Anno accademico 2009-2010 Lezione 3 19 febbraio 2010
IL METODO NARRATIVO 3 don Matteo Crimella
1. I personaggi: un breve status qustionis Una trama senza personaggi sarebbe come la splendida sceneggiatura di un film senza attori che recitano. Per questo, dopo aver precisato che cosa lintreccio, dobbiamo studiare i personaggi. Punto di partenza lo studio di Propp sulla morfologia della fiaba, nel quale egli descriveva non tanto il meccanismo delle favole russe, quanto un corpus limitato di fiabe, quelle di magia. Lanalisi dei testi lo conduce a ritrovare alcune costanti. Quello che cambia sono i nomi (e nello stesso tempo gli attributi) dei personaggi; quello che non cambia sono le loro azioni, o le loro funzioni. Si pu concludere che la fiaba presta spesso le stesse azioni a personaggi differenti. Questo ci permette di studiare i racconti a partire dalle funzioni dei personaggi 1 . Losservazione non priva di significato. Che sia il re a dare unaquila al suo prode, o lo stregone a fornire una barchetta al fuggiasco poco importa: Propp ritrova in tutti gli esempi le medesime funzioni 2 . Dichiara esplicitamente che nello studio della fiaba, la questione di sapere quello che fanno i personaggi lunica cosa importante; chi compie qualcosa e come lo compie, sono domande che non si pongono se non in modo accessorio 3 . Studiate le funzioni Propp individua i ruoli propri dei personaggi: eroe, falso eroe, antagonista, donatore, aiutante e cos via. Tale prospettiva porta con s un merito, in quanto intende studiare un corpo letterario dal punto di vista formale, ricercando quelle costanti che permettano lelaborazione di una teoria. Insieme, tuttavia, si avverte subito il limite di un simile approccio. Esso si adatta ad un tipo di racconto assai semplificato (come sono appunto le favole di magia) ma resiste a testi di pi profondo spessore e di pi ampia articolazione. Tuttavia il difetto pi macroscopico riguarda proprio i personaggi, interamente subordinati agli atti. Il personaggio, cio, non il soggetto delle azioni, non le fa accadere; totalmente
1 V. PROPP, Morphologie du conte. Suivi de: Les transformations des contes merveilleux (Potique), Seuil, Paris 1970, 29 (corsivi dellautore). Loriginale russo del 1928 ma stato tradotto in Occidente solo alla fine degli anni 60. 2 Ibidem, 35-80. Propp individua, fra le altre, le seguenti: allontanamento, divieto, infrazione, investigazione, delazione, tranello, connivenza, danneggiamento, mancanza, mediazione, smascheramento, punizione, etc., per un totale di trentun funzioni. 3 Ibidem, 29 (corsivi dellautore). 2
spersonalizzato, privato della sua libert, sottoposto alla tirannide del funzionamento della fiaba e ad essa interamente relativo. Un contributo significativo alla ricerca sul personaggio stata quella di Greimas 4 . Suo scopo offrire un modello maggiormente astratto ed applicabile a pi vasti generi letterari. Egli formalizza i ruoli-tipo del racconto in sei funzioni (o ruoli attanziali). Lidea fondamentale che in ogni narrazione un soggetto cerca un oggetto prezioso mancante o perduto. Un destinatore muove il soggetto al fine di consegnare loggetto al destinatario. In tale catena possono entrare un adiuvante oppure un opponente che aiutano oppure ostacolano il soggetto a raggiungere il suo scopo. Lipotesi non manca di fascino a motivo della sua capacit di ricondurre tutto alla struttura stessa della proposizione: un soggetto, un oggetto, un verbo, dei complementi. E tuttavia ancora una volta il personaggio a farne le spese. Esso ridotto ad essere un attante, cio un tipo, una maschera, un soggetto dazione, ma non v nessun riguardo per la sua singolarit, il suo spessore psicologico e umano. Proprio a questo proposito si coglie il limite teorico della prospettiva semiotica: al centro dellinteresse sta lazione e non il personaggio. Tuttavia lazione interessa proprio nella misura in cui riflette lindole e la volont di un personaggio che, nelle scelte che compie, rivela i propri progetti, i propri sentimenti, i propri tratti caratteriali. Si percepisce che linteresse precipuo di Greimas il linguaggio e il suo funzionamento. Sorge per il sospetto che il tentativo di ricercare un modello generale della narrativit conduca ad un livello cos astratto di formalismo che ad essere sacrificato sullaltare del linguaggio proprio il soggetto (o personaggio) e la sua singolarit irriducibile a qualsiasi schema. Se dunque necessario interessarsi alle azioni dei personaggi e insieme auspicabile individuarne i ruoli, non possibile ridurre il personaggio a funzione. Ogni riduzione dellindividualit a caratteristiche generali ed immanenti che costringano un testo dentro un sistema preordinato di relazioni, ne spegne loriginalit e fa perdere il valore di opera iscritta in una cultura e per questo produttrice di senso. Non dobbiamo, daltro canto, dimenticare che il guadagno di tali teorie sbarazzarsi dallillusione di una percezione assolutamente ingenua ed epidermica del personaggio come persona; esso sempre una rappresentazione letteraria mediata dal linguaggio. I testi sono rappresentazioni ed interpretazioni della realt e possiedono una funzione referenziale, ma non sono la realt stessa. Allanalisi formalista si opposto vigorosamente Chatman. Secondo il critico statunitense i personaggi sono esseri autonomi, non pura funzione dellintreccio 5 ; hanno cio una dimensione psicologica e personale che, per quanto fittizia, non pu essere trascurata. Si passa, cio, dallanalisi formale del
