Sei sulla pagina 1di 75

1

LUIGI BATTEZZATO
LE CONVENZIONI DELLA GIUSTIZIA

[saggio confluito nell'introduzione a Euripide, Ecuba, a cura di L. Battezzato, BUR, Milano
2010; in pubblicazioni academiche si prega di citare l'edizione 2010 effettivamente pubblicata]

L'Ecuba stata considerata una tragedia anomala ed esemplare. Esemplare per la vendetta della
protagonista: una vendicatrice improbabile, data la sua et avanzata, la sua fragilit, la sua
appartenenza, secondo la visione sessista dei greci antichi, alla 'razza' delle donne, debole per
natura
1
. Prigioniera dei Greci dopo la caduta di Troia, scopre che suo figlio Polidoro stato ucciso
da Polimestore, che l'aveva ricevuto in affidamento; alletta l'assassino con la promessa di svelargli
tesori nascosti, e si vendica accecandolo e uccidendogli i figli.
La vendetta di Ecuba riceve plausi entusiastici e condanne severe. Se nel seicento la
punizione di Polimestore figura vindictae divinae, immagine simbolica della vendetta divina
2
,
nell'ottocento Hermann giudica animalesca la furia di Ecuba: certamente Ecuba non agisce
ingiustamente quando trama la sua vendetta; ma quando si cavano gli occhi a un uomo sia pur
scellerato, e si trucidano i suoi figli innocenti, e per di pi sono donne a farloquesto un delitto
orrendo, che una qualsiasi belva feroce potrebbe condurre a termine
3
. Nel novecento l'Ecuba di
questa tragedia diventa addirittura una specie di cane infernale
4
. Molti interpreti hanno sostenuto
che il personaggio di Ecuba subisce una degradazione morale, una metamorfosi da donna sofferente
ad animale vendicatore
5
. Come si spiegano questi cambiamenti culturali nella valutazione del
personaggio? La svolta dell'illuminismo stata fondamentale nel cambiare il modo in cui i moderni
pensano punizioni e processi. Con un certo ritardo, gli studiosi di letterature classiche,
nell'ottocento, hanno manifestato riserve verso la crudelt di Ecuba. Solo di recente la critica ha
ripreso a presentarci la punizione inflitta da Ecuba come moralmente accettabile, almeno agli occhi
del pubblico antico. Le opposte interpretazioni di questa tragedia spesso sono tendenziose nel
presentare la 'visione' dei greci. Nella Grecia del quinto secolo a. C. le idee sulla punizione e la
vendetta non erano affatto univoche. Gi Protagora, mescolando prescrizione a descrizione,
associava eccesso di punizione e animalit osservava che nessuno punisce quelli che hanno
commesso ingiustizia avendo riguardo solo al fatto che hanno commesso ingiustizia, e solo per
questo motivo, a meno di punire senza ragione come gli animali: chi si appresta a punire con
ragione non punisce a motivo dell'ingiustizia passata (infatti non sarebbe possibile far s che ci che
stato fatto non sia avvenuto) ma a motivo del futuro, perch non commetta ingiustizia n quella

1
Let avanzata ripetutamente sottolineata nel dramma: cfr. vv. 53, 143, 156, 171, 203, 389, 407, 621. Per la
fragilit di Ecuba si vedano i vv. 59-67, per la debolezza della razza femminile i vv. 883-85.
2
La vendetta di Ecuba era approvata da Stiblinus (1562: Heath 1987, 47 e nn. 49-50), e molti altri studiosi pre-
illuministi. Si veda Vossius 1647, 51, da cui tratta la citazione a testo: Polimestore exemplum est avaritiae, scaelesta
multa suadentis; idemque ob poenam, quam perpessus, figura est vindictae divinae (Polimestore 'rappresenta l'avidit,
che spinge a commettere molti delitti orrendi; rappresenta anche la vendetta divina a motivo della punizione subita'). La
traduzione da lingue antiche o moderne, salvo diverse indicazioni, opera mia.
3
Hermann 1831, XVII.
4
Murray 1913, 89 (tr. it. 1932, 58). Cfr. Segal 1993, 179: Hecuba's almost demonic skill and resourcefulness
in gaining revenge (l'abilit e abbondanza di risorse quasi demoniaca di Ecuba nell'ottenere vendetta). Liste di
giudizi negativi sulla moralit della vendetta di Ecuba sono riportate in Meridor 1978, 28 n. 3; Heath 1987, 62-64;
Mossman 1995, 164 n. 2. Molti per hanno sostenuto che, nei termini dell'etica ateniese classica, la punizione di
Polimestore andava considerata giusta o giustificabile: Adkins 1966, 205; Meridor 1978, seguita da Heath 1987, 65;
Gregory 1991, 110-11; Mossman 1995, 177-201; Burnett 1998, 166-176; Gregory 1999, XXII-XXV.
5
Heath 1987, 63 e n. 122 cita tra l'altro Hadley 1894 [1904], XII e Grube 1941, 227; per Kirkwood 1947, 67
Ecuba si avvia a una carriera di degenerazione morale, a partire dal v. 816, giungendo a una completa rovina;
Abrahamson 1952, 128; Reckford 1985, 113 s. 118; Nussbaum 1986, 417: he is made a beast by her act, as she is by
his. She will become, because she has been and is, what he prophesies (lui diventa un animale in conseguenza
dell'atto di lei, cos come lei per l'atto di lui, Lei diventer ci che lui profetizza, perch lo stata e lo ). Cfr. anche
Gall 1997.
2

stessa persona n altri che vedano quella persona subire la punizione (Platone, Protagora 324 a-b).
Possiamo stabilire quale fosse l'atteggiamento dei contemporanei di Euripide? O il testo di Euripide
prevedeva esso stesso di creare risposte diverse, di dividere il suo pubblico nel giudizio? Il lessico
della vendetta e della giustizia; il rapporto tra punizione e colpa, tra violenza e metafora saranno i
temi affrontati nella prima parte dell'introduzione, e ci permetteranno di dare alcune risposte a
questi interrogativi etici e interpretativi.
Gli aspetti etici della vicenda, la punizione dei colpevoli, il sacrificio volontario di una
donna, ma anche i legami con Omero, un linguaggio in gran parte lineare e la presenza di numerose
massime sentenziose erano tra le attrattive che hanno garantito il successo dell'Ecuba,
raccomandandone l'uso pedagogico. Numerosi resti di manoscritti antichi mostrano la sua
popolarit gi nella tarda antichit
6
, popolarit che cresce nel periodo bizantino. A Bisanzio, chi si
accostava alla tragedia greca cominciava spesso da Euripide, e l'Ecuba era la prima delle tre opere
di questo autore che venivano lette nelle scuole (le altre erano Oreste e Fenicie)
7
. Per questo motivo
l'Ecuba di solito la prima tragedia del volume, o almeno la prima tragedia di Euripide, nei
manoscritti medievali, provenienti quasi esclusivamente dall'impero bizantino
8
; e per questo stata
una delle prime tragedie a venir tradotte in latino nell'umanesimo
9
.
E' stata per considerata a lungo una tragedia anomala: anomala perch divisa in due parti.
Euripide, nella prima parte, aveva messo in scena il sacrificio di Polissena, sorella di Polidoro. Il
'fantasma' di Achille morto, apparso ai greci, aveva richiesto che la sua tomba fosse onorata con
sacrificio umano. I greci scelgono di accontentarlo e di sacrificare Polissena, su consiglio di
Odisseo. Ecuba tenta di convincere Odisseo a ricambiare un favore ricevuto: entrato di nascosto a
Troia, era stato riconosciuto, ma non denunciato da Ecuba. Odisseo riconosce il debito: ma l'unica
vita che disposto a salvare quella di Ecuba. Con una agghiacciante manipolazione, usa i topoi
patriottici democratici per perorare l'uccisione di una ragazza incolpevole. Polissena accetta di buon
grado la morte per evitare una schiavit ignobile e viene sacrificata. La critica pi recente ha
tralasciato i tentativi di trovare qualche concetto astratto o qualche tema che fornisse al dramma
l'"unit" che gli mancava
10
, e che veniva considerata esteticamente essenziale.
Le vicende di Polissena e Polidoro sono chiaramente parallele. Polissena ("la molto
ospitale") e Polidoro ("l'uomo dai molti doni") portano nei loro nomi, come spesso nell'onomastica
greca, le qualit del padre Priamo, e in particolare ricordano i molti legami di "ospitalit" (xenia)
stretti dal re di Troia
11
. La xenia era appunto un rapporto di amicizia ritualizzato e codificato, nel
cui ambito lo scambio di doni e di favori era fondamentale
12
, e il tema dell'obbligo aristocratico, del

6
Abbiamo quasi una ventina di papiri con frammenti tratti da quest'opera (Diggle 1984, 336). Per dare alcuni
termini di confronto, Diggle nella sua edizione elenca 13 papiri della Medea, 24 dell'Oreste, e 22 delle Fenicie. Le
tragedie euripidee erano molto meno lette (8 papiri per le Baccanti e altrettanti per lIppolito, sempre secondo ledizione
di Diggle). Si vedano inoltre i testi recentemente pubblicati nella serie dei papiri di Ossirinco, con tavola riassuntiva dei
ritrovamenti (Obbink 2001). Sulla tradizione e ricezione antica della tragedia un orientamento offerto dai saggi
raccolti in Battezzato 2003a.
7
Cfr. Wilamowitz 1895 [1959], I 196-220; Wilson 1990, 67-72. Sullampia tradizione manoscritta medievale,
testimonianza della diffusione di questi tre drammi, cfr. Turyn 1957; Di Benedetto 1965a; Matthiessen 1974;
Mastronarde 1982; Diggle 1991.
8
Ad esempio la prima tragedia del volume nei manoscritti Laurenziano 31.10 (del 1175 circa, manoscritto O
nell'edizione Diggle), Ambrosiano L 39 Superiore (del 1320 circa, manoscritto G nell'edizione Diggle), Parigino greco
2712 (sec. XIII, manoscritto A nell'edizione Diggle), Vaticano greco 909 (1280-1250 circa, manoscritto V nell'edizione
Diggle), Vaticano greco 1135 (sec. XIII, manoscritto R nell'edizione Diggle), Vaticano Palatino greco 98 (sec. XIV,
manoscritto Va nell'edizione Diggle), Angelico greco 14 (1300-1325, manoscritto T nell'edizione Diggle). Sulla
tradizione manoscritta dell'Ecuba si veda in particolare Matthiessen 1974 e sotto, premessa al testo, sezione 4, pp.
*000*-*000*.
9
Leonzio Pilato tradusse i vv. 1-466 della tragedia, e Boccaccio probabilmente possedette un manoscritto di
questa traduzione: cfr. Pertusi 1960.
10
Cfr. Mossmann 1995, 48 e n. 1, 207-208, 231-32 con bibliografia .
11
Il nome Polidoro attestato, per un personaggio realmente esistito, gi nel VII sec. a. C., in ambiente spartano:
si veda Alcmane, fr. 5 PMG (= 5 PMGF) fr. 2 col. i riga 18.
12
Si veda in generale Herman 1987, con bibliografia.
3

"debito" e del "favore", ricorre in tutto il dramma, sia per Polissena che per Polidoro
13
. Questi
rapporti di xenia, di philia ("amicizia", ma anche "relazione di parentela") e di obbligo verranno
analizzati nella seconda parte dell'introduzione, insieme all'evoluzione del personaggio di Ecuba.
Seguendo il suo stesso invito a imparare l'arte della "persuasione", Ecuba impara a parlare come un
retore, impara ad usare a proprio vantaggio l'ideologia dello 'scambio di favori', dell' 'amicizia', della
differenza fra greci e barbari, liberi e schiavi, nemici pubblici e amici privati, impara a mostrare le
falle della sophia ("intelligenza"/"sapienza"/"furbizia") di Odisseo e Polimestore
14
.
Nell'Ecuba la voce degli di, cos loquaci in altre tragedie euripidee, non si fa sentire
15
. Solo
Dioniso, il dio della tragedia, ci parla brevemente alla fine del dramma, per bocca di Polimestore: ci
fa sapere che la morte di Ecuba la render allo stesso tempo famosa e non umana; ci fa sapere che la
morte aspetta Agamennone in Grecia (Agamennone stesso, inconsapevolmente, alluder alle
tragedie che la narrano)
16
. Alla fine della vicenda, la voce di Ecuba, da lamentosa e ingannevole, si
tramuta in un suono non umano: un latrato che risuoner in Ovidio e in Seneca, e che verr
ricordato da Dante come segno della pazzia, di una trasformazione miserevole e singolare provocata
dal dolore
17
. Amleto invece vedr in lei un caso esemplare del meccanismo della piet, e del
teatro
18
. Il personaggio di Ecuba, nelle sopravvivenze medievali e moderne, conserver la sua
ambivalenza tra anomalia ed esemplarit.

Parte prima
Metafore della vendetta e genealogia delle pene

1. Lessico della giustizia e lessico della vendetta
Nelle lingue europee moderne il concetto di 'vendetta' chiaramente indicato da parole specifiche:
'vendetta', revenge e vengeance (inglese, dalla stessa radice latina di 'rivendicare' e 'vendicare',
tramite l'antico francese), Rache (tedesco), in contrasto con justice, Gerechtigkeit/Justiz; l'inglese e
il francese hanno addirittura adottato il termine italiano "vendetta". Ai nostri giorni l'uso del lessico
della vendetta bandito dal linguaggio giudiziario: anche le vittime dei crimini pi crudeli sanno
che usare questo lessico in tribunale pu costare loro caro
19
. La divisione tra la sfera della giustizia
e quella della vendetta rafforzata dall'esistenza di un lessico distinto: l'etimologia di queste parole

13
Cfr. la seconda parte di questa introduzione.
14
Per linvito a imparare la persuasione cfr. i vv. 814-19. Sulla differenza tra greci e barbari cfr. vv. 1199-
1201. Il tema della libert e della schiavit discusso da Polissena in particolare ai vv. 357-67, 420, 550, e viene ripreso
da Ecuba ai vv. 234, 291, 754, e soprattutto nel passo dei vv. 864-69. Il problema dellamicizia e delle alleanze, con le
connesse differenze tra pubblico e privato, menzionato ai vv. 835-36, 857-60, 1199-1201, 1217-21, 1226-27. Sulla
sophia di Odisseo si vedano i vv. 228 e 399, su quella di Polimestore i vv. 1107 e 1137; le risposte demistificanti di
Ecuba sono ai vv. 258 e 1192-93.
15
Segal 1989a = 1993, 214-26.
16
Cfr. vv. 1291-92 e Thalmann 1993, 154-55.
17
Inferno XXX 16-21 "Ecuba trista, misera e cattiva, / poscia che vide Polissena morta, / e del suo Polidoro in su
la riva / del mari si fu la dolorosa accorta / forsennata latr s come cane; / tanto il dolor le f la mente torta". Le fonti
sono le Metamorfosi di Ovidio (spec. XIII 404 e 569 latravit, conata loqui) e forse anche Seneca (Ag. 708 latravit): cfr.
ad es. Sapegno 1985, nota al v. 20 e Mossman 1995, 226. Si noti che Dante presenta la trasformazione in cagna come
una metafora ("s come cane").
18
Cfr. Shakespeare, Hamlet, II ii, 545-60. Amleto commenta la passione con cui un attore si immedesimato
nella parte di Ecuba, disperata per la morte di Priamo: And all for nothing! / For Hecuba! / What's Hecuba to him, or
he to her, / that he should weep for her? E tutto per niente! / Per Ecuba! / Che cos Ecuba per lui, o lui per Ecuba, /
da piangere per lei? (551-54). Sul problema della partecipazione emotiva del pubblico alla tragedia antica si veda Lada
1993 e 1996.
19
Jacoby 1985, discutendo resoconti e reazioni giornalistiche a processi contemporanei, specialmente negli Stati
Uniti, mostra che anche le vittime dei crimini pi orrendi devono spesso spiegare nelle aule di tribunale di non essere
mossi dalla volont di vendicarsi. Ad esempio nel 1972, durante processo a Hermine Ryan (alias Hermine Baunsteiner,
un'ufficiale nel campo di concentramento di Maidanek), l'avvocato difensore chiese a tutti i sopravvissuti che
testimoniavano contro l'accusata se agivano 'per vendetta', e 'tutti risposero in toni controllati e spassionati che volevano
solo giustizia. Erano ovviamente ben coscienti [] della convenzione culturale che rende inaccettabile ammettere come
una delle proprie motivazioni qualsiasi forma di vendetta' (Jacoby 1985, 2; si vedano le pp. 2-12, 157, 166 s., 280-299).
4

oscura per i parlanti delle varie lingue moderne, che tendono cos a vedere una netta opposizione
tra 'vendetta' e 'giustizia'
20
. La formazione di un lessico tecnico per denotare una 'punizione' di tipo
particolare, una punizione non comminata dall'organismo statale, tanto testimone di una forte
pressione, negli stati moderni, a separare le due sfere
21
, quanto un mezzo per mantenere la
separazione una volta realizzata.
In greco antico la situazione era pi complessa. Ci sono molti termini indicanti la punizione,
ma nessuno specializzato nel senso di 'punizione inflitta da un individuo al di fuori
dell'organizzazione statale della giustizia'. Questo dovuto a vari fattori. Il sistema giuridico
ateniese (quello su cui siamo meglio informati, e quello pi rilevante per le tragedie che ci sono
state tramandate) lasciava grande spazio all'azione delle vittime, e incoraggiava il principio della
'vendetta': l'azione giudiziaria contro il presunto assassino avveniva per iniziativa dei familiari della
vittima, non per opera di un magistrato o di un cittadino qualunque
22
; i familiari (o i membri della
phratria, una delle unit religioso-amministrative locali in cui erano suddivisi i cittadini ateniesi)
potevano perdonare un omicidio 'involontario'
23
; potevano addirittura accettare del denaro per
rinunciare a perseguire i colpevoli di un omicidio (la cosa era presentata come scandalosa, ma non
illegale)
24
. Anche se a volte la moderazione e la rinuncia a punire piccole offese e diverbi vengono
presentate come qualit civiche positive
25
, il linguaggio di quella che noi chiameremmo vendetta,
invece di essere bandito dai tribunali, ne era parte integrante.
Naturalmente la necessit della vendetta non era l'unico elemento in gioco. Il fatto che gi la
legge di Dracone distinguesse tra omicidio volontario e involontario indica che il 'diritto' del
colpevole a una punizione proporzionata alla colpa era importante, e che la legge era calibrata per
produrre un certo elemento di deterrenza
26
. Un altro aspetto importante tenuto in conto dagli
ateniesi nel caso di omicidio la necessit di evitare la 'contaminazione rituale' [miasma]: cfr.

20
Il significato principale di uindico (perso in italiano, se non nei composti) era quello di 'rivendicare il possesso'
di qualcosa; uindex era il garante per un debito, e poi, per estensione, chi salva dal pericolo, e quindi, chi punisce o
'vendica'. La parola uindicta aveva un significato specializzato: l'atto giuridico di liberare uno schiavo. Gi in latino
arcaico per uindico significava 'punire' (Cato, Agr. 5.1).
21
Sulla vendetta nel periodo moderno cfr. Muir 1998; Burnett 1998, 18-32; Campbell 1968, 155-170 spec. 163-
67, sulle teorie della vendetta nell'Inghilterra rinascimentale. Nel periodo moderno, comune ritenere che la vendetta
spetta a Dio, e pu essere esercitata da Lui o dai suoi rappresentanti in terra, principi e magistrati: cfr. Lettera ai Romani
12, 19.
22
Cfr. [Dem.] 47. 68-73, MacDowell 1963, 8-22; Ruschenbusch 1968, 47-53; Gagarin 1979, 312-13. Se la
vittima, prima di morire, perdonava il suo assassino, era impossibile intentare un processo per omicidio (Dem. XXXVII
59). In realt non sappiamo di nessun caso della vita reale in cui questo perdono avvenne e blocc un processo
(MacDowell 1963, 8; Gagarin 1981, 138). Si noti inoltre che in varie situazioni un cittadino ateniese era legittimato a
ricorrere alla violenza per compiere alcuni atti giuridici, tra cui controllare l'esilio dei condannati, e uccidere i cittadini
dichiarati atimoi: Gagarin 1981, 117-119, Saunders 1991, 101, V. J. Hunter 1994, 120-153 e 186-188. Rohde 1910-
1914 [1982], I 261-80 offre una affascinante panoramica sugli elementi del culto delle anime nella vendetta del sangue
e nellespiazione dellomicidio, sostenendo che lo stato imprime [] alla vendetta del sangue voluta dai parenti una
forma legale, non contraddicente alle leggi del bene pubblico, ma non vuole affatto cancellare le idee fondamentali
dellantica vendetta familiare (I 269). Cohen 1995, 87-118, e Burnett 1998, 52-54 sostengono che le istituzioni
giuridiche ateniesi offrivano un modo legale di ottenere "vendetta" ("revenge"; "litigation as feud"); cfr. Allen 2000,
336 n. 22. Sul problema del perdono in tragedia cfr. Eur. Hipp. 1448-51; Barrett 1964 ad loc.; Soph. OC 986-87;
MacDowell 1968, 158; Eur. IA 1456.
23
MacDowell 1963, 118-120 e 123-125, Gagarin 1981, 48-52 e 139 s. Sulla distinzione tra omicidio
'intenzionale' (ek pronoias, o ekousios) e 'involontario' (m ek pronoias, o akousios) cfr. Gagarin 1981, 31-37, con
bibliografia.
24
Cfr. [Dem.] 58. 28-29 e Gagarin 1979, 303; Medda 1995, 321 n. 4 (nota a Lys. 27. 2).
25
Herman 1993 e 1995, con esempi dalle orazioni giudiziarie ateniesi del IV secolo, sostiene che la vendetta era
considerata negativamente. Herman ha ragione a far notare che non rispondere a piccole provocazioni era considerato
positivamente, ma questo non significa che l'opinione pubblica ateniese ritenesse che si dovessero subire gravi torti
senza reagire, e senza punire i colpevoli; per una critica piuttosto stringente cfr. Harris 1997, con bibliografia. Per
posizioni opposte a quelle di Herman cfr. Cohen 1995, con il correttivo della la recensione di Herman 1998. Si veda
anche Burnett 1998, 54 e n. 66.
26
MacDowell 1963, 147; Gagarin 1981, 80-144 sostiene che la distinzione era importante nel quarto secolo, ma
non molto nella legge di Dracone.
5

Antifonte II 1. 3 (tetralogia A 3 3) sappiamo bene, infatti, che, essendo tutta la citt contaminata
da lui, fino a che non sia stato sottoposto a processo, e su di noi ricade lempiet, e
contemporaneamente su di noi, se non intentiamo laccusa secondo giustizia, ricade la
responsabilit del vostro errore (trad. Decleva Caizzi 1969, 134)
27
.
L'origine di molti termini riguardanti la punizione/vendetta era etimologicamente
trasparente, e i parlanti ne erano consapevoli
28
. Questo linguaggio offriva grandi possibilit per i
testi letterari: lasciavano indeterminato il tipo di punizione che era giusto infliggere a un colpevole,
e permettevano la creazione di una rete di metafore che sfruttano lo stesso campo linguistico
('debito/pagamento': la strategia che si trova nell'Orestea) e la concretizzazione di metafore ben
sfruttate. Questa la strategia adottata nell'Ecuba: le metafore sul 'prezzo' pagato da Polimestore si
intrecciano con il resoconto del suo tentativo di appropriarsi del denaro di Polidoro.
Una importante area semantica del linguaggio della vendetta/punizione quella dell'onore
della vittime che deve essere protetto: timros significa etimologicamente la persona 'che guarda,
salvaguarda l'onore'
29
.
Ecuba usa il termine timre 'punire, vendicare', per riferirsi alla punizione di Polimestore
(cfr. 749, 756, 882, 1258; timros 'vendicatore' ai vv. 790 e 843); questo termine viene usato
frequentemente in contesto legale
30
: i giudici devono timrein (vendicare) la morte delle vittime
(Lisia 13. 92) e punire (timrein) i colpevoli. Per converso in tragedia la 'vendetta/punizione'
(timria) coincide con la giustizia: cos proclamano Egisto nell'Agamennone (in 'un giorno che
porta giustizia', gli di si sono mostrati 'vendicatori [timaorous] dei mortali': vv. 1577 s. e cfr. 1604,
1611), Elettra nelle Coefore ('per i nostri nemici io dico che appaia, padre, un tuo vendicatore
[timaoron], e che chi uccise muoia in cambio [antikatthanein] con giustizia': vv. 143 s., cfr. 120 s.),

27
Cfr. anche Antifonte (prima tetralogia, primo discorso); 4. 3. 6-7, 4. 4. 10 (terza tetralogia, discorsi terzo e
quarto); 5. 82 (de caede Herodis); Rohde 1910-1914 [1982], II 404-406; MacDowell 1963, 3-4 e (attenuando
l'importanza dell'aspetto rituale nelle leggi ateniesi) 142-150; Decleva Caizzi 1969, 25-26; Parker 1983, 104-143 e 370-
392. Gagarin 2002, 109-112 fa notare come lestensione e la manipolazione del concetto di contaminazione siano
essenzialmente strategie retoriche di Antifonte, intento a mostrare le varie possibilit di uso argomentativo del concetto.
28
Il lessico della punizione discusso in Vlastos 1991, 186, Saunders 1991, 3-4; Allen 2000, 68-72. Burnett
1998, 33-64 traduce timrein e parole collegate con "vengeance", e ne deduce che la vendetta era considerata non
problematica per i greci. In realt il termine timrein si riferisce, specialmente negli oratori, alla "punizione" moderata
da una serie di regole giuridiche; si riferisce quindi a qualcosa di molto diverso da quello che intendiamo noi quando
parliamo di vendetta. Burnett sembra non considerare giustizia nemmeno la punizione inflitta dai tribunali (si veda
invece la definizione di punizione in Allen 2000, 24). Meridor 1978, 28-29 giustamente connette timrein 'punire' con
dik 'giustizia', nell'analisi dell'Ecuba. Il linguaggio aggressivo e violento di Teognide (richiamato da Burnett 1998, 51)
significa solo che un gruppo ristretto di amici aristocratici poteva permettersi, al suo interno, di immaginare vendette
violente. L'aggressivit verbale in situazioni comunicative private non necessariamente rappresentativa della mentalit
di una societ intera.
29
Chantraine 1999, s.v.; ridiscusso in Milani 1997, 6. Sui termini dell'onore per indicare la vendetta cfr. Sad
1984, 48-50. Cfr. Anassimandro 12 B 1 Diels-Kranz :.:.a. ,a au:a :.s. sa. :.:.. a```.: :: a:.s.a: sa:a
:. :u .u :a.. le cose che esistono danno dik e pagamento [tisis] l'un l'altra per la loro ingiustizia secondo
l'ordine del tempo (Mackenzie 1981, 107, e n. 84; concetti simili in cfr. Eraclito 22 B 80 Diels-Kranz, Empedocle 31 B
17. 27-29; Vlastos 1947 = Vlastos 1995, 56-88, spec. 74-82; p. 82 n. 158 su giustizia e ison; inoltre Vlastos 1953 =
Vlastos 1995, 89-111). Mackenzie 1981, 81 sostiene che tim come punizione solo 'un aspetto ristretto' di tim come
'onore', ''onore' la divisa [currency] del 'pagamento''. Il termine francese 'amende honorable' riunisce le due sfere del
'pagamento' e dell'onore; esso designa una punizione per i delitti di lesa maest contro Dio e il sovrano: se 'amende'
l''impostion d'une peine pcuniaire pour un crime ou un dlit', l''amende honorable est une sorte de punition infamante,
usite particulierement en France contre les criminels de lese Majest divine ou humaine', consistente in una
umiliazione pubblica del condannato, che deve chiedere perdono a Dio, al re e alla Giustizia, seminudo, con una corda
al collo e una torcia in mano; 'le plus souvent ce n'est que le prlude du supplice capital ou des galeres': Toussaint in
Encyclopdie, ou dictionnaire raisonn des sciences, des arts et des mtiers, [ ] publi par M. Diderot [] et M.
D'Alembert, tome premier, Genve 1772, 355. Una descrizione settecentesca del supplizio, ricca in particolari cruenti,
riportata in Foucault 1975, 9-11.
30
Ad es. in Antifonte 1. 4 e 5. Su timria in tragedia e negli storici si veda la discussione di Mossman 1995,
171-77.
6

e vari altri personaggi in tragedia
31
. Non tutti questi personaggi riescono a convincerci che la loro
particolare vendetta conforme alla Giustizia, ma il principio accettato da tutti.
La mancanza della distinzione lessicale tra vendetta e punizione permette che i due concetti
si sovrappongono nell'Ecuba. Il dramma prima mette in scena una vendetta e poi un giudizio
"legale"; il giudizio legale approva e fa propria la punizione della "vendetta" di Ecuba: Polimestore
stesso ritiene di aver dovuto dare "giustizia" a chi inferiore (socialmente) a lui, cio ad Ecuba
32
.
Notare che Ecuba associa timrein "punire" con la figura di Agamennone (749, 790, 843)
33
; dopo
che Agamennone rifiuta di agire contro Polimestore, Ecuba applica a s il verbo (882, prima della
vendetta), usandolo esplicitamente contro Polimestore in riferimento alla vendetta compiuta e
sanzionata da Agamennone (1258).

2. La vendetta tra metafora e punizione: punire, pagare per la morte

Donde ha derivato il suo potere quest'idea antichissima, profondamente radicata,
oggi forse non pi estirpabile, l'idea di una equivalenza di danno e dolore? L'ho gi
rivelato: nel rapporto contrattuale tra creditore e debitore (Nietzsche 1887 [1984],
51).

stato sostenuto da alcuni linguisti che la maggior parte dei concetti astratti deriva da schemi
mentali di base che si sono formati su esperienze nel mondo fisico; da queste esperienze fisiche
sono state tratte metafore, in modi specifici per ogni lingua, e le metafore sono spesso organizzate
per grandi gruppi, che a volte si sovrappongono
34
. Anche nell'area della 'giustizia' alcune importanti
metafore della lingua greca sono organizzate attorno all'idea dello scontro fisico, come in una
battaglia o in una caccia. Per 'accusare' si usa il verbo dikein 'inseguire/perseguire'
35
e per
'difendersi/essere accusati' pheugein 'scappare', come di fronte a una aggressione fisica. Come in
italiano, il verbo 'vincere' (nikan) indica il successo in un processo
36
, 'essere condannati' si dice
'essere catturati' (haliskesthai)
37
, 'essere assolti' si dice 'sfuggire' (ekpheugein)
38
.
Un'area semantica molto importante per il lessico della punizione quella del prezzo e del
pagamento. Molti termini sono aggregati intorno a questo gruppo di metafore, non solo in greco ma

31
Cos ad esempio la protagonista nell'Elettra di Euripide (vv. 1094-96). Si veda anche il fr. adespoton 1b (g)
vv. 6-9 in TrGF vol. 2 .. ,a :u: .. .u:.3..: 3:.. / .... :. s.:: .)a..: )... vaa / :u: :
.:a: a:.su: :u::. :. ..a.:.a. / :.s. sas.. :... .)a. :.....: "bisognerebbe che gli uomini pii
ricevessero dagli di qualche compenso manifesto, mentre quelli che sono ingiusti, pagassero la pena [dikn] opposta,
una punizione [timron] manifesta per i mali commessi".
32
Hec. 1253 devo pagare giustizia a chi mi inferiore.
33
L'uso del v. 756 fuori modello: Ecuba si approprierebbe del lessico della punizione. Sulla questione
dell'autenticit di questo passo si veda sotto, pp. **000*** nota al testo.
34
Ad esempio in molte lingue una 'discussione' rappresentata come una battaglia (vincere, perdere, attaccare,
difendere, schivare un'accusa, fare a pezzi un avversario, ritirare un'accusa, parole a doppio taglio, sparare a zero,
combattivo, partigiano, eccetera); le 'idee' sono paragonate a un liquido (essere immerso nei propri pensieri, idee
controcorrente, fonte di informazioni, condensare, impermeabile alle novit, il contenuto di un articolo), e cos via. Cfr.
Lakoff-Johnson 1980; Goatly 1997, 41-81.
35
Cfr. LSJ s.v. IV; Montanari 2004, s.v. 1. c. Le Erinni 'inseguono' materialmente Oreste (Aesch. Eum. 131, 226,
251) poi lo 'accusano' (583 ,a :..s.. "chi accusa", cio le Erinni, deve parlare per primo). Si veda ad esempio Or.
500-501: Oreste avrebbe dovuto applicare la pena prevista per un delitto di sangue, intentando un'azione legittima
(trad. Medda) (. au:. .v.)...a. .. a.a:: :.s. / :.a. :..s.:a, invece di uccidere Clitemestra (cfr.
anche Or. 1534: Menelao attacca Oreste :. `|`..: ).. :..s.. perseguendo l'assassionio di Elena (trad.
Medda)). Willink nella nota a Or. 500-1 collega la metafora all''inseguimento' del colpevole da parte della famiglia della
vittima nella tradizionale vendetta/punizione; Kells 1966, 52 per il fatto che "il processo per omicidio ad Atene derivava
storicamente dalla vendetta di sangue, e manteneva parecchie delle caratteristiche di essa". Altri termini, pi neutri, per
'accusare' sono 'scrivere' (cfr. LSJ s.v. ,a). B 3 a-b, al medio o al passivo), e 'presentare/esporre' (LSJ s.v. v3a``.
B IV, al medio o al passivo).
36
Cfr. LSJ s.v. I 4 e ad esempio Aesch. Eum. 741.
37
Cfr. LSJ s.v. II 2.
38
Cfr. Aristoph. Vesp. 157, Aesch. Eum. 752.
7

in molte altre lingue
39
. Questo processo metaforico comune a molte lingue per la creazione di
concetti astratti
40
. La metafora del prezzo e del pagamento spesso usata in italiano (pagare il fio,
ha pagato le sue colpe). Possiamo ricordare che alcune espressioni greche come 'pagare/punire
giustizia' (tinein dikn), 'dare punizione' (tisin dounai)
41
e 'dare giustizia' (dounai dikn)
42

significano 'pagare la giusta punizione'. Queste metafore sono frequentissime, e vengono 'riattivate'
in alcuni contesti particolari
43
.
Il termine axios = 'degno di/con il valore di' a met tra queste due sfere: indica la
conformit di un oggetto o una persona alla sua sorte o al prezzo pagato per possederlo/possederla.
Il termine usato fin dall'Odissea nel senso commerciale, in riferimento al "giusto prezzo" (axios
nos: cfr. Od. XV 388 e 429). E' usato anche per indicare la 'dignit' di una persona, collegata
all'origine nobile (Eur. frr. 405. 3 e 739. 2; cfr. anche Hec. 381, dove si parla di coloro che sono
"degni" della propria nobilt) o all'importanza sociale e alla ricchezza (Eur. El. 40, Hec. 293
axima). Si riferisce infine all'onore che spetta a un persona: Achille deve essere onorato (Hec.
309), cos come la tomba di un soldato deve ricevere il giusto onore (Hec. 319: tumbon
axioumenon; la tomba di Polissena, al contrario, non ottiene gli onori di cui lei "degna": Hec.
613)
44
.
Le metafore del pagamento hanno una origine (o un parallelo) nell'uso, attestato nel mondo
eroico descritto da Omero, di ammettere compensazioni in "denaro" anche per le pene pi gravi
come l'omicidio
45
. Il pagamento (wergeld) per un delitto di sangue attestato in molte societ
46
. In
alcune epoche storiche (e la Grecia arcaica sembra essere inclusa) il 'pagamento' per i delitti un
tipo di reciprocit bilanciata, che 'chiude i conti' e che pone fine alla vendetta per quel particolare
omicidio
47
. Per alcuni studiosi le punizioni pecuniarie erano state introdotte per porre fine
all'istituzione della vendetta
48
, mentre per altri si trattava di sistemi usati in parallelo
49
. Il gruppo di

39
Alcuni esempi da varie lingue asiatiche e africane sono raccolti da Verdier 1980, 17.
40
Termini specializzati per la punizione giudiziaria si sviluppano solo in et post-omerica, e anche essi sono una
estensione metaforica da altri termini. Ad esempio kolaz 'castigare' (ma anche 'potare', dalla radice di kolos 'mutilo')
compare nel quinto secolo (Gernet 1917, 99). Gernet cerca di provare un legame speciale di kolaz con la 'punizione
familiare', per individuare una opposizione tra la giustizia amministrata all'interno della famiglia e quella della comunit
pi ampia della polis, ma il suo tentativo non convincente. Su kolaz si veda anche Milani 1997, 9.
41
Ad es. Thgn. 337.
42
Su questa espressione, in particolare sul suo uso in Erodoto, si veda Lateiner 1980.
43
Su alcune di queste espressioni di prezzo per indicare la 'vendetta' cfr. Benveniste 1969, II 49-55, Sad 1984,
50-52. Gernet 1917, 158-174 discute il significato giuridico di zmia 'pagamento/punizione'. Adkins 1960, 23-28
analizza i rapporti tra i vari significati di vari termini per 'onore'/'punizione'/'pagamento' (tim, tiein, tinein, timan, tisis)
e mostra come i significati di 'onore', 'ricompensa' e 'punizione' siano compresenti nell'idea di tim; cfr. anche
Mackenzie 1981, 70-81. Chantraine 1999 s.v. :... discute bene e concisamente i dati; contrario a un legame
etimologico tra :... e :../:.. Il termine poin significa 'compenso' in Il. V 266 (cavalli dati da Zeus in cambio di
Ganimede). Glotz 1904, 110 spiega poin come 'vendetta di sangue', in origine, e solo dopo 'pagamento'; ma apoina
significa sempre 'riscatto o dono di valore' (cfr. Treston 1923, 28).
44
Cfr. anche i vv. 374, 408, in cui il termine si riferisce alle umiliazioni di Ecuba.
45
Sulla compensazione dell'omicidio con beni materiali in Omero cfr. anche Gagarin 1981, 13-17, Lintott 1981,
16, Saunders 1991, 25-27. Non bisogna dimenticare che la moneta coniata non compare nella Grecia continentale fino
alla met del sesto secolo a. C., mentre gi attestata alla fine del settimo secolo a. C. in Lidia e nella colonie greche
orientali: Kurke 1999, 7, con bibliografia.
46
Cfr. Treston 1923, 6-11; Tac. Germ. 21. Nella Bibbia, il passo di Numeri 35, 31 presenta il processo di
sostituzione del wergeld con la legge del taglione: non accettate prezzo di riscatto per la vita di un omicida, reo di
morte, perch dovr essere messo a morte (trad. CEI in Vattioni 1977).
47
Cfr. ad es. Kurke 1991, 109; Maffi 1994, 429; Von Reden 1995, 157. Alcuni antropologi hanno riportato casi
in cui il 'pagamento' per un delitto non solo pareggiava i conti, ma addirittura stabiliva un legame di 'amicizia', come se
si fosse effettuato uno scambio di doni: presso gli eschimesi del nord Alaska quando un uomo riceveva compensazione
per il rapimento della moglie dal rapitore, i due uomini diventavano 'inevitabilmente amici, 'perch avevano effettuato
uno scambio commerciale, da un punto di vista concettuale' (Sahlins 1972, 221). Sulla possibilit di un 'pagamento'
addizionale cfr. Mackenzie 1981, 76 e n. 19.
48
Ad es. Caillemer 1904, 440.
49
Treston 1923 cerca di dimostrare che la vendetta di sangue contro il colpevole era tipica della 'casta Achea'
(cio dei nobili, la classe dei conquistatori), mentre la compensazione in denaro era il costume delle 'trib dei Pelasgi'
8

metafore sul pagamento continua ad essere usato anche quando la punizione non 'pagata' con beni
materiali. In Omero naturalmente viene contemplata la possibilit di punire l'omicidio con la morte;
ma la punizione pu essere evitata con l'esilio, e di fatto in Omero l'omicida quasi sempre fuggiva
50
.
Alcuni studiosi moderni hanno sostenuto che, nel mondo descritto da Omero, non esistevano
giustizia e punizione, dato che mancavano istituzioni giuridiche
51
. Questo approccio introduce una
rottura eccessiva fra le pratiche arcaiche e quelle di et classica e sembra in ogni caso appropriato
parlare di "punizione" gi per i poemi omerici
52
.
Nell'Iliade due passi spiegano che esisteva la possibilit di 'pagare' per riscattare un
omicidio. Nel nono libro Aiace stigmatizza la crudelt di Achille, che non si fa piegare dalle offerte
di doni: eppure altri accetta unammenda [poinn] / dalluccisore di suo fratello oppure del figlio,
una volta che morto; / quello, pagato un alto compenso, resta l nel paese, / allaltro si raffrena il
cuore e lanimo impetuoso, / quando ha preso il riscatto
53
. Nello scudo di Achille, vengono
rappresentati due uomini che erano in causa riguardo allammenda [poins] / per una persona
uccisa; luno diceva daver tutto pagato, / giurandolo davanti al popolo; laltro negava daver
ricevuto
54
. Achille per aveva gi spiegato che non valgono quanto la vita [psuchs antaxion] le
ricchezze di Troia o di Delfi: predare si possono i buoi e le pecore grasse, / col denaro si comprano
tripodi e cavalli di bionde criniere; / ma non si pu rapire n ricomprare la vita di un uomo, / perch
torni allindietro, quando ha varcato la cerchia dei denti, e che i ricchissimi doni offerti da
Agamennone non sono sufficienti a che paghi tutta loffesa che mi divora lanima
55
.
Naturalmente in altri casi la morte dell'assassino la punizione preferita dai familiari. I
proci, per bocca di Eurimaco, offrono ad Odisseo un pagamento in beni materiali come compenso
per i danni causati e per le colpe commessi. Odisseo non accetta: 'nemmeno se mi pagate tutti i beni
paterni, quanti ora ne avete, / e se anche altri aggiungete, / nemmeno cos le mani mie fermer dalla
strage, / prima che tutta l'offesa [huperbasin] mi paghino [apotisai] i pretendenti'
56
. Dopo la strage
dei proci, Eupeithes, il padre di uno dei proci uccisi da Odisseo, vuole impedire che Odisseo si
rifugi in esilio: 'onta [lb] questa, che la sapranno anche i posteri, / se gli assassini dei figli e
fratelli / non puniremo [tisomesth(a)]'
57
.
L'Odissea si conclude con l'istituzione di un sistema 'legale', di un nuovo accordo politico
sponsorizzato da Atena, un accordo che pone fine alla catena di vendette e omicidi, e legittima la
violenza dell'ultima vendetta compiuta, quella di Odisseo: i 'patti'
58
che terminano la vendetta dei
familiari dei proci.
Pene pecuniarie continuarono a essere comminate in Grecia ben oltre l'et omerica: il codice
draconiano (621 a. C.) forse ancora prevedeva il pagamento in denaro
59
, ed era perfettamente legale

(cio degli abitanti 'pi antichi' della Grecia). Questa cruda spiegazione etnica non suffragata da prove solide, e le
teorie attuali sulla composizione etnica della Grecia antica sono molto diverse: cfr. Musti 1985 e J. Hall 2002.
50
Gagarin 1981, 6-11.
51
Cfr. Adkins 1960, Mackenzie 1981, 88.
52
Saunders 1991, 27-31, che discute e critica gli studiosi citati alla nota precedente. Cfr. anche la definizione di
Allen 2000, 34: Punishment exists (as clearly distinct from torture, outrages, or revenge) only when the larger part of a
group of onlookers considers a resopnse to wrongdoing to be authoritative, final, and foudned on deserts.
53
Il. IX 632-36 (traduzione Cerri 1996).
54
Il. XVIII 498-500 (traduzione Cerri 1996). Su questa scena nello scudo di Achille cfr. Gernet 1983, 179-83;
Westbrook 1992; Edwards 1991, ad Il. XVIII 497-508 e 498-500; Di Donato 1996; Cantarella 2002, 197-202.
55
I passi sono rispettivamente: Il. IX 401, 406-409, e 387 (traduzione Cerri 1996).
56
Od. XXII 61-64.
57
Od. XXIV 433-35.
58
Od. XXIV 483 orkia pista e 546 orkia: 'accordi sanzionati dal giuramento'. Allo stesso modo la vendetta di
Oreste presentata come finale nell'Odissea; il parallelismo tra la punizione di Egisto e quella dei proci ripetutamente
sottolineato (Od. I 298-302, III 193-200; si veda anche XI 444-46). Sulla vicenda dellOrestea nellOdissea si veda de
Jong 2001, 12, con bibliografia.
59
Treston 1923, 179 s. nega che il codice draconiano ammettesse le pene pecuniarie ma cfr. Pollux 9. 61 = F 10
Ruschenbusch sa. :.: Aas.:: ..: .::.. av:..... ..s:a3.. anche secondo le leggi di Dracone
possibile pagare una apoina [riscatto/penalit (per omicidio)] di venti buoi (Ruschenbusch 1966, 73; cfr. anche Phot.
9

che la famiglia della vittima decidesse di non accusare l'omicida in cambio di un compenso in
denaro. Cos ancora succedeva nel IV sec. a.C., anche se la pratica era stigmatizzata
60
. Per i greci
dell'et classica, una volta abolito il costume del 'prezzo del sangue', i termini di 'pagamento',
quando riferiti alla giustizia penale, diventavano metaforici.

