CONSI STENZA. Una ri lettura delle lezi oni ameri cane. 2 Www. li berasci enza. i t 3 EDITORIALE Lartiglio del leone di Pierluigi Argoneto In principio il titolo della sesta lezione di Calvino doveva essereOpenness, da intendersi non come "franchezza", bens come apertura, proporzione spaziale tra uomo e mondo. Solo in seguito il titolo fu mutato inConsistency, lezione di cui a noi arrivato ben poco, se non alcuni appunti che mostrano come il centro avrebbe dovuto essere il Bartleby lo scrivano di Melville, descritto dal suo autore come una gura "pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida". Sicuramente la cosa pi intrigante di questo personaggio, psicologicamente molto complesso, la sua ritrosia a svolgere mansioni diverse da quelle a cui abituato e per cui pagato, sconcertando i suoi interlocutori con la celebre risposta "Preferirei di no". Addirittura, ad un certo punto della narrazione, smette di lavorare del tutto, presentandosi comunque puntualmente in ufcio, fornendo come unica spiegazione la medesima frase. C' da notare che in realt Bartleby non riuta mai le cose che gli vengono proposte, in modo molto pi disarmante dice che preferirebbe di no. Addirittura, quando il principale gli domanda incollerito: "Non vuole andare?", egli sottolinea il "preferisco di no. In sostanza non c mai una presa di posizione netta, positiva o negativa che sia, ma un rimandare, un lasciarsi travolgere dagli eventi. Bartleby quasi una gura antesignana del Larry Gopnik di A serious man dei fratelli Coen: un uomo serio, come dice il lm, che poco di male ha fatto, anzi proprio niente. E forse il suo problema proprio che, pur non facendo nulla (cosa che lui sottolinea pi volte nel corso del lm: Ma io non ho fatto niente!), le disgrazie lo raggiungono ugualmente, nel mezzo dellindifferenza di tutti coloro che lo circondano: parenti, familiari, amici, vicini, conoscenti. Bartleby dunque, un copista. Cos come copisti sono altri due grandi personaggi della letteratura: gli sconclusionati Bouvard e Pcuchet, romanzo a cui Flaubert lavor no alla sua morte, lasciando lopera incompiuta. La vicenda che vi si racconta molto semplice, ed anche molto nota: due scrivani, si incontrano su una panchina di avenue Bourdon a Parigi, nell'estate del 1838, e fanno amicizia. Tre anni dopo quell'incontro, i due riescono a realizzare il loro sogno: abbandonare l'impiego e la citt e trasferirsi in campagna iniziando una nuova vita che li porter ad avere rapporti non sempre facili con il fattore, con i notabili del vicino villaggio di Chavignolles, con la gente del luogo; ma che, soprattutto, li spinger a compiere un viaggio vorticoso e apparentemente catastroco attraverso tutto lo scibile umano: dalla geologia alla teologia, dalla chimica alla frenologia, alla biologia, alla sica. Bouvard e Pcuchet un libro provocatorio, nato dalla penna di Flaubert per illuminare con evidenza e ironia i limiti di una societ da sempre costretta a muoversi in coppia con la propria sorella pi grande: la stupidit umana che, cos come per Bartleby, impedisce alla gente di comprendere e denire quale debba essere la giusta proporzione spaziale tra uomo e mondo nel momento in cui vengono a mancare alcuni punti di riferimento sociali che sono tacitamente assunti come normali dalla comunit in cui viviamo. Bouvard e Pcuchet per non sono degli stupidi. Non lo sono nelle intenzioni dell'autore e non lo sono nel romanzo. Sono dei "candidi", e non un caso che Flaubert si sia ispirato proprio al Candido di Voltaire per scrivere lopera: l'ansia di conoscere che li porta ad attraversare, sia pure supercialmente, tutto lo scibile umano, illimitata e disinteressata. Essi sembra anticipare nella cultura occidentale la nausea di Nietzsche per ci che "umano, troppo umano" e anche la celebre e fulminante Filosoa del Riuto di Ennio Flaiano che, non a caso, inizia ancora una volta dallesempio di Bartleby lo scrivano. Quella che vivono sulla pelle questi personaggi letterari, non una stupidit dovuta ad ignoranza, quanto una ignoranza colta, un atto deliberato degli intellettuali, ancora affascinati dallidealismo chiacchieroide e ntamente profondo dei loro discorsi inconcludenti, piuttosto che da una seria volont di affrontare le questioni. Come disse una volta Bruno de Finetti, losofo e matematico delle probabilit italiano, noto in tutto il mondo tranne che, appunto, in Italia: Chiarire una cosa no a mostrare che ovvia pu forse sembrare azione dissacrante per chi ama la pompa e la retorica o larcano, ma appare invece ai miei occhi come il denitivo raggiungimento di una conclusione nella sua forma ottima. Cos e soltanto cos si ha una vera denizione, non chiacchieroide o metasicheggiante o astrazionesca, bens operativa behaviorista, pragmatista, basata non su pretenziose parole, ma su scelte concettualmente sperimentabili. Uno dei grandi problemi della cultura, attualmente soprattutto nel nostro Paese, che molto spesso la grandiosit delle domande che gli intellettuali 4 pi inuenti si pongono inversamente proporzionale alla capacit di comprendere le risposte che essi stessi riescono a dare. Le cosiddette domande di senso costituiscono lesempio tipico di questo processo: invece di incuriosirsi e, dunque interrogarsi, di fronte ai mi racol i che l a s ci enza e l a t ecnol ogi a quotidianamente ci forniscono, dalle medicine ai viaggi intercontinentali, dalla comprensione delluniverso ai meccanismi pi profondi della biologia e, quindi, della comprensi one di noi st essi , ci si cont i nua perniciosamente a chiedere qual il senso della vita (in astratto), chi siamo, da dove veniamo, dove andremo dopo la morte o cose similari. E non ci si accontenta della semplice risposta (sicuramente semplice almeno a partire dal 1859, anno in cui stato pubblicato il saggio Lorigine delle specie di Charles Darwin), che non solo un senso a queste domande non c, ma che non ha neppure senso chiedersi se ce ne sia uno. Infatti, ammesso che ne esista uno di senso, esso non potr che essere prettamente linguistico, non di certo culturale o spirituale o sociale. Ma questo, a quanto pare sfugge ai pi, che invece continuano ad inerpicarsi spudoratamente sulle comode