4 A.J. GREIMAS, Smantique structurale. Recherche de mthode (Langue et langage), Larousse, Paris 1966. 5 S. CHATMAN, Story and Discourse. Narrative Structure in Fiction and Film, Cornell University, Ithaca London 1978, 119. 3
personaggio allo studio dellindividuo. Ma come varcare la soglia e passare dalla funzione alla persona? Per raggiungere tale fine bisogna individuare alcuni tratti psicologici che permettano di caratterizzare il personaggio: gesti, parole, azioni, abitudini contribuiscono a ci. Difendo senza alcuna originalit ma fermamente la concezione del personaggio come un paradigma di tratti; tratto usato nel senso di qualit personale relativamente stabile o costante, riconoscendo che pu rivelarsi, cio emergere prima o dopo nella storia, oppure scomparire ed essere sostituito con un altro 6 . Ci detto posto il principio per levoluzione di un personaggio. Ci si allontana dal tipo (i cui tratti sono pochi, costanti e schematici) e si raggiunge lindividuo (nella sua ampia complessit non priva di opacit ma proprio per questo straordinariamente ricca). E tuttavia come rilevare i tratti psicologici? Vi sono occasioni in cui il narratore stesso ad informare il lettore; altrove (ed la maggioranza dei casi) il narratore accenna a gesti, riporta parole, evoca simboli. E proprio qui inizia il processo interpretativo del lettore che, attraverso le inferenze (cio le deduzioni), deve risalire ai tratti psicologici. Il punto assai delicato: vi possono essere infatti inferenze pertinenti, inferenze meno pertinenti ed altre del tutto impertinenti. Quali criteri applicare, dunque, per evitare le impertinenze? Ogni inferenza deve essere fondata nel testo e non introdurre codici ad esso estranei. Il personaggio un costrutto testuale ed ha unesistenza limitata, legata cio a quanto il testo dice e sottende. Affermare di pi significa estrapolare i personaggi dalla logica del testo per introdurli in un mondo nuovo che, per quanto interessante, non appartiene ai personaggi come i personaggi non appartengono a questo nuovo mondo. Chatman stesso, approfondendo il ruolo dei personaggi, ricorda la distinzione introdotta nel 1927 da Forster, allinterno delle sue celebri conferenze al Trinity College di Cambridge. Una di quelle distinzioni che hanno superato gli uragani dei dibattiti letterari quella di E.M. Forster fra personaggi a tutto tondo (round characters) e personaggi piatti (flat characters) 7 . I personaggi piatti sono costruiti intorno ad ununica idea o qualit; mentre se presente in essi pi di un fattore, allora ha inizio quella curvatura che porta al personaggio tondo 8 . I primi non sono figure minori o meno importanti; semplicemente sono diversi. Forster, che prende in esame la letteratura europea, annota che i personaggi piatti hanno due grandi vantaggi: in primo luogo sono facilmente riconoscibili non appena entrano in scena e, in secondo luogo, vengono facilmente ricordati dal lettore anche in seguito. Viceversa la complessit, la capacit di lasciarsi modificare dalle circostanze, sono le caratteristiche del personaggio a tutto tondo. A testimonianza dellelasticit
6 Ibidem, 126. 7 Ibidem, 131-132. 8 E.M. FORSTER, Aspects of the Novel, ed. O. STALLYBRASS, Penguin Books, London 2005, 73. 4
della definizione (che non a caso stata variamente e non sempre a giusta ragione interpretata) ha contribuito lo stesso suo creatore che afferma: la prova che un personaggio a tutto tondo consiste nella sua capacit di sorprenderci in maniera convincente 9 . La definizione gravida di conseguenze e pu divenire un ottimo strumento euristico. I personaggi piatti, infatti, sono semplici ed uniformi, composti dun solo tratto (o qualit); le loro caratteristiche possono essere riassunte in una semplice proposizione. Al contrario i personaggi a tutto tondo sono complessi e variegati, composti di parecchi tratti e la sintesi delle loro caratteristiche richiede un discorso minimamente articolato. La stabilit dei personaggi piatti corrisponde ad una resistenza alla mutazione, mentre i cambiamenti dei personaggi a tutto tondo si iscrivono dentro un processo. Ancora: i personaggi piatti sono descritti spesso con stereotipi e non suscitano immediatamente la simpatia del lettore, sicch limpressione che danno crea una certa distanza; al contrario i personaggi a tutto tondo non possono essere inquadrati dentro una rigida griglia di lettura, attirando la simpatia del lettore. Naturalmente le azioni dei personaggi piatti sono determinate e non sorprendono il lettore, mentre quelle dei personaggi a tutto tondo frustrano lattesa ridonando vita alla narrazione.