3. Giustizia come scambio e la violenza non controllata nella tragedia
Aristotele osserva che 'punizione (zmia) e guadagno (kerdos) derivano dall'(uso in) relazioni
volontarie' (= relazioni di affari)
61
. Aristotele inoltre nota l'esistenza di una forte tradizione, nel
pensiero greco arcaico, a trovare precisa corrispondenza tra colpa e punizione. 'E' opinione di alcuni
che il reciproco [to antipeponthos, letteralmente "ci che si subisce in cambio"] sia giusto in senso
puro e semplice, come affermano i Pitagorici' (EN 1132 b 21), e a Radamanto era attribuito il detto
'se uno subisce quello che ha compiuto, sar retta giustizia' (EN 1132 b 27)
62
. Aristotele ha buon
gioco a mostrare la rozzezza di questa corrispondenza, e la necessit di schemi concettuali pi
sofisticati per arrivare a definizioni della giustizia che siano pi convincenti filosoficamente e pi
utili e meglio applicabili in termini pratici (EN 1132 b 28-1133 a 1)
63
. notevole che a questo
punto Aristotele passi a discutere della moneta, e degli scambi commerciali in cui la
quantificazione monetaria a stabilire la 'giustizia'
64
. Aristotele nota quindi sia l'inadeguatezza del
taglione come sistema punitivo sia la correlazione tra giustizia e scambio commerciale
65
.
Se il taglione non poteva essere il fondamento per un codice penale, l'uso poetico delle
metafore di 'pagamento' e punizione si rivela invece molto produttivo. La combinazione di un
lessico della punizione incentrato sulla metafora del 'pagare' e l'esistenza di una tradizione sul
taglione vengono sfruttate in tragedia per costruire situazioni di contrasto senza sbocco: il
'pagamento' per il sangue versato soltanto altro sangue, e la catena di delitti e vendette (spesso
spiegata tramite l'opera di una maledizione) non sembra avere mai fine.
L'assenza di un lessico specializzato della vendetta (distinto da quello della pena e della
punizione) e l'adozione di metafore del pagamento ha una notevole importanza per l'interpretazione
della tragedia, e porta ad alcune questioni complesse. La tragedia racconta (in gran parte) vicende
ambientate in un periodo pre-giuridico (l'et eroica); dobbiamo pensare che gli spettatori credessero
che le stesse norme etiche e giuridiche dovessero valere allora? Oppure lo spazio mitico della
tragedia, incentrato in buona parte su colpa e punizione, era usato per esplorare e inventare un
passato alle istituzioni giuridiche democratiche? L'Orestea offriva una genealogia delle istituzioni
giuridiche: ma ci parla del passato o del presente? L'Ecuba ci mostra una vendetta crudele, che
avviene in un vuoto di giustizia, ma la punizione inflitta da Ecuba viene fatta propria dalle
istituzioni greche, approvata da Agamennone: un processo che il testo presenta come giustificato
o repellente? E inoltre: vero, come hanno sostenuto molti studiosi, che la vendetta di sangue in

437.20 = F 11 Ruschenbusch; Bekker, Anecdota Graeca, I 428.9, Suida a 3716 = F 12 Ruschenbusch). Le leggi di
Dracone sull'omicidio furono mantenute da Solone: Aristot. Athen. Pol. 7. 1, Plut. Sol. 17. 1.
60
Cfr. Dem. 58. 28 s.; Rohde 1910-1914 [1982], I 269 n. 1; Gagarin 1981, 138 s., Bonner-Smith 1938, 196-198.
61
Aristotele distingueva tra relazioni volontarie (vendita, pagamento, deposito etc.) e involontarie (compiute 'di
nascosto': furto, adulterio; compiute con violenza: imprigionamento, uccisione, rapimento): cfr. EN 1131 a.
62
Traduzione ripresa e adattata da Zanatta 1986, I, 345-47; si veda il commento, I, 554-55, e Kraut 2002, 148-
56. Si veda anche Platone, Repubblica 332 e: "Che cosa, secondo te, Simonide ha detto bene intorno alla giustizia?
Che, rispose, la giustizia consiste nel render a ciascuno ci che gli si deve: questa definizione a me sembra buona".
63
Sui problemi filosofici della 'punizione' come 'resituzione del danno compiuto' cfr. Mackenzie 1981, 18-20 e
32; anche Burnett 1998, 3 e n. 10.
64
La moneta riporta ad un livello di uguaglianza, come misura che rende i beni commisurabili. Infatti se non vi
fosse scambio non vi sarebbe comunit, n vi sarebbe scambio se non vi fosse uguaglianza, n uguaglianza se non vi
fosse commensurabilit (EN 1133 b 16-18, traduzione Zanatta 1986, I, 351).
65
Si veda la critica di Antifonte alla legge [nomos]: obbedire alle leggi non porta cose vantaggiose
[xumpheronta] n aiuta [phelein] (Antipho fr. 44 B4 18-22 Diels-Kranz; Heinimann 1945, 136-38; Gagarin 2002, 78;
Pendrick 2002, 335-39).
10

realt 'quasi assente' dalle leggende greche fino al quinto secolo
66
? La vendetta allora una
invenzione retrospettiva del quinto secolo, che serve a presentare le istituzioni democratiche come
le uniche capaci di porre fine a un'infinta serie di conflitti, proprio in un momento in cui invece i
conflitti stanno diventando sempre pi grandi e radicali?
La tragedia attica, nel rappresentare un passato lontano, sceglie vicende che presentano
vendette inestinguibili, o contrasti insanabili. Queste esplosioni di violenza sono permesse anche
dall'assenza dei meccanismi sociali e legali che, nell'Atene del quinto secolo, regolavano la giustizia
e il buon funzionamento della citt; sono permesse anche dal fatto che la tragedia sceglieva spesso
momenti di crisi delle istituzioni (guerre, colpi di stato, regicidi). La violenza distruttrice compare
in termini molto pi limitati nei poemi omerici, che erano una rappresentazione idealizzata di un
mondo aristocratico per un pubblico ammirato; e quando compare (come nel finale dell'Odissea
67
)
viene inequivocabilmente giustificata, senza che il pubblico pensi sia mai in dubbio sulla validit
etica della vendetta. La tragedia marca un punto di svolta: vecchie metafore acquistano forza nuova,
il passato viene distanziato, (oltre che attualizzato)
68
e l'obbligo della vendetta, diventato pi rigido,
si dimostra pi problematico. L'idea di 'esatta corrispondenza' tra i termini scambiati (e quindi tra
vendetta e punizione) facilitata dall'introduzione della moneta coniata, che compare in Grecia alla
fine del sesto secolo
69
.
In Eschilo le Erinni presentano se stesse come de 'antiche', in opposizione ai 'nuovi' di
(specialmente Apollo) che vogliono assolvere Oreste
70
, e implicano che la loro concezione della
giustizia sia pi arcaica
71
; anche nelle Coefore il taglione viene presentato come un motto 'tre volte
vecchio' (Cho. 314)
72
ma in realt l'elaborazione di questo tema da parte di Eschilo nuova.
Nell'Orestea il lessico della vendetta come pagamento viene rinvigorito da Eschilo, che
rievidenzia una serie di metafore 'dormienti' appartenenti all'area del 'prezzo'
73
. La riconquista della
casa di Agamennone viene presentata come il 'pagamento' di un 'debito' richiesto dalla Giustizia

66
Cos Gagarin 1981, 18. Parker 1983, 125 sostiene che l'assenza della vendetta era causata dal rispetto per le
norme sulla impurit dell'assassino. Seaford 1994, 28 afferma che 'l'esclusione della contaminazione e della vendetta in
Omero rappresenta [] l'immagine ideologizzata di una societ di famiglie eroiche autonome, le cui relazioni
reciproche e interne possono essere condotte in maniera soddisfacente senza bisogno di istituzioni come il tribunale e la
purificazione' [traduzione L. Battezzato]. Seaford e Parker citano alcuni esempi di vendetta in Omero (specialmente la
vendetta di Oreste: Od. I 30 e 40, eccetera). E' vero che il meccanismo della vendetta/punizione meno presente
nell'epica che nella tragedia, ma bisogna introdurre alcune specificazioni. Lasciando da parte la questione della
purificazione, Seaford considera come esempi di vendetta soltanto 'omicidio in cambio di omicidio', e con esclusione
dell'uccisione in battaglia (cfr. Il. XIV 482-85, con Od. III 196-97); ma certamente tutta l'Odissea rappresentata come
il ritorno di Odisseo per compiere la sua 'vendetta' per un crimine inferiore all'omicidio; la spedizione a Troia una
vendetta/punizione contro i Troiani per aver rotto le regole dell'ospitalit. D'altra parte Mackenzie 1981, 86 sostiene che
l'assenza di una autorit esterna istituzionalmente deputata a punire le violazioni della legge rende i crimini una
faccenda tra individui; 'non ci sono crimini qui [nell'Iliade], n criminali' e 'l'attivit [del punire] viene necessariamente
ridotta allo status di vendetta'.
67
Non considero il libro XXIV una aggiuta posteriore: cfr. de Jong 2001, 561-62 e 565-66, con bibliografia; si
aggiunga Di Benedetto 1998, 370-72; contro lautenticit, tra gli altri, Catenacci 1993 (a cui obietta Di Benedetto),
Burnett 1998, 41 e n. 22.
68
Seaford 1994 ha sostenuto una eziologia storica per le storie di violenza e vendetta narrate in tragedia: queste
narrazioni, che spesso si concludono con la distruzione delle famiglie regali o aristocratiche, riflettono la caduta
violenta dei regimi monarchici e/o tirannici del sesto secolo. Si noti per che Pisistrato non mor di morte violenta, e
solo uno dei suoi figli fu assassinato. Il legame tra storie di violenza e la rappresentazione del passato della polis a mio
parere molto pi indiretto di quanto Seaford sostiene. Sulluso del mito per alludere a problematiche politiche del quinto
secolo cfr. Di Benedetto 1971.
69
Cfr. sopra, n. 42***.
70
Cfr. Eum. 150, 162 s., 721 s., 731, 778 ss., 898; Di Benedetto 1995, 138 e n. 195.
71
I pi importanti elementi 'arcaici' sono quelli della 'paura' e del genos (cfr. Di Benedetto 1978, 205-22 e 1995,
111-27).
72
Cfr. ad es. gi Pind. Nem. 4. 32 ..:a :. sa. va)... ..s.. normale che chi ha compiuto subisca.
73
Aesch. Ag. 457 s. grave la voce dei cittadini mossa dall'ira, e paga il debito di una maledizione scagliata dal
popolo, 537 cos i Priamidi hanno pagato doppio prezzo per le loro colpe, 1263, 1430, 1529. Le traduzioni
dall'Orestea sono tratte da Di Benedetto 1995.
11

(Cho. 311) o come un 'guadagno' (Cho. 825). L'esatta equivalenza tra colpa e punizione
ripetutamente sottolineata nel testo di Eschilo: Ag. 1430 'pagare colpo con colpo'; 'in cambio d'una
lingua che odia una lingua che odia sia il prezzo [] e in cambio di un colpo che uccide un colpo
che uccide si paghi'
74
.
Von Reden sostiene che 'il commercio rappresentava un tipo di scambio corrotto, cos come
la vendetta continua era sintomatica della corruzione della casa di Atreo'
75
. vero che la pratica del
commercio era spesso condannata in Grecia come intrinsecamente 'disonesta', ma non credo che
questo sia il senso delle metafore di 'pagamento' nell'Orestea. Mi sembra che l'insistenza sulla
'esatta' corrispondenza sia in contrasto con il 'corrotto' comportamento dei commercianti che
rivendono a prezzo maggiorato le merci. Questo differenzia il giusto scambio di Dike/Ate
dall'ingiusto cambio di Ares, il cambiavalute che scambia corpi umani e che da Ilio rimada ai
parenti una polvere greve [] riempiendo di cenere in cambio d'uomini i vasi, carico leggero (Ag.
438-44). I due tipi di scambio siano caratterizzati in maniera differente. Ares non a caso rimanda
polvere 'leggera' invece di uomini. Il termine kerdos 'guadagno' ha un valore negativo nell'Orestea,
fino a quando lo scambio di doni tra Atena e le Erinni (con la promessa degli onori futuri da parte
degli ateniesi) non lo rivaluta in Eum. 991 e 1008
76
.
Queste metafore sono tanto pi importanti in quanto Oreste deve rientrare in possesso della
grande ricchezza dei padri (Cho. 865) ed spinto all'azione dalla mancanza di ricchezze (Cho.
301). Clitemestra tenta di evitare la propria punizione mandando offerte alla tomba di Agamennone,
offerte che vengono presentate come un 'favore' (charis), ma un favore di valore troppo basso, un
favore che non pu ripagare il prezzo della vita di un uomo (cfr. Ag. 1443-1446)
77
. Il termine charis
essenziale nell'ideologia greca arcaica e classica
78
. Agamennone spiega che noi dobbiamo pagare
un debito di eterna riconoscenza [polumnston charin, una 'charis che dobbiamo ricordare molte
volte'] per avere vinto la guerra di Troia (Ag. 821-22). Se la charis di Clitemestra viene rifiutata,
notevole invece che il "guadagno" (kerdos) di Oreste e dei suoi sostenitori venga identificato con la
punizione di Clitemestra e con la riconquista del potere; il kerdos (che di solito considerato
negativamente, e opposto alla charis)
79
viene dunque presentato in maniera positiva (Cho. 825). Si
noti in ogni caso che l'opposizione tra charis e kerdos non assoluta
80
.
La legge della corrispondenza tra pena e punizione conduce a un impasse etico; questo a sua
volta diventa impasse linguistico nelle Coefore (v. 930): "chi non dovevi, tu l'uccidesti; soffri ci
che non devi". Se la legge del taglione giusta, essa per paradossalmente richiede che

74
Cho. 309-12; si vedano anche i vv. 277, 435, 649 s. (viene pagata [si legga :.... con Turnebus] la
contaminazione causata dai delitti del passato), 915-17 (Oreste accusa la madre di averlo venduto in modo infame;
Clitemestra chiede e allora dov' il prezzo che ho avuto in cambio?, e Oreste risponde alludendo all'adulterio), e Eum.
268.
75
Von Reden 1995, 199.
76
Confronta invece Eum. 540, 704, Agam. 342, e, con una valenza meno negativa, Agam. 574, Cho. 825 (Di
Benedetto 1978, 204 e n. 5; Pattoni in Di Benedetto 1995, p. 514 n. 144). Comunque von Reden 1995, 149-168 offre
una acuta discussione delle metafore sullo scambio e sul commercio nell'Orestea; si veda anche Seaford 1998, 123-131.
77
Su charis nell'Orestea: cfr. MacLachlan 1993, 124-46; Wohl 1998, 95 e passim; Mueller 2001, 473-86; e la
bibliografia in Kurke 1991, 67 n. 20.
78
Si dice generalmente che charis fa parte dell'ideologia aristocratica, combattuta dal regime democratico. Ad
esempio Pericle rinuncia alle sue amicizie private nel momento in cui assume un ruolo pubblico rilevante, per evitare di
essere obbligato a rendere 'favori' sulla base dell'amicizia (cfr. sotto, n. 154**). La charis era fondamentale per alcune
pratiche sociali aristocratiche come la xenia (vedi sotto, pp. 000**, e Herman 1987). Non per possibile opporre a
questo comportamento 'aristocratico' un comportamento puramente 'monetario', o 'capitalista', o 'basato soltanto
sull'interesse personale' delle classi inferiori: Aristofane, Cavalieri 679 (demagogo), 1205. Charis era semplicemente un
termine di uso comune che si riferiva a ogni atto (piccolo o grande) fatto senza attendersi un riscontro esattamente nella
stessa natura (ad es. Aristofane, Acarnesi 437).
79
Cfr. Kurke 1991, 228-32.
80
Cfr. Soph. OR 232 gli pagher un compenso [kerdos] e avr la mia riconoscenza [charis] (trad. F. Ferrari);
si pu 'guadagnare' riconoscenza, come afferma il messaggero nelle Trachinie di Sofocle (v. 190-91): per ottenere da
te qualche vantaggio [kerdanaimi] ed acquistarmi il tuo favore [charis] (trad. M. P. Pattoni). Il kerdos pu essere
costituito da un 'dono': Aesch. Prom. 777 e Eur. Rhes. 161-63 (172) (cfr. Cozzo 1988, 84 e n. 26).
12

Clitemmestra soffra la pena "che non devi": Oreste potrebbe dire che la morte la pena che
Clitemestra deve soffrire
81
, ma il testo preferisce la via del paradosso, la via di una giustizia
ingiusta. Questo passo riecheggiato direttamente in Hec. 1250-51 "siccome hai avuto il coraggio
di commettere colpe infami, sopporta pene ugualmente vergognose"
82
.
Nelle Eumenidi di Eschilo il coro esplicitamente augura che non si restituiscano delitti con
delitti ma 'gioia con gioia': n polvere, bevendo nero sangue di cittadini, nel furore della vendetta
[poinas] colga avidamente dalla citt sciagure che sangue con sangue contraccambiano
[antiphonous atas]. Possano essi ricambiare gioia con gioia [charmata ... antididoien] (980-84,
trad. Pattoni
83
: il termine charmata appartiene alla stessa radice di charis)
84
.
Euripide adotta queste metafore nell'Elettra: il sangue il 'prezzo amaro' del sangue in
precedenza versato (858); Clitemestra considera il lusso ereditato da Agamennone il prezzo che la
ricompensa della perdita della figlia Ifigenia (1002); Elettra, riecheggiando l'Oreste delle Coefore,
accusa la madre: come mai, dopo aver ucciso tuo marito non hai ceduto a noi la casa di nostro
padre, ma hai aggiunto al tuo patrimonio come dote i beni altrui, pagando un prezzo per le tue
(nuove) nozze? (1088-90).
Questi esempi possono essere attribuiti all'influenza del modello specifico dell'Orestea su un
dramma che trattavano della stessa materia mitica; ma una simile connessione tra delitto, punizione
e linguaggio 'monetario' si ritrova anche nell'Antigone di Sofocle
85
. Ci sono infatti nell'Antigone
diverse possibilit di scambi 'commerciali' metaforici: acquistare saggezza da Tiresia, accettare un
compenso in denaro per compiere la sepoltura di Polinice, acquistare l'accusa di empiet, ricevere la
morte in 'compenso' per aver tentato di seppellire Polinice, dare un cadavere in cambio di un
cadavere. Vediamo alcuni esempi. Creonte sostiene che chi ha tentato di seppellire Polinice ha agito
per denaro (vv. 295-303), e che il 'compenso/pagamento' [misthos] per le loro azioni sar la morte
(220 s.; cfr. 308-12). Antigone ribalta queste accuse di Creonte e sostiene che la punizione per lei
un 'guadagno', non un 'prezzo' da pagare: 'ma, se devo morire prima del tempo, io lo dichiaro un
guadagno [kerdos]
86
: chi, come me, vive immerso in tanti dolori, non ricava forse un guadagno a
morire?' (461-64, trad. Ferrari). Tiresia spiega a Creonte che la scelta migliore quella di rispettare
i morti, e 'imparare da chi parla bene dolcissimo, se parla di un guadagno [kerdos]' (1031-32).
Creonte anche in questo caso accusa chi lo oppone di essere mosso dal desiderio di 'denaro', e si
lamenta di essere 'venduto e commerciato come una merce' (1036)
87
. Ma Tiresia ritorce contro di
lui queste accuse ('la razza dei tiranni ama i guadagni disonorevoli [aischrokerdeian]' 1056), e
spiega che il fatale errore di giudizio di Creonte sar 'ripagato' con una punizione durissima: la
morte di suo figlio e di sua moglie. Creonte, che ha stabilito con Hades uno scambio assurdamente
svantaggioso, 'dar' suo figlio, un cadavere, 'in cambio' di un cadavere (1067 nekun nekrn amoibon
antidous esi). Alla fine della tragedia l'unico desiderio di Creonte quello di morire: per lui questo
l'unico 'guadagno/profitto' [kerdos] possibile (1326).
Eschilo, Sofocle ed Euripide creano una rete di metafore e immagini per il nucleo centrale
delle situazioni tragiche. Questi conflitti (ognuno con le proprie specifiche caratteristiche) sono

81
Cfr. Vlastos 1991, 183.
82
Il testo greco : a`` .v.. :a sa`a / va::... .:`a:. :`). sa. :a ).`a. Cfr. Thalmann 1993,
152.
83
Di Benedetto 1995, 113 s. nota come questo augurio del coro richiami e rovesci l'espressione usata da Oreste
per giustificare l'uccisione di Clitemestra (Eum. v. 464, antiktonois poinais una uccisione che vendicava la morte di
Agamennone).
84
Si noti che se le Erinni avessero punito Oreste la catena di delitti si sarebbe fermata in ogni caso: sono le
Erinni stesse ad agire, non un loro intermediario umano che avrebbe potuto essere punito. La successione di "vendette"
che viene bloccata quella della guerra civile ateniese.
85
Una acuta analisi delle metafore monetarie e commerciali nell'Antigone offerta da Seaford 1998, 131-137, su
cui mi baso per parte della mia discussione. Cfr. anche Goheen 1951, 14-19.
86
Cfr. Ant. 1326 (discusso sotto) e Aesch. Sept. 697, Aesch. Prom. 747, Eur. Med. 145, 798, HF 1301, Cozzo
1988, 85 n. 27.
87
Cfr. il resto del discorso (vv. 1037-47) e i vv. 1055, 1061, 1063. L'avidit degli indovini un tema presente
anche in Eur. I. A. 520.
13

presentati come insanabili, come non componibili: le due parti sono arroccate nella richiesta di una
precisa corrispondenza. Nell'Oreste, Tindareo, il padre di Elettra e di Clitemestra, spiega che la
catena dei delitti potenzialmente interminabile (508-11): se la moglie, la compagna di letto,
ammazzasse quest'uomo, e il figlio di lui ammazzasse a sua volta la madre in contraccambio, e poi
il nipote ripagasse ancora morte con morte, fin dove arriver il limite delle violenze? (trad. E.
Medda). Tindareo spiega che Oreste non doveva vendicarsi di persona ma ricorrere all'istituzione
dei nostri antichi padri (512) e mandare in esilio gli assassini; altrimenti si crea una interminabile
catena di delitti
88
. L'Oreste per si conclude di nuovo con una situazione di stallo: Oreste, nel
tentativo di sfuggire alla condanna a morte, sequestra e minaccia di uccidere sua cugina Ermione, e
di suicidarsi poi nell'incendio del palazzo.
Il linguaggio della reciprocit e del pagamento conduce a un impasse che si manifesta in
formulazioni antitetiche, o logicamente contraddittorie. In Ag. 1561-66 il coro afferma che difficile
dare un giudizio. Depredato il depredatore, paga l'uccisore, sta saldo, finch saldo sta Zeus sul
suo trono, il principio che chi ha fatto debba subire: cos stabilito. Chi potr mai scacciare dalla
casa il seme della maledizione? La stirpe invischiata nella rovina; e in Cho. 461 sempre il coro
proclama che Ares lotter con Ares, Giustizia con Giustizia. Gi nelle Coefore, come si
osservato, Oreste punisce la madre facendole soffrire ci che non deve (v. 930). Nell'Elettra di
Euripide sono i Dioscuri a sbloccare la crisi di coscienza di Oreste ed Elettra, proprio riconoscendo
la contraddizione logica della vendetta compiuta (giusta e non giusta). Castore, divinit ex machina,
dice che 'lei [Clitemestra] ora ha la giusta punizione, ma non giusto ci che tu [Oreste] hai
compiuto' (cio l'omicidio)' (v. 1244). Se le due parti in lotta nell'Orestea e nell'Elettra di Euripide
sono bloccate dal rigido meccanismo del 'pagamento', secondo cui la reciprocit deve essere
esattamente corrispondente, Tindareo, nell'Oreste di Euripide, sfrutter questa situazione per
criticare duramente la scelta di Oreste. La formulazione paradossale di Oreste delle Coefore viene
ripresa e usata contro di lui, facendo slittare il discorso sul piano delle qualit morali del singolo:
Oreste aveva ragione di ritenere lei [Clitemestra] malvagia, infatti, ma lui stesso si comportato in
modo ancor pi malvagio uccidendola (trad. Medda)
89
. Anche nell'Antigone si arriva a un punto di
assoluto contrasto fra le ragioni della protagonista e quelle di Creonte: 'per la mia piet mi sono
guadagnata il nome di empia
90
[] ma se i colpevoli sono loro, [= Creonte e i suoi sostenitori] non
abbiano a soffrire pene maggiori di quelle che ingiustamente mi infliggono' (924; 926 s.). La fine
della tragedia non a caso coincide con la fine della famiglia di Creonte.
Il conflitto verr sanato, almeno a livello fattuale, nelle tragedie che hanno una soluzione
giudiziaria o istituzionale, o accennano ad essa: cio in tragedie che hanno un esplicito messaggio
didattico-politico. Atena non solo istituisce un tribunale sull'Areopago, ma annuncia che sar
permanente, e continuer a proteggere la citt
91
. Il tribunale assolver Oreste: i voti di condanna
saranno pari a quelli di assoluzione, e il condannato viene liberato. Anche qui, il concetto di 'giusto'
presente nel termine 'pari': i voti sono 'pari' (isai), un aggettivo che in greco allo stesso tempo
indica che i voti sono 'giusti'
92
.

88
Si noti il linguaggio della reciprocit nel discorso di Tindareo: 'uccidere in cambio' 509 e 515, 'sciogliere
(=pagare, riscattare) con l'omicidio un omicidio' 510 s. Medda 2001, 206 n. 84 afferma che "la posizione di Tindareo
lievemente anacronistica, poich nel mito quello di Oreste tradizionalmente presentato come il primo processo per
omicidio, in un mondo che sino ad allora era regolato dalla legge del taglione". In realt Tindareo non parla di processo,
ma di una esclusione dell'omicida dalla vita sociale per opera di tutta la comunit; non si parla del taglione, se non
nell'Orestea. Si tratta di due ricostruzioni mitiche diverse.
89
Eur. Or. 505-506: sas. ,a au:. ..:.s.: ,u..:. / au:: sas... :. .,...: s:a....
90
Il testo greco conciso e paradossale (:. :u::.3..a. .u:.3u: .s:.:a.), ed stato imitato da Ovidio
(Metam. VIII 477, impietate pia est, detto di Althaia, che vendica la morte dei propri fratelli).
91
Hellanikos elencava altri imputati dei tempi 'mitici' giudicati nell'Areopago prima di Oreste, tra cui Ares e
Kephalos (cfr. lo scolio a Eur. Or. 1628 = FrGrHist 323a F 22 cfr. F 1: Gagarin 1981, 126 s.; Sommerstein 1989, 3 e n.
6).
92
Aesch. Eum. 741 'Oreste vincer anche se giudicato a parit di voti' (isopsphos); 752 s. 'Quest'uomo stato
assolto dall'accusa di delitto di sangue: pari [ison] infatti il conto dei voti'. Ecuba usa ison 'uguale' con il senso di
14


4. La materializzazione delle metafore e la catena delle punizioni nell'Ecuba
Molte commedie di Aristofane sfruttano la libert quasi surreale consentita al genere comico per
rendere concrete delle metafore, e per far apparire in scena personificazioni di concetti astratti. Ad
esempio negli Acarnesi la 'pace' identificata con le libagioni che si usavano per ratificare i trattati,
e perci Diceopolo pu desiderare di "bere" la pace (199; cfr. Ach. 186-200, 1021, 1033, 1053);
nella Pace il protagonista Trugaios ('il mietitore/vendemmiatore') sposa Opra ('la frutta/la stagione
autunnale'), e promette di 'vendemmiarla' nella notte di nozze (1339); e gli esempi si possono
facilmente moltiplicare
93
. In tragedia non era possibile rappresentare in maniera cos diretta
metafore e personificazioni, ma il procedimento non assente. Nell'Ecuba Euripide ha messo in
scena varie metafore: Polimestore vuole ottenere un vantaggio materiale, ma non si rende conto che
da vivo Polidoro sarebbe stato per lui un 'tesoro' (1229); il barbaro si autoproclama un 'animale
selvaggio' (1057, 1072, 1173
94
); le donne che si vendicano vengono chiamate 'cagne' della vendetta
(v. 1077, 1173), e Ecuba si trasforma letteralmente in una 'cagna' (1265, 1273)
95
. Questa tecnica
applicata in maniera pi sottile e indiretta che nel genere comico, e si pu riscontrare in altri
drammi di Euripide: Elena 'svanisce' nell'Oreste (1495) e la sua scomparsa in cielo letterale
(1557); Penteo vuole 'cacciare' le baccanti (228
96
) e la lotta diventa una vera e propria partita di
caccia, conclusa con la cattura della 'fiera selvaggia' da parte delle baccanti, trasformate da prede in
cacciatrici (spec. 1108, 1144, e tutta la scena finale a partire dal v. 1171, spec. 1204, 1237).
Nell'Ecuba il nesso tra la punizione di Polimestore e il 'pagamento' reso esplicito:
Polimestore, proprio nel momento in cui pensa di ricevere da Ecuba delle ricchezze nascoste,
subisce l'accecamento, e l'uccisione dei suoi figli; invece di oro riceve la punizione. Il problema
della esatta reciprocit sia in positivo (favori) sia in negativo (punizione) centrale alla
comprensione della tragedia
97
.
Metafore del pagamento e linguaggio della punizione sono strettamente intrecciati, in un
modo particolarmente complesso, nel breve passo cantato e recitato dal coro ai vv. 1024-34.
Polimestore, ingannato dalla trappola tesagli da Ecuba, viene invitato ad andare nella tenda delle
prigioniere troiane. Ecuba aveva usato un linguaggio ambiguo, invitando Polimestore ad entrare
nella tenda con parole che alludono alla sua punizione ("cos ritornerai con i tuoi figli l dove hai
fatto andare il mio": 1021-22). Il coro continua l'ambiguit del linguaggio di Ecuba, anche se i
motivi pratici sono venuti meno: Polimestore si sta avviando all'interno, ed fuori contatto con il
coro, secondo le convenzioni della tragedia greca
98
. Il coro esplicito nel parlare della punizione
che aspetta Polimestore, mentre maschera il proprio linguaggio quando parla dell'inganno ordito da
Ecuba. Il testo di questo breve passo problematico proprio perch il coro si tiene in bilico tra una
serie di metafore. Le donne non parlano dell'avidit di Polimestore, ma del suo cuore (1025), e di

'proporzionato/giusto' al v. 805 (se il testo dei manoscritti corretto, come credo). Su giustiza e ison cfr. Aristot. EN
1131 a.
93
Lo studio di riferimento su questo tema Newiger 1957; sui passi degli Acarnesi e della Pace ricordati a testo
cfr. Newiger 1957, 105 e 111; Goldhill 1991, 189.
94
Il testo del v. 1173 incerto. Vedi nota 000** al testo.
95
Le furie sono paragonate a delle cagne cacciatrici in Aesch. Eum. 132, 246.
96
Cfr. anche Eur. Ba. 719, 839; sul tema della caccia in Euripide si veda Barberi Squarotti 1993, con
bibliografia.
97
Le relazioni di 'debito' non materiale tra i vari personaggi saranno analizzate in dettaglio nella seconda parte
dell'introduzione.
98
Polimestore probabilmente si muove durante il breve discorso di Ecuba (1019-22) ed entra effettivamente
dentro la tenda durante quei versi, o poco dopo. In ogni caso, anche se non fosse effettivamente entrato in scena, per le
convenzioni teatrali l'avviarsi sufficiente perch Polimestore sia considerato fuori contatto al v. 1023, quando il coro
esplicito nelle sue minacce. Taplin 1977, 310 discute di questa tecnica e nota che, quando due personaggi escono di
scena allincirca insieme, quello dominante a parlare per ultimo. Questo avviene ad esempio in Aesch. Ag. 958-74; i
vv. 973 s. sono pronunciati da Clitemestra quando Agamennone gi dentro la casa; Clitemestra entra al v. 974; cfr.
anche Taplin 1972, 94 n. 113. Si veda anche Mastronarde 1979, 19-34, che parla della mancanza di contatto di chi entra
in scena.
15

una speranza (1032), naturalmente speranza di guadagno, che lo ha portato in trappola; e cos
pure parlano di una vita che viene persa (di Polimestore? o di Polidoro?
99
); di un pegno che
porta alla rovina (1029-31); di una strada (1032) che viene persa. Leggiamo il brano corale
(1023-1034):

Non hai ancora pagato la tua punizione, ma forse la pagherai:
come uno che cade in una sentina senza porto,
sarai sviato dal tuo cuore,
tu che hai tolto una vita. Ci che, dato in pegno
sotto la garanzia della giustizia e degli di, non concorda con essi,
un male che porta alla rovina, alla rovina.
La speranza di questa strada ti inganner, la speranza che ti ha condotto
all'Hades a morire, sventurato:
mani imbelli ti faranno perdere la vita.

Le metafore si succedono una all'altra, senza mai sovrapporsi su un campo semantico
comune, anzi mescolandosi in maniera sorprendente: Polimestore cade in una "sentina" che per di
pi "senza porto". La "sentina" la situazione in cui si trova ora Polimestore, una situazione che
non presenta nessun luogo dove trovare scampo ("senza porto"). Polimestore affronter "un disastro
che porta alla rovina", in relazione al fatto che un "pegno" non concorda con la giustizia e con gli
di. La speranza di un ulteriore guadagno verr meno, e Polimestore si accorger che questa
speranza lo ha portato alla morte, per opera di donne.
La menzione del "pegno" tanto vaga quanto problematica; la vaghezza deriva dal tono di
riflessione generale, di gnm, priva di riferimenti a persone e situazioni specifiche. Sta a noi
leggere in questa frase, dal testo discusso
100
, un riferimento alla situazione specifica. Il "pegno" un
termine al crocevia del linguaggio giuridico e del linguaggio economico; qualcosa che si d in
garanzia, e che deve essere restituito, uno scambio di "oggetti" o persone. La frase allude
probabilmente a Polidoro, affidato a Polimestore, un "pegno" garantito dalla giustizia e dalle norme
divine, che per non stato rispettato in accordo con esse. Polimestore deve "dare giustizia" (1023,
dseis dikn) in cambio della appropriazione delle ricchezze e della sua avidit, oltre che per il suo
delitto.
Ecuba molto attenta a non usare il linguaggio della punizione come 'prezzo' da pagare, ma
preferisce usare il termine pi neutro timrein 'punire/vendicare' e i suoi derivati (cfr. vv. 749, 756,
790, 843, 882, 1258), e il linguaggio della 'giustizia'. Anche se usa l'espressione ''dare giustizia"
(=essere punito) a proposito di Polimestore, la prima volta lo fa quando lui non presente (1053), la
seconda quando il contrasto stato ormai deciso a favore di Ecuba (1274). Lo scopo di Ecuba
dimostrare che la passione di Polimestore per il kerdea "guadagni/profitti" fallita: Polimestore ha
'perso' tutto, i suoi figli, la sua fama, l'amicizia di Polidoro, l'aiuto materiale che gli sarebbe derivato
da lui ("se ti fossero venute a mancare le ricchezze, e mio figlio fosse stato in buona sorte, lui
[Polidoro] sarebbe stato per te un grande tesoro": 1228-29)
101
. Ecuba non pu sostenere di aver
ripagato Polimestore in misura strettamente uguale, anche se uccidere i suoi due figli significava
estinguerne la discendenza.
Mentre in altre tragedie la soluzione giuridica sembra risolvere i conflitti, nell'Ecuba il
'processo' davanti ad Agamennone non pone fine alla catena di violenze. Agamennone decide che
Polimestore colpevole e ha meritato la sua punizione, ma proprio allora si nota il ritorno del
linguaggio della punizione esatta: sofferenza per sofferenza (1256 Ecuba a Polimestore: "Soffri? E

99
Per Mossman 1995, 92 e Gregory 1999 ad loc. si tratta di Polimestore; per Collard 1991 e altri si allude a
Polidoro. Mossman considera a.:a: come equivalente a "destroying", e quindi pensa che a.:a: 3.. possavoler
dire "destroying your life"; ma il senso del verbo "privare, togliere", e per questo l'attivo non pu essere usato in
riferimento al soggetto stesso del verbo.
100
Sul testo di questi versi cfr. premessa al testo, p *000*.
101
Oreste un thsauros 'tesoro/deposito (di cose preziose)' per Elettra (Eur. El. 565), i figli sono un tesoro
(thsaurisma) per i genitori, un 'possesso' 'superiore all'oro' (Eur. fr. 518.1-2 e 4).
16

allora? Pensi che io non soffra per mio figlio?"), uccisione per uccisione (1281 Polimestore ad
Agamennone: "Uccidimi pure: ad Argo ti aspetta un bagno di sangue"). La tragedia si conclude
indicando una sorte futura dei personaggi che comporta di nuovo violenza e morte. Polimestore
assume i tratti di un deus ex machina, e profetizza eventi che si svolgeranno dopo la chiusura della
tragedia: Ecuba si trasformer in cagna, e morir cadendo dalla nave che la porta in Grecia (1259-
76), Agamennone, tornato in patria, morir per opera di Clitemestra (1277-81). La "punizione" di
Agamennone presentata con un'allusione chiara al testo di Eschilo: i versi finali di Agamennone
contengono l'augurio "che la nostra navigazione in patria sia buona, buono ci che troveremo nelle
nostre case, ora che ci siamo liberati da queste fatiche". La sua espressione allude all'inizio
dell'Agamennone di Eschilo, quando il guardiano formula la seguente preghiera: Agli di chiedo di
liberarmi da questa fatica, da questa / guardia che dura ormai da un anno (1-2, tr. Medda). Le
fatiche di Agamennone non sono affatto finite, come profetizzava Polimestore, e come
Agamennone stesso, giocato dal linguaggio tragico, indica allusivamente proprio nel momento in
cui formula la sua speranza di pace. L'allusione al testo di Eschilo ha qui un effetto antifrastico,
negando con le sue risonanze quello che il testo esplicitamente preannuncia: la fine della fatica della
guardia coincide con l'inizio delle "fatiche" di Agamennone (il termine greco ponoi pi forte del
nostro "fatiche", e include anche "sofferenze").
Che la sorte di Agamennone sia miserevole cosa nota e conclamata (a partire da Od. 24,
30-34). La sorte di Ecuba apparentemente ugualmente terribile, per quanto inquietante; interpreti
recenti hanno sostenuto che la metamorfosi non una punizione per la sua vendetta e che
Euripide avrebbe potuto rendere la fine (di Ecuba) molto peggiore
102
; nel caso di una donna
anziana, il cane sembra emblematico dei suoi impulsi materni, in relazione alla difesa dei figli
103
.
Noi non abbiamo una voce imparziale nel testo che presenti la sorte di Ecuba esplicitamente come
una punizione per la violenza della sua vendetta; vendette ingiuste, nella tragedia greca, sono punite
molto chiaramente (si veda la sorte di Egisto nell'Orestea). Polimestore per l'unica voce che ci
parla di questi avvenimenti, e presenta chiaramente la trasformazione come una sofferenza,
spiegando che Ecuba non sar pi (contenta) tra poco (1259), quando annegher in mare e si
trasformer in una cagna (1269). La reazione di Ecuba quella di chi si rende conto dell'odiosit
della cosa (Non mi importa niente, ora che mi hai pagato la punizione 1274). Polimestore
continua, spiegando che anche Cassandra morir, cosa contro cui Ecuba rivolge i suoi scongiuri
(1276). Le connotazioni della trasformazione in cagna sono varie (maternit (?)
104
; legame con la
dea Ecate)
105
, spesso degradanti (animalit
106
; perdita del nome
107
) o terrificanti (le Erinni
108
;
rabbia
109
). Per questi motivi non credo che l'animalizzazione abbia un valore "eroico"
110
. Quello che

102
Mossman 1995, 199.
103
Gregory 1999, XXXIV.
104
Per la maternit Gregory 1999, XXXIV cfr. Od. 20, 14-15, ma Harris 2001, 67 e 134 interpreta l'immagine
omerica in riferimento all'ira (cfr. sotto, n. 000**90*).
105
Si veda Eur fr. 968 = 624 Kannicht (`|sa:: a,a`a ).:)u su.. .:. "sarai un cagna, onore della dea
Ecate che porta la luce"); Ecuba etimologicamente legata a .s3`:, "lungisaettante", epiteto di Apollo; `|sa:
(Ecate) il femminile di .sa::, epiteto di Apollo (forma abbreviata di .sa:3`: e .s3`:): si vedano Chantraine
1999 s. vv. e Friis Johansen e Whittle 1980, nella nota al v. 676 (sarei pi favorevole di loro a interpretare .sa:a. come
epiteto esornativo in questo passo); Burkert 1985, 65.
106
Nussbaum 1986, 414.
107
Michelini 1987, 172; Segal 1990a, 309 (cfr. Segal 1993, 159) sottolinea il fatto che il nome sar infame e che
Ecuba, a differenza degli eroi omerici, non si interessa per la sua fama futura.
108
Si vedano Aesch. Cho. 924, 1054, Eum. 132, Eur. Or. 260 e Mossman 1995, 196 n. 71
109
Cicerone (Tusc. III 63) dice che Ecuba si trasform in cagna propter acerbitatem animi quandam et rabiem.
Cfr. Harris 2001, 52-53, 154: Sappho fr. 158, in cui Saffo invita a tenere a freno la lingua che abbaia a vuoto, quando
l'ira si spande dentro il petto (trad. Ferrari). Graver 1995 discute linsulto cane in riferimento a Elena (Il. VI 344 e
356); le connotazioni principali sarebbero avidit, cannibalismo, avarizia piuttosto che coraggio o impudicizia. In
generale si veda Lilja 1976; Franco 2003.
110
Cos Kovacs 1987, 111-12; questa opinione giustamente contrastata da Mossman 1995, 200 n. 86.
17

conta di pi la prominenza testuale data alla visione di Polimestore, proprio alla fine della
tragedia.
Polimestore, trascurando ogni visione etica
111
, legge le sofferenze altrui come "punizione"
per la sua propria sofferenza. Per Polimestore questi avvenimenti sono una compensazione, una
punizione che gli d soddisfazione. Per quanto lui venga presentato senza dubbio come
orrendamente colpevole, i suoi due punitori, Ecuba e Agamennone, subiranno una sorte dolorosa e,
secondo Polimestore, umiliante. Polimestore assume il tono di noncuranza che aveva Ecuba: dopo
aver profetizzato ad Agamennone l'uccisione da parte di Clitemestra, non si cura delle minacce del
re (1281, 1284: "Uccidimi pure: ad Argo ti aspetta un bagno di sangue [] Turatemi pure [la
bocca]: ho parlato, tanto") cos come Ecuba non si curava della metamorfosi (1274 "Non mi
importa niente, ora che mi hai pagato la punizione"). Polimestore mostra come sia facile
trasformare la catena di sofferenze narrate nel mito (e note a tutti gli uomin nella vita) in una catena
di "punizioni": l'interpretazione a far diventare gli avvenimenti dolorosi delle vendette, vendette
degli uomini o del fato. La catena di punizioni non si conclusa, nonostante l'appello alla giustizia
di Ecuba (spec. 1254, 1274). Anche se Polimestore ha "dato giustizia" (803, 853, 1023, 1052, 1253,
1274), anche se ha avuto, come ricompensa per il suo comportamento con Polidoro, una punizione
che lo priva della vista e dei figli, oltre che le ricchezze, anche se questa punizione sanzionata da
un tribunale, il meccanismo della continua richiesta di dolore, il desiderio alternato di punizione non
sembra trovare fine. Cosa succede dunque in questa tragedia? Perch la punizione viene celebrata e
poi parzialmente negata? Alla fine del testo, gli spettatori non ricevono nessuna indicazione chiara,
su quale parte debbano scegliere. Il meccanismo del testo euripideo, e dello spettacolo tragico in
generale, vuole che le nostre opinioni e i nostri sentimenti siano divisi e combattuti. Ma che
meccanismo questo?