strade della banalit retorica. Che poi le banalit siano appunto banali, e che questo non necessariamente implichi che siano anche false, un altro paio di maniche. come un tiro alla roulette: dire che uscir o rosso o nero una banalit, ma non per questo si mente. E questo per, paradossalmente, conferisce unaura di autorevolezza a chi esprime opinioni del genere. Il fatto che, purtroppo per noi, meno le domande sono sensate e pi suonano bene: non a caso se le pongono da millenni, senza per venirne a capo, poeti, romanzieri, teologi e loso. Quali le conseguenze? Il risultato peggiore dellaccettazione acritica di questi discorsi da parte di buona parte dellintellighenzia da cui siamo ancora afitti, la creazione, o perpetuazione, di una societ che non vive della e nella realt, ma che immersa in una nzione generalizzata che la rende stupidamente colta. Ernesto Rossi nel 1950 sul Mondo, parlando delle opere losoche di Benedetto Croce, se ne usc con commento che ha fatto la storia e che potrebbe essere procuamente traslato a moltissimi altri intellettuali: mi pareva di aver messo una mano in cesto di anguille vive. Non era possibile tirar fuori niente dal cesto, nessun concetto aveva angoli o spigoli, nessuna denizione era mantenuta ferma alla ne del ragionamento. E quel che pi mi irritava era che le pagine per incomprensibili sembravano chiare, convincenti a chi non avrebbe mai saputo neppure ripetermi la dimostrazione del teorema di Pitagora. Ancora oggi, ci che pi risulta oggettivamente stonato e fuori luogo di questo approccio chiacchieroide e metasicheggiante alle questioni, la dura presa di posizione, reazionaria ed ottocentesca, contro la scienza che si continua, sia per ignoranza che per malafede, a confondere con lo scientismo, etichetta creata ad arte dai bigotti di ogni tempo per sminuire limpatto dirompente del pensiero razionale sulla societ favolistica e acritica che ancora siamo costretti ad abitare. Ma anche questo approccio datato: nel corso dei secoli infatti, i detrattori della scienza hanno sempre pregurato gli scenari pi catastroci. Lapprendista stregone di Goethe, il Frankenstein di Mary Shelley, il Dottor Jekill e Mister Hyde di Stevenson, il dottor Moreau di Wells, solo per citarne alcuni, hanno sempre messo in guardia sul pericolo che le scoperte scientiche potessero scappare di mano agli scienziati e provocare guai inimmaginabili alla societ. Nessuno per si mai cimentato con i danni che comporta il continuare ad immaginare ed auspicare una societ ancora retta su dogmi irrazionali, siano essi di natura religiosa, politica o culturale. O forse non lo si mai fatto perch il risultato di questo disastroso esperimento sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Per tornare al tema quindi, per vivere una societ coerente, una societ in cui tutte le parti sono disposte in modo tale da creare un unicum organico e privo di contraddizione, necessario lavorare afnch venga evitata ai pensatori fuori dal coro la tragica ne a cui giungono Bartleby, incarcerato, Bouvard e Pcuchet, che delusi per non essere riusciti a cambiare il mondo, tornano a fare gli scrivani, o Candido dellopera omonima di Voltaire, che nisce la sua epopea con uno scambio di frasi divenute famose: "Lavoriamo senza pensare, disse Martino; la sola maniera di rendere sopportabile la vita", "Ben detto, rispose Candido, ma dobbiamo coltivare il nostro giardino". Come lo stesso Flaubert afferm: c' l' artiglio del leone in questa conclusione tranquilla, stupida come la vita". A noi per rimane la possibilit, in modo molto meno stupido, di provare perlomeno a cambiare il nale perch diversamente tutto viene utilizzato contro di te, in una societ che chiaramente contro la libert dell'individuo e favorisce per il malgoverno, la malavita, la maa, la camorra, la partitocrazia, che ostacola la ricerca scientica, la cultura, una sana vita universitaria, dominata dalla burocrazia, dalla polizia, dalla ricerca della menzogna, dalla trib, dagli stregoni della trib, dagli arruffoni, dai meridionali scalatori, dai settentrionali discesisti, dai centrali centripeti, dalla Chiesa, dai servi, dai 5 miserabili, dagli avidi di potere a qualsiasi livello, dai convertiti, dagli invertiti, dai reduci, dai mutilati, dagli elettrici, dai gasisti, dagli studenti bocciati, dai pornogra, poligra, truffatori, misticatori, autori ed editori. # Diversamente potrebbe essere sufciente agire come Bartleby lo scrivano. Preferire sempre di no. *** In questo numero, nellordine, troverete: Patrizia Piredda che ci parla concetto di coerenza in campo etico, tra Aristotele e Calvino, mentre Roberto Natalini affronta lo stesso tema nellambito matematico: da Gdel a Peano, passando per gli asini volanti. Fiorella Fiore ci accompagna invece alla scoperta del l i ntri gante e spesso i ncompresa performance art, mentre Antonio Di Stefano ci spiega come sia possibile vedere la Cina, e riettere sulleconomia globalizzata, stando sotto un ombrellone. Luca Lanini, affronta poi la consistenza riettendo su come si sia evoluto questo concetto nellarchitettura mondiale. E poi gli ultimi due interventi: Giuseppe De Nittis e Patrizia Piredda che si sono brillantemente cimentati in un ipotetico dialogo tra Wittgenstein e Gdel, e Francesco DErrico che ci fa scoprire con lui le connessioni che la consistenza ha perno con la musica. Buona lettura! 6 FILOSOFIA Ornette Coleman, Free Jazz, A Collective Improvisation, Side A 100x13 7 Riflettendo con Aristotele e Calvino per cercare un nuovo senso del concetto di coerenza in campo etico di Patrizia Piredda