2. I personaggi biblici Le teorie critiche che abbiamo ricordato sono il risultato di una riflessione linguistica sulla letteratura contemporanea e in particolare sul romanzo dottocento. Come noto, in quelle opere letterarie vi sono spesso intere pagine dedicate alla presentazione dei personaggi e una trama complessa e variegata fa guadagnare al lettore una notevole familiarit con gli eroi che calcano la scena. Ma che ne della letteratura antica, in particolare di quella biblica e di quella evangelica in specie? possibile applicare sic et simpliciter quelle categorie per analizzare racconti ben pi stringati dove i personaggi sono indubbiamente pi opachi e sfuggenti? Pensiamo, per esempio, a Pietro nei Sinottici: lapostolo appare pi duna volta e bench i tratti non siano molti (a confronto di un pre Goriot o di un Aljoa Karamazov) possibile rilevare alcune caratteristiche della sua figura. Ma che ne dei personaggi minori che prendono lo spazio di un episodio per poi scomparire? Naturalmente ci impone di affinare gli strumenti per evitare indebite strumentalizzazioni. Nella discussione critica anzitutto invalsa lidea che la letteratura antica e quindi anche quella biblica fosse interessata pi allazione che ai personaggi, dando largo spazio ai pra,gmata senza per mostrare una cura per lintrospezione e quindi per levoluzione psicologica. Si cita, a riguardo, il testo della Poetica nel quale Aristotele dice: La tragedia infatti imitazione (mi,mhsij) non di uomini, ma di unazione. Cos pure la felicit e linfelicit della vita sta nellazione e il fine [della vita] azione
9 Ibidem, 81. 5
(pra/xij) non qualit; gli uomini sono qualificati secondo i loro caratteri (h;qoj), ma sono felici oppure no secondo le loro azioni. Quindi non svolgono lazione scenica per imitare i caratteri, ma attraverso le azioni racchiudono i caratteri. Perci i fatti e il racconto (mu/qoj) sono il fine della tragedia, e il fine pi importante di tutto (1450a). Se lo scopo della tragedia limitazione dei fatti, i personaggi sono scelti in vista delle azioni e subordinati allintreccio narrativo. Ne consegue, logicamente, che i personaggi antichi assomigliano pi a tipi che a individui. E tuttavia tale conclusione mostra un lato dimpertinenza e deve essere dunque sfumata. Burnett ha dimostrato in modo assai convincente che se il personaggio antico era indubbiamente tipizzato, questo non pu essere attribuito ad una mancanza di attenzione alla dimensione individuale, ma deve essere ricondotto alla modalit letteraria della caratterizzazione nella letteratura antica 10 . Inoltre nellepoca contemporanea al Nuovo Testamento il gusto per i modelli classici e il timore reverenziale verso la sintesi aristotelica imponevano, quasi ex auctoritate, un genere letterario e una teoria degli stili. I personaggi, perci, erano adattati a tali presupposti estetici. Ci tuttavia non costringeva il personaggio alla staticit; al contrario gli permetteva un certo margine di movimento, offrendo anche al lettore la possibilit di ricostruire tratti di personalit a partire da parole e azioni. Basti pensare alla differente presentazione di Creonte: nellAntigone docile e remissivo, nellEdipo re attivo e addirittura tirannico, nellEdipo a Colono uno sfacciato bugiardo 11 . Uno dei punti qualificanti la cosiddetta Formgeschichte laffermazione che i Vangeli non appartengono a nessun genere letterario conosciuto nellantichit; al contrario essi si sono formati a partire dallannuncio cristiano. Ma questa affermazione discussa da non pochi esegeti che, invece, riconoscono uno stretto rapporto fra i Vangeli e il genere letterario biografico 12 . Ci sembra che questo ritorno di fiamma alla biografia (quasi per contrasto a tutta la tradizione storico-critica) soffra di una deficienza teorica a riguardo della
10 F.W. BURNETT, Characterization and Reader Construction of Characters in the Gospels, Semeia 63 (1993) 328 con ampia bibliografia (pp. 23-28). 11 Ibidem, 13-14. 12 La discussione aperta. Cfr. limportante contributo di R.A. BURRIDGE, What Are the Gospels? A Comparison with Graeco-Roman Biography (BRS), Eerdmans Dove, Grand Rapids Livonia 2004 2 . Interessante a proposito lo studio informato e panoramico di J.