:
(A. 1) Deve esistere una procedura convenzionale accettata avente un
certo effetto convenzionale, procedura che deve includere latto di pronun-
ciare certe parole da parte di certe persone in certe circostanze, e inoltre,
(A. 2) le particolari persone e circostanze in un dato caso devono essere
appropriate per il richiamarsi alla particolare procedura cui ci si richiama.
(B. 1) La procedura deve essere eseguita da tutti i partecipanti sia corret-
tamente che
(B. 2) completamente.
(. 1) [] una persona che partecipa e quindi si richiama alla procedura
deve di fatto avere quei pensieri o sentimenti, e i partecipanti devono avere
intenzione di comportarsi in tal modo, e inoltre
(. 2) devono in seguito comportarsi effettivamente in tal modo [Austin,
1987, p. 17].
Come vedremo, il richiamo al contesto contenuto in (A. 2) particolarmente
importante per almeno due motivi. Il primo dovuto al fatto che il contesto a
suggerire un criterio di valutazione delle azioni. Il secondo che luso di tale con-
cetto mostra come sia la stessa idea di azione ad ampliarsi: il contesto, le circo-
stanze appropriate, secondo Austin, sono, come le parole, parte integrante della-
zione che si sta compiendo.
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Le critiche e le innovazioni introdotte da Derrida. Passiamo ora a considera-
re le obiezioni che Derrida avanza nei confronti di queste condizioni (
4
) nellaccu-
rato commento al testo di Austin riportato in Firma evento contesto. Uno degli
obiettivi centrali di Derrida dimostrare che la forza di rottura con il contesto ori-
ginario, altrimenti detta insaturabilit del contesto, il predicato essenziale dei
fenomeni di linguaggio:
Per dirlo fin da ora nel modo pi sommario, vorrei dimostrare perch un
contesto non mai determinabile in modo assoluto o piuttosto in che cosa
la sua determinazione non mai certa o satura [Derrida, 1997a, p. 397].
Nella seconda parte del saggio intitolata I parassiti. Iter della scrittura: che es-
sa, forse, non esiste, Derrida definisce il performativo una categoria di comunica-
zione relativamente originale, in quanto descrive qualcosa che non esiste al di
fuori del linguaggio o prima di esso (Derrida, 1997a, p. 412 e segg.); tuttavia critica
ad Austin di non aver fatto i conti con la caratteristica fondamentale del linguaggio,
ovvero la possibilit di prelievo e innesto citazionale di un segno a prescindere da
qualunque contesto specifico e a dispetto di qualsiasi soggettivit intenzionale. Per
il filosofo francese lingombrante concetto di circostanze appropriate a indurre
Austin in errore, definendo come anomalia, fatto non dirimente e non serio le cita-
zioni performative in rappresentazioni teatrali, sketch comici o poesie.
Austin esclude gli usi non seri perch nella sua teoria il contesto avere lo
stesso contesto parte integrante della felicit della performance. Per esempio,
le formule di un matrimonio o di un giuramento proferite durante una rappresen-
tazione scenica (una situazione linguistica eziolata per Austin) rimandano al rito
del matrimonio, ma, in quel contesto, non performano n un matrimonio n un
giuramento.
Proviamo ad analizzare meglio lobiezione che muove Derrida a questo pas-
saggio di Austin.
Lintento delle pagine che compongono Firma evento contesto mettere in lu-
ce linsufficienza teorica del concetto di contesto (linguistico e non) elaborato da
Austin, perch un contesto, per essere esaustivamente determinabile e replicabile
questo il punto decisivo avrebbe bisogno di una intenzione totalmente chia-
ra e di una consapevolezza piena e trasparente da parte di emittente e ricevente.
Questassenza essenziale dellattualit dellenunciato, questa incoscienza
strutturale, se volete, impedisce ogni saturazione del contesto. Perch un
contesto sia esaustivamente determinabile, nel senso richiesto da Austin,
bisognerebbe almeno che lintenzione cosciente fosse totalmente presente e
attualmente trasparente a se stessa e agli altri, poich essa un punto focale
determinante per il contesto [Derrida, 1997a, p. 419].
(4) In via preliminare, va detto che lo scopo dello scritto derridiano mettere in discussione lidea
del linguaggio come comunicazione tra le coscienze, ovvero come rappresentazione di idee e concet-
ti da parte di soggettivit presenti (anche se assenti) di cui il linguaggio stesso farebbe da supplente o
da traccia. Secondo il filosofo francese, lessenza della scrittura e quindi del linguaggio consiste nel-
lessere costituito da marchi ovvero da segni iterabili, prescindendo da una ipotetica intenzione origi-
naria.
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Per Derrida tutte le locuzioni sfuggono allancoraggio contestuale. Liberando-
si, almeno in parte, dalla presenza dellintenzione del soggetto parlante, presente
alla totalit dellatto locutorio, Derrida espunge il criterio della verit dal tratta-
mento dei performativi cosa che talvolta Austin costretto a reintrodurre. Ogni
enunciazione pu essere citata in modi non congrui allordinario, questa possibi-
lit per Derrida un tratto strutturale del linguaggio, sua condizione: senza di es-
sa senza literabilit generale dei segni linguistici non vi sarebbe nemmeno
performativo riuscito e il linguaggio potrebbe darsi solo nella singolarit di un
evento o nella replica dellidentico. Ci che Austin esclude dalla sua teoria come
non serio mostra piuttosto il carattere pi profondo del linguaggio.
Unespressione performativa potrebbe avere efficacia se la sua formula-
zione non ripetesse unespressione codificata o ripetibile? O, in altre paro-
le, se la formula che pronuncio per aprire una conferenza, varare una nave
o stipulare un matrimonio non fosse conforme a un modello ripetibile, se
non fosse, dunque, identificabile, in un certo senso, con una citazione?
[] la categoria dellintenzionalit non scomparir, continuer a mante-
nere il suo posto, ma da quella posizione non sar pi in grado di governare
lintera scena e lintero sistema dellenunciazione [Derrida, 1997a, pp. 418-
419].
Butler e la piegatura etico-politica del performativo. In dialogo (non solo)
con la teoria critica francofortese, Butler sostiene una prospettiva filosofica per la
quale il linguaggio fissa i confini dellintellegibilit del soggetto, permettendo che
lio sia riconosciuto dagli altri e possa dirsi io attraverso lenunciazione. Sostiene
che per poter esistere come soggetti bisogna essere stati nominati e bisogna nomi-
narsi passando tra giochi linguistici instabili, in continua negoziazione, e attraverso
schemi di enunciazione transitori e spesso anche contraddittori. Riflette sugli effet-
ti del linguaggio alla luce della logica del riconoscimento, che trova formulazione
nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, esplorando il rapporto tra materialit
dei corpi e lingua, sulla scorta dellinterpretazione di Foucault del potere e di
unampia letteratura femminista e psicoanalitica. Seguendo Derrida, sostiene che
gli atti performativi che incidono sulla soggettivit non devono necessariamente
realizzarsi per opera di una volont cosciente n in circostanze serie (Butler, 1996).
importante osservare che, in questo modo, la sua ipotesi riguardo alla formazio-
ne dei generi sessuali evita una torsione volontarista o iper-razionalista.
Nella versione biblica dellespressione performativa, cio nella frase Sia
la luce! appare chiaro che in virt del potere di un soggetto o della sua vo-
lont che un fenomeno chiamato a realizzarsi. Nella sua riformulazione cri-
tica dellespressione, Derrida afferma che questo potere non la funzione di
una volont originaria ma sempre derivato [Butler, 1996, p. 12].
Nel volume Corpi che contano (1996; ediz. or. Bodies That Matter, 1993), Bu-
tler si chiede in che termini realizzabile un malfunzionamento del meccanismo
performativo e utilizza largomento derridiano delliterabilit del segno per affer-
mare il potenziale sovversivo di un performativo infelice: suo intento concludere
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che nel procedimento citazionale c sempre la possibilit di uno slittamento del
significato e quindi lapertura a una imprevista risignificazione di ci che i termini
citati dovrebbero realizzare. Questa riflessione assume in Butler sempre una pie-
gatura pratica, etica e politica, cos anche in un altro testo, Vite precarie (2004b)
in cui si mette a fuoco leffetto disumanizzante prodotto dallassenza di parole
pubbliche sulle morti irachene, in seguito allinvasione americana dellIraq o in
Parole che provocano (2010; ediz. or. Excitable Speech, 1997), che analizza tutti
quegli enunciati che si considerano fuori dal controllo dei parlanti (excitable) e le
offese razziste e sessiste (hate speech). In particolare, in questo secondo esempio,
Butler sostiene che lessere apostrofati e ingiuriati con parole dodio stabilisce
performativamente la subordinazione sociale che enuncia (
5
).
Da questa tensione politica che interroga la struttura linguistica, dalla costituti-
va iterabilit del segno, dalla risignificabilit dei termini offensivi e dal ragiona-
mento che si conclude con laffermazione della potenziale sovversivit dei perfor-
mativi infelici, nasce la figurazione queer. La figurazione ha il compito di realizza-
re citazioni iperboliche e non serie di enunciati offensivi o appellativi omofobici
(checca, frocio), proprio perch possibile interrompere una struttura di domi-
nio (di cui il discorso una componente integrante) e produrre significati impre-
visti.
Conclusione. La teoria performativa interessa Butler soprattutto per le conse-
guenze etico-politiche che da essa si originano. Nella sua prospettiva, gli atti
performativi sono forme del discorso autoritario, in quanto non solo eseguono
unazione, ma conferiscono un potere vincolante allazione eseguita: Se il potere
del discorso di produrre ci che nomina connesso alla performativit, allora le-
spressione performativa un ambito nel quale il potere agisce come discorso
(Butler, 1996, p. 167). Tuttavia, se, da un lato, c una dimensione costrittiva del-
linguaggio legata alla performativit, dallaltro, questultima apre la possibilit del
cambiamento sociale e politico: si pu sempre fare un uso distorto, creativo e po-
sitivamente deviante di offese e ingiurie.
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(5) A riconoscimento di tale condizione di vulnerabilit, molti/e teorici e attivisti/e dei diritti
umani sostengono che lo hate speech vada legalmente contrastato. Butler invece, pur lottando contro
qualsiasi tipo di discriminazione, si oppone a questa tendenza che non tiene conto, a suo parere,
della natura temporanea e ambivalente degli effetti performativi del linguaggio, proponendo strategie
politicamente inadeguate.
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PHILOSOPHY OF LANGUAGE MEETS QUEER THEORY. My paper explores the
concept of performativity in the context of discursive practices underlying the formation,
consolidation and destabilization of gender identity, as well as the strengthening of gen-
der roles in society using a poststructuralist approach to subjectivity. Considering perfor-
mativity as a central aspect of language, it emphasises the vulnerability of people in and to
language and discusses ethical and political responsibilities in speaking. To what extent
are we constrained by implicit gendered norms of language, and to what extent can we
be creative agents in the construction of gender through the words we say? To adopt a
gender perspective in performative theories means to make these questions and proble-
matize the force assigned to words and to weigh up the soundness of the analytical tools
offered by these theories in the attempt to explain how gendered subjects are inscribed
into historical natural languages. If linguistic acts participate, constitutively, in the shaping
of gender identities and stereotypes, we could extend the concept of performativity
beyond its ordinarily assigned applications and, perhaps, even limits.
Universit della Calabria, Dipartimento di Filosofia
mpasquino@luiss.it
30 Monica M. Pasquino
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 31-39
MARIANNE BLIDON
LA CITT E GLI EFFETTI DELLETERONORMATIVIT
EMANCIPAZIONE, NORMALIZZAZIONE E PRODUZIONE DI SOGGETTI GAY
Il XIX secolo stato segnato dallinstaurazione di un dispositivo di identifica-
zione attraverso le pratiche sessuali (Foucault, 1976) che costituisce i gay e le le-
sbiche come gruppo minoritario. Poich contravviene alla norma dominante, lo-
mosessualit una sessualit stigmatizzata che implica marginalizzazione ed
esclusione (Becker, 1963) e pone la persona nella situazione di essere sempre di-
scrditable (Goffman, 1975). In questo caso, lingiustizia subita non si basa tanto
sui rapporti di sfruttamento quanto su ci che Nancy Fraser (2005) chiama una
dominazione culturale che tende a rendere invisibile un gruppo attraverso lin-
staurazione di una norma posta come universale, la quale sostiene anche che le-
terosessualit unistituzione sociale prima di essere una scelta di oggetto di desi-
derio. Lomosessualit quindi una resistenza permanente, fragile e continua-
mente contestata del privilegio epistemologico eterosessuale (Sedgwick, 1991);
uno spazio di senso che ignora [gli omosessuali], li esclude o, perlomeno, li mar-
ginalizza (Perreau, 2009, p. 3). A questa subordinazione a un ordine e a norme
che costituiscono una delle dimensioni dellassoggettamento e delloppressione si
aggiunge la violenza sotto forma di ingiurie o di aggressioni fisiche.
Per molti autori, lo spazio pu essere una risorsa di mobilitazione per lottare
contro gli effetti delleteronormativit. La forte densit, il cosmopolitismo, lurba-
nit e lanonimato delle metropoli sono tutte caratteristiche favorevoli allemanci-
pazione e alla realizzazione di un modo di vita gay. Per altri, non vi sarebbero
spazi tolleranti di natura (le metropoli) o omofobi (il rurale, la provincia, la perife-
ria), poich lo spazio non abolisce le norme sociali ma le riconfigura. Il fine di
questo articolo sar dunque quello di sviluppare una riflessione critica che tenga
conto della complessit dei rapporti sociali, della loro articolazione, ma anche
della diversit delle traiettorie e dei modi di soggettivazione, a partire da qualche
esempio empirico tratto da una ricerca sul terreno condotta dal 2003. Analizzer
attraverso lesempio dellaccesso allo spazio pubblico e del PACS Pacte Civil de
Solidarit, contratto che permette un riconoscimento giuridico delle coppie qua-
lunque sia il loro sesso come alla differenziazione spaziale corrisponda linegua-
glianza dei trattamenti delle coppie e listituzionalizzazione della gerarchia delle
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32 Marianne Blidon
sessualit. Poi, prover a riflettere su ci che significherebbe e implicherebbe una
politica di riconoscimento in riferimento a due dimensioni: quella del consumo
come espressione e modo di esistenza dellidentit gay e della sovversione di un
ordine eteronormativo.
Quale posto per i gay e le lesbiche nella citt? Partendo dal postulato che lo-
mofobia e leteronormativit non sono propri n di una classe sociale n di uno
spazio, ma attraversano linsieme della societ con gradi e modi di espressione di-
versi, si pone allora la questione del posto che dato ai gay e alle lesbiche, poi-
ch vi sempre una questione di lotta dei posti, di definizione contestata delle
posizioni possibili e impossibili, di opposizione dei regimi di prossimit e di al-
lontanamento (Lussault, 2009, p. 35).
Lesperienza spaziale dei gay e delle lesbiche non consiste tanto in una forma
di segregazione e di esclusione quanto in uningiunzione costante allinvisibilit,
accantonando cos lomosessualit nella sfera privata, nel placard, prima espres-
sione della violenza, in qualche rara eccezione spaziale e temporale come i gay
pride (Blidon, 2009). Questa cancellazione tocca le rappresentazioni pubbliche
dellomosessualit, poich queste sono spesso o censurate (fig. 1) o oggetto di
una degradazione sistematica. Ora, gli spazi pubblici sono luoghi dove si espri-
mono, si mettono in scena e si formano le identit sociali. Larena pubblica di-
scorsiva compresa fra i luoghi pi importanti (e meno riconosciuti) nei quali le
identit si costruiscono, si decostruiscono e si ricostruiscono (Fraser, 2005, pp.
129-130). Questo tracciato del confine fra il mostrabile e il non mostrabile non
privo di effetti sulle persone.
Si pu incominciare con la presentazione di s e la gestione della gestualit
amorosa delle coppie nello spazio pubblico. Tenersi per mano o baciarsi pubbli-
camente diventano allora atti che non ci si autorizzano, specialmente nel proprio
spazio di vita, o che si riferiscono a una casistica rigorosa (di notte, in vie buie e
deserte oppure nella folla compatta, nel quartiere commerciale gay del Marais op-
pure nel rurale isolato) che testimonia la violenza simbolica che pesa su gay e le-
sbiche (Blidon, 2010).
Questa censura e le precauzioni che i gay e le lesbiche si impongono rinviano
alla questione del libero accesso allo spazio pubblico e a quello del diritto alla
citt (Lefebvre, 1974). A proposito dello statuto dei gay e delle lesbiche, Pierre
Bourdieu parla di un rifiuto di esistenza pubblica (Bourdieu, 1998, p. 45) e Ju-
dith Butler di un modo ontologicamente sospeso (Butler, 2005, p. 51). Per que-
stultima, le costrizioni normative non si accontentano di rendere invisibili certi
gruppi; questi restano visibili, sono presenti nello spazio pubblico, ma la loro pre-
senza delimitata da discorsi che hanno la funzione di cancellare e che condan-
nano una parte della popolazione a vivere in un posto liminale dove queste per-
sone sono e non sono umani (ibidem, p. 50). Occorre allora essere attenti a ci
che informa e d forma nella citt, come prodotto di un discorso eteronormato,
cos come agli effetti di questo discorso sulle persone. Le questioni dellaccesso
allo spazio pubblico, delle condizioni e delle modalit di questo accesso devono
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Fig. 1 I corpi del delitto
Fonte: foto di M. Blidon
cos essere ripensate alla luce di questi processi di categorizzazione, di ingiunzio-
ne normativa e di disciplina dei corpi. Condizione necessaria per considerare la
citt come uno spazio di libert e di emancipazione per tutti
Spazio e istituzionalizzazione della gerarchia delle sessualit. Tra i diritti
fondamentali della persona umana vi sono la garanzia di un uguale trattamento
le persone sono uguali in dignit e diritti (Dichiarazione universale dei diritti
umani, art. 1) e la sicurezza ogni individuo ha diritto alla vita, alla libert e al-
la sicurezza della propria persona (art. 3). Senza il rispetto di queste due dimen-
sioni, non si pu parlare di una societ giusta. Ora, in numerosi paesi del mondo
questi diritti non sono garantiti ai gay e alle lesbiche; costoro incorrono in pene
detentive o nella pena di morte per omosessualit. Ci fa dire al direttore del pro-
gramma dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender di Human
Rights Watch, Boris Dittrich: universale vuol dire universale e non ci sono ecce-
zioni. A questo titolo, ricordiamo che lomosessualit scomparsa dalla lista del-
le malattie mentali dellOMS solo nel 1993. Il diritto dunque uno spazio che of-
fre progressivamente un riconoscimento ai gay e alle lesbiche, ma che rimane an-
cora molto ineguale. Allo stesso modo, circa il matrimonio e laccesso alla filiazio-
ne, il legislatore francese in ritardo sui suoi confratelli europei e sulle pratiche
La citt e gli effetti delleteronormativit 33
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:18 Pagina 33
(1) Tribunale di primo grado [N.d.T.].
34 Marianne Blidon
sociali, ci che fa dire a Jean Le Bitoux che i gay e le lesbiche rimangono cittadini
di secondo ordine.
Questa ineguaglianza di trattamento ravvisabile soprattutto nella genesi del
PACS, dispositivo giuridico che mira a offrire un certo riconoscimento alle coppie
di lesbiche e di gay che erano davanti a un vuoto giuridico; vuoto giuridico la cui
iniquit stata messa in luce al momento della pandemia di AIDS, poich certi
partners si ritrovavano sfrattati dal loro alloggio o esclusi dai funerali e dalla suc-
cessione del loro partner, tutto a vantaggio della famiglia senza daltra parte che
venisse offerto loro laccesso al matrimonio e, conseguentemente, alla filiazione.
Wilfried Rault afferma che questa disposizione sintomatica dello statuto sociale
dellomosessualit e delle sue ambiguit. Infatti, da una parte, prende in conside-
razione la sua propensione a essere soggetta a discriminazioni, ma facendo ci
non vi contribuisce, organizzando la sua minima visibilit e rendendo perenne in
questo modo una differenza di statuto e di trattamento con le coppie di sessi di-
versi? La messa in disparte del PACS dallo stato civile, visione dellindividuo con-
sacrata e legittimata dallo Stato, costituisce unespressione di una legittimit dif-
ferenziata tra il legame eterosessuale e il legame omosessuale (Rault, 2007, p.
197). A questo proposito, la scelta del Tribunal dinstance (
1
) come luogo di regi-
strazione mette in evidenza una logica esplicitamente differenzialista che mira a
evitare ogni impressione che questo contratto sia un sotto-matrimonio, come lo
qualifica il portavoce dellInterLGBT, Alain Piriou (14 novembre 2007).
Volendo evitare ogni paragone con il matrimonio, il legislatore ha fatto la scel-
ta di un luogo diverso rispetto al Municipio, il Tribunal dinstance. La registrazio-
ne del PACS avviene dunque sotto lautorit di un cancelliere, un funzionario del
Ministero della Giustizia e non di un eletto dal popolo, dal momento che il tribu-
nale ha per vocazione di comporre le controversie del quotidiano, soprattutto i
conflitti di vicinato; non davvero uno spazio le cui competenze e il modo di fun-
zionamento sono finalizzati a offrire un riconoscimento della coppia. Nulla nel di-
spositivo si avvicina a una celebrazione, tanto meno a un rituale collettivo. Il trat-
tamento dellatto voluto come burocratico e questo non corrisponde alle attese
delle coppie che desiderano un investimento solenne e una condivisione della lo-
ro unione con il loro prossimo. Il CRSH (Comit pour la Reconnaissance Sociale
des Homosexuel/les) aveva sottolineato che ci tiene molto che i PACS siano regi-
strati in municipio, luogo simbolico di appartenenza di ognuno alla citt. Non
dunque favorevole a che lunione sia constatata a livello di giurisdizione, come
sembra sar. Il tribunale il luogo dei conflitti familiari, simbolicamente inadat-
to per celebrare linizio di una unione fondata sullaffetto. Il luogo di registrazione
contribuir a dare un senso al PACS. infine inconcepibile che il municipio non
sia il luogo di registrazione del PACS quando esso che rilascia i certificati di vita
comune.
Come fa notare Wilfried Rault, mentre [il PACS] inteso a riconoscere ufficial-
mente nuovi modi di unione, le sue modalit di registrazione organizzano una
confidenzialit sistematica e lo costruiscono come a-simbolico (2007, p. 201). In
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Figg. 2 e 3 Municipio e Tribunal dinstance del XV arrondissement di Parigi
Fonte: foto di M. Blidon, 2005
ci il PACS costituisce dunque pi una forma di rifiuto di riconoscimento che
una innovazione sociale per i gay e le lesbiche. Sanare lingiustizia consisterebbe
dunque nellaprire il matrimonio e la filiazione alle coppie anche dello stesso ses-
so o a dis-istituzionalizzare il matrimonio eterosessuale, rendendo indipendente
un certo numero di diritti (fiscali, sociali) dallo statuto coniugale (Fraser, 2005,
p. 81). Questo esempio richiama il fatto che la libert e luguaglianza non sono
verit date a priori.
Leteronormativit una relazione istituzionalizzata di subordinazione sociale
che funziona sulla legge della violenza, simbolica e fisica, e che conduce a offrire
un piccolo posto ai gay e alle lesbiche, soprattutto nello spazio pubblico. Questi
ultimi accedono al diritto alla citt a condizione di essere invisibili. Far loro un
giusto posto diventa quindi la prima forma di riconoscimento spaziale che deve
essere loro accordata. Ciononostante, la costituzione dei gay e delle lesbiche co-
me gruppo sociale omogeneo porta a dimenticare che certuni non dispongono
delle stesse capacit di mobilitare mezzi di resistenza.
Un ri-conoscimento per chi? Gli studi gay trattano sovente i gay e le lesbiche
come un gruppo omogeneo che soffrirebbe solo di una negazione di riconosci-
mento. Leffetto generale quello di imporre unidentit di gruppo unica, consi-
derevolmente semplificata, che nega la complessit delle esistenze degli indivi-
dui, la molteplicit delle loro identificazioni e la dinamica incrociata delle loro di-
La citt e gli effetti delleteronormativit 35
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verse affiliazioni. Ironicamente, il modello identitario funziona dunque come un
vettore di negazione di riconoscimento (Fraser, 2005, p. 78) il motivo per cui in
questo gioco di sapere/potere occorre essere attenti alle voci dissidenti che si ele-
vano contro questo modello quello del gay bianco proveniente dalla classe me-
dia e di dar loro la parola.
Lurbanizzazione dunque sempre stata, in un certo senso, un fenomeno di
classe [] Lapproccio post-modernista per la formazione delle nicchie, tanto nel-
le scelte di stile di vita urbano quanto nelle abitudini di consumo e nelle forme
culturali, attribuisce allesperienza urbana contemporanea laura della libert di
scelta a condizione che si abbia del denaro (Harvey, 2009). Questo richiamo di
David Harvey costituisce uneco critica alla tematica cara a Richard Florida della
classe creativa le cui scelte di localizzazione residenziale punterebbero in ma-
niera privilegiata sugli spazi che valorizzano la tolleranza e la creativit; spazi ri-
conoscibili alla luce di diversi indicatori fra i quali lindice di diversit e lindice
gay. Questi indici si riferiscono allimplicazione di gay bianchi della classe media
superiore la figura archetipa del DINK (Double Income No Kids), figura che
lungi dallessere generalizzabile allinsieme dei gay e ancor meno delle lesbiche
nel processo di gentrificazione, commerciale e/o residenziale, dei quartieri cen-
trali come il Marais di Parigi o Castro di San Francisco. Queste enclaves che costi-
tuiscono altrettanti spazi di libert, di emancipazione e di visibilit sono il frutto
delleconomia liberale. Esiste dunque un diritto dentrata per accedere a questa
forma di riconoscimento.
Gi negli anni Novanta, voci di militanti gay si sono alzate contro questo sfrut-
tamento economico dellidentit gay. Cos Jean Le Bitoux:
[] i primi luoghi del Marais furono fondati da pionieri convinti che
bisognasse girare la pagina della mondanit, della mafia e della vergogna.
Responsabili della creazione di un identitario geografico, questi luoghi
restano contraddittoriamente quelli pi aperti e meno connotati del Marais.
Altri, pi cinici, hanno deciso di passare nettamente dalla semplice visibilit
alla pubblicit su tutti i terreni di questa modernit sociale [1996, p. 49].
Oggi, il quartiere del Marais affetto da mutazioni socioeconomiche che ri-
guardano pi ampiamente linsieme dei commerci identitari. In questo modo, una
parte dei commerci ebrei o gay del quartiere hanno chiuso a vantaggio di bouti-
que di vestiti o di accessori destinati ai turisti e a una clientela proveniente dalla
classe media superiore, rafforzando cos lomogeneit sociale cosmopolita e la
dissoluzione identitaria del quartiere.
Questo riconoscimento che passa attraverso comportamenti e consumi di clas-
se ha progressivamente avuto ragione della rappresentazione del quartiere come
quartiere aperto a tutti e che favorisce il rimescolamento sociale. Se questo rima-
ne attuale nei luoghi del consumo sessuale come il Dpt, rimane invece pi raro
in materia di socievolezza soprattutto a causa delle tariffe praticate. Non soltanto
esiste un diritto dentrata per accedere a questa forma di riconoscimento, ma in
pi questa entrata selettiva.
Al di fuori di qualche locale, lesclusione tocca anche i gay neri che intratten-
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La citt e gli effetti delleteronormativit 37
gono una relazione complessa con il milieu gay. La racaille (
2
) una figura omoe-
rotica forte nellimmaginario pornografico e sessuale gay. Nello stesso tempo, una
forte unanimit regna per stigmatizzare i gay provenienti dallimmigrazione, come
favoreggiatori di disordini o omofobi potenziali. Un giornalista della rivista fran-
cese gay e lesbica Ttu sottolinea: il posto che loro accordato nella fantasia
inversamente proporzionale al riconoscimento sociale che viene loro rifiutato (n.
9, dicembre 1996, p. 25). dunque talvolta difficile per questi uomini, a fortiori se
sono in gruppo, essere accettati. Rachid (34 anni, redattore): nelle ditte, siamo
tollerati come effeminati, look-ati, clonati. Una sera, ero in un bar abbastanza soft
con un amico, il cameriere venuto da noi e ci ha detto: sapete che un bar gay
qui. Abbiamo realizzato che dovevamo essere fuori luogo (ibidem); in risposta,
ci si rivolge ad altri spazi soprattutto nel quartiere di Pigalle per passare una
serata. Il Marais appare dunque per certuni come un quartiere che manca di mix
sociale e che si rivolge a una maggioranza di bianchi che hanno soldi e che vo-
gliono apparire.
Questi esempi mettono in evidenza la difficolt di considerare laltro come
soggetto, tanto pi quando questo altro stato costruito nellimmaginario colletti-
vo come un altro pericoloso, ridotto a una sola dimensione, senza riconoscimen-
to delle differenze det, di classi sociali, di traiettorie, di culture, di nazionalit di
origine, di modi di vita Da qui i valori di nomadismo promosso dal Groupe du
6 Novembre: lesbiennes issues du colonialisme, de lesclavage et de limmigra-
tion. Queste lesbiche rigettano i posizionamenti normativi che vengono loro asse-
gnati, la donna postcoloniale nazionale normativa: la madre, la sposa, il simbolo
della cultura e della nazione postcoloniale, ma anche la donna ridotta in schia-
vit (Bacchetta, 2009). Uno dei loro primi slogan era noi esistiamo, maniera di
rendersi visibili, di lottare contro la loro cancellazione e di interpellare coloro che
esse stesse chiamano le lesbiche franco-francesi dimentiche del colonialismo e
del razzismo, le donne WASP di Francia. Il luogo di incontro del Groupe du 6 No-
vembre, un ristorante nel pieno centro di Parigi, appartenente a due donne origi-
narie dei Caraibi, mette in evidenza la posizione periferica che loro assegnata
simbolicamente e geograficamente, il tutto sottolineando il loro attaccamento ai
paesi postcoloniali. Questa volont si legge anche nella presenza di un certo nu-
mero di quelle, fra loro, che portano il velo in occasione di manifestazioni nazio-
nali.
In questo contesto, nel quale lo Stato francese e lopinione pubblica pre-
tendono che il loro impegno riguardo al femminismo e alluguaglianza dei
diritti per gli omosessuali sia il segno della superiorit civile della Francia (in
rapporto alla supposta inferiorit dei paesi colonizzati e postcoloniali), le
lesbiche che portano il velo sono esseri che disturbano. Non possono fun-
zionare come limmagine della donna musulmana, vittima degli uomini
musulmani e di un sessismo intrinseco allIslam o vittime del rifiuto dellu-
guaglianza dei sessi franco-francese. Ma esse non possono nemmeno fun-
(2) Letteralmente marmaglia, la parola che lallora ministro degli Interni francese Sarkozy us
in un suo discorso per definire la moltitudine di giovani in rivolta nelle periferie francesi [N.d.C.].
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zionare come limmagine del queer liberato (immagine riservata ai franco-
francesi nella griglia dintelligibilit dominante) [Bacchetta, 2009, p. 57].
Ci fa dire a Paola Bacchetta che finch la griglia dominante funzioner in
modo binario e in termini di separazione, il Groupe, i suoi soggetti, i suoi simpa-
tizzanti e le loro resistenze resteranno illeggibili (ibidem, p. 60). Diventa allora
imperativo lavorare alla costruzione di un movimento sociale che non frazioni le
lotte di riconoscimento, ma che consideri che il genere, la sessualit, il razzismo,
le classi sociali e il colonialismo/postcolonialismo sono indissociabili.
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38 Marianne Blidon
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La citt e gli effetti delleteronormativit 39
MALIZATION AND PRODUCTION OF GAY SUBJECTS. This paper aims to highlight and
critique the effects of heteronormativity, in particular in the city. For many authors, space
can be a resource mobilized to fight against the effects of heteronormativity. The high
density, cosmopolitanism, urbanity, tolerance and the anonymity of cities are all characte-
ristics favorable to emancipation and the achievement of a gay lifestyle. For others, there
would not tolerant areas (cities) or homophobic (rural, province, banlieues) in nature;
space not eliminating social norms but reconfiguring. The purpose of this work is to deve-
lop critical thinking that takes into account the complexity of social relations, their structu-
re, but also the diversity of paths and modes of subjectification from a few examples from
an empirical investigation field work conducted since 2003. I will analyze through the
example of access to public space and how PACS a gay and lesbian contract of partner-
ships produce spatial differentiation confirms the unequal treatment of couples and
institutionalizes the hierarchy of sexualities. Then try to think what it would mean and
imply recognition policy under two dimensions: that of consumption as a mode of exi-
stence and expression of gay identity and subversion of heteronormative order.
Universit Paris 1 Panthon-Sorbonne, IDUP
marianne.blidon@univ-paris1.fr
(Traduzione dal francese di Lorenzo Bagnoli)
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 41-49
GISELLA CORTESI - ELENA IZIS - MICHELA LAZZERONI (*)
VIVERE LA DIFFERENZA: COME LA CITT RIDISEGNA
S STESSA IN UNA PROSPETTIVA COSMOPOLITA
La citt, spazio caleidoscopico. Fra gli argomenti pi trattati dalla geografia
urbana, cos come dagli altri campi disciplinari che studiano la citt, vi sicura-
mente quello della divisione e della differenziazione dello spazio interno alla
citt. Sin dalla scuola ecologica di Chicago, si cercato di identificare le diversit
dello spazio urbano dando a esse una connotazione spaziale (fasce concentriche,
settori), una immagine (paesaggi urbani), una denominazione (divisioni di classe,
ghettizzazione). Le teorizzazioni e i modelli si sono succeduti nel tempo di pari
passo con il crescere della citt e con il mutare delle sue condizioni e della sua or-
ganizzazione interna e, soprattutto, con lorientamento dei ricercatori che hanno
cercato di decifrare le forze in atto (Bridge e Watson, 2010).
Le distinzioni di classe e di genere sono state fondamentali nella comprensio-
ne delle pratiche urbane, in particolare nei termini di relazione di potere (Harvey,
1996; Bondi, 1998); in parziale contrasto con tale interpretazione dicotomica e
conflittuale, gli studi empirici pi recenti e i nuovi orientamenti cercano di mette-
re in luce altre forme di differenza. Come emerge chiaramente dai contributi pre-
sentati al Seminario internazionale sulla citt tenutosi a Roma nel 2003, nello spa-
zio urbano, definito gendered, si riflettono numerose altre differenze basate sulle
relazioni razziali o etniche, sulla fascia di et o sul grado di istruzione, sulla abi-
lit/disabilit fisica o sulla combinazione di queste variabili (Cortesi, Cristaldi e
Droogleever Fortuijn, 2004).
La rapidit con cui le citt si stanno trasformando, facendo convivere gli aspet-
ti tradizionali con quelli innovativi, accogliendo complesse correnti migratorie e
ampliando e modificando la propria dimensione culturale, rende necessario non
tanto una capacit di individuazione dei connotati delle singole parti del puzzle
urbano quanto uno sforzo di comprensione delle possibili e mutevoli combina-
zioni dei frammenti del caleidoscopio che compongono la citt attuale.
(*) Il lavoro raccoglie alcune delle riflessioni sviluppate nellambito del progetto di ricerca PRIN
2007 (Unit locale di Pisa) su Soggetti, relazioni e luoghi nella citt multiculturale. Pur essendo stato
pensato e discusso in comune, la stesura definitiva dei paragrafi primo e secondo da attribuire a
Gisella Cortesi, quella del paragrafo terzo a Elena Izis e quella del paragrafo quarto a Michela Lazzeroni.
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42 Gisella Cortesi, Elena Izis e Michela Lazzeroni
Obiettivo del nostro contributo cercare di mettere in luce come la dimensio-
ne della citt contemporanea sia quella delle differenze (Amin e Thrift, 2005) e
come essa si possa tradurre nello spazio urbano.
opportuno dunque partire dal concetto di differenza e da come pu essere
interpretato e applicato alla geografia della citt. Il termine differenza deriva eti-
mologicamente da dis-ferre, che significa portare da una parte allaltra, portare ol-
tre, portare in varie direzioni. Tale concetto di differenza fa ovviamente riferimento
ai soggetti, alla singolarit e irripetibilit di ognuno, ma anche al patrimonio di ca-
pacit, di conoscenze e di valori di cui i soggetti (in quanto persone) si fanno por-
tatori. Pertanto sono i soggetti che fanno la differenza, in quanto portatori di altro
indipendentemente dal fatto che essi provengano da altrove o che esprimano una
intrinseca diversit. La molteplicit e leterogeneit dei soggetti, difficilmente ricon-
ducibili a categorie chiuse, costituiscono dunque ampia materia di studio; contem-
poraneamente, sono oggetto di analisi anche i luoghi in quanto riflettono la variet
dei soggetti nella loro crescente eterogeneit. In effetti, soggetti diversi vivono rela-
zioni diverse con i luoghi, richiedendo alla citt stessa o a parti di essa risposte dif-
ferenziate, a seconda delle esigenze individuali o di gruppo e dei valori attribuiti.
Tornando alla metafora del caleidoscopio, i luoghi vengono intesi come frammen-
ti di vetro variamente colorati che si riflettono negli specchi longitudinali in modi e
in composizioni mutevoli. I colori raffigurano un connotato preciso, ma la com-
binazione di essi e il modo di guardarli che acquista valore.
Quali strumenti per analizzare le differenze? Tale visione dello spazio urba-
no presuppone unattenta valutazione dei metodi di analisi da adottare: i luoghi
possono infatti essere indagati sia per la loro connotazione oggettiva sulla base
dellubicazione, delle caratteristiche e della funzione che assumono sia per il si-
gnificato che viene loro attribuito. Di conseguenza, la citt come spazio delle dif-
ferenze non pu essere analizzata soltanto con le variabili tradizionali che per-
mettono di valutare levoluzione delle sue funzioni, n con le tecniche visive, che
consentono di fotografare le caratteristiche oggettive dei luoghi e i relativi segni
materiali, pur essendo di per s molto significativi. Emerge la necessit di comple-
tare le analisi interpellando i soggetti che abitano nella citt e/o fruiscono di essa
con aspettative ed esperienze differenti. Per tale motivo, in questo lavoro si cer-
cato di fare emergere i vari punti di vista indagando diverse categorie di soggetti,
distinti per genere, generazione, etnia e livello di istruzione e interrogandoli sulle
relazioni che li caratterizzano e sul significato dei luoghi che compongono e co-
stituiscono la loro vita urbana.
Lobiettivo di fondo riguardava la percezione dellattitudine della citt ad acco-
gliere le differenze e a farle proprie, attraverso lanalisi della visione locale e dello
sguardo altro, che emergono dalle narrazioni delle esperienze degli intervistati
(Alaimo e de Spuches, 2009). Attraverso il metodo delle interviste semi-strutturate
si potuto indagare, con gli accorgimenti del caso (Montesperelli, 1998), oltre al-
lattitudine percepita, anche le modalit con cui la citt persegue gli obiettivi di
accogliere, integrare, aprirsi (o respingere e chiudersi) alle differenze.
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Un altro obiettivo del nostro lavoro ha riguardato la riflessione sulla dimensio-
ne urbana da analizzare, per verificare quanto essa possa essere un limite o unop-
portunit nello scenario delle nuove dinamiche relazionali. Se da sempre le citt di
grandi dimensioni e le aree metropolitane ci appaiono pi votate allaccoglienza
delle differenze perch oggetto di scelte migratorie e di scambi culturali consolida-
ti, oggi questattitudine pu riguardare anche citt di dimensioni medie o piccole.
Questo dovuto sicuramente alla maggiore circolazione delle informazioni che
superano le barriere legate alla distanza e alla maggiore apertura verso il nuovo e il
diverso, che possono caratterizzare un luogo indipendentemente dalla sua dimen-
sione demografica e funzionale (Bell e Jayne, 2006). La scelta di Pisa come caso di
studio si dimostrata fertile proprio perch la citt, pur essendo di medio-piccole
dimensioni, ha in s i germi della vivacit culturale, dovuta alle sue vicissitudini
storiche che nei primi secoli dopo il Mille la inserirono tra le grandi protagoniste
del Mediterraneo (Tolaini, 2007), proseguita e consolidata di recente compiendo
un salto temporale dallesperienza industriale e terziaria, in particolar modo lega-
ta alla ricerca scientifica e allistruzione universitaria (Lazzeroni, 2004).
Si riflettuto, infine, sulle capacit di una citt, soprattutto se di piccole e me-
die dimensioni, di cogliere il valore della cultura della differenza nel processo di
costruzione della sua identit e di vivere la differenza considerandola come una
risorsa per la sua crescita e per il benessere complessivo della sua popolazione.
Per indagare tale questione si ricorso al metodo delle interviste a opinion lea-
ders, che, per il loro ruolo e le loro funzioni, fossero in grado di fare unanalisi og-
gettiva e aggiornata della situazione della citt e di esprimere una visione del suo
futuro possibile. Sono stati intervistati operatori di associazioni interculturali (Ma-
rengo, 2007), realt associative divenute pilastri per le varie comunit oltre che
partners nella gestione dei bisogni primari dei migranti.
La ricerca si avvalsa essenzialmente di unindagine diretta, rivolta a un cam-
pione di soggetti sia insiders, ovvero residenti e fruitori nati nel comune, sia out-
siders, stranieri che per motivi personali si sono trasferiti in citt. La scelta dei sog-
getti, avvenuta in modo casuale, ha tuttavia preso in considerazione alcune varia-
bili considerate determinanti per la definizione delle categorie di soggetti, come
la provenienza, il genere, la generazione e il livello di istruzione. La distinzione
tra soggetti locali e soggetti altri si resa indispensabile per capire la portata e la
qualit dei portatori di differenza, cos come la distinzione tra generi ci ha per-
messo di cogliere le diverse modalit con cui viene vissuta la citt. Da non trascu-
rare anche la variabile generazionale che ha messo in evidenza la diversa perce-
zione dello spazio urbano cos come le diverse esigenze che caratterizzano i gio-
vani e gli adulti; infine, sono stati presi in considerazione il livello e la qualit del-
listruzione che incidono notevolmente sullattitudine cosmopolita e sulla capacit
di comprendere e di accogliere le differenze.
Il campione costituito da 22 soggetti intervistati (14 locali e 8 stranieri) ugual-
mente ripartiti tra uomini e donne; 10 soggetti, con et compresa tra 19 e 36 anni,
rientrano nella classe dei giovani, mentre i restanti 12 soggetti, di et compresa
et tra i 37 e i 63 anni, sono sinteticamente definiti come adulti. Oltre il 70% dei
soggetti intervistati ha un livello di istruzione elevato (laurea); tale incidenza, in
Vivere la differenza: come la citt ridisegna s stessa 43
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realt, rivela la poca disponibilit a rispondere allintervista da parte di coloro che
posseggono un grado di istruzione poco elevato, nel timore di affrontare un col-
loquio con lintervistatore ritenuto difficile, soprattutto nel caso degli stranieri per
i quali si aggiunge anche il timore di una non corretta conoscenza della lingua e
di una conseguente difficolt a esprimersi.
Il caso di studio: alcuni risultati. Come gi accennato, la scelta del caso di
studio caduta su Pisa, una citt con una popolazione residente di 87.440 abitan-
ti che accoglie 9.582 residenti stranieri (2010), circa l11% della popolazione. Que-
sta presenza, come dimostrato dai dati ufficiali pubblicati da fonti comunali e
provinciali, dal 1999 in continua crescita, triplicandosi numericamente e diversi-
ficandosi nella composizione. La popolazione che usa e consuma la citt non
fatta soltanto di residenti e di stranieri, ma anche da altri city users (Martinotti,
1993) che fruiscono della citt per motivi di turismo, di lavoro, per i servizi sanita-
ri e per le funzioni universitarie. Questultimo aspetto particolarmente significa-
tivo in quanto la popolazione studentesca universitaria arriva a contare 53.000
iscritti e 3.000 partecipanti a corsi di specializzazione o di dottorato e annovera
centinaia di scambi di studenti e di docenti e ricercatori con altre universit euro-
pee e internazionali.
Attraverso le interviste, lo studio si proposto di indagare: a) le percezioni e le
attitudini dei soggetti nei confronti delle differenze vissute nel contesto urbano; b)
le relazioni che gli individui stringono con altri soggetti e con i luoghi della citt;
c) i giudizi sul grado di apertura della citt, sulla sua attitudine cosmopolita e sui
fenomeni pi tangibili di tale attitudine.
Risultati interessanti sono emersi dalla percezione che i soggetti hanno dello
spazio urbano e dei luoghi dove si instaurano le relazioni e si vivono le differen-
ze, perch proprio lo spazio a definire larea semantica in cui avviene il contat-
to. Tra i soggetti residenti intervistati, e a conferma di quanto era risultato in inda-
gini campione precedenti (Bottai, Cortesi e Lazzeroni, 2006), emerge una forte af-
fettivit nello scegliere i luoghi dove abitare e dove vivere, a cui si sovrappone un
certo pragmatismo connesso alle esigenze quotidiane legate alla famiglia, al lavo-
ro e al tempo libero.
indubbio che la citt abbia luoghi dove favorito il contatto con la differen-
za e dove gli individui percepiscono nella quotidianit le diversit culturali; questi
si possono riassumere in luoghi di aggregazione, come giardini, piazze, vie di
particolare interesse cittadino; luoghi commerciali, come negozi e ristoranti etni-
ci; luoghi dellintercultura, come i centri di prima accoglienza, biblioteche, mer-
cati, universit e centri sociali.
Il punto di vista dei locali nellindicare i luoghi dove si entra in contatto con le
differenze quasi unanime: la stazione, i vicoli del centro, le piazze nelle ore not-
turne, sono tutti luoghi dove, proprio per la grande presenza di multietnicit, si
sentono pi estranei. Questi luoghi di aggregazione sono risultati nei soggetti
donne anche i meno sicuri, ma non per questo da collegare necessariamente alla
presenza di stranieri, bens alla paura di atti criminosi (di sera effettivamente evi-
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to la zona della stazione se mi trovo da sola, oppure magari di mettermi nelle viet-
te perch ci sono poche vie di fuga, donna locale, 36 anni, diplomata). Come
si sottolinea in alcuni studi fondamentali sulla paura delle donne in ambiente ur-
bano (Pain, 2001) e come emerge anche da studi empirici (Listerborn, 2004; Lom-
bardi, 2009), la mancanza di sicurezza non necessariamente da collegare ad atti
criminosi accaduti, bens alla percezione del pericolo che la presenza di stranieri
o semplicemente lassembramento di uomini inducono nelle donne (locali o stra-
niere) che si trovano a dovere affrontare determinati spazi pubblici.
Dallindagine emerge quanto i segni della differenza siano diventati parte in-
tegrante del nuovo volto della citt: i ristoranti etnici e i kebab, i negozi tipici e i
bazaar, sino ai pi diffusi call centers e internet caf, che si sono negli ultimi an-
ni moltiplicati, da molti non sono vissuti come luoghi estranei al tessuto urbano,
ma come specificit ormai inglobate. Per alcuni soggetti, tuttavia, tali segni della
differenza non dovrebbero essere inseriti nel centro storico per preservarne lim-
magine e lautenticit culturale.
Per quanto riguarda lo spazio delle relazioni, appare evidente che i soggetti
intervistati abbiano disegnato una fitta rete di relazioni sul territorio, che possi-
bile distinguere in amicali, lavorative e associative. Le prime sono intessute prin-
cipalmente dai residenti locali e coinvolgono le relazioni familiari e amicali di
vecchia data, molte delle quali formatesi nellinfanzia e nelladolescenza (la mia
rete di relazioni rappresentata dalle vecchie amicizie che avevo da ragazza e
con cui sono cresciuta, donna locale, 40 anni, laureata). Il secondo tipo di rela-
zioni, poich maturato in ambito lavorativo, generalmente pi recente e coin-
volge in molti casi anche soggetti altri. Per la loro stessa natura, queste relazioni
sono pi facilmente aperte al contatto con la differenza e in alcuni casi si possono
trasformare in relazioni di tipo amicale (i contatti con persone straniere [...] sono
prevalentemente lavorativi [...] normale che lavorando con gli stranieri da anni si
creino comunque delle amicizie, donna locale, 36 anni, laureata). Le relazioni as-
sociative emergono soprattutto tra i soggetti deboli (Izis, 2003) come gli stranieri
che frequentano associazioni e circoli non per hobby o interessi, ma per liniziale
legame del bisogno che accomuna tutti e mi ha fatto stringere amicizie (uomo
straniero, 44 anni, laureato).
Limmagine di citt aperta e cosmopolita non cos unanimemente percepita:
si pu cogliere magari in coloro che, nati e vissuti a Pisa, ma con un livello cultu-
rale elevato, non vedono le bellezze della citt (Piazza dei Miracoli o i Lungarni)
soltanto come bene destinato ai locali: per me non sono pi soltanto dei luoghi
di Pisa, sono luoghi di tutto il mondo (uomo locale, 63 anni, laureato). Infatti,
quello che appare una maggiore predisposizione a vivere e a considerare la
citt con uno sguardo cosmopolita da parte dei soggetti pi istruiti, che dimostra-
no una capacit di guardare la citt in modo pi aperto, senza tralasciare un atteg-
giamento critico verso le problematiche che si possono instaurare nel tessuto ur-
bano. Questa attitudine si dimostra frutto di relazioni personali e con i luoghi, di
viaggi e interessi che hanno costruito e rafforzato lidentit dei soggetti analizzati.
Negli outsiders questo sguardo forse pi marcato proprio per le vicissitudini
personali (scelte di abbandonare il proprio paese di origine) che li hanno messi in
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contatto con pi mondi e pi contesti culturali; queste dinamiche personali, se da
una parte hanno costruito e forgiato lattitudine a sentirsi cittadini del mondo, dal-
laltro hanno altres rafforzato lidentit culturale di appartenenza: quando uno ha
esperienza ha il cervello largo, se uno non ha esperienza non esce di casa [...] vai
a vedere il mondo e poi giudichi (uomo straniero, 61 anni, licenza media).
Questioni aperte: contributi e criticit della prospettiva cosmopolita. Attra-
verso la mappatura delle relazioni che alcuni soggetti hanno intessuto fra di loro e
con alcuni luoghi della citt, stato possibile analizzare la capacit degli intervi-
stati (residenti e fruitori, locali o stranieri) di vivere la complessit della citt con-
temporanea, accettando le differenze e maturando un atteggiamento cosmopoli-
ta (Guarrasi, 2009).
Dal caso di studio su Pisa, emerge che lesperienza diretta dei soggetti a de-
terminare la loro capacit ad accettare le differenze, sia nelle relazioni sia nella
frequentazione dei luoghi dello spazio urbano. In tale senso, i luoghi di aggrega-
zione, in particolare le associazioni, rappresentano il tessuto relazionale principa-
le in cui si verifica lintegrazione. Tuttavia, se si considerano i luoghi fisici, e in
particolare alcuni spazi pubblici (per esempio stazioni, piazze, vicoli) e quartieri
della citt, emergono anche difficolt ad accettare la differenza; anzi in alcuni casi
la differenza, non solo etnica, ma anche sociale e di genere, determina insicurez-
za e paura.
Cos anche la generazione degli anziani manifesta una minore apertura, non
solo nei confronti degli stranieri, ma anche verso un nuovo modo di intendere e
di far rivivere le parti centrali della citt attraverso lo sviluppo dei luoghi di intrat-
tenimento e di svago o attraverso la ristrutturazione di edifici, come avviene nelle
principali citt europee e americane, per attrarre la nuova classe creativa e cosmo-
polita (Florida 2002; Young, Diep e Drabble, 2006). Questultima pu essere con-
siderata da un certo punto di vista una risorsa importante per lo sviluppo econo-
mico e sociale di una citt tanto da essere alla base delle strategie pi recenti di ri-
qualificazione urbana; da un altro punto di vista un elemento indiretto di esclu-
sione di altre classi sociali, che possiedono nei confronti dello spazio urbano altre
aspettative e richieste.
Il lavoro empirico su Pisa ha anche dimostrato come la dimensione demografi-
ca non incida sullattitudine cosmopolita, la quale risente del percorso storico che
caratterizza una citt e delle funzioni che essa svolge. chiaro che la presenza
delluniversit e lesistenza di un patrimonio culturale di rinomanza internaziona-
le hanno inciso sulla capacit della citt di accogliere popolazioni diverse e di
considerarle una risorsa per la citt, anche se poi occorre tenere presente limpat-
to avvertito dalla popolazione residente in termini di consumo di suolo urbano e
di conflitti nelluso dello spazio urbano che questo comporta. Ci genera delle ri-
percussioni anche dal punto di vista culturale: la distribuzione dei negozi e risto-
ranti etnici nel centro storico e la sostituzione degli stranieri nella gestione dei
punti di vendita dei souvenirs determinano delle riflessioni sul fronte dellautenti-
cit territoriale e sullimmagine che viene percepita dagli utenti esterni.
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Occorre inoltre sottolineare che nel caso di Pisa, come documentato in altri ca-
si (Storper e Manville, 2006), la popolazione continua a spostarsi verso i centri li-
mitrofi e le aree rurali, continuando ad avere relazioni intense con il centro princi-
pale sul piano del lavoro e dei servizi commerciali e di svago. Fuggendo dalla
citt per labitare, alcuni individui dimostrano per certi versi di accettare e di gra-
dire le differenze negli spazi pubblici, mentre queste non vengono vissute fino in
fondo, n tanto meno scelte, quando si passa a considerare gli ambiti privati e le
scelte dei luoghi in cui vivere. In effetti, alla base di un certo ripopolamento dei
centri urbani italiani ci sono i flussi degli immigrati, in particolare stranieri o nel
caso delle citt universitarie di studenti, che per motivi logistici vanno ad abitare
nei centri delle citt, pi che un fenomeno di gentrification.
La citt attuale si presenta come un complesso sistema di soggetti e di relazioni,
che, rispetto al passato, non rientra pi in un ordine pre-costituito di strutture eco-
nomiche e urbane ben definite: i soggetti si muovono nello spazio urbano con
esperienze, esigenze, relazioni e significati differenti generando tante identit, che
spesso entrano in conflitto tra di loro. Il futuro della citt risiede non nellaccoglie-
re cancellando le differenze, ma nel far dialogare le identit tra di loro, facendo
maturare unattitudine cosmopolita capace di fornire nuovi linguaggi e strumenti
finalizzati a far scaturire dallo scambio delle esperienze e delle diversit idee origi-
nali e nuove conoscenze. In questa direzione, lorientamento cosmopolita diventa
uno strumento non solo di equit sociale e di pianificazione urbana interna, ma
anche di crescita economica e di competitivit territoriale perch incide anche sul-
la capacit di una citt di interfacciarsi con le differenze esterne, attingendo le
informazioni e i saperi che circolano a livello globale e coniugandoli con le espe-
rienze cognitive e le capacit innovative locali (Varaldo e Lazzeroni, 2006).
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1687-1714.
LIVING THE DIFFERENCE: HOW THE CITY REPAINTS ITSELF INTO A COSMOPOLI-
TAN PERSPECTIVE. The contemporary city, including small and medium sized towns,
attends changes which interpretation becomes increasingly complex, requiring different
approaches and methods of study focused on the relationship between the subjects and
places. With increasing movement of people, the city, although stable from a demo-
graphic point of view, changes in ethnic, generational and gender composition and in
meaning which is given to places and urban spaces. To better understand this new urban
geography of difference, in the paper some concepts (multiculturalism, cosmopolitanism)
are first explored and how they are reproduced in the contemporary city. Starting from
the case study of Pisa investigated through semi-structured qualitative interviews, the
forms of difference and their translation in the urban space are subsequently examined: in
particular, places of contact and relations are analyzed and their features (exclu-
sion/inclusion) in the construction of the city image. Finally, we wonder the quality of the
contemporary city, which should have not only the capacity to accept and tolerate the dif-
ferences but also the ability to open to the differences and to enhance this vocation.
48 Gisella Cortesi, Elena Izis e Michela Lazzeroni
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Vivere la differenza: come la citt ridisegna s stessa 49
Universit degli Studi di Pisa, Dipartimento di Scienze dellUomo e dellAmbiente
g.cortesi@geog.unipi.it
e.izis@geog.unipi.it
lazzeroni@ec.unipi.it
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 51-61
VICTORIA AYELN SOSA
RIPENSARE IL GAY FRIENDLY
TURISMO E MERCIFICAZIONE DELLA DIFFERENZA
NELLA CITT DI BUENOS AIRES
Introduzione. Intendo qui riproporre e approfondire una riflessione sullo
spazio urbano contemporaneo a partire dallo studio della relazione tra la differen-
za, in termini culturali, di genere o di sessualit, e i processi di riqualificazione ur-
bana ed espansione del turismo internazionale propri della globalizzazione neo-
liberista. In particolare, a partire dallanalisi dello spazio pubblico come spazio
sessuato, costruito attraverso la normativizzazione dellegemonia eterosessuale e
limposizione della matrice discorsiva che la sostiene, si cercher di mettere in ri-
lievo il rapporto tra spazio pubblico e differenza nel caso della promozione di
Buenos Aires come citt gay friendly.
La capitale argentina una delle principali citt non appartenenti al primo
mondo a portare avanti una chiara politica di apertura e tolleranza nei confronti
della propria comunit omosessuale. Non solo per lapertura e il cosmopolitismo
dei suoi cittadini, ma anche per una serie di leggi progressiste e pluraliste, come
la legge del matrimonio ugualitario recentemente approvata, che permette il ma-
trimonio e ladozione da parte di coppie dello stesso sesso. Da qualche anno,
inoltre, la citt presentata come la nuova mecca turistica della comunit gay in-
ternazionale, con tanto di operatori e circuiti turistici mirati esclusivamente a tale
settore, cos come unampia offerta di mercati e destinazioni ad hoc.
Partendo dalla fondamentale considerazione che lapertura e la tolleranza nei
confronti degli omosessuali siano necessarie e auspicabili, in questo articolo si
proporr una visione critica del gay friendly come marchio o/e strategia di mer-
cato allinterno dei pi ampi processi di riqualificazione urbana. Cos, saranno
analizzati gli usi (e gli abusi) della differenza e le forme di (ri)produzione di un di-
scorso di apertura, tolleranza e cosmopolitismo da parte dei media locali, degli
operatori turistici e delle amministrazioni politiche, i quali molto spesso finiscono
col ridisegnare una nuova mappa di disuguaglianze e discriminazioni. Basti pen-
sare che il termine gay, associato alla promozione delle citt, fa riferimento a una
sola forma di rapporto, quella tra due persone dello stesso sesso, prevalentemen-
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(1) Sebbene in inglese la parola gay si usi comunemente per riferirsi sia agli uomini sia alle
donne, il termine si presta a confusione in altri contesti, per esempio quello ispanofono e in Italia,
dove gay si usa per fare riferimento allomosessualit maschile, distinguendola da quella femminile.
(2) Per questo, preferibile adottare termini pi pluralisti come linglese queer o le abbreviazio-
ni LGBT (Lesbian, Gay, Bisex, Transgender) e LGBTIQ (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Inter-
sexed, Questioning).
(3) La locuzione Buenos Gayres tratta dallarticolo dal titolo omonimo della rivista Noticias del
13 marzo 2010.
52 Victoria Ayeln Sosa
te tra uomini (
1
), e lascia da parte la pi ampia gamma di soggettivit e di rapporti
affettivi e sessuali tra le persone (
2
).
Questa forma di discriminazione particolarmente visibile nellimmaginario
turistico preso in analisi, che non solo si configura come una fonte di riverbero
degli stereotipi sullomosessualit, ma che sembra ri-orientare un nuovo modello
di omonormativit. In questo senso, significativo il ruolo del corpo nella pro-
duzione di territorialit. Come si vedr, le divisioni e le disuguaglianze spaziali so-
no determinate e riflesse in pratiche incorporate e relazioni sociali vissute: il cor-
po (in quanto base della costruzione dellidentit) il principale oggetto delle prati-
che di esclusione e dei dispositivi di potere.
Citt gay friendly: la costruzione di Buenos Gayres (
3
). Ma r ket i ng t e r r i -
t or i a l e e i l l us i one ur ba na . Dalle prime rivendicazioni di collettivi gay ur-
bani negli anni Sessanta a oggi stato percorso un lungo cammino di visibilizza-
zione e integrazione delle minoranze omosessuali e la creazione di spazi e circui-
ti gay fa parte delle agende politiche di molte citt occidentali.