Se volessimo fare una riessione sul concetto di coerenza da una prospettiva etica, cercando di trovarne un nuovo senso, dovremmo iniziare a comprendere, trattandosi di una questione del linguaggio, quando e come tale concetto utilizzato. Iniziamo col dire che quando si sostiene che una persona coerente, in qualche modo si sta affermando che sia una persona corretta. Riferito a un individuo, infatti, la coerenza acquisisce un senso etico, vale a dire che vi una conformit tra i principi ai quali crede e il suo agire pratico. Coerente dunque chi si comporta conformemente al suo pensiero e alle sue convinzioni etiche e morali. Ma non si usa, generalmente, la parola coerenza nel caso in cui si agisce per produrre qualcosa che ha uno scopo pratico come un palazzo, la mietitura, un tavolo, una cura medica, un computer, una manovra di un macchinario e via dicendo perch in questi casi si agisce bene se bene si applicano le regole che determinano la tecnica di come si fa quella determinata cosa. Mentre dal punto di vista etico il concetto di coerenza sembra non adattarsi bene alle situazioni determinate da norme e regole, dal punto di vista logico la situazione si ribalta. Ecco dunque che il concetto di coerenza usato quando una persona, applicando bene le regole della logica non cade in contraddizione, vale a dire non afferma ora ci che dopo pochi secondi nega, a meno che tale ribaltamento di posizione non sia in sintonia con il discorso, come nel caso della dimostrazione confutativa di Socrate, che nei suoi dialoghi partiva prendendo per buono ci che coloro che si ritenevano sapienti dicevano essere vero per nire ad affermare il perfetto contrario. Il concetto di coerenza usato, dunque, per indicare una correttezza sia dellazione che del pensiero delluomo in quanto, in termini etici, la coerenza considerata una qualit fondamentale che bisogna sviluppare al ne di parlare e agire bene. Si parla di correttezza poich coerente ci che ben disposto ed in armonia rispetto a tutte le altre parti che compongono il tutto di cui fanno parte. Dunque, un discorso coerente se tutte le sue parti sono ben disposte in modo da creare un tutto organico concluso e privo di contraddizione, cos come un uomo coerente se le sue azioni, le parti, sono coese tra loro in modo tale da formare un tutto che sia armonico rispetto ai suoi principi. La coerenza, come tutti i concetti, non ha per alcun valore in s. Il valore lo acquisisce nel momento in cui viene utilizzata in un contesto specico: come appunto dire che la coerenza concerne il ben parlare e il ben agire. bastato aggiungere una piccola parolina ed ecco qua che la riessione, iniziata da semplici esempi presi dal nostro linguaggio quotidiano, si subito ingarbugliata, perch se facile poter capire cosa signica in termini logici parlare bene, capire cosa signichi agire bene un po pi complicato. Mentre il discorso fondato su regole e norme ben determinate senza le quali il parlare sarebbe solo un nonsense, lagire non ha al suo fondamento alcuna norma forte ma dei principi generali e degli esempi di condotta che compongono un sapere particolarissimo che i greci denivano phronesis, vale a dire la saggezza pratica. Si parla correttamente e coerentemente, dunque, quando, applicando bene le regole, il discorso coerente in tutte le sue parti. Ma si pu dire lo stesso dellazione dal punto di vista etico? Possiamo dire che agisce correttamente e coerentemente chi applica delle regole? Oppure che la coerenza del pensiero logico immediatamente coerenza dellazione? Per cercare una risposta chiediamo aiuto da un lato a uno scrittore, Calvino che per la via traslata della letteratura riette sul linguaggio e sulletica, e dallaltro a un losofo, Aristotele, che riette sugli stessi argomenti ma in via analitica. Se partiamo dallipotesi che la coerenza del pensiero logico immediatamente coerenza dellazione, allora dobbiamo chiederci come mai il signor Palomar, che ragiona con una coerenza logica stringente, allatto pratico sbeffeggiato dalla realt! Come, ad esempio, accade quando una notte destate, per cercare le stelle sulla mappa astrale e poi per ritrovarle in cielo, deve mettere e levare gli occhiali da miope, accendendo e spegnendo la lucetta mentre si domanda se ci che vede, le stelle, non sia unillusione, qualcosa di deformato per cui se i corpi luminosi sono carichi dincertezza, non resta che afdarsi al buio, alle regioni deserte del cielo. Cosa pu esserci di pi stabile del nulla? Eppure anche del nulla non si pu essere sicuri al cento per cento [] lui non arriva a esser sicuro se ci sono davvero o se gli sembra solo di vederli 1 : tutto ci sotto lo sguardo attonito di una piccola folla che si formata attorno a lui e che sta sorvegliando le sue mosse come le convulsioni dun demente. 2
O quando, nel voler prendere nota per catalogare i vari tipi di formaggio, tipica azione analitica per la quale la conoscenza perfetta la catalogazione degli oggetti reali, mentre fa la la in una formaggeria parigina tutto preso dal suo atto rigoroso, non si accorge che arrivato il suo turno: nella la dietro di lui tutti stanno osservando e scuotono il capo con laria ironica e spazientita con cui gli abitanti delle grandi citt considerano il numero sempre crescente dei deboli di mente in giro per le strade. 8 Lordinazione elaborata e ghiotta che aveva intenzione di fare gli sfugge dalla memoria; balbetta; ripiega sul pi ovvio, sul pi banale, sul pi pubblicizzato, come se gli automatismi della civilt di massa non aspettassero che quel suo momento dincertezza per riafferrarlo in loro bala. 3
Tanto pi Palomar vuole razionalizzare con precisione matematica la realt, tanto pi questa si divincola dallo schematismo ribaltando il razionalismo in ironia come, tra laltro, fa anche con il povero Marcovaldo; ma mentre il primo esce fuori dal giusto mezzo, delicato equilibrio tra realt, fantasia e razionalit, eccedendo nel razionalismo, Marcovaldo eccede nella poesia. Ci possibile perch non c una corrispondenza perfetta tra le strutture del linguaggio e la vita attiva: la coerenza della logica, allatto pratico, non si trasforma immediatamente in coerenza tra pensiero, volont e azione. Ecco, dunque, un primo punto importante per il nostro scopo: essere coerenti in senso etico non signica essere fermi sulle proprie posizioni. S, vero che si suol dire stato coerente no alla morte con le sue credenze', 'ha vissuto senza mai andare contro a quel che credeva: ma tale affermazione, dal punto di vista del nuovo senso che vogliano ricercare, un sosma sia moralmente che eticamente. Cosa accade, come molto spesso accaduto e come purtroppo ancora oggi ogni giorno accade, se tali credenze producano il male e non il bene? Eticamente e moralmente la coerenza deve tener sempre conto della