5. Genealogia delle pene in Grecia
Come erano le punizioni del passato storico-mitico rispetto a quelle della polis democratica? Gli
Ateniesi diedero due tipi di risposte: una legata a pratiche discorsive delle istituzioni democratiche
(l'oratoria, il teatro) e presenta le istituzioni del presente come giuste ma non crudeli, mentre quelle
del passato sono presentate come enormi e crudeli; una seconda linea, molto minoritaria, presenta le
leggi del presente come molto pi crudeli di quelle antiche; questa seconda linea si ritrova nel
discorso di Diodoto in Tucidide.
Spesso linnovazione progressista si manifesta ponendo fine ad unantichit pre-legale di
pene orrende; le nuove leggi, presentate come divine o comunque autorevoli, devono rimanere
immutate. Eschilo stesso insiste sulla immutabilit delle pene, dopo unantichit mitica di pene
smodate imposte dalle Erinni (Eum. 693). Anche Demostene sottolinea la veneranda antichit delle
leggi sullomicidio
112
.
Lidea secondo cui le pene si sono attenuate col tempo compare in vari testi. Secondo
l'oratore Licurgo, i legislatori antichi non avrebbero fatto distinzioni tra diversi tipi di colpa (furti di
piccole o grandi somme di denaro, omicidio di un servo o di una persona libera), ma avrebbero
previsto la morte come unica pena per tutti i delitti; questo combacia con quello che Plutarco dice
sulle leggi di Dracone
113
. Licurgo e il personaggio di Isomaco nell'Economico di Senofonte (XIV,
4) citano con approvazione la severit delle leggi antiche
114
, in contrasto con possibili tendenze
moderne. La severit degli antichi si ritrova in passo come Hes. Op. 710-711, dove si consiglia di

111
Si osservi che aveva considerato la "giustizia" subita come una semplice sofferenza inadatta al suo status, non
come una punizione legata al suo comportamente immorale (1252-53).
112
Cfr. Sommerstein 1989, 217 ad Eum. 693-95, con bibliografia. Si veda in particolare Dem. 23.62-66.
113
Cfr. Lyc. Leoc. 64-66 e Saunders 1991, 117; Plu. Sol. 17. Piccirilli 1977, 203-207 discute varie altre
testimonianze sulla severit delle norme di Dracone, e ritiene che nelle sue leggi, nonostante la severit, sono evidenti
gli sforzi tesi ad attenuare la crudelt degli usi vigenti(p. 206).
114
Si veda anche Pomeroy 1994, nel commento a Xen. Oec. XIV 4.
18

punire gli amici diventati ostili con una punizione doppia (dis tosa teinusthai)
115
. E certamente le
Eumenidi di Eschilo, per quanto non indichino un semplice progresso dalla vendetta all'istituzione
della legge
116
, implicano che in Atene sarebbero state impedite le vendette collegate alle guerre
civili
117
: questo sarebbe stato impedito dal tribunale dell'Aeropago (683-706) e dalla presenza delle
terribili Erinni nella citt (spec. 853-69). Le orrende punizioni a cui le Erinni sono associate da
Apollo (decapitazione, impalamento, mutilazione, accecamento: 185-90) non verrano nominate di
nuovo, quando le Erinni si stabiliranno ad Atene
118
.
Collegata all'idea evolutiva quella secondo cui le pene sono entrate sotto il controllo della
comunit, e vengono amministrate per fini socialmente utili. Protagora spiega che le pene mirano a
rieducare, e che se non fosse cos sarebbero pene "ferine"
119
(e quindi suggerisce implicitamente
che le pene "ferine" siano esistite, o possano esistere). Platone in particolare discusse a lungo la
finalit della pratica punitiva, continuando la strada percorsa da Protagora, con l'intento di riformare
il codice legislativo ateniese
120
.
L'idea opposta, quella per cui le pene del presente sono pi crudeli di quelle del passato,
compare in Tucidide. Se la genealogia delle punizioni speculare tra Tucidide e Eschilo, questo
non un caso. Il testo di Tucidide presenta il mondo a lui contemporaneo come l'apice della guerra
e della violenza nella storia umana (I 1.1-3), e descrive in dettagli agghiaccianti l'estremo orrore a
cui gli eventi collegati alla guerra portano (la peste di Atene, la stasis di Corcira). In questa
prospettiva di accrescimento progressivo della forza e della violenza si inserisce bene il discorso di
Diodoto (III 41-49), che narra di un inasprirsi delle pene dal passato al presente, in corripondenza
alla loro sempre pi constatata inefficacia. La tragedia invece non allude se non per profezia, e
indirettamente, alle istituzioni del presente, e narra di un passato in cui era pi difficile stabilire la
giustizia; inoltre sceglie episodi del passato in cui venivano messe in crisi le strutture istituzionali
(guerra, assedi di citt, usurpazione del potere, prigionia in terre barbare, etc.). Per affermare la
propria centralit, e l'importanza del parlare del passato, la tragedia sceglie di enfatizzare l'orrore
del passato, la crudelt degli avvenimenti narrati; ed Eschilo enfatizza l'addomesticamento
dell'orrore e della paura (non la loro soppressione) nell'ambito della polis ben regolata.
In Tucidide, Diodoto cerca di rovesciare la decisione presa dagli Ateniesi, su proposta di
Cleone, secondo cui si sarebbero dovuti uccidere tutti i cittadini maschi adulti di Mitilene, e rendere
schiavi i ragazzi e le donne, per punire la citt che si era ribellata: una decisione che gli Ateniesi
stessi, pentiti, considerarono crudele e terribile (Tucidide III 36, 4). Questo nuovo tipo di
punizione segna un limite non ancora raggiunto per l'orrore, e Diodoto cerca di inserire questo in
una tendenza generale: gli uomini sono passati ormai da una pena all'altra accentuandole sempre
pi, per vedere se mai potessero esse meno danneggiati dai malfattori. E' verisimile che una volta le
pene per i pi grandi misfatti fossero pi miti, ma che poi, con le continue infrazioni e col passar del
tempo, per la maggior parte siano salite fino alla pena di morte: eppure, anche in queste circostanze
si continua ad infrangere la legge. O si trova quindi un qualcosa che sia ancora pi spaventoso,

115
West 1978a ad loc. ricorda Thgn. 1089-90; Fraenkel 1950 ad Aesch. Ag. 537 ricorda che i ladri dovevano
restituire due volte il valore della refurtiva (Dem. 24, 114; Demostene ricorda inoltre che in alcuni casi il furto era
punito con la morte). Una certa fede nel progresso legislativo viene espressa anche da Aristotele il quale, parlando delle
costituzioni, afferma che la maggior parte di quelle antiche meno corretta di quelle moderne (Politica, 1271 b 23-
24).
116
Contrari a una idea di sviluppo lineare (dalla vendetta al regno della legge) Di Benedetto 1995, 134-37 (contro
le tesi del Thomson sulle Eumenidi), Allen 2000, 19-20 e 336 n. 18, anche in relazione all'Orestea. Sulla politica
nell'Orestea cfr. anche Goldhill 2000, 76-81.
117
La vendetta viene presentata come un processo parallelo a quello della guerra civile (stasis): cfr. vv. 976-83.
La guerra civile naturalmente interromperebbe il funzionamento dell'Aeropago.
118
Culturalmente simile, ma distinto il caso delloltraggiare i morti. Decapitare e impalare la testa di un nemico
morto una azione propria dei barbari, non dei greci, secondo il re spartano Pausania, in Hdt. IX 79; ma cfr. VII 238.
119
Platone, Protagora 324 a-b, a proposito del quale si vedano Saunders 1991, 133-36, Vlastos 1991, 187-89, e
Guthrie 1969, 64-68 (e 60-63 in generale sulle teorie del progresso).
120
La questione delle punizioni molto importante in Platone, specialmente nel libro IX delle Leggi: cfr. Stalley
1983, 137-150, Saunders 1991, Allen 2000, 245-281 e la bibliografia a p.398 n.1.
19

oppure neppure questo li trattiene (3, 45, 3-4)
121
. Diodoto sostiene che le punizioni estreme non
possono impedire i crimini, e che invece con una punizione moderata (.:..: s`a.:.: 3,
46, 4) gli Ateniesi otterrebbero maggiori vantaggi e pi sicura obbedienza da parte dei loro alleati.
L'idea di una intensificazione delle pene si ritrova, sviluppata con penetrante originalit, in un
famoso frammento del Sisifo di Crizia/Euripide
122
: la vita degli uomini era ferina e sottoposta alla
forza, e non c'era nessuna punizione (kolasma) per i delitti (Critias 43 F 19, vv. 1-3 in TrGF vol. 1);
gli uomini allora inventarono le leggi (nomous), in modo da punire i malfattori
123
e far regnare la
giustizia (vv. 5-8). Le leggi per potevano impedire, grazie alla violenza, soltanto i crimini compiuti
davanti a tutti; gli uomini agivano di nascosto (9-11). A quel punto un uomo acuto e
intelligente (12) invent la paura degli di (13), per controllare le menti dei potenziali criminali
spaventandoli con l'idea che non sarebbero sfuggiti agli dei coprendo la verit con un discorso
falso (25). Quando Diodoto parla di inventare un qualcosa che sia ancora pi spaventoso
(:...:.. :. :u:u :.: .u.:..) della morte sembra riecheggiare proprio il passo di Crizia
in cui si allude all'esigenza di inventare il timore degli di (43 F 19 v. 13 in TrGF vol. 1: :.: ..
..u...): l'invenzione della divinit viene provocatoriamente presentata come un accrescimento
delle sofferenze umane, che passano dal livello materiale a quello psicologico (paura (infondata) del
giudizio divino)
124
.
C' un altro testo che descrive le pene degli antichi come meno dure di quelle dei moderni.
L'Oreste di Euripide si presenta come una riscrittura del finale delle Coefore, e soprattutto una
riscrittura delle Eumenidi: Oreste tormentato dalle furie (ma anche dalla sua coscienza), viene
sottoposto a un giudizio popolare (e condannato, non assolto come in Eschilo
125
); si allontana dal
luogo della tragedia, ma non per tornare in patria a regnare, come nelle Eumenidi, bens per fondare
una nuova citt in esilio (1643-47)
126
. In questa revisione di Eschilo non stupisce leggere che le
pene stabilite dagli "antichi" per l'omicidio erano miti (l'esilio): Tindareo (il padre di Elena e
Clitemestra) non parla di processo, ma di una esclusione dell'omicida dalla vita sociale per opera di
tutta la comunit (512-17): saggiamente i nostri antichi padri avevano stabilito queste norme: non
permettevano che chiunque avesse le mani sporche di sangue si presentasse in pubblico n potesse
incontrare nessuno, e ritenevano che si dovesse purificarlo con l'esilio e non ucciderlo a sua volta
(trad. Medda). Questo trapassato prossimo mitico corrisponde alle istituzioni omeriche
127
: Euripide
si presenta come attento ricostruttore della realt mitica arcaica
128
, ma lo fa in maniera provocatoria,
evocando gli usi pi miti dell'epica proprio nel corso di una vicenda centrale per il genere tragico, e
in cui la catena di delitti era cruciale per la tragicit della vicenda. E' invece la "modernizzante"
assemblea popolare (che ha forti tratti in comune con le contemporanee assemblee ateniesi) a
deliberare una crudele condanna a morte per Oreste ed Elettra, per bocca di un demagogo (902-15,
944-45)
129
. L'Oreste compie la stessa mossa del testo di Tucidide, e la compie avvicinando il mondo
della tragedia al presente: l'Oreste crea un "passato anteriore" mitico in cui le cose andavano in
maniera diversa.

121
Cfr. Ferrari 1985a, da cui traggo la traduzione.
122
Il problema dell'attribuzione molto controverso. La bibliografia su problema discussa da Pechstein 1998,
185-92, che si dichiara a favore dellattribuzione a Euripide.
123
Critias F 19, v. 8 Snell: ...u: : .. :.: aa:a...
124
Byron criticava in maniera simile l'idea di punizione eterna, rifacendosi alla teoria rieducativa della pena: una
resurrezione materiale sembra strana e persino assurda eccetto per il fine di punirea ogni punizione che che mira a
vendicare piuttosto che correggeredeve essere moralmente sbagliatae quando il mondo alla finequal il fine
morale o preventivo che le torture eterne possono soddisfare? (citato da Jacoby 1985, 234 n. *; traduzione mia).
125
Apollo alluder all'assoluzione ad Atene: Eur. Or. 1648-52.
126
Cfr. anche Eur. El. 1273-75.
127
Cfr. Willink 1989 e Di Benedetto 1965b ad loc., seguendo lopinione di Wilamowitz. Non un caso che sia
Diomede, personaggio tipico dell'eroismo omerico, e marginale nel genere tragico, a proporre la pena dell'esilio
nell'assemblea (888-900).
128
Cfr. Easterling 1985.
129
Si ossevi che secondo il messaggero dietro questa proposta ci sarebbe Tindareo, che pure di fronte ad Oreste
parlava di esilio (512-17, discusso sopra).
20

Molti autori moderni hanno approvato la teoria della civilizzazione progressiva
130
. Il
modello ideologico tanto illuminista quando biblico: il libro della Genesi presenta la legge di
Lamec ("ho ucciso un uomo per una ferita Caino sar vendicato sette volte, ma Lamec settanta
volte sette": Genesi 4, 23-24)
131
, rispetto a cui quella del taglione (raccontata in Esodo 21, 24)
rappresenta un progresso; troviamo poi i comandi evangelici secondo cui bisogna offrire l'altra
guancia e di perdonare settanta volte sette (Matteo 5, 38; 18, 21-22). Il movimento illuminista
naturalmente sosteneva la necessit di abolire le pene pi crudeli, e riusc, col tempo, ad ottenere un
notevole cambiamento delle pratiche punitive in Europa
132
. Il paradigma della progressiva
civilizzazione si affermato anche nella discussione delle "maniere", tramite le tesi di Elias sul
processo di civilizzazione
133
. E' necessario per sottolineare che questi schemi evolutivi sono solo
uno dei possibili modi di analizzare lo sviluppo delle pene, e sicuramente trascurano molti aspetti
della concreta articolazione dello sviluppo culturale e sociale. Nietzsche invece sottolinea che le
pene sono un segno complesso: hanno un valore deterrente, un valore simbolico, servono a
"compensare" il male subito, servono a procurare gioia alle vittime dell'ingiustizia; e inoltre sono
presentate come una "festa". Il nesso tra punizione e festa fondamentale per Foucault, che
individua un cambiamento netto nell'et dell'illuminismo: mentre prima le pene erano comminate
con estrema durezza, in maniera spettacolare, e arbitrariamente solo ad alcuni colpevoli, dopo
l'illuminismo esse diventano meno crudeli ma vengono comminate inflessibilmente a tutti,
operando un controllo sociale molto pi esteso
134
. Quali sono le conseguenze di questi cambiamenti
per l'interpretazione della tragedia?

6. La moralit della vendetta di Ecuba, tra illuminismo e postmoderno

In che senso pu essere la sofferenza una compensazione di "debiti"? In quanto far
soffrire arrecava soddisfazione in sommo grado, in quanto il danneggiato barattava il
danno, con l'aggiunta dello scontento per il danno, per uno straordinario contro-
godimento: il far soffrireuna vera e propria festa, un qualcosa che, come ho detto,
era tanto pi tenuto in pregio quanto maggiore era il suo contrasto con il rango e la
posizione sociale del creditore (Nietzsche 1887 [1984], 55).

Il cambiamento di paradigma punitivo ci che spiega le diverse fortune di Ecuba. Prima
dell'illuminismo punizioni pubbliche violente erano applicate regolarmente e venivano considerate

130
Ad es. Herman 1995, 54-56 (con la spiegazione che per i vari sistemi di punizione sono a volte esistiti
contemporaneamente). Vlastos 1991, 190 sostiene che nell'Orestea Eschilo "makes the trilogy culminate in a
celebration of the supression of private vengeance by the majesty of civic law". Harris 2001, 136 contrasta una simile
interpretazione evolutiva, ma accetta lidea di un progresso nello sviluppo del diritto attico (Harris 2001, 146). Cohen
1995, 3-24 contrasta l'idea di una semplice evoluzione dalla vendetta al regno della legge; Herman 1998, 607 lo
contesta vivacemente. Si noti che Atena, nelle Eumenidi, presenta lomicidio di Oreste come il primo caso di sangue
versato giudicato dal popolo dellAttica (681-82); Atena stessa sostiene che il tribunale dellAeropago rimarr
sempre a protezione di Atene se i cittadini non innovano le leggi. Nelle Eumenidi non sono presi in considerazione
altri casi di punizioni inflitte da privati, e il delitto di Oreste presentato come il primo omicidio giudicato ad Atene.
Eschilo, per presentare il delitto di Oreste come primo nella storia di Atene, modifica addirittura la tradizione mitica,
che parlava di un precedente omicidio, quello di Halirrothios, commesso da Ares, giudicato sullAeropago: si veda
Sommerstein 1989, 3, che cita tra laltro Eur. El. 1258-62. Si veda anche sopra, n. 000***.
131
Lamec naturalmente rappresenta un accrescimento della malvagit umana, punita dal diluvio universale
(Lamec il padre di No).
132
Su questo processo cfr. in generale Foucault 1975 (tr. it. 1976).
133
E. g. Harris 2001, 146 (ma a p. 136 rifiuta una simile interpretazione per l'Odissea).
134
L'incapacit dello stato di imporre la giustizia va di pari passo con la durezza delle pene comminate ai pochi
colpevoli condannati. La sfasatura tra questi due piani gi un tema dell' 'illuminista' Manzoni (cfr. anche Evans 1996,
118 s.); la mitigazione delle pene si accompagn a una maggiore efficacia nell'individuare e punire i criminali, e a una
tendenza a 'riformarli'. Secondo Foucault, l'illuminismo manifesta un desidero di repressione e controllo, pi che di
'giustizia' e umanit nel comminare pene: 'non punire meno, ma punire meglio'. Per una critica dell'anti-illuminismo di
Foucault si veda Evans 1996, 9-12, 148 s. e 880-91 (una critica spesso personalistica, ma con una utile bibliografia); si
vedano le pp. 109-49 per una discussione dei riformisti del settecento.
21

giuste; anche la chiesa approvava punizioni particolarmente truculente
135
. L'orrore e la
disapprovazione della vendetta di Ecuba viene espresso con crescente vigore alla fine del settecento
e nell'ottocento, proprio in concomitanza con la progressiva abolizione delle punizioni violente in
pubblico, e della fede nelle vendette divine. Infanticidio e accecamento sono punizioni
eccessivamente crudeli. Il giudizio di condanna espresso da studiosi come Hermann si rivolge ad
Euripide e alla presentazione della vicenda da lui scelta da Euripide. Vari studiosi del novecento
hanno invece sostenuto che il testo di Euripide stesso presenta la vendetta di Ecuba in una luce di
condanna: se Euripide un grande poeta, non pu non condividere i nostri ideali etici
136
. Nella
critica degli ultimi anni si arrivati a una posizione "storicista": la pena di Ecuba sembra eccessiva
a noi, ma doveva apparire proporzionata agli spettatori; proprio il fatto che la pena sembrasse
appropriata ai critici dal '500 al '700 viene usato come argomento per inferire la reazione degli
Ateniesi antichi
137
.
C' una curiosa convergenza tra il pre-illuminismo e il postmoderno: esempi di crudelt
mostruosa sono considerati come "accettabile" in un altro contesto culturale. Certo possiamo
collegare questo nuovo trend alla moltiplicazione degli esempi di crudelt nell'immaginario
collettivo postmoderno; questo atteggiamento per un recupero della reazione degli antichi. Credo
cio che fosse essenziale per gli spettatori della tragedia considerare la vendetta di Ecuba come
accettabile e inaccettabile insieme: mostruosamente crudele ed eccessiva; giustificata nei suoi fini;
punita a sua volta nel futuro. La crudelt un elemento molto importante nello spettacolo tragico,
inquadrato nella festa dionisiaca. C' un certo parallelismo con quanto accadeva per il sacrificio
greco, come interpretato da Meuli e Burkert. Una serie di atti rituali distanziavano i sacrificanti
dall'orrore dell'uccisione; i sacrificanti mettevano in scena una "commedia dell'innocenza"
138
per
poter portare la morte senza doversi assumere i sensi di colpa ad essi connessi. La tragedia, oltre a
soddisfare una complessa serie di altri compiti culturali, mette in atto un meccanismo analogo di
autorizzazione e negazione della crudelt. Essa permette agli spettatori di godere lo spettacolo della
crudelt, di identificarsi con personaggi che poco a poco diventano inattesi operatori di orrore; di
personaggi lontani nel tempo, e distanti dalla Grecia.
Gli interpreti moderni che, come la Burnett, immaginano degli spettatori greci privi di sensi
di colpa nei confronti della vendetta proiettano sul pubblico antico la psicologia dei personaggi
vendicatori: Ecuba, cos come l'Oreste di Sofocle, non ha dubbi sulla giustezza della propria
vendetta. La tragedia proponeva a quegli stessi spettatori la soddisfazione del desiderio festivo di
crudelt, e allo stesso tempo mitigava la violenza della vendetta tramite il filtro del distanziamento.
L'interpretazione nietzschiana vede la punizione come "festa", e come "compenso dei debiti": un
discorso che viene soltanto accennato nell'Ecuba stessa, che invece esplicito nel Ciclope.
Il pagamento del "debito" e la "festa" corrispondono alle due parti del dramma; gi nella
prima parte della tragedia il sacrificio di Polissena una "festa" e allo stesso tempo un "dare quello
che viene richiesto" ad Achille (305). Questo doppio aspetto, della festa e dell'obbligazione a
donare, si manifesta in una duplicit di reazioni, da parte di tutti i personaggi. Si rivela soprattutto
nella falsa coscienza dei greci, che da una parte esperiscono un godimento quasi pornografico per le
modalit della morte di Polissena
139
, dall'altro lato piangono ed esaltano la nobilt d'animo della
sacrificata (578-80). Non solo Neottolemo non voleva e insieme voleva (566) uccidere la
ragazza; Polissena stessa si fa complice di questo gioco offrendosi come vittima volontaria; inoltre
sfruttando la polisemanticit del denudamento (simbolo di sottomissione oltre che segnale erotico),
rivela il suo corpo (560-61) e per sta anche attentissima a non svelarlo troppo perch una delle

135
Si vedano alcuni esempi raccolti da Jacoby 1985, 92-97.
136
Cfr. sopra, n. 000**, sulla degenerazione morale di Ecuba.
137
Questo appare soprattutto nei lavori di Meridor 1978, Heath 1987, Mossmann 1995, Burnett 1998, Gregory
1999.
138
Il termine di Meuli; cfr. Burkert 1981 [ed. originale 1972], e ora anche Burkert 2003, 189-91.
139
Si noti in particolare l'aggettivo bellissimo del v. 561, riferito al petto di Polissena: da un punto di vista di
tecnica narrativa, la focalizzazione sull'esercito che osserva la cerimonia del sacrificio.
22

possibilit interpretative, quella erotica, non prenda il sopravvento (570)
140
. Taltibio considera
Ecuba felicissima e infelicissima insieme: Vedo che ti toccata, pi che ad ogni altra donna, la
prole pi nobile e la sorte pi crudele (581-82). La scissione nella presentazione della morte di
Polissena presente per anche per Ecuba, che considera la decisione della figlia "dolorosa" (384) e
allo stesso tempo "nobile" (383).
La scissione del punto di vista importante anche nella seconda sezione del dramma, e
ancora una volta si manifesta nel contrasto tra l'orrore e l'approvazione di esso. Lo spazio dato a
Polimestore per l'espressione della sua sofferenza, oltre che la reazione iniziale di Agamennone
(1109-19) segnalano che la punizione stata, in una certa misura, eccessiva. La vendetta di Ecuba
simile nella tipologia al delitto di Polimestore, ma pi grave ed aggressiva: Ecuba lo priva della
discendenza (uccidendo i suoi due figli in cambio dell'uccisione dell'ultimo figlio maschio rimasto),
lo acceca e lo mette in condizione di non poter godere del tesoro di cui si appropriato.
Ecuba presenta la punizione che sta per infliggere a Polimestore come analoga a quella
subita da Polimestore (1022): il coro pensa che Polimestore sar ucciso, e cos sono indotti a
pensare gli spettatori. La punizione consiste per nell'accecamento. L'accecamento viene nominato
nelle Eumenidi tra le pene pi terrificanti, che Apollo rigetta come inadatte a Delfi
141
: proprio
questa la punizione che Ecuba infligge, e che Agamennone accetta. Erodoto narra del re re dei
Bisalti e della Crestonia, un trace che comp un atto fuori dallordinario (huperphues): fece
cavare gli occhi ai suoi sei figli, come punizione per essersi alleati ai Persiani nella spedizione
contro i Greci (VIII 116). Erodoto si distanzia dalla punizione, qualificandola come al di fuori
dallordinario, al di fuori della natura; ma la punizione, la cui responsabilit viene spostata su un re
della (semi)barbara Tracia, colpisce pur sempre dei nemici dei Greci. Senofonte racconta con
approvazione che nelle terre amministrate da Ciro i malfattori e gli ingiusti venivano puniti
senza nessuna piet: capitava spesso [] di imbattersi in persone che portavano sui piedi, sulle
mani o negli occhi evidenti segni di castighi ricevuti. Nelle province di Ciro ogni uomo onesto,
greco o barbaro, poteva muoversi indisturbato nella propria persona e nei propri beni
142
. La
punizione di nuovo estrema, senza piet, ma, per quanto sconvolgente, garantisce la sicurezza
di ogni uomo onesto, greco o barbaro. Quindi abbiamo nella cultura greca un doppio
distanziamento, temporale e spaziale, di questo tipo di punizione; ma anche una tensione, una
attrazione: narrare di luoghi lontani o di tempi passati permette di rappresentare laccecamento.
NellEcuba, questa punizione viene perpetrata da una donna barbara nei confronti di un altro
barbaro, colpevole di una grave colpa. Se nell'Edipo Re il coro reagiva con orrore
all'autoaccecamento del protagonista (1297-1306), nellEcuba la reazione del coro di moderata
compassione (1085), unita al rimprovero per le colpe di Polimestore (1086). Il coro ammette che la
morte non sarebbe peggiore della punizione sofferta: comprensibile che Polimestore desideri
suicidarsi (1107-8).
L'uccisione dei figli sembra a noi completamente ripugnante, perch la nostra prospettiva
post-illuminista ci fa pensare che risparmiare la vita a terzi innocenti sia pi importante che non
infliggere una pena che retribuisca in maniera 'identica' o 'appropriata' il colpevole
143
.
Il testo dell'Ecuba cerca di ricondurre il problema della pena e della giustizia in un ambito
istituzionale. L'Ecuba presenta una preistoria degli istituti politici (l'assemblea: 107-40) e degli

140
Questa seconda possibilit quella che teme Ecuba (606-608, versi espunti da Page 1934, 67 e Mossmann
1995, 246, in un eccesso di pruderie).
141
Si veda Aesch. Eum. 185-87: Non vi lecito accostarvi a questo tempio, bens dove la giustizia mozza le
teste ())a`.u. / :.sa.), cava gli occhi, scanna le gole (trad. Pattoni in Di Benedetto 1995). Si noti in ogni
caso che le pene minacciate da Apollo non sono pi "civilizzate": malattie, cancrene, assalti delle Erinni, e una morte
che dissecca (Aesch. Cho. 278-96; per il disseccare cfr. l'azione delle Erinni in Eum. 137-39, 264-68).
142
Senofonte, Anabasi, I 9, 13 (traduzione Ravenna 1981).
143
In Diod. Sic. XX 70.3-4 Agatocle uccide un suo amico e ospite (philon kai xenon), e la divinit (to
daimonion) lo punisce con la perdita del potere e con l'uccisione dei suoi figli per mano degli alleati della vittima. Il
dio, come un buon legislatore (nomothets) ottene da lui una doppia penalit: infatti lui che aveva ucciso ingiustamente
un amico (philon) fu privato di due figli. Questo episodio ricordato da Burnett 1998, 163 n. 83.
23

istituti giuridici (il giudizio di Agamennone: 1129-51): forme che precorrono forme politico-
giuridiche della realt contemporanea. L'Orestea, con le complessit e le sfumature di cui si
parlato, segnalava una progressione dall'obbligo privato (ma sanzionato dalla divinit) di compiere
la vendetta, all'istituzione di norme legali della polis che si faceva carico dei doveri della
punizione
144
. Nell'Ecuba la situazione simile, anche se ambiguamente definita: Polimestore
vorrebbe punire Ecuba, ma Agamennone sposta il discorso sulla punizione che Polimestore stesso
ha subito ("dopo aver sentito te e lei a turno potr giudicare con giustizia per quale motivo tu soffri
queste pene": 1130-31). Il dibattito riguarda quindi non la necessit o meno di comminare una
punizione, ma la opportunit o meno di convalidare una punizione gi inflitta. Il giudizio di
Agamennone nell'Ecuba , per certi aspetti, come il giudizio narrato nello scudo Il. XVIII 497-508:
il giudice decide dopo la punizione, non chiamato a comminare la punizione lui stesso ma solo a
verificare se la punizione o il pagamento avvenuto. La creazione di un sistema giuridico
presentata come bloccata; si tratta di una forma rudimentale (e truccata) di procedimento legale.
Un ulteriore aspetto della vendetta che merita di essere sottolineato quello "carnevalesco",
del rovesciamento dei rapporti di forza: il potente deve sottomettersi allo schiavo. La punizione
diventa una vera e propria festa, un qualcosa che [] era tanto pi tenuto in pregio quanto
maggiore era il suo contrasto con il rango e la posizione sociale del creditore (Nietzsche 1887
[1984], 55). Ci che Polimestore considera particolarmente doloroso il rovesciamento del
dislivello sociale tra s ed Ecuba: dunque sono sconfitto da una schiava, e devo rendere giustizia a
chi mi inferiore (1252-53). Il rovesciamento dei rapporti di forza porta lo spettatore ad
identificarsi, sia pure attraverso il meccanismo descritto di approvazione e distanziamento, con la
persona di status inferiore che riesce a punire che pi forte. Cos come la violenza ritualizzata
dello scherzo sovverte i rapporti sociali nell'ambito della festa carnevalesca, cos la violenza (solo in
parte ritualizzata) della punizione/vendetta sovverte i rapporti sociali nella tragedia. La tragedia si
conclude con una ulteriore, finale punizione: Polimestore profetizza ad Agamennone che Cassandra
lo uccider; Agamennone condanna Polimestore a essere gettato in un'isola deserta (1285-87).

Parte seconda
Xenia, philia e charis nell'Ecuba:
ospitalit rituale, amicizia e favore reciproco

1. Antropologia dello scambio.
I personaggi dellEcuba sono legati fra di loro da una serie di favori e obblighi reciproci
145
. Odisseo
in debito verso Ecuba: lei gli risparmi la vita (cfr. vv. 239 ss.). Polimestore in un rapporto di
amicizia e di favore verso Ecuba: ha accettato di custodire suo figlio Polidoro e, insieme al ragazzo,
una forte somma di denaro. Agamennone riceve i favori di Cassandra, e questo lo pone in una
posizione di debito verso Ecuba; Ecuba inoltre cerca di obbligarlo ad agire appellandosi allidea di
giustizia e di legge, supplicandolo, e ricordandogli il legame con Cassandra.
La descrizione appena offerta traduce in termini culturalmente neutri la serie di rapporti di
obbligazione che legano i protagonisti del dramma. I loro rapporti erano per organizzati secondo
pratiche sociali culturalmente determinate: i termini chiave di questi rapporti sono xenia (legame
di ospitalit), philia (amicizia, un termine che descrive anche un legame di affetto tra familiari),
e charis (favore/benevolenza/grazia).
Da un punto di vista logico, ci sono varie possibilit di realizzare uno scambio: dare meno di
quanto si riceve, dare altrettanto, e dare di pi; dare attendendosi qualcosa in cambio subito, oppure

144
Si ricordi che Oreste non vorrebbe punire la madre, e che Apollo lo minaccia con punizioni tremende,
evidentemente perch si rendeva conto di una forte inclinazione di Oreste a non compiere la vendetta.
145
Sul tema della charis nellEcuba si vedano Adkins 1966, 194 e 207; MacLachlan 1993, 157-60; Stanton 1995,
21, 25 e 30 e il mio contributo Battezzato 2003e, qui ripreso.
24

nel tempo; dare senza aspettarsi necessariamente di ricevere qualcosa
146
. Se consideriamo lo
scambio sotto laspetto della quantit, dare di pi di quanto si riceve (o dare senza contare lesatta
corrispondenza dei beni o dei favori scambiati) tipico degli scambi di doni
147
. Restituire in misura
uguale, nella cultura greca, associato alla giustizia del taglione e a un tipo ideale di commercio
148
.
Dare meno di quanto si riceve significa compiere una transazione commerciale favorevole (ad
esempio vendendo una merce a un prezzo maggiore di quello a cui la si comprata
149
); oppure
significa essere dipendenti da un soggetto sociale superiore, un patrono ricco e potente i cui favori
non possono essere ripagati materialmente, se non tramite devozione personale.
Nel fare doni quindi essenziale segnalare la differenza da un rapporto di scambio
puramente utilitaristico/commerciale: i doni non sono precisamente identici; chi riceve si sente in
dovere a dare di pi; lo scambio, se possibile, non avviene contemporaneamente ma a distanza di
tempo
150
. Lo scambio di doni, come sottolineano antropologi moderni
151
e filosofi antichi
152
, non
pu essere esattamente equivalente allo scambio commerciale o utilitaristico. Ad esempio, quando
Oreste (Eur. Or. 640-68) chiede a Menelao di ricambiare la charis fatta da Agamennone a Menelao,
insiste sullobbligo di restituire quello che stato dato: restituisci quello che hai ricevuto
prendendolo da mio padre (643; cfr. anche 646-48; 655), ma si affretta ad aggiungere che la
restituizione richiesta, sebbene dello stesso tipo del favore fatto da Agamennone a Menelao
(qualcosa di ingiusto: 647), generosamente inferiore e pi breve rispetto alle decennali fatiche e
ai sacrifici di Agamennone (651, 656-57)
153
.
Esaminiamo ora in dettaglio i rapporti tra i personaggi dellEcuba.

2. Odisseo.
Odisseo sottoposto a diversi tipi di obblighi. Ecuba gli ricorda lobbligo di ricambiare il favore
(charis: cfr. 276 e anche 254) che lei gli aveva fatto quando gli aveva salvato la vita a Troia; e
inoltre menziona lobbligo di rispettare la legge ateniese (291) che considera schiavi e liberi allo

146
Si veda Sahlins 1972, 192 sulla necessit di considerare elementi morali e culturali (aspettative, interesse o
disinteresse) nel proporre distinzioni tra diversi tipi di reciprocit. Inoltre, tra gli estremi della reciprocit
generalizzata (doni che non richiedono necessariamente uno scambio) e della reciprocit negativa (ottenere qualcosa
senza dare nulla in cambio, come ad esempio nel furto), c un continuum di possibilit. Sahlins discute in maniera
molto articolata le relazioni tra i vari tipi di reciprocit, la vicinanza di stirpe (la reciprocit negativa diretta verso chi
al di fuori della comunit), il rango sociale (la generosit al di l del circolo pi stretto permette di ottenere e/o
mantenere un rango sociale elevato), labbondanza o la scarsit di risorse, il tipo di beni scambiati (cibo, ornamenti,
etc.): Sahlins 1972, 185-275, con un ampio dossier etnografico.
147
Cfr. Hes. Op. 349-62.
148
Rapporti di reciprocit bilanciata (in cui si restituisce qualcosa che, secondo i costumi sociali, equivalente
alla cosa ricevuta, e lo si restituisce immediatamente) sono attestati in varie societ, in occasione di accordi
matrimoniali, stipulazioni di amicizia, e accordi di pace, oltre che nel caso di pagamenti (in varie forme) e di
commercio: Sahlins 1972, 194-95
149
Questo corrisponde abbastanza precisamente alla nozione di kerdos guadagno/profitto: cfr. Hdt. VIII 5. 3,
Aristot. EN 1132 b 11-18, Cozzo 1988, 73-80 e 88.
150
Lo scambi di doni pu avvenire allo stesso tempo nella xenia e in altri rapporti di amicizia. Si vedano gli
esempi seguenti: Glauco e Diomede (Il. VI 230-36: cfr. Di Benedetto 1998, 15-18; Seaford 1994, 15; Calder 1984, con
ampia bibliografia; von Reden 1995, 26 e 41 n. 70, con una buona critica dellinterpretazione di Calder); Agesilao e il
figlio di Farnabazo in Xen. Hell. IV 1. 39-40. Nella xenia laspetto utilitario del rapporto era pi pronunciato: Hooker
1989, 81 (contra Seaford 1994, 14-5 n. 59).
151
Lo studio classico sul dono quello di M. Mauss 2002 [1925]; unottima discussione delle teorie di Mauss sul
dono e della loro ricezione nella letteratura antropologica si trova in Godelier 1996. Godelier offre nuove prospettive sul
rapporto tra dono e culto religioso. Si veda anche Sahlins 1972, 149-83. Sul dono in prospettiva religiosa cfr. Burkert
2003, 165-95.
152
Aristotele, Etica Nicomachea, 1162 b 16-1163 a 23.
153
Certamente Oreste era in una posizione di estrema debolezza e non poteva insistere con Menelao per una
restituzione completa dei favori fatti da Agamennone, ma daltra parte importante sottolineare che in questo modo
Oreste viene caratterizzato come generoso, e Menelao, che rifiuta di ricambiare anche una porzione minima dei favori
ricevuto, appare particolarmente riprovevole.
25

stesso modo per questioni di vita o di morte
154
: la legge, ancora una volta, giusta e uguale per
le persone libere e quelle in schiavit. Odisseo non si preoccupa molto di giustificare il sacrificio di
fronte alla legge ateniese che proteggeva la vita degli schiavi
155
. Scappatoie legali si possono
trovare, ma Odisseo non ha interesse a difendersi su questo punto. Linteresse della comunit pi
importante, e Odisseo sa di avere il sostegno dei Greci. Si difende invece sul problema della charis
reciproca. Ecuba ha salvato la vita di Odisseo, e Odisseo pronto a ricambiare il favore, ma
salvando soltanto la vita di Ecuba. Insistere su una esatta corrispondenza tra charis ricevuta e charis
fatta una mossa astuta: Odisseo formalmente non ripudia i suoi legami con Ecuba e il suo obbligo
a ricambiare il favore, anche se di fatto rompe una delle regole pi importanti nello scambio di doni.
Lo scambio di doni inoltre stabilisce un rapporto personale fra le due persone coinvolte.
Ecuba accusa Odisseo di non aiutare i propri philoi (v. 256), e quindi implica che il favore ricevuto
stabiliva una relazione di amicizia tra di loro. Si noti che, per un uomo politico ateniese del V
secolo a. C., ripudiare le relazioni di amicizia un segno della volont di apparire imparziale, di
voler mostrare a tutti che si intenzionati a servire solo e unicamente gli interessi della polis. Gli
ateniesi sottolinearono il contrasto fra latteggiamento di Cimone e quello di Pericle: luno basava la
sua fortuna politica su legami di patronato aristocratico, con distribuzione di doni dai suoi fondi
privati, mentre Pericle dava alla polis intera, non alla singola casa aristocratica, il compito di
distribuire doni e ricompense finanziarie
156
. Due aneddoti riportati da Plutarco sono significativi sul
contrasto tra philia e fedelt alla citt. Plutarco narra che, al momento in cui Pericle ebbe il potere
politico anche alla sua vita egli diede un diverso tenore; in citt lo si vedeva passare per una sola
strada, quella che portava allagor e al luogo di riunione della boul [bouleutrion]; rinunci agli
inviti a pranzo e a ogni simile forma di ritrovo e di festa, cosicch, per tutto il tempo in cui fu al
governo un tempo molto lungo non and mai a cena da nessun amico (Pericle 7.5). Plutarco
commenta che i ritrovi fra amici, in effetti possono portare a trascendere i limiti del decoro, e che
difficile serbare quella seriet che contribuisce alla buona reputazione (Pericle 7.6)
157
. Plutarco
colora di una tinta moralistica la decisione di Pericle, che per fu certamente dettata anche da
motivi politici: voleva evitare di mostrarsi troppo legato ad alcuni gruppi, e di essere sospettato di
agire per favorire gli amici piuttosto che la polis. Questo appare evidente dallaneddoto che Plutarco
narra a proposito di Cleone, secondo il quale il demagogo avrebbe ripudiato i suoi rapporti di
amicizia (a differenza di Temistocle, che non sembrava concepire la possibilit di scindere rapporti
di philia e esercizio del potere politico)
158
. Naturalmente la scelta di Cleone stigmatizzata, e
Plutarco sottolinea lavidit e lassenza di elevati standard morali per Cleone; il suo ostentato

154
Questo appello alla legge preannuncia quello, molto pi dettagliato, dei vv. 799 ss. Su Odisseo e il
patriottismo si veda Synodinou 1994-95. Sulla schiavit nellEcuba si veda Daitz 1971.
155
Adkins 1966, 197 sostiene che i Greci potevano uccidere Polissena senza rompere la legge ricordata da Ecuba:
Polissena era una prigioniera di guerra ancora nel teatro dello scontro, non una schiava che viveva in Grecia in tempo di
pace. Si noti che la legge che proteggeva gli schiavi dai loro padroni era soltanto ateniese: cfr. Antiph. V 48 e Dem.
XXI 46-50, con le osservazioni di Gregory 1999 ad Hec. 291-92. comunque da notare che, dato che lazione legale
contro lomicida poteva essere intrapresa solo dai parenti o dal padrone di uno schiavo, era improbabile che questi casi
arrivassero ad essere discussi in tribunale (MacDowell 1963, 21-22).
156
Cfr. Aristot. Ath. Pol. 26-28; Thuc. II 65; von Reden 1995, 110.
157
Trad. Santoni 1991, leggermente adattata. Cfr. Stadter 1989, 96-97.
158
Cfr. Praecepta gerendae reipublicae 806 f-807 b: Cleone riun i suoi amici e sciolse i rapporti di amicizia
con loro, in quanto nellattivit politica essi indeboliscono e fanno allontanare dalla giusta direzione molte decisioni
giuste e corrette (:u: ).`u: :u.a,a,.. ..: :au: :..`u:a: :. ).`.a. v: au:u:. .: v``a :: ):
sa. :.sa.a: va..:..: a`a::u:a. .. :. v`.:..a. sa. vaa,u:a.). Plutarco aggiunge che Cleone in realt
avrebbe fatto meglio a espellere dalla sua anima lamore per le ricchezze e per le dispute e a purificare se stesso
dallinvidia e dalla malvagit danimo, perch le citt non hanno bisogno di uomini privi di amici e compagni (hetairoi)
ma di uomini per bene, e dotati di temperanza; Cleone invece si sarebbe circondato di yes-men, di adulatori. In
contrasto Temistocle, sempre secondo questo brano di Plutarco, avrebbe detto: che io non mi debba mai sedere su un
trono in cui i miei amici non riceveranno da me pi di quelli che non sono miei amici (807 b). Anche questo
atteggiamento criticato da Plutarco. Su questi passi cfr. le note delledizione di Carrire 1984, 97-98 e 175.
26

distacco dagli amici , per Plutarco, semplicemente apparenza
159
. La diversa considerazione di
Plutarco per le scelte di Pericle e di Cleone deriva non tanto da una marcata diversit delle loro
scelte riguardo agli amici, ma dalla marcata antipatia per il demagogo Cleone, e dalla volont di
presentare in buona luce Pericle, che appare come un democratico moderato.
Odisseo, accettando soltanto di restituire soltanto un favore precisamente corrispondente
(301-302), ripudia qualsiasi legame di philia con Ecuba, e riduce il loro rapporto a uno scambio
utilitaristico di favori. Egli entra nella sfera dei rapporti commerciali con Ecuba, insistendo sulla
precisa corrispondenza fra charis e charis (cfr. vv. 229-53); rifiuta di rendere la charis dovuta a
Ecuba, e preferisce un altro tipo di charis. Gi il coro aveva spiegato che Odisseo dmocharists
(132), cio una persona che rende charis al dmos, che compiace le masse o la plebe, e Ecuba lo
accusa di essere un demagogo: Voi che cercate gli onori dati a chi parla alle folle, quanto ingrata
(achariston) la vostra razza, demagoghi (253-54). Cos, in realt, Ecuba paragona Odisseo a un
oratore che nellassemblea abbandona i suoi legami di philia per ingraziarsi un seguito pi
numeroso di persone
160
. Odisseo, rifiutandosi di contraddire il consiglio che lui stesso ha dato ai
Greci di uccidere Polissena (303-305), non vuole che venga trascurato lobbligo di dare onore a
coloro che sono morti con valore in battaglia
161
. Questa charis resa ai caduti fa s che vengano
mantenuti la coesione sociale e lo stimolo a combattere valorosamente in battaglia; lonore della
tomba un favore (charis: 320) che dura a lungo, e per questo pi pregiato delle ricchezze e, alla
fine, della vita stessa.
Odisseo sostanzialmente rifiuta di ripagare i suoi debiti verso una donna dellaristocrazia
nemica, e preferisce rinnovare i debiti verso la comunit. In questo modo anche il comportamento
di Odisseo assimilato a quello dei demagoghi che cercano soltanto di compiacere il dmos e
trascurano i loro amici (256-57). Questa chiara allusione alla realt dellAtene classica si svolge
attraverso linee ben note. Limmoralit della folla e la sua frequente tendenza a prendere decisioni
ingiuste e utilitariste (o addirittura controproducenti) un topos delle parti moderate e conservatrici.
La proposta di Odisseo di sacrificare una ragazza sembra ricordare la ferocia di certe proposte dei
demagoghi pi estremisti. Ad esempio, nel 427 a. C., quindi poco prima della messa in scena
dellEcuba, Cleone
162
aveva convinto lassemblea di Atene a condannare a morte tutti i maschi
adulti di Mitilene, e a ridurre in schiavit donne e bambini, una proposta definita da Tucidide
selvaggia e smodata, che fu poi mitigata nel corso di una ulteriore votazione
163
.

159
Su questo aneddoto (storicamente dubbio, ma ideologicamente interessante) cfr. anche Hornblower 1997, 207.
Sullavidit ad Atene, cfr. Balot 2001 (spec. 195-96 e 207-11 su Euripide, con una discussione delle Fenicie).
160
W. R. Connor 1971, 98 n. 16 (traduzione mia). Anche Stanton 1995, 21-22 discute Hec. 253-54 su una linea
simile, ma accetta laccusa di Ecuba senza vagliare attentamente il linguaggio della risposta di Odisseo: Stanton
conclude che Odisseo ha sacrificato la philia tra se stesso ed Ecuba a vantaggio di una serie di rapporti tra cliente e
patrono. In realt Odisseo sottolinea la necessit di onorare i nobili della propria comunit, e critica i Troiani per un
(vero o presunto) egalitarismo che li spinge a trascurare gli uomini di valore.
161
Cfr. vv. 309, 316, 327 e anche 319. La tomba deve essere resa degna (tumbon axioumenon) cio
onorata ricevendo lonore appropriato. In questo caso c un collegamento tra il linguaggio del prezzo e quello
dellonore: axio significa principalmente considerare degno, anche in senso economico (Platone, Leggi 917 D).
162
Gi Hartung 1843, 505 sosteneva che Euripide aveva modellato il personaggio di Odisseo su Cleone, citando i
vv. 132 e 253 ss. discussi sopra, e Thuc. IV 22 (Cleone era in quel periodo capo del popolo [dmaggos] e aveva
grandissimo potere di persuasione presso le masse). Naturalmente unidentificazione diretta con un personaggio
politico non sostenibile, ed sostanzialmente equivalente a un procedimento allegorizzante.
163
Si vedano Thuc. III 36, 4 (.. : 3u`.ua sa. .,a), e III 49, 4. Mackenzie 1981, 118-20 offre una
chiara analisi del dibattito su Mitilene; sia Cleone sia il suo oppositore pensano in termini di convenienza e utilit,
prima che di giustizia. Adkins 1966, 198 accetta gli argomenti di Odisseo ai vv. 311-12 e sostiene che, per i Greci,
laret di una persona diminuisce quando questa persona subisca ingiustizia. Adkins non considera che le parole di
Odisseo non sono necessariamente una rappresentazione oggettiva dei valori dei Greci, ma che Odisseo manipola
termini di valore morale in maniera da giustificare le proprie azioni. Sicuramente aischron non onorare i caduti, ma la
questione che Odisseo non affronta se ci siano dei limiti alle richieste di onore, e se sia porti veramente onore
sacrificare una ragazza. Adkins 1966, 199 sostiene che siccome Ecuba usa prepein al v. 261 per indicare la
disapprovazione, e non aischron, Ecuba si rende conto di non poter usare il termine di disapprovazione pi forte, e che
27

La posizione di Odisseo per non facile da incasellare. Odisseo, da bravo demagogo, cerca
di confondere le acque, e espone una ideologia s democratica, ma su posizioni periclee piuttosto
che estremiste. Il rifiuto delle ricchezze eccessive era un valore importante nellideologia
democratica, e poteva essere proclamato tanto dal coro dellAgamennone (773-81) che da un
condottiero sfortunato (Adrasto nelle Supplici di Euripide, vv. 875-77, a proposito di Eteocle).
Odisseo dice di non essere attratto dalle ricchezze, e di preferire essere onorato da morto; in
maniera simile anche Pericle contrapponeva il ricevere onore [timasthai] allamore per i guadagni
[kerdainein] (Thuc. II 44. 4)
164
.
Si noti che le parti in contrasto usano le tecniche tipiche della battaglia politica. Odisseo
sostiene di volere il bene di chi di valore/nobile [esthlos] e coraggioso [prothumos] (307) in
contrasto con chi inferiore [tn kakionn] (308)
165
, e ritiene necessario dare onore a chi
esthlos (327). Lopposizione tra esthloi e kakoi tipica del discorso aristocratico
166
, e viene
richiamata dal coro: Tra gli uomini un segno di distinzione straordinario essere nati da genitori di
valore [esthloi] (378-79). Ecuba usa il termine esthlos di valore/nobile ai vv. 596-97, parlando
della nobilt di Polissena: un malvagio [ponros] non nientaltro che cattivo [kakos]; chi nobile
[esthlos], nobile. Quindi Odisseo, accusato di essere un democratico estremista da Ecuba e dal
coro, si atteggia a campione dellaristocrazia, anche se attento a includere la qualit del coraggio,
per temperare con il riferimento alle qualit personali un linguaggio che sembrava dare troppo
vantaggio alle classi privilegiate per diritto di nascita: anche i coraggiosi forse possono diventare
esthloi, se non lo sono per nascita.
Odisseo conclude il proprio discorso ribaltando laccusa mossagli da Ecuba. Sono i barbari
che non rispettano i loro philoi, e perci vengono sconfitti quando si trovano a combattere contro i
Greci: voi barbari per, voi non sapete trattare da amici gli amici, non rispettate chi caduto in
modo valoroso. Questa la ragione del successo della Grecia (328-30). Ecuba stessa ritorcer
questa osservazione contro Polimestore: non ci pu essere philia tra Greci e barbari (1199).
Odisseo, ai vv. 238-30, recupera in un ambito civico e politico la necessit di onorare i philoi.
Lamicizia si ricompensa per rendere forte la comunit politica, e riuscire a difenderla contro altre
comunit. Odisseo si riallaccia con ci a quello che lui stesso aveva detto a proposito della necessit
di ricompensare Achille: Non sarebbe un disonore tenerlo caro come amico da vivo e quando
morto non trattarlo pi come tale? (311-12).
Non molti ateniesi avrebbero potuto dissentire dagli argomenti di Odisseo sulla necessit di
preservare lunit della polis e di onorare i caduti in battaglia: ma allora quando Euripide gli mette
in bocca questi slogan patriottici che operazione compie? Cerca di criticare i demagoghi senza
scrupoli che sfruttano la retorica patriottica? Oppure questuso spregiudicato compromette tout
court la credibilit dellideologia patriottica professata da Odisseo? Euripide si preoccupa
solamente di offrire i migliori argomenti possibili a tutti i suoi personaggi in cerca di discorsiper
quanto destabilizzanti possano risultare.