Tuttavia, spesso le rivendicazioni legate a nuove forme di territorialit queer
di molti di questi movimenti col tempo sono confluite nella creazione di quartieri
isolati e ben delimitati di buone politiche, che non infettano il resto del corpo
sociale (Phelan, 2001) e si costituiscono come eccezioni che confermano letero-
normativit del resto del tessuto urbano. Inoltre, come sostengono a pi riprese
Bell e Binnie, molti di questi spazi sono luoghi di consumo dove operano i tradi-
zionali processi di esclusione sociale (Bell e Binnie, 2004).
Pi in generale, la creazione contemporanea di spazi e quartieri gay friendly
utilizzata da parte delle amministrazioni politiche urbane come strategia di
marketing territoriale (Benko, 2000; Amendola, 2003), attraverso la quale le citt
contemporanee competono nel mercato mondiale per attrarre risorse, turismo o
eventi. Scrive Amendola che la citt deve rappresentarsi se non come ideale
quantomeno come la migliore possibile per vivere, per produrre, per competere
(Amendola, 2003, p. 196). La citt deve dunque sedurre, sia emotivamente sia di-
scorsivamente, e proporre unimmagine adeguata ai fini del mercato e della po-
polazione che intende attrarre in questo caso, il mercato rosa del double income
no kids (le coppie gay e lesbiche, con doppio reddito e senza figli).
Cos, attraverso questa strategia dellapparenza o dellillusione si crea una
citt immaginata: Si tratta di creare o di mettere in valore il capitale-immagine di
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Fig. 1 Obelisco di
Buenos Aires
Fonte: foto di Armando
Guerra Palacios (in L.
TOY e V. SILVESTRE,
Buenos Aires. La reina
del pl ata, in Vanity
Gay, Madrid, luglio
2007, pp. 138-143)
Ripensare il gay friendly 53
una citt (ibidem). Letichetta cosmopolita infatti una risorsa molto utilizzata
per sponsorizzare quartieri o circuiti gay. A questo proposito, Binnie e Skeggs so-
stengono che la promozione dello spazio come cosmopolita fa parte di una stra-
tegia che mira a rendere gli spazi meno minacciosi, quindi pi stimolanti e desi-
derabili per la pi ampia popolazione eterosessuale (Binnie e Skeggs, 2004).
Il rischio di queste forme di visibilizzazione delle differenze che esse sono
indissolubilmente legate alla loro vendibilit nel mercato, celando vecchie discri-
minazioni dietro nuovi discorsi sulla differenza e sulla cultura. Inoltre, le opera-
zioni di marketing territoriale attraverso cui si selezionano, delimitano e mettono
in luce certi territori di consumo, sponsorizzandoli come cosmopoliti, moderni,
bohmien eccetera, sono spesso accompagnate dalla frammentazione delle politi-
che di welfare state e approfondiscono le tradizionali disuguaglianze economi-
che, di genere, di et e cos via.
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(4) Il decreto 1054/2010 di modifica della legge 26.618 sul matrimonio civile, prevede, tra le altre
cose, la sostituzione nel testo dellespressione uomo e donna in favore di contraenti e una serie di
riferimenti legali per i casi di maternit/paternit, adozione, divorzio eccetera.
54 Victoria Ayeln Sosa
Buenos Ai r e s c i t t e t e r o f r i e ndl y . La citt di Buenos Aires oramai
da diversi anni un importante riferimento della cultura gay nazionale e internazio-
nale, non solo per laumento della presenza degli omosessuali (dichiarati) sulla sce-
na culturale locale e per la quantit e la qualit delle loro forme di rivendicazione,
ma anche per lesponenziale aumento del turismo gay internazionale, tale da posi-
zionare Buenos Aires come una delle prime destinazioni turistiche gay del mondo.
Le ragioni della progressiva apertura verso le comunit gay a Buenos Aires ri-
spondono a quattro ordini di fattori. In primo luogo si deve a una serie di leggi
progressiste proposte dalla coppia presidenziale di Nstor Kirchner e Cristina
Fernndez (presidenti della repubblica, rispettivamente, dal 2003 al 2007 e dal
2007 a oggi): cominciando dallapprovazione, nel 2003, dellunione civile, si sono
susseguite diverse riforme che hanno contribuito allapertura verso le minoranze
e che sono culminate con lapprovazione, nel luglio del 2010, della legge di ma-
trimonio egualitario (
4
).
In secondo luogo, la comunit omosessuale argentina stata molto prolifica in
quanto a pubblicazioni ed espressioni artistiche che hanno imposto il tema al re-
sto della popolazione argentina e che hanno cominciato a scardinare il tradiziona-
le machismo eteronormativo argentino (si veda, tra gli altri, Meccia, 2006).
In terzo luogo, limmagine della capitale argentina come gay friendly si con-
solidata proprio con laumento del turismo omosessuale. Lespansione del merca-
to turistico destinato a tale settore, dovuto in gran parte al clima progressista della
citt, ha rafforzato e retro-alimentato linstaurarsi dellimmagine di citt aperta e
cosmopolita. Vedremo meglio gli aspetti salienti di questo mercato nel prossimo
paragrafo.
Infine, c stata unimportante campagna da parte del governo della citt di
Buenos Aires per sostenere questo tipo di mercato e per proiettare unimmagine
di apertura e tolleranza nei confronti delle differenze sessuali. Come sottolineato
nel paragrafo precedente, questo tentativo si presenta come una chiara strategia
di marketing: limposizione di questa immagine fa parte della rinascita urbana
neoliberista, che associa lomosessualit al cosmopolitismo e alla gentrificazione
di aree degradate.
Nella citt di Buenos Aires non esiste un quartiere dichiaratamente gay
friendly. Al contrario, il governo di Buenos Aires cerca di promuovere unimmagi-
ne dellintera citt come etero friendly:
Il concetto di etero friendly che si impone a Buenos Aires in questo
momento propone un intercambio e unapertura tra gli ambienti gay ed ete-
rosessuali, aperto a tutta la comunit; la Buenos Aires etero friendly una
citt aperta e senza ghetti. Buenos Aires riceve turismo gay da tutto il
mondo. La maggior parte dei visitatori costituita da uomini [dal sito ufficia-
le del turismo del Governo Autonomo della Citt di Buenos Aires,
www.bue.gov.ar/?ncMenu=267].
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Fig. 2 Ernesto Che Guevara, versione gay friendly
Fonte: foto di V. Sosa
Tuttavia, questa immagine ideale proposta dal governo locale si scontra con
una situazione reale molto differente, almeno per due ragioni: da un lato, la strut-
tura socioeconomica della citt ben lontana da quel clima di apertura e unit al
quale il testo fa riferimento. Buenos Aires una citt frammentata e, come le altre
capitali latinoamericane, caratterizzata dalla convivenza nello spazio urbano di
isole di ricchezza e sacche di estrema povert ed emarginazione.
Dallaltro lato, limmagine di citt etero friendly, come paradigma di apertura
radicale nei confronti delle differenze, si contraddice se si guarda la distribuzione
della presenza e visibilit di negozi e attivit gay che, di fatto, sono concentrati in
alcuni quartieri (non a caso, i pi turistici), mentre rimangono invisibili in altri. In-
fatti, se si osserva la mappa turistica di Buenos Aires e quella destinata al pubblico
gay, gli itinerari e i luoghi di interesse coincidono fino a sovrapporsi. Pi specifi-
camente, la maggior parte dei circuiti e dei commerci mirati ai clienti omosessuali
si concentra nei quartieri pi ricchi della citt (Recoleta e Palermo) e nel centro
storico (San Telmo), quartiere bohmien e tradizionalmente degradato che stato
oggetto di unintensa riqualificazione urbana negli ultimi venti anni.
In questultimo quartiere, in particolare, possibile vedere come il valore sim-
bolico del gay friendly funzioni come un plusvalore di mercato e come garanzia
di profitto. Questa immagine si configura come unillusione urbana da vendere
che associa omosessualit e unapparente apertura verso la diversit in termini et-
nici e di classe, ma che non contempla uneffettiva apertura nei confronti della
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pluralit di espressioni LGBT, n nei confronti dei soggetti tradizionalmente resi
invisibili del quartiere (principalmente gli abitanti poveri delle pensioni e gli im-
migrati boliviani e paraguayani). La riqualificazione del centro storico e linaugu-
razione di un nuovo discorso sulla citt cosmopolita e tollerante sono state infatti
accompagnate e sostenute dallespulsione ed esclusione di altri settori, ridefinen-
do sotto altri parametri e altre etichette il diritto alla citt e i corpi che contano.
Il turismo rosa e le sue rappresentazioni. Bue nos Ai r e s , me c c a de l
t ur i s mo ga y. Buenos Aires insomma diventata nellultimo decennio una del-
le principali destinazioni del turismo gay internazionale. Le riviste e le guide del
settore concordano nel collocare Buenos Aires tra le migliori citt gay friendly del
mondo (Out Traveler, Cond Nast Traveller, Vanity Gay ecc.) o addirittura co-
me la nuova mecca del turismo gay, strappando tale titolo alla tradizionale Rio de
Janeiro.
Secondo i dati presentati nel 2008 da Pablo de Luca, presidente della Camera
di Commercio LBGT, durante la Terza Conferenza Internazionale di Marketing e
Turismo Gay, questo tipo di turismo rappresenta circa il 20% del totale del turi-
smo a Buenos Aires. Ci significa, in termini economici, unentrata che per il 2008
si calcola sia stata intorno ai 1.100 milioni di dollari (Buenos Aires, consagrada...,
2010).
Lesponenziale crescita di questa attivit di nicchia in Argentina si deve a di-
versi fattori. In primo luogo, fa riferimento allo specifico contesto politico del pae-
se a partire dalla crisi politica e sociale del 2001, che ha visto una generale cresci-
ta del turismo in seguito alla svalutazione della moneta locale. Gli anni dopo la
crisi, infatti, sono stati caratterizzati da un accelerato ritmo di ripresa economica,
favorito dal notevole aumento delle esportazioni e dal turismo di massa (entrambi
possibili grazie allo svincolo della moneta locale dal dollaro e dunque alla fine del
cambio 1:1 imposto durante il Menemismo). Inoltre, la legalizzazione dellunione
civile e, posteriormente, quella del matrimonio tra coppie dello stesso sesso han-
no contribuito allaumento del flusso turistico e allimmigrazione di coppie omo-
sessuali, soprattutto da paesi limitrofi.
In secondo luogo, laumento di questo tipo di turismo stato fortemente pro-
mosso dagli operatori del settore, che negli ultimi anni hanno consolidato limma-
gine di Buenos Aires come destinazione turistica gay friendly e hanno aperto un
circuito molto ampio di agenzie e prodotti specifici.
Tuttavia, proprio per la sua natura intrinsecamente legata al mercato, la pre-
senza di turismo gay-lesbico, se da un lato ha contribuito a una maggiore accetta-
zione di queste minoranze, dallaltro si costituisce come la fonte di importanti
pregiudizi sullomosessualit. Limmagine di cosmopolitismo, consumismo, frivo-
lezza e disponibilit economica associata allomosessualit (principalmente ma-
schile) costituisce infatti unilluminazione funzionale (Lacarrieu e Grillo, 1998)
attraverso la quale si impone una forma di omosessualit normale o corretta,
escludendo allo stesso tempo quella considerata anormale o minacciosa, da tene-
re nascosta. I gay sono dunque accettati solo nella misura in cui sono portatori di
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Figg. 3 e 4 Graffiti a San Telmo
Fonte: foto di V. Sosa
dollari, condizione attraverso la quale possibile chiudere un occhio sulla loro
presunta devianza sessuale.
I media locali sono le principali fonti di riverbero di questi pregiudizi. A titolo
di esempio, in questo articolo del giornale El Clarn, Tania Churchmuch, presi-
dente dellAssociazione Internazionale di Turismo Gay e Lesbico, dichiara:
Il turismo gay lesbico muove milioni di dollari allanno. Si tratta di un
pubblico che viaggia di pi in primo luogo perch, non avendo figli, non
soggetto ai limiti imposti delle vacanze scolastiche. Inoltre, guadagnano di
pi per tre motivi: stato studiato che, in media, hanno un maggiore livello
di studio, non devono rimandare le loro carriere per avere figli, n debbo-
no chiedere ferie se questi si ammalano [Buenos Aires es la nueva
meca..., 2010].
La messa in luce di certi aspetti dellomosessualit funzionale a una strategia
di mercato che definisce il modo giusto di essere gay. Quando lomosessualit,
invece, quella dei settori marginali della societ (poveri, brutti, non consumisti
ecc.), legata a certe pratiche sessuali (saune, bagni pubblici ecc.) o quando a es-
sere omosessuali non sono solo uomini (ma lesbiche, trans ecc.) allora si mette in
moto il tradizionale meccanismo di esclusione e invisibilizzazione.
In un articolo del giornale Crtica de la Argentina, dedicato agli stereotipi e ai
limiti del mercato rosa e gay friendly, Leandro Gonzlez, direttore della polemica
rivista Aj, sostiene che:
Il mercato sta assimilando gli aspetti della cultura gay che gli convengo-
no e ne sta completamente distruggendo altri. Il mercato dunque sta defi-
nendo quali caratteristiche della cultura gay sono valide. Ci non ci sembra
giusto, ci sembra pericoloso [] La citt gay friendly non per loro la vera
citt, ma il luogo dellordine e dei buoni costumi, dellomosessualit addo-
mesticata, normalizzata, dove si pu fare qualsiasi cosa con la condizione
che si faccia nel posto che stato destinato a tale attivit, si paghi laccesso e
si mantenga la dovuta modestia. In poche parole, il progetto di citt del
progressismo omosessualista nega lesistenza del sudaca [dispregiativo lati-
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Fig. 5 Gauchos gay
Fonte: foto di Horacio Paone (in M.N. LVAREZ, Los gauchos gay, in Revista Veintitrs, Buenos
Aires, febbraio 2006, 395, pp. 60-65)
58 Victoria Ayeln Sosa
noamericano, N.d.T.], della gente rozza, brutta, marginale e poco o per
niente elegante [Gays contra el mercado..., 2008].
I l c or po de l t ur i s mo. Il corpo, in quanto luogo o localizzazione dellin-
dividualit e della costruzione dei soggetti, coinvolto nelle stesse dinamiche di
potere che definiscono la normativit dello spazio, separando i corpi che conta-
no da quelli che non ne possiedono i requisiti (Butler, 1996).
Sostiene Linda McDowell (1999) che le divisioni e le disuguaglianze spaziali
sono determinate e riflesse in pratiche incorporate e relazioni sociali vissute. Un
esempio di tale divisione spaziale quello del confinamento del corpo femminile
nella sfera domestica (divinizzando la donna come angelo del focolare), e la-
pertura di quello maschile (rappresentato come pi forte ed efficiente) verso la
sfera pubblica.
Il corpo inoltre un luogo conteso per lesercizio della sovranit statale: non
solo si governa sulla popolazione, ma anche sui singoli corpi, in quanto produtti-
vi e riproduttivi (per il caso argentino si veda Salessi, 2000); il corpo anche il
luogo di conferma delle grandi visioni geopolitiche (si pensi alle rappresentazioni
dellaltro, arabo, orientale ecc.) e delle disuguaglianze di genere nellorganizza-
zione sociale (che stabiliscono un significato implicito ed esclusivo alle differenze
sessuali e corporali).
Il corpo (quello giusto) e la sua sessualit (in termini eteronormativi) sono dun-
que dispositivi fondamentali attraverso cui si produce un territorio. Lo spazio urba-
no, in particolare, costituisce un importante dispositivo di assoggettamento e nor-
mativizzazione, cos come di riproduzione delle grandi disuguaglianze sociali, in
quanto luogo per eccellenza della costruzione della gestione della cosa pubblica.
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Dallanalisi delle principali guide turistiche gay e dei discorsi tanto della comu-
nit locale (gli abitanti del centro storico e i media locali) come di quella interna-
zionale (media e pagine web straniere) presi in esame, possibile trarre alcune
considerazioni sul rapporto tra corpo omosessuale e immaginario turistico gay
friendly a Buenos Aires. In primo luogo, limmaginario turistico generalmente of-
ferto al pubblico omosessuale, bench scardini legemonia eterosessuale, sembra
ri-orientare, e imporre tramite ripetizione, un nuovo modello di virilit omoses-
suale egemone. I corpi depilati, curati, provocanti, sensuali e ospitali, ma anche
forti, prestanti, sani e produttivi delle guide turistiche gay sembrano infatti pro-
porre una nuova materialit, un nuovo modo per far contare il corpo omosessua-
le che finisce col riprodurre la stessa logica fallocentrica di cui la societ e lo spa-
zio capitalisti si nutrono.
In un articolo del giornale Ambito Financiero, il gi citato Gustavo Noguera,
a proposito delle ragioni per le quali Buenos Aires attrae turisti gay sostiene che:
Quasi tutti i visitatori sottolineano il livello di rispetto da parte della societ. Inol-
tre, non dobbiamo dimenticare che il cambio valuta molto favorevole per la
maggior parte dei turisti stranieri e che quasi tutti i turisti notano il fascino latino
delluomo porteo (Buenos Aires, consagrada..., 2010, corsivo aggiunto). Allo
stesso modo, le guide locali per turisti omosessuali (le Gmaps) presentano osses-
sivamente copertine con uomini forti e prestanti, virili ma depilati, dal fascino la-
tino e generalmente ritratti su uno sfondo urbano che invitano a conoscere.
In secondo luogo, nellimmaginario turistico tradizionale, cos come in quello
preso in esame, i corpi rappresentati assumono un significato solo allinterno di
determinati luoghi o paesaggi offerti: nelle rappresentazioni delle destinazioni tu-
Ripensare il gay friendly 59
Fig. 6 Tango queer
Fonte: Same Sex Tango Lessons, in Time Out Sydney, settembre 2010 (consultabile in http://www.
timeoutsydney.com.au/gaylesbian/samesex-tango-classes.aspx)
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ristiche il luogo in-corpora determinati connotati fisici e il corpo diventa uno sti-
molante territorio da esplorare.
Come detto poco sopra, i corpi maschili delle guide turistiche invitano a cono-
scere un territorio, ma, allo stesso tempo, i corpi assumono i connotati di quel ter-
ritorio. Questo appare evidente in molte fotografie utilizzate per promuovere il
turismo gay in Argentina, dove gli uomini ritratti, evidentemente gay, sono vestiti
da gauchos (i cow boy della Pampa) o sono coinvolti in un passionale ballo di
tango (figg. 5 e 6).
Cos, limmaginario turistico destinato al pubblico gay sembra riprodurre gli
stessi pregiudizi e le stesse grandi narrazioni geografiche del tradizionale mercato
turistico. Le rappresentazioni dei corpi maschili omosessuali delle principali gui-
de gay esprimono spesso uno sguardo orientalista (Said, 1979) e colonizzatore
dai connotati omoerotici. Tale sguardo riproduce a sua volta i fondamenti ideolo-
gici e il determinismo storico attraverso cui lOccidente determina le caratteristi-
che di luoghi e culture altre in forma stereotipata e a partire dalle differenze, spes-
so prive di fondamenti, rispetto a una supposta o desiderata identit occidentale.
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RETHINKING GAY FRIENDLY: TOURISM AND COMMODIFICATION OF DIFFEREN-
CE IN THE CITY OF BUENOS AIRES. This paper is focused on the uses (and abuses) of
culture and difference in the urban renovation processes of the city of Buenos Aires, and
particularly in its gay friendly touristic offer. The spread of interest in the so called pink dol-
lar (the alleged higher incomes of the gay couples) by local public administrations and the
growth of gay spaces and districts in the cities have had an enormous influence on the
international touristic market and on the more general urban marketing strategies. The
Argentinean capital city has been elected some years ago as the new Mecca of international
gay tourism. Here, the symbolic value of identity and difference works as a market surplus
value and as a guarantee for immediate profit. A new image of the city, that links homo-
sexuality with cosmopolitanism and openness to diversity, has been spread through the
imposition of a new discursive regime. As a result, the city image that emerges works more
as a marketable illusion that reproduces an orientalist, homo-erotic and colonializing gaze,
than a real tolerance and integration of diversity and homosexuality. In this frame, the tou-
ristic images commonly offered to homosexual clients are paradoxical: on the one hand,
they help to undermine heterosexual hegemony, disrupting the binary oppositions
between masculine and feminine. On the other hand, they seem to re-orientate and impose
trough repetition a new model of homosexual hegemonic virility. Moreover, the specific
aspects of places are in-corporated in certain physical expressions and the (gay) body in
touristic gay guides and maps is presented as a stimulant territory to explore.
Universit degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
victoria.ayelen.sosa@gmail.com
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(*) Nonostante larticolo sia stato interamente ideato e sviluppato da entrambi gli autori, si precisa
che vanno attributi a Fiammetta Martegani i paragrafi secondo e quarto, e a Chen Misgav i paragrafi
primo e terzo, la cui traduzione dallinglese allitaliano stata curata da Fiammetta Martegani.
(1) In ebraico, letteralmente, lanno prossimo, per ricostruire Gerusalemme: preghiera e impe-
gno con cui si concludono ogni anno nelle comunit ebraiche di tutto il mondo le cerimonie di Yom
Kippur e Pesach.
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 63-72
FIAMMETTA MARTEGANI - CHEN MISGAV
LANNO PROSSIMO... A TEL AVIV
QUEERING THE REPRESENTATIONS FROM THE OUTSIDE AND THE INSIDE (*)
Introduzione. La scelta da parte degli autori di intitolare questo contributo
Lanno prossimo... a Tel Aviv, facendo riferimento in modo provocatorio alla no-
ta espressione biblica lanno prossimo a Gerusalemme (
1
), rappresenta il tentati-
vo di ricollocare la citt di Tel Aviv come meta di riferimento privilegiata, negli
ultimi decenni, non soltanto per il popolo ebraico, ma per una comunit pi allar-
gata, aperta nei confronti dellAlterit, che vive lo spazio urbano della sin-city (in
contrapposizione a Gerusalemme, holy city per definizione) come spazio della
differenza.
In questo contributo cercheremo, infatti, di illustrare le diverse narrative svi-
luppatesi attorno alla citt di Tel Aviv, che rappresenta il centro economico e cul-
turale e, soprattutto, la citt pi liberale di Israele, ragion per cui nel corso degli
ultimi decenni diventata meta di riferimento per la comunit LGBTQ di tutto il
Medio Oriente.
Nella nostra analisi ci concentreremo pertanto sulle diverse narrative che rap-
presentano Tel Aviv come spazio queer, e a tale proposito utilizzeremo due narra-
tive differenti ma complementari, in grado di illustrare il nostro specifico punto di
vista e le nostre peculiari identit: quella da outsider, una ricercatrice italiana
straight che vive a Tel Aviv da soli due anni, e quella da insider, un ricercatore
israeliano gay che vive a Tel Aviv da pi di dieci anni.
Cominceremo il nostro contributo con unintroduzione alla narrativa sionista
con cui stata inizialmente fondata la citt di Tel Aviv, per poi arrivare agli anni in
cui Tel Aviv diventata il centro di riferimento della comunit LGBTQ non soltan-
to israeliana, ma di tutto il Medio Oriente. Continueremo a esplorare le differenti
narrative con cui viene sperimentata e rappresentata la citt sia dalla comunit
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LGBTQ sia da quella straight, sia da cittadini israeliani sia stranieri, utilizzando
punti di vista e metodologie differenti: prodotti visuali appartenenti alla cultura
popolare, ma anche mappe, sia regolari sia mentali, in modo da esplorare ed
esaminare la complessa ricchezza multiculturale e multisessuale peculiare allo
spazio urbano di Tel Aviv.
From outside Nel corso della mia esperienza sul campo svoltasi tra il
2009 e 2010 ho avuto modo di conoscere la citt di Tel Aviv in molte delle sue di-
verse sfaccettature, tra le quali spicca, soprattutto rispetto ai miei precedenti ven-
tisette anni trascorsi a Milano, un uso dello spazio urbano come spazio hipster (
2
)
e, dal punto di vista delle dinamiche di genere, raramente vincolato da logiche
eteronormative (
3
), ma altres aperto a una pratica dello spazio di tipo prevalente-
mente metrosessuale (
4
).
Al fine di comprendere lo sviluppo di tale peculiare pratica metrosessuale del-
lo spazio hipster, stato per me fondamentale indagare il profondo legame tra il
sionismo moderno (
5
) e la fondazione della citt di Tel Aviv: entrambi fortemente
64 Fiammetta Martegani e Chen Misgav
(2) Il termine appare da principio come slang negli Stati Uniti nel corso dellera post-bellica, per
venire poi recuperato negli anni Novanta-Duemila col fine di descrivere quel peculiare stile di vita ur-
bano, tipico della classe medio-borghese in et tardo-giovanile, volto a promuovere una cultura an-
ti-mainstream, con un particolare interesse per la musica e il cinema indipendente (indie). Nel nume-
ro di Time Out New York del 29 maggio 2007, in un articolo piuttosto critico, Christian Lorentzen ri-
vendica che: the metrosexuality is the hipster appropriation of gay culture, as a trait carried over from
their Emo phase. [...] These aesthetics are assimilated cannibalized into a repertoire of meaning-
lessness, from which the hipster can construct an identity in the manner of a collage, or a shuffled
playlist on an iPod. [...] Hipsterism fetishizes the authentic elements of all of the fringe movements of
the postwar era-Beat, hippie, punk, even grunge, and draws on the cultural stores of every unmelted
ethnicity and gay style, and then regurgitates it with a winking inauthenticity and a sense of irony.
(3) Gli studi pi recenti sul rapporto tra sessualit e spazio hanno dimostrato che lo spazio pub-
blico costruito intorno alla particolare nozione di comportamento sessuale appropriato, che esclu-
de tutti i modi di vivere non centrati sulla monogamia, leterosessualit e il sesso procreativo. Lesclu-
sione spaziale dei dissidenti riproduce le nozioni di cittadinanza e di diritto basate sulleteronormati-
vit (Borghi, 2010, p. 190).
(4) Il termine, neologismo derivato dalla crasi tra metropolitan and heterosexual, trova le sue origi-
ni nel noto articolo di Mark Simpson, pubblicato il 15 novembre 1994 sullIndependent, in cui Simp-
son descrive luomo metrosexual come single young man with a high disposable income, living or
working in the city (because thats where all the best shops are), is perhaps the most promising con-
sumer market of the decade. Il 13 aprile 2010, sullHuffington Post, Simpson prova assieme alla scrit-
trice Caroline Hagood a descrivere il concetto di metrosexuality declinato anche al femminile, facendo
in particolar modo riferimento ai caratteri della celebre serie televisiva della HBO Sex and the City, al
fine di illustrare esempi paradigmatici di wo-metrosexuality (termine coniato dalla stessa Hagood).
Nella sua complessa analisi, larticolo sostiene soprattutto che anche se questo fenomeno non stareb-
be necessariamente a significare una effettiva emancipazione delle donne rispetto agli uomini, il fatto
che comunque lo stile di vita metrosexual tenda a decostruire tradizionali ruoli di genere, in termini di
lungo periodo, potrebbe comunque aiutare le donne nel processo di emancipazione dal proprio ruo-
lo di subordinazione rispetto agli uomini.
(5) Per sionismo moderno, qui e nella maggior parte della letteratura sviluppatasi attorno allargo-
mento, si intende fare solitamente riferimento al Primo Congresso Sionista, svoltosi a Basilea dal 29 al
31 agosto 1897 e presieduto da Theodor Herzl, considerato padre fondatore del sionismo moderno
nonch primo visionario e profeta dello stesso Stato di Israele.
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Lanno prossimo... a Tel Aviv 65
caratterizzati dallobiettivo di costruire uno spazio urbano volto ad accogliere
identit, e con esse, pratiche di consumo dello spazio differenti.
Il toponimo biblico della citt di Tel Aviv, infatti, proviene da Ezechiele (3,15)
e sta a significare letteralmente collina della primavera, ma rappresenta anche,
dal punto di vista simbolico, il luogo di incontro tra antico, ovvero la mitologica
montagna biblica tel, e moderno, rappresentato dallarrivo della primavera: aviv.
Per questo Nahum Sokolow, uno dei pi illustri leader sionisti del XIX secolo, de-
cise di utilizzare questo toponimo al fine di tradurre in ebraico quello che rappre-
senta il manifesto del sionismo moderno: Altneuland, pubblicato nel 1902 da
Theodor Herzl. In questopera, infatti, il padre fondatore del sionismo moderno il-
lustra la sua visione politica relativa alla necessit di uno Stato per gli ebrei nella
Terra di Israele, sottolineando allo stesso tempo limportanza di una societ ebrai-
ca aperta fondata sullidea che noi siamo il prodotto comune di tutte le nazioni ci-
vilizzate. [...] Sarebbe immorale se mai decidessimo di escludere qualcuno da que-
sto progetto, a prescindere dalle proprie origini, opinioni e credenze politiche o
religiose. [...] C un unico modo per farlo: la pi totale tolleranza (
6
).
Nellattuale Israele questo ruolo stato ampliamente assolto da Tel Aviv, una
citt che ancora non esisteva ai tempi in cui Altneuland venne tradotto da Sokolow
in Tel Aviv, ma il cui titolo divenne ispirazione per fondare nel 1909 la prima citt
ebraica, e in quanto tale radicalmente differente dalla giudaica Gerusalemme (
7
).
La narrativa liberal-sionista del XX secolo ha cos ampliamente contribuito a
costruire il ruolo secolare della citt di Tel Aviv allinterno della (decisamente me-
no secolare) societ israeliana, facendo di Tel Aviv, a partire dagli anni Ottanta, il
centro di riferimento per la comunit LGBTQ israeliana e pi in generale per tutto
il Medio Oriente.
La prima associazione LGBTQ sionista, comunemente conosciuta come Agu-
da, associazione, stata fondata nel 1975 a Tel Aviv e, ancora oggi, unorga-
nizzazione nazionale no-profit che lavora a favore del rispetto dei diritti della co-
munit LGBTQ in Israele, dove la legislatura relativa alla pratica omosessuale ri-
masta pressoch la stessa dai tempi del Mandato Britannico fino al 1988, quando
il divieto di praticare atti omosessuali stato formalmente abrogato dallassem-
blea legislativa nazionale della Knesset (organo parlamentare israeliano), e fino a
quando nel 1993 agli omosessuali stato ufficialmente concesso di poter prende-
re parte al servizio militare (
8
), ovvero quando in occasione della prima Pride Pa-
rade svoltasi a Tel Aviv il colonnello Uzi Even decise di partecipare indossando la
divisa militare e per tale ragione venne arrestato e sospeso dal suo servizio. Ci
(6) Citazione liberamente tradotta dallautrice, riportata in Selzer (1970, p. 185).
(7) Pur non essendo questa la sede in cui aprire il dibattito sulla grande differenza tra la portata
laica dellebraismo come cultura e quella pi legata allortoprassi del giudaismo come fede, ci pre-
me qui sottolineare limportante differenza epistemologica trai due termini, a partire dalluso dei due
differenti aggettivi nella lingua ebraica: ivrit (ebraico) e ieudit (giudaico).
(8) Servizio per altro obbligatorio in Israele sia per gli uomini che per le donne, rispettivamente
per la durata di tre anni per i primi e di venti mesi per le seconde, alle quali tuttavia non viene richie-
sto di prestare servizio di riserva per un periodo che pu variare fino ai trenta giorni allanno e fino ai
quarantacinque anni di et, come invece previsto per i soldati uomini.
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 65
spinse lallora primo ministro Yitzhak Rabin a mutare la legislatura militare relati-
va allomosessualit. Sei anni pi tardi lo stesso Even diverr il primo membro di-
chiaratamente gay a far parte della Knesset.
Tuttavia, pi che dalla Knesset, un ruolo decisivo nel rappresentare i diritti
della comunit LGBTQ israeliana stato rivestito, soprattutto nellultimo decen-
nio, particolarmente dalla municipalit di Tel Aviv, che dal gennaio 2008 ha uffi-
cialmente istituzionalizzato il LGBTQ Community Center, primo nel mondo a es-
sere stato finanziato grazie al contributo diretto delle tasse dei cittadini.
Uno dei film pi rappresentativi nel descrivere la vita della comunit LGBTQ
di Tel Aviv risulta sicuramente lopera del 2006 di Eytan Fox (
9
): The Bubble (
10
). Il
film racconta la storia e le storie di un gruppo di coinquilini che condividono lo
stesso appartamento a Tel Aviv, ma risulta pi che altro una canzone damore nei
confronti della citt come luogo di incontro tra diverse alterit: arabi ed ebrei,
donne e uomini, gay e straights. Ci che ognuno di loro ha in comune, infatti,
lamore per Tel Aviv, un amore che viene descritto in modo paradigmatico dalla t-
shirt che indossa uno dei protagonisti omosessuali, che porta la scritta I love Tel
Aviv (fig. 1).
Questo amore per la citt non ha nulla a che vedere con lomosessualit del
protagonista (peraltro mostrato fin dalla prima scena del film in divisa militare e in
modo tuttaltro che effeminato), ma altres con la possibilit di poter sperimentare
il proprio stile di vita metrosessuale, frequentando gli stessi luoghi e locali hip-
sters praticati anche da straights e che rappresentano tutti i vantaggi del poter usu-
fruire di uno stile di vita urbano: ampie offerte di lavoro e consumismo, ma an-
che edonismo e cura del s, il tutto in unatmosfera altamente aperta e liberale.
Quel tipo di atmosfera che ho avuto modo di sperimentare io stessa, come outsi-
der, nei due anni che ho trascorso fino a oggi nella bolla di Tel Aviv, consuman-
do gli stessi luoghi hipsters che vengono vissuti in modo metrosessuale dalla mag-
gior parte di coloro che vivono nella bolla, come possibile constatare dalla Tel
Aviv gay-map (
11
), i cui principali luoghi di interesse segnalati vengono egualmen-
te e abitualmente frequentati sia da gay che da straights.
to inside. In contrapposizione alluso di una cartografia ufficiale, il mio
contributo come insider si propone di indagare lo spazio queer di Tel Aviv grazie
allausilio di alcune mappe mentali che ho avuto modo di far produrre nel corso
di una serie di interviste realizzate per redigere la mia tesi di Master sullo spazio
66 Fiammetta Martegani e Chen Misgav
(9) Dal 1997 al 2000 Fox stato regista anche della prima serie televisiva israeliana volta a rap-
presentare la vita della comunit LGBTQ di Tel Aviv: Florentin, ovvero il nome di uno dei quartieri
maggiormente abitati e frequentati da studenti, artisti e pi in generale dalla comunit hipster di Tel
Aviv.
(10) Col termine ebraico buha, bolla, gli israeliani tendono a fare riferimento alla peculiare di-
mensione bohmien e liberale che caratterizza Tel Aviv rispetto al resto del paese: una bolla che tutta-
via, in quanto tale, precaria per definizione, e quindi anche destinata a scoppiare da un momento al-
laltro.
(11) Mappa ufficiale della comunit gay di Tel Aviv, distribuita nel Tel Aviv LGBTQ Community
Center, col patrocinio della municipalit di Tel Aviv, e reperibile anche in formato PDF sul sito
www.gaytlvguide.com/the-guide/gay-tel-aviv-map.
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 66
Lanno prossimo... a Tel Aviv 67
urbano di Tel Aviv vissuto dalla comunit gay (Misgav, 2008). Tale lavoro stato
fortemente influenzato dal ruolo assunto negli ultimi anni dellattivismo femmini-
sta e queer nelle pratiche di costruzione dello spazio e su di esso sto attualmen-
te lavorando per la mia attuale ricerca di dottorato, che si concentra in particolare
sullanalisi dello spazio urbano notturno di Tel Aviv e dal peculiare rapporto tra
spazio e corpo, nelle sue diverse declinazioni sessuali.
Dal punto di vista metodologico, la crescente visibilit della comunit gay e le
sue conquiste politiche hanno contribuito in gran parte allampliamento e alla le-
gittimazione della ricerca sui soggetti queer (Chauncey, 1994 e 1997; Gross e Ziv,
2003; Higgs, 1999). Lo sviluppo di unidentit politica gay ha suscitato, infatti, un
lungo processo di conoscenza alternativa sui temi queer in diverse discipline e
negli ultimi decenni la ricerca gay ha cominciato a prendere in esame i contesti
urbani e regionali, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna (Frisch, 2002;
Mort, 2000), dove la discussione accademica ha influenzato lo sviluppo della teo-
ria queer in molte discipline, tra cui la geografia (Bell e Valentine, 1995). Molti de-
gli studi sulla geografia queer dagli anni Novanta hanno inoltre dedicato una cre-
scente attenzione agli studi sul corpo (Longhurst e Johnston, 2010), in particolare
sul corpo di transessuali, transgenders e altri soggetti fluidi e sul loro uso dello
spazio urbano come performance (Halberstam, 2005).
Questo tipo di riflessioni epistemologiche sono state centrali nel mio lavoro di
Fig. 1 Particolare di una scena del film The Bubble di Eytan Fox (2006)
Fonte: Tel Aviv Fever (www.telaviv-fever.com)
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 67
ricerca, in particolar modo nellanalisi dello spazio urbano di Tel Aviv dal punto
di vista della comunit LGBTQ.
Nel corso della mia ricerca ho avuto modo di raccogliere una cinquantina di
interviste in profondit con uomini e donne, gay e lesbiche, che vivono e risiedo-
no nella citt di Tel Aviv, in modo da analizzare il differente utilizzo di servizi e
spazi pubblici. Questo stato possibile attraverso lutilizzo di mappe cognitive
realizzate dagli stessi intervistati. Attraverso questo tipo di metodologia (Lynch,
1960) ho avuto modo di sperimentare come sia possibile comprendere lo spazio
urbano attraverso le conoscenze locali (Fenster, 2004, e 2009, pp. 479-498) di
questi soggetti.
In questo contributo presenter in particolare due mappe mentali differenti e
peculiari nel descrivere le diverse possibilit di sperimentare un medesimo spazio
urbano: la mappa di Rina, lesbica, proveniente da un piccolo villaggio del sud, e
di Ziv, gay, anche egli trasferitosi di recente a Tel Aviv.
Per tutti e due i soggetti vi in comune la scelta di trasferirsi a Tel Aviv, che in
entrambi i casi non rappresenta soltanto uno spazio fisico; si tratta piuttosto di un
luogo simbolico, che, in quanto tale, influenza profondamente le interazioni so-
ciali, spirituali ed emotive delle persone che vi abitano.
68 Fiammetta Martegani e Chen Misgav
Fig. 2 Mappa mentale di Rina, disegnata da Rina per lintervista effettuata da
Chen Misgav
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 68
Lanno prossimo... a Tel Aviv 69
La mappa di Rina (fig. 2) mostra elementi sia fisici sia geografici (strade, nego-
zi, caff ecc.) che riflettono soprattutto la sua posizione emotiva. Nel centro della
mappa emerge, infatti, uno spazio vuoto. Lei stessa lo descrive come il mio spa-
zio di libert personale e lo vede come fondamentale rispetto al suo passato, es-
sendo cresciuta in una famiglia ebrea ortodossa e pertanto decisamente conserva-
trice.
La mappa di Ziv (fig. 3) risulta altrettanto interessante in quanto non emerge
alcun elemento che possa fare da riferimento a una citt in particolare e, nello
specifico, a Tel Aviv. La mappa caratterizzata da numerose piazze: alcune sono
contrassegnate con i nomi di luoghi specifici (supermercato, farmacia, lavoro
ecc.), mentre le frecce stanno a indicare il movimento che Ziv deve percorrere
per raggiungere questi luoghi dalla propria abitazione. Anche in questa mappa,
dunque, come nel caso di Rina, tende a emergere la specificit della propria espe-
rienza personale dello spazio urbano.
Entrambe le mappe, pur se molto differenti, mostrano come lo spazio urbano
sia intimamente legato alla pratica quotidiana della citt. Le mappe mentali di tut-
te le persone che sono state intervistate mostrano, infatti, la forte connessione tra
luso dello spazio urbano e la propria identit sessuale gay.
Come messo in luce nel paragrafo precedente, importante sottolineare come
lo spazio urbano vissuto dalla comunit gay di Tel Aviv non sia affatto uno spazio
di tipo esclusivo, ma, al contrario, uno spazio che si sovrappone o, meglio anco-
ra, si incontra con quello straight. Questo aspetto, peraltro, permette alla comu-
nit LGBTQ di avere una scelta pi ampia rispetto allo spazio urbano da poter
consumare.
Fig. 3 Mappa mentale di Ziv, disegnata da Ziv per lintervista effettuata da
Chen Misgav
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 69
In tal senso, la mia attuale ricerca sui night clubs di Tel Aviv (Misgav, 2010) si
voluta concentrare sul ruolo paradigmatico della performativit dei corpi degli
uomini e delle donne transgenders nella creazione di differenti eterotopie (Fou-
cault, 1984; 2010) allinterno del medesimo spazio del club. La lettura dello spazio
in termini focaultiani mi ha permesso pertanto di rileggere lo spazio del club co-
me spazio sociopolitico che permette a coloro che vivono unidentit spesso con-
siderata subalterna di poter sperimentare un proprio peculiare spazio della diffe-
renza, lo stesso tipo di spazio che emerge, su scala pi ampia, nelle mappe men-
tali di Rina e Ziv. Nel corso di una lunga ricerca sulla cultura del night club, Nis-
san Shore (2008) ha inoltre messo in luce il peculiare ruolo del club come spazio
di rivendicazione e di emancipazione sessuale per la comunit LGBTQ di Israele,
permettendo a essa di poter esprimere la propria identit sessuale anche al di fuo-
ri degli spazi del club. Shore sostiene inoltre che il diverso approccio sessuale nel-
luso degli spazi dei clubs abbia influenzato e sfidato le percezioni di genere, di ti-
po prettamente eteronormativo, non soltanto allinterno dalla comunit LGBTQ,
permettendole in questo modo di uscire allo scoperto dalle tenebre del club al-
la luce della vita quotidiana, ma abbia soprattutto permesso, su pi vasta scala,
di mettere in discussione tutte quelle nozioni egemoniche ed eteronormative rela-
tive a sesso, corpo e sessualit.
Conclusioni: queering the Representations. In questo contributo abbiamo
cercato di presentare e rappresentare differenti narrative della citt di Tel Aviv, al
fine di esplorare due prospettive diverse ma complementari, che illustrano il no-
stro peculiare punto di vista come insider e outsider. Abbiamo cercato di esplora-
re e mostrare percorsi differenti con cui possibile sperimentare la citt a prescin-
dere dalla propria identit sessuale e appartenenza religiosa, in modo da illustrare
tutta la complessit multiculturale e multisessuale offerta dalla citt di Tel Aviv, in
quanto spazio della differenza. Uno spazio queer dove identit hipster e metro-
sessualit non si scontrano lungo confini rigidi, ma altres si incontrano in uno
spazio comune, dove possibile costruire e ricostruire la propria identit come
un collage i cui pezzi continuano a cambiare, o meglio ancora, come una playlist
musicale in shuffle, il cui ritmo pu cambiare in ogni momento: proprio come lo
spazio queer di Tel Aviv.
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NEXT YEAR... IN TEL AVIV. QUEERING THE REPRESENTATIONS FROM THE
OUTSIDE AND THE INSIDE. In this paper we are going to present different narratives
of the city of Tel Aviv, which is the cultural and economical capital of Israel and the most
liberal city in the country. As such Tel Aviv serves as the LGBTQ center and as a magnet
for those people that are immigrates to the city from all parts of the country. We would
like to concentrate in the narratives of the city as a queer space from two different and
complementary perspectives that will illustrate our peculiar points of view and our identi-
ties: the outside, an Italian straight researcher which spent her last two years in Tel Aviv,
and the inside, Israeli gay researcher that actually live in the city for many years. We will
start talking about the historical Zionist narrative that contributed to construct the role of
the city of Tel Aviv in the Israeli society and in the Israeli LGBTQ community, to move
into some insights that arrow from the academic work. We will try to explore and to show
the different ways people might experience the city, whether they are straight or part of
LGBTQ community, citizens or foreigners, and we will illustrate this position by few kinds
of visual methods, such as popular culture products, regular maps and mental maps.
We will use these two points of view in order to represent and to examine the interesting
constructions of this complex multicultural, multisexual and full of different identities
space.
Universit degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la
Formazione Riccardo Massa
fiammettamartegani@gmail.com
Universit di Tel Aviv, Department of Geography and Human Environment
chenmisg@post.tau.ac.il
72 Fiammetta Martegani e Chen Misgav
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 72
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 73-82
MIRELLA LODA - SILVIA ARU - DIEGO CARIANI
LA CONVIVENZA URBANA
NELLO SPAZIO PUBBLICO FIORENTINO
PRATICHE SOCIALI E NEGOZIAZIONE DELLA DIFFERENZA (*)
Introduzione. La citt rimane il luogo in cui le eterogeneit sociali, le diffe-
renze di genere, di classe, di religione eccetera si danno con la massima prossi-
mit spaziale; allinterno della citt, gli spazi pubblici restano lambito ove pi vi-
sibili sono i meccanismi di interazione e di negoziazione tra di esse. Una tale di-
versit di attori sociali nella scena urbana non pu che portare con s differenze
in termini di pratiche messe in atto nei singoli luoghi pubblici. La molteplicit di
usi ed esigenze che si relazionano allinterno di tali spazi attiva dinamiche che,
volendole inserire in una scala graduata di conflittualit, possono essere di condi-
visione, di competizione (pi o meno esplicita) o di scontro, fino a giungere a ve-
ri e propri processi di espulsione di alcune pratiche e/o attori sociali da specifici
luoghi. Lo spazio pubblico urbano dunque a tutto diritto lemblema visivo della
cultura pubblica, il palcoscenico sul quale quotidianamente si recita tale discorso
di inclusione ed esclusione di gruppi sociali differenti e delle loro pratiche.
Nel Laboratorio di Geografia Sociale (www.lages.eu) dellUniversit di Firenze
abbiamo condotto una ricerca sullo spazio pubblico della citt, focalizzando lat-
tenzione sui modi in cui esso viene percepito dai fruitori e sulle pratiche di nego-
ziazione che quotidianamente vi hanno luogo.
Abbiamo selezionato per lindagine tre tipi di spazio pubblico (
1
). La ricerca ha
innanzitutto riguardato gli spazi pubblici urbani per antonomasia, le piazze. Dal-
lanalisi delle pratiche e delle dinamiche tra frequentatori si cercato di ricavare
quale sia il modello di convivenza urbana prevalente e quali siano le dinamiche
di cambiamento in atto.
(*) Il presente lavoro frutto di intensa collaborazione tra gli autori. La stesura del testo tuttavia
da attribuire a M. Loda per i paragrafi primo, secondo e quinto, a S. Aru per il terzo, a D. Cariani per il
quarto.
(1) I risultati dellindagine sono stati presentati al convegno internazionale Urban Public Space in
Western and Islamic Countries (Firenze, 10-11 maggio 2010). Gli atti del convegno sono in corso di
pubblicazione presso leditore Pacini (Loda, in corso di stampa).
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 73
Lo studio ha poi preso in considerazione i cosiddetti dehors (o outdoor caf),
una forma di commercializzazione dello spazio pubblico diffusasi in grande mi-
sura negli ultimissimi anni. Lo scopo principale di questa parte della ricerca era
rilevare leventuale collegamento tra questi spazi e il diffondesi di nuove forme
di consumo della citt, di nuove linee di demarcazione tra pubblico e privato, o
di tendenze allespulsione di usi dello spazio non conformi alla modalit consu-
mistica.
Infine, si posta lattenzione sulla territorializzazione spontanea di alcuni
gruppi in spazi pubblici secondari (o interstiziali). Osservando le pratiche duso
attraverso cui un gruppo (
2
) si radica in queste vere e proprie piazze di fatto, si
inteso contribuire allanalisi del rapporto fra pratiche sociali e caratteristiche
del luogo.
Le piazze. Lanalisi sulle piazze fiorentine ha evidenziato contrariamente a
quanto ipotizzabile in base al cosiddetto deficit model, cio a una lettura incentra-
ta sullidea di crisi degli spazi nella citt contemporanea che esse sono tuttora
mediamente molto frequentate, comunicano sensazioni di benessere ai fruitori e
contribuiscono significativamente a consolidarne un senso di appartenenza ai
luoghi.
Tuttavia, la progressiva complessificazione del tessuto sociale, la diversifica-
zione degli stili di vita, la mutazione della base economica cittadina e soprattutto
il passaggio a un contesto demografico multiculturale hanno grandemente diver-
sificato e moltiplicato anche a Firenze i bisogni e le pratiche duso volte allo spa-
zio pubblico. La dimensione sociale di questultimo sempre pi si presenta come
lesito di una continua negoziazione fra individuo e gruppo, nonch fra gruppi o
comunit di pratiche differenti, in una dinamica che quotidianamente si articola
tra le istanze contrapposte, ma compresenti, di tipo inclusivo ed esclusivo, identi-
tario-comunitario o integrativo.
I bisogni e le pratiche espresse dai vari gruppi, infatti, in parte convivono nel-
lo stesso luogo, in parte divengono inconciliabili o addirittura confliggono, gene-
rando una competizione per luso dello spazio. Lo spazio pubblico assume quindi
un valore assolutamente situazionale e la specifica valenza di ogni piazza dipen-
de dai processi di negoziazione (pi o meno espliciti) che in essa si svolgono.
allora interessante approfondire per ciascun luogo la natura variabile della nego-
ziazione: intendere se prevalgano dinamiche identitarie oppure integrative; capi-
re come eventuali processi integrativi si caratterizzino da un punto di vista sociale
e/o interculturale; osservare infine il modo in cui le diverse costellazioni si combi-
nano con le caratteristiche fisico-materiali dei luoghi. Partendo da analisi di detta-
glio nelle singole piazze, abbiamo definito una sorta di tipologia, che si articola in
tre tipi principali: inclusivo, dedicato e conteso (
3
).
74 Mirella Loda, Silvia Aru e Diego Cariani
(2) In questo contesto il concetto di gruppo assimilabile a quello di comunit di pratiche, che
meglio definisce il tratto identificatore dellaggregazione (Amin, 2005).
(3) Tale classificazione delle piazze fiorentine in relazione alla natura della negoziazione per luso
dello spazio stata presentata una prima volta nel contributo di Mirella Loda, Spazi inclusivi, spazi
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 74
La convivenza urbana nello spazio pubblico fiorentino 75
Il tipo inclusivo quello pi prossimo (in apparenza) alla nozione ideale di
spazio pubblico, inteso come spazio liberamente accessibile a una molteplicit di
attori, e come luogo di incontro spontaneo tra diversit (culturali, di genere, ge-
nerazionali ecc.). Le piazze inclusive sono luoghi in cui non si riscontrano parti-
colari tensioni tra gruppi di fruitori. Allestremo opposto si collocano le piazze
dedicate, frequentate da un pubblico meno variegato e nelle quali si svolge una
gamma pi ristretta di pratiche. Fra il tipo inclusivo e quello dedicato si colloca
il tipo che abbiamo definito conteso, dove le dinamiche competitive sono molto
accentuate, ma gli esiti ancora incerti. Dallanalisi dei nostri dati si evince in gene-
rale il diffondersi di modalit dedicate di fruizione dello spazio pubblico sia come
esito dei meccanismi negoziali che riducono di norma la variet dei fruitori e del-
le pratiche legittimate nei vari luoghi; sia perch, a unosservazione ravvicinata,
gli stessi spazi apparentemente inclusivi si rivelano spesso un mosaico di spazi
pi o meno specializzati (dedicati), in cui la compresenza di pratiche differenti
resa possibile dallampiezza del luogo, ma avviene per il resto in un contesto di
interazione scarsa o nulla fra i diversi gruppi.
Interpretando le pratiche volte allo spazio pubblico come paradigma delle
modalit della convivenza urbana, il passaggio descritto da luoghi inclusivi a luo-
ghi dedicati pu dirsi emblematico di una convivenza fondata pi che in passato
sulla giustapposizione di segmenti sociali relativamente autonomi, connessi da
dinamiche di interazione forti verso linterno e deboli verso lesterno. Tale dal-
tra parte lo scenario verso cui convergono le analisi delle societ occidentali post-
moderne, e al quale si debbono rapportare le politiche di gestione degli spazi
pubblici.
Per quanto riguarda in particolare la nostra tematica, appare evidente che la
crescente variet delle pratiche di cui le piazze sono al tempo stesso oggetto e
veicolo necessita oggi di unaltrettanto ampia variet di luoghi capaci di accoglier-
le ed sempre meno comprimibile entro piazze pensate (sul modello dello spa-
zio inclusivo) come socialmente neutre. Per la gestione dello spazio pubblico ur-
bano lanalisi sociale dei luoghi quindi almeno altrettanto importante quanto
quella estetica o funzionale, che invece prevale ampiamente nella logica e nella
pratica degli interventi.
Prendere atto della tendenza spontanea dello spazio pubblico ad articolarsi
in spazi socialmente dedicati non equivale certo ad auspicare listituzione di spazi
chiusi o esclusivi. Al contrario, crediamo che proprio politiche orientate a una ge-
stione aperta e flessibile degli spazi pubblici siano lo strumento pi efficace per
soddisfare una domanda fortemente accresciuta e sempre pi differenziata (
4
).
transeunti, spazi dedicati: continuit e discontinuit nelle pratiche di uso delle piazze fiorentine,
presentato al convegno Innenraum und Aussenraum: Wie formt der Platz die Stadt? Inside out in
the Piazza: Shaping Space, Defining the City, organizzato dal Kunsthistorisches Institut di Firenze (6-9
novembre 2008).
(4) In questa direzione argomentava gi una ventina di anni fa, con riferimento allimmigrazione
turca a Berlino, Dieter Hoffmann-Axthelm (1994, in particolare alle pp. 49-85). Per la definizione dei
criteri su cui dovrebbero orientarsi politiche di gestione flessibile dello spazio pubblico, ci permettia-
mo di rimandare al contributo di Loda nel volume Lo spazio pubblico urbano. Teorie, progetti e prati-
che in un confronto internazionale (Loda, in corso di stampa).
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 75
(5) In questo paragrafo si sintetizzano i risultati diffusamente illustrati in Loda, Aru, Barsotelli e
Sbardella (in corso di stampa). Lindagine empirica sui dehors stata svolta da Stefania Sbardella e
Manuela Barsotelli.
76 Mirella Loda, Silvia Aru e Diego Cariani
I dehors (o outdoor caf) (
5
). A partire dalla seconda met del XX secolo, i
processi di privatizzazione e commercializzazione dello spazio pubblico hanno
giocato un ruolo centrale nel definire alcuni tratti dei mutamenti urbani della citt
contemporanea. In questambito, i dehors ovvero gli spazi aperti allesterno dei
pubblici esercizi destinati alla ristorazione per ampliarne la capacit ricettiva
rappresentano un fenomeno di grande interesse, visto che sono attualmente una
delle forme pi pervasive e recenti di commercializzazione dello spazio pubblico
(fig. 1).
Si cercato di comprendere se il processo in atto potesse essere letto in termi-
ni di erosione di spazi destinati in precedenza alla libera fruizione o se, nondime-
no, si potessero rintracciare allinterno di tali contesti nuove modalit di conviven-
za urbana (Zachary, 2006).
Lindagine ha riguardato due aree specifiche della citt: una centrale (Quartie-
re 1), laltra appena decentrata (Quartiere 2) (fig. 2).
Con lanalisi quantitativa abbiamo rilevato la presenza e la dislocazione dei
dehors nel tessuto urbano, documentando la forte diffusione specialmente nelle
aree centrali a forte presenza turistica; nella sola area dindagine risultano, infatti,
142 dehors e 11 spazi occupati privi di pedana, per un totale di 3.558 m.
Con lanalisi qualitativa abbiamo studiato il modo in cui i dehors contribuisco-
no a modificare il nostro modo di percepire e di vivere lo spazio pubblico e la
citt.
Nel complesso, emerge chiaramente come tali luoghi riescano a soddisfare
(magari per averla essi stessi indotta) una nuova, specifica domanda di citt, la-
sciata inevasa dagli spazi pubblici tradizionali.
I dehors offrono con ogni evidenza modalit di stare allaperto pi soddisfa-
centi di quelle consentite dagli spazi pubblici tradizionali; essi permettono infatti
di abbinare il piacere di stare allaperto con quello di sentirsi protetti. La percezio-
ne di un senso di sicurezza dunque un elemento fondamentale per la motiva-
zione a frequentare tali luoghi. Larredo (netta delimitazione dallo spazio esterno
attraverso barriere quali fioriere o inferriate leggere) fa apparire il dehors come
una sorta di salotto quasi domestico, mentre latto di consumo che legittima allu-
so del luogo accomuna gli avventori e filtra il pubblico, agevolando la comunica-
zione e linterazione sociale con interlocutori per cos dire preselezionati.
Naturalmente, chiaro il prezzo sociale (nel senso ampio del termine) insito
nella sicurezza offerta da tali contesti: essi ospitano dinamiche di socializzazione
cos come, o forse proprio perch, ne respingono altre. Le stesse differenze in ter-
mini di capacit economica possono, per esempio, escludere da certi luoghi alcu-
ne persone impossibilitate ad acquistare. Se vero che, per riprendere Amendola
(2006), nella citt moderna per la prima volta viene invertito il nesso vado per
comprare in compro per andare, ne consegue che latto del consumo tender a
selezionare chi, attraverso esso, autorizzato ad accedere a determinati luoghi.
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 76
Fig. 1 Esempi di
dehors presenti
nella citt di Firen-
ze
Foto di Manuela Bar-
sotelli
Il meccanismo interno/esterno non si esaurisce nellammissione o meno in ba-
se allatto di consumo, ma si concretizza anche in dinamiche di relazione tra chi si
trova dentro il perimetro protetto dalla pedana del dehors e chi, volente o nolen-
te, ne al di fuori. Tali dinamiche relazionali sono basate principalmente sullele-
mento visivo: guardare la citt e lasciarsi guardare come da una finestra infatti
un atto comunicativo centrale e altamente appagante.
Il nostro studio documenta quindi lentit della privatizzazione di spazio pub-
blico, ma al tempo stesso in linea con la letteratura che evidenzia come il signi-
ficato dellazione di consumo travalichi la sfera puramente economica e strumen-
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Fig. 2 Firenze: area di indagine
Fonte: elaborazione di Stefania Sbardella
78 Mirella Loda, Silvia Aru e Diego Cariani
tale (Neal, 2006; Bell, 2007) mostra come essa divenga luogo e veicolo di nuo-
ve, specifiche forme di convivialit.
Il dehors diventato indubbiamente lemblema specialmente nel centro sto-
rico e nella citt vetrina gentrificata e turisticizzata (Amendola, 2006) di un
nuovo modo di percepire e di rapportarci agli spazi aperti ed evidentemente in-
terpreta in massima misura bisogni atomizzati, in una metamorfosi della citt e
della societ che viene da lontano.
Spazi pubblici informali/Piazze di fatto. Per ultimare il quadro di indagine
sullo spazio pubblico di Firenze e al fine di comprendere il ventaglio delle moda-
lit comunicative e relazionali che in esso si esplicano, si deciso di includere
nello studio anche la categoria dei cosiddetti spazi pubblici informali. Osservan-
do le pratiche duso spontanee che si sviluppano in questi luoghi, si inteso ra-
gionare sullapparente paradosso dato dal confronto fra lappetibilit di questi
spazi, nonostante la loro scarsa qualit, e linsuccesso di molti luoghi esplicita-
mente progettati come luoghi di aggregazione (fig. 3).
Con spazio pubblico informale ci si riferisce a una pluralit di situazioni urba-
ne, di difficile identificazione in realt, che molto spesso non vengono percepite
come luoghi precisi capaci di stimolare interazione sociale (Maciocco e Pittaluga,
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2006). Tuttavia, come si evince dallindagine, essi meritano una riflessione, poich
da un lato sono utili indicatori di processi di territorializzazione spontanea e, dal-
laltro, possono contribuire a spiegare quali attributi i diversi gruppi di fruitori ri-
cercano nello spazio pubblico. Proprio per questo motivo definiamo gli spazi
pubblici informali anche piazze di fatto, intendendo luoghi che assumono una
funzione di piazza nonostante non siano stati progettati a tale scopo.
La ricerca stata condotta nel quartiere dellIsolotto, che, progettato negli anni
Cinquanta del secolo scorso nellambito del piano di edilizia pubblica INA-Casa,
si offriva come contesto ideale di confronto fra gli spazi progettati e quelli effetti-
vamente fruiti dagli abitanti (Poli, 2004).