-N. ALETTI, Le Christ racont: les vangiles comme littrature?, in F. MIES (d.), Bible et littrature. Lhomme et Dieu mis en intrigue (LiRo 6), Lessius, Bruxelles 1999, 29-53 dove lesegeta mostra che la singolarit dei racconti evangelici tutta nella evidente finalit cristologica: la ricerca dellidentit di Ges non solo il compito degli attori dei racconti; essa si estende anche ai lettori che devono, a loro volta, decidere se percorrere o meno litinerario dei discepoli, quello della fede (p. 52). Sul problema vedi il lucido e ampio contributo di R. PENNA, Kerygma e storia alle origini del cristianesimo. Nuove considerazioni su di un annoso problema, Annali di scienze religiose 2 (1997) 239256; afferma fra laltro: Il cristianesimo fin dalle sue origini non fu mai interessato a scrivere soltanto una storia e, altrettanto, esso non fu mai interessato a proclamare soltanto un kerygma. Entrambi coesistono e devono coesistere, anzi si intrecciano inseparabilmente (p. 242). 6
relazione fra storia e storiografia. Infatti il principio propulsore che anima gli evangelisti non la volont di raccontare il bruto dato storico, bens il significato che a quella vicenda singolarissima (quella certo di Ges di Nazaret) viene riconosciuto e che ormai parte intrinseca della loro stessa esistenza; gli evangelisti stessi sono implicati nei libri che scrivono. Per dirla con Fusco: Non pura ricostruzione storica della predicazione di Ges ad Israele, dunque, ma presentazione di un messaggio tuttora attuale, destinato ad interpellare il lettore 13 . Da queste osservazioni viene una conseguenza: ogni affermazione che riduce i personaggi evangelici a figure piatte o statiche o tipizzate da rifiutare, in quanto appare indebito il riferimento alla letteratura antica e la conseguente conformazione del genere letterario evangelico a presunti modelli. Un discorso a parte merita, evidentemente, lAntico Testamento. Il confronto fra Omero e i personaggi della Bibbia ebraica rivela che gli uni sono sempre uguali a loro stessi e molto trasparenti nei loro atteggiamenti, mentre (perlomeno molti tra) quelli biblici sottostanno ad un pi vario sviluppo e ad una maggiore opacit di sentimenti e intenzioni 14 . Proprio lopacit la cifra sintetica per definire molti personaggi della prima alleanza; essi sfuggono, si nascondono, non hanno quella trasparenza monolitica tipica di Achille o di Ulisse. Questa inscrutabilit dei personaggi, la loro opacit non n un difetto n un limite. semplicemente una caratteristica. Come ha acutamente osservato Auerbach a proposito dellobbedienza di Abramo (Gen 22): Gli uomini dei racconti biblici sono pi di sfondo di quelli omerici. [] I loro pensieri e i loro sentimenti sono molto pi complessi ed aggrovigliati. Lagire di Abramo non si spiega con quello che gli accade al momento e nemmeno solo col suo carattere [] bens con la sua storia precedente; egli ricorda, continuamente consapevole di che cosa Dio gli ha promesso e di che cosa ha gi realizzato per lui la sua interiorit profondamente divisa fra sdegno disperato e speranzosa attesa; la sua silenziosa obbedienza complessa e misteriosa. In una condizione intima cos problematica non possono incorrere le figure omeriche, il destino delle quali chiaramente fissato e che ogni giorno si svegliano come se fosse il primo 15 . Dunque non eroi irraggiungibili, perfetti e ben lontani dai comuni mortali; al contrario figure mimetiche, segnate dal dramma dellesistenza, spesso barcollanti nel buio. Una scena come il rinnegamento di Pietro non si adatta a nessun genere antico; troppo seria per la commedia, troppo quotidiana e attuale per la tragedia,
13 V. FUSCO, Progetto storiografico e progetto teologico nellopera lucana, in AA.AV., La storiografia della Bibbia. Atti della XXVIII settimana biblica, Dehoniane, Bologna 1986, 149. 14 R. VIGNOLO, Personaggi del quarto Vangelo. Figure della fede in San Giovanni (Biblica 2), Glossa, Milano 2006 2 , 13-14. 15 E. AUERBACH, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendlndischen Literatur (Sammlung Dalp 90), Francke, Bern 1959 2 , 14. 7
politicamente troppo irrilevante per la storiografia ed ha assunto una forma dimmediatezza che non c nella letteratura antica 16 . E tuttavia, quasi a dispetto di tale profilo, lazione di Dio si interseca con la vicenda di simili personaggi. Lintreccio incandescente e produce un effetto di realismo di forte impatto sul lettore. La rappresentazione dei drammi interiori, infatti, pone davanti agli occhi una figura di profondo spessore personale e nella quale il lettore del testo riconosce il profilo mimetico giungendo addirittura ad identificarsi con essa. Nei personaggi della narrazione biblica delluno e dellaltro Testamento, cio, ci si pu specchiare.