3. Polissena.
stato notato che Polissena agisce secondo il codice eroico maschile
167
, e che il suo sacrificio
lunico atto nobile e disinteressato nellintera tragedia
168
. Polissena in effetti d gratuitamente la
propria vita, di sua volont, e proprio in questo consiste il comportamento nobile, non calcolatore;

il discorso di Odisseo quindi valido. Ma Ecuba si trova in una posizione di debolezza, e non pu usare termini forti
contro Odisseo.
164
Cfr. Cozzo 1988, 45
165
NellIliade Achille si lamenta che sotto il comando di Agamennone uno ha la stessa moira [porzione di
bottino], sia che rimanga fermo o che combatta con coraggio: il kakos e lesthlos sono nella stessa tim (IX 318-19).
166
Molti esempi in Teognide: cfr. Thgn. 138, 161.
167
Cos ad esempio gi Beck nel 1792 (cfr. Heath 1987, 57 e n. 94).
168
Cfr. ad es. OConnor-Visser 1987, 67, secondo cui Polissena lunica vincitrice nella tragedia: la sua dignit
la mette su un piano diverso dagli altri. Sulla razionalit di Polissena e il suo legame con il motivo dellonore e della
necessit si veda Di Benedetto 1971, 49-54.
28

anche se a questo dare gratuitamente si accompagna il sottinteso che Polissena avr una qualche
forma di riconoscimento.
Il tema della nobilt strettamente legato al sacrificio umano: accettare la morte per un
motivo altruistico, o per tener fede a un patto un segno di nobilt
169
, ed spesso necessario che la
vittima sia di stirpe nobile perch il sacrificio ottenga leffetto voluto
170
.
Il tema del sacrificio umano frequente in Euripide e nella tragedia in genere
171
, ed era
importante che la vittima accettasse spontaneamente la sua sorte perch non ci fossero ripercussioni
negative
172
. La vittima, perch il sacrificio si compisse secondo i canoni prescritti, doveva apparire
consenziente. Questo valeva anche per i sacrifici animali: i celebranti spruzzavano di acqua i buoi
perch essi scuotessero la testa, e questo gesto potesse essere interpretato come un assenso al
sacrificio
173
. Negli altri casi in cui Euripide usa il nucleo narrativo del sacrificio umano la vittima si
sacrifica per il bene della propria comunit, sia essa la polis (Fenicie, Eretteo), la propria famiglia e
la polis in cui ha trovato rifugio (Eraclidi), o la Grecia intera (Ifigenia in Aulide). NellEcuba
Polissena si sacrifica per onorare i nemici che hanno sterminato i Troiani e distrutto la sua citt.
Questo un caso unico ed estremo di sacrificio volontario in favore di un gruppo che non quello
della propria famiglia o comunit. Anche per questo non viene profetizzata a Polissena fama
immortale nel futuro, cosa invece normale per chi accetta il sacrificio
174
. Euripide sceglie di non
presentare la sua morte come forzata: questo avrebbe gettato una luce ancora peggiore sullesercito
dei Greci
175
, e sarebbe stata ritualmente controproducente. La morte volontaria di Polissena
risparmia a Ecuba anche il dovere della vendetta.
Ma sono importanti i motivi che Polissena adduce per spiegare la sua accettazione del
sacrificio. Lasciare la vita liberamente significa rifiutare di essere degradata a oggetto di scambio
commerciale: Polissena prima era considerata degna di prncipi (366), e ora rifiuta di essere
venduta in cambio di argento, per un prezzo in denaro (360) e rifiuta di essere data in sposa a uno
schiavo comprato chiss dove (365). Polissena, come lAchille dellIliade, non accetta che la sua
vita sia soggetta a un prezzo, e preferisce sacrificarla liberamente. Il coro immediatamente nota
che Polissena si dimostrata degna della propria origine nobile (380-81) rifiutando di morire da
schiava.

169
Negli Eraclidi accettare il sacrificio nobile (si vedano ad es. vv. 464, 513-15, 537-38, 553-55); Atena loda
la nobilt (gennaiots) delle figlie di Praxithea che hanno scelto di morire insieme alla loro sorella che stata
sacrificata (Eretteo fr. 65, vv. 69-70 Austin).
170
Negli Eraclidi, gli indovini predicono che il nemico pu essere sconfitto solo sacrificando alla figlia di
Demetra una ragazza che sia di padre nobile (Hcld. 408-409). Nelle Fenicie Meneceo scelto come vittima proprio
perch appartiene alla stirpe degli Spartoi (Phoen. 942-46), cio uno dei discendenti dei primi abitanti di Tebe, nati
dai denti del mostro che custodiva il luogo prima della fondazione della citt da parte di Cadmo.
171
Gli studi su questo tema sono numerosi: Schmitt 1921, Strohm 1957, 50-63, Vellacott 1975, 178-205, Nancy
1983 (molto generico), Foley 1985; OConnor-Visser 1987 (spec. la discussione degli studi precedenti, pp. 5-18). Sul
problema della storicit dei sacrifici umani e sulle loro forme in Grecia si veda il volume di Hughes 1991 (con ampia
bibliografia).
172
Lassenso non sempre indispensabile: esso non viene dato da Ifigenia nellAgamennone di Eschilo (229-49).
Tra i frammenti dellEretteo ci pervenuto solo il discorso della madre della vittima, che accetta il sacrificio in nome
della figlia (fr. 360 Nauck). Alcune testimonianze sembrano far credere che la vittima fosse sacrificata con linganno
(Aristide I p. 191 Dindorf; fr. 65, vv. 75-76; Hartung 1843, 468-69; Schmitt 1921, 67; OConnor-Visser 1987, 164). Nel
corso del dramma le due sorelle della vittima decidono anchesse di morire, ma non sappiamo se la loro decisione
veniva rappresentata sulla scena (come pensa OConnor-Visser 1987, 160-61).
173
Si veda in generale Burkert 1972.
174
Cfr. Hcld. 621-25, IA 1383-84, 1398-89, Erechth. fr. 50, v. 34 e 65 vv. 73-74 Austin (OConnor-Visser 1987,
207); nelle Fenicie il coro elogia Meneceo (vv. 1054-61), anche se il suo sacrificio compiuto di nascosto. NellEcuba i
Greci lodano la nobilt di Polissena e le tributano onori speciali (v. 573-81); Polissena sa che manterr il proprio status
aristocratico nellaldil (551-52), ma non c gloria per lei nel futuro, n pu dire, come Ifigenia, che il ricordo di me
durer a lungo (IA 1398-99).
175
Avrebbe gettato pessima luce sui capitani ateniesi che la sostenevano, Acamante e Demofonte: Hec. 122-24.
Si tratta di una rappresentazione evidentemente provocatoria di Euripide, che ripudia in questo caso la tradizionale
posizione filo-ateniese del genere tragico, per come a noi conosciuto.
29

Come tutti i doni aristocratici, il dono della vita fatto da Polissena, proprio per essere stato
fatto liberamente, e senza nessuna esplicita richiesta di avere un contraccambio, non viene lasciato
senza ricompensa. Polissena viene ripagata in maniera appropriatamente aristocratica e
maschile dallesercito dei Greci. Il suo cadavere viene onorato con una phullobolia (vv. 573-74),
cio con il lancio di foglie e oggetti che era riservato in onore degli atleti (cio, nella stragrande
maggioranza dei casi, a giovani maschi di origine aristocratica). Oltre a questo onore Polissena
riceve in dono vestiti e ornamenti (578) da parte dellesercito
176
. Polissena prova la sua nobilt
offrendo spontaneamente ci che ha di pi prezioso, e in cambio ottiene di mantenere il proprio
status nobile, status confermato dai doni portati dallesercito dei Greci. Il dono che contraccambia
unofferta spontanea, o che si finge spontanea, indica una relazione alla pari (non necessariamente
aristocratica, ma sicuramente libera) tra le due parti. Lelemento erotico del denudamento di
Polissena anche esso parte del meccanismo del sacrificio: offrendo il proprio corpo alla vista di
tutti, Polissena sembra riuscire a convincere la folla dei soldati a rinunciare di maltrattare o (come
teme Ecuba ai vv. 605-608) stuprare il suo cadavere. Polissena rimprovera ad Ecuba i suoi tentativi
di resistenza, che possono portare al solo risultato di essere maltrattata e (forse) abusata
sessualmente (vv. 405-408).

4. Agamennone.
Polissena riesce quindi a mantenere la sua posizione di donna libera convincendo Odisseo e i Greci
di aver scelto di propria volont il comportamento che loro stessi cercavano di imporre a forza. Lo
stesso tentativo viene fatto da Ecuba nella scena con Agamennone: presenta il rapporto di
Cassandra e Agamennone non come un rapporto sessuale imposto dal conquistatore, ma come un
rapporto in cui Cassandra concede i suoi favori. Lambiguit del termine charis come favore
nel senso di favore sessuale anche nel termine greco
177
. In questo modo Cassandra e, di
conseguenza, Ecuba, possono richiedere in cambio degli altri favori a Agamennone
178
. Ecuba
ricorre allargomento della charis solo dopo essere ricorsa allargomento della giustizia (799 ss.),
cos come aveva fatto nel suo discorso diretto ad Odisseo
179
.
Per stabilire un contatto con Agamennone, Ecuba deve superare una serie di resistenze
interiori. Il suo primo tentativo di ottenere qualcosa dai Greci, con Odisseo, era fallito, nonostante

176
Il verso 578 espunto da Nauck e Barrett: cfr. Mossman 1995, 161 n. 52. Ecuba chiede che lesercito non
tocchi Polissena, e (implicitamente) smetta di tributarle onori (vv. 604-608) e promette di sostituire i doni dellesercito
con altri ornamenti (615), offrendo a Polissena morta quel poco che le Troiane erano riuscite a portare via dalla citt
saccheggiata (613-18). Il tema patetico del funerale in tempo di povert ricompare nelle Troiane (spec. 1141-46,
1200-1202). Naturalmente eventi simili succedevano anche nella vita vissuta. Lisia narra che i Trenta tiranni, in
occasione del funerale di suo fratello Polemarco, da loro messo a morte, dei molti drappi che cerano a disposizione
non ne diedero neanche uno a chi lo richiedeva per il rito funebre, ma sono stati gli amici a dare, per la sua sepoltura,
chi un lenzuolo, chi un cuscino, chi quello che aveva (Lys. XII 18, trad. Medda 1991).
177
Ruth Scodel ha notato che in varie tragedie le donne presentano il loro status di concubine come una scelta in
qualche modo volontaria, anche se allorigine il rapporto non era nulla di pi che un rapimento accompagnato da
violenza carnale: ad esempio Tecmessa, che era stata catturata come prigioniera e data come donna a chi aveva
sterminato la sua famiglia pu fare appello alla charis di Aiace (Soph. Ai. 520-23) perch ha accettato la sua posizione
di concubina e gli ha reso i suoi favori. Lo stesso avviene per Cassandra nellEcuba (Scodel 1998, 144-45); nelle
Troiane, Cassandra, Andromaca e Elena sfruttano la loro attrattiva come oggetti di desiderio sessuale per crearsi un
futuro (Scodel 1998, 144-46).
178
Stanton ritiene che quella di Agamennone e Ecuba sia uneffettiva relazione di philia, e accetta come
convincente laffermazione di Ecuba (834-35) sulla parentela realizzata tramite lunione di Cassandra e Agamennone
(cos, esplicitamente, Stanton 1995, 32-33). Credo che Agamennone sia molto pi cauto di Stanton nellammettere la
propria philia per Ecuba, e nel cercare sempre una giustificazione etica (vv. 852-53, 902-904, 1129-31, 1246-51) o
opportunistica (898-901) per laiuto a lei prestato.
179
Adkins 1966, 206 sostiene che la massima contenuta nei vv. 844-45, in cui Ecuba sostiene che chi esthlos
deve servire la giustizia sempre e dovunque, una definizione creata per persuadere Agamennone, una definizione
which had no chance of acceptance in a society with the ethical presuppositions of fifth-century Athens. Hecuba had
left out the claims of a.: and ).`.a; and these, in the minds of characters and audience alike, must take precedence.
Questo assolutamente improbabile. Per una critica ad alcuni presupposti di Adkins si veda Cairns 2001 con
bibliografia.
30

lei pensasse di avere una relazione personale con Odisseo, e lui fosse legato a lei da una
obbligazione a rendere un favore. Con Agamennone Ecuba deve vincere la paura di essere respinta
di nuovo in quanto schiava e nemica (e perci non adatta per una relazione di philia). Lunico
canale a lei aperto per stabilire un legame forte con Agamennone la supplica. La supplica poteva
essere usata come uno stadio preliminare per stabilire una relazione di xenia
180
, ma naturalmente
poteva essere preludio a una vasta gamma di rapporti personali, e non dava nessuna garanzia che la
persona supplicata accettasse le richieste del supplice.
Anche Agamennone, come gi aveva fatto Odisseo, rifiuta di ricambiare il favore
181
, e anche
i suoi motivi per il rifiuto sono legati a una ideologia democratica: i leader devono dimostrare che le
loro faccende private non interferiscono con la loro condotta degli affari pubblici. Si noti che
Euripide usa volutamente un linguaggio anacronistico per descrivere la fedelt di Agamennone e
Odisseo al popolo. Si gi notato che Odisseo chiamato dmocharists (132); laspetto
democratico del rifiuto di Agamennone sottolineato da Ecuba, che lo accusa implicitamente di
essere schiavo della massa (865). Le implicazioni aristocratiche dellaccusa di Ecuba sono
evidenti: restituire i favori ricevuti un valore importante per laristocrazia, mentre la massa
(866-67) e gli obblighi che essa impone agli uomini politici fermano questo tipo di relazioni.
Agamennone nega implicitamente di essere philos di Ecuba, come lei aveva sostenuto
(Adkins 1966, 203), anche se, pace Adkins, non rifiuta di farle una charis. Se ci sar qualche moto
di protesta da parte dellesercito, dice Ecuba, tu, come favore a me, raffrenalo, senza darlo a
vedere (874). Lunico aiuto offerto da Agamennone segreto: Agamennone finger di essere
imparziale, e aiuter Ecuba tenendo nascosta la vendetta allesercito.

5. Polimestore.
I rapporti di scambio pi complessi si hanno tra Ecuba e Polimestore. Polimestore era legato a
Priamo, e di conseguenza al resto della famiglia di Priamo, da una relazione di xenia
(ospitalit/amicizia rituale
182
). Gli xenoi (ospiti/stranieri) erano persone appartenenti a due citt
o nazioni diverse che stabilivano un rapporto di particolare vicinanza; esso comportava che si
offrisse ospitalit, ci si scambiassero doni e di favori, e si prestasse mutua assistenza tra i due xenoi
e le loro famiglie. Questo rapporto era sanzionato da una serie di norme religiose, tra cui la
protezione di Zeus
183
. I rapporti di xenia naturalmente coinvolgevano persone appartenenti ai gruppi
sociali pi elevati, che avevano occasione e mezzi economici per frequenti viaggi e spostamenti
184
.
Il rapporto tra le due famiglie era a volte molto stretto, e spesso capitava che una persona facesse da
padre adottivo per il figlio di uno xenos, accogliendolo in casa e badando alla sua educazione e
crescita, proprio come faceva Polimestore con Polidoro. Inoltre i figli venivano a volte chiamati con
il nome dello xenos, o con nomi derivati dalla citt o regione dello xenos, o con nomi che
appartenevano al linguaggio della xenia
185
.
Polidoro (colui che ha molti doni) e Polissena (in greco Poluxen, colei che ha molti
xenoi) sono nomi derivati dal linguaggio della xenia, e indicano limportanza che Priamo dava a
questi rapporti. Un altro motivo per scegliere un nome ricordare le qualit dei genitori, o il loro

180
Cfr. Herman 1987, 54-58.
181
Il discorso di Agamennone sar ripreso nellOreste. Menelao rifiuta di ricambiare a Oreste i favori fatti da
Agamennone, e usa espressioni simili io Oreste, voglio (Or. 681-63, cfr. Hec. 850-52), ho compassione (Or.
682, cfr. Hec. 851), voglio soffrire inseme a te (Or. 682, cfr. Hec. 862).
182
Cfr. nota 7.
183
La guerra di Troia era stata causata proprio da una grave infrazione alle regole della xenia da parte di Paride,
che aveva rapito la moglie del suo xenos Menelao. La colpa di Paride menzionata ripetutamente nellEcuba dal coro
(vv. 640-49 e 944-49), mentre sua madre Ecuba parla solo delle colpe di Elena (vv. 265-270 e 441-43, di autenticit
discussa).
184
Kurke 1991, 90, discute Hdt. VII 237. 2-3: fidarsi degli xenoi e non dei cittadini tipica mentalit
aristocratica.
185
Herman 1987, 19-21; questi usi sono spiegati in dettaglio in Herman 1990, 349-52 e 358.
31

status
186
: Priamo chiama i suoi figli Polidoro e Polissena perch lui ha molti xenoi e riceve molti
doni da essi
187
. Il nome Polimestore (colui che ha molti piani/pensieri) sembra essere una
invenzione di Euripide
188
, e il testo della tragedia, proprio allinizio, mette in parallelo i due nomi
Polidoro e Polimestore (vv. 3 e 7, in entrambi i casi allinizio di verso). La somiglianza e il
parallelismo suggeriscono fin dallinizio che il legame tra il padre adottivo e il bambino reso
particolarmente stretto (e il crimine pi orrendo) dalla somiglianza dei nomi; e sappiamo anche
dallIliade che uno dei figli di Priamo si chiamava Mestor (Il. XXIV 255 ss.
189
): il nome di
Polimestore una combinazione dei nomi di due figli di Priamo. Si osservi che anche Ecuba si
inserisce in questo schema di nomi, per un aggettivo che il testo riferisce a lei. La morte di
Polissena rende Ecuba polupnotatn (721), la pi soggetta a sventura tra tutte le donne,
rovesciando il pattern di superlativa eccellenza del marito Priamo, illustrato nel v. 492 signora dei
Frigi dalle molte ricchezze (poluchrusn). Il tema della molteplicit assume una colorazione
aggressiva al termine della tragedia, quando le donne troiane che immobilizzano Polimestore sono
paragonate a dei polipi, cio degli animali dai molti piedi, polupodn
190
(1162).
Quando arriva in scena, Polimestore si dichiara pronto, secondo letichetta, ad aiutare (985) i
philoi troiani in difficolt. Ecuba non vuole chiedere nessun aiuto, ma offre lei stessa una nuova
serie di favori: spiegher dove si trova un tesoro nascosto a Troia, e offrir ad Agamennone le
poche cose che le schiave sono riuscite a salvare dalla citt saccheggiata. Questi oggetti sono gli
stessi che Ecuba pensava di usare per il funerale di Polissena, e ora si trasformano in elementi della
vendetta.
Ecuba utilizzava il linguaggio della giustizia e della punizione nel modo pi neutro
possibile, per ottenere lappoggio di Agamennone. Il linguaggio della vendetta usato da Polimestore
invece una spia della sua barbarie: si tratta di metafore tratte dal linguaggio della caccia e dal
linguaggio della lotta fra animali. Polimestore presenta lassassinio delle Troiane come una caccia
(cani contro animali), e se stesso come un animale inferocito che attacca i cani che lo hanno
cacciato e gli hanno ucciso i piccoli (1059 ss.; 1077; 1173)ma anche come un cacciatore che
attacca gli animali (v. 1174, se genuino, come credo), e le Troiane come fiere selvagge (1072) da
divorare (1071), oppure da sbranare (1125). In una sola occasione Polimestore usa il
linguaggio dello scambio, ma sempre in un contesto fortemente carico di immagini ferine: egli
vuole sbranare e divorare le assassine, per ottenere una punizione che compensi (antipoina) la mia
umiliazione, la mia sofferenza (1073-74)
Di fronte ad Agamennone per il linguaggio di Polimestore ben presto si modera:
Agamennone vuole offrire un verdetto giusto (1131) e Polimestore parla di astuta previdenza
(1137) e di rendere favori (charin 1175) ad Agamennone. Polimestore vuole mostrare che era nel
proprio interesse aiutare Agamennone contro i nemici troiani, e che ha agito per il bene di entrambe
le parti. Lasciare vivo Polidoro avrebbe voluto dire rischiare unaltra guerra troiana, e subire i danni
ad essa connessi, specialmente la devastazione delle terre circostanti appartenenti alla Tracia (vv.
1138-44). Polimestore dimentica di menzionare nel proprio discorso la somma doro lasciata in

186
Cfr. Herman 1990.
187
Schlesier 1988, 113 n. 8 e poi anche Zeitlin 1996, 172 e n. 1 notano che Polidoro e Polissena ricordano gli
epiteti ironici ed eufemistici di Hades. Si tratta di osservazioni interessanti, ma pertinenti in questo contesto solo nel
senso generico che i due figli di Ecuba (come tutti gli altri esseri umani) sono destinati a morire, e (come non molti altri
esseri umani) a morire o ad apparire morti nel corso di una tragedia. Queste osservazioni erano gi state fatte, a
proposito di Polissena, da Wst 1952, colonna 1844; cfr. in generale limportante discussione di Hommel 1980, 30-33
su Achille e Polissena come coppia di divinit che regnano in Hades. Ovidio riprende e amplia luso di questi nomi
parlanti: si veda Paschalis 2003. Cfr. anche la nota al testo, p. ***0000****.
188
Cos ad esempio Kaibel 1895, 84-85.
189
In quel passo Priamo si lamenta che tutti i suoi figli sono morti, un topos ripetuto da Ecuba nella nostra
tragedia (vv. 79 ss.).
190
Il termine introdotto per congettura da Verrall; i manoscritti hanno v`.... come dei nemici, una lezione
accettata da alcuni interpreti (Gregory 1999; Kovacs 1995 accetta una modificazione, v`..u, di Gronewald). Il
paragone per troppo blando, specialmente ora che linimicizia delle donne di Troia diventata evidente. Cfr.
Battezzato 2001.
32

deposito dai Troiani, e sottolinea la propria volont di mettersi dalla parte di Agamennone
191
, ma
non cerca di nascondere il tornaconto personale che gli sarebbe toccato in seguito alla completa e
definitiva estinzione dei Troiani. Polimestore quindi pronto ad ammettere di avere un interesse
indiretto e spostato al futuro nelluccidere Polidoro, non per di avere acquisito direttamente dei
vantaggi materiali.
Euripide ha scritto per Polimestore un discorso letterariamente brillante, specialmente nella
descrizione dellaccecamentoma si tratta di un discorso che lascia a Ecuba tante possibilit di
ritorcere gli argomenti contro il suo oppositore.
Ecuba ribatte che luccisione di Polidoro non poteva essere un atto di charis verso
Agamennone, perch Polimestore, in quanto barbaro, non poteva aspettarsi di instaurare una
relazione di philia, di scambio di favori con i Greci (1197-1205). Polimestore non aveva detto
esplicitamente di aspettarsi di ricevere una charis, un favore, in cambio della sua azione; aveva
semplicemente spiegato che era nel proprio interesse agire gratuitamente in favore di Agamennone,
senza aspettarsi nulla in cambio. Ma Ecuba sa bene che questa la logica dietro a qualsiasi
favore: ci si deve comportare come se non ci si aspettasse un ricambio, perch la generosit
disinteressata una delle regole del gioco, ma tutti sanno che i favori vanno ricambiati. Inoltre si
era rivolto ad Agamennone con lappellativo amico mio carissimo [philtat(e): 1114].
Polimestore pensava che la philia con i Greci fosse salda (982-83: Tu mi sei amica [phil], e
amichevole [prosphiles] verso di me / lesercito degli Argivi, qui.). Secondo lo stesso
Agamennone Polimestore considerato philios amico/amichevole dallesercito greco (858), ma
Agamennone non dice che Polimestore un suo philos personale
192
.
Ecuba ha imparato a proprie spese da Odisseo che i Greci non ricambiano i favori dei
barbari. La frase di Ecuba la razza dei barbari non c modo che diventi mai amica dei Greci, n lo
potrebbe (1199-1200) sembra a prima vista sorprendente
193
, in quanto detta da una donna barbara
che ha cercato aiuto e philia nei Greci, ma indicativa del percorso psicologico e intellettuale
compiuto da lei nel corso della tragedia. La frase non quindi un insulto di Ecuba a se stessa, non
una ammissione di inferiorit culturale, quanto una constatazione dei dati di fatto della realt a lei
circostante, e una indiretta accusa a quelli dei Greci che ripudiano i legami di philia.
Nella Grecia del quinto secolo, in realt, molti notabili ateniesi e spartani avevano legami di
xenia, di amicizia rituale con i barbari
194
, anche se a volte le differenze culturali fra Greci e vari
gruppi stranieri ostacolavano una comprensione reciproca e provocavano equivoci e rotture di
amicizie talvolta con conseguenze disastrose
195
. Ma nella situazione rappresentata nellEcuba
per qualsiasi rapporto di philia era escluso.

191
Fin dallIliade era chiaro che i Traci si erano schierati con i Troiani (si veda il libro X). Euripide per
nellEcuba presenta Polimestore come amico dellesercito greco (v. 858), e la Tracia descritta come una zona
relativamente tranquilla (vv. 4-12) anche se appunto soggetta a incursioni e/o saccheggi da parte dei Greci (in cerca di
approvvigionamento, presumibilmente: vv. 1142-43)
192
Queste variazioni sul termine philos forse suggeriscono una presa di distanza da Polimestore, che non
amico in senso stretto. Adkins 1966, 204 e 207 sostiene che Polimestore non sarebbe stato considerato colpevole
da Agamennone e dal pubblico ateniese se veramente avesse ucciso Polidoro come favore per i Greci, e se fosse stato
veramente philos di Agamennone. Per sta di fatto che la morte di Polidoro, lultimo erede maschio dei re troiani,
vantaggiosa per Agamennone (anche se compiuta per altri motivi), e Agamennone comunque sceglie di condannare
Polimestore. Agamennone condanna con parole molto forti luccisione di xenoi (vv. 1246-47), e non menziona i
distinguo che Adkins 1966, 204 cerca di aggiungere alle sue parole. Tradire e uccidere uno xenos poteva essere
approvato nella realt, ma non viene teorizzata la giustezza morale di questa causa, e il tentativo di Polimestore di
giustificare lomicidio debole.
193
Ma per paralleli cfr. la discussione di Hall 1989, 161 e 195.
194
Cfr. Herman 1987, Mitchell 1997 passim. Si veda in particolare Mitchell 1997, 134-47 per i rapporti tra
ateniesi e Traci e le loro differenti politiche per quanto riguarda lo scambio di doni.
195
Alcibiade ad esempio fu imprigionato da Tissaferne nel 410 a. C., mentre portava doni per formalizzare la
xenia (Xen. Hell. I 1.9, Plut. Alc. 27. 6; cfr. in generale Plut. Alc. 24-28 e Thuc. VIII 47 ss.). Alcibiade fu ucciso nel 404
da sicari mandati da Bagaio su ordine di Farnabazo (Plut. Alc. 39. 1); nel 409 Alcibiade e Farnabazo, tramite
intermediari, avevano giurato un giuramento comune, cio un accordo politico sulla spartizione di certi territori, ma
anche fedelt privata reciproca (Xen. Hell. I 3. 12). Si vedano i commenti di Mitchell 1997, 116-18 e 132-33.
33

Agamennone poteva vantare la superiorit culturale dei Greci verso il barbaro Polimestore, e
sapeva usare con ironia un linguaggio quasi da antropologo: Forse cosa da nulla da voi
196

uccidere un ospite, ma per noi Greci un infame delitto (1247-48). Anche Odisseo vantava i
costumi e le convenzioni sociali dei Greci come superiori a quelli dei barbari (326-28), pur fingendo
di prendere in considerazione la possibilit di essere nel torto: quanto a noi, se sbagliato il nostro
costume di onorare i valorosi, ci saremo meritati laccusa di essere degli idioti crudeli. Voi barbari
per, voi non sapete trattare da amici gli amici, non rispettate chi caduto in modo valoroso (326-
30). Odisseo e Agamennone quindi, anche se apparentemente accettano il principio della relativit
delle usanze
197
, sono profondamente convinti della superiorit dei costumi dei Greci. In questa luce
potrebbe sembrare che Ecuba si ponga sulla stessa linea di Odisseo e Agamennone: c una
discontinuit tale di costumi e di moralit tra Greci e barbari che non possibile che si mantenga un
rapporto di philia. Il discorso di Ecuba, anche se formalmente diretto a Polimestore, deve
convincere Agamennone, e la sua abilit nel riuscire a trovare parole che gli suonino di
adulazione: Agamennone interpretava le parole di Ecuba come una ammissione della posizione di
inferiorit dei barbari (i barbari non potrebbero diventare philoi dei Greci), siano essi Troiani o
Traci. Ecuba rinnega i rapporti di xenia e di philia che attraversano la barriera tra Greci e barbari; i
rapporti di tipo aristocratico hanno validit solo allinterno di questi confini: questo spiega perch il
rapporto di xenia e di philia tra Ecuba e Polimestore valido, e sottolinea la particolare gravit della
colpa di Polimestore.
Ecuba infine mostra che Polimestore, anche ammessa la possibilit di un rapporto di philia
tra Greci e Traci, non ha agito secondo il codice di comportamento che questo rapporto richiede:
non ha consegnato Polidoro quando i Troiani sostenevano con successo lattacco dei Greci (1208-
13) e anche dopo averlo ucciso non ha offerto il denaro ai Greci, che presumibilmente ne avrebbero
avuto bisogno dopo le ristrettezze (1220) della guerra. Polimestore, nella sua incapacit di essere
generoso ha perso tutti i vantaggi possibili che gli sarebbero derivati da Polidoro. Ecuba
consapevole della intercambiabilit tra capitale sociale e capitale materiale: Polimestore non ha il
kleos, cio la buona fama, il capitale sociale che spetta alle persone nobili (agathoi) che aiutano
gli amici nei momenti di difficolt (1244-27); e daltra parte non gode nemmeno dei vantaggi
materiali che gli sarebbero potuti derivare (1228-29). Polimestore, con il suo rifiuto di rispettare le
regole religiose e pratiche della xenia, riuscito soltanto a perdere tutto: un potenziale philos (che
sarebbe stato equivalente a un tesoro), il godimento delloro di Polidoro e i suoi figli.

6. Polimestore ed Odisseo: il fallimento della sophia.
interessante notare come il tema della sophia (intelligenza/saggezza) passi da Odisseo a
Polimestore. Odisseo spiega ad Ecuba che un segno di intelligenza e saggezza accettare la sorte
decisa da chi detiene potere di vita e di morte (228: Anche in mezzo alle sventure saggio avere
un atteggiamento appropriato; 399: Non lo farai se obbedirai a chi ha pi buon senso di te
[sophterois], letteralmente a persone pi sagge/intelligenti). Ecuba riconosce questo
collegamento tra intelligenza e violenza, ma rifiuta di accettare come vera sophia la scelta

Senofonte si lamenta dellingiusto trattamento ricevuto dal re della Tracia Seuthes, con cui aveva scambiato doni di
ospitalit (Anab. VII 7. 46-47). Lateniese Iphicrates fu ingannato e usato dal suo xenos trace Cotys per attacare
postazioni ateniesi (Dem. 23. 129-32): Mitchell 1997, 139-42. Rapporti di xenia e/o philia tra Greci e Persiani datano a
periodi ben precedenti alla data dellEcuba. In una lettera al re persiano Artaserse riportata o reinventata da Tucidide,
Temistocle menziona il legame di philia che li unisce, e gli ricorda il debito di un favore [euergesia] fatto da
Temistocle a Salamina (Thuc. I 137, 4). La lettera si collocherebbe attorno al 465 a. C., anche se alcuni dettagli di
cronologia sono incerti; esisteva una tradizione secondo cui la philia di Temistocle era con Serse, non Artaserse (cfr.
Hornblower 1991, nota a Thuc. I 137, 1). Mitchell 1997, 111-33 discute i casi di xenia e philia tra Greci e Persiani nel
V-IV secolo.
196
Agamennone cosciente dei principi del relativismo culturale, e sa che presso altri popoli i valori sono
diversi: per il linguaggio etnografico cfr. Hdt. I 10. 3; I 138.1; IX 107. 1; VIII 105, 2; Eur. Andr. 437; Aristoph. Av. 755-
57.
197
Questo principio discusso da Erodoto in un passo di grande importanza (III 38); Erodoto cita il passo di
Pindaro secondo cui il nomos re su tutti gli esseri, mortali e immortali (fr. 169 v. 1); cfr. i vv. 799 ss. dellEcuba.
34

dellesercito di condannare al sacrificio Polissena, e protesta con veemenza: hanno votato la morte
per questa ragazza: che trovata [sophisma] pensavano che fosse? (258-59)
198
. Si ricordi che la
proposta di sacrificare Polissena era stata sostenuta da Odisseo, caratterizzato dal coro come il
furbo, il furfante, tutto dolci parole e demagogia (131-32)
Ecuba dunque sconfitta da Odisseo con largomento della sophia (un argomento che
Odisseo unisce a quello della forza: 399). Lei impara per ad usare questo argomento con maggiore
astuzia verso Polimestore; usa la propria sophia come argomento per trarre in trappola lui e i suoi
figli. Ecuba insisteva sulla presenza dei figli di Polimestore al colloquio sul presunto tesoro:
meglio che loro sappiano, se tu dovessi morire (1006). Polimestore accetta: Dici bene: pi
prudente [sophteron] in questo modo (1007).
La sophia costituisce parte di un altro parallelismo tra le scene con Odisseo e quelle con
Polimestore. I persecutori di Ecuba sono accomunati dalla sophia. Anche la morte di Polidoro
stata commessa in nome di questo principio. Polimestore spiega di averlo ucciso avendo agito
bene, con intelligente previdenza [sophi promthiai] (1137). Il calcolo di Polimestore era di
favorire i Greci e evitare loro di dover ritornare a combattere unaltra volta contro la citt di Troia
ricostruita da Polidoro. In questo modo avrebbe risparmiato ai Traci le devastazioni di una guerra
vicina al loro territorio. notevole la risposta di Ecuba: Sono intelligenti [sophoi] quelli che hanno
scovato queste astuzie, ma non riescono ad essere intelligenti fino alla fine, e incontrano la loro
rovina: non ce n uno che sia sfuggito (1192-94). Ecuba vuole dimostrare linconsistenza della
presunta intelligenza vantata da Polimestore. Svelando che lintelligenza di Polimestore in realt
una vernice stesa per coprire una realt molto differente Ecuba riesce a mostrare che lidea stessa di
sophia non pu essere indipendente dalla realt dei fatti. Conformemente a quanto sostenuto da
lei prima, esiste una precisa corrispondenza tra azioni oggettivamente osservate e valore morale.
possibile, per un deplorabile incidente nella struttura del mondo, parlare bene in difesa
dellingiustizia: il contrasto fra fatti e parole viene finalmente sanato, e la verit emerge
attraverso una discussione razionale anche se la discussione razionale ha per oggetto la violenza
pi estrema
199
.

Parte terza
Il nomos di Ecuba

1. La legge e gli di
Giustizia e punizione; philia e xenia; canto e lamento: tutti questi rapporti, nell'Ecuba, sono regolati
dal nomos. Nomos deriva dal verbo nemein, 'dividere, assegnare'. Ecuba sfrutta lintera,
considerevole ampiezza semantica del termine: 'abitudine, costume, usanza'; 'legge, prescrizione,
regola'; 'melodia musicale' (in quanto successione di note stabilita dalla tradizione). Ma luso pi
pregnante ed enigmatico apprare nel discorso pi importante e complesso della tragedia: quello che
Ecuba rivolge ad Agamennone per convincerlo a punire Polimestore. Ecuba fallir, ma le
contraddizioni su cui il suo discorso attira lattenzione toccano il centro delle questioni che abbiamo
finora analizzato: giustizia e obbligo di reciprocit. Non solo: le contrappongono.
Ecuba, nel suo discorso, enfatizza due concetti: legge / convenzione (nomos) e
persuasione (Peith). Li esalta come valori supremi, fino al punto dellimpasse logico. Per Ecuba
il nomos ('legge, uso') pi potente degli di, e addirittura li governa (vv. 798-801):

S, noi siamo schiavi, e senza potere, forse:
ma gli di il potere ce l'hanno, e ce l'ha la Legge,
che governa gli di. E' grazie alla Legge che crediamo agli di,

198
Andromaca, lamentando la condanna a morte di Astianatte, accusa i Greci di avere inventato barbariche
sventure (Eur. Tro. 764): cfr. Battezzato 1995, 59-63.
199
La stessa visione essenzialista era chiara nel passo in cui Ecuba discute del rapporto fra moralit e nobilt: vv.
592 ss. Il contrasto tra i fatti e le parole che cercano di cambiare la realt ricordato altre volte da Euripide (Hipp.
983 ss., Tro. 285 ss., Cropp 1988 ad El. 1015 s.).
35

e viviamo distinguendo fra il bene e il male.

Ma Ecuba afferma poi che 'Persuasione' (Peith) sola tiranna sugli uomini (814-17):

Perch noi mortali ci affanniamo a imparare
tutte le altre discipline, le perseguiamo con ogni sforzo, 815
e la persuasione, unica regina degli uomini,
non ci preoccupiamo nemmeno un po' di impararla [] ?

Perch la Persuasione? Non dovrebbe essere il nomos, la legge, a regnare sull'umanit? Ed
possibile che la Legge domini addirittura sugli di? Per Chapouthier proprio cos: la legge, cos
come al di sopra dei magistrati, preesistente agli di
200
. Ma questo porta a una serie di
contraddizioni logiche. Lanza, che in un articolo importante discute il significato di questi versi,
sostiene contro Chapouthier che il verbo kratein (inteso di solito come governare, dominare), non
pu assolutamente voler dire che Ecuba attribuisca alla legge, al nomos una "superiorit e
preesistenza agli dei". Lanza infatti sostiene che il verbo vada qui tradotto in modo diverso: hanno
per forza gli dei e la legge che intimamente li regola
201
. Si noti laggiunta di intimamente, a cui
non corrisponde nessuna parola nel testo greco: una aggiunta che serve ad attenuare il valore del
verbo dominare. Si chiede per giustamente Lanza: "che valore infatti hanno gli dei quando ad
essi preesiste un nomos che li domina? Dall'interpretazione dello studioso si deve ricavare che
Euripide concepisce gli dei come favole inventate per avvalorare e rendere comprensibile la pi alta
e nascosta divinit del nomos"
202
. Le leggi dovrebbero essere protette dagli di, e non governare su
di essi. Questo quello che dice, ad esempio, il coro dell'Edipo Re di Sofocle (863-71):

Mi sia dato serbare reverente purezza,
di atti e di parole,
secondo le leggi che vigono eccelse,
nell'alto cielo generate.
L'Olimpo soltanto ne padre:
non le produsse
prole d'uomini effimeri, n mai
oblio le assopir.
Vive in esse un dio possente,
che non invecchia. (trad. F. Ferrari)
203
.

Mettere il nomos al di sopra degli di significa dubitare della loro forza, del loro stesso status
soprannaturale. Questa mossa ideologica concepibile, anche se rischiosa. Heinimann ha sostenuto
che Euripide faccia parlare le parole di Ecuba contro Ecuba stessa: con nomos Euripide
indicherebbe non la legge che garantisce la giustizia, ma la convenzione che regola i rapporti
umani. I sofisti suoi contemporanei erano appunto famosi per distinguere ci che per natura
[phusei] da ci che per convenzione [nomi], cio per accordo umano
204
. Questa interpretazione
stata di recente ripresa dalla Nussbaum
205
. Nel passo dellEcuba, il nomos governa sugli di, ed
grazie ad esso che noi crediamo alla loro esistenza; gli di dipendono dunque dalla giustizia terrena,
e dallazione degli uomini. Euripide, secondo Heinimann, userebbe un personaggio per esprimere le
sue proprie convinzioniconvinzioni che sono completamente all'opposto di quello che il
personaggio dovrebbe dire in quelle circostanze
206
.

200
Chapoutier 1952, 216: "la loi, comme elle est au-dessus de magistrats, prexiste-t-elle aux dieux".
201
Lanza 1963, 439. Il corsivo mio.
202
Lanza 1963, 418.
203
Per la "legge divina" cfr. anche Thuc. III 82, 6 e Nussbaum 1986, 402-404.
204
Su questo cfr. come orientamento generale Heinimann 1945, Kerferd 1981, 143-68; Lanza 1963, 420-22 e
436-38; Guthrie 1969, 55-134.
205
Nussbaum 1986, 400; si veda il brano riportato nei giudizi critici.
206
Heinimann 1945, 121: dann aber biegt Euripides' aufgeklrtes Wissen den Gedanken fr den Zuhrer nicht
im Sinne Hekabes um (ma il sapere illuminista di Euripide piega il pensiero a beneficio del pubblico e non nel
36

Quale di queste interpretazioni quella che risponde meglio alla complessit del testo?
Pensare che la legge sia filosoficamente superiore agli di? Pensare che Euripide voglia
contrabbandare, sotto le parole di Ecuba, un ateismo che non osa dire il proprio nome? Oppure
esiste una lettura linguistica e retorica che non neghi le allusioni ideologicamente rivoluzionarie, ma
che riesca a non far esplodere le contraddizioni del testo?

2. Il superlativo retorico
Cominciamo dalla contraddizione logica. Chi ha il potere supremo? Il nomos o la persuasione?
Nella letteratura greca, re (basileus) e parole simili (despots, 'sovrano', turannos, 're/tiranno'
207
)
sono usate spesso per sottolineare l'importanza di un'entit fisica o impersonale che chi parla ritiene
abbia un potere universale sulla natura, sugli uomini e sugli di. Quando si legge ad esempio che
Eros turannos di uomini e di, o che il pi forte fra tutti gli di, non si pensa che la frase voglia
dire davvero quello che dice, cio che Eros ha sconfitto Zeus e ha preso il suo posto sull'Olimpo. In
realt qui abbiamo una figura di pensiero che possiamo chiamare superlativo retorico. Questo tipo
di superlativo pu essere espresso con aggettivi, oppure con sostantivi e verbi che indicano dominio
e superiorit (regnare, governare, etc.) e non inteso tanto a sminuire l'importanza e il potere degli
altri elementi, quanto a dar importanza, per mezzo di una affermazione spesso paradossale, ad un
particolare concetto, valore, o aspetto della vita. Si tratta di un procedimento comparabile alla
Priamel, unaltra figura retorica che consiste nel presentare una serie di idee, concetti, elementi
introduttivi, per far meglio risaltare il concetto pi importante, presentato alla fine
208
. Si osservi che
in Hec. 798-800 l'importanza del nomos sottolineata con l'uso di una breve Priamel prima del
superlativo retorico: noi siamo deboli ma gli di sono forti e <ancora pi forte degli di > il
nomos che il loro sovrano. Lo stesso vale per l'elogio di Peith, sebbene in quel caso si trovi una
Priamel "sommaria"
209
: perch mai noi mortali ci diamo tanto da fare a cercare tutte le altre
scienze, e non facciamo nessuno sforzo per imparare perfettamente la Persuasione, che regna da
sola su tutta l'umanit? (814-818)
210
.
La pi famosa e pi discussa attestazione del superlativo retorico in Pindaro, e riguarda
proprio il nomos (fr. 169, vv. 1-4): la legge, che regina di tutti gli esseri, mortali e immortali, fa
da guida, rendendo giusto con la sua mano sovrana ci che pieno di violenza. Anche per Pindaro

senso di Ecuba); questa interpretazione ricordata con approvazione pi o meno o meno convinta da Ostwald 1969,
38, Hogan 1972, 247 n. 13, Kerferd 1981, 170-71 (trad. it. 1981, 217: la frase "per nomos crediamo negli di" sembra
un chiaro accenno alla controversia nomos-physis, e questo significa che Euripide intende sostenere che gli di devono
la loro esistenza alla fede degli uomini. Il che comunque non significa necessariamente che la loro esistenza appartenga
puramente alla sfera soggettiva dei singoli individui). Il concetto di autore andrebbe definito in maniera pi precisa per
essere utile alla discussione. Una discussione pi problematica in Collard 1991 ad loc.; ma anche Collard 1991 non
libero dal dualismo autore/personaggio nell'interpretare la frase. Su nomos in questo discorso cfr. Nestle 1901, 418 f. n.
25 (con riferimenti a studiosi precedenti), Lanza 1963, Nussbaum 1986, 400-404, 415-417, Reckford 1985, 119-121,
Segal 1989b, 67-69 e 71 (cfr. Segal 1993, 196-98 e 200-201). Discussioni meno dettagliate in Kirkwood 1947, 65-68,
Conacher 1967, 161, Buxton 1982, 178, Michelini 1987, 149 and 153, Mossman 1995, 182.
207
Il problema della tirannide in tragedia estremamente controverso: si veda Di Benedetto 1978, 50-63 e 1983,
17-20; cfr. anche Lanza 1977; Cerri 1982. Per una discussione di casi in cui turannos seems to be used as a synonym
for another word for king, like basileus, cfr. O'Neil 1986, 34-39 (cfr. anche p. 32 per alcuni casi dell'uso metaforico di
"tiranno": Kypris, Eros, etc.). Larticolo di Bloomer 1993 affronta in maniera brillante il problema della relazione tra la
retorica dei superlativi e la descrizione etnologica in Erodoto.
208
Il termine Priamel tedesco, e deriva dal latino praeambulus "preambolo". Ad esempio, la prima Olimpica di
Pindaro inizia con una Priamel: "ottima l'acqua, come vampa di fuoco sfavilla [] l'oro, ma se tu, mio cuore, vuoi
cantare premi agonali non guardare nel giorno astro pi caldo del sole [] n celebriamo gara pi eccelsa di Olimpia"
(Pindaro, Olimpica I, 1-8, trad. Ferrari 1998). L'acqua e l'oro sono introdotti come elementi preliminari per far risaltare
il "sole" (e gli agoni Olimpici) come l'elemento pi notevole. In generale si veda Race 1982.
209
La definizione di "summary priamel" di Bundy, cfr. Race 1982, 10 (e la sua discussione, pp. 10-17): the
foil terms include summary statements indicating quantity (usually forms of va: or v`u:) or variety (e.g. a``:, or
.:.:).
210
Race 1982, 98 n. 158 ricorda Hipp. 916 ss. tra le priamel, ma trascura Hec. 814 ss.
37

si discute se nomos indichi specificamente una legge o un uso, costume
211
. In ogni caso a
Pindaro il discorso di Ecuba (799-801) chiaramente allude. Crisippo imita il brano di Pindaro, e
forse anche quello dell Ecuba, quando scrive che la legge regina di tutte le cose, divine e
umane: necessario che essa sia ci che sorveglia i beni e i mali, che sia governante e guida e, in
base a ci, deve essere canone di ci che giusto e ingiusto [kanona dikain kai adikn]
212
.
Questo non solo riprende i versi 800-801 dellEcuba ( grazie alla Legge che crediamo agli di, e
viviamo distinguendo fra il bene e il male) ma sembra anche riecheggiare il verso 602 (di
autenticit discussa, ma probabilmente gi presente in epoca antica), secondo cui chi nobile
conosce il male per averlo appreso con il canone del bene [kanoni tou kalou]. E' notevole che
l'affermazione di Crisippo a proposito del nomos imiti la massima di Pindaro non solo nel suo
contenuto, ma anche nella posizione, all'inizio del libro. Marciano, un giurista di et imperiale a cui
dobbiamo la citazione, dice appunto che anche il sommo filosofo stoico Crisippo cos inizia, nel
suo libro Sulla legge [peri nomou]e questa citazione non a caso viene dal primo libro delle
Institutiones di Marciano
213
.
Un'altra celeberrima affermazione dalla retorica simile apriva un libro famoso. La frase
sull'uomo che misura di tutte le cose, architettata come straordinario incipit da Protagora, d
particolare luce al suo sconvolgente contenuto mettendo luomo nel posto che il superlativo retorico
generalmente riservava alla divinit: iniziando dunque i suoi Discorsi demolitori dichiar: di tutte
le cose misura luomo, di quelle che sono in quanto , di quelle che non sono in quanto non
214
.
Se limpiego e la funzione del superlativo retorico sono ora abbastanza chiari, forse
opportuno fare alcune osservazioni sulla nascita di questa figura, e sulle contraddizioni logiche che
essa comporta.