Lo studio ha innanzitutto evidenziato un netto contrasto fra la desolazione del-
la piazza principale dellIsolotto, che avrebbe dovuto costituire il nodo centrale
del quartiere, e il Viale dei Bambini, piazza di fatto altamente frequentata da fa-
miglie con bambini di et compresa tra i sei e i dieci anni. Infatti, per quanto il Via-
le dei Bambini costituisca un luogo privo di infrastrutture particolari e anzi scarsa-
mente curato, la possibilit di percorrerlo a piedi lontano dal traffico lo rende pre-
zioso per genitori con figli piccoli (
6
). Nonostante le sue carenze infrastrutturali,
questo spazio pubblico ha inoltre acquisito nel tempo una forte valenza simbolica
per gli abitanti del quartiere, essendo il luogo che gran parte di essi ha quotidiana-
mente percorso per recarsi a scuola. Nella percezione collettiva quindi il Viale
dei Bambini, e non la Piazza dellIsolotto, il luogo cui maggiormente si associa lo
spirito della comunit che con il piano di edilizia pubblica si intendeva radicare
nellarea (
7
).
Osservando un altro luogo di aggregazione spontanea, il Giardino, dove sin-
contra stabilmente un gruppo di ragazzi, stato poi possibile approfondire la ri-
flessione sul rapporto tra setting del luogo (
8
) e pratiche sociali, e sui meccanismi
di inclusione/esclusione sociale connessi alle pratiche spaziali.
Per quanto riguarda il primo aspetto, emerso con evidenza che proprio ca-
ratteristiche normalmente ritenute poco attrattive (stato di relativa trascuratezza,
localizzazione appartata) rafforzano lappetibilit del luogo agli occhi del gruppo
di fruitori, concretizzandosi in un uso esclusivo che garantisce la riservatezza ne-
cessaria a mettere in pratica piccole trasgressioni.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, risultato evidente come il controllo
che il gruppo esercita sul luogo (sedimentatosi nel tempo attraverso luso esclusi-
vo) si esprima in una sorta di diritto di ammissione/esclusione al luogo e sostanzi
il senso di identit del gruppo stesso (
9
). Una situazione simile, anche se in forma
(6) [...] C il posto per sedersi tranquillamente e poi non passano le macchine, stare su una pan-
china su una strada dove passano le macchine insomma [...] (intervista n. 8).
(7) Quasi tutti gli abitanti del quartiere hanno frequentato la scuola elementare collocata nei pressi del
viale: [...] sono nata e cresciuta qui allIsolotto, ecco perch comunque c un ritorno, perch questo posto
mi ricorda tutto, che possa piacere o non piacere qui c tutta la mia infanzia [...] (intervista n. 3).
(8) Con questo termine inglese, divenuto frequente nella letteratura su questi temi, si intende defi-
nire quellinsieme di fattori umani e non umani specifico del luogo, che condiziona le pratiche sociali
stesse.
(9) Emblematiche al riguardo le parole del leader del gruppo s io f la selezione, perch io penso
La convivenza urbana nello spazio pubblico fiorentino 79
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Fig. 3 Il confronto
tra la vivacit di
una piazza di fat-
to (foto sopra: Via-
le dei Bambini) e
la desolazione del-
la piazza progettata
(foto a sinistra:
Piazza dellIsolotto)
Foto di Diego Cariani
cos: siccome mi vien da litigare molto spesso, questo il mio territorio... se devono venire a rompermi
le scatole, se devono venire li seleziono, cio io alla fine non vado a rompere le scatole l [...].
80 Mirella Loda, Silvia Aru e Diego Cariani
meno esplicita, stata osservata anche nel Viale dei Bambini dove le pratiche dei
fruitori abituali, nelle sembianze di norme non scritte, non lasciano spazio alle
modalit di fruizione altre da quelle tipicamente familiari.
Come abbiamo visto, il successo di uno spazio pubblico non pu essere ricon-
dotto direttamente alla qualit dello spazio inteso in senso strettamente estetico-
architettonico-funzionale ma, allopposto, la sua vitalit e il suo successo dipen-
dono in gran parte dalla sua capacit di rispondere a bisogni specifici e difficil-
mente prevedibili di gruppi di fruitori. Inoltre la marcata differenziazione dei bi-
sogni, tipica della nostra societ, spinge a ricercare sovente spazi dedicati piutto-
sto che inclusivi, cio occupati in maniera tendenzialmente esclusiva da parte di
specifiche comunit di pratiche (Amin, 2005).
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Negoziazione della differenza nello spazio pubblico di Firenze. Dalla ricerca
sullo spazio pubblico fiorentino emerge innanzitutto lampia differenziazione di
pratiche duso dello spazio pubblico urbano connessa alla complessificazione del
tessuto sociale della citt contemporanea.
Nellinsieme non pare si possa parlare di una crisi dello spazio pubblico analo-
ga a quella descritta dalla letteratura per le citt nordamericane. Tuttavia, la ricer-
ca ha mostrato la progressiva tendenza alla specializzazione dei singoli spazi pub-
blici (o di aree circoscritte di essi) in rapporto a determinate pratiche, con la con-
seguente esclusione di altre.
Dallo studio si evince poi lemergere di unesigenza sempre pi pressante di
luoghi di socializzazione protetta e sicura, come documenta la diffusione e laffer-
mazione in ambito urbano dei dehors.
La consapevolezza della tendenza alla differenziazione tra gli usi sociali degli
spazi pubblici (diffusione di spazi dedicati/specializzati) deve costituire un ele-
mento centrale nella definizione delle politiche di gestione degli spazi stessi.
In questo contesto, la qualit estetico-architettonica non pu pi essere consi-
derata condizione sufficiente a creare uno spazio pubblico di qualit. invece in-
dispensabile accompagnarla con unattenta lettura del luogo come contesto di in-
terazione sociale.
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FLORENTINE URBAN PUBLIC SPACES: SOCIAL PRACTICES AND NEGOTIATION OF
THE DIFFERENCE. Our paper focuses on different forms of negotiation in Florentine
public space. We thus draw upon the results of a research project conducted through the
Laboratory for Social Geography of Florence University that investigates squares, outdoor
caf and informal public spaces on an empirical basis. The study on Florentine piazzas
shows the great variety of practices in public spaces connected to the increasing social and
cultural complexity of the city. Moreover it shows the tendency of public space to switch
from an all-inclusive public space to a sort of mosaic of socially dedicated spaces. The
study on the outdoor cafs allows a better understanding either of the huge commercializa-
tion of public space related to tourist growth, and of the new forms of conviviality they
introduce. The study on informal public space highlights what people actually look for in
public space, beyond what planners envision. The research results confirm the situational
meaning of public space and the non-mechanical relationship between social practices and
material assessment. In some cases strong practices or the outcome of negotiation dyna-
mics among groups socially connote the place. In other cases it is the specific form public
space has taken up which legitimates its use and create the social ambience.
Universit degli Studi di Firenze, Dipartimento di Studi Storici e Geografici
mirella.loda@unifi.it
Universit degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Artistici;
Universit degli Studi di Firenze, Laboratorio di Geografia Sociale, Dipartimento di Studi
Storici e Geografici
silviaaru@hotmail.com
Universit degli Studi di Firenze, Laboratorio di Geografia Sociale, Dipartimento di Studi
Storici e Geografici
diego.cariani@yahoo.it
82 Mirella Loda, Silvia Aru e Diego Cariani
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 83-91
ADRIANO CANCELLIERI
LA CITT E LE DIFFERENZE
TRA BATTAGLIE PER IL SENSO DEL LUOGO E WELFARE SPACE
Limmigrazione rappresenta uno dei processi pi significativi attraverso il qua-
le la globalizzazione e la divisione internazionale del lavoro (Wallerstein, 2004)
sinscrivono nei contesti locali. Attraverso i flussi migratori, soggetti e gruppi si
deterritorializzano e riterritorializzano (Deleuze e Guattari, 1980), contribuendo a
riconfigurare i paesaggi urbani e facendo s che differenti mappe simbolico-co-
gnitive tendano a sovrapporsi e a intrecciarsi a un livello di intensit sempre mag-
giore (Hutchison e Krase, 2007).
La tematizzazione di questi spazi contraddistinti dalla compresenza di persone
che differiscono in modo significativo per forme culturali, fenotipi e/o sensi del
luogo (
1
) oscilla tra discorsi (e, sempre pi, prassi politiche) dominanti, che enfa-
tizzano la quotidiana emergenza immigrati parlando di disorganizzazione socia-
le e di disturbo al normale metabolismo urbano (Zorbaugh, 1929), e discorsi
esperti che, troppo spesso, alternano rappresentazioni idiografiche ricche di ma-
teriale empirico a decostruzionismi astratti e normativi.
Con questo lavoro sintende andare oltre tali dicotomie facendo riferimento a
una serie di contributi internazionali e multidisciplinari (Fincher e Jacobs, 1998;
Amin, 2002; Sandercock, 2004; Semi, 2004; Valentine, 2008; Perrone, 2010), che
partono dalla consapevolezza che nei processi di costruzione ed espressione del-
la differenza luso dello spazio gioca un ruolo attivo fondamentale, sia come vin-
colo che pu rafforzare e fissare materialmente i confini sociali, sia come media-
tore che pu favorire negoziazioni, contaminazioni e trasformazioni.
Sar proposta, dunque, una sorta di ontologia spazializzata (Soja, 1989; 2010),
vale a dire una prospettiva socio-spaziale che considera i soggetti, individuali o
collettivi, come attori spaziali (Gotham, 2003) che cercano incessantemente di ad-
domesticare lo spazio (Heller, 1999) e di costruire territori (Brighenti, 2010); che
cercano, cio, in unespressione, di arricchire il proprio capitale spaziale (Cent-
ner, 2008; Cancellieri, in corso di stampa).
(1) Il senso del luogo il significato attribuito a un luogo attraverso processi culturali e pratiche
sociali. Come sottolineato da Feld e Basso (1996), gli attori sociali, da un lato, danno senso al luogo
e, dallaltro, traggono senso dal luogo.
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Arcella (Padova). Le battaglie per il senso del luogo. Il caso di studio (
2
) a cui
si fa riferimento nel corso del presente lavoro il quartiere Arcella (
3
) di Padova. Il
quartiere situato a ridosso della stazione ferroviaria, ha una popolazione di
38.793 abitanti (
4
), quasi un quinto dei residenti dellintera citt (212.989) e una
densit abitativa molto elevata (5.781 ab./km), paragonabile a quella di grandi
aree metropolitane come Milano e Torino. Si tratta di uno di quei quartieri sempre
pi significativamente marcati dalla territorializzazione dei migranti: in primis
perch il quartiere della citt con la pi alta incidenza percentuale di residenti di
origine immigrata (20,8%); in secondo luogo, perch la presenza di attivit com-
merciali gestite da migranti ha raggiunto, ormai, una percentuale rilevante (11,5%
sul totale delle attivit dellintero quartiere e, addirittura, 16,2% se si considera sol-
tanto la cosiddetta prima Arcella si veda nota 3).
Analizzare il quartiere con una prospettiva socio-spaziale significa, innanzitut-
to, considerarlo come un campo in cui avviene una quotidiana battaglia (endoge-
na) per i sensi del luogo. In ogni spazio, infatti, coesistono e sintrecciano diffe-
renti processi di territorializzazione e di addomesticamento dello spazio, che si
scontrano, sincontrano, si contaminano nel corso della vita quotidiana. Per quan-
to riguarda lArcella, alcuni tra i pi significativi sensi del luogo sono i seguenti:
lArcella come spazio di mobilit e di traffico, cio come uno spazio da attraversa-
re per raggiungere altri territori; lArcella come spazio identitario, cio con un for-
te senso di appartenenza radicato nel tempo; lArcella come backstage della citt
legale, cio come uno dei principali territori della citt dove procurarsi droga e
sesso a pagamento; lArcella come spazio commerciale formale, cio come una-
rea di forte diffusione di esercizi commerciali di prossimit, sempre pi spesso ge-
stiti da migranti, che si distribuiscono lungo tutto il quartiere, in special modo nel-
la sua arteria principale (Via Tiziano Aspetti). Questi differenti sensi del luogo si
intrecciano (anche negli stessi soggetti), specie in alcune parti del quartiere, come
le prime vie del retro stazione o, appunto, Via Aspetti, la grande strada che taglia
in due lArcella.
Ci che importante rilevare che la coesistenza di territorialit plurali pu
sfociare nella creazione di spazi di conflitto. Un ruolo centrale giocato, in que-
sto senso, dagli spazi commerciali gestiti dai migranti. Infatti, cos com accaduto
in altre parti del territorio regionale e nazionale (Semprebon, 2009), questi sono
spesso percepiti come fonte di allarme sociale, diventando anche oggetto di prov-
vedimenti sempre pi restrittivi (si vedano le leggi regionali del Veneto 32/2007 e
della Lombardia 3/2006, oltre alla proliferazione di ordinanze repressive che sono
seguite allapprovazione della legge 125/2008).
84 Adriano Cancellieri
(2) La ricerca si avvalsa di un mix di strumenti comprendente losservazione partecipante, lana-
lisi di dati statistici e della stampa locale (2005-2010) e trenta interviste qualitative ad abitanti del
quartiere e testimoni privilegiati.
(3) Dagli abitanti di Padova chiamata Arcella, soprattutto, la parte del quartiere pi antica e, allo
stesso, pi prossima al centro-citt, indicata appunto come prima Arcella. Nel corso del lavoro si
far riferimento soprattutto a questarea del quartiere che anche quella maggiormente caratterizzata
dallinscrizione nello spazio, abitativa e commerciale, dei migranti.
(4) I dati del presente lavoro, tratti dallAnnuario statistico del Comune di Padova, si riferiscono
al 31 dicembre 2009.
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La citt e le differenze 85
Limportanza giocata da questa trasformazione dei paesaggi urbani stata sot-
tolineata da un alto funzionario di polizia della Questura di Padova (
5
):
Quello che diventa allarme sociale, che considerato e percepito come
insicurezza e che, tutto sommato, insicurezza non , lapertura di questi
numerosi kebab e minimarket. Il quartiere si trasformato soprattutto dopo
lapertura di questi punti di aggregazione. Perch successo che questi
diventano appunto dei luoghi di ritrovo di extracomunitari. Linsicurezza
percepita allArcella proprio questa. Cio il proliferare di kebab in una
stessa via, di minimarket in una stessa via, che comporta quindi una enorme
concentrazione di extracomunitari e quindi di conseguenza il vedersi quel
gruppetto di marocchini o di tunisini vicino alla porta di casa che sostanzial-
mente non fanno niente, crea uno stato dansia.
Un discorso analogo pu essere fatto per lappropriazione temporanea di al-
cuni spazi pubblici, come giardini e piazze, come testimoniato, in questo caso,
da un vigile urbano di quartiere:
AllArcella nelle aree verdi vediamo gruppi di persone che stazionano,
magari che si trovano l per mangiare. Questo labbiamo riscontrato da parte
di soggetti extracomunitari, soprattutto nella prima parte dellArcella. L sta-
zionano gruppi di extracomunitari o anche comunitari di origine rumena; si
ritrovano l per mangiare; non hanno altri luoghi dove andare. una cosa
vissuta come problematica dal cittadino perch magari vede queste aggre-
gazioni di persone. Magari la finalit di queste persone solo di ritrovarsi.
pi una insicurezza percepita che reale in quel caso.
Questa testimonianza ci suggerisce come, allorigine di alcuni conflitti sul sen-
so del luogo, vi sia, innanzitutto, un differente modo di abitare gli spazi pubblici
da parte dei migranti che sono mediamente pi giovani e provengono spesso da
paesi dove vi una consuetudine a una vita pi esposta allaperto. Tutto ci ,
inoltre, favorito dal fatto che questo senso del luogo, in cui il valore duso assume
un significato predominante, tipico di soggetti in condizioni socioeconomiche
pi svantaggiate (Harvey, 1989). E la visibilit dei migranti negli spazi pubblici
considerata fuori luogo e segnale di degrado, infatti, anche perch costituita da
persone in condizioni socioeconomiche mediamente pi difficili e/o che svolgo-
no lavori pi umili.
Un aspetto centrale del diffuso rifiuto di paesaggi urbani marcati dalla diffe-
renza , inoltre, costituito dalla identificazione tra alcuni di questi territori e le pra-
tiche (ufficialmente) stigmatizzate connesse alla compravendita di sostanze stupe-
facenti. Queste sono le parole di un residente allArcella, insegnante in pensione:
Il loro epicentro la stazione. Tu attraversi il ponte del cavalcavia e ti
sembra di essere in Africa. Tra un po metteranno nel passaggio pedonale, l
davanti allinternet point con gli spacciatori appoggiati l a tutte le ore del
giorno, il cartello Attenzione attraversamento negri! [] Queste cose biso-
(5) I nomi sono omessi o alterati al fine di garantire la privacy dei soggetti intervistati.
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gna prenderle in considerazione perch il contesto fa testo. Finch c lo
spaccio da tutto il Veneto vengono qui per comperarsi la droga nellarea
della stazione perch questo il punto. evidente che come cerano le
prime industrie posizionate qui ci sono anche gli spacciatori. ovvio. Da un
punto di vista della logica del commercio non fa una piega [Attilio, 64 anni].
Alcune parti del quartiere, in particolare quelle dietro la stazione, sono, infatti,
usate quotidianamente come zone di scambio in cui la citt legale pu fare spa-
zio ai propri commerci illegali, in particolare di droga e prostituzione (Dal Lago
e Quadrelli, 2003), favorendo, cos, in maniera significativa la specializzazione
funzionale che fa di alcune parti di questo quartiere un territorio da stigmatizzare,
da attraversare velocemente e da usare il meno possibile.
Dunque, la forma che assumono gli spazi sociali e levolversi delle battaglie
quotidiane per il senso del luogo non sono soltanto il frutto di dinamiche endoge-
ne, ma anche il risultato del tipo di relazione che il quartiere crea con lesterno (e
che lesterno crea con esso). Tutti gli spazi sono, infatti, estroversi (Massey, 1991),
cio sempre posizionati in relazione ad altri spazi.
Adottare una prospettiva socio-spaziale, come ci ha insegnato la geografia
umana (Relph, 1976; Tuan, 1977), significa anche riconoscere che gli attori sociali
sono immersi con i propri corpi nello spazio materiale (Merleau-Ponty, 1945).
Questo fa s che i luoghi e gli spazi siano incorporati attraverso lesperienza dei
sensi (Teather, 1999). E queste mappe sensoriali ed emozionali, costituite da odo-
ri, suoni, sapori e visioni (Pile, 1996; Richardson, 2003), giocano un ruolo signifi-
cativo nei processi quotidiani di costruzione della differenza (
6
).
Sono spesso proprio i rumori e le lingue sconosciute, gli odori e i sapori sgra-
devoli, a ispirare rifiuto e disgusto, come accade quotidianamente in molte rela-
zioni di vicinato (Cancellieri, 2010a). Allo stesso tempo, per, sono, in certe situa-
zioni, proprio i suoni, i sapori e i corpi a ispirare ambivalenti spazi dellincontro,
com testimoniato da una giovane signora che vive allArcella:
I miei vicini rumeni hanno questa terrazza dove hanno costruito la gri-
glia pi professionale delle tre Venezie e si grigliano qualunque cosa. Sono i
migliori grigliatori del mondo, affumicano ogni cosa. La domenica qua c
proprio una puzza di bistecca che gira. tremendo, si affumicano a vicen-
da. Nessuno dice niente una colonna di fumo! La loro passione la gri-
gliata. Finch non nevica, la domenica i maschi grigliano e bevono birra,
perch quando si mangia non si beve birra ma si beve vodka tiepida.
Grigliano un maiale intero; mi hanno invitato molte volte. Sono andata due
86 Adriano Cancellieri
(6) La geografia umana stata fondamentale nel sottolineare limportanza della compenetrazione
tra attori e spazi sociali, nel mettere in luce, cio, la capacit degli attori sociali di scrivere i luoghi e
di intrecciarsi con essi attraverso i sensi e le emozioni; ma essa ha troppo spesso finito per sostenere
una concezione derivativa e individualistica dello spazio come una sorta di vuoto che i singoli sog-
getti possono riempire con emozioni e affettivit (Malpas, 1999). Invece la relazione emozionale con
lo spazio , innanzitutto, unininterrotta dialettica tra aspetti materiali e socioculturali, tra hardware e
software ed , in secondo luogo, costruita attraverso relazioni sociali plurali e conflittuali inserite in
specifici contesti sociopolitici. Perci, pu essere compresa solo utilizzando anche le tradizionali
variabili sociologiche (Manzo, 2003).
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La citt e le differenze 87
o tre volte ma quando vai ognuno deve mangiare un pollo arrosto intero,
una bisteccona cos, cinque salsicce! Grigliano cose buonissime; lultima
volta hanno fatto un pollo croccantissimo fuori e tenero dentro. Marinato
per tre giorni! [Sara, 40 anni].
Il farsi spazio dei migranti, che sfocia a volte in occasioni di conflitto e di (au-
to) esclusione sociale, comporta allo stesso tempo la creazione di spazi quotidiani
ambivalenti in cui costante lincontro interculturale perch lo spazio sempre
potenzialmente un mediatore per lo scambio e la negoziazione. Nel quartiere si
sono affermati, infatti, anche dei luoghi di vita quotidiana, degli spazi liminali, do-
ve persone con differenti backgrounds culturali si ritrovano a coabitare, imparan-
do, cos, quotidianamente, a negoziare. Ci si riferisce, per esempio, ad alcuni ke-
bab (Saint-Blancat, Rhazzali e Bevilacqua, 2008) e, forse ancor di pi, ad alcuni
bar soprattutto gestiti da giovani cinesi che parlano molto bene la lingua italiana,
che sono diventati dei punti di ritrovo sia della vecchia sia della nuova Arcella.
Questo una breve nota etnografica (
7
) allinterno di uno di essi:
Ciao Cuimei anzi ciao Rossella! come faccio ormai da diverse mattine
scendo al bar per prendermi un caff e stavolta mi piace scherzare con
Cuimei del gioco che vedo fare da quasi tutti i cinesi (e non solo) di inven-
tarsi un nome pi agevole da ricordare per noi italiani. Ordino il caff e mi
metto a leggere il giornale e intanto osservo. Come sempre noto come il bar
sia un microcosmo del quartiere: tanti anziani italiani in piedi che danno
limpressione di conoscere questo bar da molti anni e sicuramente da prima
che fosse gestito dalla famiglia di Cuimei; un gruppetto di giovani dellEst
Europa seduti nellaltra stanza, due giovani, uno di origine africana al mio
fianco, che sembrano studenti e tre ragazzi maghrebini seduti nei tavolini
che si affacciano sulla strada. Dimprovviso entra un anziano italiano e si
rivolge con una battuta a Rossella. Non lavesse mai fatto! Rossella , come
quasi sempre, davvero trascinante, parla bene la lingua italiana e coglie tutte
le occasioni per non stare zitta. Cos, in un attimo, ci ritroviamo tutti a scam-
biarci battute tra estranei al bancone: prima i due signori italiani con
Rossella, poi Rossella con me e i due giovani studenti, poi tutti insieme per
qualche minuto. Nel frattempo arriva Francesca, o meglio Xiao, la sorella di
Cuimei, meno estroversa e meno abile con la lingua italiana. Saluta indos-
sando il suo ampio sorriso sempre stampato sul volto, poi inizia a parlare a
bassa voce in cinese con Cuimei. Il nostro scambio di battute si interrompe,
il clima cambia ancora. Pago, saluto con il mio solito zijin, larrivederci
in lingua cinese, e lascio il bar. Divertito per aver sfoggiato la mia grande
conoscenza della lingua cinese e pronto per iniziare una nuova giornata
[nota etnografica, 3 giugno 2009].
Un discorso analogo si pu fare anche per altri spazi di negoziazione prosaica
(Amin, 2002) come, per esempio, alcuni esercizi commerciali gestiti da italiani,
che hanno visto crescere a dismisura lutenza migrante e, a volte, aprire ambiva-
(7) Nel corso del lavoro di ricerca stato redatto un diario etnografico quotidiano dove sono stati
annotati sotto forma di note (descrittive, emotive, metodologiche e concettuali), avvenimenti e rifles-
sioni, relazioni ed esperienze vissute nel corso dellosservazione partecipante in determinate aree del
quartiere. La presente nota etnografica tratta da questo corpus testuale.
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lenti spazi di quotidiana conoscenza e, quindi, di progressiva e, soprattutto, po-
tenziale reciproca trasformazione. Questo il racconto di un rivenditore di pezzi
di ricambio della prima Arcella che si trova in una parte del quartiere particolar-
mente contrassegnata dalla presenza dei migranti:
Mi dicono come fai a stare l in mezzo a sti negri? ovvio che la mag-
gior parte dei clienti sono immigrati. Io ho clienti italiani ma adesso sono
stati superati da loro, rumeni, moldavi, africani. Con tutta sta roba dei
ricambi le loro macchine sono vecchie, soldi non ne hanno da buttare via
e se le tengono. Con la clientela italiana non venderei un cavolo, perch gli
italiani hanno tutti ormai le macchine con due anni, tre anni, cinque anni di
garanzia e devono andare dal concessionario. Questo che uscito per
esempio, lui ha detto che ha la famiglia a casa, e ha detto: io domenica non
lavoro, casa e chiesa! Va in chiesa, non che hanno tanti vizi, che hanno
tante cose Sono sempre l, puntati sul lavoro per guadagnare. Poi la gente
dice che sono delinquenti, poi magari sono meglio di noi, o come noi.
Come tutti, quei quattro lazzaroni che sono l che spacciano e basta. Sono
persone normali. Io mi trovo qua e tu quanti italiani hai visto entrare, uno?
Noi abbiamo impostato in questo modo, e lavoro ne abbiamo, e non abbia-
mo mai avuto problemi. Per, purtroppo, loro in due fanno il casino come
dieci persone, perch fanno un caos poi ti fanno tirare fuori una cosa e
non la vogliono pi. Se sei da solo ti fanno impazzire!
Conclusioni. Una citt si-cura. Gli spazi della differenza, come il quartiere
Arcella di Padova, sono territori complessi e in profonda trasformazione. Con que-
sto contributo ci si focalizzati su alcune dinamiche connesse alla territorializza-
zione dei migranti, ma mettere al centro la differenza significa invitare, pi in gene-
rale, a leggere la citt al plurale e a porre lattenzione sui processi che fanno s
che le differenze, intrecciandosi tra loro contestualmente, assumano una rilevanza
significativa: dalla nazionalit al genere, dallet allorientamento sessuale, dalla
condizione socioeconomica allanzianit residenziale (Elias e Scotson, 1965).
Lobiettivo di questo lavoro non , per, quello di cadere in un feticismo della
differenza (Turner, 1994) o in ingenui interculturalismi (Valentine, 2008), quanto
quello di adottare una prospettiva socio-spaziale che metta al centro lambivalenza
dei quotidiani processi di costruzione della differenza e il ruolo giocato in essi dal-
lo spazio, come vincolo o come mediatore. Una prospettiva che focalizza latten-
zione sullinterazione quotidiana tra i differenti processi di territorializzazione e ad-
domesticamento dello spazio e su come, su di essi, incidono fortemente, da un la-
to, il tipo di relazione socio-spaziale che, dallesterno, si costruisce quotidianamen-
te con quel territorio e, dallaltro, i quotidiani processi di mappatura sensoriale ed
emozionale che sinscrivono nei corpi, attraverso odori e sapori, rumori e visioni.
Occorre, perci, sottolineare come una delle poste in palio fondamentali sta
proprio nel riuscire a negoziare e a mediare tra i differenti habitus spaziali e, in
particolare, tra le memorie e le speranze connesse allo spazio, le paure e le an-
siet, le trasformazioni e le continuit (Sandercock, 2000). Perch la sfera senso-
riale ed emozionale, se non si tramuta in curiosit, in desiderio, in speranza, fa
88 Adriano Cancellieri
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La citt e le differenze 89
debordare il lato negativo dellincontro con la differenza in paura e, spesso, in di-
sgusto (ibidem), favorendo una prospettiva visuale e paesaggistica dello spazio,
che tende a escludere la differenza e a rendere gli spazi urbani sempre pi steri-
lizzati e an-estetizzati, nel senso pi etimologico del termine, cio in-sensibili, pri-
vi della capacit di offrire sensazioni, emozioni, di essere percepiti attraverso i
sensi e, perci, anche di essere addomesticati e familiarizzati (Cancellieri, 2010b).
E, pi o meno direttamente, finendo per supportare quella che Smith (1996) ha
chiamato laffermazione della citt revanscista.
Serve, dunque, un lavoro di mediazione urbana che non si limiti tanto a evita-
re i conflitti, perch questi possono essere fonte di conoscenza e di nuove forme
di appartenenza (Cancellieri, 2010a; in corso di stampa), ma a incanalarli. Un la-
voro che miri a supportare (to empower) il cosiddetto welfare space (Munarin e
Tosi, 2001), cio a ricercare quegli spazi e quegli usi dello spazio che fungono da
possibili mediatori per favorire lattraversamento e la negoziazione tra differenti
forme culturali e per costruire forme di appartenenza territoriale fondate sulla co-
mune cittadinanza locale piuttosto che su presunte omogeneit etniche (Holston
e Appadurai, 1996; Staeheli, 1999). A supportare, cio, tutto ci che, quotidiana-
mente, fa della citt una citt (che) si-cura.
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THE CITY AND THE DIFFERENCES. THE STRUGGLES OVER THE SENSE OF PLACE
AND THE EMPOWERMENT OF THE WELFARE SPACE. As a consequence of the new
immigration flows and the so-called time-space compression, social actors de-territorialize
and re-territorialize themselves. The result is that different symbolic maps are interweaved
together at unique levels of intensity. In these urban processes of re-territorialization of
difference, the use of space plays a fundamental role because it is both constraining and
enabling. Therefore I adopt a socio-spatial perspective looking at individuals and groups
as spatial actors and looking at space as a social construction. By such a perspective, I
analyse a multiethnic neighbourhood, called Arcella, in the city of Padova, here intended
as an interactional field through which to play an (endogenous) struggle over the sense of
place: this struggle is strongly influenced by the relationships created with the outside
and by the everyday construction of emotional and sensorial maps constituted by smells,
sounds, flavours and visions. With this paper I invite to read the plural city focusing the
attention in two main social dynamics: firstly, in the social mediation among different spa-
tial habitus and, in particular, between spatial memories and hopes, spatial transforma-
tions and continuities; secondly, in the social spaces that enable the everyday intercultural
crossing and negotiation among different cultural forms and that constitute a sort of welfa-
re space that favors a citizenship rooted on the common living in the city.
Universit degli Studi di Padova, Dipartimento di Sociologia
adriano.cancellieri@unipd.it
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 93-102
CLAIRE HANCOCK
IL LUOGO DELLA DIFFERENZA
STABILIRE LUGUAGLIANZA, APRIRE SPAZI DI SOGGETTIVAZIONE POLITICA
[] i musulmani e gli ebrei osservanti non sono
altrove; sono i nostri vicini, sono cittadini, e siamo
noi stessi [] Laltro non altrove [Benhabib, 2006,
p. 69].
Le discipline del corpo e le regolazioni della popola-
zione costituiscono i due poli intorno ai quali si
sviluppata lorganizzazione del potere sulla vita []
Si apre cos lera di un bio-potere [Foucault, 1978,
pp. 123-124].
Nellambito delle tematiche di cui mi interesso attualmente, ovvero lesclusio-
ne delle donne velate dagli spazi pubblici di diversi paesi europei, mi sembra
utile proporre qui una riflessione sul velo, o foulard islamico, inteso come
segnale sovradeterminato dellalterit, quindi come oggetto di un dispositivo di
alterit cio uno di quegli insiemi di discorsi, rappresentazioni, pratiche ed ele-
menti materiali che Foucault ha definito come dispositivi. Ricordiamo proprio la
definizione di dispositivo che egli offre:
[] un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzio-
ni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrati-
ve, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, in
breve: tanto del detto che del non-detto [Foucault, 1977; cit. in Agamben,
2006, p. 6].
Per i geografi, laspetto interessante di questo modo di pensare la maniera
in cui lo spazio fisico partecipa al dispositivo, quindi come lo spazio sia strumen-
talizzato per caricare di significato lalterit delle persone, e dunque la loro ille-
gittimit a comparire in pubblico.
Mi baser dunque in un primo tempo sullopera di Foucault, sottolineando
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larticolazione che propone tra bio-potere e guerra delle razze. In un secondo
tempo, prover ad andare oltre nellelaborazione teorica, basandomi innanzitut-
to su Rancire e sulla sua idea di soggettivazione politica. Questultimo un
concetto che si dimostrer altrettanto pertinente per gli studi geografici e utile
allo scopo di pensare la differenza o lalterit, e le caratteristiche degli spazi pub-
blici che potrebbero essere veri e propri luoghi del politico.
Bio-potere e guerra delle razze. Anna Secor, nella sua analisi della politi-
cizzazione della questione del velo in Turchia, mobilita la nozione foucaultiana
di bio-potere, ponendo laccento sul modo in cui il potere politico si interessa
delle condotte sessuali e fisiche per renderle un supporto delle politiche nazio-
nali (Secor, 2005). Appare quindi ancora pi opportuno provare ad applicare
queste idee nel contesto di paesi dellEuropa occidentale come la Francia o
lItalia perch, per Foucault, la bio-politica collegata alla questione della
guerra delle razze (Foucault, 1978). Ann Laura Stoler (2010) ha mostrato bene
come lidea della guerra delle razze sia rimasta uno degli aspetti della riflessione
di Foucault pi sconosciuti nelle analisi francesi della sua opera; un fatto che
Stoler attribuisce allafasia coloniale francese. Questa afasia pu essere collegata
al rifiuto, diagnosticato da due ricercatori francesi, di ammettere che ci siano
delle minoranze in Francia (Amiraux e Simon, 2006). La questione nazionale, in
Francia, logicamente legata al non-detto della razza (
1
), ma anche alle questio-
ni cruciali della sessualit e della riproduzione (Dorlin, 2006, 2009; Scott, 2007).
Questo fenomeno non unesclusiva francese. Luiza Bialasiewicz ha mostrato
come certi timori manifestati da alcune aree conservatrici, negli Stati Uniti o in
Italia, mescolino geopolitica e questioni di natalit, esprimendo una concezione
delle relazioni di potere che passano esplicitamente attraverso il corpo nei suoi
aspetti biologici pi materiali (Bialasiewicz, 2006). Ci ricolleghiamo in tal modo a
ci che Foucault ha descritto, nella Storia della sessualit, come una caratteristica
dellera della bio-politica:
Il razzismo si forma a questo punto (il razzismo nella sua forma moder-
na, statale, biologizzante): tutta una politica della popolazione, della fami-
glia, del matrimonio, delleducazione, della gerarchizzazione sociale, della
propriet ed una lunga serie di interventi permanenti a livello del corpo, dei
comportamenti, della salute, della vita quotidiana, hanno ricevuto allora il
loro carattere e la loro giustificazione dalla preoccupazione mitica di proteg-
gere la purezza del sangue e di far trionfare la razza [Foucault, 1978, p. 132].
Foucault parla dellimportanza assunta dal sesso come oggetto di scontro
politico (1978, p. 129), ma la sua teorizzazione del politico rimane poco svilup-
pata, nel senso che potere e politica sembrano essere per lui potenzialmente
intercambiabili. Come sostiene Jacques Rancire, il suo pensiero della politica
94 Claire Hancock
(1) Un termine che rimane un tab nelle scienze sociali francesi nelle quali il suo uso, per quanto
critico, viene sempre accusato di razzismo.
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Il luogo della differenza 95
costruito interamente attorno alla questione del potere (2005, p. 112), e non si
mai interessato alla questione, essenziale invece per Rancire, della soggettiva-
zione politica.
A partire da tutto ci, credo che Rancire fornisca gli strumenti migliori per
riflettere sulle questioni che qui mi interessano, ovvero la formazione dellalterit
e le propriet spaziali che essa prende in prestito. A questo scopo Rancire
distingue tra la police e la politica. La police, nella sua definizione, non rimanda
affatto a un apparato repressivo, ma piuttosto a una forma di partizione del sen-
sibile, caratterizzata da un adeguamento immaginario dei posti, delle funzioni e
dei modi di essere che riguarda i corpi e le popolazioni come oggetto di potere
(Rancire, 2005, pp. 111-113), cio precisamente ci che concerne la bio-politi-
ca di Foucault. La politica esiste come supplemento ad ogni bios ed egli la defi-
nisce come insieme degli atti che d effettualit [all]uguaglianza degli esseri par-
lanti (ibidem, p. 111).
Uguaglianza e differenza. Il processo delluguaglianza quello della diffe-
renza. La differenza, per, non la manifestazione di unidentit differente o il
conflitto tra due istanze identitarie. Il luogo della manifestazione della differenza
non proprio di un gruppo o della sua cultura. il topos di una discussione. E il
luogo di esposizione di questo topos un intervallo. Il luogo del soggetto politi-
co un intervallo o una faglia; un tre-ensemble come un tre-entre: tra i nomi, le
identit o le culture (Rancire, 1998, p. 122).
Per Rancire, una delle leve per stabilire questa uguaglianza lalterit o la
differenza. Si ritrovano cos nel pensiero di Rancire molti elementi presenti nella
riflessione di Derrida sulla diffrance: soprattutto, come si vede qui, linsistenza
sullidea di intervallo, di distanza (qui di luogo o topos) tra nomi, identit, cul-
ture. Altro parallelismo, lidea del dissidio, della polemica, che si ritrova nello-
pera di Rancire con la nozione di litigio o di torto (
2
):
La logica della soggettivazione politica uneterologia, una logica del-
laltro [] essa non mai la semplice affermazione di unidentit, essa
sempre allo stesso tempo il rifiuto di unidentit imposta da altri, fissata da
una logica poliziesca. La police vuole infatti dei nomi precisi, che assegni-
no delle persone al loro luogo e al loro lavoro. La politica in s una que-
stione di nomi impropri, di nomi sbagliati che producono una faglia e
manifestano un torto [Rancire, 1998, p. 121].
Rancire dignostica una disfatta delleterologia politica, fallimento della
forma politica, polimorfica, dellalterit che lascia il posto a una nuova figura
infra-politica dellaltro (1998, pp. 124-125). Rancire sottolinea la confusione che
si creata tra identit e soggettivazione politica, nel periodo che definisce
(2) Per Rancire, la soggettivit politica quella riconosciuta come oggetto di un torto dichiara-
to e soggetto che pone in essere il suo conflitto (2007, p. 130).
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della post-democrazia consensuale, e che oppone a quello della democrazia
militante. Cita come esempio gli immigrati e la costruzione della loro indesidera-
bilit:
Chiaramente, la soglia di indesiderabilit non una questione statistica.
Ventanni fa non avevamo molti meno immigrati. Ma avevano un nome
diverso: si chiamavano lavoratori immigrati o, semplicemente, operai.
Limmigrato di oggi innanzitutto un operaio che ha perduto il suo secondo
nome, che ha perduto la forma politica della sua identit e della sua alterit,
la forma di una soggettivazione politica del conto di coloro che non sono
contati. Non gli rimane allora che unidentit sociologica, che oscilla fino a
cadere nella nudit antropologica di una razza e di una pelle differenti
[Rancire, 2007, pp. 129-130].
interessante notare come Rancire utilizzi una metafora spaziale per parlare
del cambiamento da lui descritto e analizzato come la fine delle forme di visibi-
lit dello spazio collettivo (2007, p. 130), o ancora non-luogo dei modi di sog-
gettivazione che consentivano di essere inclusi come esclusi, e di contarsi come
non-contati (2007, p. 130). Allo stesso modo, la visibilit un termine che gli
serve a nominare sia ci che non pi visibile (la fine della visibilit dello scarto
tra il politico e il sociologico, tra una soggettivazione e unidentit) sia ci che
ora visibile (la nuova visibilit dellaltro nella nudit della sua differenza intolle-
rabile).
Un altro esempio utilizzato da Rancire quello dello slogan scandito dai
manifestanti del maggio Sessantotto, siamo tutti Ebrei tedeschi. Questo per lui
il segno di una fase ugualitaria della democrazia, in cui tutti possono rivendica-
re un torto per singolarizzare luniversalit dei diritti umani (e chiedere che
donne, proletari, uomini e donne nere eccetera siano esplicitamente iscritti tra i
beneficiari di questi diritti differenti ignorati).
[] i sostenitori del progresso e i promotori dellordine hanno ammesso
che le uniche a essere legittime sono le rivendicazioni di gruppi concreti
che prendono in prima persona la parola, allo scopo di definire s stessi la
propria identit. Nessuno ormai ha il diritto di dirsi proletario, nero, ebreo o
donna se non lo , se non ne possiede la dotazione naturale e lesperienza
sociale [] la frase ormai impronunciabile perch evidentemente indecen-
te. Lidentit ebreo tedesco oggi significa immediatamente lidentit della
vittima del crimine contro lumanit, che nessuno potrebbe rivendicare
senza compiere un sacrilegio [Rancire, 2007, p. 136].
Il luogo del politico, spazio di soggettivazione. Ci che Rancire descrive,
con metafore che sono ancora una volta spaziali e dense di significato per i geo-
grafi, una sorta di dissoluzione del luogo del politico (egli parla di politica
cacciata dai suoi luoghi), ma soprattutto uno scarto tra due scale geografiche
che non sono appropriate a un maggior sviluppo del politico. Quindi, rinviare il
politico alla scala mondiale, cos come localizzarlo nella prossimit e nelliden-
96 Claire Hancock
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Il luogo della differenza 97
tit, significa impedire lemergere della comunit politica che Rancire presenta
ancora in termini spaziali come intervalli costruiti tra identit, tra luoghi, tra
spazi. Precisa inoltre: Lessere-insieme politico un in-between: tra identit, tra
mondi (2007, pp. 146-147).
Per un verso, [le logiche dei sistemi consensuali] rimandano gli elementi
comuni del resoconto di coloro che non sono stati contati al computo dei
gruppi in grado di presentare la loro identit; localizzano le forme della sog-
gettivit politica nei luoghi della prossimit dellhabitat, delloccupazione,
dellinteresse e nei luoghi dellidentit di sesso, di religione, di razza o di
cultura. Per altro verso, esse la rendono globale, esiliandola nei deserti del-
lappartenenza nuda dellumanit rispetto a s stessa [Rancire, 2007, p.
146].
Non lidentit, nel senso sociologico, che chiama riconoscimento, ma il
torto o il litigio politici. Ci si ricollega qui allidea di parit di partecipazione o
di rappresentazione di Fraser, ma anche allidea di Didier Fassin ed Eric Fassin
(2006) per cui non lidentit comune che fa una minoranza ma piuttosto lespe-
rienza condivisa della discriminazione. Rancire connette queste idee al senso di
ingiustizia e propone una via di uscita elegante dal classico dilemma dellartico-
lazione del particolare e delluniversale, che non presuppone in alcun modo
diritti specifici attribuiti in funzione delle identit di gruppo. Rancire definisce in
effetti la politica come
[] larte della costruzione locale e singolare di casi universali. Questa
costruzione possibile fino a quando la singolarit del torto la singolarit
dellargomentazione e della manifestazione locale del diritto distinta dal
particolarismo dei diritti assegnati alle collettivit secondo le loro identit
[Rancire, 2007, p. 148].
Cos, ci che possibile rimproverare alluniversalismo alla francese non il
suo rifiuto di vedere o di riconoscere le identit, ma il suo rifiuto di vedere e di
riconoscere i torti (o ingiustizie). Nel pensiero di Rancire, questo si manifesta
attraverso una critica della rappresentazione spaziale dellesclusione, secondo
unopposizione dentro/fuori:
Il pensiero consensualista rappresenta agevolmente la cosiddetta esclu-
sione nel semplice rapporto tra un dentro e un fuori. Ma ci che in gioco
sotto il nome di esclusione non lessere-al-di-fuori. la modalit plurale
secondo cui un dentro e un fuori possono essere uniti. Lesclusione oggi in
auge una forma ben determinata di questa modalit. Corrisponde allinvi-
sibilit della modalit medesima, alla cancellazione dei segni che consento-
no di argomentare il rapporto tra la comunit e la non-comunit nellambito
di un dispositivo politico di soggettivazione [Rancire, 2007, p. 127].
Per Rancire, il consenso il presupposto di inclusione di tutte le parti e dei
loro problemi, inclusione che impedisce la soggettivazione politica di una parte
dei senza-parte, di un resoconto di coloro che non sono contati (2007, p. 128).
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Egli lo contrappone a unepoca in cui le linee di confine erano esplicite e i torti
soggettivabili (si pu pensare, per esempio, allepoca del suffragio censuario o a
quella del suffragio universale maschile, che di fatto escludeva dalla politica i
non proprietari e/o le donne). I non-contati, manifestando la pluralit e appro-
priandosi illecitamente delluguaglianza degli altri, potevano farsi contare.
Lesclusione invocata oggi, invece, lassenza stessa di un confine rappresenta-
bile (2007, p. 128). Lassenza di barriere esplicite non impedisce lesistenza di
una barriera invisibile, che evoca ci che le femministe hanno definito come
tetto di cristallo, invisibile a occhio nudo ma che tuttavia impedisce di fatto alle
donne di scalare le gerarchie politiche o economiche. interessante rilevare che
Rancire nomina questa ingiustizia parlando di non-contati, evocando cos ci
che rimane fuori dai censimenti e dunque, in qualche modo, una forma di
impossibilit di nominare il torto.
La rimozione della barriera sostituisce la popolazione al popolo, e permette
ai sondaggi e ai media di creare una opinione pubblica, la cui descrizione offer-
ta da Rancire richiama inevitabilmente alcune questioni critiche ancora molto
attuali nella Francia del 2010:
lesaustivo conteggio della popolazione indefinitivamente monitorata
che produce, al posto del popolo arcaico, quel soggetto definito i Francesi
che, accanto ai pronostici sullavvenire politico di questo o quel sotto-mini-
stro, si manifesta attraverso alcune opinioni ben definite sul numero eccessi-
vo di stranieri e sullinsufficienza della repressione [Rancire, 2007, pp. 130-
131].
A questa fabbricazione dellopinione e della limitazione dellimmigrato a
esclusiva realt sociologica nuda sconnessa da una soggettivazione politica, si
ricollega lespressione di un razzismo che rende la figura dello straniero, pi che
un capro espiatorio, lincarnazione fisica delle frustrazioni di colui a cui pro-
messo tutto, grazie allassenza di barriere esplicite, ma non ottiene mai nulla, a
causa della barriera implicita.
La seguente frase pone un accento interessante sulla corporeit del processo:
Il soggetto che esprime cos la sua opinione il soggetto di questo
nuovo stile del visibile, lesposizione globale, un soggetto chiamato a vivere
integralmente tutti i suoi fantasmi nel mondo della rappresentazione inte-
grale e del riavvicinamento asintotico dei corpi, in quel tutto possibile del
godimento mostrato e promesso, ovvero, senza dubbio, promesso a delu-
sione e invitato, perci, a cercare e inseguire il corpo sbagliato [
3
], il corpo
diabolico che ovunque si insinua, nella soddisfazione totale che ovunque
a portata di mano e sottratta alla sua impresa [ibidem, 2007, p. 131].
Leggendo questa frase alla luce del mio attuale interesse per la questione del
velo, e del burqa, sono colpita dalla sua possibile applicazione a queste proble-
98 Claire Hancock
(3) Si qui preferito usare tale definizione, piuttosto che corpi cattivi della traduzione originale
(N.d.T.).
01_BSGI_1_2011 GRANDI :1_IMP GRANDIbis 14-03-2011 18:19 Pagina 98
Il luogo della differenza 99
matiche. Questo corpo sbagliato, diabolico, che non si concede al desiderio
del soggetto (cristiano, maschile, francese), che si sottrae al suo ascendente (e al
suo sguardo), non forse il corpo velato della Musulmana, cos chiaramente
diabolicizzato in molte rappresentazioni? importante riconoscere che la classe
politica francese, per la maggior parte, stenta ad accettare che una donna musul-
mana velata possa essere un soggetto politico, che possa esprimere di subire un
torto che non sia la sua identit. Penso al clamore mediatico che ha circondato
Ilham Moussaid, la candidata velata dellNPA (Nuovo Partito Anticapitalista),
alle elezioni regionali del 2010 in Vaucluse. Obnubilati dal velo che rivelava la
propria identit religiosa, numerosi commentatori le negavano la facolt di una
presa di posizione anticapitalista, mostrandosi cos insensibili rispetto a ci che
Rancire descrive come scarto tra il politico e il sociologico, tra una soggettiva-
zione e unidentit (2007, p. 130), scarto in cui si costruisce lo spazio collettivo
del politico. In tal modo, essi avvaloravano lanalisi elaborata nel 1995 da
Rancire sulla post-democrazia consensuale che, per far quadrare la comunit
su di s, sopprime il nome e riconduce la figura alla sua origine prima: al di qua
della democrazia, al di qua della politica (2007, p. 132).
Conclusione: la causa dellaltro. La causa dellaltro in quanto figura politica,
spiega Rancire, innanzitutto una disidentificazione rispetto a una parte di s
(1998, p. 212), fenomeno che illustra attraverso quello che ha significato, per la
sua generazione, il massacro del 17 ottobre 1961 (
4
): Noi non possiamo identifi-
carci con questi algerini bruscamente apparsi e poi scomparsi come manifestanti
nello spazio pubblico francese. Possiamo invece rifiutare di identificarci con que-
sto Stato che li ha uccisi e ha poi insabbiato i casi. Il filosofo Sidi Mohamed
Barkat ha proposto la definizione del corpo deccezione nel quadro di una
riflessione su questo massacro perpetrato nei confronti dei militanti algerini, il 17
ottobre 1961, a Parigi, definizione che per molti aspetti concorda con quella di
Rancire:
Lambiguit che da quel momento caratterizza lo statuto del colonizzato
membro non incluso nella nazione il risultato di unoperazione istitu-
zionale, ovvero il congiungimento di un corpo e di un dispositivo giuridico
che ha come risultato esattamente quello di imprigionare questo corpo in
un regime deccezione. [] Si pu ora comprendere che la comparsa straor-
dinaria e lesposizione pacifica dei loro corpi nello spazio pubblico, volute
dai colonizzati, abbiano per loro costituito un atto positivo di libert contro
la loro condizione di esclusi dallinterno, un atto di rifiuto della condizione
di disuguaglianza politica nella quale erano tenuti. [] Fu questo a risultare
insopportabile: il fatto che coloro che dovevano vivere solamente come
corpi deccezione, allombra degli altri, camminando rasenti ai muri della
Cit, manifestando con la loro accondiscendenza perenne lespressione del-
(4) Il 17 ottobre 1961 a Parigi decine di algerini che stavano manifestando pacificamente contro il
coprifuoco a loro imposto dalle autorit vennero massacrati dalle forze dellordine (N.d.C.).
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laccettazione della benevolenza che uno Stato civilizzatore gli accordava,
si esponessero alla luce della scena pubblica []; limmagine del corpo di
eccezione fondamentalmente una fabbricazione dello Stato. unimmagi-
ne che si rapporta con gli artifici del potere, e i colonizzati non potevano
pensare ragionevolmente di sfuggirvi. [] Quindi suprema offesa, supre-
mo oltraggio nei confronti di coloro che si reputavano i soli degni di rientra-
re nel novero dei cittadini questi corpi ostentavano attraverso lesposizio-
ne sulla scena pubblica, attraverso la visibilit pubblica, una pretesa sacrile-
ga allesistenza politica [Barkat, 1999].
In cosa questo episodio della storia francese passata pu essere pertinente
per una riflessione sullepoca contemporanea? Perch stato dimenticato, non
perch gli stata negata validit, spiega Rancire:
[...] non esiste la causa dellaltro nella guerra. Esiste solo nella politica e l
vi funziona come una identificazione impossibile. Ma anche loblio stesso di
questa contraddizione, chiamata guerra dAlgeria, rappresenta loblio del-
lalterit interiore, della differenza in s della cittadinanza che propria della
politica [Rancire, 1998, p. 219].
In altri termini, non bisogna lasciarsi prendere dalla trappola dellidentita-
rismo: esso non farebbe che portare a credere che sia necessario appartenere a
un gruppo specifico per poter parlare del torto che esso subisce. Al contrario,
sufficiente una coscienza civica a legittimare tale denuncia.
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PLACING DIFFERENCE: ESTABLISHING EQUALITY, OPENING SPACES FOR POLITI-
CAL SUBJECTIFICATION. The paper offers a review of some ideas of Foucaults and
particularly of Rancires likely to shed some light on the meaning of the rejection from
French public space of what has become known as the Islamic veil, or, in recent months,
the specific form improperly termed burqa (the niqab). What both thinkers have in com-
mon is an emphasis on the spatial dimension of the processes whereby power is exerted,
or the political is constructed, and can therefore illuminate ways in which space is used in
the process of othering certains groups that are an integral part of European socie-
ties.Foucault's notion of dispositif, and his rarely mentioned articulation of bio-power,
the power exerted over bodies, with racial struggle offers some degree of understanding
of what is really at stake. Rancires theorization of political subjectivity, and of the politi-
cal as the place where the equality of subjects is established through difference, proves
even more helpful. For him, the process of political subjectivation is an heterology, a
logic of ther other. Rancire shows how immigrants are unfairly confined to their merely
sociological identity, denied the status of political subjects likely to articulate a wrong, and
cast as the diabolical bodies responsible for Frances ills. The failure to acknowledge
Muslim women, in particular, as political subjects is typical of what Rancire depicts as a
consensual, post-democratic order in which barriers to access the spheres of power have
become implicit and hidden and exclusion masquerades as inclusiveness. The paper con-
cludes with a suggestion that one of our responsibilities as geographers could be to
embrace what Rancire calls the cause of the other and to call for a real openness of
public space and the political sphere.
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Universit Paris-Est Crteil, LabUrba
hancock@mercator.ens.fr
(Traduzione dal francese di Marianna Pino)
102 Claire Hancock
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 103-111
LAWRENCE BERG
GEOGRAFIA FEMMINISTA (NEO)LIBERALISMO
SUPREMAZIA BIANCA
Introduzione. Questo breve saggio ha lo scopo di delineare, in termini mol-
to schematici, un argomento teorico per comprendere la disciplina della geogra-
fia in generale, e della geografia femminista pi specificamente, come elementi
chiave nei quali e attraverso i quali la supremazia bianca riprodotta nellaccade-
mia. Con tale argomento non intendo affermare che la geografia sia pi colpevole
nella riproduzione della supremazia bianca di altre discipline scientifiche sociali
(e fisiche); potrebbe infatti essere cos, ma mia intenzione concentrarmi su un
differente oggetto. A questo proposito, sostengo che in quanto geografi femmini-
sti ci consideriamo pi critici dei colleghi non-femministi e tale senso di apparte-
nenza critica ci situa in una posizione di soggetto che rimane ignaro delle moda-
lit di riproduzione di altre forme di marginalizzazione, oltre al patriarcato e al
sessismo. Com evidente dal mio uso di noi e nostro, intendo includermi in ta-
le critica, una critica immanente a ci che sostiene la geografia femminista, ma an-
che riconoscere le vie problematiche che (ri)producono la supremazia bianca.
Ci sono tre elementi chiave nel mio contributo: primo, vorrei sostenere losser-
vazione empirica che la geografia femminista una disciplina sorprendentemente
bianca; in secondo luogo, vorrei collegare tale appartenenza bianca alla produ-
zione di soggettivit geografica, prodotta nel e attraverso il liberalismo egemoni-
co, una modalit di intendere il proprio Io come unificato, monolitico, del tutto
autocosciente e razionale, intensificata dallattuale corso di neo-liberalizzazione
dellaccademia (vedi Berg e Roche, 1997; Castree e Sparke, 2000; Castree e altri,
2006). Terzo, vorrei collegare i primi due temi del mio contributo allargomento
teorico che ci suggerisce di concepire un ruolo operativo della geografia in gene-
rale, e della geografia femminista nello specifico, allinterno di uno spettro pi
ampio di supremazia bianca, in quanto condizione quotidiana delle societ nelle
quali operano i geografi. Intendo qui sostenere che la lettura attuale della societ
come egemonicamente bianca uninterpretazione errata della teorizzazione del-
legemonia di Gramsci (1971), poich in essa riproduciamo la nostra posizione di
soggetti bianchi allinterno delle nostre analisi, senza riuscire a contrastare le for-
me attuali di supremazia bianca attive nelle societ coloniali e imperiali di Euro-
pa, America Settentrionale e Australasia.
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104 Lawrence Berg
Le riflessioni riportate in questo contributo sono state stimolate, almeno in
parte, da tre lavori recenti tra gli studi razziali critici femministi: a) le straordinarie
osservazioni di Audrey Thompson (2003) su come noi, anti-razzisti bianchi, ci ap-
propriamo del lavoro teorico delle persone di colore e dei nativi, al fine di pro-
durre una posizione di superiorit squisitamente flessibile, pur lavorando in un
contesto anti-razzista; b) il lavoro di Robyn Weigman (1999) sulla disaffiliazione
liberale bianca che descrive come noi bianchi liberali tentiamo di disaffiliarci dal-
le forme (pi ovvie) di razzismo, mentre, nel contempo, continuiamo a godere
delle relazioni sociali strutturali della supremazia bianca; c) lo studio di Sarita Sri-
vastava (2005) sul femminismo bianco e sui nostri investimenti in una politica di
Io anti-razzista.
Il mio contributo un tentativo di teorizzazione di questioni che ho imparato
a porre solo di recente, e nel corso di tale apprendimento sono diventato molto
pi cosciente della mia posizione complessa e contradditoria allinterno della su-
premazia bianca.
Patricia Price (2010) ha osservato la notevole persistenza dei bianchi tra gli
esperti di geografia. Nel tentativo di venire alle prese con la whiteness, continua a
indagare la preminenza dei white studies nella disciplina, suggerendo la possibi-
lit che:
[...] the popularity of white studies in geography may in fact simply
reflect the whiteness of geographers, and as such constitute a zone of racial
solipsism, or worse, a comfort zone rather than a space of truly critical enga-
gement with racism (let alone anti-racism). The prominence of white stu-
dies in geographic studies of race may in fact not simply reflect but also
unwittingly act to reinforce white dominance in geography.
Price ha sicuramente ragione nel voler investigare le ragioni della rapida cresci-
ta di popolarit dei white studies in geografia, soprattutto per il fatto che la geogra-
fia una delle discipline scientifiche sociali pi bianche dellaccademia euro-
americana. La geografia cos bianca, infatti, che la sua whiteness stata raramen-
te investigata in maniera seria (per eccezioni vedere Kobayashi, 2002; Mahtani,
2006; Nast, 2002; Peake e Kobayashi, 2002; Pulido, 2002; Wilson-Gilmore, 2002).
(Neo)liberalismo e geografia. La ragione , in parte, da attribuire alleredit
della posizione di soggetto dei geografi in una disciplina che supera la separazione
tra scienza sociale e scienza fisica. , tuttavia, anche un riflesso delle esclusioni insi-
te nel liberalismo e nel neoliberalismo, due contesti discorsivi ai quali fa riferimento
la maggioranza dei geografi anche (se non particolarmente) coloro che si defini-
scono geografi critici e femministi in modo tale da considerarsi soggetti esperti
della disciplina (Berg e Roche, 1997; Castree e altri, 2006). Linsegnamento degli ac-
cademici femministi di colore sottolinea limportanza del riconoscere la natura di
supremazia bianca della societ americana (Hooks, 1989; Hill-Collins, 2000).
A partire dalle parole di questi autori, sostengo la necessit di intendere la su-
premazia bianca come lo stato delle cose quotidiano nella geografia femminista
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(1) Esprimo tale liberalismo neoliberalizzante con il termine parentetico: (neo)liberalismo.
(e aggiunger pi avanti altri dettagli a questo proposito). Sostengo, inoltre, che
tale supremazia bianca sostenuta e prodotta dal discorso egemonico del libera-
lismo nellaccademia occidentale. Mi appoggio in questo caso ad autori come
Carol Tator (2009, p. 4), quando sostiene It is indeed paradoxical that one of the
defining features of the Culture of Whiteness as it manifests in the academy today
is its reliance on the values and norms associated with liberalism.