situazione, non deve fondarsi su credenze derivate da leggi e norme particolari, ma su principi che di volta in volta devono essere compresi rispetto alla contingenza. Perci essere coerenti non signica che, caschi il mondo, io agir sempre e solo in questo modo per essere coerente con me stesso! Dire, inoltre, ha agito coerentemente secondo letica tal-de-tali anchesso, dalla prospettiva del nuovo senso che cerchiamo, un sosma poich letica per sua denizione ha come scopo ultimo il bene e dunque seguire ciecamente unetica particolare, che sia religiosa o politica o qual si voglia, non ha necessariamente come scopo il bene: spesso, anzi, ci serve a deresponsabilizzare e ad assolvere atti che palesemente sono stati nocivi. Possiamo dire, dunque, che la coerenza etica deve tener di vista il bene. Ancora, per non abbiamo risolto il nostro problema perch il bene che si usa in riferimento al parlare non lo stesso bene che si usa in riferimento allazione, anche se, in qualche modo, v una connessione tra i due. Per cercare di risolvere questa specie di papocchio losoco in cui si avviluppato il concetto di coerenza tra logica ed etica, partiamo da ci che ci pi noto: noi stessi. Prima di tutto diciamo che sebbene Palomar non sia una persona reale ma un personaggio, proprio in quanto tale, paradossalmente pi vicino alla realt di quanto possa sembrare perch rappresenta una possibilit di ci che potrebbe essere, vale a dire una possibilit ancora non realizzata della realt. Nella dimensione etica le rappresentazioni artistiche sono infatti particolarmente importanti perch sono degli ottimi esempi sui quali riettere, in grado di far sviluppare il sapere pratico: insomma, riettere sullazione del personaggio ci permette di comprendere qualcosa sullazione delluomo. La natura umana caratterizzata dallistinto dimitazione, in quanto limitazione il modo di apprendimento grazie al quale luomo impara a parlare, a fare e a interagire con gli altri e con le cose: per Aristotele limitare congenito n dallinfanzia alluomo, che si differenzia dagli altri animali proprio perch il pi portato a imitare, e attraverso limitazione si procura le prime conoscenze. 4
Un particolare tipo di imitazione la produzione poetica in quanto, differentemente da tutte le altre attivit umane che hanno uno scopo pratico, ha il ne in se stessa nel senso che non produce oggetti da utilizzare, ma oggetti (le creazioni artistiche) che rappresentano la realt mostrandone un senso nuovo. La conoscenza che deriva dalle rappresentazioni artistiche, dunque, non vera e valida oggettivamente e non costituisce lepisteme poich non procura dei dati che possono essere vericati nella realt: ma, producendo rappresentazioni e non dati, una conoscenza valida per lo pi adatta a incrementare il sapere pratico, che utilizziamo ogni qual volta siamo chiamati a valutare una situazione in termini etici e morali. Questo, per, accade solo se latto mimetico produce rappresentazioni linguistiche esatte. Lutilizzo esatto (per quanto gli uomini possano essere capaci di esattezza!) del linguaggio, fa s che si sviluppino pensieri, racconti, riessioni e storie non contraddittorie: evitato il rischio della contraddizione, si evita la possibilit non solo che si creino false credenze, ma che si prenda labitudine di prendere per veri slogan e frasi senza senso. Questo punto fondamentale per Calvino, per il quale il linguaggio nella societ contemporanea viene sempre pi usato in modo scorretto, improprio, approssimativo: una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare lespressione sulle formule pi generiche, anonime, astratte, a diluire i signicati. 5
Scrive Calvino che il suo disagio concerne non solo il linguaggio ma la vita stessa, linconsistenza del mondo e aggiunge: la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco dopporre lunica difesa che riesco a concepire: unidea di letteratura. 6 Ecco, dunque, che per Calvino, la letteratura in grado di rappresentare, l dove appunto sia costruzione di trame coerenti, il malessere 9 dellesistenza che rende anche la vita delle persone e la storia delle nazioni [] che rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio n ne. 7 Sia per Aristotele che per Calvino, lesattezza concerne la precisione e la chiarezza del linguaggio che solo cos d vita a racconti (o mythoi) verosimili (eikos) che veicolano quel particolare tipo di conoscenza necessaria alla sfera etica. Lesattezza per Calvino : 1) un disegno dellopera ben denito e ben calcolato; 2) levocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili; 3) un linguaggio il pi preciso possibile come lessico e come res a del l e s f umat ure del pens i ero e dellimmaginazione. 8 Un esempio che Calvino ci d per mostrarci come lesattezza della scrittura signichi rigore del pensiero astratto in connessione con la vita pratica Leopardi: Leopardi, scrive Calvino, che avevo scelto come contraddittore ideale della mia apologia dellesattezza, si rivela un deciso testimone a favore Il poeta del vago pu essere solo il poeta della precisione, che sa cogliere la sensazione pi sottile con occhio, orecchio, mano pronti e sicuri, 9 perch, continua a scrivere Calvino, Leopardi non tratta lo spazio e tempo come unidea confusa o trascendente ma parte dal rigore astratto dunidea matematica di spazio e tempo e poi laccosta alla nostra cognizione empirica dello spazio e del tempo. 10
Per Aristotele lesattezza concerne tutta lopera che, quindi, deve essere ben calcolata ed equilibrata. Tale opera la tragedia, che imita una azione umana e nella quale tutte le parti sono ben disposte e ben costruite in modo che ci sia un principio, uno svolgimento e una chiusura: tragedia imitazione de unazione seria e compiuta, avente una sua grandezza, in un linguaggio condito di ornamenti, separatamente per ciascun elemento delle sue parti, di persone che agiscono. Ci sono, ovviamente, delle grandi differenze tra la concezione aristotelica e quella calviniana sulla composizione, ma quel che ci interessa qui vedere come in entrambi lesattezza sta nel giusto utilizzo del linguaggio poetico, che deve creare delle metafore non confusionarie ma capaci di mettere davanti agli occhi con chiarezza ci che non sarebbe possibile dire in altro modo, e deve comporre un testo coerente in tutte le sue parti. Il disegno dellopera molto importante perch il telos della imitazione poetica non n per Aristotele n per Calvino il divertimento del pubblico: tuttaltro. un telos di ordine etico ed per questo tra tutti gli elementi della tragedia il pi importante la sistemazione degli eventi, perch la tragedia non imitazione di uomini, ma di azioni e di vita. Non si agisce dunque per imitare i caratteri, ma si assumono i caratteri in dipendenza delle azioni. 11