3. Retorica e filosofia
Il superlativo retorico legato agli enigmi e alle gare di ingegno: nella poesia e filosofia arcaica
comune trovare risposte a domande come "quale la cosa pi bella?"
215
. e la Priamel, come si gi
osservato, spesso impiegata in collegamento con il superlativo retorico
216
. L'uso di questa figura
retorica nella poesia gnomica e in detti 'popolari' probabilmente all'origine del topos, ma venne
ben presto ripreso nel contesto di una speculazione filosoficamente pi avvertita. Questo trapasso da
saggezza popolare a riflessione filosofica si riscontra in una serie di massime attribuite al primo

211
Il testo greco : .: va.:.. 3a:.`.u: ).a:.. :. sa. a)a.a:.. a,.. :.sa... : 3.a.:a:.
uv.:a:a. ... Il passo era discusso gi nellantichit, in particolare da Erodoto (III 38) e Platone (Gorg. 484 b). Si
veda in generale Gigante 1993 (ledizione originale apparve nel 1956), e, per una bibliografia aggiornata, Asheri 1990,
256. Lloyd-Jones 1972, 55 [= 1990, 163 s.] offre una breve e chiara panoramica delle interpreazioni, dividendo gli
studiosi in due gruppi. Tra gli studiosi che traducono nomos come uso, costume si possono ricordare Wilamowitz
1922, 462; Pohlenz 1948, 139 [= 1965, II, 337]; Theiler 1965, 75. L'altra interpretazione (nomos come legge)
preferita da Lloyd-Jones 1972, 55 [= 1990, 163 s.], a cui si rimanda anche per lamplia bibliografia: law of the
universe and particularly law of Zeus; Law for him [per Pindaro] was identical with the will of Zeus [] he gives
nomos the title king of gods and men. That title is commonly given to Zeus, so that a hearer would very likely infer
that Zeus' nomos was in question. Si veda anche Gentili 1977 e 1995, 188-89.
212
Per il testo cfr. SVF III, 314 (Radice 2002, 1122-23): .: va.:.. .::. 3a:.`.u: ).... sa.
a.).v.... va,a:.. :.. :. au:. v::a:. :. ...a. :.. sa`.. sa. :.. a.:.. sa. a.:a sa.
,..a sa. sa:a :u: sa ..a :. ...a. :.sa... sa. a:.s... Si veda Gigante 1993, 265 n. 2.
213
Cfr. SVF III, 314 (Radice 2002, 1122-23): sed et philosophus summae stoicae sapientiae Chrysippus sic
incipit libro suo quem fecit v.. .u.
214
Si veda 80 B 1 Diels-Kranz (da Sext. adv. math. VII 60): ..a..: ,u. :.. |a:a3a``.:..
a..)..:. va.:.. a:.. .:. .::.. a.).v:. :.. .. .:.. .: .::... :.. :. us .:.. .: u
.::.. . Su questo frammento dall'interpretazione controversa cfr. Guthrie 1969, 183-192, e gli articoli raccolti in
Classen 1976, 257-270 e 290-297. Cfr. anche Classen 1989 e Soverini 1998, 57-65.
215
Per questa domanda cfr. Sapph. 16. 1-4 Voigt Alcuni dicono che sulla terra nera la cosa pi bella sia un
esercito id cavalieri, altri di fanti, altri di navi, io invece ci di cui uno innamorato (trad. F. Ferrari); Theogn. 255-56
la cosa pi bella ci che pi giusto; la cosa pi utile avere buona salute; la cosa pi piacevole, ottenere ci che
uno ama, Soph. fr. 356, Carmina convivalia 890 PMG. Si vedano Stinton 1965, 7 = 1990, 21, Griffith 1990, passim,
spec. 193-94, 199.
216
Cfr. Race 1982, 2 n. 3; 15 n. 48.
38

filosofo greco, Talete; si tratta probabilmente di un pastiche di et ben posteriore a Talete:
vengono riportate anche queste sue massime: il pi antico delle cose che esistono il dio: infatti
non fu generato; [] la cosa pi forte la necessit (anank): infatti domina (kratei) su tutte le
cose; la cosa pi sapiente il tempo: infatti scopre ogni cosa
217
.
La prima attestazione di un superlativo retorico che si pu attribuire con sicurezza ad un
filosofo il passo di Eraclito secondo cui "la Guerra [il termine maschile in greco] padre di tutte
le cose, re di tutte le cose, e alcuni ha mostrato essere di, altri uomini"
218
. Collegato a questo passo,
e vicino anche alle riflessioni di Ecuba, un altro frammento di Eraclito, secondo cui "tutte le leggi
(nomoi) umane traggono nutrimento dall'unica legge, quella divina: infatti la legge divina
predomina [krateitai] quanto vuole"
219
. Queste affermazioni di tono proverbiale hanno grande
importanza come modelli retorici per i tentativi successivi di stabilire cosa sia "l'elemento pi
importante nell'universo", l'arch.
Anassagora, un filosofo che sembra aver esercitato una certa influenza su Euripide
220
, il
pensiero [nous] la cosa pi sottile e pi pura tra tutte e comanda [kratei] su ogni cosa
221
. La
forma del discorso scientifico e filosofico di Anassagora ha un debito chiaro verso saggezza
tradizionale: risponde alla domanda "che cos la cosa pi sottile e pi pura? ed esprime il potere
dellentit suprema usando il verbo kratein dominare, come nel passo dellEcuba. Questo tipo di
linguaggio si ritrova ad esempio in Diogene di Apollonia, attivo nella seconda met del V secolo a.
C. Egli sosteneva che laria [ar] fosse larch, lelemento dominante, che dominasse su tutte le
cose [kratein pantn], e che fosse addirittura dio
222
. Diels e Kranz dubitano che la qualifica di
divinit sia possibile, ma in realt si trovano vari passi in cui il concetto o lelemento che sta al
centro del superlativo retorico viene considerato un dio, talvolta addirittura il pi potente o il
pi importante fra gli di
223
. Ad esempio nellottava lettera attribuita a Platone si dice che la
legge dio per gli uomini saggi ([Pl.] Ep. VIII 345 e), e in Euripide lempio Ciclope sostiene che
per i saggi la ricchezza dio (Cycl. 316) e dice di voler sacrificare alla pi grande delle divinit,
cio al questa mia pancia (334).
E facile costruire una critica filosofica contro le argomentazioni di Ecuba, cos come contro
altre affermazioni in cui il superlativo retorico esalta un concetto o una divinit singola. Gi
Senofane, secondo uno scritto aristotelico, sosteneva che ci deve essere una sola divinit, perch

217
Cfr. Thales 11 A 1 35 Diels-Kranz (=D.L. I 35): )..:a. :. sa. av)).,a:a au:u :a:. v.:3u:a:.
:.. .:.. ).: a,..:. ,a. .:u:a:. a.a,s sa:.. ,a va.:... :):a:. .: a..u.:s..
,a va.:a. Questo procedimento imitato in Plu. Sept. Sap. Conv. 146 C ss.
218
Heraclit. 22 B 53 Diels-Kranz: l`.: va.:.. .. va: .::.. va.:.. :. 3a:.`.u:. sa. :u: ..
).u: .:... :u: :. a.).vu:. Gi Gigon 1935, 119 osservava che la "predicazione", cio gli attributi di Polemos,
"guerra", sono una "aperta parodia della predicazione di Zeus". Per 3a:.`.u: come appellativo di Zeus (non in Omero,
ma comune a partire da Esiodo) cfr. LfgrE s.v. 3a:.`.u:, con bibliografia: si vedano ad es. Aesch. Pers. 532, Ag. 355,
Arisoph. Nub. 2.
219
Heraclit. 22 B 114 Diels-Kranz: :.).:a. ,a va.:.: . .. uv ..: :u )..u sa:..:a. ,a
::u:. :. .).`.. Si noti sa:..:a., lo stesso verbo che ricorre in Hec. 800, sa:.., in una forma diversa, e al
medio.
220
Di Benedetto 1971, 307-308, con bibliografia.
221
Anaxagoras 59 B 12 Diels-Kranz: .::. ,a (scil. .u:) `.v::a:. va.:.. a:.. sa.
sa)a.:a:.. sa. ,... ,. v.. va.:: va:a. .:.. sa. .:u.. .,.::.. sa. :a ,. u. ... sa.
... sa. .`a::.. va.:.. .u: sa:... Citato da Lanza 1963, 419 s. per spiegare Hec. 799 f. ('dominare secondo
ragione' la traduzione che Lanza offre per sa:..., cfr. la traduzione in Lanza 1963, 439 "hanno per forza gli dei e la
legge che intimamente li regola"), in correlazione con Heraclit. 22 B 114, C 1 10 Diels-Kranz, Archelaus 60 A 1
Diels-Kranz (cfr. Lanza 1963, 437 sa:.. mi pare non si possa qui assolutamente allontanare dal significato concreto
e fisico di "avvolgere"; si vedano i paralleli e la interessante discussione di Lanza). Ci sono osservazioni analoghe in
Archelao (60 A 4 3 Diels-Kranz) ed Empedocle (31 B 17, vv. 27-30 [v. 30 = B 26, v.1] Diels-Kranz).
222
Diog. Apoll. 64 B 5 Diels-Kranz: sa. . :s.. : :. .:.. .. ...a. a sa`u..: uv :..
a.).v... sa. uv :u:u va.:a: sa. su3..a:)a. sa. va.:.. sa:... au: ,a . :u: ).: :s..
...a. sa. .v. va. a).)a. sa. va.:a :.a:.)..a. sa. .. va.:. .....a..
223
La traduzione di Diels e Kranz ha un punto interrogativo proprio davanti al termine Dio (denn gerade dies,
scheint mir, ist Gott (?) und berall zur Stelle und verwaltet alles und ist in allem darin 64 B 5 Diels-Kranz). Laks
1983, 44 (ad loc.) giustamente nota la allure d'un hymne del frammento (con riferimenti bibliografici).
39

lessenza della divinit consiste nel dominare [kratein], non nellessere dominato, e nellessere
superiore [kratiston] a ogni cosa
224
. Questo precisamente l'argomento di Lanza, che cio il
dominare [kratein] un'attivit specifica della entit suprema, e non pu essere predicata di nessun
altro o di niente altro. Ma il punto principale (e il problema teologico) del politeismo proprio che
ci siano diversi di e poteri in conflitto. Gli di antichi, come ben sappiamo gi da Omero, non
erano onnipotenti. Ci sono ovvi problemi logici e teologici se si sostiene allo stesso tempo che gli
di sono potenti e che il destino (o il nomos, o l'anank) governa su di essi. Euripide stesso a volte
mette in luce gli aspetti paradossali della coesistenza di varie entit supreme: ad esempio in un suo
frammento un personaggio sostiene che se infatti esiste la sorte [tuch] non c nessun bisogno
degli di, e se invece sono gli di ad avere forza, la sorte non nulla
225
. Ma chi afferma la
supremazia del nomos o dell anank vuole che la contraddizione logica esploda?

4. Contraddizione e complessit
Ecuba sceglie una formula retorica che esalta il nomos sopra ogni cosa. Nomos per vuol dire anche
convenzione, norma umana. Lex regina dei barbari riecheggia, rovesciandolo, un slogan
sofistico per sostenere una teodicea che sembra smentita dalle vicende viste sulla scena fino a quel
momento. Euripide impiega in maniera provocatoria il linguaggio filosofico e retorico; lappello
alla convenzione (nomi) per affermare nella maniera pi recisa una verit che sembra
antichissima: lesistenza degli di. Leffetto paradossale: la religiosit viene sostenuta con parole
potenzialmente blasfeme. Il linguaggio di Ecuba non pu non essere quello dei contemporanei di
Euripide, che la fa parlare. La lettura di Heinimann metteva in contraddizione autore dellopera e
parole del personaggio: le parole di Ecuba, proprio perch riecheggiano quelle del V secolo, non
possono non mettere in crisi i contenuti stessi che Ecuba vuole esprimere. Questo corrisponde ad
una immagine di Euripide come scrittore irreligioso o ateo che si ritrova gi in alcuni passi di
Aristofane, e che fu condivisa da molti studiosi del novecento; corrisponde anche ad una visione
della sofistica che si sovrappone a una certa corrente illuminista antireligiosa e atea
226
. Euripide
per neutralizza le implicazioni atee degli slogan sofistici sulla convenzione innestando un diverso
tipo di linguaggio filosofico: quello della tradizione filosofica e sapienziale arcaica, quello che non
temeva di pronunciarsi sull elemento dominante nel cosmo, e non sembrava temere le difficolt a
cui questa presa di posizione poteva portare.
Il discorso di Ecuba si basa dunque su un equilibrio filosofico rischioso. Lei si preoccupa di
mantenere questo equilibrio proclama la Persuasione unica regina degli uomini. Evita
accuratamente di affermare che il dominio della persuasione si estende agli di. Ecuba
consapevole dei limiti e delle implicazioni del linguaggio filosofico, e si tiene ben lontano dal
pericolo di una palese empiet. Non solo: sta bene attenta a formulare le due espressioni in maniera
da non contraddire se stessa. Afferma che il nomos domina sugli di, e che gli uomini definiscono
ci che giusto e ci che ingiusto sulla base di esso; ma non afferma che il nomos governa la vita
degli uomini. Purtroppo non cos: vero che a volte dipende dagli uomini attuare il nomos nel
mondo; ora ad Agamennone far rispettare la giustizia; se non succeder cos non ci sar pi nulla di
giusto [ison: letteralmente uguale] per gli uomini (798-805). Ma tutto questo non fa che
confermare lassunto di base: gli di sono giusti, e perci il nomos domina su di loro; gli uomini
possono essere ingiusti, e il nomos non domina su di essi, anche se ha una funzione fondamentale

224
Xenoph. 21 A 28 = [Aristot.] De Melisso Xenophane Gorgia 977 a 27 :u: ,a ).. sa. ).u :u.a..
...a.. sa:.... a``a sa:..:)a.. sa. va.:.. sa:.::. ...a.. Senofane, come riassunto dallo scritto
aristoteloco, sviluppa un argomento a favore del monoteismo (cfr. 977 a 24-26: .. :' .::.. ).: ava.:..
sa:.::.. ..a ):.. au:. v:s... ...a.. .. ,a :u v`..u: ..... us a. .:. sa:.::. sa. 3.`:.::.
au:. ...a. va.:..).
225
Fr. 154, 4 s. Austin .. .. ,a :u ::... u:.. :.. ).... / .. : . ).. :)..u:.. u:..
:u.
226
Sul problema della religiosit in Euripide si vedano Di Benedetto 1971, 273-302 (Euripide e Dioniso),
Lefkowitz 1987 e 1989, Mastronarde 2002a, 17-25, Wildberg 2002. Sulla religione nel pensiero dei sofisti cfr. Allan
1999-2000 e il recente volume Scholten 2003. Su Euripide e la filosofia del V sec. a.C. si veda la rassegna di Egli 2003.
40

nella loro vita. Sugli uomini domina invece la Persuasione, una divinit mercenaria e incostante
(815).
Se le due affermazioni di Ecuba possono essere riconciliate da un punto di vista logico e di
tecnica retorica, la contraddizione per rimane. Le due affermazioni hanno funzioni retoriche
differenti. Ecuba vuole che Agamennone punisca Polimestore perch questo giusto (798-808), e
perch Agamennone ha degli obblighi nei confronti di lei (814-35). Ma le due motivazioni
presuppongono strategie e rapporti di forza differenti. La giustizia delle ordinarie leggi umane
presuppone una organizzazione sociale stabile, assente in una situazione di guerra. Lappello alla
giustizia divina, nonostante la sua rispettabilit filosofica, non ha nessun effetto pratico, e compare
precisamente perch Ecuba non si pu appellare a una giustizia umana stabilmente organizzata. Il
secondo argomento si basa sullobbligazione di Agamennone nei confronti di Ecuba; ma questa
obbligazione minima. Il fatto che lei ne parli un segno della sua debolezza: non c un controllo
sociale che possa spingere Agamennone a restituire i favori alla madre della sua concubina, cos
come Odisseo gi prima non si era sentito in dovere di farloe i favori ricevuti da Odisseo erano
ben maggiori. Non a caso anche parlando con Odisseo Ecuba aveva ricordato il nomos dei Greci; un
nomos democratico, che considerava allo stesso modo persone libere e schiavi, di fronte alla morte
(291). La contraddizione tra nomos e charis, tra appello alla giustizia divina o politica, e appello ai
rapporti sociali aristocratici, la contraddizione che definisce Ecuba. Ecuba tenta di tenere insieme
le vicende che la colpiscono interpretandole; tenta di tenere insieme due tradizioni etiche e
politiche diverse: la giustizia divina, la giustizia democratica e reciprocit aristocratica. Ecuba tenta
di tenere insieme il suo passato aristocratico e il futuro di schiava. Nessuna delle due vie porta il
successo a Ecuba. Lunica soluzione aperta a lei quella della furia femminile, delleccesso di
violenza a cui le donne ricorrono nel mito: lei stessa evoca come suo modello di comportamento,
lunico modello rimasto, le Danaidi e le donne di Lemno, collettivit femminili che uccidono gli
uomini in massa (886-90).
La giustizia trova paradossali risorse in un gruppo di donne-cagne che, come le Erinni,
vendicano una uccisione, e incarnano le inquietanti potenzialit delle risorse femminili. La retorica
della giustizia, nella riflessione filosofica e nelle discussioni politico-giudiziarie, immaginava un di
solito un progresso e un ammorbidirsi delle pene; Tucidide ci presenta un personaggio che invece
immaginava let a lui contemporanea come quella pi crudele. La tragedia sposta nel passato
lorrore e tenta di riaffermare leternit delle leggi istituite dagli di nel passato mitico in cui ancora
essi avevano commercio con gli uomini. Ecuba cerca di riconciliare opportunismo aristocratico,
doveri di reciprocit e retorica filosofica, ma per affermare la giustizia deve ricorrere a ci che
lideologia greca considerava pi immutabile e pi teatrale nella psicologia femminile: la capacit
di adescare e di ingannare.

41

PREMESSA AL TESTO


1. EURIPIDE: VITA E OPERE

I dati certi sulla vita di Euripide sono pochi; molte le invenzioni fantasiose
227
. Aristofane e altri
autori di commedie spesso parlano del poeta, dando una serie di informazioni divertenti ma
improbabili. Alcune altre fonti si presentano come depositarie di informazioni serie. Altre tuttavia
prendono particolari biografici proprio dalla commedia antica, o li ricostruiscono sulla base dei
drammi stessi di Euripide. Una Vita di Euripide (con varie sezioni di differente affidabilit ed
erudizione) trasmessa in alcuni manoscritti assieme ai suoi drammi. La scarsa attendibilit delle
fonti lampanti in alcune sezioni. Leggiamo un breve estratto:
Si dice che egli prepar una spelonca a Salamina, fornita di uno sbocco sul mare, e che l
passasse il suo tempo, evitando la folla. Per questo prende la maggior parte delle similitudini dal
mare. Aveva un aspetto accigliato e pensoso e severo, ed era ostile allumorismo e alle donne[].
Dicono che, dopo aver sposato la figlia di Mnesiloco, chiamata Choirile
228
, e aver compreso la sua
immoralit, scrisse il dramma Ippolito primo
229
, in cui espone in pubblico la spudoratezza delle
donne, e che dopo di ci cacci la moglie. Quando il suo (nuovo) marito disse lei casta a casa
mia, Euripide rispose: sei un poveretto se pensi che lei sia casta a casa di uno, e non lo sia a casa
di un altro
230
. Spos in seconde nozze una seconda moglie; avendo scoperto che questa era
(ancora) pi infedele, ne trasse ulteriore incoraggiamento a dir male delle donne
231
.
In effetti stata individuata la grotta in cui Euripide avrebbe composto le sue tragedie,
secondo la leggenda qui riportata; questo luogo era meta turistica nellepoca post-classica, e vi
stata ritrovata una coppa con il nome del poeta
232
. Quanto alla risposta di Euripide al secondo
marito della sua prima moglie, lautore della biografia ha immaginato che i versi 923-24
dellElettra fossero stati scritti dal poeta pensando alla propria situazione coniugale, e non a quella
del personaggio mitico Egisto (il seduttore di Clitemestra). Cos infatti dice Elettra ad Egisto morto:
quando uno, dopo aver corrotto la moglie di qualcun altro con amplessi segreti, poi costretto a
prenderla in moglie, deve sapere di essere un poveretto se pensa che lei non fosse casta in
quelloccasione, ma che lo sar con lui
233
. Se possiamo ammirare lumorismo di chi ha inventato
un uso biografico della battuta letteraria, non per questo possiamo confidare nellautenticit
biografica della notizia. La Vita , almeno in molte sezioni, una narrazione fantasiosa, che utilizza
elementi fattuali per fabbricare episodi poco verosimili.
Di tono analogo sono i numerosi frammenti di una Vita di Euripide scritta dallo studioso
antico Satiro (III sec. a. C.), conservatici su papiro
234
. Alcuni dettagli biografici sono forniti dagli

227
Sulla vita di Euripide si vedano le testimonianze raccolte da Kovacs 1994a, 2-66; la discussione di Lefkowitz
1979, 1981, 88-104, Kovacs 1994b, 1-36, Mastronarde 2002b, 1-7.
228
Si noti che choiros in greco significa porcellino, piccola scrofa.
229
Seguo la congettura di Kirchhoff :aa :. v:.. `lvv`u:.. Euripide scrisse due drammi con questo
soggetto; spesso gli autori antichi aggiungono un epiteto per distinguerli (Ippolito coronato per il dramma che noi
leggiamo, e Ippolito velato per quello di cui abbiamo solo frammenti), ma probabile che il titolo ufficiale fosse
semplicemente Ippolito in entrambi i casi (Barrett 1964, 29). Schwartz scrive per congettura v.:. : :aa :.
`lvv`u:. scrisse per primo il dramma Ippolito, ma il senso non molto soddisfacente (Euripide non era il primo
uomo la cui moglie fosse infedele), e introduce una confusione nel lettore che sa dellesistenza di due drammi euripidei
sullo stesso tema. Sul testo dei manoscritti si veda Barrett 1964, 26 e n. 2.
230
Ecco il testo greco della risposta di Euripide: :u::.: ... .. :s..: va . .. au:. :.).....
va . :. .
231
Cfr. Vita Euripidis 5, in Schwartz 1887, 4 riga 22-5 riga 11; Kovacs 1994a, 6-7; TrGF vol. 5.1, p. 49-50
Kannicht (T 1. III.1-2).
232
Blackmann 1998, 16-17; TrGF 5.2 p. 1159 Kannicht.
233
Questo il testo di Eur. El. 921-24: .::. :. :a. :.: :.`.:a: :aa:a :u / suv:a.:.. .u.a.: ..:
a.a,sa:). `a3.... / :u::.: .::... .. :s.. : :.).... / .s.. .. au:. us ..... va . :
.....
234
Cfr. Arrighetti 1964.
42

scolii (note antiche ai drammi). Di particolare utilit sono le hypotheseis, cio i riassunti premessi ai
drammi; in alcuni casi essi sono corredati da notizie essenziali sulla rappresentazione: data, premi
agli attori o al dramma nel concorso drammatico, giudizio sintetico sullopera, notizie su altri
drammi di argomento analogo. Le hypotheseis contenenti informazioni erudite sui drammi sono di
solito attribuite dai manoscritti allo studioso del III-II sec. a. C. Aristofane di Bisanzio
235
. Sia gli
scolii che le hypotheseis sono riportati insieme ai drammi stessi nei margini dei manoscritti
medievali. Non tutti gli scolii e le hypotheseis scritte nellantichit sono stati trascritti nei
manoscritti giunti fino a noi, ed alle informazioni antiche stato aggiunto molto materiale pi
recente, di et bizantina, specialmente del duecento e degli inizi del trecento. Esistono infine alcuni
riferimenti ad Euripide in altri scrittori antichi, e in iscrizioni, specialmente il Marmor Parium (una
iscrizione del 264/63, con una cronologia della storia greca, con particolare attenzione per lAttica).
Euripide nacque probabilmente nel decennio 480-470 a. C. Secondo alcune fonti sarebbe
nato il giorno stesso della battaglia di Salamina, nel 480
236
. Suo padre si chiamava Mnesarchides
237

o Mnesarchos, ed era ateniese. Nel 455 a. C. Euripide debutt con un gruppo di tragedie che
comprendeva Le figlie di Pelia, con cui si qualific terzo (cio ultimo). Nel 441 ottenne la sua
prima vittoria alle Dionisie. Nel 438 present lAlcesti, il suo dramma pi antico tra quelli possiamo
leggere per intero; in quella occasione furono rappresentate anche le Donne di Creta, lAlcmeone
primo (spesso detto Alcmeone a Psofi nelle fonti antiche) e il Telefo, di cui abbiamo solo
frammenti; lAlcesti sostituiva il dramma satiresco. Nel 431 ottenne il terzo posto con la Medea, e
con i drammi, per Filottete, Ditti e I mietitori (Theristai, dramma satiresco); di questi ultimi tre
drammi abbiamo solo alcuni frammenti o notizie sulla trama. Nel 428 present lIppolito come
parte di una tetralogia che vinse il primo premio
238
. A quanto sembra, scrisse unode per celebrare
la vittoria di Alcibiade ai giochi Olimpici del 416
239
. Nel 415 Euripide ottenne il secondo premio
alle Dionisie con la tetralogia che comprendeva lAlessandro, il Palamede, le Troiane, e il dramma
satiresco Sisifo; solo le Troiane sono conservate per intero. Nel 412 present al concorso
drammatico lElena, pervenutaci per intero, insieme allAndromeda, di cui leggiamo solo
frammenti. La sua ultima partecipazione ad una competizione alle Dionisie avvenne nel 408, con la
trilogia che comprendeva lOreste. Visse poi per un certo periodo alla corte di Archelao, re di
Macedonia; la tragedia Archelao, in cui viene narrata la vicenda del personaggio mitico da cui il re
prendeva nome, va fatta risalire a questa epoca. Euripide mor in Macedonia nellinverno del
407/406 a. C. Poco dopo la sua morte, suo figlio mise in scena ad Atene lIfigenia in Aulide,
lAlcmeone secondo (spesso detto Alcmeone a Corinto) e le Baccanti (si veda lo scolio al v. 67 delle
Rane di Aristofane). La cronologia delle altre opere di Euripide si basa su elementi pi incerti
240
.
Nella sua carriera Euripide ottenne solo quattro vittorie alle Dionisie, ma fu certamente uno
dei poeti pi famosi ed amati ad Atene. Aristofane, nelle Rane del 405 a. C., mette in scena Dioniso
stesso, il dio del teatro, che scende allAde per riportare in vita Euripide, il suo poeta preferito;
Euripide, vero, perder la gara infernale contro Eschilo, ma non c dubbio che egli fosse
considerato uno dei pi grandi poeti drammatici.

2. LA VICENDA DELL'ECUBA

235
Cfr. Nauck 1848, 252-63, Wilamowitz 1959 [1895] I, 146-48, Barrett 1964, 153, Mastronarde 1994, 11, 37 e
168-69; cfr. anche 140.
236
Vita Euripidis 2, Schwartz 1887, 2 righe 5-6; Kovacs 1994a, 2-3; TrGF 5.1, p. 27 (T 1 IA.5 Kannicht) e p. 61.
237
Vita Euripidis 1, Schwartz 1887, 1 riga 1; Kovacs 1994a, 2-3; TrGF 5.1, p. 56 Kannicht.
238
Euripide scrisse due versioni drammatiche del mito di Ippolito. La seconda delle hypotheseis, attribuita ad
Aristofane di Bisanzio da Kirchhoff, afferma che il dramma che noi leggiamo per intero fu rappresentato nel 428;
lautore dellhypothesis suppone che si tratti della seconda versione. Sulla questione si veda Gibert 1997b, TrGF 5.1,
pp. 459-60 Kannicht.
239
Plutarco, Vita di Alcibiade, 11; Vita di Demostene, 1; a Plutarco dobbiamo gli unici due frammenti di
questopera (cfr. PMG 755-56).
240
Per una discussione con bibliografia si veda sotto, sezione 3 e in generale Cropp-Fick 1985 per un sommario
dei dati.
43


La vicenda dell'Ecuba si svolge dopo la cattura della citt di Troia da parte dei greci. Le prigioniere
troiane stanno per partire come schiave verso la grecia insieme ai loro padroni. La vicenda
ambientata in una zona della Tracia vicino a Troia; sullo sfondo viene rappresentata la tenda di
Agamennone (e forse altre: si veda nota *000* al testo). Nel prologo (vv. 1-97), cio nella parte
precedente all'arrivo del coro
241
, appare il "fantasma" di Polidoro, figlio di Ecuba e di Priamo,
sovrano di Troia. Durante l'assedio di Troia, Polidoro fu affidato a Polimestore, un alleato e amico
di Priamo, per sfuggire a una eventuale distruzione della citt. Polimestore ha tradito la fiducia e
ucciso il ragazzo per impadronirsi delle sue ricchezze. Polidoro profetizza lo svolgimento della
vicenda tragica: Ecuba, a cui Polidoro apparir in sogno, trover il suo cadavere, e inoltre Polissena,
sorella di Polidoro, verr sacrificata sulla tomba di Ulisse
242
. Ecuba arriva in scena, vecchia e
debole, piena di apprensioni per i suoi figli in conseguenza dei sogni appena avuti. Nella parodo
(brano d'ingresso del coro: vv. 97-153) il coro informa Ecuba che l'esercito dei greci ha deciso di
sacrificare Polissena sulla tomba di Achille; Achille stesso apparso ai greci chiedendo che la sua
toma ottenesse un "dono onorifico". Il primo episodio (brano dopo la parodo e prima del primo
stasimo: vv. 154-443) inizia con un amebeo (o kommos, brano in cui gli attori cantano dialogando
tra loro, come in questo caso, o con il coro: vv. 154-215) in cui Ecuba chiama Polissena e la mette
al corrente degli avvenimenti. Poi, in una parte in versi recitati, Odisseo arriva in scena (vv. 216 ss.)
per portare Polissena al sacrificio; Ecuba cerca vanamente di convincere Odisseo a impedire il
sacrificio, che Polissena dichiara di preferire a una vita da schiava. Odisseo parte con Polissena, e
Ecuba si accascia a terra per il dolore. Nel primo stasimo (cio il primo canto del coro, dopo la
parodo: 444-83) il coro immagina come sar la sua vita in Grecia, sotto la schiavit, in differenti
localit (Tessaglia, Delo, Atene). Nel secondo episodio (vv. 484-628) Taltibio, il messaggero dei
greci, racconta ad Ecuba e al coro il modo nobile e coraggioso in cui Polissena ha affrontato la
morte; il lungo racconto del messaggero un'altra caratteristica formale tipica della tragedia greca,
specialmente euripidea
243
. Ecuba esprime il suo dolore e la sua ammirazione per la figlia, e d
ordini per preparare la sua sepoltura. Nel secondo stasimo (vv. 629-56) il coro ricorda la colpa di
Paride che, rapendo Elena, ha dato inizio alla guerra; il coro inoltre lamenta i dolori causati dalla
guerra ai greci e ai troiani. Nel terzo episodio (vv. 657-904) una serva porta in scena il cadavere
velato di Polidoro, da lei casualmente trovato sulla spiaggia mentre attitngeva acqua per lavare il
cadavere di Polissena. Ecuba, dopo un momento in cui crede si tratti di Polissena, scopre con orrore
la verit, intuisce la colpa di Polimestore, e esprime il suo dolore in un amebeo (o kommos: vv. 681-
720). Arriva in scena Agamennone, e Ecuba, dopo aver vanamente tentato di convincerlo a punire
Polimestore per l'omicidio, ottiene almeno l'assicurazione che egli non contraster i tentativi di
vendetta, e fa mandare a chiamare Polimestore. Nel terzo stasimo (vv. 905-52) il coro ricorda la
notte in cui i greci conquistarono la citt di Troia. Nell'esodo (la parte finale della tragedia, dopo
l'ultimo stasimo del coro: 952-1295) arriva in scena Polimestore, accompagnato dai figli. Egli
mente, lasciando intendere che Polidoro stia bene, e viene attirato nella tenda da Ecuba, attratto con
la scusa di rivelazioni su tesori nascosti a Troia. Dentro la tenda Ecuba acceca Polimestore e uccide
i suoi figli. Polimestore arriva in scena accecato, lamentando la sua sorte in una monodia (1056-
1106). Agamennone, attratto dalle grida, arriva in scena e giudica, in una sorta di processo, la colpa
di Polimestore e la punizione a lui inflitta. Il racconto di Polimestore (vv. 1132-82) ha molti aspetti
formali che ricordano la narrazione di un messaggero. Agamennone decide che la punizione
congrua alla sua colpa. Polimestore narra delle profezie riguardanti Ecuba e Agamennone: lei sar

241
Le tragedie greche, come noto, utilizzano gli interventi cantati del coro per scandire la vicenda tragica. Per
definizioni ed analisi dei vari elementi strutturali della tragedia (episodio, parodo, stasimo, kommos, amebeo, monodia,
etc.) si vedano Jens 1971, Taplin 1977, passim, spec. 470-79, Di Benedetto-Medda 1997, 163-265, Di Marco 2000,
167-287, e vari contributi in Gregory 2005, in cui compreso un mio lavoro sulle parti liriche (Battezzato 2005).
242
La pronuncia dei nomi nomi, nella loro forma greca, la seguente: Hekb, Poldros, Polumstor, Poluxn,
Agammnn. La pronuncia normalmente utilizzata quella che segue laccento latino: cuba, Polidro, Polimstore,
Polssena, Agamnnone.
243
Discussioni recenti in de Jong 1991, Barrett 2002, con bibliografia precedente.
44

tramutata in una cagna e morir affogata in mare, mentre Agamennone verr ucciso da sua moglie.
La tragedia si conclude con gli ordini di Agamennone di portare via Polimestore, di seppellire i figli
di Ecuba, e di preparare la partenza per la Grecia.
LEcuba ebbe grande popolarit in et antica. Ennio e Pacuvio riadattarono il dramma per la
scena romana, scrivendo rispettivamente una Hecuba e una Ilione
244
. Virgilio narra la storia di
Polidoro (Eneide III 13-68) e allude brevemente al sacrificio di Polissena (Eneide III 320-24).
Ovidio riprende la narrativa euripidea, includendo la morte di Polidoro, quella di Polisssena, e la
trasformazione in cagna (Metamorfosi XIII 429-575).

3. DATAZIONE
3.1 Metrica
Nello sviluppo del trimetro giambico di Euripide si riscontra un progressivo aumento percentuale
delle soluzioni (elementi lunghi realizzati con due sillabe brevi, invece che con una lunga), e una
sempre maggiore libert nelluso di esse. Questo fenomeno, notato gi da Hermann
245
, permette di
ottenere una cronologia relativa dei drammi
246
. Nelle statistiche lEcuba risulterebbe nettamente
posteriore allIppolito (messo in scena nel 428 a .C.) e leggermente posteriore alle Supplici (del 423
o 422 a. C.). Cropp-Fick 1985, 21 sgg. costruiscono un modello matematico per calcolare, data la
percentuale di soluzioni, i limiti cronologici probabili di una tragedia. Anche secondo questo
modello, lEcuba sarebbe da datarsi tra il 422 e il 418, mentre le Supplici cadrebbero tre il 424 e il
420. Cropp e Fick suggeriscono che, nel caso dellEcuba e dellOreste, leffettiva percentuale di
soluzioni sopravanza la percentuale che ci aspetteremmo idealmente in una misura tale da
suggerire linflusso di fattori speciali (forse, nel caso dellEcuba, una incidenza eccessiva delle
soluzioni causate da nomi propri anche se possiamo pensare che, dopotutto, non fosse la prima
edizione delle Nuvole a parodiare lEcuba)
247
. Nella statistica di Ceadel 2, che esclude dal conto i
nomi propri, l'Ecuba inserita nella cronologia con perfetta regolarit (si noti la frequenza di nomi
con inizio anapestico, `|sa3, A,a..., l`u:.: e l`u::.).
Si noti poi che l'Erechtheos datato al 423
248
o al 422 (Webster, Carrara) dal riferimento in
Plut. Nic. 9, 5 e ha, secondo i calcoli di Cropp-Fick, il 27,25 % di trimetri con soluzione (il 5, 45 %
dei piedi giambici passibili di soluzione), una percentuale ben pi alta di quella attesa.


244
Per Ennio cfr i ffr. LXXXIII-XCII Jocelyn, con il commento (Jocelyn 1969, 303-18). Rosato 2003b, 182 offre
una bibliografia aggiornata; si veda anche la nota dello stesso Rosato (2003a). Per Pacuvio si vedano i riferimenti di
Mossman 1995, 252-53.
245
Per una storia delle opinioni dei critici su questo criterio metrico cfr. Ceadel 1941, 66 sgg. La discussione pi
aggiornata della evoluzione della tecnica dei trimetri giambici euripidei si trova in Cropp-Fick 1985, e in Devine-
Stephens 1981.
246
Riprendo e integro le indicazioni di Cropp-Fick 1985, 5, i quali riassumono i calcoli di studiosi precedenti
(Descroix e Ceadel). Ceadel ha calcolato le percentuali in due modi: prima (Ceadel 1) ha incluso le soluzioni
rappresentate dai nomi propri, che possono variare da un dramma allaltro a seconda delle esigenze di trama, e poi le ha
escluse (Ceadel 2: si veda Ceadel 1941). Cropp-Fick 1985, 23 calcolano anche la percentuale di soluzioni rispetto al
numero di piedi giambici teoricamente sottoponibili a soluzione; questa serie riportata in fondo (Cropp-Fick 2). Ecco i
dati: Ippolito: 6, 7 (Descroix); 6, 3 (Ceadel 1); 4, 3 (Ceadel 2); 6, 1 (Cropp-Fick 1); 1, 23 (Cropp-Fick 2); data del
dramma: 428 a. C.; Andromaca: 15, 7 (Descroix); 16 (Ceadel 1); 11, 3 (Ceadel 2); 15, 9 (Cropp-Fick 1); 3, 18 (Cropp-
Fick 2); Ecuba: 19, 4 (Descroix); 19, 7(Ceadel 1); 12, 7 (Ceadel 2); 19, 8 (Cropp-Fick 1); 3, 96 (Cropp-Fick 2); data:
prima del 416 (cfr. sotto, paragrafo 3.2); Supplici. 17, 6 (Descroix); 17, 2 (Ceadel 1); 13, 6 (Ceadel 2);17, 3 (Cropp-Fick
1); 3, 46 (Cropp-Fick 1); data: 423/422: cfr. la bibliografia e la discussione nel commento di Collard 1975, vol. I, 8-14
(Collard propende per il 423) e in Di Benedetto 1971, 154-162 (a favore del 422); Elettra 21, 6 (Descroix); 21, 6
(Ceadel 1); 16, 9 (Ceadel 2); 21, 5 (Cropp-Fick 1); 4, 30 (Cropp-Fick 2); Eracle 23, 3 (Descroix); 23, 2 (Ceadel 1); 21,
5 (Ceadel 2); 23, 2 (Cropp-Fick 1); 4, 64 (Cropp-Fick 2); Troiane 27 (Descroix); 26, 8 (Ceadel 1); 21, 2 (Ceade 2); 26,
8 (Cropp-Fick 2); 5, 37 (Cropp-Fick 2); data: 415.
247
Cropp-Fick 1985, 23: the actual resolution-rates exceed the "ideally" expected rates to an extent which
suggests the influence of some special factors, (possibly, in the case of Hekabe, an excessive incidence of proper-name
resolutions unless, after all, it was not in the first edition of Clouds that Hekabe was parodied).
248
Austin 1968; 22, Di Benedetto 1971, 154 s.; entrambi ritengono possibile, ma meno probabile, anche il 424.
45

Cropp e Fick sottolineano che il testo parla di cori che sing such things as il fr. 369 dell'Eretteo, e sostengono che
Plutarco might well have been doing no more than quoting a well known lyric line, which regardless of its date,
summoned up the mood which he wished to depict (Cropp-Fick 1985, 79 s.). Essi ricordano ricordano che in Nic. 5, 4
Plutarco dice che la vita di Nicia era tale che "avrebbe potuto dire" i versi 455 s. dell'Ifigenia in Aulide. La loro
conclusione era che, in base alla probabilit statistica, la tragedia dovesse essere datata tra il 419 (418, 8 a rigore
statistico) e il 413, e esprimevano una preferenza per il 416. Pi di recente Cropp, nella sua edizione dell'Eretteo, pur
esprimendo cautele sull'utilizzazione del passo di Plutarco, ritiene possibile il 422
249
. Gli argomenti avanzati contro
l'utilizzazione del passo di Plutarco sono importanti ma non decisivi: Plutarco si riferisce esplicitamente a "cori"
(mentre in 5, 4 fornisce una ipotesi esplicitamente irrealizzata), e questo fa pensare che avesse informazioni
didascaliche (o dipendesse da una fonte che si basava su informazioni didascaliche)
250
.