3. Criteri per lanalisi del personaggio Riconosciuta la pertinenza dellanalisi del personaggio biblico e, in specie, di quello evangelico, la domanda che sorge spontanea come realizzare il compito di tale disamina. Va detto in primo luogo che il narratore seleziona attentamente che cosa raccontare o non raccontare di un personaggio o di una singola situazione; in genere sceglie alcuni eventi accaduti (realmente o nella sua immaginazione) e rappresenta solo quelli che sono necessari al suo progetto. Il lettore, daltro canto, individua, raccoglie, confronta, analizza gli indizi e si fa unopinione sul personaggio 17 . Proponiamo alcune distinzioni che possono essere utili per classificare i personaggi. Vi sono anzitutto personaggi dinamici e altri statici. Un personaggio statico non evolve interiormente, sempre uguale a se stesso (per esempio Sansone). Un personaggio dinamico, invece conosce uno sviluppo interiore lungo la narrazione (Giuseppe, Mos, Pietro). Una seconda differenziazione, proposta da Forster, distingue personaggi piatti (flat) e personaggi a tutto tondo (round). Il personaggio piatto ha un solo tratto (il giusto No, limpulsivo Esa, il testardo faraone; i farisei in Mc 2,23-28, Erodiade). Questi personaggi non rivelano nessun dibattito interiore, sono monolitici e opachi. Il personaggio a tutto tondo, invece, mostra la sua profondit e di lui conosciamo i conflitti, le tendenze, anche le contraddizioni. Tali conflitti si manifestano in dialoghi, spesso con Dio, o con azioni drammatiche (Mos rivela molte sfaccettature in Es 3,1-4,17, Geremia, Giobbe, Naaman in 2 Re 5, i farisei in Mc 3,1-6).
16 Ibidem, 48. 17 Afferma U. ECO, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi (Saggi tascabili 27), Bompiani, Milano 1998 5 , 52: Il testo dunque intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire e chi lo ha emesso li ha lasciati bianchi per due ragioni. Anzitutto perch un testo un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal destinatario, e solo in caso di estrema pignoleria [] il testo si complica di ridondanze e specificazioni ulteriori. [] E in secondo luogo, perch via via che passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuol lasciare al lettore liniziativa interpretativa, anche se di solito vuole essere interpretato con un margine sufficiente di univocit. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare (corsivi nostri). 8
Il personaggio compare, si muove e sparisce sempre allinterno dellintreccio narrativo. dunque essenziale evidenziare il setting (ovverosia lo spazio e il tempo) della narrazione, tuttaltro che neutro e casuale. Il quadro spaziale pu essere sottoposto a cambiamento (passaggio da un ambiente pubblico ad uno privato, oppure dallo spazio sacro a quello profano) cos come il quadro temporale (analessi, prolessi), non senza un significato per la narrazione. Il lettore deve tener presenti nella memoria i diversi spazi (fisici e temporali) dove il personaggio agisce per elaborare il senso di quanto il narratore intende rivelare. Ancora, sar da valutare attentamente il fine gioco fra intreccio e fabula. Questo secondo livello un prodotto mentale del lettore, frutto della sua intelligenza riorganizzatrice e non per nulla arbitrario in quanto obbedisce fedelmente ai dati offerti dal racconto. Il narratore abile capace di far interagire piani temporali differenti alludendo al passato o ipotizzando uno scenario futuro. Il lettore che intende tali allusioni invitato a ricomporre il quadro per scoprire non unicamente come la vicenda cominciata e come andr a finire, ma pi in profondit qual il senso di queste intersezioni. E naturalmente invitato pure a collocare il personaggio proprio allinterno delledificio narrativo. Il nesso fra personaggio e intreccio implica anche la relazione fra personaggio e personaggi. In merito alla distinzione dei personaggi possibile percorrere varie strade. La prima pista pone i personaggi in relazione allintreccio e quindi assegna a ciascuno ruoli differenti o, per usare un linguaggio diverso, tipi di caratterizzazione 18 . Si distingue anzitutto un protagonista (o eroe), colui che gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo dellintreccio. Nei testi evangelici spesso il protagonista Ges, ma pu essere anche un malato che cerca la guarigione, piuttosto che il personaggio principale di una parabola. Talvolta al protagonista si affianca un antagonista, che, evidentemente, si oppone al protagonista (il faraone contro Mos in Es 3-14; Davide contro Saul in 1 Sam 16-31; Acab e Gezabele contro Elia in 1 Re 17-19; i demoni e i mandriani in Mc 5,1-20). La figura di spalla (foil) mette in risalto qualit di altri personaggi pi rilevanti (Lot rispetto ad Abramo in Gen 13; Ruben rispetto a Giuda in Gen 37; 42-43; Giosu ed Aronne rispetto a Mos in Es 32; il sacerdote e il levita rispetto al Samaritano in Lc 10,31-33). I funzionari (o agenti, o ficelles) sono quelli che fungono da semplici strumenti al servizio dellintreccio (Betsabea in 2 Sam 11; i discepoli in Mc 9,14-27). Infine le masse, la folla, il coro, le comparse spesso sono puramente passivi e senza alcun ruolo per la soluzione dellintreccio.