Il liberalismo, fatto ancora pi importante, sta diventando, come ho osservato
altrove, pi virulento quando i processi di neo-liberalizzazione producono nuove
forme di soggettivit accademiche individualizzate che, a loro volta, riproducono
forme individualizzate di analisi delle relazioni tra gli accademici e gli altri oggetti
del mondo. Tale forma di liberalismo neoliberalizzante (
1
) ha unimmediata con-
seguenza in geografia: quando noi geografi accademici riflettiamo sulla nostra re-
lazione con il razzismo c una crescente fiducia in concetti idealisti che situano il
razzismo nei corpi individuali di coloro che fanno mostra di cattive (si legga: raz-
ziste) attitudini verso la gente di colore, sia dentro sia fuori dellaccademia. Ci
permette agli accademici critici, specialmente e paradossalmente femministi e an-
tirazzisti, di disaffiliarci dal razzismo (dopo tutto, non abbiamo attitudini razziste)
mentre continuiamo a beneficiare delle strutture e delle relazioni socio-spaziali
della supremazia bianca (Weigman, 1999).
Linfluenza del (neo)liberalismo. Come ho suggerito, esiste una relazione
interdipendente tra la supremazia bianca e il (neo)liberalismo nellaccademia.
Proceder quindi a delineare tre immagini della geografia per mostrare cosa in-
tenda con influenza del (neo)liberalismo.
I . S i a mo ug ua l i ( c a nc e l l a r e e c ont e mpor a ne a me nt e me t -
t e r e i n v i s t a l a di f f e r e nz a ) . David Theo Goldberg (2009), in unanalisi ad
ampio spettro sul neoliberalismo razziale, sostiene che una delle modalit chia-
ve con la quale il (neo)liberalismo (ri)produce forme di razzismo il suo negare
la differenza. Il (neo)liberalismo produce cos uno spazio epistemologico nel
quale gli esseri umani sono tutti uguali, uno spazio (ironicamente) ove anche so-
lo risvegliare lo spettro della differenza razziale di per s un atto di razzismo.
In questo modo, e ci vale per tutte le altre forme di differenza (come la classe, il
genere, la sessualit, labilit, let ecc.), il (neo)liberalismo produce forme di
esclusione basate sulla differenza, poi nega lesistenza stessa delle differenze che
produce (Mehta, 1990; Goldberg, 2009).
questa una classica manovra dellaccademia occidentale, soprattutto quando
il privilegio maschile bianco minacciato da parte di persone di colore che chie-
dono uno spazio dazione al suo interno. Vediamo cos accademici (spesso uomi-
ni bianchi, ma anche donne bianche) impegnati in azioni altamente reazionarie in
difesa dei cosiddetti standard. Cos Carol Tator (2009) sostiene:
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[...] the values of liberty, academic freedom, individualism, and uni-
versalism continue to hold ideological supremacy in the academy. In practi-
ce, liberal sentiments, often are expressed in coded language such as
colour-blindness, neutrality, objectivity, merit and equal opportunity.
However, these central concepts in a liberal discourse, especially in the con-
text of academic institutions, have immensely flexible meanings, and often
become the ideological framework through which racialized beliefs and
practices are reinforced and defended.
In questo modo, gli accademici in generale (e certamente i geografi) sostengo-
no posizioni razziste, senza neppure risvegliare lo spettro della razza.
I I . F a nt a s i e bi a nc he l i be r a l i di l i be r a z i one . Un altro modo
per il (neo)liberalismo di riprodurre la supremazia bianca attraverso quelle che
vorrei chiamare le micro-geografie delle fantasie di liberazione. Tali fantasie di li-
berazione operano nei seguenti modi allinterno della geografia femminista. In
qualit di esponenti del femminismo bianco (neo)liberale, ci consideriamo brava
gente bianca, cio, nella terminologia ironica coniata da Audrey Thompson
(2003), ci consideriamo amici della gente di colore e lo siamo particolarmente in
quanto geografi femministi critici e perch ci affidiamo al (neo)liberalismo per di-
saffiliarci come individui dal razzismo, mentre continuiamo allo stesso tempo a
essere membri privilegiati del gruppo (i bianchi) che trae beneficio dalla supre-
mazia bianca (Weigman, 1999).
Poich ci consideriamo geografi femministi critici e amici della gente di colore,
siamo talvolta (se non sempre) impegnati in micro-geografie della razza molto
problematiche, che si possono definire fantasie bianche di liberazione. A questo
proposito, in quanto bravi geografi femministi bianchi (neo)liberali diamo per
scontato che la nostra assenza di razzismo pu garantire relazioni razziali positi-
ve quando incontriamo gente di colore. questa, tuttavia, raramente lesperienza
della gente di colore che mediante un lungo studio dei bianchi (come strategia di
sopravvivenza) ha imparato ad agire con cautela quando ci incontra. Essi sanno
attraverso la (cattiva) esperienza che i bianchi possono essere pericolosi, soprat-
tutto quando siamo (spesso ipocritamente) amici della gente di colore. Nella
maggior parte dei casi, in qualit di bianchi anti-razzisti e femministi impieghiamo
troppo tempo nel tentativo di dimostrare alla gente di colore (e forse a noi stessi?)
che non siamo razzisti, che siamo loro amici, e cos facendo marginalizziamo an-
cor pi la gente di colore, attraverso la nostra (femminista e antirazzista) coloniz-
zazione degli spazi della differenza.
Far un esempio di fantasia bianca di liberazione messa in pratica, sulla base
di recenti esperienze al congresso dellAssociation of American Geographers nel
2007: l, era stata organizzata, da donne di colore (Mahtani e Murai, 2007), una
sessione speciale su People of Colour Negotiate the Academy. Vorrei sottolineare
che questa sessione stata una delle migliori sessioni che io abbia mai seguito
presso lAAG, ma stata anche la pi inquietante. La sessione era seguita, in
quantit predominante, da donne di colore, anche se cerano pure alcuni uomini
di colore e due o tre uomini e donne bianchi (me compreso). In generale, noi po-
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Geografia femminista (neo)liberalismo supremazia bianca 107
chissimi bianchi abbiamo preso la maggior parte del tempo dedicato al dibattito
in queste sessioni, dato che tutti noi abbiamo cercato, tramite i nostri commenti,
di assicurarci che tutti gli altri in sala fossero ben certi delle nostre intenzioni anti-
razziste. In quanto bianchi, abbiamo ribadito e proposto potenti discorsi
(neo)liberali di responsabilit individuale, in modo da costruire le nostre proprie
identit antirazziste. Cos facendo, abbiamo anche finito per colonizzare uno dei
pochi spazi riservati, nel congresso dellAAG, alle persone di colore per discute-
re di questioni importanti per le loro identit come geografi professionali. Noi
bianchi, insomma, riusciamo a riprodurre le relazioni socio-spaziali di supremazia
bianca, nel momento stesso in cui proclamiamo il nostro impegno per la lotta an-
ti-razzista entro la disciplina.
I I I . Es c l us i oni l i ber a l i medi a nt e l i ns e gna ment o. La terza im-
magine che voglio discutere riguarda il modo in cui noi bianchi, e specialmente i
geografi critici femministi, delineiamo concezioni neoliberali del S, allo scopo di
istituire metodi pedagogici per insegnare lantirazzismo e il femminismo nelle no-
stre aule. Voglio precisare che non sono importanti gli approcci critici nella nostra
ricerca: quasi inevitabilmente nel nostro modo di insegnare tratteggiamo modelli
neoliberali di istruzione.
Tali approcci neoliberali sono focalizzati sullo sviluppo della crescita (accu-
mulazione di capitale culturale) individuale (personale) e sullempowerment (di-
ventare critici). Cos facendo il nostro insegnamento raramente si focalizza sulla
differenziazione di accesso dei gruppi sociali alleducazione, un prodotto dello
stesso neoliberalismo che noi (spesso involontariamente) utilizziamo come mo-
dello per comprendere il progresso degli studenti.
Laccento sullaccumulazione personale di capitale culturale da parte degli stu-
denti rinforzato strutturalmente da processi quali la valutazione dellinsegna-
mento da parte degli studenti e altri processi neoliberali di valutazione, sia degli
studenti sia degli insegnanti, ma raramente concepiamo il nostro insegnamento
come prodotto di tali pratiche; lo valutiamo, invece, attraverso significanti
(neo)liberali quali leccellenza e linnovazione, evitando cos una riflessione
critica sulle modalit di marginalizzazione attraverso il nostro insegnamento di
coloro che avremmo la pretesa di proteggere.
Un esempio nella pratica il caso di membri di facolt impegnati nellinsegna-
re geografie anti-razziste nelluniversit. Noi, bravi insegnanti bianchi di geografia
anti-razzista, basandoci sul neoliberalismo, facciamo del nostro meglio per intro-
durre i nostri studenti bianchi a una comprensione anti-razzista del mondo. Otte-
nere una coscienza anti-razzista un processo difficile, tuttavia, poich gli stu-
denti sono immersi nelle pratiche di una societ basata sulla supremazia bianca.
Gli spazi dellanti-razzismo non sono mai facili da situare per tali studenti e il viag-
gio verso tali spazi sempre, per lo meno, pericoloso. Tuttavia, come bravi pro-
fessori bianchi neoliberali, facciamo del nostro meglio per aiutare i nostri studenti
bianchi verso la coscienza anti-razzista e siamo molto solidali con loro quando
compiono errori lungo il cammino.
Tuttavia, se siamo realisticamente anti-razzisti, dobbiamo essere pienamente
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coscienti della fortuna di riuscire a condurre anche uno o due studenti di una clas-
se verso la coscienza anti-razzista. Sfortunatamente, rimaniamo beatamente inco-
scienti dellimpatto che ci produce sugli studenti di colore nelle classi. Mentre
riusciamo a trasformare la vita di due studenti, privilegiati in quanto bianchi, al
medesimo tempo, se abbiamo nella classe studenti di colore, molto probabile
che lesperienza di tale insegnamento sia estremamente negativa. Una ricerca (in
corso) alla quale ho appena cominciato a dedicarmi mostra che per molti studenti
di colore gli anni alluniversit sono una delle peggiori esperienze della loro vita.
Allinterno di tali terribili esperienze, gli studenti di colore segnalano i corsi di
scienze sociali critiche come i peggiori. Com stato indicato da uno studente, egli
ha veramente apprezzato i corsi di biologia: non abbiamo a che fare con i proble-
mi sociali e non devo ascoltare le stupidaggini che gli studenti bianchi dicono a
proposito della razza (studente di colore del terzo anno, comunicazione persona-
le). Da bravi insegnanti neoliberali, impegnati nello sviluppo personale dei nostri
studenti, siamo spesso ignari del fatto che le nostre pratiche marginalizzano le
persone di colore che il nostro insegnamento anti-razzista intende proteggere.
Whiteness egemonica o supremazia bianca? Le tre immagini dellinfluenza
neoliberale in geografia, che ho appena presentato, sottolineano lesistenza di un
problema nella nostra concezione di whiteness allinterno dellaccademia. Linse-
gnamento recente sostiene che dobbiamo fare pi attenzione alla whiteness e, so-
prattutto, al suo carattere egemonico, ma si pone la questione: per chi esattamen-
te la whiteness egemonica? Se prendiamo sul serio la teoria dellegemonia di
Gramsci (1971), dobbiamo accettare che la whiteness non egemonica per molti
popoli indigeni, persone di colore o altre minoranze. Membri di tali gruppi socia-
li hanno una lunga pratica di studio della whiteness come strategia di sopravvi-
venza; cos essi, marginalizzati dalla whiteness, in questo caso, non sono ovvia-
mente indotti a riprodurre tale marginalizzazione in base allargomento culturale
del blocco sociale dominante; le sole persone, piuttosto, per le quali la whiteness
resta apparentemente invisibile sono i bianchi e beneficiamo ovviamente del-
lapparente invisibilit della nostra whiteness (si veda Hartmann, Gerteis e Croll,
2009). In base a tali premesse, dobbiamo concepire il potere della whiteness non
come derivato dalla formazione sociale che Gramsci definisce egemonia, quanto
piuttosto da una formazione sociale che si pu molto meglio descrivere teorica-
mente come supremazia. A questa conclusione giunta decenni fa la femminista
culturale Bell Hooks che nel 1989 affermava:
As I write, I try to remember when the word racism ceased to be the
term which best expressed for me exploitation of black people and other
people of color in this society and when I began to understand that the
most useful term was white supremacy [Hooks, 1989, p. 84].
Secondo lautrice, a differenza di definizioni date per scontate di supremazia
bianca come situazione straordinaria, meglio adatta per descrivere le attivit e le
credenze di gruppi che si ispirano a essa, come i neonazisti, la Fratellanza Ariana,
108 Lawrence Berg
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Geografia femminista (neo)liberalismo supremazia bianca 109
il Ku Klux Klan e gli skinheads negli Stati Uniti (o la Lega Nord in Italia), dobbia-
mo capire che essa il miglior modo di descrivere ci che appare come vita nor-
male in tali spazi.
Cos Charles W. Mills (2003; si veda anche Razack, Smith e Thobani, 2010)
spiega la supremazia bianca, citando Ansley (1989, p. 1024):
[...] a political, economic, and cultural system in which Whites overwhel-
mingly control power and material resources, conscious and unconscious
ideas of White superiority and entitlement are widespread, and relations of
White dominance and non-White subordination are daily re-enacted across
a broad array of institutions and social settings.
Tale definizione ovviamente descrive la condizione presente in societ di co-
loni bianchi, come lAustralia, il Canada, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, come
anche di antichi poteri imperiali coloniali, come la Germania, la Gran Bretagna e
la Spagna. Potrebbe diventare pi difficile importare tali definizioni in altri spazi
europei, come lItalia, che possono essere paradossalmente definiti colonizzatori
e colonizzati allo stesso tempo; quello che certo che la geografia, soprattutto
nella corrente fase di egemonia anglo-americana (vedi Berg e Kearns, 1998) si
adatta perfettamente alla definizione di supremazia bianca.
Una breve conclusione. In questo breve contributo ho sostenuto che la geo-
grafia e i geografi (femministi) sono ora del tutto (neo)liberali. Nel contesto di ta-
le (neo)liberalismo la supremazia bianca continuamente (ri)trasmessa, tutti i
geografi sono invitati a parteciparvi (comunicazione personale di Sherene Ra-
zack, 2010), ma non alle stesse condizioni, non con la stessa penalit per il rifiuto
daccesso. Si deve intendere la geografia che non pu sfuggire alle relazioni so-
ciali nella quale essa immersa come caratterizzata dalle relazioni sociali della
supremazia bianca. Tale supremazia bianca invisibile per la maggior parte dei
geografi e, in particolare, per quelli femministi o altrimenti critici, perch il libera-
lismo (neo)liberale fornisce a noi bianchi (femministi) geografi (e altri) i mezzi
per disaffiliarci dal razzismo, mentre continuiamo a beneficiare in un senso mol-
to materiale della crescente supremazia bianca.
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FEMINIST GEOGRAPHY (NEO)LIBERALISM WHITE SUPREMACY. Geography is
one of the whitest social science disciplines in America. This is, in part, a legacy of the
subject positions open to geographers in a discipline that crosses the social science / phy-
sical science divide. But it is also a reflection of the exclusions inherent in patriarchy, libe-
ralism and neoliberalism, discursive frameworks that the vast majority of geographers
even (if not especially) those who see themselves as critical geographers draw from in
order to understand themselves as knowing subjects in the discipline. Recent scholarship
by feminist academics of colour highlights the importance of recognizing the interlocking
character of racism, sexism, and capitalism and how these come together to produce a
particular formation of white supremacist-capitalist-patriarchy in Western capitalist socie-
ties. Drawing on works by these writers, I argue the need to understand white supremaci-
st-neoliberal-patriarchy as the everyday state of affairs in geography.
University of British Columbia, Irving K. Barber School of Arts and Sciences, Community,
Culture and Global Studies
lawrence.berg@ubc.ca
(Traduzione dallinglese di Marcella Schmidt di Friedberg)
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 113-124
ELENA DELLAGNESE
MENS SANA IN CORPORE SANO ?
DIS-ABILIT E DIFFERENZA FISICA (*)
FRA HOLLYWOOD E BOLLYWOOD
Anche se non ci sono dati specifici che dimostrino un cambiamento di atteg-
giamento in relazione allesposizione ai contenuti mediatici, si tende a ritenere
che il modo in cui sono rappresentati i personaggi sia importante (Dahl, 1993). In
effetti, i personaggi sono spesso raffigurati dalla cultura popolare secondo carat-
teri semplificati, tramite un meccanismo che stabilisce, in riferimento a tutte le
possibili specificit individuali (colore della pelle, genere, configurazione fisica,
salute) (
1
) cosa la norma e cosa invece debba essere differente da essa. In re-
lazione alla rappresentazione cinematografica della differenza, la critica delle-
sclusione si focalizzata, sin dagli anni Ottanta del Novecento, sui temi della raz-
za, del genere, delletnicit, mentre il tema della dis-abilit a lungo rimasto og-
getto di unattenzione assai limitata (Safran, 1998a, 1998b).
La rappresentazione della dis-abilit tuttavia presente nella produzione cine-
matografica sin dai suoi esordi. Il cinema statunitense, per esempio, dopo The
Fake Beggar di Thomas Edison, girato nel 1898, in cui un falso non vedente chie-
de lelemosina, vide prima la produzione di alcune pellicole comiche, come The
(*) Nellambito dellargomento qui trattato, la questione della scelta dei termini assai complessa.
Come noto, si potuto assistere nel corso del tempo allassunzione e poi al disuso di termini un
tempo ritenuti accettabili e oggi offensivi, e ora si preferisce sostituire al termine disabile lespressio-
ne diversamente abile. Piuttosto che fungere da descrittore di una sintomatologia, o di una condizio-
ne di capacit o incapacit, in genere variabile soggettiva, la soluzione qui adottata (dis-abilit) vuole
fare riferimento alla dimensione relazionale di tale condizione (Baglieri e Knopf, 2004). Lespressione
differenza fisica, invece, mette a fuoco il tema della rappresentazione di corpi visualmente differen-
ti (Garland Thompson, 1996, p. 1), nella consapevolezza che la normalit cui questa differenza fa
riferimento, piuttosto che rappresentare il grado zero dellesistenza, una espressione di biopotere
(Davis, 1997, p. 52). Una scelta lessicale apprezzabile che si sta diffondendo nel mondo anglosassone
quella di utilizzare lacronimo PWDs, People With Disabilities, ossia persone con disabilit, in con-
trapposizione a TAB, Temporarily Able-Bodied person, per sottolineare il carattere temporaneo e
instabile della condizione di non dis-abilit (Norden, 2001).
(1) Per indicare queste varie forme di discriminazione, si parla cos, oltre che di razzismo, di ses-
sismo e di eterosessimo, anche di ageism, o ageismo, per indicare la discriminazione legata allet, e
di ableism, o disabilismo, in riferimento alla costruzione della differenza fra abilit/dis-abilit.
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Legless Runner (1907), The Invalids Adventure (1907) e Dont Pull My Leg (1908),
e poi, a partire dagli anni Venti del Novecento, la trasposizione di successi lettera-
ri come Notre Dame de Paris, o Il fantasma dellopera, in cui personaggi dis-abili
apparivano come individui estraniati dalla societ, patetici oppure violenti. Ac-
canto ai toni del comico, del patetico o dello stigma sociale, il cinema hollywoo-
diano della seconda met del Novecento ha poi imparato ad affrontare il tema in
modo pi approfondito, pur non mancando talora di ricadere nei suoi vecchi ste-
reotipi.
Nel frattempo, cinematografie riferite a tradizioni culturali (ed estetiche) diver-
se da quella occidentale, anche se in parte contaminate da essa, si sono affermate
acquisendo quote crescenti di mercato, sia alla scala locale sia alla dimensione
globale (come nel caso della cinematografia hindi, diffusa non solo nel subconti-
nente indiano e presso la grande diaspora indiana nel mondo, ma anche nel resto
dellAsia, in parte del continente africano, negli Stati Uniti, in Europa).
Poich la norma socialmente costruita, e la definizione di devianza cambia
in relazione a essa anche in riferimento alla complessa questione della dis-abilit,
la rappresentazione di dis-abili e di corpi visualmente differenti offerte da queste
cinematografie altre a volte distante da quella di stile hollywoodiano e merita
per questo di essere affrontata con un approccio comparativo. Con il presente la-
voro, dopo una breve ricostruzione storica dellorigine degli stereotipi messi in
gioco e della loro persistenza/mutabilit nel tempo, ci si prefigge di individuare le
modalit di rappresentazione e di visualizzazione dei corpi differenti nella cine-
matografia statunitense e quindi di metterla a confronto con quella proposta dalla
cinematografia in lingua hindi, generalmente nota come Bollywood.
Nani, gobbi, fenomeni da baraccone: genealogia dei corpi stra-ordinari (
2
)
nella tradizione occidentale. Nelle famiglie nobili europee del Sedicesimo se-
colo, avere almeno un nano (
3
) sembrava quasi una necessit. Il possesso di uo-
mini e donne di piccola statura come manifestazione di lusso non era tuttavia una
novit: gi nella Roma imperiale i nani venivano esibiti come accompagnatori
delle matrone (ma anche Augusto ne aveva uno, chiamato Lucius), fatti combatte-
re nei circhi, raffigurati con realismo negli affreschi (come nella Casa del Medico a
Pompei) (Cetorelli Schivo, 2003). Dal Quindicesimo al Diciottesimo secolo, la lo-
ro presenza era tanto frequente da rendere comune che venissero ritratti (da Man-
tegna, Veronese, Velzquez) affiancati ai membri della famiglia cui apparteneva-
no, oppure insieme agli animali domestici di casa, perch era implicito che il loro
ruolo fosse appena superiore (Adelson, 2005).
114 Elena dellAgnese
(2) Anche in questo caso, naturalmente, ci sono dei problemi di terminologia. Corpi stra-ordina-
ri traduce lespressione extraordinary bodies, introdotta da Garland Thompson (1996 e 1997), per
sottolineare il tema della rappresentazione visuale della differenza.
(3) Il termine nano era allora utilizzato in riferimento sia alle persone affette da acondroplasia,
sia agli affetti da nanismo armonico, nelle sue diverse forme. Lo si utilizza anche qui nello stesso sen-
so, per rimarcare la continuit dellimmagine stereotipata a esso attribuita dalla cultura popolare.
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Dis-abilit e differenza fisica fra Hollywood e Bollywood 115
Una immagine generalmente positiva circondava i nani anche nel folclore
tradizionale europeo, dove erano spesso descritti come esseri buffi e innocenti,
esponenti di un popolo a s stante, che viveva nei boschi e si occupava di atti-
vit particolari come lestrazione dei metalli (vedi per esempio Biancaneve, nella
versione dei fratelli Grimm, 1812). Passati di moda nelle corti, nel corso del Di-
ciannovesimo secolo i nani trovarono posto nei circhi, dove si esibivano come
cavallerizzi e clown, oppure utilizzati in spettacoli itineranti come fenomeni da
baraccone (
4
). Ovviamente, il cinema degli albori si appropri immediatamente
della loro immagine, visualizzandoli in pellicole cinematografiche per bambini o
in genere comiche: la prima versione cinematografica di Biancaneve venne girata
nel 1902, mentre Biancaneve e i sette nani, il primo lungometraggio animato pro-
dotto dalla Disney, del 1937. Nel 1938 venne poi girato The Terror of Tiny
Town, in cui un gruppo di persone di piccola statura interpretava una collettivit
di cowboys in miniatura, sollecitando il riso, si suppone, per il contrasto fra le loro
dimensioni ridotte e lalta statura usualmente esibita dal cowboy hollywodiano
(dellAgnese, 2009). Ai portatori di cifosi dorsale accentuata, usualmente definiti
come gobbi (
5
), era riservato sin dallantica Roma il ruolo di buffone portafortu-
na, grazie alla tradizione, diffusa un po in tutto il mondo (
6
), che li voleva latori di
fertilit (probabilmente a causa della sagoma ricurva, in apparenza sotto un far-
dello di doni). Nelle corti europee, insieme ai nani e ai cosiddetti pazzi, un ruo-
lo di intrattenimento era riservato anche ai gobbi, i quali tuttavia non apparivano
mai nei ritratti di corte, forse perch il loro rango domestico era meno elevato, o
forse perch, oltre a far ridere, suscitavano un po di pena. Anche nel folclore po-
polare i gobbi erano presenti, talora come portatori di doni (come la Befana), o
lo scartellato della tradizione napoletana (
7
), in altri casi come individui segnati
da un destino crudele (che nelle fiabe a lieto fine si risolveva per intervento magi-
co con la liberazione dalla gobba) (
8
). Nellambito della cultura alta, questa di-
mensione tragica, malvagia, oppure patetica acquist maggior spessore, con ope-
re come Riccardo III di Shakespeare, Notre-Dame de Paris e Le Roi samuse di
Victor Hugo, Rigoletto di Verdi, e come tale entr poi nel cinema occidentale.
(4) Mentre gli acondroplasici erano generalmente utilizzati come acrobati o clown, le persone di
statura piccola ma di membra proporzionate venivano definite lillipuziani ed esibite in spettacoli a
parte.
(5) Anche in questo caso, il termine gobbo utilizzato in riferimento alla sua riconoscibilit nel-
lambito della cultura popolare.
(6) Il personaggio del gobbo presente nella tradizione greca (dove noto come Karagiozis e ha
il compito di far ridere), ma anche nella cultura hopi, dove invece rappresenta il portatore di fertilit
(Kokopelli), e nel teatro sanscrito (Vidusaka, oltre che gobbo, anche nano e calvo). La presenza di
buffoni gobbi nelle corti dellantica Cina testimoniata dalle Mille e una notte (Otto, 2001).
(7) In dialetto napoletano il gobbo chiamato o scartellato (numero 57 per la Smorfia) e appa-
re nel presepe, a partire dal Settecento, insieme al nano, al guercio e allo storpio. Amuleti con limma-
gine del gobbo portafortuna sono tuttora in produzione e in vendita.
(8) Si veda, per esempio, la storia di Edwin e Sir Topaz, del poeta irlandese preromantico Thomas
Parnell, in cui il giovane gobbo virtuoso, ma respinto a causa della sua bruttezza dalla donna che ama,
viene liberato dalla gobba grazie allintervento delle fate e riesce cos a conquistare la fanciulla amata.
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Sul mercato (
9
) dellintrattenimento erano ricercatissimi anche gli individui
portatori di vistose anomalie fisiche, tanto che Victor Hugo, nel romanzo Luomo
che ride, racconta dei comprachicos, mercanti di bambini appositamente mutilati
per lo spettacolo o la raccolta di elemosine (si racconta di strumenti atti a impedi-
re a tal fine la crescita armonica delle membra gi a Roma) (Cetorelli Schivo,
2003). Nella seconda met dellOttocento, i corpi stra-ordinari venivano esibiti in
circhi specializzati come il Barnum and Bailey e in appositi freak show (Bogdan,
1988; Garland Thompson, 1996). Anche in questo caso, la curiosit nei confronti
della specificit del fisico aveva una lunga tradizione (Garland Thompson, 1996,
p. 2), oscillando, nel periodo barocco, fra la rappresentazione della mostruosit
e lammirazione espressa nei confronti dellabilit di fare cose difficilissime (come
dimostra la vicenda di Matthias Buchinger, che, pur essendo nato privo di braccia
e di gambe, incant lEuropa settecentesca per il virtuosismo musicale e per le ca-
pacit dimostrate come incisore). Tuttavia, vi fu nel Diciannovesimo secolo una
sorta di passaggio di significato che, se in precedenza esaltava lo stupore della
diversit, ora metteva in evidenza la rottura della norma, della razionalit scienti-
fica della modernit, ricollocando i corpi stra-ordinari dalla definizione di mo-
stro (ossia di meraviglia da mostrare) a quella di errore di natura. Per questo,
divennero particolarmente ricercati i corpi le cui forme sembravano trasgredire le
categorie sociali di genere (come la donna barbuta) e di persona umana (co-
me luomo-mulo o luomo-coccodrillo) (Garland Thompson, 1996).
Con lesibizione del freak show, che comporta la netta separazione fra chi os-
serva lo spettatore e chi osservato (Scarano, 2006), si accentuava la dinamica
della spettacolarizzazione della diversit, messa in mostra per suscitare curiosit
pseudo-scientifica, morbosit, voyeurismo, pena, e nel contempo rassicurare lo
spettatore della propria condizione di normalit. Per questo, anche i protagonisti
del freak show trovarono rapidamente posto nellimmaginario hollywoodiano,
soprattutto per quanto riguarda i film di genere horror (Gaycken, 2001). Il regista
Tod Browning, gi autore di Dracula (1931), nel 1932 gir Freaks, un film centra-
to sulla vicenda amorosa di una donna di statura media e un uomo di piccola sta-
tura, in cui recitarono anche una quindicina di protagonisti di freak show delle-
poca (
10
).
Data lefferatezza di alcune punizioni corporali, limpiego di armi da taglio in
duelli e conflitti militari, la diffusione di morbi come il vaiolo, possibile ipotizza-
re che le societ europee tradizionali fossero caratterizzate dalla presenza di nu-
merose persone mutilate. Tuttavia, a differenza delle anomalie imposte dalla na-
tura, le trasformazioni del corpo acquisite sembravano trovare poco spazio nel-
la curiosit popolare e di conseguenza nella rappresentazione iconografica. La vi-
sualizzazione di corpi mutilati era perci limitata ai mendicanti, come per esem-
116 Elena dellAgnese
(9) Lespressione, pur cruda, opportuna, in quanto le biografie dei protagonisti di questi freak
show fanno spesso riferimento a transazioni in denaro relative alle loro performances gi nella loro
pi tenera et (Annie Jones, celebre come donna barbuta inizi a essere esibita a un anno di vita).
(10) Il film fu pesantemente censurato, perch ritenuto offensivo nei confronti della sensibilit de-
gli spettatori.
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Dis-abilit e differenza fisica fra Hollywood e Bollywood 117
pio quelli di Bruegel, oppure ai ritratti degli eroi di guerra (come Lord Horatio
Nelson) o a quelli di personaggi avventurosi, spesso di carattere negativo.
Nella seconda met dellOttocento, in particolare, nella letteratura per linfan-
zia e nei romanzi davventura trovarono per spazio molti personaggi privi di
gambe, braccia, occhi, come il Capitano Achab in Moby Dick di Herman Melville,
del 1851, Long John Silver, nellIsola del Tesoro di Robert Louis Stevenson, del
1883, o Capitan Uncino, in Peter Pan, di James Matthew Barrie, del 1904. Ovvia-
mente, il cinema dei primi decenni del secolo scorso segu la tradizione letteraria,
spesso facendo ricorso alla metafora in cui la deformazione fisica del volto e del
corpo sta a indicare lincapacit mentale o emotiva di inserirsi allinterno della co-
munit umana allargata (Nyman, 2010). Il fantasma dellopera, personaggio dal
volto sfigurato introdotto in letteratura nel 1910, divenne immagine cine-
matografica gi nel 1916; Lisola del tesoro nel 1920, Moby Dick nel 1926. A queste
prime edizioni avrebbero poi fatto seguito una moltitudine di versioni successive.
Anche lo scontro fra Peter Pan e Capitan Uncino entrato nellimmaginario collet-
tivo, grazie allo straordinario successo della versione animata prodotta dalla Di-
sney nel 1953 (
11
).
Ovviamente, lindustria cinematografica statunitense in Occidente non stata
lunica a far riferimento al mito della mens sana in corpore sano. Nella prima
met del Novecento, questo ideale di antica tradizione romana venne portato alle
estreme conseguenze non solo dalla pittura e dalla scultura naziste, dove una per-
fezione della figura umana tanto ricercata da risultare stucchevole (Siebers, 2006)
veniva utilizzata per visualizzare la superiorit morale della razza ariana, ma an-
che dal cinema. La produzione cinematografica tedesca da un lato esaltava la bel-
lezza con Olympia (1938), dallaltro girava film come Das Erbe (1935) mirati alla
criminalizzazione e alla de-umanizzazione degli individui fisicamente e mental-
mente fuori dalla norma, o Der Ewige Jude (1940) in cui la bruttezza era utilizza-
ta per simboleggiare linferiorit razziale degli ebrei.
La perfezione come regola. La rappresentazione del corpo dis-abile nella pro-
duzione cinematografica stile Hollywood. Come dice Francesco Guccini, gli
eroi sono tutti giovani e belli (
12
). In effetti, nella tradizione occidentale la rappre-
sentazione delleroe e delleroina, tanto nella pittura quanto nella narrativa, pre-
vede che essi siano dotati di bellezza e di grazia. Il cinema hollywoodiano ag-
giunge qualche cosa a questa tradizione: accanto ai protagonisti, usualmente bel-
lissimi, anche i personaggi minori sono in genere caratterizzati da perfezione fisi-
ca e giovinezza eterna, anche se la vicenda non lo prevede e gli altri personaggi
paiono non accorgersene. Ovviamente, sullo schermo vengono talora introdotte
(11) Va detto per che la Disney aveva gi fatto abbondantemente uso di questa metafora anche
per altri personaggi. Il nemico storico di Topolino, per esempio, si chiama Pietro Gambadilegno (Peg
Leg Pete) e venne rappresentato dalla nascita (1928) sino agli anni Quaranta effettivamente con una
protesi di legno.
(12) La locomotiva, Francesco Guccini, 1972.
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persone malate, con dis-abilit o visualmente differenti. Anzi, ce ne sono moltis-
sime (Longmore, 2003). Tuttavia, assai difficilmente la loro presenza offerta co-
me una normale caratteristica di ogni societ e ancora pi difficilmente si tratta di
personaggi come tutti gli altri. Al contrario, la loro differenza viene a essere il fo-
cus della vicenda se sono protagonisti (e allora il film racconta di una persona e
del suo rapporto con la dis-abilit), oppure una rappresentazione metaforica di
qualche cosaltro, se sono personaggi secondari (il genere, il cattivo, oppure lele-
mento comico, o ancora la figura di contrasto con il protagonista).
In ogni caso, nella storia del cinema americano possibile distinguere almeno
tre fasi nella rappresentazione della dis-abilit (Norden, 1994 e 2001). Nella prima,
definita di exploitation e compresa fra la fine dellOttocento e gli anni Quaranta, i
dis-abili erano rappresentati spesso come freak, talora associati a una immagine di
malvagit, in altri casi ridicolizzati, in altri ancora oggetto di cure impossibili che li
riportavano a una condizione di normalit (dal 1912 al 1930 vennero girati 430
film sul tema, di questi ben 150 mostravano personaggi che riacquistavano luso
della vista, delle gambe o delludito grazie a cure, a miracoli divini o semplice-
mente alla fortuna) (
13
). Se i mutilati e gli invalidi erano ricorrenti nei film di guer-
ra, come La grande parata (1925, di King Vidor), nei film dellorrore si faceva uso
frequente di personaggi mutilati o sfigurati, indotti al male proprio a causa della
perdita subita (come per esempio le molte pellicole interpretate allepoca da Lon
Chaney, attore specializzato in trucchi grotteschi). Negli anni successivi alla secon-
da guerra mondiale, si apr una fase pi esplorativa, in cui furono offerti ritratti
pi delicati e sensibili (Norden, 2001). In questo periodo, molti film vennero dedi-
cati al ritorno di veterani privi della mobilit, mutilati, ciechi (come Pride of the
Marines, 1945, che narra del ritorno di un militare divenuto cieco; Till the End of
Time, 1946, che ha come protagonisti tre ex marines, due dei quali dis-abili; o il
celeberrimo I migliori anni della nostra vita, del 1946, in cui il protagonista, ri-
masto mutilato durante il conflitto, riesce a riconquistare lamore della fidanzata).
Il motivo ricorrente era il tema del recupero, o della performance eccellente, an-
che da parte di persone dis-abili. Infine, dagli anni Settanta sino al momento at-
tuale, una maggiore sensibilit da parte dei registi ha indotto alla produzione di
film fortemente realistici, come Il mio piede sinistro (1989), interamente centrati
sul dramma legato alla malattia fisica, oppure di pellicole in cui personaggi dis-
abili riescono in qualche modo ad affrontare la propria vita (come Dimmi che mi
ami, Junie Moon, del 1970, in cui una ragazza sfigurata, un paraplegico e un epi-
lettico tentano di mettere su casa insieme, dopo essere usciti da un istituto). Spes-
so girati da attori non dis-abili (
14
), questi film, pur se apprezzabili per la sensibilit
spesso mostrata nei confronti di una particolare condizione di dis-abilit, sono
stati oggetto di critiche (Norden, 2002), in quanto da un lato rischiano di sollecita-
118 Elena dellAgnese
(13) British Film Institute, www.bfi.org.uk/education/teaching/disability.
(14) Il problema di chi interpreta chi ovviamente molto sentito dagli attori dis-abili che, se per
tradizione recitavano nascondendo la propria dis-abilit (come Sarah Bernard), oggi reclamano di po-
ter riempire i ruoli di dis-abili sullo schermo, sostenendo che utilizzare un non dis-abile per un ruolo
da dis-abile come utilizzare un bianco in black face per recitare nellOtello (Norden, 2002).
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Dis-abilit e differenza fisica fra Hollywood e Bollywood 119
re la piet di chi li guarda, dallaltro di mettere in evidenza come sia necessario
venire a patti con la malattia. Per i personaggi pi psicologicamente sfumati, la
soluzione prevista infatti quella di un progressivo aggiustamento emotivo,
unauto-accettazione di carattere psicologico e individuale (Il collezionista di os-
sa, 1999). Invece, per quelli che accompagnano la dis-abilit a un aspetto mo-
struoso, oppure alla cattiveria, lunica soluzione possibile pare essere la morte
(Longmore, 2003), che viene addirittura suggerita in forma di suicidio a chi non
dimostra la capacit di adattarsi alla propria catastrofica condizione (come il pro-
tagonista di Whose Life Is It Anyway? del 1981, oppure il personaggio paraplegico
interpretato da Jude Law in Gattaca, del 1997).
Una distinzione, seppur grossolana, pu essere introdotta per quanto riguarda
personaggi maschili e femminili. Nelle produzioni in stile Hollywood, infatti, le
donne dis-abili sono spesso rappresentate come vittime delle circostanze, oggetto
di piet, o, pi raramente, damore (in Un amore splendido, 1957, la protagonista,
dopo essere rimasta su una sedia a rotelle per un incidente, rifiuta di rincontrare
luomo che ama per la vergogna, finch questo scopre la verit e la ama cionono-
stante), ma non sono quasi mai capaci di una vita sessuale (con la notevole ecce-
zione di Frida, del 2002). Per quanto riguarda gli uomini, invece, la dis-abilit non
impedisce ai buoni di mantenere unattitudine eroica e rimanere oggetto damo-
re, mentre i cattivi tendono a manifestare desideri lascivi, spesso nei confronti di
donne bellissime (Longmore, 2003). Ai personaggi maschili dis-abili, in ogni caso,
il cinema offre uno spazio assai maggiore. Infatti, se le donne dis-abili sono pre-
senti prevalentemente nei drammi familiari, dove sono personaggi passivi e pate-
tici (Snyder e Mitchell, 2006), oppure nei gialli, dove sono la vittima predestina-
ta, gli uomini dis-abili sono presenti in molti altri generi specifici. Nei film di guer-
ra, per esempio, soprattutto se politicamente impegnati e pacifisti, il ricorso alla
cosiddetta wheelchairs rhetoric (Kuppers, 2007) quasi un luogo comune nel
raccontare le difficolt dei militari che tornano dal fronte (Tornando a casa, 1978;
Il cacciatore, 1978; Nato il 4 luglio, 1989; Forrest Gump, 1994). Nella fantascienza,
il protagonista maschile, dis-abile a causa di un incidente, pu invece riacquistare
le proprie capacit (o addirittura accentuarle), grazie allimpiego di tecnologie fu-
turistiche che lo trasformano in cyborg o in avatar (Robocop, 1987; Avatar, 2009),
e quindi mantenere latteggiamento da eroe (
15
). Oppure, pu diventare cattivissi-
mo, associando alla dis-abilit un comportamento fortemente asociale (
16
), come
avviene con Darth Vader nella serie di Guerre stellari, con vari cattivi nei film di
James Bond (a partire dal Dr. No, privo di entrambe le mani), con alcuni antago-
nisti di Batman (come il Joker o Due Facce), sino ad arrivare a G.I. Joe La na-
(15) In questo caso, la letteratura anglosassone ha adottato lespressione super-crip. Lo stereoti-
po, in apparenza positivo, rischia in realt di suggerire alle persone con dis-abilit che possono ren-
dersi accettabili solo se si dimostrano capaci di performances superiori a quelle dei non dis-abili.
(16) Secondo Longmore (2003), attribuire una dis-abilit a personaggi negativi rinforza tre pregiu-
dizi comuni nei confronti dei dis-abili: la dis-abilit una sorta di punizione divina; i dis-abili sono re-
si cattivi dallamarezza legata alla loro condizione; i dis-abili detestano i non dis-abili e se possono
tentano di ucciderli.
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scita dei Cobra, del 2009, dove una squadra speciale antiterrorismo combatte
contro una organizzazione criminale, denominata Cobra, il cui capo un ex ma-
rine sfigurato in battaglia. Nei western, non c posto per cowboys dis-abili. In un
genere cinematografico incentrato sulla visualizzazione della prestanza maschile
(dellAgnese, 2009), infatti, il protagonista non pu permettersi debolezze, se non
quando molto anziano (come Il Grinta, 1969, dove John Wayne appare con un
occhio solo). Pu per essere claudicante lamico del cowboy, in modo da enfatiz-
zare visualmente la superiorit fisica dello stesso (vedi Lultima notte a Warlock,
1959, oppure Un uomo da marciapiede, 1969). Oppure, pu essere dis-abile il
nemico del cowboy, come lo scienziato pazzo Arliss Loveless, privo di gambe e
costretto su una sedia a rotelle in Wild Wild West, del 1999. Accanto ai personag-
gi che associano a un incidente dis-abilitante (e soprattutto al volto sfigurato), un
comportamento malevolo, non mancano quelli che devono (ancora) far ridere. Se
Non guardarmi, non ti sento (1989), dove un cieco e un sordo devono far ride-
re, stato variamente criticato, altri film anche pi recenti non sono incorsi in cri-
tiche analoghe. Dal personaggio dei cartoni animati di Mr. Magoo, per esempio,
inventato nel 1949 e destinato a far ridere a causa della sua straordinaria miopia,
stato tratto un film con Leslie Nielsen nel 1997; Dick Tracy (1990), anchesso trat-
to da un cartone animato, mette in mostra tutta una serie di disabilit fisiche, a
partire dalla gobba del personaggio interpretato da Al Pacino (il protagonista in-
vece bellissimo). Anche la gobba di Igor, in Frankestein Junior (del 1974) fa ride-
re, come vuole far ridere Quel nano infame, del 2006, tutto giocato sulle piccole
dimensioni di un uomo che si finge neonato per organizzare il furto di un dia-
mante.
Accanto alle pellicole che si sforzano di offrire una immagine realistica della
condizione di dis-abilit, permangono dunque moltissime produzioni in cui rie-
mergono tutti i vecchi stereotipi. Nani e gobbi fanno ridere, gli uomini sfigurati
sono malvagi, o comunque reietti (
17
), le donne dis-abili sono generalmente sog-
getti passivi. Anche il personaggio del dis-abile eroico, che nonostante tutto of-
fre performances di altissimo livello nella musica e nelle arti, ritorna implacabile
tanto al cinema quanto in altre forme di intrattenimento popolare (
18
). La rappre-
sentazione cinematografica offerta da Hollywood e dalle produzioni di stile hol-
lywoodiano rimane pertanto fortemente distorta. Rarissime sono le commedie, o
anche i drammi, i cui personaggi dis-abili vivono la loro vita semplicemente come
componenti di una societ in cui non solo non deve essere necessario, ma soprat-
tutto non possibile, adeguarsi tutti alla norma. Vi sono comunque delle ecce-
zioni: in Notting Hill, 1999, per esempio, uno dei membri del gruppo di amici del
protagonista una giovane donna in sedia a rotelle (interpretata da unattrice non
dis-abile); mentre il pesciolino Nemo, nel cartone animato della Pixar (Alla ricer-
ca di Nemo, 2003), ha un pinna atrofica (definita la sua pinna fortunata), cosa
che rende il padre particolarmente apprensivo nei suoi confronti, ma che non tur-
ba affatto lui.
120 Elena dellAgnese
(17) Si veda in proposito Luomo senza volto, 1993.
(18) Come le para-olimpiadi, per esempio, o i talent show globali. A questo proposito, merita di es-
sere segnalato il vincitore di Chinas got talent 2010, un giovane pianista privo di entrambe le braccia.
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Dis-abilit e differenza fisica fra Hollywood e Bollywood 121
Mutilazioni, malattie e corpi stra-ordinari nella rappresentazione di Bol-
lywood. In un film hindi contemporaneo limmagine di bellezza poco diversa
da quella delle produzioni cinematografiche hollywoodiane: donne e uomini dalla
pelle chiara, gli occhi spesso verdi, i capelli fluenti e i fisici prorompenti suggeri-
scono una visione della perfezione estetica assai vicina a quella di Hollywood (si
veda dellAgnese, 2009). Tuttavia, se si considera la rappresentazione della divi-
nit nella tradizione religiosa del subcontinente, in particolare quella induista, che
offre immagini femminili con molte braccia, oppure giovani dalla testa di elefante,
si pu notare come essa si incarni in immagini assai meno normali di quelle pre-
viste dalla iconografia greca o cristiana. Anche Bollywood, pur prevedendo una
rappresentazione della societ rarefatta e poco realistica, distante dalle condizioni
sociali delle citt indiane, dalla rappresentazione della malattia o della povert,
offre spazi pi aperti alla variet estetica dellessere umano, soprattutto per quan-
to riguarda let (a Bollywood sono rappresentati usualmente i genitori, talora le
nonne, molto spesso anche le anziane domestiche), e talora anche in relazione al-
la differenza fisica.
Come noto, il cinema hindi trae ispirazione, oltre che dalla letteratura ro-
mantica inglese e dalla cinematografia occidentale, anche dal teatro parsi e dalla
tradizione epica indiana (Prasad, 1998). Tuttavia, anche se nei poemi sanscriti e
nel Ra
-
ma
-
yana non mancano personaggi come Vidusaka, il gobbo divertente, o
Manthara, la gobba cattiva, nel cinema hindi luso di personaggi in cui il corpo
differente suggerisce un comportamento asociale, oppure scatena il riso, limi-
tato ai primi anni del muto (
19
). Luso metaforico del corpo mutilato, o malato, per
quanto riguarda il genere maschile, invece spesso utilizzato per indicare la de-
bolezza degli uomini nel periodo coloniale, debolezza che ha condotto il subcon-
tinente a subire la dominazione straniera. La tradizione, da questo punto di vista,
si apre forse con Devdas, romanzo in bengalese del 1917, tradotto per il cinema in
numerose versioni, a partire dal 1928: il protagonista maschile, pur essendo diviso
fra lamore di due donne bellissime, si rivela non solo un uomo debole, ma anche
sessualmente impotente (Arora, 1997). Nel periodo postcoloniale, il tema della
debolezza maschile, visualizzata attraverso la dis-abilit, ripreso in Mother India
(1957), uno dei film che hanno conseguito i massimi incassi di tutta la storia del
cinema indiano; in questo dramma spettacolare e realistico, la protagonista
Radha, una donna forte e pura come una vera ind, supera mille peripezie senza
mai abbandonare il proprio villaggio, mentre il marito, privo di entrambe le brac-
cia a causa di un incidente sul lavoro, si suicida lasciandola sola con i figli. Perso-
naggi periferici portatori di qualche forma di dis-abilit sono presenti anche in
moltissimi film del periodo compreso fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del
Novecento, e in particolare nelle pellicole con Amitabh Bachchan, lattore pi fa-
moso di quegli anni (secondo Palicha, 2003, si pu calcolare che oltre un sesto
dei 120 film girati dallattore abbia uno o pi dis-abili fra i personaggi minori). Fra
questi, Sholay, del 1975, in cui Amitabh Bachchan interpreta il personaggio del
giovane maschio arrabbiato e che contende a Mother India il primato al botte-
(19) Si veda www.bfi.org.uk/education/teaching/disability/treatment/bollywood.
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ghino, ha, fra i protagonisti maschili, un personaggio che rimane mutilato di en-
trambe le braccia. Anche un film centrato sul tema del nazionalismo inclusivo, co-
me Lagaan (2001), comprende fra i suoi personaggi un giovane con una dis-abi-
lit, il quale, proprio grazie al lancio imperfetto che riesce a imprimere alla palla
con il suo braccio speciale, riesce a vincere la partita di cricket da cui dipende la
sopravvivenza dellintero villaggio (
20
).
Accanto ai film realistici e politicamente impegnati, anche le pellicole cen-
trate sul tema del triangolo amoroso, che costituiscono la grande maggioranza
della produzione bollywoodiana, non mancano di introdurre personaggi maschili
con dis-abilit. In questo caso, il tema quello della piet e del timore che questa
si mescoli al sentimento vero. Chandni (1989), per esempio, la storia di un gio-
vane che cade dallelicottero per gettare petali di rosa sulla casa della fanciulla
amata e poi, per non farsi vedere da lei su una sedia a rotelle e non costringerla al
sacrificio, scompare dalla sua vita (salvo poi recuperare la capacit deambulatoria
e, di conseguenza, la ragazza); mentre in Kandukondain, kandukondain (2000)
la protagonista ama un maggiore dellesercito privo di una gamba, che inizial-
mente teme di essere per lei solo oggetto di piet (e dunque la rifiuta), ma alla fi-
ne scopre che lei vede la bellezza che c in lui e ricambia il suo amore. In Kal
Ho Naa Ho (2003), commedia sentimentale ambientata fra gli indiani di seconda
generazione residenti a New York, il protagonista, interpretato da Shahrukh
Khan, soffre invece di cuore e lo nasconde alla ragazza che ama, rinunciando a lei
per non farla soffrire. Kahl Ho Nah Ho, che fra i personaggi minori include anche
un ragazzino poliomielitico, il primo dei film in cui Shahrukh Khan, attore ama-
tissimo dal pubblico di Bollywood, interpreta un personaggio con dis-abilit. In
seguito, sar un calciatore con un problema a una gamba in Kabhi Alvida Naa
Kehna (2006) e un giovane autistico in My name is Khan (2010), dimostrando, in
entrambi i casi, come si possa girare un film con un personaggio dis-abile senza
che la dis-abilit diventi il centro della vicenda. I suoi film sono infatti, soprattutto,
storie damore, situate allinterno di una societ che non impone la norma della
perfezione fisica, riservando un uso metaforico alla dis-abilit, ma che accoglie
come sua componente anche la differenza fisica.
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122 Elena dellAgnese
(20) Il personaggio in questione, di nome Kachra, un dalit (ovvero un fuori casta). Per questo,
Lagaan stato variamente lodato. Tuttavia, Anand (2003) rileva che Kachra appare come un perso-
naggio passivo e poco intelligente e che perci non rende alcuna giustizia ai dalit.
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MENS SANA IN CORPORE SANO ? DIS-ABILITY AND PHYSICAL DIFFERENCE BE-
TWEEN HOLLYWOOD AND BOLLYWOOD. There are not specific data demonstrating
that media contents can change individual attitudes; however, it is usually accepted that
stereotypes in popular culture can produce an othering effect. This is particularly true
when the knowledge of the other is not direct, but mostly received through popular cul-
ture itself. Dis-abled bodies, in Western culture, have been represented as ridicule, funny
or extraordinary, for centuries; still today, Hollywood and Hollywood style movies tend to
frame dis-ability in an exceptional way; different visual cultures, such as the one typical of
Hindi cinema, tend to represent dis-ability as a common feature of everyday social life.
Universit degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
elena.dellagnese@unimib.it
124 Elena dellAgnese
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 125-135
JULIET FALL
DOLORI DELLA CRESCITA
QUANDO LE ERBACCE INVADONO IL GIARDINO
Questa una storia di piante e di erbacce che attraversano tutto il globo. Piante
coinvolte in storie di diversit che riguardano il diritto di appartenere, di crescere
in determinati luoghi e di muoversi liberamente. Storie frivole di sterminio e vo-
lont di sopravvivenza. Verdi e fiorite storie di vita negli spazi della politica. Piante
che creano luoghi differenti: spazi di differenza che fuggono dal controllo e dallin-
tervento umani.
Lasciatemi dunque iniziare con una storia
Cera una volta un piccolo fiore giallo che viveva in un campo. Era giunto mol-
ti anni prima da una terra lontana al di l del mare, inosservato tra i girasoli. Un
bel giorno, mosso dal desiderio di visitare il mondo, si fece un giro su una grande
mietitrebbia e viaggi a Est verso il sole nascente. Poich la gente gli dava la cac-
cia con lerbicida, si spinse pi lontano lungo strade e cave di ghiaia, in siti in co-
struzione e cortili abbandonati, spostandosi, nascondendosi, diffondendosi. Viag-
gi anche nei sacchi di mangime per uccelli, nascosto fra i semi di girasole. Mol-
tissime persone, impietosite dagli uccelli affamati durante linverno, la primavera
successiva trovarono con sorpresa dei fiori gialli sotto le gabbie dei loro uccelli.
Ma dovunque crescesse la piccola pianta, cera qualcuno che cominciava a star-
nutire, sputacchiare, tossire.
O, ancora, usando parole un po meno infiorettate:
La causa principale di allergia e asma da polline nellAmerica settentrio-
nale e nellEuropa Centrale il polline da ragweed (ambrosia), un genere
molto diffuso di Asteraceae. In Europa sono prevalenti i tipi corto e comune
(A. artemisiifolia) [] Queste specie producono grandi quantit di polline
da agosto a settembre. Questo polline, altamente allergenico, portato dal
vento, percorre lunghe distanze. Lambrosia ha un enorme potenziale invasi-
vo dato che produce grandi quantit di semi con una notevole capacit di
germogliare [] Lambrosia ha una diffusione potenziale pi elevata della
maggior parte delle specie di dicotiledoni e di altre infestanti indigene euro-
pee. Questa situazione richiede un monitoraggio accurato della pianta e lim-
plementazione di strategie di controllo, che coinvolgano non solo i coltivato-
ri, ma anche lo staff addetto alla gestione di aree naturali, siti stradali, indu-
strie edilizie e produttrici di ghiaia [International Ragweed Society, 2010].
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(1) Lambrosia (Ambrosia artemisiifolia) pu causare allergie respiratorie e lHeracleum mante-
gazzianum pu causare eruzioni cutanee al contatto con la pelle.
(2) Sono cos contrassegnati come verr chiarito fra breve i brani tratti da interviste.
126 Juliet Fall
Questa piccola pianta ha generato grande ansia in Svizzera, dato che scienziati,
professionisti e politici guardando al di l dei confini del paese, vedono gli effetti
potenziali che questa pianta pu avere sulla salute umana. Unampia gamma di at-
tori politici e sociali, dagli ambientalisti, agli specialisti in agricoltura e ai professio-
nisti della salute, si sono mobilitati per limitare la diffusione dellambrosia in Sviz-
zera in particolare nel Cantone di Ginevra. A tal fine, hanno messo in atto tutta
una serie di strumenti legislativi, adattando le leggi esistenti in modo creativo, per
sviluppare nuove armi legali che permettano di combattere quella che considera-
no una minaccia urgente. In generale, sulla scorta di questa ingente mobilitazione
su una sola specifica pianta, il tema delle piante infestanti tutte, a eccezione di
sole due specie (
1
), totalmente innocue per le persone ha beneficiato di una mag-
giore esposizione. Lambrosia stata, quindi, celebrata come esempio formidabile
da alcuni ambientalisti che hanno strategicamente usato laumento di interesse po-
litico sulle piante, per parlare di altre specie che si sostiene possano essere una mi-
naccia per la biodiversit: On a la chance davoir, enfin la chance oui, la chance
et le malheur, mais la chance aussi, davoir lambroisie, pour aider et comprendre
cette problmatique (T1) (
2
). In quanto scienziata sociale, mi sono ritrovata a esse-
re combattuta tra il fascino per la perversione e la violenza dei discorsi sulla diver-
sit che sono stati prodotti per sterminare queste specie neo-arrivate, e la profon-
da ammirazione per il coinvolgimento di alcune persone che cercano di far au-
mentare la consapevolezza pubblica nei confronti di ci che vedono come unur-
gente minaccia, sia per lambiente, sia per la salute umana. Come essere umano,
sono incantata, e in soggezione, dallabilit dimostrata da queste piante nel servirsi
delle infrastrutture umane per diffondersi efficientemente in tutto il pianeta.
Dalla met del XIX secolo, quando le prime societ di acclimatazione furono
fondate in Francia e in Gran Bretagna per trasferire piante e animali in nuovi ha-
bitat, lo spostamento di specie da un luogo allaltro del pianeta ha avuto una con-
notazione fondamentalmente positiva. per esempio, il miglioramento del paesag-
gio coloniale che si riteneva fosse imperfetto e carente e, allo stesso tempo, il ten-
tativo di rendere lEuropa pi esotica e cosmopolita (Osborne, 2000; Smout,
2003) furono nobili intenzioni sostenute da scienziati molto celebri. Oggi, tutta-
via, questa stessa idea di miglioramento, di controllo e di accrescimento dellar-
monia della natura non riguarda tanto laggiunta, quanto la sottrazione di specie
selezionate, ritenute indegne. Nel contesto attuale, contraddistinto da sempre pi
veloci viaggi intercontinentali e dallaumento del commercio globale, c stata
una crescente creazione di norme e regolamenti che riguardano la circolazione
delle specie viventi, e in particolare quella positiva o negativa delle piante. Gli
aggettivi invasive, esotiche, non-native, non-indigene ed estranee sono uti-
lizzati per descrivere uno sciame globale di specie. In questo discorso, piante e
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(3) Questa parte di un progetto di ricerca in corso, finanziato dalla Fondazione Boninchi, intito-
lato Invasions biologiques, scurit et bioscurit: Repenser les territoires, repenser les acteurs et les
logiques dactions, coordinato da Juliet Fall, Laurent Matthey and Irne Hirt, presso lUniversit di
Ginevra, gennaio 2010-giugno 2011. Tutte le successive citazioni sono tratte da un corpus di interviste
numerate (T1, T2 ecc.) nellordine in cui sono state condotte e trascritte. Lanonimato stato garantito
a tutti gli intervistati.
animali vengono visti come fuori posto e fuori controllo, se sono al di fuori dei lo-
ro habitat naturali. Le piante ritenute invasive sono catalogate come pericolose e
vengono cos selezionate per essere eliminate. I processi di categorizzazione, eti-
chettatura e confinamento sui quali si fonda la costruzione della natura di queste
specie, insieme con lidea di una natura esterna, e conoscibile, sono mutati assai
poco. La natura ancora vista come un oggetto l fuori, semplicemente altro
dallumanit. Le specie invasive sono, pertanto, un altro doppio: sono estranee
allinterno dellalterit naturale. A livello globale si afferma sempre di pi come un
problema di sicurezza: la sopravvivenza di specie originarie contro il crescente
successo dei nuovi insediati. Tali narrazioni parlano di sciami, di invasori e di stra-
nieri, tanto che, opportunisticamente, il tema della natura fuori controllo sembra
far leva su altre paure. Liste nere globali e Watch lists selezionano e rendono vi-
sibili coloro che vengono considerati come i peggiori criminali del mondo intero
e seguendo i requisiti della Convenzione sulla Diversit Biologica paradossal-
mente, e inevitabilmente, ciascuna di queste piante originaria di un altro luogo.
Queste piante, cos, sembrano essere retoricamente perverse due volte: non solo
si stanno diffondendo in nuove e inaspettate aree, ma stanno anche sconfinando
in luoghi considerati fondamentalmente culturali o antropizzati: stazioni ferrovia-
rie abbandonate, zone industriali e altri luoghi marginali abbandonati. Sono orga-
nismi che mettono in dubbio il confine fra specie man-made e specie naturali
(Beck, 1999; si veda anche Clark, 2002), aiutandoci a ripensare al confine fra na-
tura e cultura e fra noi e lAltro (Castree e MacMillan, 2001). Le specie definite
come invasive giocano in modo sottile ed efficace su tale dualit: piante che han-
no imbrigliato gli esseri umani nella loro lotta globale per la sopravvivenza, al
contrario di ci che abitualmente accade.