3.2 Imitazioni in commedia
I vv. 1165 sg. delle Nuvole di Aristofane sono una evidente parodia di Hec. 172-174
251
(il testo
incerto in entrambi i passi per alcuni particolari). Inoltre i vv. 718 sg. delle Nuvole sono forse
parodia di Hec. 159-161
252
. Le Nuvole sono state rappresentate nelle Dionisie del 423 a.C., e in
seguito rielaborate da Aristofane. Se i passi in questione facevano parte della prima redazione,
l'Ecuba stata rappresentata prima del 423. Se, come ritengo meno probabile, i passi furono
aggiunti nella revisione, il termine ante quem va posto nel 417
253
.
I versi di Aristoph. Nub. 1165 sg. non fanno parte delle zone del testo che, a detta dei
testimoni antichi, erano state sicuramente rimaneggiate da Aristophanes
254
, ma vero che tutta la
commedia fu sottoposta a modifiche (cfr. Hypothesis I Dover 1968, rr. 3-5 = A7, p. 4, rr. 20-22
Holwerda, e Dover 1968, LXXXII sg.). Molti perci suggeriscono cautela nell'uso di questa
testimonianza per la datazione dell'Ecuba. Ley 1987, seguendo una osservazione di Bentley, ritiene
che Nub. 1169 sia l'unico verso lirico di Socrate nella commedia, e che questo provi che il passo sia
stato aggiunto nella revisione. In realt il testo di v. 1169 non sicuro (av.). `a3.. :. u.. :u
RV, av.). :u `a3.. EKN, av.). :u``a3.. f, un docmio, lettura su cui si basa Ley)
255
. Dover e,
in seguito, Sommerstein, hanno proposto delle congetture che restituiscono rispettivamente un
giambo (av.). `a3.., cfr. l'identica frase in Av. 1029) e un anapesto (av.). :). `a3..), in modo

249
Cropp in Collard-Cropp-Lee 1995, 155, e cfr. la nota a fr. 370, v. 117, dove una sua nuova proposta sa. :av[
invece di sa. :a v[.. di Austin sostituisce giustamente un supplemento che postulava un tipo di soluzione inusuale
per una tragedia euripidea del 422.
250
E' vero per, come ricorda Cropp, che talvolta Plutarco altera la cronologia per fini "drammatici" (cfr. Pelling
1980, spec. 127-29), anche se non per questo si deve dubitare di ogni dettaglio plutarcheo.
251
La dipendenza di Nub. 1165 sg. da Hec. 172-74 era gi notata negli scoli tomano-tricliniani al passo di
Aristofane (cfr. Scholia recentiora in Nubes, cfr. Koster 1974, 165, ad 1165-66).
252
Wilamowitz 1959 [1895], II, 144 e n. 51, Oeri 1907, 288, Dover 1968 ad loc. Per una breve discussione dei
dati sulla cronologia dell'Ecuba cfr. Fernndez Galiano 1967, 223, che riesamina la questione senza portare contributi
originali (e con bibliografia sommaria).
253
Nub. 518-562 sono precedenti all'ostracismo di Iperbolo (cfr. Dover 1968, LXXX e ad v. 551), che si data con
buona probabilit al 416: cfr. Woodhead 1949, 82-83 seguito ad es. da McGregor 1965, 43-46, Fuqua 1965, Gomme-
Andrewes-Dover 1981, 258-61. Le datazioni alternative proposte oscillano fra il 419/418 e il 415: cfr. la bibliografia
raccolta da Piccirilli 1993, 271, ad Plut. Nic. 11, 5. probabile che la revisione delle Nuvole (che non fu condotta in
maniera accurata e completa, ma lasci delle parti che risultavano anacronistiche, cfr. Dover 1968, LXXX) sia stata una
sola, da datarsi tutta a prima dell'ostracismo di Iperbolo.
254
Si tratta in particolare della parabasi, dell'agone fra il Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto, e dell'incendio
finale (cfr. Hypothesis I Dover, rr. 7-9 = A7, p. 5, rr. 1-3 Holwerda). In ogni caso, come osserva Oeri 1907, 289, anche
nella prima versione delle Nuvole Pheidippides doveva rientrare in scena a un certo punto, e non c'era necessit di
riscrivere questi versi della commedia (ma questo non un argomento conclusivo come Oeri riteneva)
255
Per comodit riproduco il testo dei vv. 1164-70, secondo l'edizione di Dover 1968.
. sa`.:. :... ..:).. .: ...
. :.s.. . va. ..`) .s..
a.. :u va::.
:.. : .s...: a..
::. . ).`: . ).`:.
:.. av.). `a3...
::. .. .. :.s...
46

da evitare l'anomalia
256
. In sostanza l'argomento di Ley (accettato da Marshall 1992, 92) non
sembra decisivo.

C' un altro brano che si pu discutere in questo contesto
257
. In Eq. 725 -728 si trova un passaggio molto
simile a Hec. 172-177:
|`. . A. :.u ..`). A`. . A. . va:.
..`). ::. |`. . A.:.. <.> ).`:a:.
..`). .. ..:.: .a v..u3.a..
A. :...: . 3..:.:;
E' possibile che le somiglianze siano casuali, anche se la combinazione dei vari fattori (..`). ripetuto; il
vocativo ripetuto; la presenza di .. ..:.: combinato con un complemento oggetto che comprende una forma di .:;
la domanda :...: . 3..:.:;, simile a :. 3a .:; di Polissena) pu far sospettare una dipendenza dall'Ecuba. Si noti,
oltre ai riecheggiamenti verbali, che questa la prima uscita sulla scena di Demos, cos come il passo dell'Ecuba
introduce sulla scena Polissena. Per quanto riguarda le singole espressioni si pu ricordare: l'imperativo ..`). usato
in Aristofane solo nei Cavalieri e nelle Nuvole, e cio in Eq. 1299 (discorso diretto riportato), Nub. 866 s. (:.u :.u
. :.sa::. / ..`)) e 1166 (l'imitazione dell'Ecuba esaminata sopra)
258
. Non ci sono, in Aristofane, altri casi di
frasi finali con il congiuntivo di .:a dipendenti da un imperativo di un verbo di movimento ("vieni/esci/entra, e cos
saprai"). L'ingresso in scena di Demos e la sua domanda :...: . 3..:.:; ha paralleli, nel contesto di una 3 , in
Ach. 572 v).. 3: su:a v`..::.a:;, Av. 60 :...: u:.; :.: 3.. :. :.:v:.;, Plut. 639-641
a.a3a:a./ :: :.: 3 v: .::..; (i passi degli Acarnesi e del Ploutos sono fortemente parodici; si veda
anche il paratragico Nub. 1154, tratto da Eur. fr. 623). Si noti che per nel caso dei Cavalieri 3a. piuttosto nel senso
di "gridare", come i versi seguenti rendono chiaro (728-730 us av.: av :: )ua:; / :. ...:.... u
sa:.:vaaa:.. / :.: . la)`a,.. a:.s.. :.;
259
), mentre gli altri casi aristofanei, eccetto quello degli Uccelli,
riguardano una precisa (quasi rituale) richiesta d'aiuto. Contro l'identificazione di una parodia del passo dell' Ecuba, si
pu obiettare che il passo parodiato non sarebbe stata riconoscibile specificamente
260
e la possibile imitazione tragica
non viene sfruttata per effetti comici. Per un altro caso di paratragedia senza enfasi si pu ricordare proprio nei
Cavalieri il v. 759, che riprende Prom. 59 (Rau 1967, 188 la considera una "Remineszenz ohne komische Pointe"
261
).
Ma non si pu concludere senza notare che molti di questi elementi sono comuni nel linguaggio tragico, o
semplicemente naturali in greco, e non c'era bisogno di uno specifico modello perch Aristofane li combinasse nel suo
testo. Inoltre il testo e l'autenticit di Hec. 175-76 sono stati messi in discussione. Non si pu quindi ritenere che la
relazione di dipendenza sia sicura. D'altra parte non credo si possa escludere assolutamente la possibilit di una
influenza del passo dell'Ecuba. Se si trattasse di una parodia dell'Ecuba ci sarebbero due novit sostanziali: 1) l'Ecuba
andrebbe datata a prima delle Lenee del 424, probabilmente alle Dionisie del 425; 2) l'autenticit di Hec. 175 s.
verrebbe difesa contro le proposte di espunzione accolte frequentemente.

L'altro passo delle Nuvole 717-722:
:. u
)u:a :a a:a. )u: .a.
)u: u. )u: : .3a:
sa. v: :u:.: .:. :.:. sas.:.
)ua: a.:..

256
La congettura di Sommerstein senza dubbio la pi brillante, in quanto spiegherebbe meglio le varianti (RV
hanno incorporato uno scolio, EKN hanno frainteso il pronome, e f ha cercato di porre rimedio; l'interpolazione di :u
meno facilmente spiegabile nell'ipotesi di Dover). Per il pronome :). attestato in Aristofane solo in Eq. 1020, in
un oracolo (parodico) in esametri e non viene mai usato altrove, nemmeno in passi paratragici; non impossibile, ma
non nemmeno troppo prudente introdurlo qui, in una frase assolutamente fattuale e piana, pronunciata da un
personaggio che non sta usando un linguaggio elevato. Un'altra possibilit, meno buona paleograficamente, sarebbe
l'inversione :u `a3.. av.). (anapesto, con brevis in longo alla fine del verso).
257
Il passo dei Cavalieri non stato addotto in precedenza in relazione alla datazione dellEcuba, per quanto ho
potuto verificare, e non segnalato da Rau 1967.
258
Ci sono molti altri casi in tragedia in cui ..`). / ..`).:. viene usato per un invito ad uscire dalla skn:
Aesch. Cho. 663, Soph. Phil. 1262, Eur. Med. 895, Hcld. 643, Pho. 1070 ..`) asu:. (i vv. 1070-71 sono espunti
da Reeve e Diggle, ma si veda Mastronarde 1994 ad loc.) 1264, Or. 112.
259
La domanda di Demos cosa ti fanno, Paflagone? (con un tono "affettuoso", cfr. Ba. 1320) si riferisce
probabilmente a .a v..u3.a. del v. 727.
260
Non c'era nulla che faceva sospettare che si trattasse dell'Ecuba in particolare. Daltra parte la stessa
osservazione varrebbe per il passo delle Nubi, in cui il tono eccessivamente enfatico, ma non offre spunti per indicare
a quale passo si alluda.
261
Sul rapporto fra i due passi cfr. anche Marzullo 1993, 223-28.
47

`.,u )u:: ,.,..a.
per cui si confronta Hec. 159-161 poiva geneav, poiva de; povli )u:: v.:3u: )u:.
va.:.:. Non ci sono altri esempi di anafora di )u:: in tragedia eccetto Andr. 1078, in un
trimetro giambico ()u: .. au:. )u:a : a)a u sa:.)
262
e Hec. 159-161, in un
brano anapestico (cfr. per anche IT 153-155, Ion 865-66, Or. 1373 )u:a )u:a ,a ,a,
ovviamente posteriori alle Nuvole). Certo Hec. 159 ss. non l'unico esempio in tragedia di anafora
con isocolia in anapesti (cfr. ad es. Alc. 861, 863, Med. 99, 111), e Aristofane avrebbe potuto
certamente scrivere questo passo delle Nuvole anche senza l'esempio di Hec. 159-161 (o di Andr.
1078), ma, considerando che l'altra imitazione sicura, ed tratta proprio dalla stessa monodia, e
che anche Nub. 717 ss. in anapesti, possibile che il passo dell'Ecuba abbia giocato una parte.

3.3 Riferimenti ad avvenimenti contemporanei
3.3.1 In Hec. 650-656 si parla del lutto delle donne spartane, causato dalla guerra di Troia; vinti e
vincitori sono associati nel lutto. Secondo K. O. Mller il passo si riferisce alla sconfitta spartana di
Pilo
263
. Questa interpretazione stata seguita e rielaborata da altri studiosi (in particolare De
Romilly e Di Benedetto), che sottolineano il valore 'pacifista' di questo passo e lo collegano
all'atmosfera politica immediatamente successiva ai fatti di Pilo
264
.
E' probabile che il lutto delle donne spartane alluda a fatti contemporanei e la sconfitta di
Pilo un ottimo candidato come riferimento. Si noti che il topos pi volte utilizzato da chi parla
per enfatizzare le sofferenze della propria parte (cfr. quanto dice Od. ai vv. 321-325, Thuc. III 67, 3
e Andr. 1038 ss., dove per la precedente rassegna dei lutti troiani non polemica, e lo scopo
consolatoriocfr. anche Ag. 429-455, 567-579), o per sottolineare esplicitamente il valore
consolatorio delle sofferenze dei nemici (Tro. 374-382) o la giustizia delle loro sconfitta (Ag. 357-
369, 531-537).
3.3.2 In Hec. 454-465 il coro, in uno stasimo in cui vengono passate in rassegna varie
possibili destinazioni per la vita di schiavit, ricorda l'isola di Delos e si chiede se parteciper alle
feste in onore di Artemis. Matthiae 1821 ad loc., seguito da altri
265
, not che la festa delia fu
rinnovata su iniziativa ateniese, dopo una purificazione dell'isola avvenuta nell'inverno del 426/425,
come ci attesta Thuc. III 104
266
. Il rinnovamento consistette soprattutto nell'istituzione di una festa

262
Cfr. Rau 1967, 190, con bibliografia ulteriore su questo passo.
263
Mller 1882 [1841], 605 n. 2: die Stelle V. 649 scheint auf die spartanische Unglcksfalle vor Pylos (425) zu
deuten; la trad. ingl. apparve nel 1840, prima dell'ed. tedesca).
264
Cfr. De Romilly 1947, 159; Delebecque 1951, 149; Di Benedetto 1971, 139 sg. E' strano che Ley 1987, 136
sg. presenti questo argomento come propria scoperta, e che non citi nessuno dei suoi predecessori; Collard 1991, 35 n.
64, erroneamente gli attribuisce il merito di aver portato all'attenzione questo passo. Oeri 1907, 294 ritiene invece che
l'allusione al lutto delle spartane sia spiegabile dopo la sconfitta ateniese di Platea (427) e che consolasse gli ascoltatori
ricordano i dolori dei nemici.
265
Cfr. e.g. Hermann 1831 ad loc., Macurdy 1905, 41. In generale su questo stasimo cfr. Rosivach 1975. Rassow
1887, spec. 529 s. e 534, sostiene che il primo stasimo dell'Ecuba, che contiene i versi in questione, sia interpolato,
perch, in contrasto con il prologo, dove si implica che siano gi state assegnate ad un padrone (spec. l. 99), le donne
del coro non sanno in quale citt verranno deportate. Ma certo le schiave non sapevano molto del loro destino, e per una
simile incertezza si pu confrontare il lamento della fanciulla troiana in Tro. 1096-99, in apparenza dopo l'assegnazione
a un padrone (Mossman 1995, 24 s. ricorda la somiglianza con passo omerico di Il. 6.456 s., confrontato gi da
Eustazio, e si veda anche XXIV 732-735). La replica a Rassow offerta da Maass 1889, 517 s. (sottolineando che le
schiave potevano essere vendute) perfettamente giustificata. Maass per, basandosi, tra l'altro, sul v. 1016 (si veda la
nota al v. 54, nel commento), sostiene erroneamente che nell'Ecuba le schiave non vivevano nelle tende dei greci e
perci non erano ancora state assegnate ai loro padroni; questo non possibile (Cassandra, ad esempio, gi stata
assegnata, e la partenza era imminente gi prima dell'inizio della tragedia, cfr. vv. 111 ss., e verr effettuata senza
indugi non appena si presenter un vento propizio, cfr. 898-901, e soprattutto 1288 ss. voi, donne Troiane, dovete
andare alle tende dei vostri padroni).
266
Sulla festa cfr. Nilsson 1906, 144-149. Sul culto di Artemis e Apollo in et arcaica cfr. Gallet de Santerre
1958, 127-43.
48

speciale da celebrarsi ogni quattro anni, con un agone e una hippodromia. Questo costituirebbe il
termine post quem per l'Ecuba
267
.
Per, come hanno osservato molti
268
, i cori in onore del dio, organizzati dagli abitanti di
Delos e dagli Ateniesi, come ci attesta esplicitamente Tucidide (III 104. 6) non furono mai interrotti
(Tucidide non parla, a proposito del V sec., di cori in onore di Artemis). Gli Ateniesi erano
interessati a Delos gi molto prima del 426 (per iniziativa di Pisistrato ci fu una prima purificazione
dell'isola, come ci attesta Erodoto, I 64. 2) ed era naturale pensare che le ragazze di Delos
celebrassero Artemis anche prima del rinnovamento della festa
269
: Delos era un santuario famoso in
tutta la Grecia, da secoli (basti ricordare l'inno omerico ad Apollo)
270
. In ogni caso una datazione
dopo il 426/425 si accorda bene con gli altri elementi discussi sopra.

3.4 Rapporti con altre drammi
Sono stati avanzati altri argomenti di importanza minore
271
, e alcune opinioni sulla cronologia
relativa dell'Ecuba rispetto ad altre opere:
3.4.1 Sono state notate varie somiglianze con il Ciclope
272
, specialmente nella scena
dell'accecamento; il Ciclope pu essere contemporaneo (cos, tra gli altri, Sutton, seguendo una

267
Oeri 1907, 291 congettura, ai vv. 455-457, .a:. <> a`... s.va. v.v..a. :a`a..a. .s:a.
3.:a. .u:a. .s.: (scil. v.u..:); e sostiene (pp. 292 s.) che il 425 sia un termine ante quem. Il suo testo
andrebbe inteso come mi spingi verso un'isola infelice che ha me, pietosa esistenza, nelle sue case, isola celebrata con
una processione navale. L'infelicit di Delo non sarebbe possibile dopo il rinnovamento della festa nel 425 unter der
Leitung des Nikias (p. 292). La proposta di Oeri a proposito della cronologia dell'Ecuba si basa sulla sua improbabile
congettura (v.v..a. non pu voler dire "die von Meerschiff in (periodisch) wiederholter Bittfahrt besuchte [scil.
Insel]", p. 291, e l'intrico degli accusativi femminili, che si riferiscono alternativamente a "isola" e a ".", inestricabile
e inelegante). Che Nicia sia stato responsabile per il rinnovamento solo una congettura (cfr. anche Gomme 1956 ad
Thuc. III 104, e Bond 1981, 241 n. 1, ad HF 678, che cita Plut. Nic. 3 per una considerable re-organization of the
ceremonies ad opera di Nicia), e una congettura che non ritengo probabile (cfr. Hornblower 1991, 517-18). Plutarco
enfatizza la pietas di Nicia verso Delos ricordando vari suoi atti di devozione e di generosit (ad esempio di come
condusse il coro in maniera pi solenne e ordinata del solito), ma non dice che rinnov la festa. Questa omissione
strana, se veramente ci fu un atto ufficiale di rinnovamento e riorganizzazione della festa: Plutarco un autore che cita
tanti dettagli e vuole elogiare Nicia.
268
Wilamowitz 1959 [1895] II 140-142, Nestle 1901, 316, Zuntz 1955, 58, Ley 1987, Collard 1991, 35. Contro
questo scetticismo argomenta Di Benedetto 1971, 138 n. 18.
269
Sembra inoltre che la festa fosse incentrata specificamente sul culto di Apollo (cfr. Rosivach 1975, 352-354),
e che la festa per Artemis fosse distinta (cfr. Nilsson 1906, 209), anche se non possibile escludere che ci fossero anche
dei cori per Artemide (cfr. .`s. .. Av``.. A:..:. u. in h. Hom. Ap. 165, ricordato anche da Tucidide), e
c'erano sicuramente cori femminili durante la festa per Apollo (cfr. Nilsson 1906, 145 n. 1, 146). Henrichs 1996, 56 (su
Hec. 462-465) e 57-59 sulle Deliades e sul culto.
270
Altri riferimenti a Delo sembrano confermare l'interesse di Euripide per questa festa, specialmente la
menzione delle fanciulle di Delo che cantano il peana in HF 687-690 (cfr. Bond 1981, 240-41 ad HF678, favorevole
all'ipotesi di Matthiae)
271
Wilamowitz 1959 [1895] ad HF 1195 sostiene che Hec. 785 il modello di HF 1195 sg., e che quindi l'Ecuba
precedente, cosa che "steht aus andern grnden fest". L'argomento trascurabile e, come spesso, non sarebbe possibile
stabilire quale passo imiti l'altro basandosi semplicemente sui testi. Oeri 1907, 286 s. analizza alcune frasi che si
ritrovanno simili o identiche nell'Ecuba e in Aiace, Edipo Re e Trachinie ma conclude giustamente che non si possono
trarre conclusioni cronologiche da questi dati (e le coincidenze non sono impressionanti, e potrebbero facilmente essere
casuali). Oeri 1907, 294 sg. sostiene che i vv. 814-19, in cui si discute della opportunit di avere dei maestri che
insegnino a persuadere, debbano essere stati scritti dopo il 427, data della venuta di Gorgia ad Atene. I dati metrici
rendono possibile l'allusione a Gorgia, in aggiunta agli altri maestri di retorica, ma l'argomento non probante di per s
per la cronologia: Protagora, ad esempio, era attivo ad Atene gi ben prima del 427. Sul Protagora e Euripide cfr. Di
Benedetto 1971, 83-95. Sulla introduzione delle figure gorgiane prima di Gorgia cfr. J. H. Finley 1939, 38-44 e 59
[=1967, 58-66 e 85]; Fehling 1969 passim, con le considerazioni generali su Gorgia alle pp. 109-11. Si veda anche la
nota ai vv. 814-19.
272
Cfr. spec. Cycl. 663~Hec. 1035, Cycl. 666-668~Hec. 1039-1041. Si veda in particolare Kaibel 1895, 82-84,
seguito da Tanner 1915, 181 s., Sutton 1980, 114-120. Ussher 1978, 196-97 offre una utile e concisa rassegna delle
somiglianze, con bibliografia e giudiziose osservazioni di cautela sulle possibilit di trarre argomentazioni sulla
cronologia.
49

proposta avanzata da Grgoire
273
) o posteriore all'Ecuba, mentre improbabile che sia anteriore
(sembra pi logico pensare che la presentazione umoristica, o addirittura parodica, offerta nel
Ciclope, segua e non preceda quella dell'Ecuba
274
). La data del Ciclope per incerta: non
possibile provare che sia un'opera della prima fase della produzione euripidea, e le date proposte,
quale che sia la loro verosimiglianza, sono tarde
275
. Il Ciclope non molto utile come termine ante
quem.
3.4.2 La Polyxena di Sofocle, per quello che possiamo vedere dai frammenti che ci sono
pervenuti, trattava del sacrificio di Polissena ad Achille, come la prima parte dell'Ecuba. Ci sono
dei punti di contatto specifici: il fantasma di Achille compariva in scena, probabilmente all'inizio
della tragedia, come Polidoro nell'Ecuba (si veda spec. il fr. 523, con il primo apparato di Radt ad
loc., e Hec. 1 s., Sen. Ag. 1 s.). Nella Polyxena un messaggero raccontava l'apparizione di Achille
alla flotta che stava per partire (cfr. Proclus Chrestom. 291 Severyns, e Ps. Longinus 15, 7
entrambi i passi si possono leggere in Radt p. 403)
276
: cfr. Hec. 109-15, dove il coro assume la
funzione di un messaggero. Calder 1966, 53-56 discute la cronologia della Polyxena e, seguendo
Wilamowitz
277
, sostiene che Euripide a imitare Sofocle, e non viceversa, ma senza riuscire
convincente. Gli argomenti di Calder sono molto deboli. In particolare il fatto che Hec. 1-3 sia in
uno stile pi piano e semplice di Soph. fr. 523 non prova nulla, dato che come noto lo stile di
Euripide nei prologhi chiaro e espositivo
278
. L'altro argomento,
279
secondo cui l'Ecuba deriva dalla
Polyxena perch il fantasma di Achille tradizionale e quello di Polidoro non lo , ugualmente
debole: era tradizionale l'apparizione di Achille alla flotta, ma questa non l'apparizione del
prologo, e raddoppiare il numero delle apparizioni pu essere stato suggerito a Sofocle dal fantasma
di Polidoro. In ogni caso la trama dell'Ecuba sembra in gran parte una invenzione originale di
Euripide. Comunque anche quando due tragedie di soggetto simile o identico sono conservate per
intero difficile stabilire, solo sulla base dei testi, la loro cronologia relativa (basta ricordare le
lunghe discussioni sui rapporti fra le due Elettre, o fra Ifigenia in Tauride e Elena, e si pensi anche

273
Cfr. la discussione in Sutton 1980, 114-120, con la bibliografia a p. 114 n. 371 e s. La proposta interessante
ma indimostrabile (lidea considerata attraente da Zeitlin 1996, 197). Sutton 1980, 119 s. sostiene che ci fosse spesso
una relazione tematica, in una tetralogia, fra drammi satireschi e tragedie; ma alcuni dei suoi esempi sono molto vaghi
(cfr. le "somiglianze" individuate fra Aiace e Ichneutai, pp. 47 s.; ma il caso delle Supplici di Eschilo seguite
dall'Amymone pi credibile, cfr. p. 16 e n. 58). Sutton aveva gi sostenuto questa tesi in articoli precedenti: cfr. Ussher
1978, 197 e n. 124.
274
Cos Marshall 1992, 94 (anche se l'argomento non decisivo, e la scena dell'accecamento potrebbe parodiare,
ad es., l'Edipo Re; non tutti i paralleli sono ugualmente stringenti). Kaibel 1895, 84 s. e Tanner 1915, 181 ss.
sostenevano la priorit del Ciclope. rispetto all'Ecuba. Fernndez Galiano 1967, 240, seguendo Mridier, nelledizione
Bud, p. 15, n. 1 (che non viene per citato), sostiene, senza argomentare la sua affermazione, che Cycl. 361 .
v:.:u sia parodiato in Ach. 1054 . :.:u, e quindi l'Ecuba sia posteriore al Ciclope (e ne sia una parodia). La
somiglianza tra i due passi debolissima, e riguarda un sintagma molto ridotto; e comunque non si vede come si possa
determinare la direzione dell'eventuale prestito. Ussher 1978, 197-204, offre una rassegna dettagliata dei paralleli di
lingua e di azione scenica fra il Ciclope e tragedie e commedie attiche (cfr. Ussher 1978, 201 e n. 35 sullargomento di
Mridier).
275
Per una rassegna delle ipotesi cfr. Ussher 1978, 193-204 (che si dichiara dubitativamente per il 412), e Seaford
1982 (dopo le Tesmoforiazuse di Aristofane e il Filottete di Sofocle); si vedano, contro Seaford, Ussher 1978, 202 per
l'argomento del Filottete, rifiutato anche da Sutton 1980, 102 s., e Battezzato 1995, 134-35.
276
Che l'apparizione di Achille alla flotta fosse parte di un racconto del messaggero, e distinta dall'apparizione
nel prologo, stato provato da Friedrich 1933, 104-106. Il fatto che nell'Ecuba il racconto dell'apparizione sia molto
breve e che Euripide faccia riportare questo episodio dal coro, che ha funzione di messaggero, pu essere invocato
come un debole elemento per la posteriorit dell'Ecuba. Ma cfr. in generale la nota seguente.
277
Wilamowitz 1909, 450 = 1962, 229.
278
Certo non si pu dare importanza all'osservazione secondo cui `). [di Sofocle] becomes the more prosaic
s., (Calder 1966, 55): s. normale nei prologhi euripidei, cfr. Tro. 1, Ion 5, Ba. 1. Il parallelo euripideo che Calder
stesso cita for the same uninteresting [!] route and vocabulary (Alc. 124-126), mostra che Hec. 1-3 lo stile normale
di Euripide: per provare una dipendenza da Sofocle. Calder avrebbe dovuto dimostrare l'opposto, cio che lo stile di
Hec. 1-3 insolitamente elevato, e perci influenzato da Sofocle.
279
Calder 1966, 54, che riprende Friedrich 1953, 34.
50

al problema della relazione Ciclope/Ecuba appena discusso): farlo basandosi su dei frammenti
impresa quasi sempre troppo rischiosa. In ogni caso non abbiamo elementi per datare la Polyxena.
3.4.3 Ci sono altre imitazioni in commedia, nessuna utile ad alzare il termine ante quem a
prima delle Nuvole (o a prima dei Cavalieri), e alcuni casi sono incerti. Sicura imitazione di Hec. 1
Aristofane frr. 156, v. 1 Kassel-Austin e 177 Kassel-Austin (Gerytades, probabilmente del 407 o
408; discusso da Rau 1967, 210), da confrontare anche con il fr. 1 (Aiolosikon, l'ultima commendia
di Aristofane). Ci sono vari altri casi incerti. Per lo scolio del codice Ravennate ad Ran. 1331
280
il v.
68 dellEcuba parodiato in Ran. 1331 (probabilmente lo scolio, citando il v. 68 intende che tutto il
passo viene presupposto da Aristofane), ma il rapporto molto generico (cos anche Rau 1967, 132
s., che non ricorda lo scolio; lo stesso Rau 1967, 204 parla di "frei imitiertes Vorbild", ma segna il
passo in grassetto, come un caso non dubbio). Rau 1967, 210 cita i Daitales (427) fr. 234 Kassel-
Austin per un esempio di parodia che coinvolgeva Ecuba, ma non ci sono paralleli verbali, e ci sono
altri candidati possibili (l'Iliupersis di Iofonte, una tragedia forse rappresentata il 428 a.C. cfr.
Kassel-Austin ad Aristoph. fr. 234, e Iophon 22 T 1a, F 2b in TrGF vol. 1)
281
.

3.5 Conclusione sulla datazione
La tragedia sicuramente posteriore al 428 (Ippolito) e precedente o contemporanea alle Supplici
(423/422) per motivi metrici. Altri criteri ci dicono che sicuramente precedente al 416 (seconda
redazione delle Nuvole), e probabilmente precedente al 423 (prima redazione delle Nuvole). Le
allusioni nel testo forse indicano una data posteriore all'inverno del 426/425 (festa delia) e al 425
(Pilo). Il 424 una data molto probabile
282
.

4. IL TESTO E LE EDIZIONI DELL'ECUBA

Il testo dell'Ecuba ci conservato da un largo numero di manoscritti. Ledizione di Gilbert Murray,
pubblicata a Oxford nel 1902, ne utilizzava 7, pi un paio citati sporadicamente; riportava inoltre
alcune lezioni tratte da altri codici indicati genericamente come bizantini, senza indicazioni pi
specifiche. Secondo lo studio di Alexander Turyn, pubblicato nel 1957, esistono 268 codici
contenenti testi di Euripide
283
. Stephen Daitz, nella sua edizione Teubner del 1973, ne utilizz 20;
inoltre riportava indicazioni sporadiche su altri 22 manoscritti, traendole dal lavoro Turyn. Nel 1974
Kjeld Matthiessen pubblic uno studio dettagliato della tradizione manoscritta dellEcuba. Dopo un
esame approfondito di oltre 60 manoscritti, concluse che quelli da utilizzare per una edizione critica
dellopera sono 29. Lultimo editore, James Diggle, riprendendo le collazioni di Matthiessen, ne
cita sistematicamente 21, e riporta indicazioni sporadiche su altri 32. I manoscritti utilizzati sono
quasi tutti compresi tra il X e il XIV secolo; alcuni dei manoscritti utilizzati sporadicamente sono di
epoca pi tarda. A questa enorme mole di informazioni si aggiungono vari papiri e un ostrakon
(testo scritto su supporto in terracotta); questi altri documenti risalgono al periodo compreso tra il
III sec. a. C. e il V sec. d. C. Diggle utilizzava nove papiri e un ostrakon. Tre altri papiri sono stati
pubblicati di recente; due ulteriori papiri, gi pubblicati nel passato, vanno aggiunti
284
. I papiri

280
Cfr. ledizione di W. G. Rutherford 1896.
281
Si pu aggiungere che Eupolis fr. 111 Kassel-Austin u :.... u. s.: .. .s,...a. :.s.a / ..: )
.u: :u: ..::u: :.. va:. / <>; (dai Demoi, del 412, probabilmente detto da Pericle a proposito dei suoi
figli "degeneri") molto simile ai vv. 592 ss. dell'Ecuba; ma non probabile che si tratti di una imitazione di questo
passo preciso (le teorie scientifiche basate sull'analogia uomo/mondo della natura erano parte del patrimonio culturale
del tempo, cfr. la nota di Collard 1991 ad Hec. 592-602, e l'esclamazione con :.... uno stilema tragico diffuso, cfr.
Diggle 1970 ad Phaeth. 164).
282
Se si accettasse la dipendenza di Eq. 725-728 da Hec. 172-176, il termine ante quem sarebbe il 424, e la
tragedia andrebbe datata al 425 (un po' presto, se si considerano i criteri metrici, ma la differenza di un anno non
dovrebbe creare grossi problemi); l'allusione alla festa delia sarebbe ancora possibile, quella a Pilo no.
283
Turyn 1957, 3-9. Turyn, in questo calcolo, considera solo i manoscritti precedenti al 1600.
284
Cfr. Montanari 1987a e 1987b; Obbink (e altri) 2001, 2-5. Sulle divergenze tra papiri e tradizione medievale si
veda in particolare Fassino 1999 e 2003. Il papiro pubblicato da Heichelheim 1940 di identificazione molto incerta.
51

riportano porzioni ridotte di testo, ma in vari casi presentano lezioni discordanti da quelle dei
manoscritti, e mostrano lesistenza di problemi nel testo o, talvolta, soluzioni a problemi gi
individuati. Alcuni versi dellEcuba sono riportati in raccolte di sentenze (gnomologi)
285
.
Labbondanza di testimoni non garantisce che il testo del dramma sia esattamente vicino a
quello scritto dallautore. Nel caso di Eschilo, numerosissimi manoscritti riportano il testo dei Sette
a Tebe, ma tutti presentano un lungo brano interpolato alla conclusione della tragedia. Le Fenicie di
Euripide, trasmesse da un numero di manoscritti analogo a quello dellEcuba, terminano
ugualmente con un lungo passo interpolato, e lautenticit di numerosi altri passaggi sospettata da
molti editori. Per lEcuba non ci sono problemi di cos grande portata, ma lautenticit di alcuni
gruppi di versi stata sospettata, e spesso il testo discusso.
Il testo scritto dallautore naturalmente una entit che non possiamo recuperare con
assoluta certezza in tutti i particolari. Ogni edizione di un autore antico unoperazione di
ricostruzione, che deve prima trovare i testimoni pi affidabili e scegliere ad ogni passo fra le
varianti che i manoscritti presentano. I manoscritti antichi sono essi stessi delle edizioni basate di
solito su un manoscritto che faceva da modello, il cui testo veniva spesso integrato con lezioni tratte
da altri manoscritti a disposizione del copista o del correttore. Il processo attraverso cui il testo dei
tragici giunto a noi lungo e complesso.
286
Dopo la scrittura, il testo veniva affidato agli attori
perch lo leggessero e lo imparassero. Alcune copie circolavano ad Atene gi nel V secolo a. C.
287
;
nel IV secolo alcune opere di Euripide vennero di nuovo portate sulla scena, e attorno al 330 il
politico e oratore ateniese Licurgo fece preparare una copia affidata al grammateus (segretario); la
copia veniva conservata nellarchivio ateniese, e doveva essere seguita dagli attori per le nuove
rappresentazioni. Galeno (XVII.a, 607) dice che questa copia pass alla biblioteca di Alessandria
288
.
In ogni caso possibile che alcune corruzioni o interpolazioni, specialmente quelle pi lunghe e
complesse, fossero gi intervenute prima della fissazione di un testo ufficiale ad opera di Licurgo, o
prima della fissazione di una edizione nella biblioteca di Alessandria. In ogni caso il processo di
contaminazione e corruzione continuava ad ogni operazione di copiatura.
Erano in azione per anche forze che tendevano a limitare lerrore. Aristofane di Bisanzio
(255-180 a. C. circa), responsabile della biblioteca di Alessandria dEgitto, probabilmente prepar
unedizione del testo di Euripide, affront il problema dellautenticit delle opere trasmesse, e, a
quanto sembra, divise in cola le parti liriche (cio cantate), scritte fino ad allora come prosa
289
.
Aristarco di Samotracia (216-144 a. C. circa), anchegli a capo della Biblioteca di Alessandria,
comment i testi dei tragici, discutendo problemi di testo e di interpretazione. Didimo (I sec. a. C.-I
sec. d. C.), attivo ad Alessandria dEgitto, studi il testo dei tragici e compil delle note di
commento in cui venivano riportate le opinioni dei suoi predecessori; Didimo pi volte citato

285
Si tratta in particolare, per lEcuba, dello gnomologio contenuto nel manoscritto Vatopedianus 36, del XII
secolo. Sul processo di formazione delle raccolte di sentenze si veda Pernigotti 2003, con bibliografia.
286
Per una panoramica sulla trasmissione dei testi tragici dallantichit al medioevo cfr. Wilamowitz 1959 [1895]
I, 121-258, Barrett 1964, 45-84, Zuntz 1965, 249-88, Di Benedetto 1965a, Griffith 1977, 226-34, e, su singole tragedie,
Matthiessen 1974, Mastronarde 1982, Diggle 1991. Lomiento 2001 offre una prospettiva sulla tradizione dei testi greci
in generale, con amplia e aggiornata bibliografia. Si vedano anche i lavori inclusi in Battezzato 2003a, con riferimento
alla trasmissione dei testi in et antica.
287
Si vedano ad es. i passi famosi di Aristofane, Rane 52-54 e 1114.
288
Su Licurgo e Galeno rimando a Battezzato 2003b, con bibliografia.
289
Si veda Dion. Hal. de comp. verb. XXII. Gentili-Lomiento 2003, 7-10 seguendo Fleming-Kopff 1992 e altri,
negano che la divisione in versi sia da attribuire unicamente ad Aristofane di Bisanzio (nato al pi presto nel 273 a. C.:
Nickau 1972, 26; West 1978b, 3-4) e sostengono che abbia valore tradizionale. La questione si propone non solo per la
tragedia ma anche per la lirica (Tessier 1995; DAlessio 1997, 55-59). Sono in effetti attestati esempi di divisione
colometrica precedenti allattivit di Aristofane di Bisanzio, in particolare lo stesicoro di Lille: cfr. Parsons 1977, 11;
West 1978b, 3-4, Haslam 1978, 34; Turner 1980, 21 e 38; Prauscello 2006, 7-8 e 78-85. Non ritengo provato che gli
autori stessi gi dividessero in cola le parti liriche (Battezzato 2004). Sulla divisione in cola nei testi drammatici cfr.
Barrett 1964, 84-90; Mastronarde 1982, 151-64; Zuntz 1984, 31-35; Diggle 1991, 132-51; Parker 1997, 98-106; Parker
2001; Gentili-Lomiento 2003, 7-12 e 37-38, con bibliografia. Sulla questione della notazione musicale nei testi tragici
si veda Phlmann-West 2001; Prauscello 2003 e 2006. Sul sistema dei margini adottato nei papiri euripidei per la
presentazione della parti liriche si veda Savignago 2003, con bibliografia.
52

negli scoli ad Euripide
290
. La relazione tra i commenti di questi studiosi antichi e gli scoli medievali
complessa; in ogni caso certo che una parte del materiale pi antico, scritto di solito in opere di
commento autonomo, pass poi nelle note esegetiche ricopiate nei margini dei testi
291
.
Nellet imperiale il rotolo di papiro venne abbandonato a favore del libro; a partire dal IX-
X secolo si diffuse la scrittura in minuscola: entrambi questi cambiamenti nella tecnologia libraria
portarono a modifiche nel contenuto dei libri stessi
292
, e dei commenti ad essi
293
. I pi importanti e
pi antichi manoscritti risalgono ai secoli X-XII: H (Hierosolymitanus :a)u 36, del sec. X), M
(Marcianus graecus 471, del sec. XI), B (Parisinus graecus 2713, del sec. XI), O (Laurentianus
31.10, della fine del XII sec.).
Nel periodo bizantino le tre tragedie Ecuba, Oreste, Fenicie sono le pi lette del corpus
euripideo, con lEcuba in testa ai manoscritti. Queste tre opere (la cosiddetta triade bizantina)
furono oggetto di insegnamento scolastico, e di note di commento dei principali studiosi. In
particolare il regno di Andronico II Paleologo (1282-1328) un momento di grande fioritura
culturale. Manuele Moscopulo (nato nel 1265)
294
, Tommaso Magistro (attivo attorno al 1300)
295
e
Demetrio Triclinio
296
sono autori di abbondanti scoli ai drammi della triade
297
. Turyn riteneva che i
manoscritti con scoli di Moscopulo e di Tommaso Magistro seguissero una sorta di edizione
preparata da questi due studiosi, ma questa ipotesi appare ora molto improbabile alla luce delle
ricerche di Matthiessen, Mastronarde e Diggle rispettivamente su Ecuba, Fenicie e Oreste
298
.
Demetrio Triclinio invece studi in dettaglio la metrica e il testo di tutte le tragedie di Euripide,
inserendo sue correzioni nei manoscritti, e realizzando di fatto una edizione organica. Spesso le
sue correzioni sono arbitrarie o inappropriate, me in numerosissimi punti egli ha il merito di aver
migliorato il testo di Euripide con semplici congetture, e di aver tramandato molte lezioni genuine
tratte da manoscritti per noi perduti. Per il testo di Euripide lopera di questi studiosi e le lezioni
attestate nei manoscritti loro contemporanei sono di grande importanza.
Il passaggio dal codice manoscritto alledizione a stampa fu un altro momento di restrizione
della tradizione. La prima edizione di testi euripidei, pubblicata a Firenze nel 1496, includeva
Medea, Ippolito, Alcesti e Andromaca
299
. La prima edizione che includeva lEcuba fu pubblicata da
Aldo Manuzio a Venezia nel 1503; si trattava della prima edizione di tutti i drammi conservati di
Euripide, tranne l'Elettra. Il testo greco fu curato, a quanto sembra, da Giovanni Gregoropulo
300
, e
si basava sui codici scritti alla fine del quattrocento, ora conservati a Parigi (Parisinus Suppl. gr.
212; Parisinus Suppl. gr. 393). Questi manoscritti furono preparati per la stampa, e collazionati con

290
Wilamowitz 1959 [1895] I, 139-65 offre una panoramica sugli studiosi antichi menzionati in questo paragrafo,
in relazione con il testo dei tragici. Pfeiffer 1973 fondamentale sulla storia della filologia antica.
291
Sulla formazione degli scolii ad Euripide cfr. Zuntz 1965, 273-75. Per alcuni nuovi casi e per una bibliografia
sul problema rimando a Battezzato 2003c.
292
Sul problema del passaggio dal rotolo al codice, e sullimportanza di questo processo per la selezione dei testi,
si vedano i lavori di Cavallo 1986 e 1989. Sulle attivit librarie nellantichit e nel medioevo, sia latino che greco,
orientano le raccolte di saggi curate dallo stesso autore (Cavallo 1975, 1977 e 1982).
293
Sul passaggio dai commenti agli scolii si veda Wilson 1983.
294
Su Moscopulo si vedano Turyn 1957, passim, Zuntz 1965, 160-62, Matthiessen 1974, 89-94, Mastronarde
1982, 24, Wilson 1990, 369-72, Diggle 1991, 1-3 e 49-80.
295
Su Tommaso Magistro Turyn 1957, passim, Zuntz 1965, 162-70, Matthiessen 1974, 95-100, Mastronarde
1982, 121-36, Wilson 1990, 373-75, Diggle 1991, 81-92.
296
Su Demetrio Triclinio si vedano Turyn 1957, 25-33, e passim, spec. 193, 302-303, Zuntz 1965 passim, spec.
154-55 e 193-201, Matthiessen 1974, 100-105, Mastronarde 1982, 143-46, Wilson 1990, 375-83, Diggle 1991, 93-110.
297
Gli scolii medievali sono editi da Dindorf 1863, insieme a quelli antichi; Gnther 1995 ha studiato in dettaglio
i manoscritti, e ha pubblicato nuovi materiali. Si veda la recensione di Mastronarde 1997.
298
Si vedano appunto Matthiessen 1974, Mastronarde 1982 e Diggle 1991.
299
Ledizione non aveva titolo, o indicazioni di luogo e anno di stampa. Fu stampata probabilmente da Francesco
di Alopa; il testo greco fu curato da Ianos Laskaris: Matthiessen 1974, 19 n.1.
300
Fino allarticolo di Sicherl 1975 si credeva, seguendo Kirchhoff 1855, che leditore delledizione aldina fosse
stato Marco Musuro; cos anche Diggle 1981 attribuisce a lui le correzioni dellAldina (si veda Diggle 1984, V n. 1),
53

i manoscritti Monacensis gr. 560 (del sec. XIV) e Salamantinus 31 (del 1326)
301
. I due manoscritti
presi come base non sono tra n tra i pi antichi n tra i migliori; inoltre ledizione presentava
parecchie altre lezioni erronee. Le altre edizioni rinascimentali furono preparate ripresero il testo
dellAldina e introducendo lezioni tratte da altri manoscritti o trovate per congettura
302
. Il processo
di ampliamento della base documentaria per le edizioni dur vari secoli; fino alla fine del settecento
non fu molta dedicata molta attenzione alla collazione di nuovi codici.
Tra le edizioni del cinquecento bisogna ricordare quella realizzata da Erasmo da Rotterdam
nel 1524, con traduzione latina. Ledizione di Guglielmo Canter (Willem Canter, 1542-75),
pubblicata ad Anversa nel 1571, notevole per la cura verso la metrica sia delle parti in trimetri che
di quelle corali, cosa che port leditore a individuare numerose correzioni nel testo e a proporre
numerose felici correzioni congetturali. E caratteristico per della pratica editoriale dellepoca che
il testo riprenda quello di una edizione precedente (ledizione Hervagiana del 1537), e che Canter
avanzi le proposte congetturali solo nelle annotazioni. In questepoca lo Scaligero (Joseph-Juste
Scaliger, 1540-1609) diede contributi congetturali molto acuti, ma essi rimasero inediti fino al
1974
303
. Alla fine del cinquecento lumanista belga Iohannes Livineius (Jan Lievens, 1546-99)
collazion la sua edizione Aldina con vari manoscritti, tra cui limportante Vaticanus gr. 909, del
XIII sec., e pot migliorare il testo in moltissimi punti, anche con numerose convincenti propose
congetturali. Non riusc per a pubblicare una edizione: ho dato notizia delle sue proposte euripidee
nel 2000
304
.
Ledizione di Barnes del 1694 aggiunge notizie su altri manoscritti, ma i progressi maggiori
arrivano con le edizioni di King (1726), Musgrave (1778) e Brunck (1780); tutti questi editori si
sforzarono di conoscere e riportare lezioni di nuovi manoscritti e di avanzare proposte congetturali;
Musgrave in particolare fu particolarmente efficace in questo campo. Brunck ebbe il merito di
prendere come base per il suo testo non una edizione precedente ma il manoscritto A (Parisinus gr.
2717), del XIII sec., un manoscritto considerato ancora adesso molto importante per la costituzione
del testo. Un progresso importante nella critica del testo avvenne con le edizioni di Porson del 1797
e del 1802; Porson dedic grande attenzione alle regole metriche del trimetro giambico e, tra le altre
importanti osservazioni, individu una fondamentale legge che da lui prende il nome (Legge di
Porson), e che regola il quartultimo elemento del verso, vietando fine di parola se tale elemento
realizzato da una sillaba lunga
305
. Questa pi approfondito studio delle leggi metriche permise a
Porson di correggere il testo di numerosi passi della tragedia.
Le edizioni dellEcuba pubblicate da Hermann nel 1800 e nel 1831 portarono un progresso,
non tanto per lacquisizione di nuovi dati sulla tradizione manoscritta quanto per le sue proposte
congetturali, basate su uno studio approfondito della lingua dei tragici. Ledizione di tutto Euripide
pubblicata a Glasgow nel 1821 raccoglieva le note dei principali editori e commentatori precedenti
(soprattutto Musgrave, Beck, Porson). Anche ledizione di Matthiae fu utile nel presentare notizie

301
Cfr. Sicherl 1975, Mastronarde 1982, 20, Mastronarde 1988a, XVIII-XX, e Diggle 1991: 72-3. Questo vale
per i drammi della triade: Oreste, Ecuba, Fenicie. Per gli altri drammi leditore si serv del Palatinus gr. 287 (il famoso
manoscritto P), e del Parisinus gr. 2817 (Kirchhoff 1855 vol. I, XI ss.; Kannicht 1969, I, 110), una copia del manoscritto
L; sulla questione si veda ora Magnani 2000, 207-233, il quale sostiene che leditore si fosse servito di una copia ora
perduta dello stesso manoscritto Parisinus gr. 2817 e del manoscritto ora conservato in due parti come Parisinus gr.
2887 e Parisinus gr. 2888.
302
Matthiessen 1974, 20-22, Mastronarde 1988a, XVIII-XX.
303
Collard 1974.
304
Battezzato 2000. Il suo ruolo per Sofocle era gi noto: si vedano Lloyd-Jones e Wilson 1990, 270-75.
305
Si vedano le parole di Porson: se il verso termina con una parola che forma un cretico, e questa parola
preceduta da una parola pi lunga di un monosillabo, il quinto piede deve essere un giambo o un tribraco (Porson
1802, XXX si voce, quae Creticum pedem efficeret, terminaretur versus, eamque vocem hypermonosyllabon
praecederet, quintus pes iambus vel tribrachys esse debet). La legge accennata in Porson 1797, 23, nella nota a nella
nota al v. 347 della sua edizione (= Hec. 343 nelle edizioni moderne), e poi discussa pi a lungo nella prefazione
alledizione del 1802. La prima formulazione in realt risale a Hermann 1800, 108, ad Hec. 341 editionis suae = 343
nelle edizioni correnti. Sullesatta formulazione della legge e sulla sua interpretazione prosodico-metrica si della legge
si vedano Devine-Stephens 1984; cfr. anche West 1982, 42, Martinelli 1995, 82, Gentili-Lomiento 2003, 251.
54

su manoscritti e nel raccogliere il lavoro degli studiosi precedenti, con alcuni contributi nuovi (1813
e 1821).
Le edizioni di Pflugk (1840), Hartung (1851), Paley (1858, 1874
2
) e Weil (1879, 1905
3
)
sono utili per i loro commenti; quelle di Kirchhoff (1855), Nauck (1854, 1885
3
), Prinz (1883) e
Prinz-Wecklein (1901
2
) per il testo, contenente varie proposte congetturali acute. Kirchhoff, e
soprattutto Prinz e Prinz-Wecklein offrono per la prima volta informazioni dettagliate e sistematiche
sui molti dei manoscritti essenziali per la costituzione del testo. Il conciso commento di Hadley
1894 ancora utile. Nel novecento ledizione di Murray 1902 stabil la base per lo studio del testo
dellEcuba, fino alle edizioni di Daitz 1973 e Diggle 1984, basate su uno studio esaustivo della
tradizione manoscritta. Il commento di Collard 1991 e soprattutto quello pi dettagliato di Gregory
1999 offrono una utilissima guida allinterpretazione. Si veda ora Synodinou 2005, che riprende e
commenta il testo di Diggle 1984. Ledizione della Synodinou mi stata disponibile solo quando il
presente lavoro era ultimato, e non stato possibile inserire che occasionali sistematici ad essa.