18 Cfr. la presentazione di J.L. SKA, Our Fathers Have Told Us. Introduction to the Analysis of Hebrew Narratives (SubBi 13), Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, 86-87 e di D. MARGUERAT Y. BOURQUIN, Pour lire les rcits bibliques. Initiation lanalyse narrative, Cerf Labor et Fides, Paris Genve 2009 4 , 85-86. 9
Una seconda pista quella di distinguere i personaggi in base allazione con categorie attanziali (secondo la teoria di Greimas sopra enunciata): destinatore, destinatario, soggetto, oggetto, adiuvante, opponente 19 . La terza strada invece cerca di stabilire il grado di caratterizzazione nei confronti dellintreccio. Alla base di questa distinzione v lidea che, al di l delle modalit di descrizione (eroe, spalla, etc.), sia possibile evidenziare il grado di personalit e la profondit della caratterizzazione. Berlin ha espresso con magistrale chiarezza il principio ed ha stabilito una criteriologia a tre livelli: La differenza pi circa il grado (degree) di caratterizzazione, piuttosto che il tipo (kind) di caratterizzazione. Si possono pensare come punti di un continuum: 1) lagente (agent), intorno a cui niente conosciuto se non quanto necessario allintreccio; lagente una funzione dellintreccio o parte del setting; 2) il tipo (type), che ha una limitata e stereotipata gamma di tratti e che rappresenta una classe di persone con questi tratti; 3) il personaggio (character) che ha una pi larga gamma di tratti (non tutti appartenenti alla stessa classe di persone) e intorno a cui non conosciamo molto di pi di quanto sia necessario allintreccio 20 . Rimane unosservazione. I personaggi evangelici si specchiano sempre nella luce della rivelazione cristologica. Essa tuttavia non li rende trasparenti al punto da essere evanescenti. Al contrario, proprio e solo in relazione ad essi e per la loro testimonianza, la figura cristologica si resa disponibile e accessibile a noi. Ne consegue che i personaggi, maggiori o minori che siano, vanno colti come figure della fede o, per essere pi prudenti ancora, come figure rivelative dellitinerario di fede. Ci si guarder dal rischio di rileggerli unicamente in questa funzione (cadendo nella trappola del formalismo che abbiamo criticato), mantenendosi attenti a non sovrapporre schemi precostituiti alle figure bibliche. Quali sono i criteri per individuare i tratti dei personaggi di un racconto biblico? Ci sembra che la ormai famosa criteriologia messa a punto da Alter abbia ancora qualche pertinenza. Afferma lo studioso doltreoceano: Il personaggio pu essere rivelato attraverso [1] il resoconto delle azioni; attraverso sembianze, gesti, posizioni, abitudini; [2] attraverso i commenti di uno su di un altro; [3] attraverso il discorso diretto di un personaggio; [4] attraverso il discorso interiore sintetizzato o riportato come monologo interiore; [5] o attraverso asserzioni del narratore circa gli atteggiamenti e le intenzioni dei personaggi che possono giungere o come semplici affermazioni o come spiegazioni motivate 21 .