In questo articolo, al di l dellapparente frivolezza del mio racconto introdutti-
vo, cerco di affrontare la discrepanza che esiste tra questo discorso sulla diversit
oggetto della maggior parte dei dibattiti nellambito delle scienze sociali e naturali
e le attuali pratiche dei professionisti che si occupano di queste piante. Cos fa-
cendo, intendo dimostrare come il duro dibattito fra discorsi disciplinari e la corri-
spondente frustrante incomprensione fra scienziati sociali e naturali risolta dagli
individui attraverso pratiche che appaiono molto pi confuse e scivolose di quan-
to si creda. Al di l dei rigidi confini tra natura buona e cattiva, emergono negozia-
zioni, trasgressioni, adattamenti e pratiche pragmatiche. Nel tentativo di analizzare
questo tema, ho condotto quindici interviste con naturalisti, policy-makers e pro-
fessionisti coinvolti nella redazione della Lista Nera per la Svizzera delle specie
vegetali, cos come nello sviluppo e nella messa in atto in concreto di regolamenti
sulle specie invasive presenti nel Cantone di Ginevra (
3
).
Dolori della crescita 127
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Ripensando a categorie di diversit. Recentemente si attivato un dibattito,
sulle pagine delle riviste accademiche sia di scienze sociali sia di scienze naturali,
riguardo alle specie invasive (Head e Atchison, 2009; Warren, 2007 e 2008; Ri-
chardson e altri, 2008). Le piante coinvolte in questo dibattito sono carismatiche,
come il mio racconto iniziale, in qualche modo, si propone di mostrare. sempli-
ce scrivere di loro, pensare a interventi, tessere storie di invasione e avventura
popolate da queste piante o da intrepidi scienziati nella parte di eroi. Allo stesso
tempo altrettanto facile criticare tali semplici storie e analizzare le categorie sul-
le quali si fondano.
Le critiche a tali categorie seguono sostanzialmente due vie, in accordo con le
tradizioni disciplinari: gli scienziati naturali temono che le categorie spirituali co-
me aliena, invasiva, nativa e cos via siano scientificamente inaccurate e con-
troproducenti e richiedono che siano riviste e definite pi precisamente in modo
da essere pi utili alla ricerca. Nel contempo, gli scienziati sociali criticano la na-
tura fondamentalmente politica di tali categorie. Ne nato, in alcuni momenti, un
dibattito poco gradevole, contraddistinto da atteggiamenti aggressivi e da accuse
di razzismo o di xenofobia che lo hanno reso molto difficoltoso. Ci ha portato gli
scienziati naturali a una certa diffidenza o a mantenere un atteggiamento difensi-
vo, quando si sono trovati di fronte a uno scienziato sociale. Richiamo brevemen-
te queste due posizioni, prima di mostrare come si traducano in pratiche molto
meno nette e distinte.
Molti scienziati naturali accettano che la rapida ascesa nellopinione pubblica
del tema delle specie invasive debba molto alluso sempre pi frequente di agget-
tivi come invasive, alien, noxious and exotic (Colautti e MacIsaac, 2004,
p. 135) che hanno un appeal immediato. Nella loro critica a tali termini, si sottoli-
nea soprattutto la confusione sulla terminologia che vista come uno dei motivi
che ha impedito il progresso di una teoria scientifica obiettiva (ibidem), dato che
science progresses best when hypothesis, theories, and concepts are concisely
stated and universally understood (ibidem, p. 139). Colautti e MacIsaac, per
esempio, sostengono che le parole come invasione e alieno sono scientifica-
mente controproducenti, visto che le associazioni con termini pregiudiziali, in
particolare con quelli della sfera emotiva, possono condurre a interpretazioni di-
vergenti, a confusione tra i termini e a una concettualizzazione poco chiara dei
processi che intendono descrivere. Ci porta a widely divergent perceptions of
the criteria for invasive species (ibidem, p. 135), lumping together of different
phenomena, and the splitting of similar ones, which in turn makes generalization
difficult or impossible (ibidem, p. 136). Ci, sostengono, ha condotto a profonde
divisioni fra gli esperti di Invasion Ecology (Davis e Thompson, 2001; Davis,
Thompson e Grime, 2001). Sono state perci proposte soluzioni per definire tali
termini in modo non ambiguo, basandosi, per esempio, sullimpatto (Davis e
Thompson, 2001) o sulla successione di fasi ecologiche in altre parole seguendo
processi ecologici dipendenti dalla scala spaziale (Colautti e MacIsaac, 2004). Po-
stulando, diversamente da ci che alcuni autori hanno sostenuto, che uninvasio-
ne non sia uguale a una colonizzazione. Al contrario, secondo questa teoria, le
specie invasive sono, in qualche modo, esclusivamente estranee: we argue that
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Dolori della crescita 129
the process of becoming nonindigenous is inherently different from the local
spread characterized by native colonizers (Colautti e MacIsaac, 2004, p. 137). In
generale e nonostante che non tutti gli autori siano daccordo linvasione si ri-
ferisce al comportamento di un organismo, mentre lestraneit (come anche, al-
lopposto, la nativit) alla sua appartenenza a un determinato luogo (Head e Muir,
2004). Il secondo tipo di critica ha seguito un percorso diverso e pi importante.
fondato sulla prevalenza di metafore nelle scienze naturali ed ecologiche (Lar-
son, Nerlich e Wallis, 2005). Anche se le paure dellinvasione biologica sembrano
nutrire le ansie sulla globalizzazione, non sembrano rappresentare una vera no-
vit, come Coates (2007) ha mostrato descrivendo listerismo collettivo che venne
generato negli Stati Uniti dal passaggio di una specie di passeri durante una mas-
siccia migrazione alla met del XIX secolo. Il focus di questa critica lo stretto le-
game fra metafore sociali e desiderio di natura esotica che agisce sui sentimenti di
insicurezza. Clark (2002), per esempio, fornisce una traccia per esplorare i simbo-
lismi che associano la diaspora sociale e il cosmopolitismo con la diffusione delle
erbacce, delle sementi nocive e i parassiti, rifacendosi alla letteratura della societ
del rischio (Beck, 1999). Il discorso sullalterit si inserisce nel campo dellecolo-
gia, in particolare nellambito dellecological restoration and conservation. Alcu-
ni autori hanno sostenuto che la continua ambivalenza fra la dicotomia tra natura
e societ e la voglia di purezza perduta guides nativism aimed at both humans
and non-humans alike (OBrien, 2006, p. 65).
Ci legato al ruolo del linguaggio e della categorizzazione nel trasferire i va-
lori al di l dellintento di ciascun individuo o gruppo, as the well-rehearsed fo-
reigner-as-threat language finds its way into conservation discussions (OBrien,
2006, p. 67; si veda anche Gould, 1997). Mentre le metafore hanno il dono dellu-
biquit, nella scienza, simplicity and intuitive appeal are also the main reason
why scientific language has never succeeded in cleansing itself from metaphori-
cal impurities, despite several attempts to do so (Chew e Laubichler, 2003, p.
52). Interpretare fenomeni naturali in termini umani comunque a two-edged
sword, generating knowledge as well as opening the door to troubling misunder-
standings (ibidem). Le metafore, quindi, introducono un fondamentale compro-
messo fra il sorgere di originali intuizioni scientifiche e la possibilit di pericolose,
o addirittura mortali, appropriazioni indebite. Chew e Laubichler (2003, p. 52) ar-
rivano a sostenere che
[...] extension of genetics to eugenics owed much of its popularity in the
United States and Germany to its use of culturally resonant metaphors.
Labelling people as a burden, a cancerous disease, or a foreign body
(Fremdkrper) conveyed the threat to society in terms that people could
relate to in their respective historical and cultural settings.
Questo ci da cui Cresswell (1997) mette in guardia quando scrive di mora-
lit biologica, rispetto alla quale le metafore non solo sono teoricamente inappro-
priate, ma possono anche avere serious consequences on peoples lives (p.
336).
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Tuttavia le metafore, pur essendo talvolta mortali, sono utili perch ci permet-
tono di accrescere la nostra esperienza quando estendiamo le relazioni che ci so-
no familiari a contesti extrafamiliari, consentendo alle nuove idee di diffondersi.
Nelle scienze naturali ed ecologiche, dove molto viene dedotto piuttosto che di-
rettamente osservato, le metafore possono fare la differenza tra comprensione e
confusione, aiutando a diffondere un messaggio (Chew e Laubichler, 2003, p. 53).
Le implicazioni che conseguono dalluso frequente di metafore bellicose come
specie invasive o nemici naturali non implicano che tali categorie esistano in
natura, assegnando una dimensione normativa alle metafore. Nonostante che tali
categorie possano essere considerate solo astrazioni, la loro esistenza rinforzata
dal linguaggio metaforico utilizzato dagli scienziati: finiscono cos per diventare
oggetti concreti (ibidem). Le metafore raramente sono isolate; al contrario, si in-
tersecano con altri gruppi di metafore, creando a common ground between di-
scourses [] in a complex interplay of science, media, and policy (Larson, Nerli-
ch e Wallis, 2005, p. 245). Le metafore, e in particolare quelle di natura militare,
come ad esempio invasione, sono irresistibili, onnipresenti e apparentemente
naturali, rese plausibili o accettabili in particolari situazioni sociopolitiche, come
Larson, Nellich e Wallis (ibidem) hanno dimostrato nella loro analisi dei termini
militari utilizzati per descrivere le specie invasive nei media. Al contrario di que-
sta naturalizzazione e reificazione, tali categorie are not discrete, tightly defined
and unambiguous terms but cluster concepts with overlapping boundaries. No
species is inherently alien, but only with respect to a particular environment at a
particular moment (Warren, 2007; Willis e Birks, 2006).
Utilizzare le categorie della diversit. La categorizzazione delle specie in ba-
se al loro habitat originale e al potenziale di dannosit alla base di tutte le politi-
che riguardanti le specie invasive (Rmy e Beck, 2008) come, ad esempio, la co-
stituzione delle liste nere nazionali. Eppure, inevitabilmente, ci che allinizio
poteva sembrare senzaltro per coloro che vi erano coinvolti un processo di
categorizzazione puramente razionale e scientifico, col tempo si fatto via via pi
confuso a causa di processi politici e pressioni di parte, soprattutto a opera di
gruppi di interesse agricoli e orticoli. Un botanico ricorda tale processo:
Il y a des plantes qui se sont avres problmatiques mais qui ne sont
pas dans la liste de lODE [Ordonnance sur la dissmination dans lenvi-
ronnement, 2008]. Mais qui sont encore dans la liste noire de la CPS [Com-
mission Suisse pour la protection des plantes sauvages]. Cest surtout un
moment donn, ctait de constater quy avait la liste noire et que dans le
premier jet de lordonnance, alors [] quil y avait entre 22 et 25 plantes,
tout dun coup yen avait plus que quatre qui taient mentionnes dans lor-
donnance, et en plus les plantes qui taient mentionnes, ntaient mme
pas tous encore dans la liste noire. Ca fait quil y avait quelque chose qui
tait assez bizarre, dans la manire... a veut dire que la Confdration
donne un mandat une commission pour amener des rponses des que-
stions, donc de donner des indications par rapport aux plantes, mais ils n-
coutent pas et ils font ils reconstituent une autre liste [T1].
130 Juliet Fall
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Dolori della crescita 131
Questa sensazione che i politici non ascoltassero e si discostassero da ci che
stato presentato come esito della scienza razionale ha lasciato molti scienziati
delusi o perplessi. La tendenza a trasformare la scienza in politica stata oggetto
di numerosi studi e non rappresenta il tema principale qui esaminato che, al con-
trario, vuole essere come queste liste nere di piante sgradite (confuse, complica-
tamente negoziate e contraddittorie) si traducano in pratiche sul campo.
In qualit di geografa ho maturato un particolare interesse per come tali cate-
gorie di diversit siano spazializzate, o localizzate, e come si colleghino a conce-
zioni della natura che sono ugualmente collocate. Nelle nostre interviste, ci a cui
ci si riferiva spesso come la nature en gnral o le milieu naturel (T1) era quasi
sistematicamente collocato in qualche luogo. Cos dans notre vgtation natu-
relle (T2), lazione della natura veniva descritta in termini spaziali: une nature
qui a tendance refermer lespace (T1) era un modo affascinante di descrivere i
processi naturali allinterno dei quali le specie invasive conquistano spazi prece-
dentemente visti come incontaminati. Altrettanto, la plante [] qui menace le mi-
lieu naturel (T3) era allo stesso modo in qualche luogo, insieme alle piante ri-
mosse dalla natura. Tutto ci era messo in contrasto con altre nature analogamen-
te meno naturali milieu naturel cest un abus de langage car ici on est dans le
parcellaire agricole (T3) come gli spazi agricoli associati a spazi culturali e con-
trollati. In questi spazi organizzati, le piante invasive attraversavano i confini es-
plicitamente: beaucoup de ces plantes qui schappaient des cultures et qui se
retrouvaient dans la nature (T4) o ces plantes-l qui [] se retrouvaient dans la
nature (T4), venendo viste sia negativamente, sia positivamente come quando
on va voir les jolies plantes dans la nature (T4). In tutti i casi la natura stata pre-
sentata come uno spazio rimosso dal controllo umano: ces espaces laisss la
nature (T9). In un certo senso, la questione delle specie invasive anche una di
quelle usate per giustificare il controllo e la gestione umani di questi spazi la-
sciata a s stessa, la natura viene vista diventare meno naturale proprio a causa
della presenza delle specie invasive.
Comunque, allo stesso tempo, e nonostante il fatto che questi spazi venissero
universalmente considerati distinti dagli spazi culturali, ulteriori esplorazioni delle
pratiche professionali aggiunsero sfumature a queste contrapposizioni binarie ap-
parenti tra nature buone e nature cattive. quanto esaminer nel paragrafo se-
guente.
Mettere in pratica le categorie. Una conseguenza del pensare alle nature
aliene rappresentata da un cambiamento fondamentale riguardo alla percezio-
ne degli interventi negli spazi naturali. Ci particolarmente vero quando le pian-
te invasive crescono in aree legalmente protette e in riserve naturali. Siccome
queste sono viste come spazi naturali, giustificare un intenso controllo umano ri-
chiede qualche manipolazione, persino in Europa dove gli interventi pesanti sulle
riserve naturali sono diffusi. I professionisti hanno spiegato come abbiano vissuto
questo cambiamento di atteggiamento illustrando come fosse difficile far giunge-
re il nuovo messaggio al grande pubblico:
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(4) La coesistenza di liste nere multiple e dinamiche con statuti legali vari e diversi rende tali
ragioni ancora pi plausibili.
132 Juliet Fall
[...] lattitude davant ctait surtout de pas agir, surtout ne pas arracher,
ne pas agir dans la nature, protger, cest--dire mettre des barrires autour,
ctait plutt cette attitude l... Et, et, et surtout lide que de toute faon la
nature se rpare delle-mme [T4].
On a tendance nous dfendre les mauvaises herbes, en tant que, bota-
nistes, biologistes [] Donc l tout dun coup, de nouveau on refaisait mar-
che arrire, puisque pendant des annes on avait convaincu quil fallait pas
arracher les mauvaises herbes, mais les dfendre, puis l tout dun coup on
dit, non, mais il faut quand mme en arracher certaines, qui deviennent, de
nouveau, mauvaises. Donc effectivement, au niveau intellectuel, ya une
espce de gymnastique qui ntait pas si vidente [T4].
Gli ambientalisti hanno faticato a lungo per spiegare come la vita, in tutte le
sue diversit e meraviglie, sia da proteggere. Tuttavia la questione delle specie in-
vasive ha fatto s che queste stesse persone abbiano richiesto luso di pesticidi vie-
tati allinterno di riserve naturali per sterminare alcune specie indesiderate. Eppu-
re questa netta espulsione di alcuni diversi selezionati va a contrastare le prati-
che pragmatiche dei professionisti che lavorano nelle aree rurali e urbane.
Tali modalit pi sfumate di rapportarsi con i diversi locali hanno incluso la
semplice accettazione del fatto che le specie invasive fossero solo una questione
tra molte altre e, per di pi, persino piuttosto marginale: mais bon, nous chez
nous, cest quand mme trs fortement la destruction des milieux qui est une me-
nace, plus que les espces envahissante (T3). Inoltre, il problema stato anche
presentato nei termini di un tipo di controllo deficitario e di un errato modo di ge-
stione. In altre parole, lassunto di base che il controllo umano sulla natura fosse
possibile non veniva messo in discussione, dato che la questione riguardava solo
la determinazione del giusto tipo di controllo: Et cest surtout aussi un problme
de gestion souvent, donc, quand la mauvaise gestion joue un grand rle, jusqu
quel point cest vraiment une espce envahissante, etc. Il y a beaucoup de ques-
tions qui viennent au fur et mesure, et cest pas si facile que a (T2).
Allo stesso tempo, forse la cosa pi interessante che emersa dalle interviste
sono stati i numerosi esempi di negoziazioni e trasgressioni rispetto alle categorie
stabilite: molti dei professionisti interpellati, seppur dimostrando la loro chiara
lealt alla causa della lotta alle specie invasive, in diversi casi hanno giustificato la
mancanza di azione a riguardo. Hanno sostenuto, per esempio, che particolari
specie non erano incluse nella lista nera (
4
), oppure che esse non rappresentava-
no realmente un problema secondo le loro valutazioni, oppure persino che ragio-
ni di ordine estetico o politico rendessero impossibile la loro rimozione:
On fait juste une exception pour le pawlonia [] parce que cest quand
mme un arbre qui a une certaine valeur dcorative qui, et on na pas
remarqu quil y avait une dissmination importante de pawlonia, contraire-
ment lailante qui il est partout [] Et puis on a accept les remplace-
ments [T6].
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Ou bien, par exemple, on prend la Route des Acacias, on a un aligne-
ment dacacias. Un acacia meurt dans, dans tout cet alignement, et bien, on
va pas mettre un chne, ou un marronnier en plein milieu des alignements
dacacias, cest une question de vision du paysage [T6].
Aprs si on supprime toutes les haies de laurel dans les espaces verts,
jvous explique pas le travail, quoi, cest, cest tout simplement norme [T6].
Puis aprs ya effectivement ces questions de, comme je disais, raction
du public qui, qui est quand mme trs sensible ds quon abat un arbre
[T6].
Dunque, in definitiva, questo un racconto pieno di speranza: per quanto
vengano definite delle rigide categorie che normano lesclusione e la diversit, gli
individui trovano modi per renderle pi confuse e resistervi. I professionisti han-
no usato la ragione per giustificare la mancata uccisione, cos come la ragione era
stata invocata in prima battuta per costruire delle categorie e per escludere.
Questi esseri viventi hanno resistito a ogni categoria nella quale abbiamo cer-
cato di porli, hanno sfidato ogni etichetta che gli abbiamo assegnato, sono sfuggi-
ti da ogni luogo al quale pensavamo appartenessero. Hanno dimostrato a s stes-
si di essere fuori dai confini, fuori luogo e deliziosamente fuori controllo. I colti-
vatori di mezzo mondo li maledicono e gli scienziati, che lavorano in reti ugual-
mente globalizzate, ne rimangono incantati nei loro laboratori, costruendo intere
carriere sul loro studio. Gli scienziati sociali li usano, senza dubbio abbastanza
goffamente, per promuovere o mettere in scena complicati dialoghi tra le scienze
naturali e sociali. Sono amati e odiati in egual misura in tutto il mondo. Sono na-
turali. Sono politici. Sono il Diverso. Sono molteplici. Sono resistenti. In sostanza
sono esseri viventi che trasformano il modo in cui pensiamo e categorizziamo il
nostro mondo.
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versity Conservation, in Science, Washington, 2006, 314, 5803, p. 1261.
GROWING PAINS: WHEN WEEDY OTHERS TAKE OVER THE GARDEN. In this
paper, I use the example of invasive plant species to explore how the continuing preva-
lence of the nature/culture binary is spatialised and socialised, as plants that have harnes-
sed humans in their global struggle for survival spread around the world. I explore the
discrepancy between discourses of otherness the subject of much debate within the
social and natural sciences with the actual practices of professionals dealing with these
plants. In so doing, I aim to show how the stark debate between disciplinary discourses,
and the corresponding frustrating incomprehension between social and natural scientists,
is worked out by individuals through practices that appear much muddier and slippery
than expected. Beyond the stark binaries of good and bad natures, negotiations, tran-
sgressions, adaptations and pragmatic practices appear. In arguing this, I draw from 15
interviews with natural scientists, policy-makers and practitioners involved in drafting the
Black List of plant species for Switzerland, as well as professionals developing policy on
invasive species within the Canton of Geneva, and making it concrete on the ground.
Universit de Genve, Dpartement de Gographie
Juliet.Fall@unige.ch
(Traduzione dal francese di Stefano Malatesta, Laura Barberi e Liana Perrucci)
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 137-145
FEDERICO FERRETTI
GIS FEMMINISTA E QUEER GIS
CONFLITTI EPISTEMOLOGICI NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO
Introduzione. Alcuni anni fa proponevamo una lettura di Brian Harley, uno
dei primi autori che abbiano lavorato a uno statuto disciplinare della storia della
cartografia al di fuori di una visione positivista (Ferretti, 2007a). Dopo aver appli-
cato alla cartografia di et moderna gli strumenti critici del post-strutturalismo mu-
tuati dalla sociologia dei saperi di Michel Foucault e dal decostruzionismo di Jac-
ques Derrida, il suo lavoro entrato nel pi generale dibattito sulle postmodern
geographies (Minca, 2001). La successiva critica dei Sistemi Informativi Geografi-
ci (GIS), ispirata da Harley e da John Pickles, ha dato origine a un ambito di ricer-
ca poi definito Critical GIS, affrontato in un lavoro successivo (Ferretti, 2007b).
Nel frattempo i contributi su queste problematiche hanno continuato a uscire con
una sorprendente vivacit, soprattutto nelle riviste anglofone. Questa letteratura
forma ormai un corpus di oltre un centinaio di articoli e opere collettive inerenti al
dibattito sul GIS e alle nuove tecnologie un materiale che auspicabile sia trat-
tato pi approfonditamente da tesi o monografie specifiche.
Negli ultimi anni lavvento del GIS qualitativo, del GIS partecipativo, del GIS di
genere, sembra avere ristretto il fossato che aveva diviso i geografi critici dai
tecnici: fra i primi hanno giocato fin dallinizio un ruolo centrale le geografe fem-
ministe e, in tempi pi recenti, anche alcuni queer geographers sono intervenuti
nel dibattito su posizioni simili. Fino a che punto la querelle fra pratica del GIS e
geografia critica si pu considerare risolta? E allinterno di questa recente lettera-
tura, qual lapporto della geografia femminista e della queer theory al dibattito
epistemologico sulle nuove tecnologie e sul problema della rappresentazione?
Decostruire una tecnologia. La critica delle rappresentazioni cartografiche
antica in geografia, tanto che la si attribuisce a Strabone e prima ancora a Erodoto:
il lavoro di Harley non sempre ha convinto gli stessi geografi che considerano
strategica la critica della rappresentazione, per i quali decostruire una carta non
sempre sufficiente a mettere in discussione la natura e la logica dellimmagine
cartografica stessa (Farinelli, 2007, p. 37).
comunque innegabile che la lettura della carta, e successivamente del GIS,
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come formazione discorsiva nel senso foucaultiano del termine, stata molto pra-
ticata dai geografi negli ultimi anni e misura limpatto dellapproccio harleiano sul
dibattito al quale ci riferiamo: Harley, morto prematuramente nel 1991, conside-
rato tuttora un caposcuola, a leading figure in twentieth-century cartographic
scholarship [] the standard bearer of the critical reconfiguration of map studies
(Edney, 2005, p. 1).
In particolare risulta ispirata direttamente da Harley la raccolta Ground Truth,
uscita nel 1995 a cura di John Pickles, che had its roots in our respective earlier
work on deconstructive and genealogical readings of what Brian saw as the hid-
den and embedded assumption of maps and what I saw as the discursive and dis-
ciplinary dispositive of GIS (Pickles, 2006, p. 763). Le osservazioni dei geografi
critici sul GIS nel corso degli anni Novanta sono riassunte in un pi recente arti-
colo di Nadine Schuurman (2006) e riguardano la carenza di dibattito epistemolo-
gico sulla tecnologia, la sua natura quantitativa poco adatta agli studi sociali e
umani, la sua funzione di supporto della guerra e del controllo sociale.
Based on data rather than information; subject to naive empiricism; a
positivist technology that assumes the possibility of objectivity; complicity in
warfare; based on a Cartesian framework incapable of describing human
geography or natural phenomena [] A masculine technology; part of a
cybernetic grid of control; a marketing tool; epistemological inertia [] limi-
tations of visualization; need to make the technology accessible [] Lack of
attention to epistemologies and ontologies; failure to accommodate margi-
nalized voices; a means of greater surveillance [Schuurman, 2006, p. 727].
In particolare si collega la tecnologia al portato positivista della cartografia tra-
dizionale. lo stesso Edney che sintetizza bene il problema del dogma dellaccu-
ratezza, ossia la pretesa che ogni carta, e il GIS a maggior ragione, sia la raffigura-
zione oggettiva del mondo, tanto pi vera quanto pi accurata. In realt le
ricerche dimostrano
[...] the delusional nature of the promise of cartographic perfection
engendered by detailed mapping of extensive territories and, more recently,
digital computers and satellite imagery. We can now see that this perfection
entails a significant redirection of the cartographic impulse to control the
world. Specifically, it configures maps to be records of the space of the phy-
sical world [] In other words, maps are not records of what each part of
the world actually is. Regardless of historical and cultural context, maps are
careful images of what people have wanted the world to be [Edney, 2007, p.
156].
Negli anni Novanta si sottolinea il problema della complicit di GIS e carto-
grafia con le politiche di guerra riguardo a quei geografi che avevano messo i loro
saperi a disposizione della prima guerra del Golfo, ad esempio negli articoli di
Neil Smith (1992). Lo stesso autore ha riproposto pochi anni fa unaspra critica de-
gli usi pi positivistici e acritici della tecnologia, ironizzando allo stesso tempo
sulle derive moderate di molti suoi colleghi un tempo noti come geografi critici
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GIS femminista e queer GIS 139
o radicali. Academics are no less capable than Tony Blair of backtracking from
radical critic to establishment doyen (Smith, 2005, p. 899).
Un altro dei problemi sollevati era quello dellutilizzo della tecnologia GIS per
il controllo sociale e per la violazione della privacy. Questo si progressivamente
spostato, con lavanzare delle tecnologie, a sempre nuove applicazioni geospa-
ziali, tanto che uno dei geografi pi entusiasti dellautomazione della disciplina,
Jerome Dobson (Ferretti, 2007b), ha coniato nel 2003 il termine Geoslavery, di-
chiarandosi preoccupato per la diffusione sempre pi incontrollata della possibi-
lit di operare a distanza un controllo coercitivo sulla vita e sui movimenti di un
individuo. Geoslavery is defined here as a practice in which one entity, the mas-
ter, coercively or surreptitiously monitors and exerts control over the physical lo-
cation of another individual, the slave (Dobson e Fisher, 2003, p. 47). Le tecnolo-
gie che permettono pratiche di human tracking sono ormai secondo gli autori
dellarticolo qualcosa alla portata di tutti. I cosiddetti LBS (Location Based Servi-
ces), combinati a tecnologie GPS e GIS, sono ormai offerti sul mercato a prezzi ac-
cessibili e pubblicizzati come strumenti per controllare gli spostamenti di indivi-
dui da tutelare, come anziani o bambini, che tramite un bracciale, un chip o il
semplice telefono possono essere in qualsiasi momento localizzati, consapevol-
mente o anche senza saperlo. Ma come impedire un utilizzo abusivo da parte, ad
esempio, di padri e madri oppressivi o mariti e mogli paranoici? La tecnologia
permette in teoria forme di controllo che neppure Orwell avrebbe sognato: cosa
produrranno questi sistemi in societ tradizionaliste? Gli autori affermano che il
problema della geoschiavit gi un assunto che riguarda sia i diritti umani in ge-
nerale, sia i diritti delle donne in particolare.
Geoslavery is a global human rights issue. In the United States, United
Kingdom, and other countries with long traditions of personal freedom, the
most severe abuses may be avoided through cultural constraints and future
legislation. In most of the world, however, abuses will be inevitable. In
some countries geoslavery may be the principle LBS use and will spell the
end of any semblance of freedom. Traditional societies, especially []
Glittering bracelet style tracking devices may be given freely or sold at far
below actual cost. Once deployed the devices can be used in any number
of ways to enslave laborers and extract a financial return. Forced laborers on
plantations, for example, may never be able to hide or escape their bonda-
ge; giving a new means for unscrupulous masters to abuse workers. Child
slaves may be forced to beg or steal on specified streets for specified hours
with no chance of hiding away for a little rest, much less escaping for good.
Sex slaves may be confined to brothels, street corners, and specified trysts
with little possibility of seeking other employment or escaping to their
home villages [Dobson e Fisher, 2003, p. 49].
Gli autori citano poi il caso dellassassinio di una ragazza diciassettenne in un
villaggio turco perch aveva disonorato la famiglia macchiandosi dellimmensa
colpa di essersi recata al cinema. Se i sistemi di human tracking diventassero di-
sponibili in queste situazioni, casi simili rischierebbero di moltiplicarsi.
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Geoslavery is, perhaps first and foremost, a womens rights issue. To
illustrate, consider the ultimate sanction used to control women in certain
cultures. Honor murders occur when a father, brother, or husband kills a
female family member accused of disgracing the family. Often the issue is
location as well as behavior [] Soon, an enterprising businessman in Sevda
Goks village may be able to purchase a central monitoring system (personal
computer with GIS, radio receiver, and optional transmitter) for less than
$2000 and individual tracking devices (GPS, radio transmitter, and optional
transponder) for less than $100 per unit which can be locked onto the wrists
of every member of the village (women, children, and men). Most likely, he
will be able to offer a service to village parents at an affordable price
[Dobson e Fisher, 2003, p. 50].
Verso un GIS eterodosso? Ma tali critiche hanno anche dato origine a nuovi
ambiti di sperimentazione di applicazioni della tecnologia, come il GIS qualitati-
vo, il GIS partecipativo, il GIS femminista e queer.
La questione del GIS qualitativo resta discussa. Un recente contributo di
Agnieszka Leszczynski (2009) affronta il problema del cosiddetto Philosophical
Divide fra lambito della geografa umanistica e quello del GIS. La prima, aderen-
do in larga parte ai presupposti post-strutturalisti di Harley, tende ad anteporre
lepistemologia allontologia: in breve, prima di decidere cosa conoscere, bisogna
definire come si conosce. Lambito delle tecnologie, invece, pi ontologico, os-
sia tende a stabilire lo statuto dei suoi oggetti di studio prima del proprio. It is in
this way that I argue that critical-theoretic geography and GIScience are separated
by a trenchant philosophical divide that involves competing metaphysical condi-
tions under which commitments to particular conceptions of the world are ex-
pressed (ibidem, p. 360). Questo si traduce nellindividuazione di un universo
definito infologico, di informazione verbale, scritta e concettuale, e di un univer-
so datalogico, basato sul supporto informatico. Fra questi due mondi esiste un
confine, che quello della formalizzazione, processo che qualsiasi informazione
deve subire per poter essere processata in un sistema basato su regole informati-
che come il GIS. Moving from the infological to the datalogical in this way entails
crossing the conceptual-formal boundary; doing so, however, requires a mecha-
nism formalization for translating between the conceptual and the formal
(ibidem, p. 358). Con tutti i problemi che ci comporta.
Il GIS partecipativo, o Public Participatory GIS (PPGIS), stato definito come
an attempt to utilize GIS technology in the context of the needs and capabilities
of communities that will be involved with, and affected by, development projects
and programs (Abbot e altri, 1998, pp. 27-28). Studi come quello citato si chiedo-
no per se il GIS partecipativo non sia una contraddizione in termini. Molte delle
pi studiate esperienze di PPGIS sono avvenute in paesi del Sud del mondo, dove
esiste un digital divide per cui, per quanto i software GIS possano diventare open
source e dotati di interfacce semplici, una grande parte della popolazione resta
comunque esclusa dalla disponibilit di computer efficienti, di connessioni veloci,
o anche di unalfabetizzazione informatica minima.
Questo non impedisce che da pi parti sia invocata la sperimentazione di un
140 Federico Ferretti
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GIS femminista e queer GIS 141
GIS eterodosso. The move from an orthodox to a heterodox GIS should broadly
parallel the recent history of geography. That is, geography is now a heteroge-
neous discipline unbound by its once imperialist designs [...] to a variety of episte-
mological and ontological entry points for research and knowledge production.
Might GIS not follow a similar path? Let us aim to produce a GIS in the image of
geography itself: diverse, multiple, dynamic, interdisciplinary, and heterodox (St.
Martin e Wing, 2007, p. 246).
Femminismo e GIS. Fra i punti di vista espressi in Ground Truth, una parte
importante della critica stata quella della geografia femminista, che ha visto fin
da subito nel GIS il rischio dello sviluppo di una masculine technology (Roberts
e Schein, 2005, p. 183) ritenendolo unestensione dellocchio maschile e domina-
tore che ha caratterizzato storicamente la visione cartografica. La domanda is GIS
for women? (Kwan, 2002a, p. 271) ha segnato questo periodo del dibattito, in cui
tra laltro risultava come anche la stragrande maggioranza dei professionisti del
GIS fosse di sesso maschile. Per tutto il tempo in cui GIS and critical geographies
remain two separate, if not overtly antagonistic, worlds (Kwan, 2002b, p. 645) la
geografia femminista si caratterizzata come parte della geografia critica e della
geografia sociale, esprimendo, come queste ultime, una netta preferenza per i
metodi qualitativi piuttosto che per quelli quantitativi. In step with feminist cri-
tiques of science and geography, poststructural and postcolonial authors also
contend that knowledge is situated and implicated in the production of social
power (Pavlovskaya e St. Martin, 2007, p. 590).
Quando poi si cominciato a parlare di GIS qualitativo e di GIS eterodosso,
le femministe sono state fra le prime a sperimentare nuove applicazioni della tec-
nologia per arrivare a utilizzarla anche nel loro campo di ricerca, through recor-
porealizing all visualizations as embodied and situated practices (Kwan, 2002b,
p. 649). Insomma uno dei possibili utilizzi eterodossi della tecnologia quello del
GIS femminista, che entra nel pi vasto dibattito inerente alle potenzialit quali-
tative del GIS e alla sua utilit per ricerche sociali al di l della gestione di dati
quantitativi. Sarah Elwood e Jin Kyu-Jung hanno recentemente analizzato le op-
portunit di utilizzo del GIS in senso qualitativo alla luce delle ultime sperimen-
tazioni: an emerging body of work bridging GIScience and human geography
has sought to diversify the modes of representations and analysis that are possible
with geographic information systems themselves (Elwood e Jung, 2010, p. 64).
Il primo tipo di studi presi in esame utilizza i software GIS per visualizzare ri-
cerche inerenti alla salute femminile (McLafferty, 2005), o ricerche sociali sul ter-
reno come quelle effettuate da Marianna Pavlovskaya nel centro di Mosca intervi-
stando un certo numero di donne sulla situazione economica delle loro famiglie e
sul ricorso femminile alleconomia informale sia nel lavoro sia nel consumo, al-
lentando infine la conflittualit fra lapproccio di genere e il mondo delle tecnolo-
gie geospaziali, le quali ora play an increasingly important role in the rewriting of
social realities via critical epistemologies including feminism (Pavlovskaya e St.
Martin, 2007, p. 601).
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Il secondo tipo utilizza le potenzialit ipertestuali dei programmi per linkare ai
vari poligoni e alle varie localizzazioni dati qualitativi come testi di interviste, regi-
strazioni, fotografie, informazioni di ogni genere emerse dalle ricerche di terreno.
Il terzo una metodologia mista in cui il GIS integrato con altre estensioni
software pensate per le ricerche qualitative nelle scienze sociali, anche se gli au-
tori riconoscono che le esigenze del mercato renderanno difficile lampia diffusio-
ne di estensioni innovative e la strada di questo tipo di integrazione sar lunga:
legacy and system design issues made it unlikely that such an alternative GIS
would emerge (Elwood e Jung, 2010, p. 85).
Queering the Map. Anche la queer theory entrata nel dibattito sullutilizzo
pi o meno eterodosso delle tecnologie legate al GIS. Le identit queer e LGBT
hanno giocato a partire dagli anni Novanta un ruolo molto attivo nei dibattiti sulla
geografia critica, rivendicando i queers come entit produttrici di spazio, ancora
pi interessanti nellambito della ricerca geografica perch il concetto di queer si
caratterizza, secondo Bell e Valentine, per la sua inclusivit e mancanza di confi-
ni. Queer marked a coming-together of gay men, lesbians, bisexuals, sado-
masochists, transgender and transsexual people. Where the pre-queer world of
lesbians and gay men was (is) boundary-ridden, queer welcomed (virtually)
everyone (Bell e Valentine, 1995, p. 21). Politicamente le esperienze queer espri-
mono di solito una certa radicalit e le stesse mobilitazioni come sfilate, pride e
iniziative volte alla visibilit sono altrettante materie di notevole interesse per la
geografia.
Se si produce spazio, questo va evidentemente rappresentato, e in questo caso
entra in gioco il dibattito sul GIS, le nuove tecnologie e i problemi della rappre-
sentazione, nel quale i geografi queer sono entrati, quasi per forza di cose, in ma-
niera anticonformista e provocatoria. nel senso infatti della collisione di episte-
mologie che si parlato di Queering the Map: in questo paradigmatico contribu-
to di Brown e Knopp, che hanno utilizzato anche applicazioni GIS per una map-
patura dei luoghi di ritrovo storici delle comunit LGBT di Seattle, si dato in
qualche modo per inteso che la logica del queer sia per sua natura irriducibile al-
la logica cartesiana della carta tradizionale e successivamente del GIS. Given that
the map project was guided by a queer epistemology and ontology, the projects
constitutive politics necessarily reflected a process of negotiation and compro-
mise with almost life-like forms of positivism, realism, pragmatism, and Cartesian
rationality that insinuated themselves into the algorithms, hardware, and ongoing
interpretation of our map production (Brown e Knopp, 2009, p. 58).
Siamo insomma di fronte alla sfida del rappresentare il non rappresentabile, il
che comporta i problemi messi in rilievo dai due stessi autori nel loro saggio criti-
co sul Gay and Lesbian Atlas uscito negli Stati Uniti utilizzando dati censuari. Uno
dei problemi evidenziati riguarda il problema di come dare visibilit alle comunit
LGBT: utilizzare dati di tipo censuario, in qualsiasi modo vengano raccolti, rende
visibili solo persone dichiarate e formalmente conviventi. Un altro problema
quello inerente alla rappresentazione: la griglia dei poligoni con cui si evidenzia-
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GIS femminista e queer GIS 143
no le aree pi o meno popolate da queste coppie non sempre riesce a rendere
gli effettivi spazi di vita e di movimento delle persone reali, deformando la visua-
lizzazione a seconda della scala e di scelte tecniche che a volte sono ben orien-
tate politicamente. In un campo in cui il problema della visibilit centrale, diven-
ta strategico what we visualize through cartography, and these processes often do
important political cultural and economic work (Brown e Knopp, 2006, p. 233).
Insomma anche in questo caso non esiste oggettivit: the polygons are meant to
represent places, the index values something meaningful about the population of
those places, and the resulting knowledge something useful to audiences as di-
verse as governmental authorities, gay activists and (potentially) even anti-gay ac-
tivists (ibidem, p. 237).
Dal punto di vista dellesposizione dei risultati di indagini sul terreno, invece,
interessante la ricerca di Marie Cieri (2003) a Filadelfia, dove lautrice ha affrontato
il problema degli spazi sociali e identitari della popolazione lesbica nellagglo-
merato urbano con particolare attenzione al tema del queer tourism e con linten-
to di produrre una rappresentazione al di fuori delle autorevoli fonti ufficiali co-
me quelle censuarie e governative. In questo approccio di raccolta dati dal basso
viene incrociata una vasta gamma di fonti e risorse. In particolare, dal punto di
vista della comunicazione e rappresentazione dei risultati dellindagine, anche GIS
e telerilevamento sono mobilitati, nello spirito di subvert both the ideology and
the metaphors of spatial modernism and replace them with new spatial represen-
tations that reflect the multiple viewpoints inherent in race, class, gender, sexuali-
ty and age differences and to insert them into the public sphere (Cieri, 2003, p.
151). Fra gli strumenti critici utilizzati, le traiettorie indeterminate di Michel de
Certeau, difficili da valutare in uno spazio cartesiano. in questa ricerca che in
carte costruite col GIS sono attivati i collegamenti ipertestuali, citati da Elwood e
Jung (2010, p. 70), ai racconti originali delle persone intervistate, che si attivano
cliccando sulla relativa localizzazione.
Conclusione. Nei vivaci scontri epistemologici che negli ultimi ventanni
hanno prodotto un cos ricco, e ancora non risolto, dibattito sulle principali riviste
geografiche, le prospettive di genere, prima di carattere femminista, poi anche
queer, hanno giocato un ruolo originale e non secondario.
Se, come afferma Farinelli, la carta anticipa il mondo (Farinelli, 2009) e se il
GIS, pur non identificandosi con la carta tout court, ne quanto meno una delle
pi recenti integrazioni, allora possiamo pensare che, assumendone il carattere
strategico e prefigurativo, i geografi critici, le femministe e i queer si stiano avva-
lendo delle nuove tecnologie per mappare il mondo che emerge nelle loro ricer-
che anche con lo scopo di prefigurarne uno nuovo, che veda un maggiore rispet-
to e una maggiore visibilit per gli spazi di differenza di ognuno.
Fermo restando lo scarto, da sempre studiato dai geografi, fra il mondo e le
sue pi o meno accurate rappresentazioni.
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FEMINIST GIS AND QUEER GIS: EPISTEMOLOGICAL CONFLICTS IN THE REPRESEN-
TATION OF SPACE. In Geography, the criticism of cartographic representations is quite
ancient; according to Franco Farinelli, it goes back to Strabo and Herodotus. However, it
is only since few decades that the geographers started to apply to the analysis of maps the
critical strategy of deconstruction. Brian Harley and David Woodward, based on the post-
structuralist theories of Foucault and Derrida, launched this field of studies. As many
scholars stated, these authors did not provide a definitive answer to the question about
the particular status of cartographic representation. Nevertheless, they contributed to the
disciplinary definition of the History of Cartography, stimulating many debates, between
which the field named Critical GIS, which deals with the new forms of spatial representa-
tion like the Geographic Information Systems and their politic and epistemological limits.
Between the numerous articles appeared since the Nineties on Anglophone journals,
some voices belonging to Feminism and Queer Theory are recently rising. These presen-
ces deal with the fields of qualitative and heterodox GIS, which are attempts to apply
this technology to never-mapped social and cultural situations, in the provocative purpose
of representing what cant be represented. This paper aims to discuss the feminist and
queer contribution about GIS in the context of the epistemological problem of worlds
cartographic reduction.
Universit di Bologna, Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografi-
che; Universit Paris 1 Panthon-Sorbonne, UMR 8504 Gographie-Cits, quipe
E.H.GO, pistmologie et Histoire de la Gographie
federico.ferretti6@unibo.it
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 147-157
SIMON MAURANO
GLI SPAZI DELLE DIFFERENZE
NEI CONFLITTI AMBIENTALI
Conflitti ambientali, territorio, gruppi sociali. Lo studio dei conflitti ambientali pu
essere utilizzato per svelare larchitettura del sistema sociale (
1
) cui ci si riferisce, e fornisce
utili indicazioni sul funzionamento e sullo stato di salute delle istituzioni democratiche.
Sebbene imperfetto, il sistema democratico in vigore in buona parte degli Stati del mondo
dovrebbe garantire, attraverso una libera dialettica, unalternanza tra soluzioni diverse, o
adattamenti e compromessi accettabili allinterno di un sistema di valori e di un paradigma
di sviluppo condivisi (Poli, 1993, p. 10). Non raro, invece, che di fronte a sistemi di valo-
ri diversi si giunga a compromessi in cui gli stakeholders pi forti riescano a imporre la loro
visuale e le soluzioni a loro favorevoli: in tali casi il compromesso si sostituisce alla
possibilit di mettere in discussione i valori dominanti e di provare soluzioni alternative.
Quanto pi vi un disequilibrio di potere tra forze in campo portatrici di valori diversi,
tanto pi difficile giungere a una sintesi tra sistemi di valori in competizione. A volte si
giunge dunque a soluzioni di vero e proprio predominio, altre volte a compromessi in cui
gli effetti negativi per i gruppi sociali deboli saranno mitigati, ma non eliminati.
In questo articolo si intende presentare lidea di spazio propria dei gruppi sociali che
agiscono allinterno dei conflitti ambientali e territoriali: in particolare, tra le formazioni so-
ciali dal basso vi sono quelle che non accettano compromessi o adattamenti con lidea
dominante di sviluppo economico e territoriale, fondato in linea generale sulla trasforma-
zione della natura in risorsa economica (
2
). Nel contrastare quella che reputano unegemo-
nia culturale moderna, esse si oppongono spesso a usi non condivisi del territorio, presen-
tando anche idee e paradigmi alternativi di territorializzazione.
Come evidenziato gi negli anni Novanta da Ulrich Beck (1992), viviamo in una societ
costretta a convivere col rischio tecnologico derivante dalle attivit antropiche (
3
): buona
parte della societ accetta tali rischi a fronte di una sostanziale crescita economica. Ma il ri-
(1) Come evidenzia Massimo De Marchi (2004), lo studio dei conflitti ambientali usato spesso
come metodo per analizzare i giochi di potere interni al sistema sociale.
(2) E che porta, secondo David Harvey, a una nuova forma di appropriazione capitalistica: quella
dellaccumulation by dispossession, legata al fenomeno della trasformazione in risorse economiche e
della privatizzazione delle risorse naturali (Harvey, 2003).
(3) Il rischio crescente nelle societ moderne deriva, nellaccezione di Luhmann (si vedano
Luhmann, 1996, p. 31 e segg.; De Marchi, 2004, p. 125 e segg.), da decisioni del corpo sociale che
possono portare a danni futuri incerti; esso distinto dal pericolo, che deriva invece da fattori esterni
ambientali indipendenti.
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 147
schio tecnologico produce effetti sempre pi incerti, che hanno risvolti anche in campo so-
ciale: perci lapproccio esclusivamente tecnico-economico del calcolo delle probabilit
stato affiancato dallo studio della percezione del rischio. La geografia, inoltre, pu contri-
buire a integrare le conoscenze sulle relazioni tra tecnologia, societ e ambiente, analiz-
zando la distribuzione del rischio tecnologico e i suoi impatti sociali e ambientali (Amato,
1995, pp. 13-15). Oggi, infatti, le critiche alla tecnocrazia dominante vengono mosse sem-
pre pi spesso sul campo dalle comunit territoriali pi deboli e periferiche che in larga
parte subiscono le esternalit negative ambientali del sistema economico basato sullau-
mento dei consumi: le comunit locali nel Sud e nel Nord del mondo protestano e lottano
per preservare il proprio ambiente non tanto per una spinta ecologista o almeno non da
subito quanto per salvaguardare il loro territorio. Tale lambientalismo dei poveri o eco-
logismo popolare, come definito da Martnez Alier (2009). Accade poi che le comunit del
no (no alla localizzazione di industrie inquinanti, di impianti di smaltimento dei rifiuti o
delle scorie nucleari ecc.), tacciate di essere egoisticamente portatrici della sindrome
NIMBY (
4
), si alleino sempre pi spesso con altri movimenti: la loro azione si allarga oriz-
zontalmente ad altri gruppi e verticalmente, a scale pi ampie, fino a raggiungere reti glo-
bali. Partendo da un approccio di difesa, svariati di essi finiscono poi col criticare il model-
lo di sviluppo e col proporre alternative basate su valori diversi.
Semplice difesa della propria sopravvivenza, percezioni del rischio diverse, aspettative
di vita in evoluzione e poi eventuale scontro tra valori differenti hanno dunque creato for-
me di territorializzazione non concordata, corredate da numerosi casi di conflitti ambienta-
li locali nel mondo.
Conflitti territoriali e marginalit. Come evidenziato per la prima volta in modo or-
ganico negli anni Ottanta dal movimento della environmental justice (
5
) statunitense, la
maggior parte dei conflitti ambientali oggi si combatte a scala locale: tralasciando infatti i
grandi conflitti internazionali tra Stati, ad esempio sul controllo del petrolio o delle risorse
idriche, vi sono numerosi casi in cui gruppi industriali e governi si confrontano con le co-
munit locali; queste ultime sono in gran parte deboli (nel Sud del mondo in particolare) o
relativamente marginali. Di solito la localizzazione degli impianti inquinanti operata in
base al costo dei terreni, alla distanza da infrastrutture, servizi o altro, ma anche al grado di
contrasto atteso sul territorio (che sar minore quanto pi la comunit locale debole) (
6
).
148 Simon Maurano
(4) Acronimo basato su Not In My Back Yard per identificare lopposizione delle comunit locali a
ospitare opere di interesse pubblico percepite come rischiose per il proprio territorio.
(5) Nata come movimento che denuncia ingiustizie ambientali negli anni Ottanta negli USA, in
seguito a casi di localizzazione degli impianti pi inquinanti considerati discriminanti in riferimento
allorigine etnica e alla classe sociale degli abitanti del luogo. Si differenzia dallambientalismo classico
poich questultimo si concentra pi sulla difesa dellambiente che su quella delle popolazioni che lo
abitano. La giustizia ambientale divenuta per molti studiosi (sociologi, antropologi, geografi ecc.)
una chiave di lettura per interpretare casi di discriminazione, in particolare negli Stati Uniti e nel Sud
del mondo. Tra gli studiosi impegnati nellenvironmental justice movement possiamo citare, a mero
titolo di esempio, il sociologo statunitense Robert Bullard, la filosofa della scienza Kristin Shrader-
Frechette, lantropologa Nancy Lee Peluso e il geografo Michael Watts.
(6) Nel rapporto Political Difficulties Facing Waste-to-Energy Conversion Plant Siting, pubblicato
nel 1984 dalla Cerrel Associates, societ di consulenza che lavorava per la Waste Management Board
californiana, si sostiene che se tutte le comunit locali fanno resistenza a impianti pericolosi, tuttavia
quelle a pi basso reddito hanno meno risorse per combattere le decisioni del governo o delle imprese
e di solito perdono (Shrader-Frechette, 1999, p. 87). Altro caso rilevante a livello internazionale
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Gli spazi delle differenze nei conflitti ambientali 149
Per tali motivi le localizzazioni non desiderate, o Locally Unwanted Land Use (LULU), na-
scono in molti casi in situazioni gi sedimentate di disparit socioeconomica, accentuando
cos la marginalit delle comunit locali pi deboli (
7
).
Lo sviluppo, dunque, con la sua fame di spazio, pu accentuare gli squilibri territoriali
gi esistenti o crearne di nuovi. Nonostante i correttivi alla crescita economica apportati
dallapproccio dello sviluppo sostenibile, oggi divenuto imperativo dellimmaginario poli-
tico delle correnti progressiste dei paesi ad alto reddito, il bisogno di territorio della societ
dei consumi continuo: in primis per produrre, poi per smaltire quanto prodotto e far spa-
zio a nuovi beni (
8
). Inoltre, lo sviluppo tecnologico e lauspicata dematerializzazione della
produzione non possono contrastare efficacemente il costante aumento dei consumi
mentre le nuove produzioni verdi arrancano nella sfida di ridurre la tossicit del sistema
produttivo (come afferma Martnez Alier, 2009, pp. 69-71). Di conseguenza, laumento dei
conflitti per laccaparramento delle risorse e per luso del territorio (che diviene esso stesso
risorsa, in base al concetto di scarsit del pensiero economico dominante delleconomia di
mercato) inevitabile.
Nei conflitti ambientali, per, quando vi uno scontro tra valori diversi sorgono spesso
idee alternative di territorializzazione: in primo luogo le popolazioni coinvolte sviluppano
un senso di attaccamento al proprio territorio, luogo della propria identit (
9
). Dopo le
prime forme di reazione istintiva, possono generarsi movimenti pi strutturati. Come nota-
no Faggi e Turco (1999, p. 58), gli abitanti coinvolti possono trasformarsi da attori paradig-
matici, ovvero stakeholders sulla difensiva ma senza un programma per difendere i propri
interessi, ad attori sintagmatici, protagonisti cio del conflitto, che elaborano strategie di
lotta e, in pi, eventualmente, strategie innovative di gestione del territorio. Questo pas-
saggio avviene per mezzo di un lavoro di approfondimento delle conoscenze riguardanti i
luoghi cari, da un lato, e le generali problematiche ambientali e dello sviluppo, dallaltro: si
giunge quindi a una (ri)presa di coscienza del proprio territorio che a volte assomiglia alla
ripresa delle conoscenze tradizionali dei luoghi proprie della cultura contadina. In quel
contesto culturale la cura del territorio era affidata alle comunit locali, tecnologicamente
meno avanzate di oggi, ma maggiormente intrise di sapienza materiale e locale necessaria
alla sopravvivenza (
10
). Il caso del disastro del Vajont (
11
), ad esempio, mostra bene quanto
riguarda una famosa nota interna della Banca Mondiale, trapelata nel 1991, in cui leconomista
Lawrence Summers (oggi consigliere del presidente degli USA Obama) indicava come economi-
camente sensata lipotesi di delocalizzazare le industrie inquinanti nei paesi sottoinquinati del Sud del
mondo, dove i cittadini hanno unaspettativa di vita inferiore e salari pi bassi: compromettere la loro
salute sarebbe costato meno (tale caso riportato in molti testi sullenvironmental justice (si vedano, ad
esempio, Shrader-Frechette, 2002, p. 11; Pellow, 2007, pp. 9-11).
(7) La letteratura scientifica al riguardo vasta. Qui ricordiamo, a scopo esemplificativo, lapproc-
cio di ricerca statunitense nato dalle lotte per lenvironmental justice degli anni Ottanta a seguito di
casi come quello di Love Canal e gli studi terzomondisti di antropologi, geografi e altri scienziati
sociali. Si vedano, per esempio, i lavori di Bullard (2000), Pellow (2007), Shrader-Frechette (2002),
Peluso e Watts (2001).
(8) Come nota, ad esempio, Zygmunt Bauman (2007). Si noti che la produzione in s oggi
unattivit considerata secondaria rispetto al consumo, almeno nel mondo occidentale, se pensiamo
che buona parte dellindustria manifatturiera delocalizzata nei paesi a economia emergente.
(9) Si veda il concetto di topophilia definito da Tuan (1974).
(10) Non si vuole qui affermare che i popoli del passato siano sempre stati accorti amministratori
del loro ambiente (Diamond, 2005, p. 11); si vuole evidenziare solo che le conoscenze materiali
erano maggiormente orizzontali e diffuse in un sistema sociale tecnologicamente meno avanzato.
(11) La sera del 9 ottobre 1963, in provincia di Belluno, fran parte del monte Toc nel lago ar-
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la conoscenza tradizionale del territorio possa essere pi efficace rispetto al processo di
tecnicizzazione delle decisioni politiche tipico del contesto della modernizzazione, in cui
le scelte sono basate in gran parte su criteri economici utilitaristici. Daltronde, politici ed
esperti tesi a favorire il progresso non accolgono facilmente critiche, specie se basate su
valori diversi dai propri (
12
).
Le ragioni degli attori istituzionali e del settore privato, poi, si basano a volte su una
presunta razionalit scientifica, come afferma Shrader-Frechette (1993): ad esempio il ca-
so di Yucca Mountain, in Nevada, area ad alto rischio sismico che fu usata prima per testa-
re armi nucleari, poi come sito di smaltimento di scorie nucleari. stato il primo deposito
mondiale di queste scorie, e lo stesso presidente degli USA dellepoca, Eisenhower, si rifer
a essa come a una zona di sacrificio a beneficio del paese. I nativi americani che la abita-
vano, gli indiani Shoshoni, non acconsentirono mai alla vendita dei terreni agli statuniten-
si, a causa della diversa concezione che avevano della propriet della terra e del pericolo
percepito. In base per a opinioni scientifiche passate per scienza confermata, ma rivelate-
si errate in seguito, il deposito fu costruito (
13
).
Molte volte, invece, le ragioni della popolazione si fondano sul senso comune o su
preoccupazioni basate su dimostrazioni scientifiche e potenzialmente irrazionali. Se gi la
Comunit Europea invoca il principio di precauzione quando gli effetti di unattivit uma-
na sullambiente e la salute sono incerti, alcuni studiosi come Funtowicz e Ravetz (2003),
accogliendo le preoccupazioni delle comunit locali, si sono spinti oltre, sostenendo che la
scienza tradizionale o normale, in situazioni di alta complessit e incertezza, risulta inca-
pace di guidare verso scelte soddisfacenti. Infatti, asseriscono, essa si basa su conoscenze
specialistiche e sul riduzionismo, che non funzionano pi in modo oggettivo soprattutto
quando entrano in gioco valori etici e interessi economici, nellambito di decisioni impor-
tanti e da prendere in fretta. Gli autori, nella loro nuova proposta epistemologica, quella
della scienza post-normale, suggeriscono di ampliare le consultazioni sulluso del territo-
rio alla comunit che lo vive, poich essa potr apportare, di fronte a scelte difficili, ulterio-
ri elementi utili alla valutazione, grazie alle proprie conoscenze derivanti dallesperienza.
Nellimpossibilit di giungere a certezze scientifiche sugli impatti di una qualsivoglia ope-
ra, in tal modo si farebbe tesoro di pi informazioni possibili, cercando di arrivare a con-
clusioni condivise, in base al principio guida di precauzione (si veda anche Martnez Alier,
2009, p. 57 e segg.).
Lapproccio della scienza post-normale e quello del processo decisionale partecipativo
150 Simon Maurano
tificiale creato dalla diga costruita sul torrente Vajont. Lingente spostamento dacqua caus unondata
che raggiunse i paesi a valle uccidendo quasi 2.000 persone. La catastrofe era stata ampiamente pre-
vista dalla popolazione locale, che conosceva bene il suo territorio e si era opposta alla costruzione
della diga. Il toponimo Toc, in dialetto del luogo, significa appunto monte che va a pezzi, a tocchi. Si
veda lopera teatrale di Marco Paolini del 1993, Il racconto del Vajont 1956/9 ottobre 1963, basata
sugli articoli e sul libro della giornalista Tina Merlin (1983).
(12) Si veda De Marchi, Pellizzoni e Ungaro (2001, pp. 129-132). Lapproccio dellecologia
politica, in particolare, critica sia la cosiddetta specializzazione deselettiva della scienza, sia la
tecnicizzazione della politica: il primo fenomeno comporta una forte specializzazione settoriale della
ricerca che conduce a creare ristrette comunit scientifiche autoreferenziali, meno controllabili dal-
lesterno e che non accettano critiche basate su criteri di giudizio non strettamente attinenti al loro
limitato oggetto di studio; il secondo fenomeno conduce a decisioni politiche prese da un ristretto
gruppo di esperti, chiamati a calcolare rischi incerti. Tutta la societ sar per costretta a subire le
esternalit negative delle decisioni prese.
(13) Si veda K. Shrader-Frechette, Giustizia ambientale, etica e risoluzione dei conflitti, in Faggi e
Turco (1999, p. 87).
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Gli spazi delle differenze nei conflitti ambientali 151
tentano in realt di valorizzare idee e pratiche territoriali alternative che nascono proprio
nelle situazioni di conflitto (
14
): sono molti gli spazi delle differenze che si aprono dentro i
conflitti territoriali, ma il pi delle volte essi sono relegati alla marginalit, in nome del be-
ne della collettivit e del progresso, o peggio, di interessi di parte.
Gli spazi delle differenze nel conflitto campano. Analizzando da vicino un caso con-
creto di conflitto territoriale, potremo fornire esempi di come da ambiti marginali provenga-
no proposte e pratiche alternative di gestione del proprio territorio, quasi sempre contrasta-
te da poteri pi forti. Ci concentreremo su alcuni aspetti della crisi della gestione dei rifiuti
in Campania, caso che racchiude in s molte caratteristiche di altre occasioni di scontro. Es-
so rappresenta uno dei momenti pi critici di un sistema di consumi che sfocia nella spa-
smodica ricerca di spazi vuoti per lo smaltimento degli scarti. La crisi amministrativa di lun-
go periodo degli enti pubblici coinvolti ha aggravato fortemente il problema della gestione
dei rifiuti, comportando notevoli processi di riterritorializzazione, in negativo, del territorio
della regione.