Questa deni zi one di fondamental e importanza poich il carattere, lethos, che deve essere buono, adatto, somigliante e coerente, 12 meno importante della situazione. La tragedia, infatti, per Aristotele, imitazione di unazione, e di conseguenza soprattutto di persone che agiscono, laddove lazione procurata dal pensiero e dunque dal linguaggio, vale a dire dalla capacit di dire le cose giuste e appropriate. 13
Il ben agire dunque legato al ben parlare, nel senso che il saper ragionare bene, senza errori logici che inducono a contraddizioni e a conclusioni sbagliate, fondamentale quando si deve prendere una decisione. Ma non vuol dire assolutamente che dire le cose appropriate signica dire le cose cos come veramente stanno no a pensare di poter comprendere il mondo nella sua totalit attraverso le strutture logiche. Nelle narrazioni di Calvino, i personaggi, a causa del loro pensiero, a volte troppo rigidamente geometrico e a volte troppo liberamente fantasioso, si ritrovano in pasticci e guai imprevisti, proprio perch, pensando di poter prevedere tutto, niscono per obliare lovvio, la semplice, spesso squallida, realt che li circonda. Allora il personaggio o carattere si ha quando la parola o lazione rende chiara una scelta, e il carattere sar buono se la scelta buona, 14 scelta che, abbiamo visto, deve essere presa coerentemente con la situazione. Per Aristotele un personaggio che facesse unazione seguendo appunto il suo carattere senza tener presente il contesto, nirebbe in un patatrac, ugualmente nei racconti di Calvino come nelle tragedie classiche: anche in questo caso, lo sbaglio dei personaggi (sbaglio, appunto, che si appone allesattezza) sta nellessere usciti fuori dal giusto mezzo della valutazione della realt. Ecco! Se volessimo dare un nuovo senso al concetto di coerenza da un punto di vista etico potremmo dire che esso risiede nel giusto mezzo aristotelico il quale la capacit delluomo saggio dotato di phronesis di saper prendere la giusta decisione e di compiere la giusta azione grazie alla giusta dose di razionalit e di passione per ogni situazione. molto difcile dire attraverso il rigore dellargomento logico cosa sia questo equilibrio che rende lazione coerente con i principi e gli scopi delletica che tendono al bene. Ma possiamo dirlo attraverso quelle particolari forme del linguaggio che compongono la dimensione poetica, le metafore fondate sul giusto mezzo, n troppo astruse, n troppo ovvie: la metafora del cristallo, invariante e regolare, e della amma, eterna agitazione, due forme di bellezza perfetta da cui lo sguardo non sa staccarsi, due modi di crescita nel tempo, di spesa della materia circostante, due simboli morali, 10 due assoluti, due categorie per classicare fatti e idee e stili e sentimenti [] io scrive Calvino, mi sono sempre considerato un partigiano dei cristalli, ma la pagina che ho citato minsegna a non dimenticare il valore che ha la amma come modo dessere, come forma desistenza. 15 Note _________________ 1 Calvino, Italo, Palomar, Torino, Einaudi, 1983, p. 59. 2 Ivi, p. 49. 3 Ivi, p. 76. 4 Aristotele, Poetica, IV 1448b 5-8, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 7. 5 Calvino, Italo, Lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, p. 58. 6 Ivi 59. 7 Ivi, p. 59. 8 Ivi p. 57. 9 Ivi, p. 61. 10 Ivi, p. 63. 11 Aristotele, Poetica, VI 1450a 15-21, op. cit., p. 15. 12 Ivi, XV 1454a 20-25, p. 33 13 Ivi, VI 1450b 2-3; 4, p. 15 14 Ivi, VX 1454a 17-19, p. 33. 15 Calvino, Italo, Lezioni americane, op. cit., p. 69-70. 11 MATEMATICA Carl Orff, Carmina Burana 100 x135 12 Consistenza matematica, una storia abbastanza complicata di Roberto Natalini Certo non poteva mancare la matematica, parlando di consistenza. E mi sarebbe piaciuto proporre illuminanti connessioni tra matematica, losoa e letteratura (e poi Calvino...). O ancora presentare una panoramica dei tanti signicati che anche in ambito tecnico la parola consistenza prende in matematica, a partire dalla consistenza degli schemi di approssimazione numerica per le equazioni differenziali, che forse l'unico argomento di cui potrei parlare con reale cognizione di causa. Oppure spiegare che in italiano la parola consistenza vuol dire che ha sostanza, mentre in ambito logico-matematico la parola consistenza un solo un calco dell'inglese consistency, che dovrebbe in realt essere tradotto con la parola coerenza (ma Calvino negli appunti in inglese scrive proprio consistency). E poi mi sono reso conto che tutti questi propositi sarebbero risultati futili o addirittura disorientanti rispetto al macigno che domina ancora oggi, a oltre ottant'anni di distanza, il panorama matematico quando la parola consistenza appare. Insomma, avremmo potuto conversare amabilmente del tempo sorseggiando la nostra tazza di t, facendo nta di non vedere l'elefante seduto sul divano buono del salotto, ma alla ne l'unica cosa che avremmo ricordato del nostro incontro sarebbe stato l'elefante, appunto. Allora tanto vale parlare di lui, sperando che riusciate a digerirlo. Supponiamo di ssare un sistema di assiomi, ossia alcune proposizioni che pensiamo debbano servire da fondamento non dimostrato di una teoria. Usando le regole di inferenza logica possiamo combinare questi assiomi per dedurre dei teoremi, ossia delle proposizioni che si dimostrano vere proprio a partire dagli assiomi. Il sistema di assiomi detto essere consistente se non possibile dimostrare, a partire dagli assiomi, che una certa proposizione e la sua negazione sono vere allo stesso tempo, ossia se non esistono affermazioni contraddittorie. Questa denizione di consistenza pu