19 GREIMAS, Smantique structurale, 172-191. Cfr. anche la sintetica presentazione e la relativa discussione in A. MARCHESE, Lofficina del racconto. Semiotica della narrativit (Oscar saggi 193), Mondadori, Milano 1990, 34-46. Circa lapplicazione alla Bibbia cfr. MARGUERAT BOURQUIN, Pour lire les rcits bibliques, 89-91. 20 A. BERLIN, Poetics and Interpretation of Biblical Narrative (BLS 9), Almond, Sheffield 1983, 32. 21 R. ALTER, The Art of Biblical Narrative, Allen & Unwin, London Sydney 1981, 116-117 (la numerazione fra parentesi nostra). La pagina citata e discussa da VIGNOLO, Personaggi del quarto Vangelo, 31-36 da cui sostanzialmente dipendiamo. 10
Le tecniche narrative recensite ed elencate da Alter appartengono a due differenti procedimenti, il telling e lo showing. Nei primi quattro casi classificati da Alter la modalit indubbiamente legata al far vedere (showing), mentre lultimo appartiene al dire (telling). Le due differenti tecniche narrative impegnano il lettore in modo sensibilmente diverso. Nel caso dello showing egli dovr ricostruire la figura del personaggio grazie alle inferenze (o deduzioni); al contrario nel caso del telling il narratore stesso (detto onnisciente) che indirizza la visione e la valutazione del personaggio, offrendo al lettore una conoscenza che talvolta sfugge agli attori stessi del racconto e che dunque pone il lettore in posizione di superiorit. Ma riprendiamo la scaletta di Alter. 1. Al primo livello (resoconto di azioni, descrizione di sembianze) si possono distinguere enunciati descrittivi (che rivelano lessere) ed enunciati narrativi (che rivelano il fare). Al primo gruppo appartengono il nome proprio o le diverse attribuzioni conferite ad un personaggio. Siamo nel regno dellinferenza che, per essere critica, deve sempre fondarsi su elementi del testo; nel caso di inferenze pertinenti (cio fondate nel testo e nei codici culturali) abbiamo una lettura critica; nel caso di inferenze impertinenti, invece, abbiamo una lettura arbitraria e acritica. Non bisogna poi dimenticare che il personaggio un costrutto testuale, cio il prodotto di un certo numero di informazioni del testo, ci che il testo dice e ci che il testo lascia intendere. Larte del narratore fornire alcuni indizi, senza per esaurire linterpretazione del personaggio con notazioni esplicite; spesso un minimo di ambiguit giova al personaggio [] e acuisce linteresse del lettore, lo sprona a nominare ci che il testo tace o lascia solo intuire, lo invita allattivit intellettualmente gratificante della ricerca di indizi e di tracce, della soluzione di enigmi 22 . Nellespressione: Una donna di nome Marta lo accolse (Lc 10,38) il narratore offre un nome (dunque un enunciato descrittivo che dice lessere) e utilizza un verbo che fa un resoconto dellazione (dunque un enunciato narrativo). A questo punto sorge la domanda: laccoglienza in casa di un uomo rientra o meno nei codici culturali? Si tratta di un gesto coerente oppure problematico? 2. Le affermazioni di un personaggio su di un altro chiedono di essere attentamente pesate, considerando chi le dice e da quale punto di vista. Decisivo sar ovviamente il punto di vista di Dio o di Ges su questo o quel personaggio (occorre avere molta attenzione allironia). Nellaffermazione: Signore non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? (Lc 10,40) Marta esprime una valutazione fortemente critica di Maria. Anzitutto non si rivolge alla sorella ma a Ges (chiamato solennemente Signore) manifestando una distanza e tentando di coinvolgere lospite per dare autorit alla sua richiesta; inoltre non cita il suo nome ma la chiama sorella: un argumentum per esigere che Maria esplichi i suoi doveri nei confronti dellospite in quanto le due donne mantengono la medesima
22 H. GROSSER, Narrativa. Manuale/Antologia (Leggere narrativa), Principato, Milano 1985, 253. 11
equidistanza da Ges. Ben diversa invece laffermazione di Ges (Lc 10,41b-42). 3. Nel discorso diretto abbiamo unespressione pi diretta del personaggio che deve essere valutata in relazione al personaggio stesso, in rapporto ai punti di vista degli altri personaggi e del narratore. Si possono vagliare i personaggi in base al principio di fedelt alla parola data. Si pensi, per esempio, allaffermazione di Pietro: Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sar (Mc 14,29). 4. Lo stesso si pu dire del monologo interiore. Istruttivo quanto dice fra s e s il fariseo di Ges: Se costui fosse un profeta (Lc 7,39). Per Simone il profeta colui che conosce; ma Ges, lasciandosi toccare dalla peccatrice, mostra di non conoscerla, quindi non un profeta. Naturalmente questo il punto di vista del fariseo, ben differente da quello del lettore che sente evocare qui la ben nota categoria profetica, non senza un restringimento problematico (cfr. Lc 4,16-30; 7,11-17). 5. Quando il narratore si espone direttamente sul personaggio o entra nel suo animo mostrando le sue motivazioni, la certezza pi garantita. Siamo dentro una modalit telling. Tuttavia Alter non si accontenta di classificare le modalit di presentazione dei personaggi. Riconosce anche quattro livelli o categorie nelle informazioni offerte dal narratore: [1] La parte pi bassa di questa scala il personaggio rivelato tramite azioni o modi di apparire ci lascia sostanzialmente nel regno dellinferenza. [2] Le categorie centrali, implicanti il discorso diretto o di un personaggio stesso o di altri su di lui, ci conducono dallinferenza a soppesare le informazioni. Bench le affermazioni dirette di un personaggio possano sembrare una rivelazione sufficientemente esplicita di chi egli sia e di come egli operi, di fatto gli scrittori biblici sono consapevoli [] che il discorso pu riflettere loccasione pi che il parlante stesso, e quindi pu essere pi una persiana chiusa che una finestra aperta. [3] Col resoconto del discorso diretto entriamo nel regno della certezza relativa intorno al personaggio: c certezza, in ogni caso, circa le coscienti intenzioni del personaggio, sebbene possiamo sentirci ancora liberi di interrogarci sui motivi al di l delle intenzioni. [4] Infine, in cima a questa scala ascendente, abbiamo lasserzione attendibile dello stesso narratore su ci che il personaggio sente, intende, desidera. Qui garantita la certezza 23 . Quasi a complemento di quanto detto dobbiamo aggiungere ancora unosservazione a proposito del discorso diretto. Appare assai feconda la teoria degli atti linguistici di Austin secondo cui ogni dire un fare 24 . Si distinguono tre livelli dellatto linguistico: il livello locutorio: che cosa una persona dice; il livello illocutorio: che cosa una persona fa con le parole dette; il livello perlocutorio: che cosa una persona fa fare ad un altro con quanto dice 25 .