In estrema sintesi, ricordiamo che la Regione Campania commissariata dal 1994 per le
gravi inadempienze in termini di gestione ordinaria dei rifiuti urbani e dal 1996 per non
aver predisposto lobbligatorio piano di gestione. Le soluzioni temporanee, in questi lun-
ghi anni di emergenza, hanno privilegiato luso di impianti di mero smaltimento dei rifiuti
(discariche e inceneritori), capovolgendo la scala di priorit delle modalit di trattamento
dei rifiuti stabilita dalle norme europee (riduzione, riuso, riciclo e solo in seguito smalti-
mento del residuo). A tuttoggi la situazione lontana dallessere risolta: essa sintreccia
con il copioso traffico illecito di rifiuti pericolosi, affare estremamente redditizio sia per la
camorra che per il settore industriale italiano, che in tal modo ha beneficiato di una consi-
stente riduzione dei costi di smaltimento, esternalizzandoli sulle popolazioni locali (
15
). Le
discariche per rifiuti urbani si sono saturate anzitempo, mentre aree agricole, un tempo
vanto per le loro produzioni di qualit (si pensi al basso Casertano e allagro Nolano), si
trasformano via via in discariche abusive e inceneritori a cielo aperto, aumentando i rischi
per la salute degli abitanti (Ceglie, 2009). Gli interessi economici della camorra, come del-
limprenditoria, si inseriscono in tutto lindotto del ciclo dei rifiuti urbani e industriali (
16
):
lintreccio tra legale e illegale forte, ha contorni sfumati e presenta varie connessioni col
tessuto sociale ed economico.
In questo quadro assai complesso, inoltre, le localizzazioni degli impianti inquinanti
sono state spesso decise in base alla debolezza delle comunit locali, come evidenziato in
altre aree del mondo dallapproccio dellenvironmental justice e dellecologia politica: mi-
nore il peso politico e socioeconomico di una comunit, maggiore sar la possibilit che
essa non riesca a contrastare una LULU e che debba sacrificarsi per il bene della colletti-
(14) I processi partecipativi, legati ad esempio allattuazione dellAgenda 21 Locale, sono rari in
Italia, oppure non vanno al di l di esperimenti ed esperienze pilota, spesso condotti laddove non vi
siano forti interessi in gioco.
(15) Per i quantitativi di rifiuti nocivi importati dalle ecomafie negli anni in Campania e in altre
regioni italiane, si rimanda a Legambiente (2009).
(16) Molte imprese di trasporto, movimento terra e di intermediazione per laffitto o la com-
pravendita di suoli destinati agli impianti sono direttamente o indirettamente controllate dalla camorra.
Per meglio comprendere tali meccanismi si vedano, a titolo di esempio, la prefazione del procuratore
nazionale antimafia Piero Grasso e il capitolo 4 del Rapporto 2009 di Legambiente sulle ecomafie,
larticolo di Gribaudi (2008), nonch le ultime relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia
(presenti sul sito Internet del Ministero dellInterno www.interno.it, sezione DIA).
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vit (
17
). In Campania sono state coinvolte effettivamente zone urbane periferiche e aree
interne economicamente depresse, o anche aree potenzialmente ricche, ma tenute sotto il
controllo dei clan camorristi. Anche qui sono nate significative ed eterogenee reazioni
(proteste di piazza, presidi, denunce), che raramente hanno ottenuto quanto richiesto,
probabilmente anche per una strisciante rassegnazione popolare che ha limitato lefficacia
di tali movimenti. Bisogna per segnalare che svariati di questi movimenti dal basso hanno
in seguito fatto un salto di qualit (o uno o pi passaggi di scala) formando movimenti pi
ampi e agganciandosi a reti sovralocali che combattono le politiche territoriali ritenute
marginalizzanti (
18
).
In questo contesto si inserisce il mio lavoro di ricerca, svolto in seguito alla personale
partecipazione a tali movimenti campani: la metodologia dellosservazione partecipante, in
questo caso, svolta al contrario, a partire cio dalla partecipazione personale come attivi-
sta poi sfociata in un progetto di ricerca pi ampio (
19
). Dunque, tale articolo non ha la pre-
tesa di analizzare tutti i movimenti nati allinterno della crisi dei rifiuti campana, ma intende
ragionare su alcuni di essi, che hanno affiancato alla protesta lelaborazione di idee alter-
native di gestione dei rifiuti, basate spesso sulla elaborazione di differenti paradigmi di svi-
luppo, contrari alla trasformazione della natura in risorsa economica. Alle fonti secondarie
si affiancato luso di quelle primarie, basate sulla mole di documenti prodotti dai movi-
menti territoriali e sulle loro attivit (
20
). Daltronde, proprio con le lenti del conflitto che
si pu meglio comprendere lambiente, inteso come relazione tra i principali ambiti di vita
in comune (economia, cultura, societ) e la natura, svelandone le relazioni di potere insite
nel controllo della natura (Armiero, 2008).
Per alcuni attori del conflitto campano la posta in gioco contesa proprio il potere di
scelta in tema di gestione dellambiente: essi si impegnano a contrastare il pensiero domi-
nante, in tema di sviluppo e trattamento dei rifiuti, che, parafrasando Gramsci, egemoni-
co e non lascia spazio a differenze, poich, come asseriscono quasi tutti i movimenti, di-
fenderebbe posizioni di privilegio politico-economico. Comitati e reti di attivisti, quindi,
hanno elaborato una loro controcultura alternativa e marginale, poich non supportata da
partiti politici e neanche dalla maggioranza della popolazione, o a-normale, poich si po-
ne in contrasto con leconomia dominante e con la scienza normale (
21
). Essi hanno agito
da catalizzatori di una serie di esperti, accademici e tecnici indipendenti, che insieme alla
cittadinanza coinvolta hanno elaborato proposte strutturate per la gestione della crisi dei
rifiuti, iniziando a diffondere tali nuove idee anche usando i nuovi media: i movimenti
campani sono diventati i pi esperti sul tema rifiuti (
22
). Essi conoscono bene varie pratiche
152 Simon Maurano
(17) Come gi visto, spesso tale sacrificio viene esplicitamente richiesto dai rappresentanti politici.
(18) Si possono citare come reti di associazioni e comitati regionali nati durante la crisi dei rifiuti il
Coordinamento Regionale Rifiuti e la Rete Campana Salute e Ambiente. Essi a loro volta hanno
connessioni con gruppi o associazioni ambientaliste italiane o internazionali, come Zero Waste Inter-
national Alliance e GAIA (Global Alliance for Incinerator Alternatives Global Anti-Incinerator Alliance).
(19) Mi riferisco al mio progetto di dottorato di ricerca il cui risultato stata la stesura di una tesi
discussa nel settembre 2010 allUniversit LOrientale di Napoli dal titolo Territori rifiutati. Geografia
dei rifiuti e conflitti ambientali. Unanalisi transcalare del caso campano.
(20) Tale metodologia simile, ad esempio, a quella usata in DAlisa e altri (2010), dove si
asserisce che this method stresses the participative role of the observer and the fact that the resulting
observations emerge from the reflective ability of the participant. In this vein, the motivation of the
participant is activism and the academic outcome is a by-product of this activism.
(21) Si intende per scienza normale quella nellaccezione di Funtowicz e Ravetz (2003).
(22) Come affermato da Guido Viale durante il Forum Rifiuti Campania, sorto per impulso dellex
assessore allAmbiente della Regione Campania Walter Ganapini, di cui Viale era il moderatore (2008).
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Gli spazi delle differenze nei conflitti ambientali 153
alternative alle modalit pi inquinanti di trattamento dei rifiuti (quali incenerimento e di-
scarica), e sono oggi su posizioni riassunte negli slogan rifiuti zero o combustione zero e
riciclo totale della materia: il concetto di ciclo integrato dei rifiuti superato da quello del-
la gestione degli interi cicli naturali (
23
). Tali conoscenze acquisite dagli attori del conflitto si
scontrano per con linerzia delle istituzioni e con gli interessi economici in gioco, che rap-
presenterebbero il freno a pratiche territoriali sostenibili. Ad esempio, in regione, non
stata adeguatamente sviluppata la raccolta differenziata dei rifiuti, se si escludono alcuni
casi virtuosi: il sospetto, rimarcato da varie inchieste della magistratura, che le forti sov-
venzioni economiche statali allincenerimento ne abbiano limitato la diffusione (
24
).
La raccolta differenziata dei rifiuti, tra le azioni dei movimenti, divenuta spesso unoc-
casione di riappropriazione concreta degli spazi dal basso. Un caso del genere riguarda ad
esempio il gruppo delle Donne del 29 agosto di Acerra, che nel 2007 ha proseguito la
protesta contro linceneritore allepoca in costruzione, organizzando una raccolta differen-
ziata settimanale in alcune piazze (
25
). Le istanze di questo movimento erano chiaramente
descritte dalle organizzatrici: volevano dimostrare che con una seria raccolta differenziata
linceneritore di Acerra sarebbe stato superfluo (
26
).
Per quanto riguarda le pratiche territoriali dei movimenti legate alla questione dellab-
bandono illegale di rifiuti tossici, si detto nei media che pochi cittadini si sono mossi con-
tro il potere della criminalit organizzata. Ci in parte vero, probabilmente a causa del for-
te potere della camorra sul territorio e della iniziale scarsa informazione. Ma, dopo vari
scandali, denunce e inchieste della magistratura (
27
), lattenzione dellopinione pubblica si
accesa. del 2006 la pubblicazione del libretto Allarme rifiuti tossici dellAssise della citt di
Napoli e del Mezzogiorno dItalia (
28
). Dello stesso periodo sono la nascita del comitato Al-
larme Rifiuti Tossici, non legato a una singola realt territoriale, ma operante sul tema con il
contributo di singoli cittadini, esperti, associazioni, gruppi e comitati locali, e lo sviluppo di
studi epidemiologici internazionali sulle conseguenze degli abbandoni illegali dei rifiuti nel-
le terre agricole campane, cui nel 2004 la rivista scientifica The Lancet Oncology dava ini-
zio, definendo larea compresa tra Nola, Acerra e Marigliano come the triangle of death.
Il lavoro degli attivisti, dunque, non potendo agire direttamente contro i clan camorri-
sti, si concentrato sulla sensibilizzazione dellopinione pubblica e sulla denuncia, con
(23) Si vedano i siti Internet del Coordinamento Regionale Rifiuti e della Rete Campana Salute e
Ambiente (www.rifiuticampania.org e www.rifiutizerocampania.org).
(24) Come evidenziano i pubblici ministeri della Procura di Napoli nellinchiesta Rompiballe, in
cui sono coinvolti vari commissari e i vertici della FIBE Impregilo, associazione temporanea dimpresa
che vinse la gara per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti in Campania.
(25) Iniziativa estesa a cinque piazze della citt, durata varie settimane nel tentativo di sensibi-
lizzare le istituzioni locali alla raccolta differenziata e terminata per senza che il Comune la portasse
avanti.
(26) Come risulta da interviste al gruppo Donne del 29 agosto da me effettuate nellestate 2010 in
collaborazione con Marco Armiero.
(27) Si pensi allemergenza del latte contaminato da diossina nel 2002, alle denunce del libro di
Roberto Saviano (2006) e del film tratto dalla stessa opera, allattenzione di riviste mediche ed
epidemiologiche sulla situazione campana, alle inchieste della magistratura e alle operazioni delle
forze dellordine come Re Mida, Terra Mia eccetera, ai rapporti sulle ecomafie di Legambiente, alle
denunce degli attivisti del comitato Allarme Rifiuti Tossici e al loro lavoro di coinvolgimento della
stampa internazionale.
(28) Il gruppo stato fondato da Gerardo Marotta, presidente dellIstituto Italiano per gli Studi
Filosofici, e da altri intellettuali napoletani. Attivo luogo di studio e discussione delle questioni aperte
a Napoli e dintorni, ha permesso lincontro quasi settimanale tra esperti e cittadini sulla questione
della crisi dei rifiuti nel periodo 2006-2008, presso il Teatro Tinta di Rosso di Napoli.
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lobiettivo che le istituzioni (e la stessa societ civile) riprendessero il controllo del territo-
rio saldamente nelle mani del crimine organizzato. Nel 2007, ad esempio, stata organiz-
zata una delle prime visite ai luoghi di abbandono illegale di rifiuti, cui stata invitata la
stampa estera, dato che quella nazionale non si dimostrava particolarmente sensibile. Le-
vento, denominato scherzosamente spazzatour, stato ripreso dalle telecamere di Am-
biente Italia, trasmissione televisiva di Rai 3 andata in onda il 31 marzo 2007. Un altro
gruppo di attivisti, quello della Terra dei Fuochi di Giugliano (Napoli), si specializzato
nel monitoraggio del territorio attraverso luso dei nuovi media, costruendo un sito Inter-
net di video-denunce incentrato sul monitoraggio dei rifiuti industriali, gestiti dai clan lo-
cali che smaltiscono i carichi di scorie tossiche eliminando le prove. A Marcianise, invece,
comune del Casertano, agisce un comitato spontaneo di cittadini denominato Mamme e
Famiglie, che alle attivit di sensibilizzazione hanno affiancato anche vere e proprie ron-
de, attuando coraggiose pratiche di controllo del territorio per evitare lulteriore contami-
nazione delle campagne che circondano il paese (
29
). Le forze a disposizione delle autorit
per contrastare il fenomeno degli abbandoni abusivi di rifiuti tossici e nocivi sono infatti
inadeguate in Campania. Ma, come denunciano i comitati locali, il governo italiano, trami-
te il Commissariato per lemergenza rifiuti e poi col Sottosegretariato dedicato allo stesso
tema, ha trovato forze necessarie per attuare il controllo dello spazio in difesa dai cittadi-
ni, e non in difesa dai gruppi camorristici: infatti, con la legge 123/2008 le aree destinate
alle infrastrutture di smaltimento dei rifiuti sgradite alla popolazione sono state militariz-
zate. Si adottata questa forma di controllo dello spazio per difendere unidea di gestione
dei rifiuti, e dunque del territorio, che stata giustificata negli anni con unemergenza mai
terminata, e probabilmente aggravata dalle stesse pratiche non inclusive della popolazio-
ne. Gruppi della stessa popolazione organizzata, per contrasto, hanno creato vari spazi
delle differenze: come visto nei casi succitati, essi sono sia spazi di costruzione collettiva
di una nuova idea di territorio, in cui il modello di uso del territorio sia maggiormente
condiviso e allargato alle nuove istanze di difesa dellambiente come strumento di affer-
mazione del diritto alla salute per tutti i cittadini, sia spazi concreti di presidio, di protesta
o di proposta. Con azioni concrete di riappropriazione dello spazio pubblico, dunque, i
movimenti non intendono solo difendere i loro diritti, ma vogliono porre allattenzione
degli enti pubblici, loro interlocutori privilegiati, che le alternative di gestione proposte
sono attuabili e ricevono consenso popolare.
In conclusione, dunque, gli spazi delle differenze creati dal basso avrebbero potuto
giocare un ruolo verso una soluzione condivisa della crisi campana. Le istituzioni operanti
negli anni della crisi dei rifiuti avrebbero potuto acquisire una maggiore fiducia, nel
deteriorato rapporto con i cittadini, se avessero prestato pi attenzione a quelle istanze
delle comunit territoriali che sono lontane da forme di mera difesa egoistica di propri
privilegi locali. A oggi, per, i portatori di proposte strutturate di spazi diversi e di una
territorializzazione pi condivisa sono ancora relegati ai margini dellagire politico.
154 Simon Maurano
(29) Intervista col comitato Mamme e Famiglie effettuata nellambito di uno spazzatour organiz-
zato a maggio 2009 dallassociazione Manitese di Mestre e di Napoli, in collaborazione con lAssise
della Citt di Napoli e con il Comitato Allarme Rifiuti Tossici.
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Gli spazi delle differenze nei conflitti ambientali 155
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THE SPACES OF DIFFERENCES IN THE ENVIRONMENTAL CONFLICTS. The
environmental conflicts are important events to better understand the social system and its
power relations. In a imperfect democratic system, often the weakest communities suffer
for the localization of polluting plants. Consequently, environmental conflicts arise. One
key element that could emerge in that conflicts is not only a defence of own health and
environment, but also a difference of value (besides differences in perception of risks) and
a consequent different view of the development. My experience as activist in the
Campania waste crisis represents a point of view like the protesterss one: in that way I was
able to understand the ideas of space of the struggling communities, that often are very
different from the mainstream economic thought. In Campania were born alternatives
ideas in managing waste and territory, that are facing the old paradigm of progress: there
are new ideas of territorialization and of development, far away from the sustainable
development, that are facing the cultural egemony of the ideology of progress. Some
environmental movements are engaging in constructing new and alternative ideas of waste
156 Simon Maurano
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Gli spazi delle differenze nei conflitti ambientali 157
management and territorialization, and they are trying to change the use of the territory
with concrete actions or with sensibilization towards a new model of development not
based on the economy utility of the territory. But, until now, there is no room for new
proposals: there is a top-down management of the crisis, and some new ideas and
paradigms that could be a solution, are relegated as a marginal stuff in the treadmill of the
production-consumption model: there is no space for differences.
Universit degli Studi di Napoli LOrientale, Dipartimento di Scienze Sociali
simon.maurano@gmail.com
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BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 159-164
MICHELE IPPOLITO
PRATICHE COSMOPOLITE IN AMBIENTE URBANO
La compressione spazio-temporale, conseguenza diretta dei fenomeni di globalizzazio-
ne, ha portato a una riconfigurazione del territorio e degli oggetti che lo compongono in
quella che pu essere definita una societ delle reti. Tutto si muove con velocit sempre
crescenti, facendo, inevitabilmente, accorciare le distanze fino allincontro/scontro di luo-
ghi e culture differenti e allarchiviazione di concetti come Stato-nazione e confine. Nuovi
spazi, quindi, si configurano nelle metropoli contemporanee.
Viviamo in quella che pu essere considerata come epoca dello spazio, del simultaneo,
del fianco a fianco, a differenza del secolo passato che era considerato come epoca del
tempo, della storia. Ora non si pu, infatti, trascurare che tempo e spazio sono intrecciati,
quasi fatalmente. Spazi di interazione tra diversi attori, di modelli culturali, di identit flut-
tuanti; ma anche luoghi di conflitto. Ci significa che abbiamo bisogno di un nuovo modo
di vedere e di (ri-)pensare la realt, di nuove forme di rappresentazione che, necessaria-
mente, rimandano a delle forme di sapere complesso, capaci di rendere giustizia a questa
nuova dimensione dello spazio. Mi riferisco a quelli che vengono definiti come third pla-
ces (Foucault, 1984; Lefebvre, 1974; Soja, 1996) (
1
).
Si tratta dei luoghi per cos dire studiati da quella che Michel Foucault, negli anni Ses-
santa del Novecento, definiva una lettura pi che una scienza: letero-topologia. Luoghi
che hanno la curiosa propriet di essere in relazione con tutti gli altri luoghi ma con una
modalit che consente loro di sospendere, neutralizzare e invertire linsieme dei rapporti
che sono da essi stessi delineati, riflessi e rispecchiati (Foucault, 2010, p. 12). Tra di essi ci
sono anche luoghi reali, effettivi, che costituiscono una sorta di contro-spazi, di utopie si-
tuate come i cimiteri, i giardini, i manicomi, le case chiuse, le prigioni, diversi anche dalle
cosiddette regioni di passaggio (cio i treni, le metropolitane ecc.) o da quelle delle soste
transitorie definite da Aug (1992) in poi come non-lieux.
Non esistono societ che non costruiscono le proprie eterotopie, che prendono sem-
pre forme straordinariamente varie e che possono essere sempre riassorbite fino a scompa-
rire. Leterotopia ha come regola quella di giustapporre in un luogo reale pi spazi che
normalmente sarebbero o dovrebbero essere incompatibili (si veda Foucault, 2008, p. 18).
(1) Il concetto di third place fu esposto per la prima volta da Michel Foucault, durante due confe-
renze radiofoniche su France Culture, il 7 e il 21 dicembre 1966. Una successiva versione della prima
conferenza, dal titolo Des espaces autres, fu tenuta al Centre dtudes Architecturales di Tunisi il 14
marzo 1967, ma pubblicata solo nel 1984 (si veda Foucault, 2008, p. 7).
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Tra i diversi tipi di eterotopie di cui ci parla Foucault ci sono quelle che costituiscono
unapertura al mondo esterno, nelle quali tutti possono entrare, ma, una volta entrati, ci si
accorge che si dentro per dimostrare qualcosa, per essere quelli che non si ma che si
vorrebbe essere. Le eterotopie sono sempre dei luoghi aperti, ma hanno la propriet di far-
ci restare dentro (ibidem, p. 23). Esse sono la contestazione di tutti gli altri spazi, che si pu
esercitare o creando unillusione che denuncia il resto della realt come unillusione oppu-
re creando realmente un altro spazio reale, perfetto e ordinato (ibidem, p. 25).
Questi spazi non sono fissi e stabili: essi sono, per natura, costantemente ridefiniti. Nel-
la sua radicale eterogeneit, lo spazio pieno di zone miste, doppie, multiple, aperte e
molti hanno tentato di esplorarle. In particolare, Edward Soja (1996) ha saputo rivelare lo
straordinario potenziale di questi third places, spazi dellalterit assoluta (thirding-as-
Othering), spazi di confronto e di meticciato identitario, spazi di pratiche sociali e spaziali
effettive; spazi di riavvicinamento del reale allimmaginario (e se il reale si avvicina allim-
maginario, perch limmaginario partecipa del reale); spazi di co-presenza, spazi vissuti
direttamente da abitanti e utilizzatori, contenenti simultaneamente il reale e limmaginario
(si veda Westphal, 2008). Soja, inoltre, utilizza il concetto di third space soprattutto per ac-
quisire un modo radicalmente nuovo di pensare che ponga sempre unalternativa (il lived
space) alla concezione binaria dello spazio (perceived e conceived space per i modernisti)
che incorpori e trascenda entrambi:
Only within thirdspaces lies the potential to be simultaneously a place of
both built and social hybrids. Thirdspaces are created by the effects of a
changing culture, and are spaces of transition; transition between localities
and over time. They elude the reflection of a single permanent power struc-
ture and are places of simultaneity and transience. They relate to both poles
of binary conceptions of cross-cultural space and yet at the same time enti-
rely transcend them. More than a mental place, thirdspaces hold the possibi-
lity for socio-political transformation. Thirdspace is a mode of thinking
about space that draws upon both the material and the mental spaces of
perceived space and conceived space, but extends well beyond them in
scope, substance, and meaning [Soja, 1996].
Ancora, secondo Bhabha (1994) il third space un modo di articolazione, un modo di
descrivere uno spazio produttivo, non meramente riflessivo, che genera nuove possibilit.
Esso un interruptive, interrogative, and enunciative space of new forms of cultural
meaning and production blurring the limitations of existing boundaries and calling into
question established categorisations of culture and identity (Meredith, 1998).
Suggerisco di fare riferimento a luoghi che possono essere riconosciuti come third pla-
ces con particolare attenzione al contesto urbano, agli spazi sociali condivisi e a tutte le for-
me e modelli di dispositivi culturali, cio quelle pratiche di aggregazione e di socializzazio-
ne secondaria espressione di differenti modi di vedere e di essere.
Un esempio pratico della suddetta tipologia di eterotopia pu essere costituito, a mio
avviso, dalle parate, intese come pratica che riesce a esprimere lanima cosmopolita di una
citt. La parata pu, infatti, generare una spazialit terza in quanto afferma unidea diver-
sa negli spazi pubblici dove normalmente si svolgono altre attivit. Protagonisti delle para-
te sono i corpi umani, attori principali, sempre secondo Foucault (
2
), di tutte le utopie, al
160 Michele Ippolito
(2) Indubbiamente, prima di lui, bisogna ricordare Henri Lefebvre quando ne La production de
lespace (1974) sosteneva che Cest partir du corps que se peroit et que se vit lespace, et quil se
produit (2000, p. 190).
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Pratiche cosmopolite in ambiente urbano 161
centro di tante leggende, tanto occidentali quanto orientali, da Prometeo a Gulliver. Il cor-
po diventa attore utopico quando si tratta di maschere, di trucco e di tatuaggi. Con questi
elementi non si acquista un altro corpo, ma si permette a esso di entrare in comunicazione
con poteri segreti e forze invisibili, gli si fa depositare sopra un linguaggio cifrato, segreto,
a volte sacro; si proietta il corpo in un altro spazio, strappandolo al proprio (Foucault,
2008, pp. 38 e segg.).
A partire dal quadro teorico sopra delineato, lo scopo del presente lavoro, che presen-
ta una parte dei risultati di una ricerca sul campo a Bruxelles, condotta, dalla fine del 2006
al 2008, mediante unosservazione diretta e la realizzazione di interviste semi-strutturate ad
attori pubblici (amministratori locali) e privati (associazioni e cittadini stranieri), quello di
concentrarsi sulle pratiche interculturali da una prospettiva cosmopolita.
Si parla, pertanto, di nuove dinamiche urbane, di nuove attivit, di nuovi attori e di
nuove dinamiche culturali, in una citt in cui sono presenti pi di ottanta organizzazioni
culturali con pi di quaranta responsabili di politiche culturali. Una citt in cui, a livello isti-
tuzionale, la diversit percepita pi come problema che come ricchezza e il concetto di
citt cosmopolita quasi unutopia, incomprensibile per la classe politica. Bisogna trovare
degli spazi sociali condivisi, nuove forme, modelli, dispositivi culturali e nuovi progetti ar-
tistici a livello dello spazio pubblico, trovare delle soluzioni condivise per tutta la citt (in-
tesa come dispositivo complesso) che mirino a raccogliere il suo spirito.
In particolare, ritengo che un esempio di pratica cosmopolita potrebbe essere la perce-
zione, luso e la moltiplicazione di third places, in cui le persone siano in grado di produr-
re scambi interculturali di identit, di modi di vedere e di essere. La Zinneke Parade rap-
presenta un efficace esempio simbolico di questa logica. Infatti, un festival multicultura-
le, una biennale, che cerca di esprimere lanima cosmopolita della citt e la ricchezza della
diversit, coinvolgendo tutte quelle categorie che normalmente sono definite minoritarie e
marginali (Nouss, 2005). Ogni due anni Bruxelles diventa lo scenario di questa parata. Pi
di 2.500 attori, quasi 180 organizzazioni e 200 artisti danno vita, per un dfil di circa due
ore e mezza, dopo lunghi preparativi, a quella che pu essere definita la manifestazione
che rappresenta lidentit brussellese tout court.
Sembra quasi un controsenso basarsi su un esempio brussellese per parlare di cultura e
di sviluppo locale e per trarne delle buone pratiche, conoscendo lattualit sociopolitica
belga. Bruxelles, capitale di una regione, le Fiandre, a maggioranza fiamminga, anche la
capitale di uno Stato, il Belgio, che ospita tre comunit: francese, fiamminga e tedesca.
Bruxelles una citt a maggioranza francofona, a regime bilingue france-
se/neerlandese in ragione del suo statuto di capitale federale. Ma in verit si tratta di un bi-
linguismo istituzionalizzato poco vissuto nella realt urbana; infatti, solo il 10-15% dei
brussellesi si definisce neerlandofono e secondo molti osservatori linglese la seconda
lingua parlata a Bruxelles dopo il francese. Il bilinguismo a Bruxelles comporta anche dua-
lismo culturale ed economico, perch, a causa del forte comunitarismo presente nella re-
gione, sono le comunit francese o fiamminga che decidono di finanziare dei progetti cul-
turali che interessano la citt, creando delle vere competizioni tra le comunit. E il comuni-
tarismo non aiuta di certo il cosmopolitismo!
La Zinneke Parade un progetto, nato nellambito delle iniziative di Bruxelles/Brussel
2000 Citt europea della cultura, volto a far nascere e valorizzare la nuova identit dei
brussellesi. Per una volta, una proposta che non intendeva ferire la citt, interferire con i
propri ritmi o turbare il suo equilibrio (com accaduto e continua ad accadere alle citt
che ospitano grandi eventi).
La parola Zinneke pu derivare da Zinne, nome in dialetto brussellese della Senne, il
fiume che passava (e che parzialmente passa ancora oggi) per Bruxelles, oppure pu desi-
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gnare anche un cane bastardo che andava a bere o a morire sulle rive del fiume: per esten-
sione il Zinneke colui che ha origini multiple, ibrido, meticcio, bastardo, simbolo del ca-
rattere multiculturale della citt.
Ogni vero brussellese si definisce Zinneke, perch sa di fare parte di quel melting pot
che la capitale del Belgio. Questultimo, daltronde, nella sua breve storia, ha dovuto
sempre fare i conti con le migrazioni sin dai tempi del colonialismo e adesso (proprio
adesso) non pu dimenticarsi di quei paesi e delle loro genti che hanno fatto la sua ric-
chezza. Il Zinneke un personaggio teatrale, concettuale per limmaginario brussellese,
come lo il trickster per limmaginario americano, e in quanto attore culturale cerca di di-
mostrare come limpegno da parte di tutti i cittadini in un progetto comune sia essenziale
per il vivere insieme, soprattutto in una citt multiculturale come Bruxelles (Nouss, 2005).
Per un giorno, dunque, Bruxelles mostra il suo essere cosmopolita, facendosi penetra-
re il cuore da unorda di gente con spettacoli, effetti sonori, orchestra brolofonica (da
brol, parola tipica del vocabolario brussellese forzatamente traducibile in italiano con casi-
no, caos) e arte in movimento, dando a tutti la possibilit di dimenticare di essere nella ca-
pitale dEuropa solo di passaggio, di sfruttarla solo in quanto crocevia europeo.
Dalle vecchie porte della citt, nel pomeriggio, partono i diversi Zinnodes (cos si chia-
mano i diversi gruppi componenti la parata), provenienti dai 19 comuni della regione di
Bruxelles Capitale, per arrivare nel centro della citt (vicino alla Bourse, cio dietro la
splendida Grand Place), riunirsi e cominciare a sfilare con spirito carnascialesco, seguen-
do un percorso identificabile con la vieille Bruxelles.
Gran parte delle associazioni (ovviamente no-profit), presenti in ogni comune, si riuni-
sce per due anni al fine di progettare qualcosa di unico e soggettivo seguendo un tema co-
mune. Tali associazioni (Assemblee dei vicini, Contratti di quartiere, Riappropriazione di
spazi pubblici, Difesa dei sans-papiers ecc.), sotto il patrocinio di molti enti tra cui la Re-
gione e, cosa che succede molto di rado, la Comunit francese e fiamminga insieme (infat-
ti, come si detto sopra, a causa dellaccentuato comunitarismo, ci che finanziato dalla
Comunit francese non viene finanziato da quella fiamminga e viceversa), fungono, con il
loro operato e il capitale umano a loro legato per necessit o per piacere, da ponte tra i di-
versi comuni di quella che, normalmente, definita la parte pi povera di Bruxelles (quel-
la dei comuni lungo il corso del Canale, come Molenbeek, Anderlecht, Schaerbeek, Saint-
Josse ecc.) e di quella pi ricca.
Il senso di questa parata si spinge al di l di quello meramente artistico gi nel momen-
to in cui se ne conoscono i partecipanti: uomini e donne di tutte le et, lavoratori, pensio-
nati e disoccupati, bambini, sans-papiers con le loro famiglie, artisti nati nelle carceri o ne-
gli ospedali psichiatrici, mogli e figli di carcerati, disabili eccetera. Tutti insieme con linten-
to di mostrarsi (per fare vedere che esistono e che, se non sono etichettati, si confondono
tra le persone normali, come loro truccate o mascherate) e di dimostrare che lo scambio
culturale, lincontro e la creativit sono vitali per far s che una citt si possa considerare co-
smopolita e che invece la chiusura entro le proprie mura di casa, in gabbie artificiali vigila-
te, o lerezione di frontiere non fanno che portare alla morte, o allo stato di caos, una citt
talmente ricca di cultura.
Per un giorno, quindi, tutti uniti, tutti uguali, tutti liberi e tutti padroni della citt. Il tema
della scorsa edizione (quella del 2008, anno in cui si fermava la ricerca sul campo) stato
quello dellacqua: bene che dovremmo custodire (qualora la natura ne avesse dato la pos-
sibilit) allinterno delle nostre citt anzich spianarvi sopra lastre di asfalto e montagne di
cemento. Infatti, uno dei 24 Zinnodes presenti alla parata, un alligatore chiamato Ixelliga-
tor (dal nome del Comune di Ixelles + alligator), non faceva altro che proteggere la fonte
naturale dei laghi di Ixelles (ormai perduta e sostituita dai laghi artificiali dellattuale Place
162 Michele Ippolito
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Pratiche cosmopolite in ambiente urbano 163
Flagey) dallazione di un personaggio chiamato Asphaltor che voleva coprire dasfalto la
fonte; in questimpresa era aiutato da Super Desasphaltico, che aveva il compito di elimina-
re lasfalto spianato.
A fine parata tutto termina con un grande jump liberatorio verso lanno della prossima
parata e verso le altre manifestazioni nelle due uniche citt che hanno seguito questo
splendido esempio e che collaborano con essa: Bologna (con la sua Par Tt Parata orga-
nizzata dallAssociazione Culturale Oltre) e Belfast (con la The Beat Initiative).
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COSMOPOLITAN PRACTICES IN URBAN CONTEXT. Time-space compression, as di-
rect consequence of globalization phenomena, carried to a reconfiguration of territory and
of objects that composed it, in the so called network society. Everything moves with al-
ways growing speed, leading to an increasing reduction of distances and to the en-
counter/crash of different places and cultures. Therefore, new spaces are being configured
in contemporary metropolis. I talk about spaces of interaction among different actors, cul-
tural models, flowing identities but also conflict places. This means that we need a new
way of seeing and of (re-)thinking the reality, new forms of representation that necessary
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 17
remind to complex forms of knowing, in order to consider this new dimension of space. I
refer to what is defined thirdplace (see Lefebvre, Soja, Foucault et al.), that is the space of
absolute otherness (thirding-as-Othering). Starting from the frame mentioned above, the
aim of this paper, that presents part of the results of a field study in Brussels, is to focus on
intercultural practices from a cosmopolitan perspective. I suggest to refer to places that can
be recognized as thirdplaces with particular attention to the urban context, to the shared
social spaces, to any forms and models of cultural devices. I argue that an example of cos-
mopolitan practice could be the perception, the use and the multiplication of thirdplaces,
in which persons can produce intercultural exchange of identities, ways of seeing and of
being. The Zinneke Parade (in Brussels) is an efficacy symbolic example of this logic.
Universit di Friburgo, Svizzera, Dipartimento di Scienze Geografiche
mippolito@infinito.it
164 Michele Ippolito
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 18
(*) La ricerca stata condotta in collaborazione tra le due autrici; la versione finale spetta a M. L.
Pappalardo per i paragrafi primo, secondo e quarto, a P. Marazzini per il paragrafo terzo.
(1) Andrea nome di fantasia per rispettare la privacy di questa persona che ci ha confidato i
suoi stati danimo.
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 165-178
MARIA LAURA PAPPALARDO - PAOLA MARAZZINI
SEDUTI S, SDRAIATI NO
DALLE PANCHINE ANTI-BARBONE DI VERONA UNO SGUARDO SUL DIVERSO (*)
In ogni angolo della stazione c
un nessuno che sperava di diventare qualcuno
Ornella, senza fissa dimora
... sediamoci, per introdurre il problema. Andrea pochi giorni prima di lasciare per
sempre la sua strada, senza tetto n assistenza, a 47 anni, dopo averne passati otto sulla
strada, senza sapere dove andare perch non aveva pi un posto dove andare, n una ca-
sa, n un amico, n un parente, cos mi parlava: voi, no tu no ma gli altri s, scusa, vi
preoccupate di noi, di quelli che chiamate barboni, solo quando dovete sentirvi pi buoni,
quando inverno e fa veramente freddo, quando la morte di qualcuno di noi fa notizia al
telegiornale, nei periodi di feste importanti, come a Natale, per esempio, ah che bello il
Natale.... Proseguiva poi, dopo aver mangiato un paio di cucchiai di minestra calda: Io so-
no arrabbiato, molto arrabbiato con voi, s con la gente come voi, ma non perch alcuni di
noi, come me, ogni anno muoiono per strada, ma perch sono moltissimi, troppi, quelli
che ogni giorno sono costretti a viverci... sulla strada... e qui nella citt di Romeo e Giuliet-
ta, nella bella Verona non hanno neanche un posto dove sedersi (
1
).
Non importante il modo in cui si finisce nella condizione di non-ritorno, certo che
dalla strada non ci si pu pi allontanare. La strada, infatti, per il senza tetto il massimo
dello spazio a disposizione associato alla minima libert di usarlo; soprattutto quando vie-
ne meno anche la possibilit di sdraiarsi su una panchina, si indesiderati, allontanati,
esclusi.
E la strada con la sua panchina inutilizzabile diviene il simbolo dellutopia e del para-
dosso: la strada la libert assoluta e contemporaneamente un carcere senza mura, ma an-
che senza via di fuga.
Utile riflettere quindi in queste pagine su come uno spazio considerato neutro possa
diventare molto violento giacch mette al bando i soggetti a-normali, quali senza fissa di-
mora e immigrati. Lo spazio di tutti si trasforma tacitamente nello spazio di pochi, ove si
manifestano dinamiche di potere, tradotte in pratiche di esclusione e di marginalizzazione
dei soggetti deboli.
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 165
Abbiamo passato molte ore in questi ultimi due anni tra le persone senza fissa dimora,
come volontarie nella distribuzione dei pasti ai senza tetto nei diversi punti di accoglienza
di Verona, diventando persino confidenti di qualcuna di loro, per raccogliere storie di vita
e attraverso questionari strutturati rilevare i dati biografici (et, sesso, distanza dalle reti pri-
marie), le modalit di adattamento, gli itinerari urbani che vengono seguiti per recarsi al
luogo del cibo, del sonno, o dove si chiede lelemosina, abbiamo cercato di capire, di
scavare nella solitudine, per proporre una strada diversa forse.
Nelle riflessioni che seguono, tuttavia, non si vuole discutere solo dei risultati oggettivi
della ricerca, dellanalisi antropologica compiuta, si vuole altres parlare di storie di vita, di
spazi negati, di strategie di adattamento in uno spazio violato di continuo, in un mondo
sotto gli occhi di tutti, ma che guardato solo con fastidio. Perch i senza tetto non esisto-
no, non fanno impressione come i tossicodipendenti, i matti, gli ubriaconi, gli stranie-
ri, sono solo il risultato non previsto della societ, con storie che si somigliano tutte, inizia-
te in una normalit precaria distrutta da alcuni accidenti ravvicinati (perdita del lavoro,
rottura familiare, morte di una persona cara, malattia): una semplice somma algebrica riu-
scita male. La prima crisi ti atterra, ma provi a rialzarti; arriva la seconda e resti l, per stra-
da. Non ti alzi pi. La strada ti prende, ti avvolge come una piovra, ti cambia, ti cancella e
quando non hai neppure uno spazio dove sedere, quando di fastidio con i tuoi miseri og-
getti personali se ti fermi in una panchina della citt, quando solo nelle periferie e nei luo-
ghi nascosti puoi apparire, allora vali proprio zero.
E la giornata scandita dalla ricerca di spazi dove poter esistere, dove poter scaldarsi,
come nelle sale daspetto della stazione, e poter dormire, s perch si dorme pi sicuri di
giorno, anche se spesso si viene svegliati da due calci e bisogna spostarsi. Poi c il man-
giare. Che in fondo la cosa pi facile: suore, frati, Caritas, le occasioni non mancano... oc-
corre solo camminare! Il problema la notte, quando fa freddo, soprattutto, e non ci sono
posti nei dormitori e non ci sono panchine su cui distendersi e dove appoggiare qualche
cartone in questa citt che vuole solo cancellare gli spazi per chi scomodo e non deve
essere visto, in questa citt dove le crudelt gratuite verso i senza tetto sono allordine del
giorno.
E infatti, se a Verona c chi ha parlato di atto scellerato quando lamministrazione co-
munale ha deciso di togliere le panchine scomode da alcuni giardini appena rimessi a nuo-
vo vicino, purtroppo, a una mensa per senza tetto, molti hanno invece esultato. Certamen-
te togliendo le panchine si sono ridotti i diritti di tutti: quelli a una sosta, alla convivialit, a
godere gratuitamente della vista della citt (
2
).
Precedentemente, infatti, erano arrivate le cosiddette panchine anti-barbone: la loro
realizzazione era stata assai semplice, era bastato porre un bracciolo al centro della panchi-
na per impedire alle persone di sdraiarcisi sopra e di trasformarle in un letto di fortuna. Ov-
viamente i diretti destinatari del nuovo arredo urbano erano stati i senza fissa dimora e gli
extracomunitari che le utilizzavano anche come appoggio per i loro effetti personali (fig. 1).
A tal proposito si lesse sul quotidiano LArena, che ha ospitato in pi occasioni il di-
battito su questo nuovo oggetto, che le nuove panchine serviranno a evitare il contatto tra
questi sbandati, i bambini e gli altri frequentatori dei giardini (
3
).
166 Maria Laura Pappalardo e Paola Marazzini
(2) Interessante lanalisi del quotidiano locale, LArena, in data 2 gennaio 2009, p. 12, dove si legge,
tra laltro, che le panchine nuove appena installate sono state subito rimosse e in data 14 gennaio
2009, p. 20, dove si espone il punto di vista di chi ritiene una vergogna la rimozione e di chi esulta.
(3) Tra i molti articoli, ricordiamo Ma i sedili anti bivacco cerano gi da anni, pubblicato su
LArena gi il 23 dicembre 2007, p. 12; Quelle panchine anti riposo sono unesagerazione, del 24
dicembre 2007, p. 14; per giungere al recente Panchine anti bivacco, bufera politica, del 16 luglio
2010.
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Seduti s, sdraiati no 167
Tutto qui? No, in unaltra Verona va in scena il progetto Panchine dautore per sguardi
damore, un percorso dedicato agli innamorati, con sette panchine, sette pezzi unici creati
da architetti, designers e artisti in sette punti affascinanti e romantici della citt, punti di col-
legamento tra la ricerca contemporanea e i siti storici di Verona. Queste panchine hanno lo
scopo di far compiere al visitatore un percorso lungo il fiume Adige, consentendo alle cop-
pie di sostare in luoghi a volte noti, a volte meno conosciuti e non sempre visitati.
Le Panchine dautore per sguardi damore: un percorso nello spazio e nei suoi signi-
ficati. Il punto di partenza di questo itinerario romantico il Giardino della Tomba di
Giulietta (un sarcofago medievale nellantico complesso della chiesa degli Agostiniani). Al-
do Cibic ha scelto questo luogo per creare una panchina dalla seduta a forma di cuore (la
Tomba si anima soprattutto di sabato quando giovani coppie decidono di sposarsi qui).
Lautore ha inteso compiere unesperienza davanguardia nel campo del design per allon-
tanarsi dalle rigidit del sistema funzionalista e aprirsi verso la possibilit di muoversi se-
condo un codice pi vicino a quello delle emozioni che non a un codice strutturato (
4
). Se-
condo Cibic, infatti, si potuto ottenere una microreality, come ama dire lartista, seguen-
do lidea che siano le azioni delle persone a poter determinare lidentit di uno spazio, di
conseguenza gli innamorati, abbracciandosi, potranno far rinascere un mondo romantico
(fig. 2).
La seconda panchina dautore stata collocata allex Dogana dacqua (edificio oggi se-
de della Soprintendenza), nel settecentesco complesso sorto in una zona storicamente le-
gata alla circolazione e al controllo delle merci, ed stata progettata da Marco Della Torre
richiamando, nella sua fisionomia, le attrezzature da ormeggio tipiche di una riva fluviale.
Seduti comodamente quasi in riva allAdige, si ha una vista panoramica che spazia dalla
collina di Castel San Pietro al Ponte Navi, fino al Ponte di San Francesco. Lo scopo quello
di offrire al visitatore la possibilit di compiere una proiezione nello spazio dellambiente
(4) Le frasi degli artisti che hanno realizzato le panchine dautore sono tratte dal materiale infor-
mativo distribuito dal Comune di Verona (Comune di Verona, 2009).
Fig. 1 Esempio di bracciolo per
panchine anti-barbone
Foto di M.L. Pappalardo
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circostante, quasi una lunga vogata in cui ci simmerge nel contesto e sinstaura un rappor-
to diretto con il fiume e con la riva. Inoltre, poich nel basamento posteriore dello schiena-
le sono stati compiuti dodici fori nei quali si possono lasciare dei messaggi, la panchina
anche luogo di scambio tra turisti, presenti e futuri (fig. 3).
Proseguendo lungo lAdige si incontra la panchina minimalista realizzata da Alberto
Garutti in Lungadige Donatelli; lautore ha inteso cos riconquistare il rapporto con il fiu-
me che gli argini hanno reso quasi impossibile. Garutti ebbe a scrivere a tal proposito:
LArtista che incontra la citt ha unoccasione straordinaria per ridare
valore e forma etica alloperazione artistica nellapproccio sentimentale con
quellumanit (alterit) che non il pubblico dellarte, ma pi in generale la
gente. Limportante che lopera sia protagonista e diventi il vero legame tra
lAutore, il suo intervento e il contesto urbano e sociale. Addirittura sosten-
go quanto non sia importante che il mio lavoro sia riconosciuto da tutto il
pubblico come opera darte, ma che venga sentito dalla gente come sguardo
nuovo e bello su una realt a loro vicina [Comune di Verona, 2009].
La panchina in questa logica sembra sparire poich prevalente linteresse per il luo-
go; loggetto realizzato si carica di significato non per s stesso ma in quanto si integra,
quasi scomparendo, nel tessuto urbano.
Sul colle di San Pietro, da dove si pu ben leggere il disegno di Verona romana entro
lAdige, larchitetto Michele De Lucchi ha realizzato una panchina di grande rigore geome-
trico, in tavole di rovere, che consente di vedere tutti i molteplici luoghi della citt, delle
colline, del fiume ma, soprattutto, di scegliere quali luoghi vedere, sedendosi in una dire-
zione o nella direzione opposta.
168 Maria Laura Pappalardo e Paola Marazzini
Fig. 2 Lubicazione delle
panchine del progetto Pan-
chine dautore per sguardi
damore di Verona
Legenda: 1. Giardino della Tom-
ba di Giulietta; 2. Ex Dogana; 3.
Lungadige Donatelli; 4. Castel
San Pietro; 5. Lungadige San
Giorgio; 6. Riva San Lorenzo; 7.
Ponte di Castelvecchio
Fonte: elaborazione da NASA
World Wind 1.4 V.E. Map, 2010
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Seduti s, sdraiati no 169
Proseguendo su Lungadige San Giorgio, si incontra la panchina progettata da Denis
Santachiara che offre un magnifico scorcio sulla citt. Il luogo scelto per la sosta offre la
possibilit di godere anche di uno sguardo panoramico sul fiume, privo tuttavia, rispetto
agli altri siti, di intimit. Nella panchina, di forma a nido, in pietra tibetana color cotto, gli
innamorati possono per nascondersi sotto una cupola dedera per vivere uno spazio di si-
lenzio e intimit.
Sulla sponda opposta dellAdige, in Riva San Lorenzo stata collocata la panchina
Ve(t)ra progettata per questo luogo da Franco Purini in marmo rosso di Verona e che al-
loggia, in una sua profonda incisione, uno schienale di cristallo. La panchina, lunga tre me-
tri, ai quali si aggiunge una parte sagomata di forma triangolare, costituita da un paralle-
lepipedo largo sessanta centimetri per quarantacinque daltezza. Anche in questo caso
fatto, da parte dellautore, esplicito riferimento allo spazio. Si legge infatti:
Ve(t)ra un oggetto plastico-architettonico che gioca sul contrasto tra la
densit meditativa del marmo un peso che si identifica, etimologicamen-
te, con il pensiero e la trasparenza, vicina allimmateriale, del cristallo.
Sul marmo, lasciato a filo sega, sono incise le misure della panca, in una
soluzione linguistica di tonalit concettuale risolta in un fatto visivo dotato
di una certa enigmaticit. Realizzato in un unico pezzo, il semplice monolite
nel suo irradiare stabilit e intensit gravitazionale, instaura con lo spazio
una relazione energica ed esclusiva, nel momento stesso in cui la sua stessa
concentrazione materica crea una sua autonoma spazialit [Comune di
Verona, 2009].
Fig. 3 La panchina di Marco Della Torre, esempio di panchina dautore
Foto di M.L. Pappalardo
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Lultima panchina dautore stata collocata al ponte di Castelvecchio, sede trecentesca
della signoria veronese, in un luogo denso di storia al margine del centro storico cittadino,
e dove Carlo Scarpa ha lasciato il suo segno negli anni Sessanta del Novecento ristrutturan-
do il Museo di Castelvecchio. La panchina di Luca Scacchetti ha inteso essere un omaggio
alla citt scaligera, alla sua pietra rosa di Prun e al marmo rosso, ai suoi colori e alla tradi-
zione shakespeariana. stato, infatti, inciso nella panchina un verso della famosa opera
Giulietta e Romeo come dedica agli innamorati che si sovrappone alla ricerca di una con-
temporaneit, rivendicando un ruolo anche letterario e romantico al progetto. La panchina
un omaggio anche a Scarpa. Le giunture scrive Scacchetti tra un pezzo e laltro sono
segnate da spessori e dettagli in bronzo in un chiaro omaggio scarpiano.
E per chi non innamorato? Anche il senza dimora un utente delle panchine. Si ri-
cordava gi nelle battute iniziali di questo scritto come il senza dimora non abbia nulla a
che vedere con quella figura romantica del clochard, del tramp o del vagabondo, cio del-
luomo libero e un po ribelle, offertaci dalla letteratura, che vive per strada per scelta o per
amore di libert. Anche se qualcuno dei senza dimora ammette tale scelta, la persona tipo
infatti un soggetto sofferente, che cerca di fronteggiare una serie complessa di problemi
ai quali reagisce adattandosi alle circostanze, non comprendendo di essere portatore di un
disagio (
5
).
Levoluzione del concetto di senza dimora legata a quello stesso di dimora, non in-
tesa esclusivamente come bene materiale, ma come insieme di relazioni sociali entro il
quale lindividuo forma la propria identit. Lesclusione da questa vita di socializzazione
conduce allesclusione sociale che sovente degenera, se sussistono altri fattori, in una vita
di homelessness (
6
).
Coloro che vivono per strada, siano essi giovani o anziani, donne o uomini, italiani o
stranieri, hanno tutti un vissuto complesso; lesclusione, la solitudine o la malattia fa parte
del loro background e la maggioranza ha un desiderio di riscatto nessuno sceglie di es-
sere per strada! (
7
).
Tra gli homeless incontrati a Verona emerge una notevole eterogeneit; si riscontra, in-
fatti, la presenza di individui portatori di bisogni molto diversi gli uni dagli altri. Si va dai
tossicodipendenti (la maggioranza sono italiani) ai senza dimora occasionali (coloro che si
trovano per strada per una situazione di temporanea emergenza), dagli outsiders (che vi-
170 Maria Laura Pappalardo e Paola Marazzini
(5) Per essere pi espliciti occorre innanzitutto chiarire cosa si intenda per senza dimora; gli studi
di settore (Barano, 2004; Zuccari, 2007) vi includono quelle persone molto limitate economicamente
e con scarse risorse culturali e personali, sprovvisti di mezzi e strumenti per difendersi, che soffrono
di disturbi psichici pi o meno gravi; sono inoltre impreparate ad affrontare le difficolt della vita e
incapaci di prendersi cura di s stessi. Difficilmente queste persone trovano nel loro ambiente sociale
qualcuno che sia in grado di supportarle e aiutarle in modo adeguato, soprattutto nei momenti di
maggior criticit.
(6) Le espressioni senza fissa dimora, senza tetto, homeless sono state usate nel presente con-
tributo come sinonimi. Utile a riguardo la rilettura di Bauman (2006), Starinieri (2007) e Tosi Cambini
(2004).
(7) La loro condizione una delle forme pi gravi di povert e di esclusione sociale, un fenome-
no purtroppo in costante aumento, aggravatosi negli ultimi anni con gli effetti della crisi economica,
che ha portato sulla strada persone che prima conducevano una vita regolare. Per un approfondi-
mento: Caritas Italiana e Fondazione Zancan (2009), da cui emerge che il povero identificato in
donne e madri sole, uomini separati, anziani senza famiglia, disoccupati, malati psichici, ex detenuti,
immigrati eccetera.
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Seduti s, sdraiati no 171
vono una vera e propria controcultura e sono accompagnati usualmente da un cane) ai
malati psichici (per queste persone sono necessarie delle strutture di supporto, quelle che
la legge Basaglia prevede, ma che non sono state realizzate del tutto), agli immigrati (con o
senza documenti o lavoro). Gli homeless stranieri incontrati costituiscono la categoria delle
persone di strada che vivono, come accade nelle altre citt italiane, in situazione di misera-
bilit estrema dal punto di vista sia economico sia relazionale. Sono, infatti, persone che,
oltre ad aver fallito il proprio percorso di integrazione nella societ che li ospita, a causa
delle difficolt relazionali create dal loro tipo di disagio (alcolismo, malattia mentale), so-
vente sono escluse anche dai gruppi dei loro connazionali (
8
).
stato interessante poter osservare come nella vita di strada, che abitualmente si svi-
luppa in una situazione di mancanza di socialit, si organizzino tuttavia delle iniziative vol-
te a creare una nuova forma di socialit. In questo nuovo sistema sociale caratterizzato da
una notevole conflittualit, mobilit, scarsit di beni eccetera questi attori agiscono
creando e interpretando strategie di comportamento che permettano la sopravvivenza e il
perseguimento di fini ben precisi. I loro obiettivi riguardano in primo luogo la soddisfazio-
ne di bisogni primari: fornirsi di cibo, trovare un luogo sicuro per dormire, creare legami di
amicizia e sostegno reciproco. Cos facendo, la persona senza dimora, con laumentare del
tempo di permanenza in strada, peggiora la propria situazione, adattandosi alla stessa piut-
tosto che affrontandola (
9
).
Tuttavia, nelle relazioni di gruppo (talvolta limitato a un numero esiguo), queste perso-
ne trovano stabilit pur vivendo nella precariet e creano una chiusura verso coloro che
sono esterni al loro vivere quotidiano (ad esempio i servizi sociali). Il gruppo non una
realt statica, ma parte di un processo in continua trasformazione: si organizza secondo
una stratificazione interna, si d delle regole, entra in crisi, si sfalda, si ricompone seguen-
do i propri dettami.
I principi cui fanno riferimento i servizi alla comunit struttura, stabilit, recupero so-
ciale non vengono compresi da coloro che vivono una realt dinamica in continua tra-
sformazione come quella della strada, dove vi un progetto di vita alternativo a quello
suggerito dai servizi sociali.
Quantificare il numero di coloro che vivono per strada certamente complesso per-
ch, oltre a quanti frequentano i ricoveri notturni, vi un numero imprecisato di persone
(8) I senza dimora sono individui che, a causa della loro situazione di marginalit sociale, cultura-
le ed economica, hanno vissuto e vivono delle esperienze relazionali negative con il resto della
societ. Sono persone costrette a inventarsi delle attivit nellambito delleconomia sommersa e ille-
gale. Il tipo di vita che conducono li rende sovente invisibili al resto della societ.
(9) Infatti, una volta che la persona comincia ad adattarsi alla nuova situazione, apprendendo
come procurarsi i beni primari e voluttuari, come destreggiarsi fra le diverse opportunit del circuito
assistenziale, si verifica una serie di cambiamenti che comportano perdite successive di risorse e
capacit. Ci conduce il soggetto ad essere, da una parte sempre pi vulnerabile, dallaltra sempre
pi irrigidito. Infatti, alle cause originarie di deprivazione si susseguono e si accumulano diversi disa-
gi, tra i quali lo sradicamento dalle reti sociali di riferimento e di sostegno, il deterioramento psicofisi-
co, la mancanza di autonomia nel soddisfare i bisogni di sussistenza, la perdita di competenze rela-
zionali, di capacit di reazione e di impegno [] La vulnerabilit e il rigido adattamento sono le facce
di una stessa medaglia, della cronicizzazione [] un processo che si svolge secondo una successio-
ne di tappe che presentano progressivamente minori gradi di libert e possibilit di uscita [] Il
cumulo di fallimenti, i maltrattamenti, le privazioni, le incomprensioni subite spingono la persona
senza dimora ad aggrapparsi al minimo equilibrio di sopravvivenza, verso lassunzione di un atteg-
giamento di rinuncia nei confronti del mondo o di ribellione (Pezzana, 2009, pp. 285-286).
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che utilizza ripari di fortuna (stazione, giardini, edifici abbandonati ecc.); inoltre, la fluidit
della loro permanenza in una citt molto elevata, soprattutto in estate (
10
).
La rete di aiuto a Verona funziona con tre ricoveri notturni riservati agli uomini. Vi la
Casa Accoglienza Caritas Il Samaritano, gestita in collaborazione con il Comune, i cui
ospiti sono 65, ai quali si aggiungono altri 25 durante linverno; il Camploy comunale, che
ha disponibilit per 50 persone; Corte Marini, in grado di dare un ricovero a 40 persone,
che raggiungono il numero di 60 nei mesi invernali. Vi un rifugio per le donne presso
lassociazione Passepartout che pu contare su 10 posti letto, dove in inverno se ne ag-
172 Maria Laura Pappalardo e Paola Marazzini
(10) Dalle indagini compiute e dai dati raccolti risultano essere a disposizione dei senza fissa
dimora 250 posti letto nei dormitori con distribuzione pasti. Durante linverno la Ronda della Carit
distribuisce inoltre unottantina di pasti per coloro che non si recano in strutture per dormire; in esta-
te si raggiungono anche i 130 piatti giornalieri. Ai numeri forniti dalla Ronda della Carit si devono
poi aggiungere quelli censiti negli altri punti di distribuzione presenti in citt che, mediamente, offro-
no 150 pasti al giorno, pasti distribuiti non necessariamente ai senza fissa dimora, ma anche a perso-
ne con difficolt economiche.
Fig. 4 Lubicazione dei dormitori e punti di servizio della Ronda della Carit
Legenda: Dormintori 1. Il Samaritano; 2. Camploy; 3. Corte Marini; 4. Passepartout; 5. Caritas; 6. Via
dellArtigianato. Ronda della Carit 1. Ex. Magazzini Generali; 2. Caserma Santa Marta; 3. Barana; 4.
San Zeno; 5.Via XXIV Maggio; 6. San Giorgio; 7. Piazza Viviani; 8. Giardini S. Croce; 9. Lungadige
Capuleti (uff. finanziari); 10. Poiano ponte superstrada; 11. Piazza Martiri della Libert; 12. Via Scala
Santa
Fonte: elaborazione da Nasa World Wind 1.4 V.E. Map, 2010
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Seduti s, sdraiati no 173
giungono altri 5; inoltre, dal 2009, sono disponibili altri 10 posti letto per le emergenze
presso la Caritas diocesana in Lungadige Matteotti.
Tuttavia, secondo il parere del direttore della Casa Accoglienza Caritas, il fabbisogno
decisamente superiore; in modo particolare per coloro che non riescono ad accettare nem-
meno il minimo di regole per accedere ai dormitori oppure sono sprovvisti di qualsiasi do-
cumento. Per ovviare a tale problema, a fine 2009, la diocesi ha acquistato un edificio, in
Via dellArtigianato, che d ospitalit a 20-25 persone, in cui la Caritas propone una gestio-
ne che definisce leggera, cio senza troppe regole e senza la richiesta di documenti. Pres-
so questa struttura e presso Il Samaritano sono stati istituiti percorsi di recupero sociale
individuali. Oltre ai dormitori, la rete di aiuto si compone di altri 12 ritrovi in cui i bisogno-
si possono trovare una mensa, la distribuzione di vestiti, un servizio docce, un ambulatorio
medico e un centro di ascolto (
11
).
Nel contesto cittadino utile ricordare inoltre la Ronda della Carit, unassociazione di
volontari che, dal 1995, assiste, sostiene e si prende cura dei barboni e di tutti coloro che
vivono la propria vita ai margini della strada. I volontari si recano tutte le notti in alcuni
punti della citt, dove sono soliti accamparsi e dormire i senza dimora, ovvero dove le pan-
chine, vecchie e rovinate, in strade buie e in espaces poubelles, possono essere occupate
anche da loro, per offrire oltre a cibo, bevande, indumenti e coperte, anche un po di calo-
re umano (fig. 4).