risultare strana e allo stesso tempo abbastanza ovvia. ovvia se vogliamo che il nostro sistema abbia un senso, ossia sia razionalmente accettabile. Anzi forse questa richiesta potrebbe essere posta alla base di ci che chiamiamo razionale: non possiamo accettare che siano vere allo stesso tempo una cosa e il suo contrario. E inoltre questo negherebbe la possibilit di argomentare logicamente, poich si pu far vedere che se in un sistema esiste un'affermazione che vera e allo stesso tempo anche vera la sua negazione, allora possibile dedurre qualsiasi cosa all'interno del sistema stesso. Questo principio chiamato ex falso sequitur quodlibet (ossia, dal falso segue qualsiasi cosa). Vediamo come funziona. Supponiamo per esempio che siano vere contemporaneamente 4 diverso da 5 e 4 uguale a 5 e vogliamo dedurre l'affermazione: tutti gli asini volano. Dato che 4 diverso da 5 vera, allora vera anche l'affermazione D=almeno uno dei due tra 4 diverso da 5e tutti gli asini volano vera. Ora sappiamo anche che 4 uguale a 5, per cui, per essere ancora vera l'affermazione D dobbiamo concludere che tutti gli asini volano vera. Insomma, un bel pasticcio, con tutti questi asini volanti... Allo stesso tempo la consistenza strana. Per la losoa classica, per Aristotele, non esiste proprio il problema, non ci possono essere proposizioni vere e false allo stesso tempo e basta, o una cosa vera o vero il suo contrario, e non ci sono altre possibilit. Ma allora, a cosa serve parlare di consistenza, quando questa dovrebbe essere una cosa accettata da tutti? Il problema nasce dal fatto che mentre per i greci gli assiomi erano affermazioni considerate come evidenti, da non dimostrare, ma nemmeno da discutere, ossia una base di partenza da cui dedurre tutte le affermazioni vere, per noi moderni la cosa leggermente pi complicata. L'idea nuova, che risale alla ne del XIX secolo, che la matematica si sarebbe dovuta sganciare da ogni considerazione esterna. Il programma di David Hilbert, uno dei grandi matematici vissuti a cavallo tra il XIX e il XX secolo, proponeva di auto-fondare la matematica, partendo da una scelta opportuna di assiomi, senza far riferimento ad alcuna evidenza empirica. un po' il programma di Euclide per la geometria, ma per Euclide le basi di partenza erano prese come evidenti, mentre per Hilbert solo la matematica che deve decidere se un dato sistema di assiomi legittimo o meno. Il secondo problema di Hilbert, proposto nel 1900, chiedeva proprio di dimostrare che l'aritmetica basata su un sistema di assiomi che possiede queste tre propriet, che sono quelle che lo rendono appunto legittimo: 13 a) Minimalit (o indipendenza): nessuno degli assiomi pu essere dedotto dagli altri. b) Consistenza: non esistono contraddizioni interne al sistema, ossia ogni teorema dedotto dagli assiomi non pu essere vero e falso allo stesso tempo. c) Completezza: si pu determinare per ogni affermazione se essa o la sua negazione possono essere dimostrate a partire dagli assiomi. Insomma, dato che adesso gli assiomi possono essere messi insieme in modo arbitrario (e in alcuni sistemi gli assiomi potranno apparire assolutamente non evidenti), la consistenza diventa una propriet da richiedere e dimostrare, per evitare di costruire un inutile castello di carte. Come sistema di assiomi per l'aritmetica, venne considerato allora il sistema proposto nel 1899 dal matematico italiano Giuseppe Peano per descrivere i numeri naturali, che pu essere scritto informalmente in questa maniera (non strettamente simbolica): " Esiste un numero naturale che chiamiamo 0 (zero). " Ogni numero naturale n possiede un successore, che chiamiamo succ(n). " Se due numeri hanno lo stesso successore, allora sono uguali. " Lo 0 non il successore di alcun numero. (Principio di induzione) Preso un qualunque sottoinsieme A dell'insieme dei numeri naturali tale che lo 0 appartiene ad A e per ogni numero n, se n appartiene ad A, allora anche succ(n) appartiene ad A, allora A coincide con tutto l'insieme dei numeri naturali. Immaginate di non sapere cosa siano i numeri (naturali) e provate ad usare solo gli assiomi per ritrovare tutte le loro propriet conosciute (questo un po' il succo degli assiomi, caratterizzare una certa parte della matematica con un numero limitato di affermazioni facili da accettare o riutare). Per esempio, partendo dagli assiomi, si pu denire l'operazione di addizione in modo ricorsivo mediante queste due propriet: a) n +0= n; b) n +succ(m)=succ(n+m). I primi quattro assiomi sono abbastanza evidenti, se pensiamo a come sono fatti i numeri. Si parte da 0, e poi si va avanti con la funzione successore generando tutti i numeri. Tuttavia, se usassimo solo i primi quattro assiomi, non avremmo ancora il sistema dei numeri naturali, perch non riusciremmo a dimostrare tante propriet che ci aspettiamo siano vere. Dobbiamo aggiungere un nuovo assioma, e Peano propose appunto il principio di induzione. Purtroppo questo principio non un solo assioma, ma piuttosto equivale ad avere un numero innito di assiomi, diciamo uno per ogni sottoinsieme dei numeri naturali. Ed questo principio di induzione (anche se riproposto in alcune formulazioni pi deboli) che porter le maggiori complicazioni. Tuttavia, gli assiomi di Peano sembravano (e sembrano ancora) un buon punto di part enza per dare una descri zi one sensat a dell'aritmetica. Anzi Hilbert aveva dimostrato che praticamente tutta la matematica, analisi, geometria, algebra, poteva essere dimostrata consistente se lo era l'aritmetica data dagli assiomi di Peano. E Hilbert e tanti altri matematici erano abbastanza sicuri di poter di mostrare quest' ul ti mo passo appunto del l a consistenza dell'aritmetica di Peano. Invece, nel 1931, l'allora 25enne Kurt Gdel, uno studioso austriaco che frequentava il Circolo di Vienna, pubblic un lavoro destinato a sconvolgere i piani del grande Hilbert. Gdel dimostr infatti un primo risultato molto sorprendente, ossia che in qualsiasi sistema assiomatico consistente che sia sufci entemente potente da poter espri mere l'aritmetica, possibile trovare delle proposizioni aritmetiche vere che non possono essere dimostrate a partire dagli