23 ALTER, The Art of Biblical Narrative, 117 (la numerazione fra parentesi e i corsivi sono nostri). 24 J.L. AUSTIN, How to Do Things with Words. The William James Lectures Delivered at Harvard University in 1955, Clarendon, Oxford 1963, 1-11. 25 Ibidem, 94-107. 12
Lapplicazione di questi criteri senza essere meccanica ed automatica permette di guadagnare non poche competenze intorno ai dialoghi che nei testi sinottici sono spesso ridotti a poche, significative battute. Un solo esempio: allorch Pietro e i suoi compagni dicono a Ges Tutti ti cercano (Mc 1,37), a livello locutorio i quattro enunciano un fatto; a livello illocutorio rappresentano entusiasmo, sconcerto, imbarazzo, rimprovero e lusinga: da una parte hanno inseguito Ges (1,36), dallaltra pongono sulle labbra di un indefinito tutti latto di cercarlo; a livello perlocutorio lespressione suona come una sollecitazione a tornare a Cafarnao per completare le guarigioni (Ges infatti, il giorno prima, aveva guarito molti [1,34]).
4. Il punto di vista valutativo Da distinguere attentamente dal punto di vista tout court (o focalizzazione) il punto di vista valutativo corrisponde alla visione del mondo dellautore implicito, visione di cui il testo colmo. In altre parole: il narratore cerca di provocare uninterazione fra il lettore e i personaggi che rappresenta. Ma una tale interazione ben pilotata dal narratore il quale, a sua volta, fa riferimento ad una rappresentazione del mondo. la c.d. enciclopedia personale del lettore che oggi noi dobbiamo ricostruire con unadeguata strumentazione critica 26 . Powell riconduce i sentimenti che il lettore prova nei confronti dei personaggi a tre differenti attitudini: lempatia, la simpatia e lantipatia (fra parentesi ricordiamo che in queste valutazioni non v nulla di psicologico). Lempatia unidentificazione fortemente emozionale fra un personaggio e il lettore; v antipatia allorch un personaggio contraddice il sistema di valori del lettore; si d invece simpatia quando il lettore non partecipa emotivamente alla situazione di un personaggio e il sistema di valori dei due non coincide del tutto 27 . Nella parabola del buon Samaritano la violenza dei briganti nei confronti del viandante (Lc 10,30) fa scattare un duplice sentimento: sia una chiara antipatia per i banditi (che contraddicono ogni sistema di valori), sia una profonda empatia nei confronti del ferito, vittima innocente della loro violenza. Invece nei confronti del centurione romano (Lc 7,1-10) il lettore allinizio prova simpatia (bench sia un pagano e un soldato occupante tuttavia ama il popolo dIsraele) poi, a fronte delle parole di Ges, empatia.
26 J.A. DARR, On Character Building. The Reader and the Rhetoric of Characterization in Luke-Acts (LCBI), Westminster John Knox, Louisville 1992, 2223 insiste molto sul patrimonio culturale del lettore implicito che il lettore odierno deve cercare di ricostruire da dati extratestuali al fine di avvicinarsi il pi possibile alla percezione di coloro per i quali il testo stato scritto. Pi precisamente: qual lenciclopedia personale del lettore? Il concetto di enciclopedia personale del lettore stato formulato da ECO, Lector in fabula, 37-40 e corrisponde a quel bagaglio di conoscenze linguistiche, storiche, culturali, etc. che il narratore presuppone essere possesso del lettore implicito. 27 Cfr. M.A. POWELL, What Is Narrative Criticism? (NTG 12), Fortress, Minneapolis 1990, 56-58.