Non sdraiarsi!... per riflettere insieme. E mentre si discute su come ci si deve acco-
modare a Verona, c chi, sempre nella stessa citt, riceve un verbale di contravvenzione
del Comando Polizia Municipale per occupazione abusiva di sede stradale mediante la
collocazione di due sedie ed un cavalletto di legno, avvenuta nei giardini fra Via Prato
Santo e Lungadige Matteotti, applicando una sanzione di 329,58 euro.
Chi aveva osato tanto? Chi aveva posto delle sedie invece di lasciare il vuoto? Era stata
questa, in effetti, uniniziativa politica attuata dal Comitato Verona Citt Aperta che aveva
inteso, in questo modo, porre allattenzione dei veronesi la decisione dellAmministrazione
comunale di rimuovere le panchine dai giardini di Via Prato Santo per impedire alle perso-
ne che frequentano la vicina mensa della Caritas di utilizzarle, sedendosi oppure sdraian-
dosi, come erano abituati a fare. Lo stesso Comitato, daltra parte, quando erano state tolte
le panchine scomode dai giardini, le aveva in un primo tempo sostituite con una nuova
panchina acquistata per loccasione dai membri del Comitato, che era per stata rubata la
notte stessa (figg. 5-6-7).
In questa sede, lontani dalla stampa e dalla televisione, lo si ricordava in apertura del
contributo, volont di chi scrive far riflettere su come uno spazio considerato neutro pos-
sa diventare estremamente violento mettendo al bando i soggetti a-normali. Togliere le
panchine, lasciando totalmente sguarnito e inutilizzabile un giardino ombroso, costituisce
certamente un danno per tutti i cittadini, i passanti e perfino i turisti, e una pratica di esclu-
sione e di marginalizzazione nei confronti di persone svantaggiate, che vedono nella pan-
china lunico giaciglio a disposizione.
(11) Regole per accedere ai dormitori. Documenti: i documenti richiesti sono, per gli immigrati, il
permesso di soggiorno, per gli italiani qualsiasi documento (carta didentit, patente, tessera sanitaria,
codice fiscale). Durante lemergenza freddo non sono necessari i documenti. Rispettare gli orari: uscita
al mattino alle 7:00 e chiusura della luce alle 22:00. Gli animali da compagnia rimangono allesterno,
nel cortile. Non introdurre bevande alcoliche. Non introdurre nessun oggetto che possa essere usato
contro gli altri (coltelli, grosse forbici, bastoni ecc.). Obbligo delligiene personale. Seguire le indica-
zioni del personale addetto alla struttura. Rispettare gli altri ospiti. Avvisare se si lascia la struttura.
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Lo spazio di tutti si trasforma nello spazio di pochi? Pu la presenza di due sedie, a di-
sposizione di chiunque per sedersi e godere di un piccolo giardino pubblico, configurarsi
come occupazione di suolo pubblico? E tutti gli anziani che le sere estive mettono una se-
dia fuori casa per prendere il fresco e socializzare? Mettere una sedia su un marciapiede, in
una piazza, in un giardino per sedersi e chiacchierare, viola le leggi dello Stato e i regola-
menti comunali o semplicemente, come normalissima usanza, permette di vivere lo spa-
zio?
Alla carenza di risposte adeguate in merito si aggiunge la considerazione che negli ulti-
mi anni, sia per larrivo dei nuovi flussi migratori, sia per gli sbalzi dovuti alla crisi econo-
mica sia, ancora, per laumento della precariet lavorativa, cambiata nella societ italiana
la figura classica dellhomeless rendendola, per certi versi, pi temporanea e flessibile, una
persona disagiata che si aggiunge ai senza dimora classici.
E per queste persone, quando, soprattutto la sera, la citt si svuota di lavoratori, turisti,
studenti, pendolari, bambini e anziani, quando lo spazio sembra dissolversi e diventare
anonimo, quando le poche strutture per laccoglienza sono al completo o lontane, resta la
strada come riparo, con scatole di cartone, sacchi di plastica, vecchi sacchi a pelo, auto ab-
bandonate come posti letto... o le panchine.
Ma la realt ben diversa. Vediamo lesempio di Piazza San Nicol, riqualificata e inau-
gurata agli inizi di ottobre 2010 dopo mesi di lavori, che ha tutte le caratteristiche per tor-
174 Maria Laura Pappalardo e Paola Marazzini
Fig. 6 Il regalo
viene aperto...
Foto di M.L. Pap-
palardo
Fig. 5 La nuo-
va panchina re-
galata ai giar-
dini
Foto di M.L. Pap-
palardo
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 174
Seduti s, sdraiati no 175
nare a essere il luogo dove la gente si ritrova, in quanto offre ora un sagrato raffinatamente
pavimentato con lastre di marmo bianco e rosa, aiuole, olivi centenari e dove i nuovi siste-
mi di illuminazione rendono lo spazio decisamente gradevole. Purtroppo per non co-
s... tutta colpa delle panchine! Per sostare nella piazza, infatti, non sono state collocate le
semplici panchine classiche, ma le moderne anti-accoglienti panchine anti-bivacco, un en-
nesimo segno di rifiuto verso gli altri, proprio davanti alla chiesa.
Si pu avere la pretesa di risolvere il problema degli homeless togliendo le panchine,
mettendo un bracciolo al centro delle panchine stesse, o semplicemente allontanando i
soggetti scomodi dalle vie centrali di Verona (non ci sono le panchine anti-barbone nei
giardini della periferia di Verona; cos come mancano i braccioli nelle panchine poste lun-
go le vie di accesso al cimitero monumentale! Espaces poubelles?). Ma questo non basta,
come non bastano i progetti di architetti, urbanisti e ingegneri che pensano di ri-disegnare
la citt (fig. 8).
Ci che occorre, anche se certamente non sufficiente, unattenta riflessione, anche
in chiave geografica, sul senso e sul significato dello spazio, dello spazio pubblico come di
quello privato; e su come sia possibile realizzare un suo miglioramento qualitativo a livello
sia micro-spaziale sia soggettivo.
Per un esito concreto e realizzabile inoltre necessaria una forte collaborazione con
tutta la rete sociale delle strutture di servizio per senza dimora per poter raccontare i dif-
Fig. 7 ... il regalo non
c pi!
Foto di M.L. Pappalardo
Fig. 8 Cos s... su una panchina
no!
Foto di M.L. Pappalardo
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 175
ferenti aspetti della situazione complessiva degli homeless. E questo non per ridisegnare o
riprogettare gli spazi in funzione dei senza dimora, ma per pensare, almeno in un primo
momento, a offrire unassistenza a livello zero aperta a chiunque voglia usufruirne (non
solo homeless, ma anche giovani in vacanza, immigrati senza lavoro ecc.) mediante luoghi
dove poter sostare, anche temporaneamente, ma in modo dignitoso (
12
). Solo cos sar pos-
sibile avviare un lungo e non certo facile e sicuro cammino che porti i senza tetto dalle-
sclusione allinclusione spaziale, intesa come autonomizzazione.
E proprio di recente si svolto, invece, un nuovo atto del triste spettacolo che si cer-
cato in queste pagine di descrivere e analizzare (fig. 9).
Si legge sulle pagine de LArena (p. 15) del 12 dicembre 2010:
Giura di voler invitare a una riflessione sui senza tetto, nei giorni della
festa e dei regali, dei pranzi opulenti e delle decorazioni sfarzose. Ma le
panchine in miniatura con bracciolo anti bivacco, scelte dal Procuratore
capo di Verona, Mario Giulio Schinaia, per addobbare la Nativit negli uffici
giudiziari, non sono piaciute al sindaco della citt, Flavio Tosi. A Verona le
176 Maria Laura Pappalardo e Paola Marazzini
(12) Per livello zero si intende laiuto di base, iniziale, pi banale (ma pi vitale) che deve esse-
re fornito in quei luoghi dove (grazie alle informazioni raccolte dalle organizzazioni locali, dai volon-
tari, dalle cooperative, da chi compie quindi una vera e propria osservazione partecipata del fenome-
no) si venuti a conoscenza di situazioni che richiedono lintervento di prima accoglienza. Si vuole
quindi sottolineare limportanza di fornire laiuto proprio in quegli espaces poubelles prima ricordati,
siano essi sottopassaggi, giardinetti abbandonati, edifici diroccati...
Fig. 9 La panchina anti bivacco del Presepe allestito in Tribunale
Foto di M.L. Pappalardo
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 176
Seduti s, sdraiati no 177
panchine anti bivacco, quelle vere e non i modellini, sono state sistemate
davvero nei giardini del centro per evitare che vengano usate come giaciglio
[...] Per il Procuratore bisogna sensibilizzare i veronesi sul fatto che Cristo
ha voluto nascere in una grotta e richiamarli ad un senso della fede e della
solidariet pi autentico [...] Due giorni fa, il Procuratore aveva ribadito
anche che non degno di noi rendere la vita ancora pi difficile a chi non
ha una casa dove poter andare a dormire al caldo [...] Mi sembra una cattive-
ria impedire a chi dorme al gelo un po pi di comodit [...] ma per lammi-
nistrazione municipale scaligera, ladozione dei nuovi tipi di seduta nelle
aree pubbliche [...] risponde soltanto allesigenza di adeguare il profilo della
citt a quello delle pi moderne metropoli del mondo!
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02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 177
YOU MAY SIT, BUT NOT LAY DOWN: FROM THE ANTI HOMELESS BENCHES OF
VERONA A LOOK ON THE MISFIT. Some have spoken of an evil act when the munici-
pality of Verona decided to remove the uncomfortable benches from some gardens which
were also used by visitors. Yet the removal of these benches has also reduced the rights of
all: the right to rest, to socialize and to enjoy a free sight of our city. And then the anti
homeless benches were introduced: their realization is simple; it requires an armrest in
the centre to prevent people from lie down and turn them into an improvised bed.
Obviously the direct recipients of the new urban furniture are the homeless and migrants
that use them as an extra support for their meagre belongings. In this regard it is stated
that the new benches will be used to avoid contact between those drifters, children and
other visitors of gardens and parks. Simultaneously in an another Verona, a new project is
launched under the theme of Benches by Artists for looks of love, an itinerary dedicated
to lovers, seven benches, seven unique pieces created by architects, designers and artists
in seven charming and romantic sites of the city. These sites are connecting bridges
between the contemporary research and the historical sites of Verona. These benches are
designed to offer to the visitor a journey along the Adige River, allowing couples to stop
in places sometimes recognized, sometimes less popular and often not always accessible
to visitors. It is important to question how a public space considered neutral can become
extremely violent once it bans un-normal people, such as homeless and immigrants. The
public space for all silently becomes a selective space for the few, reflecting dynamics of
power, resulting into practices of exclusion and marginalization of vulnerable people.
Universit degli Studi di Verona, Dipartimento di Arte, Archeologia, Storia e Societ
maria.pappalardo@univr.it
pmarazzini@alice.it
178 Maria Laura Pappalardo e Paola Marazzini
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 178
(*) Per quanto il lavoro sia frutto dellimpegno congiunto dei due autori, il primo paragrafo deve
ascriversi a Paolo Macchia mentre il secondo paragrafo di Elena Izis.
(1) Tra le definizioni date in letteratura di quartiere gay ci sembra illuminante quella che definisce
tale spazio come caratterizzato dalla presenza di gay institutions (like bars, bookstores, restaurants
and clothing stores) in number, a conspicuos and locally dominant gay sub-culture that is socially iso-
lated from the larger community, and a residential population that is substancially gay (Levine, 1979,
p. 364).
(2) A Parigi, nel quartiere Marais, Leroy riscontra la presenza di un cospicuo numero di servizi,
principalmente commerciali, destinati alla clientela gay: ben 140 nel 2004, peraltro in crescita espo-
nenziale dagli anni Ottanta.
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 179-186
ELENA IZIS - PAOLO MACCHIA (*)
IL CHILOMETRO GAY
NASCITA ED EVOLUZIONE DEL PRIMO QUEER SPACE ITALIANO:
TORRE DEL LAGO PUCCINI IN VERSILIA
Il turismo LGBT: il contesto internazionale e lesperienza di Torre del Lago Puccini.
Scopo del contributo osservare un caso di rifunzionalizzazione territoriale, in Italia unico
nel suo genere e pionieristico: la recente nascita di uno spazio attrezzato destinato alla frui-
zione ludica da parte della popolazione LGBT (Lesbian, Gay, Bisex, Transgender) nel quale
poter esprimere, senza subire discriminazioni, il proprio essere. Nel giro di un decennio, co-
s, Torre del Lago Puccini diventata la principale meta del turismo LGBT in Italia, con unu-
tenza in continua crescita che negli ultimi anni sta espandendosi anche allestero.
Il caso di Torre del Lago, oltre a risultare interessante per la rapidit con cui si mani-
festato, segna laffermazione, anche in Italia, di una nuova ottica di marketing turistico in-
dirizzato al target gay, in unoperazione commerciale di ampio respiro che ha fatto del turi-
smo gay un business redditizio. Per questo, lesperienza di Torre del Lago risulta particola-
re in quanto traduzione territoriale di unoperazione di marketing mirata e puntuale.
I fenomeni di territorializzazione gay, soprattutto in ambito urbano, sono presenti da
tempo nella letteratura geografica, che ha analizzato i quartieri gay presenti in molte citt (
1
),
fra le quali Parigi (
2
) (Sibalis, 2004; Leroy, 2005), Toronto (Bouthillette, 1994), Manchester
(Binnie e Skeggs, 2004) e Berlino (Grsillon, 2000), ove interessante la rapida colonizza-
zione gay dei quartieri della Berlino Est ex comunista. Ma questo solamente il primo e
pi antico aspetto della costruzione di un proprio spazio da parte delle componenti LGBT,
che si riaggancia al legame indissolubile fra omosessualit e citt come luogo privilegiato
di aggregazione ed espressione culturale (Aldricht, 2004).
Il secondo aspetto, che interessa il nostro caso, si ricollega a una nuova visione del
mondo LGBT sotto una luce economica, interessata non tanto ai caratteri sociali della po-
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 179
polazione omosessuale quanto alla sua notevole possibilit di spesa: da qualche anno, co-
s, entrato in scena il Gay and Lesbian Marketing. Soprattutto negli Stati Uniti si sono in-
tuite le potenzialit di questo mercato di nicchia, piccolo ma ricco, e sono sorte compagnie
dedicate ad analizzare e promuovere servizi per i consumatori LGBT: cos, dal 1992 Com-
munity Marketing dichiara come proprio scopo quello di connecting our clients to the gay
and lesbian community. Grazie a indagini e studi, si osservato che il mercato LGBT evi-
denzia indicatori di spesa nettamente superiori rispetto alle medie (
3
), soprattutto nel turi-
smo, nel quale la comunit omosessuale statunitense spende annualmente 54,1 miliardi di
dollari, il 10% dellintero giro di affari dei viaggi del paese.
Proprio il turismo LGBT appare un mercato sempre pi ambito da operatori e aziende,
come testimoniano i numerosi studi dedicati allargomento (Sender, 2004; Hughes, 2006;
Guaracino, 2007) e la crescita del fenomeno in termini quantitativi e qualitativi: in partico-
lare, si nota una forte evoluzione dellofferta, con laumento di infrastrutture (alberghi, ri-
storanti), eventi (prides e festival tematici) (
4
) e spazi gay-friendly. Basta scorrere le pagine
di siti e cataloghi dedicati alla promozione turistica LGBT per rendersi conto dellentit del-
lofferta (Community Marketing Inc., 2010), nella quale, peraltro, oltre a compagnie aeree,
tour operators e catene alberghiere, entrano sempre pi attivamente anche istituzioni turi-
stiche ufficiali di vari paesi europei (prima fra tutti la Spagna).
LItalia in tutto questo appare in ritardo (
5
): per quanto il nostro paese sia una destina-
zione fra le pi amate dai turisti LGBT (secondo Community Marketing capace di attrarre
circa il 5% del mercato nordamericano), il marketing dedicato a questa clientela solo negli
ultimi anni sta facendo la sua comparsa, con la nascita soprattutto di COM.MA, prima agen-
zia di marketing specializzata in azioni sui target gay che non solo possono spendere di
pi oggi ma possono decretare il successo e la diffusione delle tendenze di domani
(www.commaonline.it).
Questa recente attenzione al mercato gay fa parte di ununica operazione imprendito-
riale di ampio respiro, che trae origini dalla rete e si espande a coinvolgere realt di vario
tipo, fino a trovare la sua materializzazione territoriale nel chilometro gay di Torre del La-
go, diventata nel giro di un decennio la principale destinazione italiana del turismo LGBT.
Tutto ha inizio con la nascita del sito Gay.it, fondato a Pisa nel 1997 e in breve diventa-
to riferimento della comunit LGBT italiana, attirando lattenzione del potente Gay.com
statunitense, che presto entra come partner nella societ. Trasformatosi in SpA, Gay.it ha
visto un continuo aumento di profitti e attivit (
6
), diventando capofila del primo gruppo
imprenditoriale gay italiano. Tappe successive di questo percorso sono state la creazione
del Consorzio Friendly Versilia nel 1998 e lapertura del primo locale LGBT sulla marina di
Torre del Lago lanno successivo, il Mama Mia. Grazie anche allappoggio politico locale e
regionale, il Friendly Versilia nasce come associazione di imprenditori turistici della Versi-
lia, volta a incentivare il turismo LGBT, da sempre presente in maniera pi o meno velata
180 Elena Izis e Paolo Macchia
(3) The facts are plain: gay men and lesbians travel more, own more homes and cars, spend
more on electronics and have the largest amount of disponsable income of any nice market
(www.communitymarketinginc.com).
(4) Sulla valenza economica degli eventi gay, si pensi che i New York Gay Games del 1994 hanno
generato un giro di affari di 111 milioni di dollari (Pritchard e altri, 1998).
(5) Anche per quanto riguarda gli studi sul turismo omosessuale, sono rari i contributi dedicati al-
lItalia e ancor pi quelli di autori italiani. Al proposito segnaliamo il lavoro di Luongo (2000) sullim-
patto che il World Pride del 2000 ha avuto sulla citt di Roma.
(6) Tour operators, commercio on line, servizi vari, chat, blog, informazione, guide tematiche ec-
cetera.
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 180
Il chilometro gay. Nascita ed evoluzione del primo queer space italiano 181
in queste zone. Contemporaneamente, linaugurazione del Mama Mia attrae da subito una
clientela numerosa, anche grazie alle manifestazioni che ne caratterizzano lattivit, primo
fra tutti il Mardi Gras, serie di spettacoli e incontri tenuti intorno a ferragosto, che dal 2001
ha visto una costante crescita di partecipazione di pubblico e ospiti famosi. Negli anni suc-
cessivi, Torre del Lago continua a crescere come destinazione LGBT: se un sempre mag-
gior numero di imprenditori si associa al Consorzio e le stesse istituzioni locali (primo fra
tutti il Comune di Viareggio) appaiono molto interessate a questi sviluppi, iniziano anche a
sorgere i primi contrasti con la popolazione locale che, al di l di qualche episodio di
omofobia, lamenta uneccessiva pressione su una localit piccola e infrastrutturalmente
poco dotata come Torre del Lago. Fra difficolt, azioni politiche, prese di posizioni, a vin-
cere stato comunque il mercato, che ha visto una continua crescita sia della domanda che
dellofferta. Anche se impossibile fornire cifre attendibili sulle presenze e sul giro di affa-
ri del turismo LGBT di Torre del Lago (il Friendly Versilia parla di 100.000 turisti presenti
ogni estate), indubbio che lanima turistica di Torre del Lago fortemente mutata.
Alla data attuale il Consorzio raccoglie una cinquantina di imprese (alberghi, discote-
che, ristoranti ecc.) fra le quali segnaliamo i sei bed&breakfast nati negli ultimi anni che,
anche nella loro immagine, appaiono decisamente orientati verso la clientela LGBT. Molte
di queste imprese, inoltre, hanno la caratteristica di essere gestite da imprenditori gay con
personale prevalentemente composto da omosessuali. Ma cosa ancora pi interessante la
formazione del chilometro gay: grazie alla felice ubicazione, su un largo viale a mare a
fondo chiuso, lontano dalle aree residenziali e ben dotato di parcheggi, i due locali pionie-
ri (Mama Mia e Frau Marleene) hanno dato il via a una specializzazione LGBT della marina.
Accanto agli esercizi storici (soprattutto ristoranti), che ben presto hanno colto loccasione
di incrementare i loro affari (ad esempio con lapertura post-discoteca destinata alla fame
dei nottambuli), sono sorti numerosi locali LGBT. Oggi si contano tre discoteche (Frau
Marleene, Mama Mia e Stupida), tre pubs (Priscilla, Buddy e Ciao Bello), tre ristoranti (Na-
nabanana, RistoStupida e Bigodini) oltre a uno stabilimento balneare (Dune Beach), il pri-
mo in Italia orientato alla clientela gay. Con lestate 2010 quasi lintero fronte del viale a
mare stato occupato da locali LGBT (o esercizi comunque associati al Consorzio), con of-
ferte diversificate dedicate a fasce di clientela gay diverse (
7
). In definitiva, possiamo affer-
mare che Torre del Lago divenuta una destinazione turistica privilegiata per la clientela
LGBT italiana e non solo: in alcuni siti stranieri, infatti, essa inizia a comparire accanto alle
storiche mete europee (Mykonos, Ibiza, Gran Canaria, Sitges ecc.) grazie anche al felice re-
troterra culturale rappresentato dalla Toscana, da sempre attrattivo nei confronti della
clientela LGBT.
Come gi abbiamo accennato, la difficolt nel quantificare il turismo LGBT resta un osta-
colo alla ricerca, che deve appoggiarsi in prevalenza su dati forniti dagli stessi soggetti inte-
ressati. Se COM.MA stima il giro di affari del turismo LGBT italiano in 3,2 miliardi di euro an-
nui (2006), con una disponibilit monetaria della popolazione gay superiore del 38% alla
media nazionale, Gay.it, attraverso un sondaggio fra i propri iscritti, conclude che Torre del
Lago la meta prediletta dai turisti LGBT italiani, che per oltre un quinto dichiarano di sce-
gliere questa localit come destinazione delle proprie vacanze, avvicinando e in qualche ca-
so superando le destinazioni greche e spagnole, fra le quali primeggia Mykonos.
In conclusione, non errato affermare che questo piccolo tratto di costa toscana negli
ultimi anni stato investito da una forte rifunzionalizzazione territoriale, che ha trasforma-
(7) Accanto alle rumorose discoteche, frequentate dai pi giovani, vi sono locali che offrono
spazi pi tranquilli per conversare, propongono musica diversa, servono cibi e bevande, fanno
piano-bar e karaoke.
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 181
to Torre del Lago da localit balneare minore nella principale meta turistica di genere italia-
na a luogo di divertimento e di aggregazione per migliaia di persone omosessuali.
Il caso fin qui illustrato pu suscitare una serie di riflessioni. Innanzitutto, il problema
della capacit di carico della localit lampante. Ad esempio, durante il Mardi Gras sono
migliaia i visitatori che si recano in un luogo che, ricordiamolo, si trova allinterno di un
parco naturale. Questo provoca problemi di affollamento e viabilit che le autorit hanno
cercato di risolvere (
8
). Nel contempo, non vanno trascurate le fitte relazioni tra il giro daf-
fari innescato dal processo e le amministrazioni locali, e soprattutto il fatto che, per quanto
spesso venga ammantata di valenze politiche e sociali, loperazione Torre del Lago stata
eminentemente uniniziativa imprenditoriale, nella quale gli ideali e spesso gli stereotipi
LGBT sono stati pedine di un grande successo economico. Luso stesso che nelle campa-
gne pubblicitarie e nelle scelte di immagine viene fatto di soggetti provocatori che richia-
mano un certo ideale di bellezza e unatmosfera spensierata mostra come anche questa
particolare nicchia economica si servi ormai dei linguaggi pi classici della pubblicit.
Sebbene le ricadute economiche e occupazionali sul territorio siano notevoli e ci sia
stato un miglioramento della qualit della vita gay locale, il recente boom di nuovi locali
LGBT, che hanno soppiantato le preesistenti attivit della marina, pur aumentando lofferta
rischia di monotematizzare lambiente, paventando il rischio sempre latente di
unautoghettizzazione LGBT.
Uno dei grandi successi di Torre del Lago, e stavolta non commerciale, stato quello di
riuscire ad avvicinare alla luce del sole mondi completamente distanti e succede non di ra-
do, nelle sere destate, che famigliole con passeggini e gelati sfilino davanti ai locali bruli-
canti di ragazzi e ragazze che vivono liberamente il proprio essere gay: certo ci sono state
incomprensioni, tensioni e talora anche violenze ma, come in tutte le cose, una corretta co-
noscenza di s stessi e degli altri lunica strada per superare le diversit e le diffidenze.
In questo senso il chilometro gay ha avuto e sta avendo anche una forte valenza poli-
tica, culturale e sociale.
Il retroterra culturale e la nuova anima del territorio. C un posto in Italia dove
non sei giudicato per i tuoi peccati ma per la tua abbronzatura: questo fu uno degli slogan
pi efficaci tra quelli lanciati dai gestori dei locali LGBT di Torre del Lago per pubblicizzare
la programmazione degli eventi organizzati nella frazione di Viareggio. La provocazione ri-
vendicava lattenzione verso una tipologia di turismo da sempre presente in Versilia e in
particolar modo nel paese divenuto celebre grazie a Giacomo Puccini. Lobiettivo era an-
che quello di coinvolgere lamministrazione di Viareggio su un fenomeno in grande cresci-
ta, che portava ogni estate Torre del Lago a riempirsi di ragazzi e ragazze provenienti non
solo dalla Toscana, ma da varie parti dItalia. Questa operazione aveva anche lo scopo di
riscattare quello che era considerato un luogo malfamato attraverso una nuova visione del
turismo gay come risorsa e non pi come iattura.
Torre del Lago come Berlino, Mykonos o le pi recenti Sitges o Eureka Springs tra i
monti dellArkansas? Certamente il paragone non cos immediato. Per prima cosa, non
siamo in presenza di una grande citt ma di una frazione della provincia toscana e non sia-
mo in un territorio prediletto dal turismo giovanile dove il turismo omosessuale trova una
182 Elena Izis e Paolo Macchia
(8) Negli ultimi anni il Comune di Viareggio e le altre amministrazioni locali hanno apportato una
serie di migliorie alla viabilit della frazione (nuovo ponte sulla ferrovia e nuovo svincolo sulla
Variante Aurelia), favorendo laccessibilit e riuscendo a evitare lattraversamento del paese, principa-
le motivo di protesta della popolazione residente.
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Il chilometro gay. Nascita ed evoluzione del primo queer space italiano 183
sua collocazione privilegiata. Infatti, Torre del Lago una destinazione del turismo tradi-
zionale le cui offerte di basano sul target di famiglie, quello che contraddistingue ancora
oggi Viareggio. Inoltre, lItalia si dimostra ancora poco pronta a considerare le differenze di
genere; ne sono conferma i casi di violenza omofobica cos come la campagna mediatica
denigratoria verso le persone transessuali alla luce di alcuni fatti di cronaca che hanno vi-
sto queste persone protagoniste.
Se, come sostiene Marianne Blindon (2008), la presenza LGBT pu, anche tacitamente
solo per il fatto di esistere, dare vita a una serie di azioni simboliche tali da determinare li-
dentit del luogo stesso, questo certamente il punto di partenza del cammino intrapreso
dalla frazione versiliese. La presenza ormai consolidata di turisti LGBT fin dagli anni Set-
tanta, prima in modo nascosto poi in modo istituzionalizzato e talvolta provocatorio, ha
plasmato i luoghi conferendo loro una forte identit.
Ma come avvenuto il passaggio da luogo privato e di frontiera tra il visibile e linvisi-
bile (Redoutey, 2002) ovvero vissuto furtivamente da singoli omosessuali a spazio della
visibilit pubblica e dellemancipazione di genere? Torre del Lago difatti non pi un luo-
go occasionale, ma ha una connotazione, un attributo sociale pi o meno accolto e condi-
viso dalla collettivit. Torre del Lago come luogo aperto, dove tutti vivono ed esprimono
la loro identit sessuale.
Che la Versilia sia terra di grande variet naturale e fervore culturale dimostrato da
numerosi studi (Izis, 2003 e 2008), ma Torre del Lago sempre stata considerata la Cene-
rentola della Versilia e ha avuto da parte degli amministratori di Viareggio una scarsa at-
tenzione. Anche lo sviluppo della frazione decisamente posteriore a quello di Viareggio,
gi frequentata dagli anni Venti dellOttocento per le cure legate alle bagnature. Proprio
in quel periodo il tratto di costa antistante Viareggio fu interessato dalla costruzione dei
primi stabilimenti balneari, secondo la moda di quelli gi dettati dalla francese Dieppe. A
questepoca risalgono i celebri e tuttora attivi stabilimenti Nettuno e Dori, che tuttavia non
dovevano essere gli unici: difatti in un documento del 1828 si legge che fu concessa auto-
rizzazione per la costruzione di capannelli per luso dei bagnanti (Fornaciari, 1983, p. 5).
Questo fu linizio della vocazione balneare della citt, che divenne nella belle poque una
delle mete balneari italiane pi in voga.
Ma non tutto il territorio comunale benefici di tale sviluppo e soprattutto Torre del La-
go, abitato stretto tra il Lago di Massaciuccoli, la Tenuta di Migliarino e la costa. Il territorio
torrelaghese, costituito da una fascia litoranea di dune coperte da pinete e da una zona in-
terna occupata dal lago e dalle paludi, vede uno sviluppo molto pi lento rispetto a Via-
reggio. Basti pensare che il suo pi illustre abitante, Giacomo Puccini, cui dopo la morte
nel 1924 il paese rese omaggio, considerava il posto come un rifugio proprio per la sua di-
mensione appartata rispetto a Lucca e a Viareggio (Izis, 2008). Circa un secolo dopo gli
esordi di Viareggio sorgono anche a Torre del Lago i primi stabilimenti balneari, conosciu-
ti con i nomi di Tibi, Bughere e Brigata, utilizzati pi dalla popolazione locale, per la loro
posizione amena e per la qualit scarsa dei servizi offerti.
Lo sviluppo di Torre del Lago legato in origine allestrazione della torba nei terreni in-
torno al lago e dal 1930 alla rappresentazione delle opere pucciniane su un palco di palafit-
te costruito davanti alla villa del maestro sul belvedere del lago. Proprio in quegli anni na-
sce la vocazione culturale della cittadina legata alla lirica che oggi, da oltre settantanni,
consacrata nel Festival Pucciniano. Tuttavia la dicotomia tra Viareggio e Torre del Lago per-
siste, restando questultima una localit secondaria nel turismo e un centro per lo pi resi-
denziale, con un debole sviluppo balneare. Proprio per il suo essere appartato e poco ac-
cessibile e per la presenza delle fitte pinete, questo territorio era considerato come insicuro
e frequentato da persone di dubbia moralit, immagine che venne amplificata da un cele-
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bre caso di cronaca nera, uno dei primi sequestri di persona in Italia effettuato a Viareggio
ai danni di un minore, rinvenuto poi cadavere proprio tra le dune di Torre del Lago (
9
). Su-
bito lepisodio venne legato a un gruppo di omosessuali locali e per la prima volta fu por-
tata alla luce la presenza di una comunit di omosessuali che erano soliti frequentare la
spiaggia tra Viareggio e Torre del Lago. Anche se le indagini e il processo che ne segu
smentirono molte ipotesi iniziali, il caso Lavorini e limmagine di Torre del Lago rimasero
indissolubilmente legati alle frequentazioni omosessuali della spiaggia e delle pinete.
Proprio la spiaggia della Lecciona, situata a met strada fra Viareggio e Torre del Lago,
da considerarsi come primo avamposto della frequentazione di genere gay, arenile che si
raggiunge soltanto dopo aver attraversato un lungo tratto di boscaglia e quindi riparato e
appartato. Frequentata da oltre settantanni, questa spiaggia divenuta nellultimo quindi-
cennio simbolo dellaccoglienza e della tolleranza verso le differenze di genere. Oggi
chiamata comunemente la principessa di tutte le spiagge LGBT italiane e nel 2003 fu vota-
ta attraverso il sito Gay.it come la migliore spiaggia gay italiana.
Il chilometro gay come contenitore di segni e significati della presenza della comunit
LGBT? Il risultato immediato la costruzione dellidentit del luogo, frutto del consenso
(da cum sentire), ovvero della partecipazione fra soggetti e territorio, rapporto che ne pla-
sma il volto e ne consolida la fisionomia (Vallega, 2003). Siamo dunque in presenza di un
nuovo genius loci? Linterrogativo ci riporta allampio dibattito nato in seno alla geografia
culturale, che sottolinea come un genius possa costruire un locus oggettivamente identifi-
cabile. Nel nostro caso il chilometro gay nasce in un territorio che ha in s proprie carat-
teristiche naturali, una propria identit scelta e segnata dalla fruizione turistica LGBT. Ma
un ulteriore passo stato compiuto: da luogo chiuso a frequentazione nascosta, Torre del
Lago diventata il luogo aperto verso lesterno per eccellenza, che aspira a inserirsi nelle
reti del turismo gay senza tuttavia perdere la propria identit e la propria dimensione terri-
toriale.
La sfida economica, ma anche politica, quella di riuscire a conciliare questa anima
trasgressiva con il turismo culturale di lite della lirica pucciniana, come componente di
una doppia anima territoriale, capace di interagire sinergicamente con la vocazione tradi-
zionale della Versilia, sfruttandone le potenzialit consolidate ma fornendo altres quel ca-
rattere di innovazione che il mercato del turismo costantemente richiede.
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184 Elena Izis e Paolo Macchia
(9) Si fa riferimento al caso Lavorini, che scosse lopinione pubblica italiana. Il 31 gennaio 1969
a Viareggio scompare il dodicenne Ermanno Lavorini. Il fatto suscita grande emozione in tutta Italia:
la notizia del sequestro di un ragazzino, il ritrovamento del cadavere, limponente spiegamento delle
forze dellordine, il rilievo dato dai media e limplicazione della comunit omosessuale locale apriro-
no nuovi scenari sulle frequentazioni gay della pineta, fino a quel momento sconosciute o sottaciute
(Guardone, 1985).
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www.mardigras.it
www.travelforgay.com
THE CHILOMETRO GAY: THE FIRST QUEER SPACE IN ITALY. THE CASE OF TORRE
DEL LAGO PUCCINI IN VERSILIA (TUSCANY). In this study we propose, we will focus
on the functional changes which characterize the reorganization of public spaces into an
environment where LGBT have the possibility to express themselves liberally. More in par-
ticular, we will pay close attention to the recent developments of Torre del Lago Puccini, a
small Italian town near Viareggio in Versilia (Tuscany), from an urban, economic and social
point of view. Over the last decade, Torre del Lago besides gaining a top position in Eu-
ropean rankings among popular places such as Amsterdam, Mykonos, Ibiza, Berlin and
Sitges transformed itself into by far the most popular touristic LGBT draw in Italy. Where-
as in the past this little fraction remained in the shadow of the nearby Viareggio and was
associated with a rather concealed presence of LGBT, often under the form of sexual en-
counters and prostitution, in the last couple of years we assisted at the opening of a large
number of LGBT clubs and discos. Their appearance at Torre del Lago favoured the open-
ing of restaurants, shops, pubs, as well as B&Bs which concentrate themselves specifically
on the LGBT clientele. Our intent is to examine both the geographical and territorial as-
pects of the above-mentioned evolution. Since no research has been done on this topic so
far, the conclusions of this study will be supported by statistical prove; more specifically by
data obtained directly from the club managers of the region.
Universit degli Studi di Pisa, Dipartimento di Scienze dellUomo e dellAmbiente
e.izis@geog.unipi.it
p.macchia@geog.unipi.it
186 Elena Izis e Paolo Macchia
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(1) Il termine mutuato dallinglese representational.
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 187-194
STEFANO MALATESTA
SUPERARE UNA DIDATTICA
EMINENTEMENTE RAPPRESENTAZIONALE
LEDUCAZIONE GEOGRAFICA PU DAVVERO ESSERE ATTIVA,
INDIVIDUALE E ATTENTA ALLE DIFFERENZE?
Introduzione. In Italia la scuola viene presentata come luogo, e come attore sociale,
di primo piano nella comprensione e nel superamento delle barriere culturali sulle quali si
fondano luoghi comuni e stereotipi relativi alle differenze di genere, etniche, di abilit fisi-
che e intellettuali (MIUR, 2004, 2007). Tale funzione si fonda sul paradigma del curricolo
(Williams, 1996), pensato come sistema aperto che promuove uneducazione attiva
costruita sullunicit fisica e intellettuale di ogni singolo individuo (e dunque anche sulla
sua diversit rispetto agli altri) e ha come strumento, non esclusivo ma assai rilevante, lin-
segnamento della geografia: sapere che forma cittadini del mondo autonomi e critici
(MIUR, 2007). Tuttavia, frequentemente viene trascurata la rilevanza dello iato esistente tra
le dichiarazioni contenute nei decreti ministeriali e nei testi curricolari e il contributo
didattico apportato dalle singole discipline. In questo senso utile chiedersi se, e come,
leducazione geografica, con il suo fondamento epistemologico e la sua dotazione meto-
dologica, svolga tale compito che le viene istituzionalmente assegnato.
Per problematizzare tale questione occorre concentrarsi su un nodo metodologico
basilare nellinsegnamento della geografia, ovvero la sua natura sostanzialmente rappre-
sentazionale (
1
). Tale natura sembra sminuire, nella pratica didattica, alcune dimensioni
eminentemente individuali, quali quella corporea, a vantaggio di un metodo che semplifi-
ca le differenze culturali, di abilit e di genere, proponendo un orizzonte di riferimento
unico, ovvero una rappresentazione visuale (cartografica o non) e convenzionale (cio
collettivamente comprensibile secondo le regole valide e accettate nel sistema socio-cul-
turale di riferimento) dello spazio.
Oltre la rappresentazione. Nella letteratura geografica, come sottolineano Colls e
Hrschelmann (2009), si parla di turn to the body da almeno quindici anni, periodo nel
quale cresciuta limportanza della teoria non-rappresentazionale (Thrift, 2008) o, secon-
do una definizione forse pi flessibile, pi-che-rappresentazionale (Lorimer, 2005). In
questo lavoro laspetto sul quale si vuole concentrare lattenzione la riflessione circa il
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contributo che il turn to the body ha apportato allo studio dei meccanismi di produzione
della conoscenza geografica nei bambini e nelle bambine e allinsegnamento della geo-
grafia (
2
). In questo senso la teoria non-rappresentazionale pu certamente essere consi-
derata utile alla messa in discussione dellegemonia visuale, cartografica e descrittiva che
governa la didattica della geografia, e per tale ragione viene utilizzata nel presente contri-
buto, tralasciando sia le implicazioni che riguardano i suoi legami con la fenomenologia,
sia la rilevanza che assumono le dimensioni emotive e il concetto di performance (Thrift,
2004), livelli che porterebbero la discussione troppo lontano dallobiettivo qui dichiarato.
Rappresentazione e insegnamento della geografia. La didattica nella scuola primaria
un punto di osservazione privilegiato se si riflette sullimplicito legame tra rappresenta-
zione e conoscenza geografica e sulla dominanza della prospettiva oculo-centrica, gi
criticata da diversi autori (Lorimer, 2005; Rose, 2001). Linsegnamento della nostra discipli-
na si avvale sistematicamente e, in taluni casi quasi esclusivamente, di un apparato meto-
dologico di natura visuale, attraverso il ricorso alla cartografia, alle mappe mentali, allin-
terpretazione del paesaggio e alla descrizione dei luoghi per mezzo di immagini. Ci non
deve indurre a ritenere che, seguendo una prospettiva rappresentazionale, sia impossibile
insegnare la geografia tenendo in considerazione le differenze tra i diversi individui.
Infatti, come mostra Ross (2005), analizzando le rappresentazioni soggettive dei luoghi
possibile applicare una lettura comparata sulle differenze tra i generi, le esperienze sog-
gettive o le abilit fisico-percettive. Tuttavia, nella prassi didattica, troppo frequentemente,
questa comparazione viene utilizzata dagli insegnanti esclusivamente come momento di
verifica delle abilit individuali di descrizione, narrazione e restituzione dei temi affrontati.
In questo modo si rinforza il ruolo della rappresentazione visuale come momento culmi-
nante del percorso di insegnamento-apprendimento della geografia. Su un altro piano, se
si pensa al concetto di senso del luogo, ribadito dalla maggioranza dei curricoli europei
come obiettivo fondamentale delleducazione geografica, ci si rende conto come venga
quasi sempre finalizzato alla presentazione grafica, narrativa o figurativa (attraverso
mappe mentali, narrazioni, progettazioni) dei desiderata o delle dimensioni simboliche
associabili a un luogo e dunque, come a livello metodologico prevalgano delle prassi emi-
nentemente rappresentazionali.
Il limite principale di questo approccio risiede nella difficolt di conciliare limportan-
za che la dimensione soggettiva occupa in qualunque esperienza spaziale e la forza nor-
mativa che esercitano i linguaggi abitualmente usati nella didattica (come quello cartogra-
fico, ad esempio). A ci si aggiunge la tendenza, gi ricordata, di legare la rappresentazio-
ne (in forma grafica, artistica o narrativa) alla verifica delle conoscenze acquisite, legame
evidente in qualunque percorso di educazione geografica nella scuola primaria.
Questi ostacoli sono superabili solo partendo dal presupposto che non esistano rap-
presentazioni corrette o scorrette della realt, ovvero carte fatte bene, o mappe mentali
che contengono i giusti landmarks, bens rappresentazioni che sono originate da diverse
percezioni, diversi vissuti e diverse abilit. A tal proposito, Kelly (2005) ricorda che, anche
quando si usa il medesimo codice rappresentativo, ad esempio la mappa mentale o la rap-
presentazione cartografica, la geografia dei bambini e delle bambine procede utilizzando
schemi e punti di vista differenti rispetto a quelli degli adulti.
188 Stefano Malatesta
(2) Si ricordano, in questo senso, soprattutto il contributo di Colls e Hrschelmann (2009), il
numero monografico recentemente dedicato dalla rivista Childrens Geographies (2008) e un lavoro
di Harker (2005).
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Superare una didattica eminentemente rappresentazionale 189
Certamente, pur partendo da tale premessa, negare la centralit didattica della dimen-
sione visuale appare un obiettivo molto arduo da perseguire. Tuttavia comunque possi-
bile pensare unalternativa che le sia complementare. A questo proposito Mulcahy (2010)
propone un confronto tra due modelli di insegnamento: il primo eminentemente rappre-
sentazionale e il secondo basato sulla dimensione corporea e sullazione come pratica
didattica. La sua riflessione centrata sulla limitatezza di un insegnamento fondato su
strumenti standardizzati. Lautore attualizza una visione secondo la quale le verifiche
oggettive e i curricoli, considerabili come dispositivi che organizzano temi, metodi e valori
(Malatesta, 2010), non siano solo supporti didattici che contengono categorie e nozioni,
ma strumenti che veicolano la conoscenza organizzando e normando linsegnamento. In
questo sistema linsegnamento tradizionale della nostra disciplina funziona perfettamente,
perch si basa su prodotti, apparati metodologici (la cartografia, il libro di testo) che si
possono riprodurre, possono circolare tra le scuole, sono standardizzabili, riconducibili
alle indicazioni curricolari e sono in linea con i percorsi di formazione degli insegnanti. In
altre parole, producono sicurezze (non solo didattiche) riguardo a cosa debba essere la
geografia, a cosa debba servire, a quali siano gli spazi allinterno dei quali debba essere
insegnata e riguardo ai metodi pi congeniali per farlo.
Inoltre, le metodologie tradizionali impongono una netta separazione tra lesperienza
soggettiva e gli strumenti didattici. Questi ultimi, per essere replicabili in diversi momenti
e per diversi individui, devono, in qualche modo, ridurre al minimo la soggettivit del vis-
suto spaziale e proporre un linguaggio comune, ad esempio la cartografia, al quale tutte le
rappresentazioni si possano conformare.
Una possibile alternativa a questo modello prevalente potrebbe essere quella di imma-
ginare un insegnamento nel quale si produca conoscenza attraverso la pratica e per il
quale gli strumenti didattici siano attivit (attive e processuali) di questa produzione e
non, come abitualmente accade, mere rappresentazioni di norme, nozioni e contenuti.
Rappresentazione e azione. I limiti di una didattica eminentemente rappresentazio-
nale sono evidenti a diversi livelli. Innanzitutto relativamente allesistenza di differenze
fisiche, di genere, di esperienza, di capacit percettive o di abilit descrittive e narrative
tra gli individui. Il punto non tanto affermare che le caratteristiche fisiche di un corpo
influenzano la percezione soggettiva dello spazio, ma comprendere come il processo che
lega esperienza, conoscenza e rappresentazione (ovvero la sequenza base della didattica
della geografia) non tenga in considerazione tutte le relazioni fisiche che gli individui svi-
luppano con lo spazio che li circonda, basti pensare alla difficolt di restituire in termini
rappresentazionali la complessit di unesperienza pluri-sensoriale nello spazio. Va ricor-
dato che lesplorazione dei luoghi attraverso il ricorso a tutte le facolt percettive una
prassi didattica nota anche nella scuola italiana, ma che, troppo spesso, la restituzione di
questi percorsi passa attraverso la rappresentazione dello spazio, entrando, inevitabilmen-
te, in una sfera dominata dalla prospettiva visuale. In secondo luogo, gli strumenti didatti-
ci che vengono usati nellinsegnamento della geografia sono, in ultima sostanza, sempre
prodotti statici, riproduzioni immobili della realt spaziale. Anche quando si tratta di
immagini in movimento o registrazioni video, non sono in grado di restituire la natura atti-
va e cinetica dellesperienza spaziale.
Nelleducazione geografica, infine, si cade spesso nellerrore di ritenere che la man-
canza di informazioni complete o di rappresentazioni cartografiche o visuali dello spazio
possa impedire lo sviluppo di forme corrette di conoscenza e azione. Si pensi, ad esem-
pio, agli utilizzi didattici prevalenti delle mappe mentali, concepite come strumento per
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comprendere come gli individui percepiscano e agiscano nello spazio, oppure come pas-
saggio obbligato in un percorso di educazione geografica che mira ad agire sul senso del
luogo dei bambini e delle bambine.
Se si considera che pu esistere unalternativa a una didattica eminentemente rappre-
sentazionale, questultima fondata sulla cartografia e sulla natura visuale dei meccanismi
di riproduzione della conoscenza geografica, allora si pu cercare di operare partendo
dalle differenze tra i soggetti (e da come queste differenze influiscano sulluso dello spa-
zio, sullazione e su come gli individui si muovono e trasformano lo spazio). Il nodo pi
complesso ruota certamente intorno allapplicabilit di questa prospettiva nella didattica
della geografia.
A questo proposito pu risultare interessante la riflessione di Lorimer (2005) sulla rile-
vanza che la pratica quotidiana negli spazi prossimali (nei giardini, nei cortili o nelle case)
pu esercitare per scardinare la dominanza visuale e rappresentazionale che si rileva nella
produzione di senso e di conoscenza geografica. Probabilmente occorre ragionare a que-
sto livello (che lautrice sviluppa in una direzione differente rispetto a quella qui seguita)
ovvero sul legame tra spazio prossimale e azione individuale.
Azione e spazio. Lazione e il movimento nello spazio possono essere considerati
come strumenti fondamentali per la didattica della geografia, chiaramente se si presuppo-
ne che lesperienza diretta sul campo sia un elemento centrale in un percorso di educazio-
ne geografica (Foskett, 1997). Questa affermazione trova riscontro se si pensa allutilit
didattica che rivestono alcune pratiche, come le esperienze museali, il teatro, lecoturismo
o la presa in carico (e la conseguente azione) da parte della cittadinanza di spazi come
orti, parchi urbani e altro. In questo senso Thrift e Dewsbury (2000) mettono in luce come
lazione e la natura fisica del nostro rapporto con lo spazio siano parte integrante della
produzione delle nostre geografie personali. La pratica quotidiana crea lo spazio, lo
modifica e lo costruisce a seconda di come in esso ci si muove, si agisce trasformandolo.
Occorre chiarire che ci non equivale a ritenere, in accordo con Ingold (1993), che il pae-
saggio che ci circonda sia influenzato e, in una certa misura, dipenda (o sia una derivazio-
ne diretta) dal nostro movimento nello spazio, prospettiva che in qualche misura riporta al
binomio percezione-rappresentazione, bens al pensare che leducazione geografica non
possa prescindere dal ritenere il corpo come il primo strumento di conoscenza dello spa-
zio e non possa fare a meno di lavorare considerando lo spazio nelle sue componenti fisi-
che e nei suoi legami con lazione dei soggetti, e non come mero palcoscenico da descri-
vere, rappresentare, disegnare o narrare.
In questo senso, Ward (1978) ha mostrato come si debba sempre pensare al bambino
e alla bambina innanzitutto come attori indipendenti, enfatizzando le loro dimensioni
individuali e soggettive e le loro relazioni personali e materiali con i luoghi (
3
). Lautore
parla di colonizzazione dello spazio prossimale. Trasferendo questa idea, dallambito
della geografia dei bambini (Holloway e Valentine, 2000) a quello della didattica, laula o
lo spazio domestico, secondo una letteratura ormai consolidata (Lorimer, 2005), rappre-
sentano il campo di lavoro privilegiato, ma non, come spesso accade, seguendo un meto-
do che considera lo spazio prossimale come un laboratorio per iniziare a lavorare sullo
sviluppo delle abilit di rappresentazione dello spazio, oppure come passaggio essenziale
per lacquisizione del linguaggio della geografia (attraverso la descrizione o la rappresen-
190 Stefano Malatesta
(3) Nel suo caso con i luoghi urbani.
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Superare una didattica eminentemente rappresentazionale 191
tazione visuale dei percorsi quotidiani o lutilizzo dello spazio scolastico e domestico,
come primo luogo da cartografare); bens cercando di capire come le pratiche quotidia-
ne non solo siano il modo in cui si agisce nello spazio, ma costruiscano la geografia per-
sonale degli individui. Se si ritorna alla riflessione sul ruolo della diversit, si pu com-
prendere come il punto chiave sia mettere a fuoco i modi attraverso i quali tali differenze
influenzano queste pratiche e, di conseguenza, come esse siano parte della costruzione
delle geografie private, a prescindere dalla rappresentazione spaziale che gli individui
restituiscono. Nel caso di alcune diverse abilit fisiche (
4
), ad esempio, un percorso di
educazione geografica possibile anche se i luoghi non vengono rappresentati o descritti
in termini codificati e comprensibili da tutti.
Corpo e scala. Colls e Hrschelmann (2009) mettono in luce come raramente, in
geografia, il ruolo dei bambini e delle bambine, e delle loro esperienze spaziali, sia stato
preso sul serio. Considerazione che fa il paio con quanto affermato da Holloway e
Valentine (2000) circa ladulto-centrismo che domina lidea stessa di spazio urbano e la
relazione tra luoghi ed esseri umani. Questo limite pu essere superato quando si riflette
sulleducazione geografica, a patto che si consideri lindividualit di ogni bambino e bam-
bina e si superi unottica nella quale la norma e il codice rappresentazionale (la carta geo-
grafica o le mappe mentali) siano lunico orizzonte di riferimento. Lalternativa costituita
dalla centralit della dimensione corporea nel processo di conoscenza spaziale. In genera-
le, nelleducazione geografica e, in particolare, in alcuni curricoli europei, si cercato di
lavorare in questa direzione, introducendo la multisensorialit come approccio base allo
spazio e allinsegnamento della geografia e dichiarando esplicitamente il valore educativo
delle differenze. Tuttavia, prima di operare nella direzione indicata in tali testi, occorre
chiarire cosa sia il corpo, non in senso generale rispetto allo spazio, ma in relazione alle-
ducazione geografica. Il corpo il primo livello di scala al quale lindividuo agisce spazial-
mente, o meglio, la relazione tra corpo e spazio prossimale costituisce questo primo livel-
lo scalare. Lisolato, il quartiere o la citt, volendo rimanere a una dimensione locale, in un
percorso di educazione spaziale, sono sempre, inevitabilmente, conseguenti rispetto alla
geografia del vicino e dello spazio prossimale. In questa distinzione racchiuso il senso
del ragionamento qui prodotto. Le scale superiori (il quartiere, la citt) sono inequivoca-
bilmente legate alla rappresentazione dei luoghi e degli spazi, alla loro narrazione e alla
necessit di costruire un immaginario condiviso e, in una certa misura, codificato; al con-
trario, la scala che corrisponde alla geografia prossimale si costruisce attraverso lazione, il
movimento e il ruolo attivo del corpo. Su questo piano si gioca la complementarit tra le
due prospettive didattiche discusse in precedenza. La scelta di scala sempre una scelta
di carattere metodologico, soprattutto nellinsegnamento della geografia. Scale differenti
implicano metodi e prospettive differenti, persino alternative, se si accetta che la costru-
zione della conoscenza geografica possa passare anche attraverso una scala pi-che-loca-
le, nella quale il movimento, lazione e la trasformazione dello spazio attraverso il corpo
sono pi importanti della sua rappresentazione o della descrizione delle sue componenti
costitutive. Perch lobiettivo delleducazione geografica, a questa scala, non lacquisi-
zione di un linguaggio codificato, trasmissibile e comprensibile per descrivere il mondo,
bens la consapevolezza delle relazioni fisiche e soggettive tra il proprio corpo e lo spazio
prossimale.
(4) Si vedano, a tal proposito, i lavori di Allen (2004) e Holt (2007).
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Superare la rappresentazione? La distinzione proposta nel paragrafo precedente
corrisponde, in molti curricoli europei, alla separazione tra la sfera delle preconoscenze,
delle dimensioni predisciplinari, della didattica dellinfanzia e di quella dei saperi discipli-
nari, cio tra scuola dellinfanzia e scuola primaria. Viene in questo modo applicata una
logica progressiva secondo la quale, una volta entrati nella dimensione disciplinare, si pri-
vilegia un metodo rappresentazionale e, pur dichiarandola quale elemento fondamentale,
si tende a trascurare la scala corporea.
Si tratta di una prospettiva limitante, perch allo sviluppo delle conoscenze geografi-
che non dovrebbe, automaticamente, corrispondere una perdita di rilevanza di questa
scala. A livello didattico, probabilmente, la domanda corretta da porsi come cercare di
mantenere pi a lungo in primo piano questa dimensione. Si tratta di un nodo particolar-
mente delicato se si considera che i meccanismi di produzione della conoscenza geografi-
ca, i metodi e linsegnamento della nostra disciplina sono irrimediabilmente legati alla
rappresentazione dello spazio, e che questo legame viene sancito statutariamente nelle-
ducazione geografica, ogni qualvolta si cerca di definire cosa debba insegnare la geografia
e come debba farlo. Per esempio un possibile punto di partenza potrebbe risiedere nella
presa di coscienza della necessit di un ampliamento dellapparato strumentale che viene
usato nella didattica della geografia, nellintroduzione di approcci e metodi che siano
complementari rispetto alla dimensione visuale e rappresentazionale.
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OVERCOME THE REPRESENTATIONAL APPROACH TO SCHOOL GEOGRAPHY. CAN
GEOGRAPHICAL EDUCATION BE ACTIVE, SUBJECTIVE AND DIFFERENCE-ORIENTED?
During the last decade both the well-known turn to the body and the non-representa-
tional theory have pointed out the importance of actions, performances and daily life
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 193
spaces in the production of private Geographies. Even if, during the same period, bodies
and daily life spaces have been included as topics and tools of many European
Geographical Curricula, we can affirm that the legacy of representative and visual
methodologies, such as maps reading, visual representation of landscapes and mental
maps, is still keeping its historical predominance in the teaching of Geography. According
to Lorimer work on more-than-representational knowledge, and to the critical analysis of
the oculo-centrism of Geography, the contribute discuss the visual and representative
approach to Geographical Education, underlining how this could be considered a mighty
limit for the development of teaching practices that work on differences (instead of deny-
ing and trying to overcome them) and emphasize the private and subjective relation
among children and spaces.
Universit degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la
Formazione Riccardo Massa
stefano.malatesta@unimib.it
194 Stefano Malatesta
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 194
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 195-203
ENRICO SQUARCINA - MARINELLA BALDUCCI - FIAMMETTA MARTEGANI
RAGAZZE E RAGAZZI
NELLA GEOGRAFIA DEI LIBRI SCOLASTICI (*)
Donne non si nasce, si diventa... Simone de Beauvoir, nel 1949, riferendosi alliden-
tit di genere, afferm che donne non si nasce, lo si diventa, sottolineando cos, da una
parte, il carattere costruito e sociale dellidentit di genere e, dallaltra, la necessit di in-
dagare sui meccanismi e sulle istituzioni sociali che concorrono alla sua costruzione.
Listituzione scolastica, oltre a trasmettere quelle conoscenze ritenute indispensabili
per la partecipazione alla vita economica e sociale della comunit, uno strumento di dif-
fusione di quei valori e di quei comportamenti sui quali la societ stessa si basa, di quel
senso comune che , secondo Gramsci (1975), fondamento dellegemonia culturale,
strumento di naturalizzazione della visione del mondo della classe (e, per estensione, del
genere) dominante.
Uno dei principali enti volti alla costruzione di una cultura diffusa condivisa e normal-
mente accettata acriticamente , quindi, la scuola, in particolare la scuola primaria, che da
una parte, proprio per lelementarit dei concetti che trasmette, viene ritenuta dal grande
pubblico scevra da ogni ruolo politico e metapolitico e, dallaltra, proprio perch rivolge i
propri contenuti didattici a individui in via di formazione, ha un ruolo importante nella tra-
smissione e perpetuazione di concetti, punti di vista, costruzioni spaziali, costruzioni iden-
titarie e di genere che costituiscono il senso comune.
Anche le discipline scolastiche, nonostante sia loro attribuita oggettivit scientifica,
sono veicoli di diffusione del senso comune (Squarcina, 2009). La Geografia, per la sua
presunta capacit di descrivere in modo oggettivo e distaccato la realt (Farinelli, 1992), e
contribuendo a costruire luoghi sessualmente connotati (Cortesi, 2007; Borghi e Rondino-
ne, 2009), particolarmente coinvolta in questa dinamica.
Nella scuola primaria lattivit didattica degli insegnanti si svolge prevalentemente in
forma orale, senza quindi lasciare testimonianze materiali facilmente reperibili circa i con-
tenuti trasmessi agli alunni; inoltre, tuttora, il libro di testo utilizzato da molti insegnanti
come prevalente, se non unica, guida allattivit didattica (De Vecchis e Staluppi, 1997; Le
Roux, 2005), anche quando si riscontrato che i libri di testo propongono una Geografia
diversa da quella suggerita dalle indicazioni ministeriali (Balducci, 2009).
(*) Pur essendo il risultato di una riflessione comune, al fine dellattribuzione delle parti si preci-
sa che a Enrico Squarcina da attribuire il primo paragrafo, a Marinella Balducci il secondo paragrafo
e a Fiammetta Martegani il terzo paragrafo.
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Per analizzare questo ruolo della Geografia nella scuola primaria si condotta una ri-
cerca sui libri di testo e in particolare si sono analizzate le sezioni di Geografia di cinquan-
ta sussidiari pubblicati recentemente, tra il 2000 e il 2009 (
1
).
Nel 1999 venne promosso, dal Dipartimento per le Pari Opportunit del Ministero della
Pubblica Istruzione e dallAssociazione Italiana Editori, il progetto Polite, codice di autore-
golamentazione, sottoscritto dai principali editori scolastici italiani, che detta alcune regole
per la costruzione di libri di testo volte alleliminazione di ogni discriminazione di genere,
relativamente ai seguenti punti: evitare gli stereotipi sessuali, fornire rappresentazioni
equilibrate delle differenze, promuovere la formazione a una cultura della differenza di ge-
nere, ripensare al linguaggio, aggiornare e adeguare la scelta delle illustrazioni (Mapelli e
Seveso, 2003). La scelta di questo intervallo temporale ha permesso di verificare, al di l
delladesione formale da parte degli editori al progetto Polite, ladesione sostanziale alle
istanze proposte da questo codice.
stato dunque analizzato il campione di libri di testo facendo riferimento ad alcuni ele-
menti significativi. Innanzitutto si verificata ladesione o meno al progetto Polite; si veri-
ficato poi se e quanto frequentemente la Geografia venisse indicata quale scienza da uo-
mini, utilizzando cio solo il genere maschile per indicare tutte le figure di studiosi/e che
operano allinterno della disciplina; in seguito si verificato quanto frequentemente, nei
diversi sussidiari presi in esame, il termine uomo indicasse in realt lintero genere uma-
no; si poi deciso di analizzare anche il modo in cui i testi presentano i diversi ruoli socia-
li e quanto questi rispondano a una logica di genere.