assiomi. Ossia, supponendone la consistenza, l'aritmetica di Peano, e anche qualsiasi sua possibile estensione assiomatica, formano dei sistemi incompleti. Questo pu sembrare molto strano, cosa vuol dire infatti che di una proposizione vera e non dimostrabile? L'idea di Gdel non pu essere spiegata in poche righe, ma dovendolo fare, basti accettare la possibilit di associare in modo unico a ogni successione nita di simboli, un numero intero. Questo permette di tradurre in operazioni numeriche qualsiasi affermazione e anche qualsiasi dimostrazione, ossia permette di parlare dei teoremi del sistema usando gli stessi numeri. Attraverso varie manipolazioni Gdel riusc a scrivere una proposizione con questo enunciato: Questa proposizione non dimostrabile in questo 14 sistema di assiomi. Se la proposizione fosse falsa, allora sarebbe dimostrabile, ossia una contraddizione che porterebbe all'inconsistenza del sistema, e per questo motivo deve essere vera (e non dimostrabile). Purtroppo non era nita. Con gli stessi metodi Gdel dimostr che se un sistema assiomatico consistente e abbastanza potente da esprimere l'aritmetica, allora impossibile provare la sua consistenza all'interno del sistema stesso. Ossia non possibile basare la nostra convinzione nella consistenza dell'aritmetica sull'aritmetica stessa, ma dobbiamo basarci su un altro sistema di assiomi (pi forte) per fondarla in modo non contraddittorio (e cos via, anche per i nuovi sistemi, ovviamente...). La matematica, che da oltre mezzo secolo cercava di rendersi autonoma da qualsiasi considerazione esterna, risultava in ultima analisi legata ad un lo, quello della nostra intuizione sulla ragionevolezza delle ipotesi di base. una cosa grave? I matematici di oggi pensano di no. Il programma di Hilbert ci appare come una delle tante possibili direzioni di ricerca, ma non come l'unica alternativa possibile. La matematica vive della sua plausibilit, tutti accettano gli assiomi di Peano e in particolare il principio di induzione, sono stati dimostrati alcuni teoremi nora ritenuti incredibili (il Teorema di Fermat, la congettura di Poincar, il teorema di quattro colori, la congettura di Goldbach debole), e viviamo in un'epoca in cui la scienza e la tecnologia sono sempre pi imbevute di matematica. Una matematica che si basa proprio sulle idee usate e inventate da Gdel. Se non ci fosse stato Gdel con i suoi teoremi, non avremmo probabilmente gli algoritmi di Google, il bancomat, la compressione dati dei telefoni cellulari, gli algoritmi di trattamento delle immagini mediche. Tuttavia, certo, un piccolo dubbio rimane. Perch, se impossibile dimostrare la consistenza dell'aritmetica, fondandosi solo sull'aritmetica stessa, ossia non si pu sapere a priori che non ci saranno contraddizioni nel sistema generato dagli assiomi di Peano, rimane sempre la possibilit dell'inconsistenza. Il teorema di Gdel non la esclude, e anzi ogni tanto spunta qualche matematico convinto di aver trovato una dimostrazione di questa inconsistenza (ma nora si sono tutti sbagliati). Basterebbe trovare una esempio, un solo esempio per far cadere tutto il castello di carte della matematica. Cambierebbe molto? In teoria s, tutto sarebbe vero e falso allo stesso tempo, ossia tutte le affermazioni sarebbero vere, e molte nostre certezze andrebbero in fumo. Oppure no, e scopriremmo che avevamo capito male qualche cosa di veramente importante. Ma questo il bello della ricerca matematica. Viareggio, 17-23 agosto 2013. [Ringrazio Giuseppe Pino Rosolini per l'attenta rilettura e gli amichevoli consigli. Tutte le imprecisioni sono tuttavia solo farina del mio sacco]. 15 ARTE Pink Floyd, On the run 56x42 16 L'inconsistenza assoluta dell'arte: Marina AbramoviC e la performance art di Fiorella Fiore Il tema della Consistenza non riusc ad essere affrontato da Italo Calvino, quindi non sapremo mai quali potessero essere le intuizioni "per il Nuovo Millennio" per ci che riguarda il campo artistico, per quanto intuibile da quella che la linea tracciata nelle Lezioni Americane. Certo, sarebbe stato interessante conoscere il suo punto di vista su una delle forme d'arte pi problematiche, criticate, a volte non riconosciute, detestate, che hanno fatto dell'esatto contrario della consistenza il proprio essere artistico: la performance art. Nata negli anni '60, la performance elimina qualunque supporto per creare un'opera d'arte dalla sola interazione tra pubblico e artista. Sono anni turbolenti per un'arte in divenire, alla ricerca di se stessa, protagonista di continue ed incessanti trasformazioni, e soprattutto di un'identit in un periodo storico cos tanto ricco di sfumature, differenze, difcolt, da mettere in crisi il millenario sistema artista - supporto - opera. Pone in crisi tanto il pubblico, quanto gli stessi addetti ai lavori. Non vi tela, non vi scultura: qualunque cosa sia, si sa che non pu essere appesa alla parete. Di fatto non esiste alcun supporto e quindi nessun manufatto; l'opera nasce e muore nello stesso momento in cui l'artista interagisce con il suo pubblico. E' una rivoluzione rispetto a quello che sempre stato un pilastro della storia dell'arte, ma anche un ostacolo alla sopravvivenza degli artisti, privati dell'unica componente che permette la vendita e, quindi, la sussistenza delle loro vite. Dagli anni' 60 si passati a fare della performance su qualunque cosa: la coppia Christo - Jeanne Claude ha letteralmente impacchettato monumenti ed ettari di terreno; il corpo divenuto il mezzo per espressioni anche violente, come nella scuola viennese di Hermann Nitsch. E poi c' colei che si autodenita la nonna della performance art", ma che di fatto ha esplorato attraverso il suo corpo la natura stessa dell'uomo, e che proprio dall'inconsistenza ha tratto meravigliosi capolavori: Marina Abramovi$. Tutte queste espressioni della performance hanno in comune una caratteristica: l'essere efmere. Esistere per poi non esistere pi. Restano i documenti: fotograe, video, trasformati in copie rare, tirature limitate per divenire "vendibili", ma che restano comunque surrogati dell'opera. Nell'epoca della riproduzione digitale ci che viene poi lmato, registrato, fotografato