5. NOTA AL TESTO

Il testo riprodotto a fronte corrisponde a quello curato da James Diggle per la serie Oxford Classical
Texts e pubblicato nel 1984, con le correzioni della ristampa 1987, e quelle stampate da Diggle nel
terzo volume della sua edizione (Diggle 1994a, 480-81). Il testo di Diggle stato modificato per
nei casi elencati sotto. In varie circostanze in cui il testo incerto, o in cui ricostruzioni alternative
sono ugualmente probabili, si preferito seguire le scelte di Diggle, per comodit del lettore. Il
lettore ricordi che le parentesi quadre [ ] racchiudono parole o frasi che, a giudizio delleditore, non
furono scritte da Euripide.
Mi discosto dal testo di Diggle nei seguenti casi:

90-91 Ritengo autentici questi versi ma li colloco dopo il v. 76 (che contiene una parte del v. 90,
resto della collocazione originaria).
355-356 Cambio di punteggiatura: invece l:a.a.:.. . / ,u.a.. (Diggle) scrivo l:a.a.:.. /
,u.a..: cfr. Gronewald 1989, 221 e Kovacs 1995, 430-31.
402-404 Considero non autentiche le parole sa. :u. va. Aa.:.u. / a`a :s.u:.. ..s:.:
)uu...:. / :u :. . :a`a..a. Ecuba detta irata, come ovvio (..s:.: )uu...:):
lavverbio (come ovvio) troppo debole per descrivere la situazione di Ecuba, la quale tra
laltro mostra disperazione e tenacia piuttosto che ira. Inoltre limperativo obbedisci (v.)u) di
Polissena si collega normalmente (anche se non invariabilmente) a una indicazione del contenuto
preciso dellordine (Cycl. 309-10, Hcld. 174-75, Or. 1101, Ba. 309-10, IA 1460-61, fr. 188, 1-2, fr.
661, 12) se esso non viene espresso precedentemente (Alc. 1097-1101, Hipp. 891-92, IA 731-39,
passo di incerta autenticit, cfr. anche IA 725-26). Infine, non chiaro in cosa Odisseo dovrebbe
cedere o essere indulgente (a`a) verso Ecuba: Odisseo otterr esattamente tutto quello che
vuole ottenere. I versi sono stati introdotti presumibilmente per spiegare il silenzio di Odisseo, a cui
Polissena si rivolger solo al v. 432, dopo laddio alla madre.
414-421 Mantengo lordine dei versi presente nei manoscritti. Diggle 1984 (cfr. Diggle 1994b, 229-
32) traspone in modo da avere il seguente ordine dei versi: 414, 417, 418, 419, 420, 415, 416, 421.
Contro la trasposizione di Diggle cfr. Mastronarde 1988b, 157.
531-33 Espungo questi versi. L'ordine del silenzio ripetuto quattro volte, e poi di nuovo descritto
alla fine del discorso. Normalmente lordine viene dato una volta sola; due volte nel discorso di un
messaggero in Eur. Suppl. 669 e in passi dialogici come Cycl. 448, HF 1067, Or. 140, 1311:
lordine ripetuto perch linterlocutore non lo compie. Si pu ricordare che in Eur. Pho. 1223-24
(di nuovo nel discorso di un messaggero) l'ordine di far silenzio semplicemente indicato dal
comandante Eteocle, senza che questa operazione banale venga descritta: "Eteocle cominci (a
parlare), stando sull'alto di una torre, dopo aver dato l'ordine che gli araldi proclamassero il silenzio
all'esercito". E' possibile che nellEcuba i versi siano stati ampliati per dare maggior importanza
55

all'attore che recitava la parte del messaggero. Si pu anche pensare ad eliminare solo le parole :.,a
va: .::. `..:. / :.,a :..va (532-533) o uno solo dei v. 532 o 533, ma testo risultante meno
soddisfacente.
540 A differenza di Diggle, non ritengo corrotto l'aggettivo "propizio" (v.u..u:). La ripetizione
dello stesso aggettivo a breve distanza (cfr. v. 538) non di per s un segno di corruzione. Sulle
ripetizioni in tragedia si veda ora Pickering 2000a e 2000b.
599-602 Diggle espunge questi versi seguendo una proposta di Sakorraphos. Considero autentici i
vv. 600-602 ed espungo il solo v. 599. Si veda la n. *0000* alla traduzione.
688 Per errore Diggle attribuisce al Coro questa battuta, che nei manoscritti attribuita alla Serva:
ci si aspetta che parli colei che ha annunciato la sventura del figlio di Ecuba. Kovacs 1995 e
Gregory 1999 attribuiscono correttamente la battuta alla Serva.
743 stampo s`u.. (forma dellaoristo) non s`u.. (Diggle: forma del presente): cfr. West 1984, 175
con bibliografia.
748 stampo s`u... (forma dellaoristo) non s`u... (Diggle: forma del presente): cfr. West 1984,
179.
756-759 Diggle espunge i vv. 756-57 e colloca il v. 759 prima del v. 758. I vv. 756-759 sono
omessi da tre papiri (Papiri di Ossirinco 4557, 4558 e, in base agli spazi in lacuna, anche 4559) e
sono da considerarsi interpolati (cfr. Hughes e Nodar in Obbink (e altri) 2001, 40). Seguo
lespunzione proposta da Nauck (756-8) e Hartung (759), gi prima della scoperta e pubblicazione
del papiro. L'interpolazione attenua un passaggio dialogico brusco e sottolinea la volont di
vendetta di Ecuba. A favore dellautenticit dei versi si veda invece Mastronarde 1988b, 157.
790 Elimino la virgola stampata da Diggle dopo la parola a.::.
805 Mantengo il testo dei manoscritti a.).v.: .:., mentre Diggle stampa a.).v.:. :..
(congettura di Kayser).
824-825 Leggo con i manoscritti sa. . .:.: .. :u `,u s... ::.. / |uv..
v3a``.... a`` .: ..:.:a.. Diggle stampa sa. . .:.: .. :u `,u ... ::.. /
|uv.. v3a``.... a`` .: ..:.:a., accettando la congettura di Nauck ... ("estraneo
al discorso", il che indebolisce l'argomentazione di Ecuba), e inserendo la parentesi sulla scia di una
analoga proposta di Murray. Per la sequenza sa. . .. cfr. v. 1224, Soph. OR 749.
829-30 Leggo con i manoscritti :.. .. .u.. ).`:a:.. a:va:a:.. / a.. :.. ....
Diggle stampa (Diggle) :.. .. .u.. ).`:a:.. a:va:a:.. / a.. :.. ..., inserendo la
sua stessa proposta per dei manoscritti, e :.. di Porson 1797 per :.. dei manoscritti (cfr.
Diggle 1994b, 237-38). Le parole :.. .. .u.. ).`:a:.. a:va:a:.. formano un unico colon, e
non mancano paralleli per una collocazione cos spostata in avanti del pronome interrogativo :..:
cfr. Aesch. PV 439-40 sa.:. )..:. :.: ...: :u:.: ,.a / :.: a``: ,. va.:.`.:
:...:..;, Eur. Suppl. 450-51, e (in sticomitia) Eur. El. 650, HF 558-59 ).`.. :: ).`. ,a
..:.. a.:. :u::u.. :...:;, Hel. 1055, 1270, OR 1211, Ba. 473, 1290, IA 698, Soph. OC 412.
831-32 Mantengo questi versi, che Diggle espunge seguendo una proposta di Matthiae.
847 Leggo con i manoscritti (e con Didimo, ricordato negli scoli) :a: a.a,sa:.
Sullinterpretazione, che rimane controversa, si veda la nota al passo. Si pu pensare anche a
sostituire .. con v.. ( terribile... come le sofferenze determinino le necessit). Diggle
stampa la congettura di Busche :: a.a,s:. Ci si aspetterebbe per di trovare il genitivo in
posizione attributiva: Eur. fr. 475 : :: a.a,s: u `.,... :. u,., fr. 255, 1, IA 747, fr.
898, 6 :... : :)..: : :: ).u, Aesch. PV 105 : :: a.a,s: .:: a:.:. :)..:,
Aristoph. Nub. 1075 :a: :: )u:..: a.a,sa:. Cfr. anche Hec. 799-800, Or. 495, Hel. 1429.
974-75 Diggle espunge questi versi, ma la risposta di Polimestore (non c' da stupirsene) non si
combina bene con il v. 973 (non prenderla come malevolenza verso di te), creando un equivoco
sulla possibile malevolenza di Ecuba (cosa che la donna vuole evitare). Si pu suggerire di
espungere il solo v. 974, piuttosto debole retoricamente (in questo caso au : del v. 973
anticiperebbe il contenuto del v. 975: non prenderlo come malevolenza verso di te, che le donne
[in realt Ecuba] che le donne non guardino gli uomini in faccia). Se si pensa che il riferimento
56

alla norma generale sia retoricamente inappropriato nel contesto l'espunzione di 973-75 (Hartung)
preferibile a quella di Diggle.
1013 Leggo con il manoscritto M, e con Valckenaer e Kovacs, non con Diggle e gli altri
codici. La domanda di Polimestore ironica.
1028-1030 Il testo di Diggle il seguente: : ,a uv.,,u. / A.sa. sa. )..:.. u uv.:....
/ `.).. `.).. sas. ("quando il pegno alla giustizia e agli di coincide, un male che porta
alla rovina, alla rovina"). Nel testo accetto l'emendamento di Matthiae 3.:.. per 3.:.. :
dei manoscritti (Diggle stampa la congettura 3... : di Hermann). Al v. 1030 mantengo u dei
manoscritti (u Hemsteruys, seguito da Diggle). Wildberg 2002, 191 ha avuto il merito di
sottolineare alcune debolezze dell'interpretazione usuale, implicata dalla proposta di Hemsteruys. In
particolare ritengo che sia necessario sottolineare il disaccordo con la Giustizia e con gli di di ci
che porta al "male rovinoso". Wildberg accetta il testo dei manoscritti e dello scolio : ,a
uv.,,u. / A.sa. sa. )..:.. u uv.:.... / `.).. `.).. sas. e traduce: denn dein
Brgschftspfand [pegno di cauzione] stimmt nicht mit der Dike und den Gttern berin; heillos (ist
es), ein heilloses bel (Wildberg 2002, 193). Wildberg per intende "il tuo pegno", perch
sostiene, credo a torto, che un uso metaforico di uv.,,u. sia impossibile, in quanto il termine,
quando non riferito a persone, sempre usato nel senso concreto di "pegno": le attestazioni sono
poche, e quelle di Eschilo (Coefore 39 uv.,,u. facendosene responsabili) ed Erodoto (V 71, 2
uv.,,uu: v`. )a.a:u responsabili con esclusione della pena di morte) certo non
presuppongono un pegno materiale (si tratta delle uniche altre attestazioni letterarie antiche). Nel
nostro passo mancano specificazioni che legano a persone particolari ("la tua xenia") e quindi la
frase da intendersi come gnm, come applicabile in generale a qualsiasi persona. Non sempre il
"pegno" "ingiusto"; perci necessario introdurre un elemento generalizzante ("il pegno che ")
attraverso la congettura di Matthiae. E interessante anche la congettura di Wecklein, poi da lui
stesso ripudiata, )a.a:.. v: a:a. verso una sventura mortale. Il testo dei manoscritti
per accettabile, anche se il senso sovrabbondante (Hades implica di per s lidea di morte).
La proposta di F. Gu. Schmidt )a.a:.. v: au`a., verso una stanza di morte, si colloca sulla
stessa linea di quella di Wecklein, ma molto meno efficace (per entrambe si veda Wecklein 1901,
64).
1059 Leggo con i manoscritti sa:. Diggle stampa sa. (Porson 1802).
1072 Leggo con i manoscritti ).. :.)...: (cfr. Ferrari 1985b, 49). Diggle traspone le parole
leggendo :.)...: ).. con Seidler.
1079 Considero autentiche le parole va. 3., espunte da Diggle secondo la proposta di Nauck.
1174 Elimino la virgola dopo :.. stampata da Diggle.
1270 Accolgo exempli gratia la congettura di Weil )a:.. (cfr. Hdt. I 43 ..v`:. :u ...u
:. ).). Diggle stampa 3.., il testo dei manoscritti, segnalando che corrotto, e ricordando
la congettura di Weil in apparato.

Nel concludere questo volume, desidero ringraziare coloro che hanno discusso con me parti di
questo lavoro: Vittorio Citti, GiovanBattista DAlessio, Franco Ferrari, Maria Chiara Martinelli,
Donald J. Mastronarde, Enrico Medda, Onofrio Vox. Nei confronti di Vincenzo Di Benedetto ho
uno speciale debito di gratitudine e di apprendistato: speciale come Vincenzo Di Benedetto.
Nessuno di questi studiosi da ritenersi responsabile di errori di fatto o di giudizio contenuti in
questa pubblicazione.

[Il testo stato consegnato nell'estate 2006 e per motivi editoriali non stato possibile inserire
riferimenti all'abbondante bibliografia pi recente. Segnalo in particolare l'edizione Euripides,
Hekabe, herausgegeben, bersetzt und kommentiert von K. Matthiessen, Berlin-New York 2008.
Per la prima parte dell'introduzione si vedano inoltre, D. Cohen, Theories of Punishment, in M.
Gagarin, D. Cohen (eds.), The Cambridge Companion to Ancient Greek Law, Cambridge 2005,
170-90; G. Herman, Morality and Behaviour in Democratic Athens: A Social History. Cambridge:
57

Cambridge University Press, 2006. La gran parte degli articoli di V. Di Benedetto sono ora raccolti
nella sua pubblicazione Il richiamo del testo: contributi di filologia e letteratura, prefazione di
Riccardo Di Donato, Pisa, ETS 2007. Nel mio saggio Linguistica e retorica della tragedia greca,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008 riprendo alcuni temi discussi in questa prefazione;
segnalo anche il mio articolo Porson e il testo dellEcuba di Euripide, in corso di stampa su Lexis
27 (2009)]

BIBLIOGRAFIA

ABBREVIAZIONI (opere di riferimento generali)
Diels-Kranz = Die Fragmente der Vorsokratiker, hrsg. von E. Diels-W. Krantz, Berlin,
Weidmann 1951-1952
6
.
FGrHist = Die Fragmente der griechischen Historiker, von F. Jacoby, Berlin, Weidmann,
poi Leiden, Brill 1923-1958.
Gentili-Prato = Poetarum elegiacorum testimonia et fragmenta, ed. B. Gentili-C. Prato,
Leipzig, Teubner vol. I, 1979, 1988
2
, vol. II 1985, Monachii, Saur vol. II 2002
2
.
Kassel-Austin = Poetae Comici Graeci, ediderunt R. Kassel-C. Austin, Berolini-Novi
Eboraci, de Gruyter 1983-.
LfgrE = Lexikon des frhgriechischen Epos, Gttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1955-.
LIMC = Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zrich-Mnchen, Artemis Verlag
1981-1999.
LSJ = H. G. Liddell, R. Scott, H. S. Jones, A Greek-English Lexicon, Oxford, Oxford
University Press 1925-1940
9
(cfr. anche id., A Supplement, edited by E. A. Barber, with the
assistance of P. Maas, M. Schneller and M. L. West, Oxford 1968, e id., Revised Supplement, edited
by P. G. W. Glare with the assistance of A. A. Thompson, Oxford 1996).
PMG = Poetae Melici Graeci, edidit D. L. Page, Oxford, Oxford University Press 1962.
PMGF = Poetarum Melicorum Graecorum Fragmenta, vol. I, edidit M. Davies, Oxford,
Oxford University Press 1991.
RE = A. Pauly-G. Wissowa, Realencyclopdie der classischen Alterumswiessenschaft, ed.
W. Kranz et al., Mnchen-Stuttgart, Metzler, poi Druckenmller 1894-1978.
TrGF = Tragicorum Graecorum Fragmenta, vol. 1, Didascaliae tragicae, catalogi
tragicorum et tragoediarum, testimonia et fragmenta tragicorum minorum, editor B. Snell,
Gttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1971; vol. 2, Fragmenta adespota, testimonia volumini 1
addenda, indices ad volumina 1 et 2, editores R. Kannicht et B. Snell, 1981; vol. 3, Aeschylus,
editor S. Radt, 1985; vol. 4, Sophocles, editor S. Radt (F 730a-g edidit R. Kannicht), 1977;
Tragicorum Graecorum Fragmenta. Vol. 5.1-2. Euripides, ed. R. Kannicht, 2004.
TLG = Thesaurus Linguae Graecae, CD Rom, University of California, Irvine, versione E
(cfr. L. Berkowitz-K.A. Squitier, Thesaurus Linguae Graecae. Canon of Greek Authors and Works,
New York-Oxford, Oxford University Press 1990
3
).
West = Iambi et elegi Graeci ante Alexandrum cantati, ed. M. L. West, Oxonii, Oxford
University Press, vol. I 1971, 1989
2
, Vol. II 1972, 1992
2
.

PRINCIPALI EDIZIONI CRITICHE E COMMENTI CHE COMPRENDONO L'ECUBA
(CITATE CON COGNOME DELLEDITORE E ANNO DI PUBBLICAZIONE)

Euripidis tragoediae septendecim, [] Venetiis, apud Aldum, 1503.
Euripidis Tragoediae duae, Hecuba et Iphigenia in Aulide, latinae factae, Des. Erasmo
Roterodamo interprete, Apud Inclytam Basileam 1524.
Euripidis tragoediae octodecim, Basileae, apud I. Hervagium, 1544.
58

Euripides poeta [] in latinum sermonem conuersus, adiecto [] textu Graeco. Cum
annotationibus et praefationibus in omnes eius tragoedias, autore Gasparo Stiblino, accedunt []
Ioannis Brodaei [] annotationes [], Basileae, per I. Oporinum, 1562.
Euripidis tragoediae XIX [...], opera G. Canteri [], Antverpiae, ex officina Christophori
Plantini 1571.
Euripidis tragoediae quae extant cum latina Gulielmi Canteri interpretatione, Scholia
doctorum virorum in septem Euripidis tragoedias, ex antiquis exemplaribus ab A. Monembasiae
archiepiscopo collecta. Accedunt doctae I. Brodaei, G. Canteri, G. Stiblini, Ae. Porti in Euripidem
annotationes, [stampato a Ginevra], excudebat P. Stephanus 1602.
Euripidis quae extant omnia [] opera et studio Ios. Barnes, Cantabrigiae, ex officina Io.
Hayes, 1694.
Euripidis Hecuba, Orestes, et Phoenissae, collatis decem MSStis textum et scholia
emendavit [] Johannes King, Cantabrigiae, Typis Academicis 1726.
|u.v.:u :a :...a, Euripidis quae extant omnia, [] recensuit [] S. Musgrave, I-
IV [vol. I testo e note, vol. III supplementum alle note, vol. IV trad. latina], Oxonii, E Typographeo
Clarendoniano 1778.
Euripidis tragoediae quatuor Hecuba Phoenissae Hippolytus et Bacchae ex optimis
exemplaribus emendatae, <edidit> R. F. P. Brunck, Argentorati, J. H. Heitz 1780.
|u.v.:u `|sa3, Euripidis Hecuba, ad fidem manoscriptorum emendata et brevibus notis
emendationum potissimum rationes reddentibus instructa <edidit R. Porson>, Londini, G. & T.
Wilkie 1797.
Euripidis Hecuba, Godofredi Hermanni ad eam et ad R. Porsoni notas animadversiones,
Lipsiae, sumptibus Ioan. Gottl. Feindii 1800.
Euripidis Hecuba, ad fidem manuscriptorum emendata et brevibus notis emendationum
potissimum rationes reddentibus instructa in usum studiosae juventutis edidit Ricardus Porson A.
M., Cantabrigiae 1802.
Euripidis Tragoediae et fragmenta, recensuit interpretationem latinam correxit scholia
Graeca e codicibus manuscriptis partim supplevit partim emendavit Augustus Matthiae, Lipsiae,
apud Ioa. Aug. Gottl. Weigel, vol. I, 1813 [testo dell'Ecuba], vol. VI, 1821 [note e apparato].
Euripidis opera omnia, ex editionibus praestantissimis fideliter recusa; latina interpretatione
scholiis antiquis et eruditorum observationibus illustrata necnon indicibus omnigenis instructa,
Glasguae-Londini, ex prelo academico, cura et typis A. et J. Duncan-Impensis R. Priestley (vol. I
Hecuba, 1821).
Euripidis Hecuba, ad fidem manoscriptorum emendata et brevibus notis emendationum
potissimum rationes reddentibus instructa in usum studiosae juventutis edidit Ricardus Porson,
editio in Germania tertia correctior et auctior [con note di G. H. Schaefer], Lipsiae, apud G.
Fleischer 1824.
Poetae Scenici Graeci, accedunt perditarum fabularum fragmenta, recognovit et praefaus est
G. Dindorfius, Lipsiae-Londoni, Weidmann-Black et Young 1830.
Euripidis Hecuba, denuo recensuit Godofredus Hermannus, Lipsiae, Weidmann 1831.
Euripidis tragoediae superstites et deperditarum fragmenta, ex recensione G. Dindorfii,
Oxonii, E Typographeo Academico, tomus I [Hec., etc.] 1832, tomus II [fragmenta, etc.] 1833,
tomus III, Adnotationes, 1839.
Euripidis Tragoediae, recensuit et commentariis instruxit A. I. E. Pflugk, vol. I, Sect. II
continens Hecubam, (Bibliotheca Graeca, [] curantibus F. Iacobs et V. Chr. F. Frost, A.
Poetarum vol. XI), editio altera, Gothae, sumptibus Fridericae Hennings, 1840
2
[non ho avuto
accesso alla prima edizione, pubblicata a Lipsia del 1829].
Euripides' Werke, Griechisch mit metrischer bersetzung und prfenden und erklrenden
Anmerkungen von J. A. Hartung, Leipzig, W. Engelmann 1848-1853, elftes Bandchen: Hekabe
(1850), zwlftes Bandchen: Helene (1851).
59

Euripidis Tragoediae, ex recensione Augusti Nauckii, voll. I-II Lipsiae, Teubner 1854
1
(vol.
I 1885
3
, vol. II 1884
3
).
Euripidis Fabuale, recognovit Th. Fix, Parisiis, Didot, 1855.
Euripidis Tragoediae, ex recensione A. Kirchhoffii, Berolini, typis et impensis Georgii
Reimeri 1855.
Euripidis Fabulae, recognovit A. Kirchhoff, Berolini, Weidmann 1867
2
.
Euripides, with an English commentary by F. A. Paley, London, Whittaker and Co.-G. Bell,
vol. I 1857, vol. II 1858, vol. III 1860 (I 1872
2
, II 1874
2
, III 1880
2
).
Poetarum Scenicorum Graecorum Aeschyli Sophoclis Euripidis et Aristophanis fabulae
superstites et perditarum fragmenta, ex recensione et cum prolegomenis G. Dindorfii, Lipsiae, in
aedibus B. G. Teubneri 1869
5
.
Euripides, Sept tragdies, texte grec, recension nouvelle, avec un commentaire critique et
explicatif, une introduction et des notices, par H. Weil, Paris, Hachette 1879
2
(anche pubblicato in
fascicoli separati: Euripides, Hcube, texte grec, recension nouvelle, avec un commentaire critique
et explicatif, et une notice, par H. W., Paris 1879) (1905
3
).
Euripides, Hecuba, edited with introduction and commentary by W. S. Hadley, Cambridge
Pitt Press 1894.
Euripidis Fabulae, ediderunt R. Prinz-N. Wecklein, Lipsiae, Teubner (1898-1912), spec.
vol. I, pars III, Hecuba, 1883 (ed. R. Prinz), 1901
2
(ed. N. Wecklein).
Euripidis fabulae, recognovit brevique adnotatione critica instruxit G. Murray, Oxonii, E
Typographeo Clarendoniano, vol. I 1902; vol. II, 1913
3
; vol. III, 1913.
Euripide, L'Ecuba, commentata dal Prof. B. Stumpo, Citt di Castello e Milano-Roma-
Napoli, Dante Alighieri 1917.
Euripide, tome II, Hippolyte, Andromaque, Hcube, texte tabli et traduit par L. Mridier,
Paris, Les Belles Lettres 1927.
Euripides, Hecuba, edited, with introduction, notes, and vocabulary by M. Tierney, Dublin,
Brown and Nolan 1946 [ristampa Bristol, Bristol Classical Press 1979].
Euripide, Ecuba, a cura di A. Garzya, Roma-Napoli-Citt di Castello, Dante Alighieri 1955.
Euripides, Hecuba, edidit S. G. Daitz, Leipzig, Teubner 1973 [1990].
Euripides, Tragdien. Zweiter Teil. Alkestis, Hippolytos, Hekabe, Andromache, Griechisch
und Deutsch von D. Ebener, Berlin, Akademie Verlag 1975.
Euripide, Tragedie, a cura di O. Musso, Torino, UTET, vol. I 1980, vol. II 1993, vol. III
2001.
Euripidis Fabulae, edidit J. Diggle, Oxoni, Oxford University Press vol. I, 1984 [1989]; II,
1981; III, 1994.
Euripides, Hecuba, with an Introduction, Translation and Commentary by C. Collard,
Warminster, Aris and Phillips 1991.
C. W. Marshall, A Commentary on Euripides'Hecuba 658-1295 with an Introduction to the
Play as a Whole, (Diss. Edinburgh 1992).
Euripides, Children of Heracles, Hippolytus, Andromache, Hecuba, edited and translated by
D. Kovacs, (Loeb Classical Library, 484), Cambridge, Mass.-London, Harvard University Press
1995.
Euripides, Hecuba, Introduction, Text, and Commentary, by Justina Gregory, Atlanta,
Georgia [New York-Oxford], Scholars Press/Oxford University Press 1999.
Euripides, Ekabe, Eisagoge, Keimeno, Metaphrase, Scholia, [a cura di] K. Synoudinou,
Athena, Daidalos-I. Zacharopoulos 2005.


SCOLI AD EURIPIDE

60

Scholia graeca in Euripidis tragoedias ex codicibus aucta et emendata, edidit G. Dindorfius,
t. I, Oxonii, E Typographeo Academico 1863.
Scholia in Euripidem, collegit recensuit edidit E. Schwartz, Berolini, I, 1887; II, 1901.
Si vedano anche Ghnter 1995, la recensione di Mastronarde 1997 e de Faveri 2002.

SAGGI ED EDIZIONI (CITATI CON COGNOME DELLAUTORE E ANNO DI
PUBBLICAZIONE)

E. L. Abrahamson, Euripides' Tragedy of Hecuba, Transaction of the American Philological
Association 83 (1952) 120-29.
A. W. H. Adkins, Honour and Punishment in the Homeric Poems, in Bulletin of the Institute of
Classical Studies 7 (1960) 23-32.
A. W. H. Adkins, Basic Greek Values in Euripides'Hecuba and Hercules Furens, Classical
Quarterly 16 (1966) 193-219.
W. Allan, Euripides and the Sophists: Society and the Theatre of War, in Cropp-Lee 1999-2000,
145-56.
D. S. Allen, The World of Prometheus: The Politics of Punishing in Democratic Athens, Princeton,
Princeton University Press 2000.
G. Arrighetti (a cura di), Satiro. Vita di Euripide, Studi Classici e Orientali 13, Pisa 1964.
D. Asheri (a cura di), Erodoto, Le storie. Volume III. Libro III. La Persia. Introduzione e commento
di D. Asheri, testo critico di S. M. Medaglia, traduzione di A. Fraschetti, Milano, Fondazione Valla
1990.
C. Austin (ed.), Nova fragmenta euripidea in papyris reperta, (Kleine Texte fr Vorlesungen und
bungen, 187) Berlin, de Gruyter 1968.
H. H. Bacon, Barbarians in Greek Tragedy, New Haven, Yale University Press 1961.
R. K. Balot, Greed and Injustice in Classical Athens, Princeton, Princeton University Press 2001.
G. Barberi Squarotti, La rete mortale: caccia e cacciatore nelle tragedie di Euripide.
Caltanisetta, S. Sciascia 1993.
C. Barone-V. Faggi, Le metamorfosi del fantasma. Lo spettro sulla scena tragica, Palermo,
Palumbo 2001.
W. S. Barrett (ed.), Euripides, Hippolytos, Oxford, Oxford University Press 1964.
J. Barrett, Staged Narrative: Poetics and the Messenger in Greek Tragedy, Berkeley, California
University Press 2002.
L. Battezzato, Il monologo nel teatro di Euripide, Pisa, Scuola Normale Superiore 1995.
L. Battezzato, Dorian Dress in Greek Tragedy, in Cropp-Lee 1999-2000 [Battezzato 1999-2000].
L. Battezzato, Livineius Unpublished Euripidean Marginalia, Revue dHistoire des Textes 30
(2000) 323-48 [Battezzato 2000].
L. Battezzato, recensione a Euripides: Hecuba. Introduction, Text, and Commentary, by Justina
Gregory, Atlanta, Georgia, 1999, Classical Journal 96 (2000/2001) 223-28 [Battezzato 2001].
L. Battezzato (a cura di), Tradizione testuale e ricezione letteraria antica della tragedia greca,
Amsterdam, Hakkert 2003 [Battezzato 2003a].
L. Battezzato, I viaggi dei testi, in Battezzato 2003, 7-31 [Battezzato 2003b].
L. Battezzato, Agatarchide di Cnido e i commenti ai poeti: testimonianze sulla formazione degli
scol ad Euripide e su Elena in Stesicoro, Lexis 21 (2003) 279-302 [Battezzato 2003c].
L. Battezzato, Song, Performance, and Text in the New Posidippus, Zeitschrift fr Papyrologie
und Epigraphik 145 (2003) 31-43 [Battezzato 2003d].
L. Battezzato, Ospitalit rituale, amicizia e charis nellEcuba, in Vox 2003, 13-41 [Battezzato
2003e].
L. Battezzato, La mummia e il poeta, The New York Review of Books. La rivista dei libri, XIV,
5, maggio 2004, 35-37.
L. Battezzato, Structural Elements: Lyric, in Gregory 2005, 149-66.
61

. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-europennes. 1. Economie, parent, socit; 2.
Pouvoir, droit, religion, Paris 1969 (trad. it. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, a cura di
M. Liborio, Torino 1976 [2001]).
W. Biehl, Die Interpolationen in Euripides'Hekabe V. 59-215, Philologus 101 (1957) 55-69.
W. Biehl, Interpretationsprobleme in Euripides' 'Hekabe', Hermes 113 (1985) 257-66.
W. Biehl, Das Kompositionsgesetz in Euripides'Hekabe 154-215, Grazer Beitrge 12/13
(1985/1986) 47-63.
W. Biehl, Textkritik und Formanalyse zur euripideischen Hekabe. Ein Beitrag zum Verstndnis der
Komposition, Heidelberg 1997.
D. Blackmann, Archaeology in Greece 1997-1998, Archaeological Reports 44 (1998) 1-128.
W. M. Bloomer, The Superlative Nomoi of Herodotuss Histories, Classical Antiquity 12 (1993)
30-50.
G. W. Bond (ed.), Euripides, Heracles, Oxford, Oxford University Press 1981.
R. J. Bonner-G. Smith, The Administration of Justice from Homer to Aristotle. Volume II. Chicago,
University of Chicago Press 1938.
S. Braund-G. W. Most (edd.), Ancient Anger. Perspectives from Homer to Galen (Yale Classical
Studies 32), Cambridge, Cambridge University Press 2004.
J. M. Bremer, Euripides Hecuba 59-215. A Reconsideration, Mnemosyne 24 (1971) 232-50.
C. Brillante, Sul prologo dell'Ecuba di Euripide, Rivista di Filologia e Istruzione Classica 116
(1988) 429-47.
W. Burkert, Jason, Hypsipyle, and new Fire at Lemnos. A Study in Myth and Ritual, Classical
Quarterly 20 (1970) 1-16.
W. Burkert, Homo Necans. Interpretationen altgriechischer Opferriten und Mythen, Berlin-New
York, de Gruyter 1972, 1997
2
[tr. it. Homo necans. Antropologia del sacrificio cruento nella Grecia
antica, Torino, Bollati-Boringhieri 1981].
W. Burkert, I Greci, Milano, Jaca Book 1984 (tr. it. di Griechische Religion der archaischen und
klassischen Epoche, Stuttgart, Kohlhammer 1977).
W. Burkert, Origini selvagge. Sacrificio e mito nella Grecia antica, tr. it. Bari, Laterza 1992 [1998].
W. Burkert, La creazione del sacro, Milano, Adelphi 2003 [tr. it. di Creation of the Sacred,
Cambridge, MA, Harvard University Press 1996].
A. P. Burnett, Catastrophe Survived, Oxford, Oxford University Press 1971.
A. P. Burnett, Revenge in Attic and Later Tragedy, Berkeley, Berkeley University Press 1998.
M. Burzachechi, Oggetti parlanti nelle epigrafi greche, Epigraphica 24 (1962) 3-54.
R. G. A. Buxton, Persuasion in Greek Tragedy. A Study of Peitho, Cambridge, Cambridge
University Press 1982.
E. Caillemer, ).:, in C. Daremberg-E. Saglio, Dictionnaire des Antiquits Grecques et
Romaines, XXVI, Paris, Hachette 1904, 439-44.
W. M. Calder III, A Reconstruction of Sophocles'Polyxene, Greek, Roman, and Byzantine
Studies 7 (1966) 31-56 [= Calder 2005, 233-66].
W. M. Calder III, Theatrokratia. Collected Papers on the Politics and Staging of Graeco-Roman
Tragedy, ed. by R. Scott Smith, Hildesheim-Zrich-New York, Olms, 2005.
W. M. Calder, Gold for Bronze: Iliad 6.232-6, in K. Rigsby (ed.), Studies Presented to Sterling
Dow on his 80th Birthday, Durham-New York, Duke University Press 1984, 31-34.
L. B. Campbell, Collected Papers, New York, Russel & Russel 1968.
E. Cantarella, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano, Rizzoli 1991.
E. Cantarella, Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Milano, Feltrinelli 2002.
S. Casson, Macedonia, Thrace and Illyria, Oxford, Oxford University Press 1926.
C. Catenacci, Il finale dell'Odissea, Quaderni Urbinati di Cultura Classica 44, 1993, 7-22.
G. Cavallo (a cura di), Libri, editori e pubblico nel mondo antico. Guida storica e critica, Bari,
Laterza 1975.
G. Cavallo (a cura di), Libri e lettori nel medioevo. Guida storica e critica, Bari, Laterza 1977.
62

G. Cavallo (a cura di), Libri e lettori nel mondo bizantino. Guida storica e critica, Bari, Laterza
1982.
G. Cavallo, Conservazione e perdita dei testi greci. Fattori materiali, sociali, culturali, in A.
Giardina (a cura di), Societ romana e impero tardoantico. IV. Tradizione dei classici,
trasformazioni della cultura, Roma-Bari, Laterza 1986, 83-172.
G. Cavallo, Codice e storia dei testi greci antichi. Qualche riflessione sulla fase primitiva del
fenomeno, in A. Blanchard, Les dbuts du codex, Turnhout, Brepols 1989, 169-80.
E. B. Ceadel, Resolved Feet in the Trimeters of Euripides and the Chronology of the Plays,
Classical Quarterly 35 (1941) 66-89.
G. Cerri, Antigone, Creonte e l'idea della tirannide nell'Atene del v secolo (alcune tesi di V. Di
Benedetto), Quaderni Urbinati di Cultura Classica 39 (1982) 137-55.
G. Cerri (a cura di): Omero, Iliade, traduzione di G. Cerri, commento di A. Gostoli, con un saggio
di W. Schadewaldt, Milano, BUR 1996 [1999].
J. Chadwick, Lexicographica Graeca, Oxford, Oxford University Press 1996.
P. Chantraine, Dictionnaire tymologique de la langue grecque. Histoire des mots, avec un
supplement sous la direction de A. Blanc, C. de Lamberterie, J.-L. Perpillou, Paris, Klincksieck
1999 [ed. originale 1968-1980].
F. Chapoutier, Euripide et laccueil du divin, in AA. VV., La notion du divin depuis Homre
jusqu' Platon (Entretiens Hardt 1) Vandoeuvres Genve, Fondation Hardt 1952, 205-40.
C. J. Classen, (hrsg. von), Sophistik (Wege der Forschung, B. 187), Darmstad, Wissenschaftliche
Buchgesellschaft 1976.
C. J. Classen, Protagoras' Aletheia, in P. Huby-G. Neal (ed.), The Criterion of Truth, Liverpool
1989, 13-38.
D. Cohen, Law, Violence, and Community in Classical Athens, Cambridge, Cambridge University
Press 1995.
C. Collard, J. J. Scaligers Euripidean Marginalia, Classical Quarterly n.s. 24 (1974) 242-49.
C. Collard (ed.), Euripides, Supplices, Groningen, Bouma 1975.
C. Collard (ed.), Euripides, Hecuba, Warminster, Aris and Phillips 1991.
C. Collard, M. J. Cropp, K. H. Lee (eds.) Euripides. Selected Fragmentary Plays. Volume I,
Warminster, Aris and Phillips 1995.
D. J. Conacher, Euripides Hecuba, American Journal of Philology 82 (1961) 1-26.
D. J. Conacher, Euripidean Drama: Myth, Theme and Structure, Toronto, University of Toronto
Press 1967.
W. R. Connor, The New Politicians of Fifth-Century Athens, Princeton, Princeton University Press
1971.
A. Cozzo, Kerdos. Semantica, ideologie e societ nella Grecia antica, Roma, Edizioni dellAteneo
1988.
N. T. Croally, Euripidean Polemic: The Trojan Women and the function of Tragedy, Cambridge,
Cambridge University Press 1994.
M. J. Cropp-G. Fick, Resolutions and Chronology in Euripides: The Fragmentary Tragedies, (BICS
Suppl. 43), London, Institute of Classical Studies 1985.
M. J. Cropp (ed.), Euripides, Electra, Warminster, Aris and Phillips 1988.
M. Cropp, K. Lee (eds.) Euripides and Tragic Theatre Illinois Classical Studies 24-25 (1999-
2000).
S. G. Daitz, Concepts of Freedom and Slavery in Euripides'Hecuba, Hermes 99 (1971) 217-226.
G. B. DAlessio, Pindars Prosodia and the Classification of Pindaric Papyrus Fragments,
Zeitschrift fr Papyrologie und Epigraphik 118 (1997) 23-60.
D. Daube, Roman Law: Linguistic, Social, and Philosophical Aspects, Edinburgh, Edinburgh
University Press 1969.
L. de Faveri, Die metrischen Triklinius-scholien zur byzantinischen Trias des Euripides, Stuttgart-
Weimar, Metzler 2002.
63

F. Decleva Caizzi (ed.): Antiphontis Tetralogiae, Milano-Varese, Istituto editoriale cisalpino 1969.
F. Decleva Caizzi, Protagora and Antipho. Sophistic Debates on Justice, in A. A. Long, The
Cambridge companion to early Greek philosophy, Cambridge, Cambridge University Press 1999,
311-31.
M. Delcourt, Hphaistos ou la lgende du magicien (Bibliothque de la Facult de Philosophie et
Lettres de l'Universit de Lige, fascicule 146), Lige-Paris, Les Belles Lettres 1957 [Paris 1982].
. Delebecque, Euripide et la guerre du Ploponnse, Paris, Klincksieck 1951.
J. De Romilly, Thucydide et l'imperialisme athnien. La pense et la gense de l'oevre, Paris, Les
Belles Lettres 1947.
A. M. Devine-L. Stephens, A New Aspect of the Evolution of the Trimeter in Euripides,
Transaction of the American Philological Association 111 (1981) 45-64.
A. M. Devine-L. Stephens, Language and Metre: Resolution, Porson's Bridge, and their Prosodic
Basis (American Classical Studies, no. 12), Chico (CA), Scholars Press 1984.
V. Di Benedetto, La tradizione manoscritta euripidea, Padova, Antenore 1965 [Di Benedetto
1965a].
V. Di Benedetto (a cura di), Euripidis Orestes, Firenze, La Nuova Italia 1965 [Di Benedetto 1965b].
V. Di Benedetto, Euripide: teatro e societ, Torino, Einaudi 1971.
V. Di Benedetto, L'ideologia del potere e la tragedia greca. Ricerche su Eschilo, Torino, Einaudi
1978.
V. Di Benedetto, Alcmane 1 P., v. 15, Maia 32 (1980) 135-41.
V. Di Benedetto, Sofocle, Firenze, La Nuova Italia 1983.
V. Di Benedetto, Eur., Suppl. 275-276, Studi Italiani di Filologia Classica 81 (1988) 30-34.
V. Di Benedetto (coordinatore del volume): Eschilo, Orestea, introduzione di V. Di Benedetto,
traduzioni e note di E. Medda [Agamennone], L. Battezzato [Coefore], M. P. Pattoni [Eumenidi],
Milano, BUR 1995.
V. Di Benedetto, Nel laboratorio di Omero, Torino, Einaudi 1998
2
.
V. Di Benedetto-E. Medda, La tragedia sulla scena. La tragedia greca in quanto spettacolo
teatrale, Torino, Einaudi 1997.
R. Di Donato, Omero: forme della narrazione e forme della realt. Lo scudo di Achille, in S. Settis
(ed.), I Greci. Storia, Cultura, Arte, Societ, 2. Una storia greca. 1. Formazione, Torino, Einaudi
1996, pp. 227-53.
J. Diggle (ed.), Euripides, Phaethon, Cambridge, Cambridge University Press 1970.
J. Diggle (ed.), Euripidis Fabulae. Tomus II, Oxoni, Oxford University Press 1981.
J. Diggle, Studies on the Text of Euripides, Oxford, Oxford University Press 1981 [Diggle 1981b].
J. Diggle (ed.), Euripidis Fabulae. Tomus I, Oxoni, Oxford University Press 1984.
J. Diggle, The Textual Tradition of Euripides Orestes, Oxford, Oxford University Press 1991.
J. Diggle (ed.), Euripidis Fabulae. Tomus III, Oxoni, Oxford University Press 1994.[Diggle 1994a]
J. Diggle, Euripidea: Collected Essays, Oxford, Oxford University Press 1994. [Diggle 1994b]
M. Di Marco, La tragedia greca. Forma, gioco scenico, tecniche drammatiche, Roma, Carocci
2000.
K. J. Dover (ed.), Aristophanes, Clouds, Oxford, Oxford University Press 1968.
M. Dubischar, Die Agonszenen bei Euripides, Stuttgart-Weimar, Metzler 2001.
J.-L. Durand-F. Lissarrague, Mourir l'autel. Remarques sur l'imagerie du sacrifice humain
dans la cramique attique, Archiv fr Religionsgeschichte 1 (1999) 83-106.
P. Easterling, Anachronism in Greek Tragedy, Journal of Hellenic Studies, 105 (1985) 1-10.
F. Egli, Euripides im Kontext zeitgenssischer intellektueller Strmungen: Analyse der Funktion
philosophischer Themen in den Tragdien und Fragmenten. (Beitrge zur Altertumskunde 189).
Mnchen-Leipzig, K.G. Saur 2003.
M. W. Edwards, The Iliad: A Commentary. Volume V. Books 17-20, Cambridge, Cambridge
University Press 1991.
H. Erbse, Studien zum Prolog der euripideischen Tragdie, Berlin, de Gruyter 1984.
64