Partendo poi dalla considerazione che nei sussidiari un ruolo silenziosamente premi-
nente svolto dalle immagini, si sono prese in esame le diverse tipologie di rappresenta-
zione iconica (foto, disegni, schemi) per comprenderne il loro eventuale contributo nella
costruzione di stereotipi di genere.
Le parole hanno un peso... Venendo ai risultati della ricerca bisogna innanzitutto se-
gnalare come, sul campione di 50 volumi, ne aderiscano al progetto Polite solo 14. Ci che
per colpisce maggiormente il fatto che le discriminazioni di genere sono presenti, sia
pur in quantit minore e in modo pi larvato, anche nei testi che aderiscono al codice di
autoregolamentazione, a dimostrazione di come la pi o meno sottile discriminazione di
genere sia radicata nel senso comune a tal punto che gli autori non si rendono conto di
perpetrarla, facendo cos, proprio dei libri di testo, nonostante le buone intenzioni di auto-
ri e/o editori, un volano della loro diffusione.
Nella grande maggioranza dei libri analizzati la disciplina geografica viene presentata
come una scienza da uomini. Infatti per presentare efficacemente e in modo suggestivo
questa disciplina, spesso viene introdotta la figura del geografo di cui si descrive, sia pur
in modo semplice, adatto al pubblico di giovanissimi lettori, le metodologie e gli strumenti
di lavoro. Non solo per la parola geografo, cos come cartografo, sempre coniugata al
maschile, come se non esistessero geografe e/o cartografe, ma anche le immagini di geo-
grafi e/o cartografi rappresentano, tranne in un caso in cui presente una cartografa (Ban-
derali e altri, 2006, p. 47), solo soggetti maschili.
stato possibile reperire prova dellimplicita trasmissione di pregiudizi di genere an-
che constatando il largo utilizzo del termine uomo per definire la totalit del genere uma-
no, elemento particolarmente significativo allinterno di testi di Geografia, in quanto scien-
za che studia il rapporto tra le societ umane e lambiente, suggerendo cos in modo lar-
196 Enrico Squarcina, Marinella Balducci e Fiammetta Martegani
(1) Se ne veda lelenco in calce.
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Ragazze e ragazzi nella geografia dei libri scolastici 197
vato, ma insidioso che questo rapporto e la conseguente costruzione dei diversi paesaggi
terrestri sia opera solo della parte maschile dellumanit.
Lutilizzo del genere solo ed esclusivamente maschile, inoltre, relativo anche ai nomi
che descrivono le diverse attivit produttive svolte nelle diverse regioni o Stati presi in esa-
me dal libro di testo.
Le sezioni di Geografia dei libri di testo, affrontando il tema della complessit del mon-
do del lavoro della regione italiana, presentano diversi ruoli lavorativi e sociali. General-
mente nei ruoli socialmente riconosciuti come pi elevati sono rappresentati dei maschi,
nei ruoli meno elevati o di servizio sono rappresentate femmine.
Per citare soltanto alcuni esempi significativi: nel libro La rete dei saperi di classe quar-
ta, pubblicato nel 2001, quando si citano gruppi umani si usa sempre il maschile (lavorato-
ri, italiani, immigrati, pescatori, artigiani...). A pagina 131, in particolare, si legge: [...] si
scoprono antichi mestieri che gli artigiani si tramandano di padre in figlio: ceramiche, og-
getti in rame, merletti a tombolo, pipe di legno, giocattoli, strumenti musicali, cappelli, pel-
lami, calzature, mobili, carta (Ponchia, 2001a). Considerando, non solo che buona parte di
queste produzioni opera anche di personale femminile, ma, soprattutto, che il merletto al
tombolo prodotto, a nostra conoscenza, solo da personale femminile, sarebbe stato il ca-
so di precisare che si tratta di abilit tramandate non solo di padre in figlio, ma anche di
madre in figlia.
Nel testo Iperlibro di classe quinta, pubblicato nel 2005 e aderente al progetto Polite
(Bresich, 2005b), a pagina 253 si legge: Allindustria poi si affianca lattivit di molti artigia-
ni (idraulici, elettricisti, meccanici, elettrotecnici), non facendo alcun riferimento ad altre
attivit produttive svolte da artigiane e precludendo, a priori, che i suddetti lavori possano
essere svolti da donne; a pagina 277, per spiegare lorganizzazione in cooperative nel set-
tore agricolo e artigianale, si legge: i lavoratori emiliani e romagnoli, non riconoscendo al
genere femminile alcun ruolo economico e lavorativo in tale settore.
Anche in sussidiari pi recenti, non aderenti al progetto Polite, si riscontra tale aspetto.
Fig. 1 Misteri al castello, classe 5
a
(Amulfi, 2005b, p. 263)
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Nel volume di classe quinta di Scoperte, del 2009, tutti i nomi sono sempre espressi al ma-
schile (sarto, artigiano, cittadino/i, lavoratori, medici, avvocati, ingegneri, commercialisti,
venditori, turisti...), e anche quando ci si riferisce agli abitanti di una regione italiana, si usa
solo il maschile (Studio Arcobaleno, 2009).
A sua immagine e somiglianza... A tale proposito, pi che il testo, le immagini rimar-
cano sempre la prevalenza del genere maschile quale elemento che contribuisce al benes-
sere e alla produttivit economica del territorio, confinando nella maggior parte dei casi le
donne a lavori socialmente percepiti come marginali o relegandole ai compiti specifici
dellaccudimento della famiglia, della casa (fig. 1) o come strumento per la trasmissione
dellidentit nazionale o territoriale. Ad esempio, nel volume La rete dei saperi (Ponchia,
2001a), nelle pagine dedicate alle regioni italiane, campeggia sempre una figura femminile
in costume tradizionale, mentre nel volume Progetto domino spesso, nelle pagine dedicate
ai singoli Stati, sono pubblicate immagini di donne in costume tradizionale (Koehler e
Bianchi, 2002c, pp. 280, 287, 295, 301) quasi a voler suggerire la corrispondenza tra donna
e tradizione e, per estensione, tra donna e identit tradizionale di una regione.
Qualora le donne svolgano lavori socialmente rilevanti sono comunque nella maggio-
198 Enrico Squarcina, Marinella Balducci e Fiammetta Martegani
Fig. 2 Copertina del volume
Come Robinson, classe 5
a
(Amulfi, 2002c)
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 198
Ragazze e ragazzi nella geografia dei libri scolastici 199
Fig. 3 Poster in giro tra i
saperi, classe 5
a
(DAmore,
2009c, p. 82)
ranza dei casi attivit legate al settore terziario, cio di servizio al genere umano, che si
tratti del mestiere di impiegata o di infermiera, ma raramente del medico (Amulfi, 2005a, p.
263). Allo stesso modo, sono altrettanto rari i casi in cui la donna viene rappresentata nelle
vesti di un ruolo pubblico o istituzionale, e persino quando viene rappresentata nelle vesti
di militare appartiene comunque alle forze di pace, quasi a rappresentare una sorta di an-
gelo salvifico (Fumagalli, 2003, p. 110).
Nelle sue diverse rappresentazioni, la donna in ultima analisi tende a risultare mero
oggetto da osservare, quasi come se fosse parte del paesaggio, il cui sguardo invece ri-
servato alluomo, esploratore per definizione, tanto che come metafora della scoperta del
mondo, allinterno dei libri di testo, si ricorre spesso allutilizzo di personaggi appartenenti
al mondo della fantasia, tuttavia quasi sempre maschili, come nel caso emblematico di Ro-
binson Crusoe, a cui dedicato un intero libro di testo: Come Robinson (fig. 2).
rilevante notare come in certi casi le immagini addirittura contraddicano palesemente
i testi, producendo dissonanze tra luso della parola uomo e lutilizzo arbitrario di imma-
gini che rappresentano invece (e spesso soltanto) donne. Ad esempio, il titolo di un para-
grafo recita: Uomini del deserto, ma nelle illustrazioni sono invece ritratte delle ben pi
esotiche donne (Amulfi, 2002c, p. 171); oppure, facendo riferimento al rapporto uomo-
ambiente, viene mostrata, attraverso un processo discorsivo di matrice orientalista (Mar-
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 199
200 Enrico Squarcina, Marinella Balducci e Fiammetta Martegani
Fig. 4 Come Robinson, classe 5
a
(Amulfi, 2002c, p. 225)
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 200
Ragazze e ragazzi nella geografia dei libri scolastici 201
tegani, 2009) una donna (di cui non sappiamo le origini, ma dai tratti decisamente esotici)
intenta nel lavoro dei campi (fig. 3).
Alla donna, quindi, nella quasi totalit dei casi, nonostante gli sforzi e gli intenti, si ri-
serva ancora il ruolo di angelo della casa, anche quando i confini della dimora travalica-
no le mura domestiche.
Attraverso lanalisi delle immagini emerge dunque in modo paradigmatico la ricorrente
riproduzione discorsiva della dicotomia Natura/Cultura in rapporto ai due generi, in cui la
donna, attraverso un processo di orientalismo e di esoticizzazione risulta indissolubil-
mente legata al tema Terra Madre, al punto talvolta di venir assimilata al paesaggio stesso,
come nel significativo caso in cui, per descrivere lIndia, la donna, rappresentata assieme
alla tigre, finisce col far parte di ununica macro-rappresentazione di un paesaggio dellIn-
dia monolitico che, in quanto tale, risulta esotico per definizione (fig. 4).
Al di l del pervasivo processo di (ri)produzione di antichi e ormai considerati superati
stereotipi di genere, questo insieme di rappresentazioni dei luoghi e degli spazi di genere,
di tipo dicotomico ed eteronormativo, non permette in alcun modo di lasciare emergere
uno spazio per lalterit e la differenza.
Poich i testi scolastici rappresentano il mondo e, anzi, a causa dellautorit che viene
loro riconosciuta, sono considerati dagli alunni e dalle alunne come il mondo esemplare,
ogni rappresentazione di genere di tipo discriminatorio viene naturalmente letta in modo
acritico e pertanto data per scontata e accettata in quanto tale. Ci auguriamo che una lettu-
ra critica da parte degli editori innanzitutto, e in seguito in classe, possa accompagnare le
ragazze e i ragazzi verso la scoperta del mondo come spazio della differenza.
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, Milano, Paravia e B. Mondadori, 2002 (b).
CATTANEO A., I colori del sapere, classe 5
a
, Milano, Paravia e B. Mondadori, 2002 (c).
CORNO M., Voyager, classe 4
a
, Milano, Elmedi, 2008.
DAMORE B. e altri, Poster in giro tra i saperi, classe 3
a
, Firenze, Giunti Scuola, 2009 (a).
DAMORE B. e altri, Poster in giro tra i saperi, classe 4
a
, Firenze, Giunti, 2009 (b).
DAMORE B. e altri, Poster in giro tra i saperi, classe 5
a
, Firenze, Giunti, 2009 (c).
DANIELLO E. e G. MORONI, Millennium, classe 3
a
, Milano, Immedia Editrice, 2003.
DE MAURO S., Tuttifrutti, classe 3
a
, Milano, Paravia-Mondadori, 2004.
DE MICO D. e altri, Il navigatore, classe 3
a
, Milano, Signorelli, 2000.
EQUIPE DIDATTICA PIEMME SCUOLA, Pensare fare capire, classe 3
a
, Milano, Piemme,
2002.
FANELLI S. e altri, Urr, classe 3
a
, Torino, Il Capitello, 2008 (a).
FANELLI S. e altri, Urr, classe 4
a
, Torino, Il Capitello, 2008 (b).
FANELLI S. e altri, Urr, classe 5
a
, Torino, Il Capitello, 2008 (c).
FUMAGALLI M.G., Saperi in rete, classe 3
a
, Brescia, La Scuola, 2003 (a).
FUMAGALLI M.G., Saperi in rete, classe 4
a
, Brescia, La Scuola, 2003 (b).
FUMAGALLI M.G., Saperi in rete, classe 5
a
, Brescia, La Scuola, 2003 (c).
KOHELER R., Amico sole, classe 3
a
, Milano, Fabbri, 2004.
202 Enrico Squarcina, Marinella Balducci e Fiammetta Martegani
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 202
Ragazze e ragazzi nella geografia dei libri scolastici 203
KOHELER R. e S. BIANCHI, Progetto domino, classe 3
a
, Milano, Fabbri, 2002 (a).
KOHELER R. e S. BIANCHI, Progetto domino, classe 4
a
, Milano, Fabbri, 2002 (b).
KOHELER R. e S. BIANCHI, Progetto domino, classe 5
a
, Milano, Fabbri, 2002 (c).
MANGANARO V., Big Bang, classe 4
a
, Brescia, La Scuola, 2009 (a).
MANGANARO V., Big Bang, classe 5
a
, Brescia, La Scuola, 2009 (b).
PONCHIA S. e altri, La rete dei saperi, classe 4
a
, Milano, Immedia Editrice, 2001 (a).
PONCHIA S. e altri, La rete dei saperi, classe 5
a
, Milano, Immedia Editrice, 2001 (b).
PONTARA G., Lo studialibro, classe 5
a
, Milano, Fabbri, 2003.
PROGETTO ERRE, Ioi, classe 4
a
, Novara, De Agostini, 2006 (a).
PROGETTO ERRE, Ioi, classe 5
a
, Novara, De Agostini, 2006 (b).
PROGETTO ZOI, Shangai, classe 4
a
, Brescia, La Scuola, 2008 (a).
PROGETTO ZOI, Shangai, classe 5
a
, Brescia, La Scuola, 2008 (b).
STUDIO ARCOBALENO, Scoperte, classe 5
a
, Milano, Fabbri, 2009.
VALENTI P. e S. MAFFEIS, Il sapere di base, classe 5
a
, Bergamo, Atlas, 2006.
GIRLS AND BOYS AND ITALIAN SCHOOL BOOKS. After more than fifty years, the
famous Simone De Beauvoirs quote One is not born, but rather becomes, a woman
(1949) results still relevant, particularly in the Italian world of school and school books.
The educational institution, in fact, as well as transmitting knowledge considered essential
for the participation in the economic and social life, it takes a relevant part inside the
process of common sense building, which is the fundamental for the development of
cultural hegemony Gramsci (1975), as instrument to take for granted the worldview by
the dominant (and gendered) part of the society. Primary school, especially, represents a
crucial role in the transmission and perpetuation of ideologies, political points of view, and
identity construction through space and gender paradigms. Every discipline, in fact, de-
spite their scientific objectivity is an instrument for the development of common sense.
Geography, also, involved in the specific process to describe an objective reality, con-
tributes to build sexualized and gendered places. In order to analyze the specific role of
geography in primary schools, we have conducted our research on geography school
books, which are still used by many teachers as fundamental guide to teaching. In particu-
lar, we have analyzed the sections on geography in fifty school text published in Italy be-
tween 2000 and 2009, in order to analyze as geography is always descript as men disci-
pline, with a specific gendered language and peculiar gendered representations (and pic-
tures) of the world.
Universit degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la For-
mazione Riccardo Massa
enrico.squarcina@unimib.it
marinella.balducci@alice.it
fiammuccia@hotmail.com
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02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 204
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 205-212
LORENZO BAGNOLI
CHINATE SULLAGO, SU RAPIDA SPOLA,
SU FERRO CHE SCORRE, SU RUOTA CHE VOLA
GENDER, CULTURAL E POST-COLONIAL STUDIES DALLULTRACENTENARIO
PERIODICO LA LAVORATRICE
Introduzione. La fine del XIX e linizio del XX secolo vedono nel nostro paese raffor-
zarsi e affermarsi la massiccia industrializzazione delleconomia, soprattutto nelle regioni
nord-occidentali. Conseguentemente anche in Italia, come gi avvenuto nei paesi dellEu-
ropa settentrionale, si intensificano tutti i problemi sociali legati a questo processo, quali le
rivendicazioni salariali, gli scioperi e le serrate, gli scontri fra i padroni e gli operai, cui fan-
no progressivamente seguito le riforme del diritto del lavoro, lorganizzazione degli occu-
pati in categorie, la nascita di societ fra lavoratori. In particolare, queste ultime sono a li-
vello locale sovente comunale o addirittura di frazione una risposta alle nuove neces-
sit dei salariati che caratterizza il panorama sindacale italiano fino alla seconda guerra
mondiale, quando laffermazione dei grandi sindacati nazionali toglie loro significato ridu-
cendole, laddove permangono, a ricoprire altri ruoli che le rendono oggi assimilabili ad as-
sociazioni pro loco.
A Rivarolo Canavese (Torino) presente, e sorprendentemente attiva, lultima sezione
di una societ di patronato che ha avuto nel passato unimportanza straordinaria per la tu-
tela di una particolare categoria: le giovani operaie. Fondata nel 1901 nel capoluogo subal-
pino, di l si diffuse fino ad avere una cinquantina di sedi distribuite in tutta Italia, progres-
sivamente chiuse a esclusione di quella rivarolese, per un totale di pi di un centinaio di
migliaia di associate. Si tratta della Societ Nazionale di Patronato e Mutuo Soccorso per le
Giovani Operaie, altrimenti nota come Opera Nazionale Cesarina Astesana dal nome della
sua fondatrice (1858-1946), una benemerita torinese che aveva dedicato tutta la sua vita al-
la causa delle lavoratrici italiane (Gallicet, 1951).
Presso la sede di Rivarolo sono conservate, oltre a numerosi documenti darchivio che
necessiterebbero di unaccurata catalogazione, le annate del mensile La Lavoratrice, orga-
no ufficiale della Societ pubblicato dal gennaio 1902 a tuttoggi. Tale raccolta, seppure la-
cunosa ma integrata per la stesura del presente lavoro con le copie conservate presso la
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze costituisce una fonte interessantissima per lo
studio delle condizioni occupazionali delle lavoratrici italiane e per il ruolo che unorganiz-
zazione istituita per la loro tutela ha avuto nel corso di pi di un secolo.
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La Societ Nazionale di Patronato e Mutuo Soccorso per le Giovani Operaie. Le fina-
lit principali della Societ, i pi importanti risultati ottenuti e gli strumenti pi spesso uti-
lizzati sono brevemente riassunti in una relazione pubblicata sulla Lavoratrice in occasio-
ne del venticinquesimo anniversario di fondazione:
Cesarina Astesana fece sempre suoi gli interessi delle operaie e si ado-
per con buon esito in ispecie per le addette allOpificio Militare, alla
Farmacia Militare, alle Manifatture Tabacchi di Torino e di Venezia, per le
setaiuole e altre, ottenendo loro miglioramenti economici e vantaggi sociali
di notevole importanza. Per la nostra Presidente Generale non solo difese i
diritti delle operaie ma ne addit anche i doveri, e cerc sempre il loro
benessere non a prezzo di violenze, ma per vie pacifiche e legali, compo-
nendo scioperi e controversie tra padroni e dipendenti [maggio 1926, p. 3].
La Societ, infatti, come dagli articoli 2 e 3 del suo Regolamento, si propose principal-
mente il compito di procurare [alle Socie] il vantaggio morale, mediante lappoggio e las-
sistenza, il vantaggio materiale, mediante sussidio in tempo di malattia e, possibilmente, il
collocamento delle Socie disoccupate, il componimento delle controversie fra operaie e
padrone e ogni possibile miglioramento delle condizioni economiche delle ascritte (gen-
naio 1902, p. 3). I vantaggi per le associate, che pagavano un quota individuale mensile di
0,25 lire, consistevano allora in un sussidio di 0,50 lire giornaliere in caso di malattia per un
periodo massimo di 60 giorni annui o di 5 lire in caso di puerperio. Oltre al mutuo soccor-
so, la Societ offr progressivamente colonie alpine e marine, ricreatori e circoli festivi,
scuole festive e serali di studio e professionali, conferenze mensili e settimanali, teatri so-
ciali, gite e passeggiate, una biblioteca circolante, case-famiglia per le socie dai 15 ai 25 an-
ni, laboratori sociali, consultori legali, cure mediche e ostetriche, anche a domicilio e a ta-
riffa ridotta, liscrizione alla Cassa nazionale di previdenza, la cooperazione per il piccolo
risparmio e tanti altri servizi.
Fra i risultati conseguiti per il miglioramento delle condizioni delle operaie, oltre a
quelli gi accennati, dalla lettura della Lavoratrice si pu apprendere che nel 1907 costi-
tuiva gi una vittoria sindacale un concordato, siglato fra la Societ, lAssociazione serica e
la Lega industriale del Piemonte, che fissava lorario di lavoro per le operaie a dieci ore e
mezza giornaliere, intervallate da due ore di riposo per il pranzo (maggio 1907, p. 1); che
fu solo nel 1908 che dopo quattro anni di lotta di lavoro incessante, finalmente [] il ripo-
so festivo si dovr fra non molto osservare in tutti i laboratori, qualunque sia il numero del-
le operaie che vi lavorano (marzo 1908, p. 1); che nel 1911 si lottava ancora per ottenere
un orario fisso di dieci ore nei giorni feriali, un proporzionato compenso per le ore straor-
dinarie di lavoro, losservanza del riposo per tutto lintero giorno festivo e per labolizione
del travet cio del turno di lavoro fra le ore 12 e le 14 (giugno 1911, p. 5); che nel 1919
sembrava vicino il riconoscimento del diritto di voto alle donne (settembre 1919, p. 1).
Le vie pacifiche e legali cui si fatto cenno nel passo succitato e che rappresentarono
una costante dellazione della Societ si concretizzavano per esempio nel non accettare in-
serzioni pubblicitarie su La Lavoratrice da parte dei proprietari di laboratori che non rispet-
tavano la legislazione sul lavoro (gennaio 1902, p. 1) o addirittura nel denunciarne pubbli-
camente i nomi (ottobre 1903, p. 1); oppure nel placare gli scontri violenti fra i datori di la-
voro e le lavoratrici, proponendo in loro luogo il dialogo e il compromesso, come nel caso
delle agitazioni a Canneto sullOglio (Mantova) (settembre 1907, p. 1); ancora nel seguire at-
tentamente liter delle leggi sulla tutela della condizione femminile, come successe per la
legge 520 del 17 luglio 1910 sulla Cassa di maternit, e di verificarne lattuazione (agosto
1913, pp. 1-2); infine nel curare la formazione professionale e culturale delle associate.
206 Lorenzo Bagnoli
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Gender, cultural e post-colonial studies dallultracentenario periodico La Lavoratrice 207
Non si deve infatti dimenticare che allinizio del Novecento let alla quale le persone
iniziavano a lavorare era in Italia ancora molto bassa (tanto che liscrizione alla Societ, a
norma dellart. 4 del Regolamento, era aperta fin dal compimento dellundicesimo anno di
et) e che quindi presso le operaie il tasso di analfabetismo era molto elevato e il grado di
formazione professionale al contrario molto basso. La Societ, pertanto che in un primo
momento si rivolgeva soprattutto alle lavoratrici dellago che a Torino ammontavano, sia
in fabbrica sia a domicilio, a circa 30.000 (giugno 1911, p. 5) e che, successivamente, con
lapertura di altre sedi o succursali, si allarg ad altre categorie (aprile 1910, p. 1; aprile
1912, p. 1) si impegn fin dallinizio a diffondere istruzione e formazione presso le sue
associate per soddisfare un legittimo bisogno di sapere, per elevare la vostra mente e sot-
trarvi alla monotonia dun lavoro sempre eguale e alla stanchezza (marzo 1911, p. 1).
Per questo compito la Societ si avvaleva della collaborazione di numerosi volontari,
prime fra tutte le patronesse, donne dellaristocrazia e dellalta borghesia iscritte alla So-
ciet sotto unaltra categoria rispetto alle operaie cui presto si affiancarono le sovrane e le
principesse di Casa Savoia con il loro alto patronato che, nella loro gestione del potere,
guidavano le associate nel processo di auto-emancipazione sociale. Come si apprende fin
dal primo numero della Lavoratrice (gennaio 1902, p. 2), le patronesse dovevano essere
l non a rappresentare la filantropia mondana, che si sforza di farsi conoscere e di far stam-
pare il proprio nome, ma [] a mostrare un progresso dei tempi presenti, un frutto della
concordia fra capitale e lavoro. Numerosissime pagine del mensile sono quindi dedicate
sia a segnalare conferenze, letture ed eventi formativi, sia a fornire direttamente articoli di
istruzione culturale alle socie, in uno sforzo costante di sollecitazione rivolta alle giovani
operaie affinch vincano la loro apatia, prendano coscienza del fatto che la loro condi-
zione di vita anormale e pregiudizievole alla salute dello spirito e del corpo e pertanto si
impegnino per il loro riscatto sociale (gennaio 1911, p. 1).
La messe di informazioni che si apprende scorrendo i diversi numeri della Lavoratrice,
e soprattutto quelli delle prime annate, risultata essere particolarmente idonea per una
loro lettura geografica, interpretandola alla luce dei paradigmi propri ora dei gender stu-
dies, ora dei cultural studies e ancora dei post-colonial studies, come si cercher di fare nei
paragrafi che seguono.
La Lavoratrice e i gender studies. La geografia di genere si pone come obiettivo
principale lanalisi delle relazioni esistenti tra spazio e genere nelle sue pi varie forme e
differenti declinazioni e dei ruoli o delle funzioni che uomini e donne svolgono in esso
(Borghi, 2009, p. 15). In particolare, lanalisi dello spazio pubblico, costruito intorno alla
nozione di comportamento di genere appropriato, contrapposto alla spazio privato dove
invece il comportamento di genere pi libero, che meglio si presta a far emergere situa-
zioni di differenza o, meglio, di disuguaglianza (Cortesi, 2006) fra le persone di genere
diverso.
A questo proposito, alcuni passi della Lavoratrice ci fanno riflettere sul comportamen-
to pubblico delle donne che allinizio del Novecento si doveva conformare a un modello
tuttaltro che corrispondente a quello privato della propria abitazione o del luogo di lavo-
ro, ma talmente normalizzato e accettato come naturale, che necessaria la sensibilit
straordinaria di una persona quale fu lAstesana per avere il coraggio di smascherarlo, di
denunciarlo pubblicamente e soprattutto di attivarsi per contrastarlo. Per esempio:
Liete e sorridenti uscite al mattino dalle vostre case per recarvi al lavoro;
a frotte fra vivaci chiaccher e frequenti scopp di risa argentine percorrete le
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pubbliche vie []; nelle ore meridiane tornate a riempire di gentile gaiezza i
luoghi, ove passate, recandovi alle case vostre, e poi, rifocillate, ritornando
al lavoro; finalmente alla sera, uscendo in festa dai negozi e dai laboratori,
rompete ancora per qualche istante al vostro passare, la tristezza e la mono-
tonia dellora notturna, sempre col sorriso negli occhi, colla serenit sulla
fronte e colla gioia nel cuore. [] Se, ci non ostante, noncuranti del vostro
apparente benessere, noi abbiamo fondato per voi una Societ di Patronato
e di Mutuo Soccorso; se abbiamo impreso e seguitiamo a predicarvi con
ardore la necessit dellorganizzazione, si perch, o lavoratrici torinesi,
abbiamo studiate da vicino le condizioni, nelle quali vivete, e ci siamo
nostro malgrado persuasi che esse sono tali da eccitarvi al pianto, pi che
non al riso [febbraio 1902, p. 1].
Le operaie, infatti, sul luogo di lavoro vivevano una realt molto differente che per
non emergeva o, meglio, forse non si voleva far emergere al di fuori delle quattro mura
dellopificio o del laboratorio:
Il lavoro che voi compiete per mille cause funestissimo alla vostra salu-
te: per la ristrettezza dei laborator []; per la natura del vostro lavoro [];
per la durata della vostra giornata di lavoro, veramente eccessiva, non ade-
guata alle vostre forze, superiore di gran lunga a quella degli uomini operai,
che compiono operazioni anche meno faticose e antigieniche delle vostre;
per labitudine del lavoro serale []; per il lavoro festivo [] [ibidem].
Sono questi gli anni in cui le donne incominciano a uscire dagli spazi tradizionalmente
loro riservati (le pareti domestiche, soprattutto) per venire incontro alle nuove esigenze
della societ e delle famiglie dellepoca industriale, ma ci viene percepito come eccezio-
nale e in qualche misura pernicioso. Anche la Societ, pur anticipando i tempi sotto nume-
rosi aspetti, affronta ancora il lavoro femminile non domestico pi come una necessit pro-
blematica da affrontare che come un diritto alle donne finalmente riconosciuto:
Mentre il marito assente tutto il giorno per provvedere col suo lavoro
al mantenimento della famiglia, [alla donna] tocca loccuparsi della casa [].
bella, nobile la missione della donna fra le domestiche pareti! []
Pensate voi che il posto che deve occupare una madre di famiglia sia in
mezzo alla strada, alla testa di uno sciopero, di fronte alla truppa? Non sta-
rebbe meglio nella sua casa a disbrigare le sue faccende, sorvegliando i
figliuoli gi, purtroppo, propensi a seguire i cattivi esempi ed i cattivi istinti?
[ottobre 1904, pp. 1-2].
Fra i consigli di igiene che quasi ogni mese vengono pubblicati su La Lavoratrice, fre-
quenti sono gli appelli affinch le finestre delle abitazioni vengano tenute aperte per nu-
merose ore del giorno, ora per combattere la tubercolosi, ora il tifo, ora per ligiene dei
bambini, ora degli adulti (per esempio: giugno 1902, p. 3; ottobre 1902, p. 2; giugno 1912,
p. 3; maggio 1924, p. 2). Sembra tuttavia di non essere lontano dal vero se si sostiene che
tale insistenza possa rispondere anche allesigenza di inculcare nelle associate labbatti-
mento non solo fisico, ma anche e soprattutto psicologico, di quelle barriere fra spazio
pubblico e spazio privato allora costituite in primis dalle mura delle abitazioni.
Oltre alla dicotomia fra spazio pubblico e spazio privato, interessante soffermarsi su
un altro aspetto geografico di genere, la contrapposizione dello spazio urbano con lo spa-
zio rurale. La crescente industrializzazione del paese causa infatti lesodo dalle campagne
208 Lorenzo Bagnoli
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Gender, cultural e post-colonial studies dallultracentenario periodico La Lavoratrice 209
verso le citt anche da parte di numerose donne, sia in compagnia del marito e della fami-
glia sia da sole. In alcuni articoli della Lavoratrice, la citt viene chiaramente presentata
come foriera di semplici illusioni per il miglioramento delle condizioni della donna, men-
tre la campagna, dipinta spesso con toni idilliaci, sembra essere lambiente normalmente
idoneo per la loro realizzazione, tanto che auspicabile che ad essa le donne ritornino:
Torniamo ai campi! [] lanima nostra commossa dal desiderio che la-
more dei campi difenda da insane illusioni di benessere cittadino tante
brave e forti contadine (fra le quali pur contiamo molte associate), facendo
voti per laumento del loro numero, che, disgraziatamente, va diminuendo
[marzo 1910, n. 1].
Allo stesso modo, anche le localit di villeggiatura dove si svolgono i soggiorni climati-
ci della Societ (Giaveno dal 1902, Varazze dal 1903, Loano dal 1924), o semplicemente
le numerosissime gite di una giornata, assumono da una parte valore positivo in contrap-
posizione alla negativit urbana e dallaltra forte carica pedagogica per le associate:
Altri forse sorrider perch noi vogliamo vedere nella riuscita duna pas-
seggiata la forza della nostra Societ [] Ma a costoro noi rispondiamo che
se le nostre associate sono unite nella gioia, saranno pure fra loro unite nel
lavoro, saranno pure solidali nei momenti in cui, per la difesa dei propri
interessi, dovranno contrastare [settembre 1904, p. 1].
La Lavoratrice, i cultural e i post-colonial studies. noto come negli ultimi decenni
si sia affermato un sostanziale rovesciamento di prospettiva nei metodi di studio delle
espressioni culturali dei gruppi sociali, abbandonando la tradizionale concezione che le
considerava una spontanea manifestazione da parte di una determinata popolazione stan-
ziata su un territorio. Esse, invece, vengono oggi perlopi considerate come un insieme di
simboli usati da un qualche gruppo di potere per veicolare o, anche e soprattutto, rendere
dominante una determinata visione del mondo allinterno di un intero gruppo sociale, co-
me pu essere tutta una nazione (dellAgnese, 2007).
In particolare, nelle annate della Lavoratrice una rilevanza singolare assume il dibatti-
to sul ruolo dellabbigliamento nella formazione degli italiani e delle italiane nei diversi de-
cenni su cui si distribuisce la pubblicazione del mensile. La Societ, infatti, come si gi
avuto modo di notare, ha a lungo contato fra le sue iscritte numerosissime lavoratrici nel
campo del tessile e della confezione sicch la moda ha costituito un argomento ricorrente
e ben lungi dallessere futile, sul quale al contrario si molto discusso in riferimento alle
responsabilit che le singole socie avevano per la loro funzione di educatrici della nazione,
di volta in volta opponendosi a mode dannose per la societ oppure appoggiandone di co-
struttive, o presunte tali.
Fin dalle prime annate della Lavoratrice si sostiene chiaramente che dietro alla moda
odierna nel vestire che avvilisce la donna offendendone il pudore e provoca i lazzi e il riso
degli uomini vi un preciso disegno di chi presiede alleducazione delle nuove genera-
zioni alla quale i cattivi esempi oppongono anche da questo lato difficolt gravissime (15
ottobre 1911, p. 4).
Qualche anno dopo siamo nel Ventennio La Lavoratrice pubblica invece il decalo-
go promulgato dal Comitato Nazionale per la correttezza della moda i cui articoli pi inte-
ressanti recitano: Art. 1: vogliamo la moda schiettamente italiana []; art. 3: difendiamo il
patrimonio nazionale: la costumatezza della moda []; art. 5: la donna vestita seriamente e
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210 Lorenzo Bagnoli
allitaliana merita rispetto []; art. 6: ogni donna seria apprezzi la moda italiana corretta
[] (settembre 1927, p. 1).
La Societ passa cio nel giro di qualche anno a un approccio totalmente diverso nei
confronti della moda: essa, che fino a poco prima era considerata indotta da alcuni attori a
essere distruttiva nei confronti della donna, pu invece, seguendo altri prototipi predeter-
minati, assumere il compito di collaborare con il regime a formare una nuova italiana, ma
anche un nuovo italiano, dignitosi e orgogliosi perch lontani dai modelli stranieri, dele-
teri per definizione. Le singole lavoratrici vengono pertanto invitate, in ottemperanza a
quella che indicata quale loro specifica missione, a collaborare a questa impresa:
Sarte dItalia! [] Voi forse non ci avete mai pensato. [] State attente!
Siete chiamate a collaborare in una nobile impresa. Dora in avanti lopera
che uscir dalle vostre abili mani non dovr, non potr pi essere una servi-
le o inconsulta o spregiudicata riproduzione di ogni pi insensato modello
straniero [novembre 1927, p. 1].
Negli anni che seguono la Seconda Guerra Mondiale, con il ripristino della democrazia
nel nostro paese, La Lavoratrice affronta nuovamente largomento, lontana ormai sia da
manie complottistiche sia da esigenze nazionalistiche, assumendo una posizione storicisti-
camente evolutiva, dove la responsabilit della moralit della moda passa dalla lavoratrice
che produce il capo di abbigliamento alla consumatrice che lo indossa:
Il modo di vestire deve necessariamente mutare col progredire della
civilt e delle sue invenzioni. [] Inoltre la moda necessaria per molte
industrie e per il commercio. [] Per la moda non deve diventare un idolo
per il quale si dimenticano i doveri spirituali, morali e familiari e neppure
una tiranna alla quale si obbedisce ciecamente e che priva della libert, del
buon senso e talvolta persino della salute [maggio 1961, p. 2].
Una quindicina di anni dopo, tuttavia, sembra che la responsabilit del singolo non ba-
sti e nuovamente sia necessario il richiamo a una morale eteronoma:
Basta che il tale o la tale facciano cos, parlino cos, scrivano cos e subi-
to li imitano senza pensare se bene parlare, scrivere, agire cos. di
moda!... Tutti o tutte vestono cos, si divertono cos, cantano cos e via di
questo ritmo. [] Non lasciamoci trascinare dalla moda, dalla propaganda,
dalla pubblicit [] [settembre-ottobre 1975, p. 1].
Un ulteriore importante rovesciamento di prospettiva per la lettura e linterpretazione
della realt geografica quello proposto dai post-colonial studies i quali hanno come pun-
to centrale del loro lavoro lanalisi degli effetti delle rappresentazioni coloniali sui soggetti
ex colonizzati ed ex colonizzatori (Ashcroft et al., 1998, p. 186), come anche della violenza
politica e psicologica del progetto coloniale. [Infatti,] il problema della rappresentazione
cio di chi rappresenta chi, quando e come cruciale nel determinare le forme di intera-
zione concepite e poi storicamente realizzatesi fra colonizzatori e colonizzati (Borghi,
2008, p. 23). Anche in riferimento a questi temi, La Lavoratrice costituisce una fonte inte-
ressante soprattutto circa la guerra di Libia di cui peraltro prossima la ricorrenza del
centenario poich, naturalmente, il tema della donna araba diventa il Leitmotiv degli arti-
coli sulla colonizzazione della Libia, e questo soprattutto da quando, completata loccupa-
zione, inizia ad affacciarsi la prospettiva dellapertura di una sede della Societ in terra afri-
cana (settembre 1912, p. 2):
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Gender, cultural e post-colonial studies dallultracentenario periodico La Lavoratrice 211
Rallegratevi [] delloccupazione per parte dellItalia delle due vaste e
fertili regioni []. Rallegratevi perch alla donna, laggi ancor schiava delli-
gnoranza, linfluenza cristiana ed italiana potr dare, in un tempo forse non
lontano, la verit che fa liberi, che eleva e affratella [ottobre 1911, p. 1].
La situazione della donna libica o, meglio, la situazione cos come percepita dai colo-
nizzatori della donna libica, chiaramente riportata:
La donna non gode di alcuna libert ma vive ritirata quasi schiava nella
propria casa, luomo solo ha diritto distruirsi, di lavorare e di pregare la
donna non lavora e non studia, e la sua giornata per la maggior parte pas-
sata nellozio. [] Pare incredibile che popolazioni alle quali anticamente la
dominazione romana aveva portato la civilt, popolazioni non lontane
dallEgitto il cui raffinato lusso e lantichissima civilt era da tutti conosciuta,
si siano ridotte nello stato in cui le trov loccupazione italiana [15 marzo
1913, p. 1].
Per la mentalit dellepoca, compito naturale dei colonizzatori italiani, eredi della glo-
ria di Roma, riportare nuovamente la civilt romana alle donne libiche:
Le operaie della Societ di Patronato, per la morigeratezza dei costumi,
per la gentilezza, pel lavoro perfezionato, prepareranno collesempio e for-
sanco con la parola la libert e la coltura della povera donna araba [settem-
bre 1912, p. 2].
Conclusione. Nel 2012 la sede di Rivarolo Canavese della Societ Nazionale di Patro-
nato e Mutuo Soccorso per le Giovani Operaie fondata per interessamento della stessa
Cesarina Astesana il 3 marzo 1912 e dal 1922 sita in via Luigi Palma di Cesnola in un belle-
dificio a due piani con giardino cintato da un alto muro festegger il suo centenario di
fondazione che probabilmente sancir anche la chiusura sua e, di conseguenza, di tutta
lassociazione. Se nemmeno a Rivarolo, pertanto, ben presto si sentir pi cantare linno
della Societ Chinate sullago, su rapida spola, su ferro che scorre, su ruota che vola
(che ancora ci stato recitato dalla signorina Ida Meaglia, classe 1915, socia dal 1930) nel
Canavese rimarr almeno la raccolta ultracentenaria delle annate del suo organo di infor-
mazione a testimoniare limportanza della diffusione nel nostro paese di una particolare
concezione di femminismo definito buono dal periodico stesso (15 gennaio 1911, p. 8)
che ha attraversato i decenni dal lontano 1901 fino a oggi.
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CHINATE SULLAGO, SU RAPIDA SPOLA, SU FERRO CHE SCORRE, SU RUOTA CHE
VOLA. GENDER, CULTURAL AND POST-COLONIAL STUDIES FROM THE ULTRACEN-
TENARIAN REVIEW LA LAVORATRICE. The National society of patronage and mutual
aid for young worker women was founded in Turin, in May 1901: it was one of the sever-
al initiatives aimed to the protection of the working women risen during the industrial pe-
riod, but it was as well different from the others in many ways. For instance, it has proba-
bly been the first womens trade union in Italy; secondly, due to its rapid diffusion, it grew
to form 50 bases over half a century, especially in the Northern and Central Italy; further-
more, since it is still active, even if only in one town: Rivarolo Canavese, in Piedmont Re-
gion; lastly, because it has uninterruptedly published its own review: La Lavoratrice,
stored in an archive. The research is aimed to draw, with a critical analysis of the review,
the attempts and the success in its involvement in the Italian society, both with a gender
studies and a cultural and post-colonial studies approach.
Universit degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
lorenzo.bagnoli@unimib.it
212 Lorenzo Bagnoli
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 212
BOLLETTINO DELLA SOCIET GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. IV (2011), pp. 213-218
FATMA ZOHRA MEBTOUCHE NEDJAI
IL RAPPORTO RURALE/URBANO
ATTRAVERSO GLI INSULTI VERSO LE DONNE
QUALCHE RIFLESSIONE DAL PUNTO DI VISTA DELLA PRAGMALINGUISTICA
Introduzione. Questo lavoro intende affrontare il tema del rifiuto della differenza in
relazione al rapporto tra ruralit e urbanit, a partire dagli insulti rivolti alle donne e profe-
riti in arabo algerino e in cabilo. Tali insulti sono il prodotto di una rappresentazione della
superiorit/inferiorit, del distinto/volgare, che il binomio urbano/rurale genera. Ci limite-
remo allanalisi di quattro termini molto diffusi jebayliyya (montanara), kaviyya (primiti-
va), jina (affamata), makla (arrivista) che possiamo considerare come varianti di uno
stesso concetto: rurale.
Le nostre informatrici sono residenti in due wilayat limitrofe (Tizi Ouzou e Bou-
merds) e hanno tra i 25 e i 55 anni; alcune hanno un titolo di studio universitario. I com-
menti spontanei, per la maggior parte, sono stati pronunciati in francese e con fenomeni di
code-switching, cabilo/arabo algerino. Il corpus qui preso in esame estratto dalla mia tesi
di dottorato (Mebtouche Nedjai, 2008).
Ho incoraggiato le donne intervistate a esprimere le loro considerazioni sui contenuti
del questionario, quando ritenevano di doverlo fare. Gli insulti presi in esame sono pro-
nunciati nelle lingue materne: larabo algerino e il cabilo. Questa scelta dettata dalla vo-
lont di far uscire la forza espressiva ed evocatrice di tali termini, seguendo il metodo uti-
lizzato da Bentahila (1983) nel suo studio sugli insulti in arabo marocchino e francese.
I discorsi delle informatrici che mettono in luce ways of speaking (Bucholtz, 2003, p.
46) per essere interpretati adeguatamente devono essere inseriti nel contesto algerino ber-
bero-arabo musulmano, dove le donne, in qualit di produttrici del discorso, sono makers
of culture. Letnografia della comunicazione come metodo danalisi ci consente di trarre
conclusioni sui referenti culturali delle nostre informatrici, partendo dallanalisi del loro di-
scorso e considerando il contesto sociale nel suo insieme, cos come il suo impatto nello
specifico e la violenza che ne deriva. Ho fatto ricorso alla sociolinguistica delle interrela-
zioni dal momento che ero destinataria delle allocuzioni delle informatrici e designata qua-
le interprete delle loro intenzioni. importante vedere il discorso, da una parte rispetto
allambiente sociale, luogo di acquisizione del linguaggio come una relazione con la rete
di rappresentazioni che lambiente sociale sottende, e dallaltra parte come una relazione
02_piccoli_1_2011:2_IMP piccolibis 14-03-2011 11:31 Pagina 213
con lAltro. Dal punto di vista socioculturale, necessario contestualizzare gli enunciati; se-
condo Gumperz (cit. in Blanchet, 2001) per interpretare i discorsi bisogna considerare due
funzioni della lingua: comunicativa e identitaria.
La capacit di contestualizzare linterpretazione permette di mettre laccent sur les stra-
tgies qui gouvernent lemploi par les acteurs des connaissances lexicales, grammaticales,
sociolinguistiques et autres dans la production et dans linterprtation des messages en
contexte (Gumperz, 1989, p. 33). Tenter di analizzare le produzioni linguistiche delle
informatrici, tenendo in considerazione il fatto che le loro rappresentazioni sono determi-
nate da certe tradizioni e valori culturali. Il discorso sullinsulto, infatti, permette di vedere
come stessi membri di una societ che, in virt della comunanza linguistica e identitaria,
dovrebbero condividere un bagaglio comune, in realt abbiano visioni antagoniste, in rap-
porto a una norma prescrittiva.
Il concetto di identit cambiato dagli anni Cinquanta a oggi. Da una definizione che
imprigionava lidentit in una dimensione statica si passati a una concezione dinamica,
secondo cui essa considerata il risultato di un processo che si sviluppa allinterno di un
contesto relazionale e sociale (Cuche, 1998). Nelle interviste condotte, questo concetto
emerge in riferimento allopposizione tra individuo e gruppo, tra Io e Altro, secondo un
approccio che distingue lidentit individuale da quella sociale. Questultima si colloca in
una dialettica che la inserisce in un entre-deux, du singulier et du pluriel, de linterne et de
lexterne (Tap, 1980, p. 2; cit. in Ben Meziane, 2000, p. 23). Da questa dialettica derivano
due tipi di comportamento: acculturazione/deculturazione.
Acculturazione/deculturazione. Lacculturazione, nel contesto qui considerato, si ar-
ticola innanzitutto su due fronti: il movimento dellesodo rurale e larricchimento rapido
che ha come finalit il proprio distanziamento dagli altri, in una ricerca di alterit che con-
vive con un forte desiderio di riconoscimento (Massenzio, 1999). La destrutturazione gene-
rata dallesodo rurale accentuata dal rigetto che gli abitanti originari della citt provano
verso quelli che provengono dal contesto rurale. I primi sentono di avere la legittimit del
proprio spazio ed escludono in questo modo i secondi, che non possono aspirare a un ri-
conoscimento territoriale in termini di legittimit ontologica (Ben Meziane, 2000). Il rifiuto
del cittadino di riconoscere al nuovo arrivato il diritto a un territorio, a occupare un posto
nella citt, motivato dallappartenenza socioculturale che distingue lurbano dal rurale. In
altri termini, la persona proveniente dal contesto rurale soffre della perdita di punti di rife-
rimento identitari e manifesta una difficolt ad adattarsi alla vita urbana (Ben Meziane,
2000, p. 46), cosa che fa scaturire un complesso dinferiorit e una tendenza alla ipercorre-
zione. Anche lacculturamento della donna rurale percepito dalla cittadina come un falli-
mento, che viene interpretato come un segno di disfunzionamento psicologico. Da qui la
stigmatizzazione di questo genere dinsulti.
Arkoun (1984), che ha descritto gli sconvolgimenti sopravvenuti al momento della tra-
sformazione nel contesto algerino attuale delleconomia di sussistenza in economia dello
sviluppo e del profitto, spiega come questo fenomeno abbia favorito la nascita di nuove
classi sociali ricche. Queste si caratterizzano per i comportamenti ostentatori, inconcepi-
bili in uneconomia di sussistenza caratterizzata, sempre secondo Arkoun, da la sobrit
(qana), la frugalit (kaff), lascse (zuhd), comptent parmi les vertus les plus recom-
mandes et effectivement les plus pratiques (ibidem, p. 351).
Cos la perdita dei punti di riferimento identitari culturali risultante dalle rapide muta-
zioni socioeconomiche fa emergere un disfunzionamento e una destrutturazione percepi-
bili a vista docchio che riassumono lopposizione distinto/volgare.
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Il rapporto rurale/urbano attraverso gli insulti verso le donne 215
La distinta/la volgare. Linsulto fa parte di un repertorio cosiddetto volgare, in oppo-
sizione al repertorio formale o di prestigio che riflette una societ stratificata in classi supe-
riori/inferiori, borghesi/popolari, secondo una scala di valori ideologici diversi. Pierre
Bourdieu (1979) sostiene il principio esclusivo della distinzione stabilendo un parallelo tra
il franc-manger e il franc-parler, per esempio, che contrappongono la classe popolare al-
la classe borghese. Si tratta di due visioni del mondo antagoniste, delle quali una privilegia
la forma e laltra la sostanza. Il sostanziale viene identificato con lessenziale, ovvero il rea-
le, mentre la forma rimanda alle apparenze. Sul piano linguistico, la distinzione si fa in
rapporto, da una parte, alla mancanza di tab, alla trascuratezza, alla familiarit e, dallal-
tra, in rapporto alleducazione nelluso delle parole, alla censura e alla tensione. Questo
linguaggio, che determina il contegno o le buone maniere, adottato perch sentito co-
me strumento di potere e di distinzione (Bourdieu, 1979, pp. 222 e 227). Il contegno ha
anche la funzione di cancellare tutte le tracce di un gusto eterodosso, richiamandosi alla
dignit di condotta e di correttezza nel modo di fare, che implicano un rifiuto di cedere
alla volgarit.
Lespressione linguistica dellesclusione: jina, laffamata. Prender qui in considera-
zione cinque enunciati tratti dal materiale di ricerca da me raccolto, che ruotano intorno al-
linsulto jina (affamata, morta di fame): 1) una morta di fame. Vuole tutto. Mostra la
sua fame ad ogni occasione. la fame della pancia. 2) Ci che peggio ingorda (
1
) (yel-
loz guls). Vuole avere tutto e non mai soddisfatta. 3) Spesso, una jina anche se ric-
ca molto avara. 4) Aveva gli occhi chiusi, quando li ha aperti rimasta abbagliata. 5) Si
arricchita ma rester una primitiva (kaviyya) fino alla fine dei suoi giorni.
Gli enunciati nel loro insieme mettono in risalto tratti oppositivi del carattere per sotto-
lineare, da una parte, le contraddizioni e gli anacronismi del comportamento della jina e
la rottura tra lIo e lAltra, e dallaltra parte denotano unaffermazione dellesclusione del-
lAltra.
Per prima cosa, gli enunciati 1 e 2 mettono in contrapposizione la faim du ventre con
la faim du coeur (
2
). La prima pu avere una sorta di legittimazione, ma la seconda asso-
lutamente imperdonabile, come si pu notare dalluso di ci che peggio. Bisogna nota-
re parallelamente linserimento della metafora yelloz guls nellenunciato 2 come marcatore
espressivo culturale di questa visione degradante, successivamente esplicitato mettendo in
evidenza lavidit e la frustrazione della jina.
Lenunciato 3 richiama in parte il 2 e precisa alcuni aspetti dellavidit in questione, co-
me sottolineato dallindicatore anche se, che oppone la ricchezza allavarizia. Questulti-
ma caratteristica sembra sparire con la ricchezza. Se infatti non possibile pensare che un
povero sia avaro dal momento che non ha niente da dare, questo non vale per una perso-
na ricca. In questo modo viene accentuato il degrado della jina che continua a essere
avara, nonostante il suo nuovo statuto di ricca. Il fatto di essersi arricchita non la porta a
elevarsi moralmente e non lallontana dallavarizia che la miseria avrebbe giustificato. Len-
fasi messa sullimportanza che la jina attribuisce ai valori materiali, a detrimento dei va-
lori morali. Per questa ragione il tentativo di farsi accettare destinato a fallire. La rottura
tra Io e Altra diventa cos evidente, perch invece di suscitare ammirazione la jina crea al
contrario un rigetto. Lenunciato 4 apporta un altro contrasto tradotto dallopposizione oc-
(1) Nella versione originale lautrice utilizza lespressione faim du coeur [N.d.T.].
(2) Lingordigia. Si voluto lasciare le espressioni in francese per mantenere il parallelismo
[N.d.T.].
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chi chiusi/occhi aperti che categorizza la jina in rapporto a una deissi temporale pri-
ma/dopo. Prima di accedere alla ricchezza, la jina era cieca, come esprime la metafora
Kn aynh maRmdn. La sua fortuna recentemente accumulata tale da farla trovare in
una situazione di abbaglio. La brutalit del cambiamento si esprime attraverso la rapidit
del movimento di apertura/chiusura degli occhi e dal passaggio senza transizione
buio/luce, inducendo un disturbo della visione che d vita a un andamento incerto e a vol-
te squilibrato. Questo significa implicitamente che il comportamento della jina porta il
segno di unincapacit di adattarsi a una nuova situazione, processo che gli psicologi defi-
niscono deculturazione.
Vi una certa somiglianza tra kaviyya e jina (5). Il secondo senso di jina si aggan-
cia a kaviyya, andando a indicare larricchimento rapido che non determina per un cam-
biamento di status pi prestigioso. Il rapporto tempo presente/tempo futuro accentua la
condanna della kaviyya, che sembra non avere alcuna possibilit di elevarsi socialmente.
Questo significa che la costruzione di una nuova identit assoggettata a un lungo perio-
do, che supera di gran lunga il tempo di una vita.
La clausola temporale hata tmut (fino alla fine dei suoi giorni) rimanda a due conside-
razioni: da questa asserzione, che assomiglia alla formula a vita, si deduce la materializza-
zione dellesclusione dellAltra; in secondo luogo, lespressione sottolinea che il processo
di cambiamento lento e che linteriorizzazione delle leggi portatrici di cambiamento
lontana dallessere realizzata. Questerudizione del sapere sociologico significa che gli at-
teggiamenti di esclusione non sono cos arbitrari come sembrano, poich si appoggiano su
dati razionali ben espressi da Ibn Khaldoun (1967). Egli sottolinea il fatto che per il rurale
siano necessarie tre generazioni per poter dimenticare le leggi ancestrali e interiorizzare
cos le leggi della sedentariet.
lessere di citt (citadinit) come paradigma di raffinatezza e di distinzione che
messo in rilievo, con un rovesciamento rispetto alla teoria khaldouniana che valorizza le
caratteristiche della ruralit quali la forza morale, la sincerit, il senso dellonore. In manie-
ra implicita ci significa che lacquisizione di una identit culturale cittadina sembra non
solo molto difficile, ma pure inaccessibile, anche se accompagnata dalla ricchezza.
Cos linsulto jina legato a connotazioni morali degradanti quali la frustrazione, la-
varizia, lostentazione materiale e culturale. E che fine fanno kaviyya et makla?
Kaviyya, la primitiva e makla, larrivista. 1) La kaviyya non ha combinato nulla
(wallu). 2) Non sa trattenersi, si impone (tazdem). 3) Bisognerebbe rispettare le perso-
ne, qualunque siano le loro origini. 4) No, mi dispiace, jebayliyya (montanara) non un
insulto poich in loro che ritroviamo valori veri come il senso dellonore. 5) No, jebay-
liyya non un insulto, noi siamo tutte (ga) jebayliyyate in riferimento alla nostra origine.
Gli insulti kaviyya e makla farebbero parte di uno stesso paradigma. La ridondanza
della negazione wallu (in 1) enfatica e mira alla denigrazione dellAltra. Questo avvili-
mento viene enunciato mediante il contrasto tra il voler apparire e il poter essere. La di-
scordanza tra laspirazione allascesa e linsuccesso, che rappresentata dalla negazione
wallu, prende le mosse dal fatto che il passaggio da uno status sociale allaltro non passa
dallapparenza, ma piuttosto dallintegrazione delle regole sociali di trasformazione. Anco-
ra una volta lesclusione veicolata da quegli insulti che sottolineano la mancanza di sa-
voir faire della kaviyya.
La kaviyya pu essere identificata dal suo comportamento sociale/verbale, caratterizzato
dalla rozzaggine manifestata dallenunciato in arabo algerino: tazdem (si impone) (2). Que-
sto tratto ribalta limmagine idealizzata della riservatezza e della distanza tra le persone im-
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Il rapporto rurale/urbano attraverso gli insulti verso le donne 217
posta dalleducazione. Il comportamento descritto si caratterizza per uno sconfinamento ter-
ritoriale da parte della donna stigmatizzata dallinsulto. Esiste inoltre linsinuazione sminuen-
te della presenza di un comportamento rilassato che rinvia alla nozione di senza limiti.
Per quanto riguarda lenunciato 3, esso testimonia lesistenza di unattitudine modulata,
raramente espressa, che difende il diritto alla differenza e che ribalta cos gli atteggiamenti
di esclusione illustrati fino a qui. Luso del modale bisognerebbe un appello modulato,
al fine di rispettare lAltro indipendentemente dalla sua origine, sottolineato dalla forma
impersonale, come voce di tutti.
Inoltre, la determinante aggettivale indefinita qualunque spezza la linea di demarca-
zione tra le diverse origini e dissipa cos lesclusione delle une in relazione alle altre.
Linformatrice espone una presa di distanza dalla visione tradizionale che glorifica lorigine
mitica e si posiziona allinterno di una nuova prospettiva di tolleranza, costruita su una vi-
sione del mondo che si basa sullaccettazione dellAltro. Cos linformatrice ribalta lattacca-
mento alla rappresentazione di unidentit rigida ed esprime la volont di aderire alla rap-
presentazione di unidentit dinamica che permetter il superamento del rigetto di quella
rurale.
Peraltro, il rifiuto di considerare jebayliyya come un insulto (in 5) da interpretare co-
me un atteggiamento conciliatorio da parte dellinformatrice nei confronti del suo luogo
dorigine, che ella rivendica, ma che soprattutto cerca di rendere generale con linserimen-
to in arabo algerino di ga (tutte). Questo discorso accetta la ruralit come parametro iden-
titario. Cosa plausibile se consideriamo che molte delle mie informatrici spesso si colloca-
no in relazione alla loro origine come riferimento spaziale e culturale, diverso dal loro luo-
go di residenza. Questo attaccamento-rifugio significa anche il rifiuto del cambiamento,
che sembra essere obbligatorio e destabilizzante.
Conclusione. Per concludere possiamo affermare che, in generale, le informatrici non
distinguono sempre le sfumature tra jina, makla e kaviyya. Alla luce di questi dati, non
possiamo evitare di constatare laspetto destrutturante e allo stesso tempo problematico
generato dai rapidi cambiamenti socioeconomici, che creano confusione nei riferimenti
identitari e che portano alla deculturazione. Come conseguenza, il legame dappartenenza
al contesto rurale/urbano e le conseguenze che ne derivano provocano ambivalenza e am-
biguit psicologiche.
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EXCLUSION RELATION BETWEEN RURAL/URBAN CHARACTER THROUGH INSULTS
TO WOMEN: A PRAGMALINGUISTIC STUDY. Our paper aims to discuss the concept of
exclusion from the spatial dichotomous representation of rural/urban we infer from Alger-
ian Arabic insults against women. We will study the issue from the ethnography of commu-
nication approach to analyze Algerian informants discourse collected in 2002. The insults
jebayliyya (mountain), kaviyya (primitive), jina (hungry), makla (pushful) are variants
of the same concept rustic/rural. They negatively point at the insulted womens behaviours
considered as anachronistic by the so-called urbans. The reference to the countryside as an
insult depends on rustic/urban perception which refers to the oppositional concepts in
terms of superiority/inferiority, distinguished/vulgar, individual/group and Self/Other. It
follows two types of behaviour characterized by acculturation/deculturation. In other
words, the categorization, which in its essence is exclusive by the need to separate them-
selves from others in a quest for a new identity, coexists with the ambition to win the
recognition of the Other. Thus, the rural is confronted by the dialectical rejec-
tion/attraction, a double cultural game oscillating between the claim for ontological identi-
ty belongingness and the desire for acculturation to adhere to city cultural group model. It
is at that articulation that antagonisms related to values, symbols and images arise. If the
opposition is very important, it follows a rupture in the countryside dwellers system of cul-
tural representations as the above mentioned insults convey.
Universit Mouloud Mammeri, Dipartimento dInglese, Tizi Ouzou, Algeria
nedjaifz@yahoo.fr
(Traduzione dal francese di Paola Borghi)
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