R. J. Evans, Rituals of Retribution: Capital Punishment in Germany 1600-1987, Oxford, Oxford
University Press 1996.
C. A. Faraone, Talismans and Trojan Horses: Guardian Statues in Ancient Myth and Ritual, New
York-Oxford, Oxford University Press 1992.
M. Fassino, Revisione di P. Stras. W.G. 304-307: nuovi frammenti della Medea e di unaltra
tragedia di Euripide, Zeitschrift fr Papyrologie und Epigraphik 127 (1999) 1-46.
M. Fassino, Avventure del testo di Euripide nei papiri tolemaici, in Battezzato 2003a, 33-56.
D. Fehling, Nyktos paides apaides. A. Eum. 1034 und das sogenannte Oxymoron in der Tragdie,
Hermes 96 (1968) 142-55.
D. Fehling, Die Wiederholungsfiguren und ihr Gebrauch bei den Griechen vor Gorgias, Berlin, de
Gruyter 1969.
M. Fernndez Galiano, Sobra la cronologa de las tragedias troyanas de Eurpides, Dioniso 41
(1967) 22-43.
F. Ferrari, (a cura di), Tucidide, La guerra del Peloponneso, introduzione di M. I. Finley,
traduzione a cura di F. Ferrari, bibliografia e note a curia di G. Daverio Rocchi, Milano, BUR 1985
[Ferrari 1985a].
F. Ferrari, In margine all'Ecuba, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa s. III, 15 (1985)
45-49 [Ferrari 1985b].
F. Ferrari, [recensione di Diggle 1981 e Diggle 1984], Rivista di Filologia e Istruzione Classica
114 (1986) 60-68.
F. Ferrari (a cura di), Pindaro, Olimpiche, Milano, BUR 1998.
J. H. Finley, The Origins of Thucydides' Style, Harvard Studies in Classical Philology 50 (1939)
35-84.
J. H. Finley, Three Essays on Thucydides, Cambridge, Mass., Harvard University Press 1967.
T. Fleming-E. C. Kopff, Colometry of Greek Lyric Verses in Tragic Texts, Studi Italiani di
Filiologia Classica s. III, 10 (1992), 758-70.
H. Foley, Ritual Irony: Marriage and Sacrifice in Euripides, Ithaca (NY), Cornell University Press
1985.
H. Foley, Female Acts in Greek Tragedy, Princeton, Princeton University Press 2001.
M. Foucault, Surveiller et punir, Paris, Gallimard 1975 (tr. it. Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi
1976).
E. Fraenkel (ed.), Aeschylus, Agamemnon, Oxford, Oxford University Press 1950
C. Franco, Senza ritegno. Il cane e la donna nell'immaginario della Grecia antica, Bologna, Il
Mulino 2003.
W.-H. Friedrich, Untersuchungen zu Senecas dramatischer Technik (Diss. Friburg 1933).
W.-H. Friedrich, Euripides und Diphilos, (Zetemata, H. 5) Mnchen, Beck 1953.
H. Friis Johansen-E. W. Whittle (eds.), Aeschylus, The Suppliants, Copenhagen, Gyldendal 1980.
C. Fuqua, Possible Implications of the Ostracism of Hyperbolus, Transaction of the American
Philological Association 96 (1965) 165-79.
M. Gagarin, The Prosecution of Homicide in Athens, Greek, Roman, and Byzantine Studies 20
(1979) 301-323.
M. Gagarin, Drakon and Early Athenian Homicide Law, New Haven-London, Yale University
Press 1981.
M. Gagarin, Antiphon the Athenian: Oratory, Law, and Justice in the Age of the Sophists, Austin,
University of Texas Press 2002.
D. Gall, Menschen, die zu Tieren werdendie Metamorphose in der 'Hekabe' des Euripides,
Hermes 125 (1997) 396-412.
H. Gallet de Santerre, Dlos primitive et archaque, (Bibliothque des coles franaises dAthnes
et Rome, fascicule 192) Paris, De Boccard 1958.
A. S. F. Gow (ed.), Theocritus, Cambridge, Cambridge University Press 1950.
65

A. S. F. Gow-D. L. Page (eds.), The Greek Anthology. Hellenistic Epigrams, Cambridge,
Cambridge University Press 1965.
G. H. Gellie, Hecuba and Tragedy, Antichthon 14 (1980) 30-44.
B. Gentili, Eracle omicida giustissimo. Pisandro, Stesicoro e Pindaro, in B. Gentili-G. Paioni (a
cura di), Il mito greco. Atti del convegno internazionale, Roma, Edizioni dell'Ateneo e Bizzarri
1977, 299-305.
B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari, Laterza 1995
3
.
B. Gentili-L. Lomiento, Metrica e ritmica. Storia delle forme poetiche nella Grecia antica, Milano,
Mondadori 2003.
L. Gernet, Recherches sur le developpement de la pense juridique et morale en Grce (tude
semantique), Paris, E. Leroux 1917.
L. Gernet, Antropologia della Grecia antica, a cura di R. Di Donato, Milano, Mondadori 1983 (ed.
or. Anthropologie de la Grce antique, Paris, Maspero 1968).
H.-J. Gehrke, Die Griechen und die Rache. Ein Versuch in historischer Psychologie, Saeculum
28 (1987) 121-149.
J. C. Gibert, recensione a Kovacs 1995, Bryn Mayr Classical Review 8 (1997) 48-52 (Gibert
1997a).
J. C. Gibert, Euripides Hippolytus plays: which came first?, Classical Quarterly 47 (1997) 85-
97 (Gibert 1997b).
M. Gigante, `JMJ: |A:lA|Y:, Napoli, Bibliopolis 1993
2
(1956).
O. Gigon, Untersuchungen zu Heraklit, Leipzig, Dieterich 1935.
G. Glotz, La solidarit de la famille dans le droit criminel en Grce, Paris, Flammarion 1904.
A. Goatly, The Language of Metaphors, London, Routledge 1997.
C. Goddard, Semantic Analysis. A Practical Introduction, Oxford, Oxford University Press 1998.
M. Godelier, Lnigme du don, Paris, Fayard 1996.
R. F. Goheen, The Imagery of Sophocles' Antigone, Princeton, Princeton University Press 1951.
S. Goldhill, Language, Sexuality, Narrative: The Oresteia, Cambridge, Cambridge University Press
1984.
S. Goldhill, Reading Greek Tragedy, Cambridge, Cambridge University Press 1986.
S. Goldhill, The Poet's Voice, Cambridge, Cambridge University Press, 1991.
S. Goldhill, Greek Drama and Political Theory, in C. Rowe-M. Schofield, The Cambridge History
of Greek and Roman Political Thought, Cambridge, Cambridge University Press 2000, 60-88.
J. Gould, Hiketeia, in Journal of Hellenic Studies 93 (1973) 74-103.
J. Gould, Myth, Ritual, Memory, and Exchange. Essays in Greek Literature and Culture, Oxford,
Oxford University Press 2001.
A. W. Gomme, A Historical Commentary on Thucydides, vol. II, Books II-III, Oxford, Oxford
University Press 1956.
A. W. Gomme, A. Andrewes, K.J. Dover, A Historical Commentary on Thucydides, vol. V, Book
VIII, Oxford, Oxford University Press 1981.
M. Graver, Dog-Helen and Homeric Insult, Classical Antiquity 14 (1995) 41-61.
J. Gregory, Euripides and the Instruction of the Athenians, Ann Arbor, University of Michigan
Press 1991.
J. Gregory, Genealogy and Intertextuality in Hecuba, American Journal of Philology 116 (1995)
389-397.
J. Gregory: Euripides, Hecuba, Introduction, Text, and Commentary, by Justina Gregory, Atlanta,
Georgia [New York-Oxford], Scholars Press/Oxford University Press 1999.
J. Gregory (ed.), Blackwell Companion to Greek Tragedy, Oxford, Blackwell 2005.
M. Griffith, The Authenticity of Prometheus Bound, Cambridge, Cambridge University Press 1977.
M. Griffith, Contest and Contradiction in Early Greek Poetry, in M. Griffith-D. J. Mastronarde
(eds.), The Cabinet of the Muses. Essays in Classical and Comparative Literature in Honor of
Thomas G. Rosenmeyer, Atlanta, Scholars press 1990, 185-207.
66

M. Gronewald, Konjekturen und Erluterungen zur Hekabe und zu den Troades des Euripides,
Rheinisches Museum 132 (1989) 221-23.
G. M. A. Grube, The Drama of Euripides, London, Methuen 1941.
H.-C. Gnther, The Manuscripts and the Transmission of the Paleologan Scholia on the Euripidean
Triad (Hermes Einzelschriften, 68), Stuttgart, Steiner 1995.
W. K. C. Guthrie, A History of Greek Philosophy. 3. The Fifth-Century Enlightenment, Cambridge,
Cambridge University Press 1969.
E. Hall, Inventing the Barbarian: Greek Self-Definition through Tragedy, Oxford, Oxford
University Press 1989.
J. M. Hall, Hellenicity: Between Ethnicity and Culture, Chicago, University of Chicago Press 2002.
W. V. Harris, Lysias III and Athenian Beliefs about Revenge, Classical Quarterly 47 (1997) 363-
366.
W. V. Harris, Restraining Rage: The Ideology of Anger Control in Classical Antiquity, Cambridge,
MA-London 2001.
W. V. Harris, The Rage of Women, in Braund-Most 2004, 121-143.
M. Haslam, The Versification of the New Stesichorus (P. Lille 76abc), Greek Roman and
Byzantine Studies 19 (1978) 29-57.
A. Henrichs, Dancing in Athens, Dancing on Delos: Some Patterns of Choral Projectionin
Euripides, Philologus 140 (1996) 48-62.
I. A. Hartung, Euripides Restitutus, Hamburgi, F. Perthes 1843, vol. I.
M. Heath, 'Jure principem locum tenet': Euripides'Hecuba, Bulletin of the Institute of Classical
Studies 34 (1987) 40-68.
F. M. Heichelheim, Another Literary Papyrus in the Fitz-William Museum, Cambridge, American
Journal of Philology 61 (1940) 209-10.
F. Heinimann, Nomos und Physis. Herkunft und Bedeutung einer Antithese im griechischen Denken
des 5. Jahrhunderts, Basel, Verlag Friedrich Reinhardt AG, 1945.
G. Herman, Ritualised Friendship and the Greek City, Cambridge, Cambridge University Press
1987.
G. Herman, Patterns of Name Diffusion within the Greek World and Beyond, Classical Quarterly
40 (1990) 349-63.
G. Herman, Tribal and Civic Codes of Behaviour in Lysias, Classical Quarterly 43 (1993) 406-
19.
G. Herman, Honour, Revenge and the State in Fourth-Century Athens, in W. Eder (a cura di), Die
athenische Demokratie im 4. Jahrhundert v. Chr. Vollendung oder Verfall einer Verfassungsform?,
Stuttgart, Franz Steiner Verlag 1995, 43-66.
G. Herman, recensione a Cohen 1995, in Gnomon 70 (1998) 605-15.
G. Hermann (ed.), Euripidis Hecuba, Lipsiae, sumptibus Ioan. Gottl. Feindii 1800.
G. Hermann (ed.), Euripidis Hecuba, Lipsiae, Weidmann 1831.
J. C. Hogan, Thucydides 3. 52-68 and Euripides'Hecuba, Phoenix 26, 1972, 241-57.
H. Hommel, Der Gott Achilleus, Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften,
Philosophisch-Historische Klasse 1980.1.
J. T. Hooker, Gifts in Homer, Bulletin of the Institute of Classical Studies 36 (1989) 79-90.
S. Hornblower, A commentary on Thucydides, Volume I: Books I-III, Oxford, Oxford University
Press 1991 [ristampa con correzioni 1997].
S. Hornblower, La Grecia classica dalle guerre persiane ad Alessandro Magno, a cura di M.
Giangiulio, Milano, BUR 1997 [ed. or.: The Greek World 479-323 BC, London, Methuen 1983].
S. Hornblower, Thucydides and Pindar: Historical Narrative and the World of Epinikian Poetry,
Oxford, Oxford Unviersity Press 2004.
D. D. Hughes, Human Sacrifice in Ancient Greece, London-New York, Routledge 1991.
V. J. Hunter, Policing Athens: Social Control in the Attic Lawsuits, 420-320 B.C., Princeton,
Princeton University Press 1994.
67

S. Jacoby, Wild Justice: The Evolution of Revenge, London, Collins 1985 (ed. originale New York.
Harper and Row 1983).
R. Janko, The Iliad: A Commentary, Volume IV: Books 13-16, Cambridge, Cambridge University
Press 1992.
I. D. Jenkins, Dressed to Kill, Omnibus 5 (1983) 29-32.
I. D. Jenkins, The Ambiguity of Greek Textiles, Arethusa 18 (1985) 109-32.
W. Jens (a cura di), Die Bauformen der Griechischen Tragdie, Mnchen, W. Fink 1971.
Jong, I. J. F. de, Narrative in Drama: the Art of the Euripidean Messenger-Speech, Leiden, Brill
1991.
Jong, I. J. F. de, A Narratological Commentary on the Odyssey, Cambridge, Cambridge University
Press 2001.
H. D. Jocelyn (ed.): The Tragedies of Ennius. The fragments, Cambridge, Cambridge University
Press 1969 (ristampa con correzioni) (ed. originale 1967).
G. Kaibel, Kratinos J:u::: und Euripides |us`., Hermes 30 (1895) 71-89.
R. Kannicht (ed.), Euripides, Helen, Heidelberg, Winter 1969.
R. Kassel, Dialogen mit Statuen, Zeitschrift fr Papyrologie und Epigraphik 51 (1983) 1-12.
J. H. Kells, More Notes on Euripides' Electra, Classical Quarterly n. s. 16 (1966) 51-54.
G. B. Kerferd, The Sophistic Movement, Cambridge, Cambridge University Press 1981 (tr. it. I
sofisti, Bologna, Il Mulino 1981).
A. Kirchhoff (ed.), Euripidis Tragoediae, Berolini, typis et impensis Georgii Reimeri 1855.
G. M. Kirkwood, Hecuba and Nomos, Transaction of the American Philological Association 78
(1947) 61-68.
D. Konstan, Aristotle on Anger and the Emotions: The Strategies of Status, in Braund-Most 2004,
99-120.
M. Korenjak, A note on Euripides, Hecuba 1054f., Classical Quarterly 47 (1997) 569-70.
W. J. W. Koster (ed.), Scholia Recentiora in Nubes, Groningen, Bouma 1974.
D. Kovacs, The Heroic Muse. Studies in the Hippolytus and Hecuba of Euripides, Baltimore
London, The Johns Hopkins University Press 1987.
D. Kovacs, Coniectanea Euripidea, Greek, Roman and Byzantine Studies 29 (1988) 115-34.
D. Kovacs, Euripidea, Leiden, Brill 1994 [Kovacs 1994a].
D. Kovacs (ed.), Euripides, Cyclops, Alcestis, Medea, Cambridge, Mass., Harvard University Press
1994 [Kovacs 1994b].
D. Kovacs (ed.) Euripides, Children of Heracles, Hippolytus, Andromache, Hecuba, Cambridge,
Mass.-London, Harvard University Press 1995.
D. Kovacs, Euripidea altera, Leiden-New York-Kln, Brill 1996.
R. Kraut, Aristotle. Political Philosophy, Oxford, Oxford University Press 2002.
L. Kurke, The Traffic in Praise: Pindar and the Poetics of Social Economy, Ithaca (NY), Cornell
University Press 1991.
L. Kurke, Coins, Bodies, Games, and Gold: The Politics of Meaning in Archaic Greece, Princeton,
Princeton University Press 1999.
D. C. Kurtz-J. Boardman, Greek Burial Customs, London, Thames and Hudson 1971.
I. Lada, "Emphatic understanding": emotion and cognition in classical dramatic audience-
response, Proceedings of the Cambridge Philological Society 39 (1993) 94-140.
I. Lada, Weeping for Hecuba: Is it a "Brechtian" act?, Arethusa 29 (1996) 87-124.
G. Lakoff-M. Johnson, Metaphors We Live By, Chicago, The University of Chicago Press 1980.
A. Laks, Diogne d'Apollonie. La dernire cosmologie prsocratique. dition, traduction et
commentaire des fragments et des tmoignages (Cahiers de Philologie, V. 9), Lille, Presses
Universitaires de Lille 1983.
A. Lami (a cura di), I presocratici. Testimonianze e frammenti da Talete a Empedocle, con un
saggio di W. Kranz, Milano, BUR 1991.
F. Landucci Gattinoni, Duride di Samo, Roma, L Erma di Bretschneider, 1997.
68

D. Lanza, `JMJ: e l:J` in Euripide, Rivista di Filologia e Istruzione Classica 91 (1963) 416-
39.
D. Lanza, Il tiranno e il suo pubblico, Torino, Einaudi 1977.
D. Lateiner, A Note on Al|A: AlAJ`Al in Herodotus, Classical Quarterly 30 (1980) 30-32.
W. Leaf, Troy: A Study in Homeric Geography, London, MacMillan & Co. 1912.
W. Leaf (ed.), Strabo on the Troad: Book XIII, Cap I, Cambridge, Cambridge University Press
1923.
M. R. Lefkowitz, The Euripides Vita, Greek, Roman and Byzantine Studies 20 (1979) 187-210.
M. R. Lefkowitz, The Lives of the Greek Poets, Baltimore-London, Baltimore, The Johns Hopkins
University Press 1981.
M. R. Lefkowitz, Was Euripides an Atheist?, in Studi Italiani di Filologia Classica 80 (1987)
149-66.
M. R. Lefkowitz, "Impiety" and "Atheism" in Euripides' Dramas, Classical Quarterly 39 (1989)
70-82.
G. Ley, The Date of Hecuba, Eranos 85 (1987) 136-37.
S. Lilja, Dogs in Ancient Greek Poetry (Commentationes humanarum literarum, 56), Helsinki,
Societas Scientiarum Fennica 1976.
A. Lintott, Violence, Civil Strife and Revolution in the Classical City, Baltimore, The Johns
Hopkins University Press 1981.
M. Lloyd, The Agon in Euripides, Oxford, Oxford University Press, 1992.
H. Lloyd-Jones, The Robes of Iphigeneia: Aeschylus, Agamemnon 228-43, Classical Review 2
(1952) 132-35.
H. Lloyd-Jones, Pindar Fr. 169, Harvard Studies in Classical Philology 76 (1972) 45-56.
H. Lloyd-Jones, Greek Epic, Lyric and Tragedy. The Academic Papers of Sir Hugh Lloyd-Jones,
Oxford, Oxford University Press 1990 [Lloyd-Jones 1990a].
H. Lloyd-Jones, Greek Comedy, Hellenistic Literature, Greek Religion, and Miscellanea. The
Academic Papers of Sir Hugh Lloyd-Jones, Oxford, Oxford University Press 1990 [Lloyd-Jones
1990b].
H. Lloyd-Jones-N. G. Wilson, Sophoclea: Studies on the Text of Sophocles, Oxford, Oxford
University Press 1990.
L. Lomiento, Da Sparta ad Alessandria, in M. Vetta (a cura di), La civilt dei Greci: Forme,
luoghi, contesti, Roma, Carocci 2001, 297-355.
N. Loraux (ed.), Euripide, Hcube, texte tabli par Louis Mridier, Traduction de Nicole Loraux et
Franois Rey, Introduction et notes de Jean Alaux, Paris, Les Belles Lettres 1999.
P. Maas, Aeschylus Agam. 231ff. illustrated, Classical Quarterly 1 (1951) 94.
P. Maas, Kleine Schriften, Mnchen, Beck 1973.
E. Maass, Zur Hekabe des Euripides, Hermes 24 (1889) 509-19.
D. M. MacDowell, Athenian Homicide Law in the Age of the Orators, Manchester, Manchester
University Press 1963.
D. M. MacDowell, Unintentional Homicide in the Hippolytos, Rheinisches Museum 111 (1968)
156-58.
M. F. McGregor, The genius of Alkibiades, Phoenix 19 (1965) 27-46.
M. M. Mackenzie, Plato on Punishment, Berkeley-Los Angeles-London, University of California
Press 1981.
B. MacLachlan, The Age of Grace: Charis in Early Greek Poetry, Princeton, Princeton University
Press 1994.
G. H. Macurdy, The Chronology of the Extant Plays of Euripides, Lancaster (PA), The New Era
Printing Company 1905 [ristampa New York, Haskell House 1966].
A. Maffi, Il decreto su Calcide (ML 52) e la repressione penale nella polis classica, in AA.VV.,
Du chtiment dans la cit. Supplices corporels et peine de mort dans le monde antique, Paris-
Rome, cole franaise 1994, 429-38.
69

M. Magnani, La tradizione manoscritta degli Eraclidi di Euripide, Bologna, Ptron 2000.
C. W. Marshall, The Costume of Hecubas Attendans, Acta Classica 44 (2001) 127-36.
M. C. Martinelli, Gli strumenti del poeta. Elementi di metrica greca, Bologna, Cappelli 1995.
B. Marzullo, I sofismi di Prometeo, Firenze, La Nuova Italia 1993.
D. J. Mastronarde, Contact and Discontinuity: Some Conventions of Speech and Action on the
Greek Tragic Stage, (University of California Publications, Cassical Studies, Vol. 21) Berkeley-Los
Angeles-London, University of California Press 1979.
D. J. Mastronarde-J. M. Bremer, The Textual Tradition of Euripides Phoinissai, (Un. of California
Publ., Classical Studies, 27) Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press 1982
[mi riferisco alla parte curata da D. J. Mastronarde, citato come Mastronarde 1982].
D. J. Mastronarde (ed.), Euripides, Phoenissae, Leipzig, Teubner 1988 [Mastronarde 1988a].
D. J. Mastronarde, recensione a Diggle 1984, Classical Philology 83 (1988) 151-60 [Mastronarde
1988b].
D. J. Mastronarde, recensione a Gnther 1995, in Classical Review 47 (1997) 23-25.
D. J. Mastronarde, Euripidean Tragedy and Theology, Seminari Romani di Cultura Classica 5
(2002) 17-49 [Mastronarde 2002a].
D. J. Mastronarde (ed.), Euripides, Medea, Cambridge, Cambridge University Press [Mastronarde
2002b].
D. J. Mastronarde, recensione a Gregory 1999, The American Journal of Philology 123 (2002)
129-32
K. Matthiessen, Studien zur Textberlieferumg der Hekabe des Euripides, Heidelberg, C. Winter
1974.
K. Matthiessen, recensione a Collard 1991 e Mossman 1995, Gttingische Gelehrte Anzeigen
251 (1999) 153-67.
M. Mauss, Saggio sul dono: forma e motivo dello scambio nelle societ arcaiche, introduzione di
M. Aime, Torino, Einaudi 2002 (ed. or. Essai sur le don. Forme et raison de lchange dans les
socits archaques, Paris 1925).
E. Medda (a cura di), Lisia, Orazioni I-XV, intr. trad. e note di E. Medda, Milano, BUR 1991.
E. Medda (a cura di), Lisia, Orazioni XVI-XXXIV. Frammenti, intr. trad. e note di E. Medda,
Milano, BUR 1995.
E. Medda (ed.), Euripide, Oreste, Milano, BUR 2001.
C. E. Mercier, Hekabe's Extended Supplication (Hec. 752-888), Transactions of the American
Philolohical Association 123 (1993) 149-60.
C. E. Mercier, Hecuba 145, Mnemosyne 47 (1994) 217-20.
R. Meridor, Hecuba's Revenge: Some Observations on Euripides'Hecuba, American Journal of
Philology 99 (1978) 28-35.
R. Meridor, The Function of Polymestor's Crime in the "Hecuba" of Euripides, Eranos 81 (1983)
13-20.
A. N. Michelini, Euripides and the Tragic Tradition, Madison (Wisconsin), University of
Wisconsin Press 1987.
C. Milani, Il lessico della vendetta e del perdono nel mondo classico, in M. Sordi (a cura di),
Amnistia, perdono e vendetta nel mondo antico, Milano, Vita e Pensiero 1997.
L. G. Mitchell, Greek Bearing Gifts. The Public Use of Private Relationships in the Greek World,
435-323 BC, Cambridge, Cambridge University Press 1997.
F. Montanari, Un nuovo papiro dell'Ecuba di Euripide (P.Tebt.683 recto), Rivista di Filologia e
di Istruzione Classica 115 (1987) 24-32 [Montanari 1987a].
F. Montanari, Epimetron sui papiri di Euripide, Rivista di Filologia e di Istruzione Classica 115
(1987) 441-43 [Montanari 1987b].
F. Montanari, Vocabolario della lingua greca, con la collaborazione di I. Garofalo e D. Manetti,
fondato su un progetto di N. Marinone, Torino, Loescher 1995, 2004
2
.
S. P. Morris, Daidalos and the Origins of Greek Art, Princeton, Princeton University Press 1992.
70

J. Mossman, Wild Justice. A Study of EuripidesHecuba, Oxford, Oxford University Press 1995.
M. Y. Mueller, The Language of Reciprocity in Euripides' Medea, American Journal of Philology
122 (2001) 471-504.
E. Muir, Mad Blood Stirring. Vendetta in Renaissance Italy. Reader's edition, Baltimore-London,
Johns Hopkins University Press 1998.
K. O. Mller, Geschichte der griechischen Literatur bis auf das Zeitalter Alexanders, Stuttgart, A.
Heitz 1882
4
(ed. originale 1841).
P. Mller, Polymestor, in LIMC VII. 1, Artemis Verlag, Zrich-Mnchen 1994, 429-30.
G. Murray, Euripides and his Age, London, Williams and Norgate 1913 (tr. it G. Murray, Euripide
e i suoi tempi, Bari, Laterza 1932).
D. Musti (a cura di), Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, Roma-Bari, Laterza 1985.
C. Nancy, 1aas. :.:.a:: Le mcanisme du sacrifice humain chex Euripide, in AA.VV.,
Thtre et spectacles dans l'antiquit. Actes du Colloque de Strasbourg 5-7 novembre 1981, Leiden,
Brill 1983, 17-30.
A. Nauck, Aristophanis Byzantii grammatici alexandrini fragmenta, Halle, sumptibus Lipperti et
Schmidtii 1848 [Hildesheim, Olms 1963].
A. Nauck, Euripideische Studien, 1. Theil (Zu Hecuba, Orestes, Phoenissae, Medea), Mmoires de
l'acad. impriale des sc. de St. Ptersbourg, VII srie, tome I, No. 12, 1859.
W. Nestle, Euripides. Der Dichter der griechischen Aufklrung, Stuttgart, Kohlhammer 1901.
H.-J. Newiger, Metapher und Allegorie. Studien zu Aristophanes, Mnchen, Beck 1957.
K. Nickau, Zenodotos von Ephesos, in RE X A, 1972, 23-45.
M. Nilsson, Griechische Feste von religiser Bedeutung, mit Ausschlu der Attischen, Lepzig,
Teubner 1906.
F. Nietzsche, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Nota introduttiva di M. Montinari,
trad. di F. Masini, Milano, Adelphi 1984 [1968] [ed. or. Zur Genealogie der Moral. Eine
Streitschrift, Leipzig, Nauman 1887; cfr. F. Nietzsche, Werke, hrsg. von G. Colli und M. Montinari,
VI 2, Berlin, De Gruyter, 1968].
M. C. Nussbaum, The Fragility of Goodness, Cambridge, Cambridge University Press 1986 [tr. it.
La fragilit del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Bologna, Il Mulino
1996].
E. A. M. E. O'Connor-Visser, Aspects of Human Sacrifice in the Tragedies of Euripides,
Amsterdam, Grner 1987.
D. Obbink (e altri), 4545-4568, in The Oxyrhynchus Papyri, Volume LXVII, edited with translations
and notes by R. A. Coles, N. Gonis, A. Nodar, D. Obbink, R. Stewart, London, Egypt Exploration
Society 2001, 1-62.
J. Oeri, Die Auffhrungszeit der Hekabe, Philologus 66 (1907) 287-295.
J. L. O'Neil, The Semantic Usage of tyrannos and Related Words, Antichthon 20 (1986) 26-40.
M. Ostwald, Nomos and the Beginnings of the Athenian Democracy, Oxford, Oxford University
Press 1969.
L. Paganelli, Echi storico-politici nel "Ciclope" euripideo, Padova, Antenore 1979.
D. L. Page, Actors' Interpolations in Greek Tragedy, Oxford, Clarendon Press 1934.
R. Parker, Miasma, Oxford, Oxford University Press 1983.
L. P. E. Parker, The Songs of Aristophanes, Oxford, Oxford University Press 1997.
L. P. E. Parker, Consilium et ratio? Papyrus A of Bacchylides and Alexandrian metrical
scholarship, Classical Quarterly 51 (2001) 23-52.
P. Parsons, The Lille Stesichorus, Zeitschrift fr Papyrologie und Epigraphik 26 (1977) 7-36.
M. Paschalis, Names, Semantics, and Narritive in Ovids Polydorus and Polyxena Episodes and
Their Intertexts (Euripides Hecuba and Virgils Aeneid), Studi Italiani di Filologia Classica s.
IV 1-2 (2003) 142-159.
M. P. Pattoni (a cura di), Sofocle, Aiace, Elettra, Introduzione e note di E. Medda, traduzione di M.
P. Pattoni, Milano, BUR 1997.
71

L. Pearson, Popular Ethics in Ancient Greece, Stanford, Stanford University Press 1962.
N. Pechstein, Euripides Satyrographos. Ein Kommentar zu den euripideischen
Satyrspielfragmenten, Stuttgart, Teubner 1998.
M. Pedrina, I gesti del dolore nella ceramica attica (VI-V secolo) (Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, Memorie, vol. 97), Venezia, Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti 2001.
C. B. R. Pelling, Plutarch's Adaptation of his Source-Material, Journal of Hellenic Studies 100
(1980) 127-40.
G. J. Pendrick, Antiphon the Sophists. The Fragments, Edited with introduction, translation, and
comentary by G. J. Pendrick, Cambridge, Cambridge University Press 2002.
H. Perdicoyianni, Le vocabulaire de la douleur dans l' Hcube et les Troyennes d' Euripide, Les
tudes Classiques 61 (1993) 195-204.
C. Pernigotti, Euripide nella tradizione gnomologica antica, in Battezzato 2003a, 97-112.
A. Pertusi, La scoperta di Euripide nel primo Umanesimo, Italia Medievale e Umanistica 3,
1960, 101-52.
R. Pfeiffer, Storia della filologia classica dalle origini allet ellenistica, Napoli, Macchiaroli 1973
(ed. originale History of Classical Scholarship from the Beginnings to the End of the Hellenistic
Age, Oxford, Oxford University Press 1968).
H. Philipp, TEKTONON DAIDALA: Der Bildende Knstler und sein Werk im vorplatonischen
Schriftum (Quellen und Schriften zur bildenden Kunst, 2), Berlin 1968.
L. Piccirilli (a cura di), Plutarco, La vita di Solone, a cura di M. Manfredi e L. Piccirilli, Milano,
Fondazione Valla 1977.
L. Piccirilli (a cura di), Plutarco, Le vite di Nicia e di Crasso, a cura di M. G. Angeli Bertinelli, C.
Carena, M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano, Fondazione Valla 1993.
P. Pickering, Verbal Repetition in Prometheus and Greek Tragedy Generally, Bulletin of the
Institute of Classical Studies 44 (2000) 81-99 [Pickering 2000a].
P. Pickering, Repetition and their Removal by the Copyists of Greek Tragedy, Greek, Roman and
Byzantine Studies 41 (2000) 123-39 [Pickering 2000b].
A. Plebe (trad.), Aristotele, Opere, volume decimo, Retorica. Poetica, trad. it. di A. Plebe
[Retorica] e M. Valgimigli [Poetica], Roma-Bari, Laterza 1988 [prima ed. 1973].
J. P. Poe, Word and Deed: On 'Stage-Directions' in Greek Tragedy, Mnemosyne, Fourth Series,
56 (2003) 420-48.
M. Pohlenz, Nomos, Philologus 97 (1948) 135-42.
M. Pohlenz, Kleine Schriften. Hrsg. von Heinrich Drrie, Hildesheim, Olms 1965
E. Phlmann-M.L. West, Documents of Ancient Greek Music, Oxford, Oxford University Press
2001.
S. B. Pomeroy (ed.), Xenophon, Oeconomicus: A Social and Historical Commentary, Oxford,
Oxford University Press 1994.
L. Prauscello, Ecdotica alessandrina e testi con notazione musicale. La testimonianza dei papiri fra
prassi esecutiva e trasmissione testuale, in Battezzato 2003a, 57-76.
L. Prauscello, Singing Alexandria. Music between Practice and Textual Transmission, Leiden-
Boston, Brill 2006.
G. A. Privitera, Dioniso in Omero e nella poesia greca arcaica, Roma, Edizioni dellAteneo 1970.
W. H. Race, The Classical Priamel from Homer to Boethius (Mnemosyne Suppl. 74), Leiden, Brill
1982.
R. Radice (a cura di), Stoici antichi, Tutti i frammenti, raccolti da Hans von Arnim, testo greco e
latino a fronte, introduzione, traduzione, note e apparati a cura di R. Radice, presentazione di G.
Reale, Milano, Bompiani 2002.
J. Rassow, Zur Hekabe des Euripides, Hermes 22 (1887) 515-34.
E. Ravenna (a cura di), Senofonte, Anabasi, Milano, BUR 1981 [1964].
P. Rau, Paratragodia. Untersuchung einer komischen Form des Aristophanes, Mnchen, Beck
1967.
72

K. J. Reckford, Concepts of Demoralization in the Hecuba, in P. Burian, Directions in Euripidean
Criticism. A Collection of Essays, Durham, Duke University Press 1985, 112-28, 209-13.
K. J. Reckford, Pity and Terror in Euripides' Hecuba, Arion 1 (1991) 24-43.
G. M. Rispoli, L'ironia della voce: Per una pragmatica dei testi letterari nella Grecia antica,
Napoli, D'Auria 1992.
E. Rohde, Psiche, tr. it. Bari, Laterza 1914-16 [1982] (ed. or. Psyche. Seelencult und
Unsterblichkeitsglaube der Griechen, Freiburg in Brisgau 1890-94).
C. Rosato, Noterella enniana, in Vox 2003, 161-64 (Rosato 2003a).
C. Rosato, Euripide sulla scena latina arcaica. Una bibliografia, in Vox 2003, 167-96 (Rosato
2003b).
V. J. Rosivach, The First Stasimon of the Hecuba, 444ff., American Journal of Philology 96
(1975) 349-62.
E. Ruschenbusch, JA0`J: `JMJl (Historia Einxelschriften 9), Wiesbaden, Steiner 1966.
E. Ruschenbusch, Untersuchugen zur Geschichte des athenischen Strafrechts, Kln, Bhlau 1968.
W. G. Rutherford (ed.), Scholia Aristophanica [], vol. I, London-New York, MacMillan & Co.
1896.
M. Sahlins, Stone Age Economics, Chicago-New York, Aldine-Atherton 1972.
S. Sad, La tragdie de la vengeance, in G. Courtois (a cura di), La vengeance. tudes d'ethnologie,
d'histoire et de philosophie, volume 4, Paris, Cujas 1984, 47-90.
A. Santoni (a cura di), Plutarco, Vite parallele: Pericle-Fabio Massimo, trad. e note di A. Santoni,
con introduzioni e contributi di Ph. A. Stadter, R. Guerrini, U. von Wilamowitz-Moellendorff,
Milano, BUR 1991.
N. Sapegno (a cura di), Dante Alighieri, La Divina Commedia. Inferno, Firenze, La Nuova Italia
1955, 1985
3
.
L. Savignago, Il sistema dei margini nei papiri di Euripide, in Battezzato 2003a, 77-96.
T. J. Saunders, Plato's Penal Code: Tradition, Controversy, and Reform in Greek Penology,
Oxford, Oxford University Press 1991.
R. Schlesier, Die Bakchen des Hades. Dionysische Aspekte von EuripidesHekabe, Mtis 3
(1988) 111-135.
J. Schmitt, Freiwilliger Opfertod bei Euripides, Giessen, Tpelmann 1921.
H. Scholten, Die Sophistik. Eine Bedrohung fr die Religion und Politik der Polis?, Berlin,
Akademie Verlag, 2003.
R. Scodel, The Captive's Dilemma: Sexual Acquiescence in Euripides Hecuba and Trojan Women,
Harvard Studies in Classical Philology 98, 1998, 137-54.
R. Scodel, Credible Impossibilities: Conventions and Strategies of Verisimilitude in Homer and
Greek Tragedy, Stuttgart-Leipzig, Teubner, 1999.
R. Seaford, The Date of EuripidesCyclops, Journal of Hellenic Studies 102 (1982) 161-72.
R. Seaford, Reciprocity and Ritual: Homer and Tragedy in the Developing City-state, Oxford,
Oxford University Press, 1994.
R. Seaford, Tragic Money, Journal of Hellenic Studies 118 (1998) 119-39.
C. P. Segal, The Problem of the Gods in Euripides'Hecuba, Materiali e Discussioni per l'analisi dei
testi classici 22, 1989, 9-21 [Segal 1989a].
C. P. Segal, Law and universals in Euripides'Hecuba, in Sprachaspekte als Experiment. Beitrge
zur Literaturkritik in Antike und Neuzeit (Annales universitatis Turkunensis. Series B. 187), Turku
1989, 63-82 [Segal 1989b].
C. P. Segal, Golden Armor and Servile Robes Heroism and Metamorphosis in the Hecuba of
Euripides, American Journal of Philology 111 (1990) 304-17 [Segal 1990a].
C. P. Segal, Violence and the Other: Greek, Female, and Barbarian in Euripides' Hecuba,
Transactions of the American Philological Association 120 (1990) 109-31 [Segal 1990b].
C. P. Segal, Euripides and the Poetics of Sorrow: Art, Gender, and Commemoration in Alcestis,
Hippolytus, and Hecuba, Durham-London, Duke University Press 1993.
73

N. Sevin, A New Sarcophagus of Polyxena from the Salvage Excavations at Gmay, Studia
Troica 6 (1996) 251-64.
N. Sevin, C. B. Rose, D. Strahan, B. Tekkk-Biken, The Dedetepe Tumulus, Studia Troica 8
(1998) 303-27.
H. A. Shapiro, The Iconography of Mourning in Athenian Art, American Journal of Archaeology
95 (1991) 629-56.
H. A. Shapiro, Personifications in Greek Art: The Representation of Abstract Concepts 600-400 B.
C., Zrich, Akanthus 1993.
M. Sicherl, Die Editio Princeps Aldina des Euripides und ihre Vorlagen, Rheinisches Museum,
118 (1975) 205-25.
M. S. Silk, LSJ and the Problem of Poetic Archaism: From Meanings to Iconyms, Classical
Quarterly 33 (1983) 303-30.
B. Snell, La cultura greca e le orgini del pensiero europeo, tr. it. Torino, Einaudi 1963 (trad. di Die
Entdeckung des Geistes. Studien zur Entstehung des europischen Denkens bei den Greichen,
Hamburg 1955
3
).
A. H. Sommerstein (ed.), Aeschylus, Eumenides, Cambridge, Cambridge University Press 1989.
L. Soverini, Il sofista e lagor. Sapienti, economia e vita quotidiana nella Grecia Classica, Pisa,
Scuola Normale Superiore 1998.
P. A. Stadter, A Commentary on Plutarch's Pericles, Chapel Hill and London, The University of
North Carolina Press 1989
R. F. Stalley, An Introduction to Plato's Laws, Oxford, Blackwell 1983.
G. R. Stanton, Aristocratic Obligation in Euripides'Hekabe, Mnemosyne s. IV, 48, 1995, 11-33.
J. Starobinski, A piene mani. Dono fastoso e dono perverso, Torino, Einaudi 1995 (ed. originale
Largesse, Paris 1994).
D. T. Steiner, Pindars oggetti parlanti, Harvard Studies in Classical Philology 95 (1993) 159-
80.
D. T. Steiner, Images in Mind: Statues in Archaic and Classical Greek Literature and Thought,
Princeton-Oxford, Princeton University Press 2001.
T. C. W. Stinton, Euripides and the Judgment of Paris, (JHS Supplement XI) London, Society for
the Promotion of Hellenic Studies 1965.
T. C. W. Stinton, Collected Papers on Greek Tragedy, Oxford, Oxford University Press 1990.
H. Strohm, Euripides. Interpretationen zur dramatischen Form, Mnchen, Beck 1957.
J. Svenbro, Vengeance et socit en Grce archaque. propos de la fin de l' Odysse, in R.
Verdier-J.-P. Poly, La vengeance. tudes d'ethnologie, d'histoire et de philosophie, volume 3, Paris,
Cujas 1984, 47-63.
D. F. Sutton, The Greek Satyr Play, Meisenheim am Glan, A. Hain 1980.
K. Synodinou, Manipulation of Patriotic Conventions by Odysseus in the Hecuba, Mtis 9-10
(1994-1995) 189-96.
R. H. Tanner, The J:u::: of Cratinus and the Cyclops of Euripides, Transactions of the
American Philological Association 46 (1915) 170-206.
O. Taplin, Aeschylean Silences and Silences in Aeschylus, Harvard Studies in Classical Philology
76 (1972) 57-97.
O. Taplin, The Stagecraft of Aeschylus. The Dramatic Use of Exits and Entrances in Greek
Tragedy, Oxford, Oxford University Press 1977.
M. Tel, Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca (I): cadere a terra, alzarsi; coprirsi,
scoprirsi il volto, Materiali e discussioni per lanalisi dei testi classici 48 (2002) 9-75 [Tel
2002a].
M. Tel, Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca (II): la supplica, Materiali e
discussioni per lanalisi dei testi classici 49 (2002) 9-51 [Tel 2002b].
A. Tessier, Tradizione metrica di Pindaro, Padova, Imprimitur 1995.
74

W. Thalmann, Euripides and Aeschylus: The Case of the Hekabe, Classical Antiquity 12 (1993)
126-59.
W. Theiler, Nomos ho panton basileus, Museum Helveticum 22 (1965) 69-80.
O. Touchefeu-Meynier, Polyxene, in LIMC VII 1, Artemis Verlag, Zrich-Mnchen 1994, 433-35.
H. J. Treston, Poine: A Study in Ancient Greek Blood-Vengeance, London, Longmans & Co. 1923.
A. Tuilier, Recherches critiques sur la tradition du texte d'Euripide, Paris, Klincksieck 1968.
E. Turner, Ptolemaic Bookhands and Lille Stesichorus, Scrittura e Civilt 4 (1980) 19-40.
A. Turyn, The Byzantine Manuscript Tradition of the Tragedies of Euripides, (Illinois Studies in
Lan. and Lit., 43), Urbana, University of Illinois 1957.
R. G. Ussher (ed.), Euripides, Cyclops, Roma, Edizioni dellAteneo e Bizzarri 1978.
F. Vattioni (a cura di), La Bibbia di Gerusalemme, testo biblico di La sacra Bibbia della CEI, note e
commenti di La Bible de Jrusalem, ed. italiana e adattamenti a cura di F. Vattioni [e altri],
Bologna, EDB 1977
3
.
P. Vellacott, Ironic Drama, Cambridge, Cambridge University Press 1975.
R. Verdier, Le systme vindicatoire, in R. Verdier (a cura di), La vengeance. tudes d'ethnologie,
d'histoire et de philosophie, volume I, Paris, Cujas 1980, 12-42.
G. Vlastos, Equality and Justice in Early Greek Cosmologies, Classical Philology 42 (1947) 156-
78.
G. Vlastos, Isonomia, American Journal of Philology 74 (1953) 337-66.
G. Vlastos, Socrates: Ironist and Moral Philosopher, Ithaca (NY), Cornell University Press 1991.
G. Vlastos, Studies in Greek Philosophy, Volume I: The Presocratics, Princeton, Princeton
University Press 1995.
S. von Reden, Exchange in Ancient Greece, London, Duckworth 1995.
G. J. Vossius, De Artis Poeticae Natura ac Constitutione Liber, Amstelodami apud Ludovicum
Elxevirium 1647.
O. Vox (a cura di), Ricerche euripidee, Lecce, Pensa Multimedia 2003.
P. Wathelet, Dictionnaire des Troyens de l'Iliade, Lige, Universit de Lige 1988.
N. Wecklein (ed.), Euripidis Fabulae. Ediderunt R. Prinz et N. Wecklein. Vol. I. Pars III. Hecuba.
Editio altera quam curavit N. Wecklein, Lipsiae, Teubner 1901.
M. L. West (ed.), Hesiod, Works and Days, Oxford, Oxford University Press 1978 [West 1978a].
M. L. West, Stesichorus at Lille, Zeitschrift fr Papyrologie und Epigraphik 29 (1978) 1-4 [West
1978b].
M. L. West, Greek Metre, Oxford, Oxford University Press 1982.
M. L. West, Tragica VII, Bulletin of the Institute of Classical Studies 31 (1984) 171-92.
R. Westbrook, The Trial Scene in the Iliad, Harvard Studies in Classical Philology 94 (1992) 53-
76.
U. von Wilamowitz-Moellendorff, Euripides. Herakles, Berlin, Weidmann 1889, 1895
2
[citato
dall'edizione Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1959; parte dell'introduzione originale
apparsa anche separatamente come Einleitung in die griechische Tragdie, Berlin 1906].
U. von Wilamowitz-Moellendorff, Lesefrchte 123-144, Hermes 44 (1909) 445-76.
U. von Wilamowitz-Moellendorff, Griechische Verskunst, Berlin, Weidmann 1921.
U. von Wilamowitz-Moellendorff, Pindaros, Berlin, Weidmann 1922.
U. von Wilamowitz-Moellendorff, Kleine Schriften IV: Lesefrchte und Verwandtes, Berlin,
Akademie-Verlag 1962.
C. Wildberg, Hyperesie und Epiphanie: ein Versuch ber die Bedeutung der Gtter in der Gramen
des Euripides, Mnchen, Beck 2002.
Willink (ed.), Euripides, Orestes, Oxford, Oxford University Press 1986, 1989
2
.
N. G. Wilson, Scoliasti e commentatori, Studi Classici e Orientali 33 (1983) 83-112.
N. G. Wilson, Filologi bizantini, premessa di M. Gigante, Napoli, Morano 1990 (ed. originale
Scholars of Byzantium, London, Duckworth 1983).
75

V. Wohl, Intimate Commerce: Exchange, Gender, and Subjectivity in Greek Tragedy, Austin,
University of Texas Press 1998.
A. G. Woodhead, I.G., I
2
, 95 and the Ostracism of Hyperbolus, Hesperia 18 (1949) 78-83.
E. Wst, Polyxena in RE XXII, 1840-50.
M. Zanatta (a cura di), Aristotele, Etica Nicomachea, Milano, BUR 1986.
F. I. Zeitlin, Euripides'Hekabe and the Somatics of Dionysiac Drama, Ramus 20 (1991) 53-94.
F. I. Zeitlin, Playing the Other: Gender and Society in Classical Greek Litterature, Chicago-
London, University of Chicago Press 1996.
G. Zuntz, The Political Plays of Euripdies, Manchester, Manchester University Press 1955.
G. Zuntz, An Inquiry into the Transmission of the Plays of Euripides, Cambridge, Cambridge
University Press 1965.
G. Zuntz, Drei Kapitel zur griechischen Metrik, (Sitzungsberichte. sterreichische Akademie der
Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse 443) Wien, sterreichische Akademie der
Wissenschaften 1984.

Potrebbero piacerti anche