un feticcio, un documento, non l'opera d'arte, che risiede solo nell'alchimia con lo spettatore, che momentanea, e destinata a scomparire. Ma che, a volte, pu essere narrata in tutta la sua magia. Nel magnico lm documentario (appunto) The Artist is present, che racconta la realizzazione dell'ultima grande perfomance della Abramovi$, presso il Moma di New York, tutti possono arrivare a comprendere questo assioma. La performance nella sua assoluta semplicit disarmante: l'artista, per tre mesi, da marzo a maggio 2010 per 100 giorni, 700 ore, rimasta seduta su una sedia, per l'intero orario di apertura del museo. Nessuna pausa, n per mangiare, n per bere, n per cambiare posizione. Davanti una sedia vuota, destinata a tutti coloro che avessero voluto interagire con lei. Guardare l'artista negli occhi. Lasciarsi guardare. Unazione che sfuma i conni tra il mondo dellarte e quello reale per unesperienza di grande condivisione e scambio, restituita in un documento unico. Ma ci arriveremo. Viene da s che la domanda "ma questa arte?" diventa particolarmente delicata quando si entra in questo contesto. E' forse teatro? D'altra parte i grandi artisti performer sono necessariamente teatrali. Ma, propri o Mari na Abramovi $, ha ben saput o differenziare le due cose: nell'arte, spiega, c' un coltello e il taglio reale, cos come lo il sangue che esce dalle ferite. Nel teatro non c' taglio, e il rosso che presente sulla scena solo ketchup. E non a caso parla di coltelli: quando si parla di Marina Abramovi$, che ha fatto del proprio corpo l'oggetto su cui esprimere la propria poetica, si entra in una dimensione in cui il pubblico, sin dalle prime performance negli anni '70, stato shoccato, disgustato, ma anche complice, aguzzino, voyeur. Nelle sue performances ha inciso una stella sul suo ventre, simbolo di una femminilit oppressa, in "Lips of Thomas", del 1975; si agellata, con un chiaro riferimento ai riti di puricazione cristiana; in "Rhythm 2" ha ingerito psicofarmaci che le hanno provocato stati di incoscienza per denunciare il trattamento riservato dalla societ all'"isteria" femminile. Ma la performance che pi di tutte pu illustrare qual il ne di questo lavoro "Rhythm 0" del 1974, "realizzata" davanti al pubblico di Napoli. Fu 17 riferito agli spettatori che per un periodo di sei ore l'artista sarebbe rimasta passivamente priva di volont e che loro avrebbero potuto usare liberamente di lei utilizzando degli strumenti posti su un tavolo: sia di piacere, che di dolore. Ci che era iniziato piuttosto in sordina per le prime tre ore, esplose poi in uno spettacolo pericoloso e incontrollato, in cui i vestiti della donna furono tagliati e lei stessa fu ferita con lamette in un climax sempre pi tragico. La ricerca della Abramovi$ ha un che di antropologico: dove arriva il limite di sopportazione che un essere umano pu indurre a s stesso? E cosa pu fare un gruppo di essere umani se viene autorizzato a varcare i limiti imposti dall'etica sociale? Il ne, forse, non proprio quello di varcare questi stessi paletti? Ma la domanda resta: questa, arte? La denizione di arte in continuo divenire: l'artista un demiurgo, qualcuno in grado di interpretare la societ e i suoi cambiamenti, ancora prima che accadano, e fa della sua opera una sorta di palla di cristallo dei tempo moderni. Ma l'arte serve anche ad esplorare la natura umana: per conoscere se stessi, come dicevano gli antichi greci. E ed esattamente questo che accade attraverso il corpo di Marina Abramovi$ e alla sua "inconsistente" arte. Nata a Belgrado nel 1946, glia di due partigiani comunisti sotto il governo di Tito, subisce un'educazione rigida e quasi militaresca, che la porter sempre ad un incessante confronto con l'altro. Studia all'Accademia e si diploma in Belle Arti, ma viene da subito attratta dal nuovo mondo della performance. Si trasferisce in Olanda, e l incontra il suo compagno di vita e di lavoro, Ulay, artista tedesco, nato lo stesso giorno di Marina. Inizia un rapporto di vita e di lavoro che sarebbe durato 13 intensi anni. E' con Ulay che nascono le performance pi coinvolgenti. Essere un performer negli anni Settanta vuol dire essere povero, e fare scelte radicali. Come quella di vivere per cinque anni in un furgone, campando dei pochi spiccioli che si guadagnano attraverso l'arte e trovando ospitalit presso i pastori. E' in questi anni che Marina e Ulay approfondiscono attraverso la loro opera i rapporti tra uomo e donna nella serie di lavori denominati "Relations works": durante "Breathing In/Breathing Out" (1977), con le bocche unite e i microfoni collegati alle loro gole, Abramovi$ e Ulray respirano a turno l'aria dai polmoni l'uno dell'altra, no a che - quasi al limite del soffocamento - si scambiano solo anidride carbonica. In "Rest Energy" (1980) (immagine 1) sostengono un arco teso armato con una freccia puntata verso il cuore dell'Abramovi$, la tensione mantenuta solo con il peso dei loro corpi. I microfoni registrano il rapido accelerare dei loro battiti cardiaci. Tra il 1981 e il 1987 Abramovi$ e Ulay presentano una serie di azioni intorno al mondo intitolate "Nightsea Crossing" in cui si auto installano come tableaux vivants nei musei: una performance durata 90 giorni, in cui sono rimasti seduti, l'uno di fronte all'altra in assoluto silenzio, senza mangiare n bere. Un'azione semplice, che sgretola tutto ci che riguarda l'apparire comune del rapporto tra uomo e donna, ridotto ad un lento consumarsi. Ulay, dimagrito, malnutrito, sancato da 13 anni in cui ha condotto se stesso e Marina verso limiti sempre pi alti, decide di stroncare il rapporto, dopo ripetute incomprensioni e infedelt. E, ovviamente, anche il loro addio diventa un'opera d'arte. 18 immagine 1 La loro ultima performance "The Lovers", del 1988 (immagine 2): dopo otto anni di estenuanti trattative con il governo cinese, ottengono il permesso di attraversare l'antica Muraglia, partendo dai due estremi dell'opera: camminano lungo i 2mila km della Muraglia, per incontrarsi a Shimnu, a met strada, in un abbraccio che segna la loro denitiva separazione. Una metafora perfetta della loro relazione, ma anche del problematico e conittuale rapporto tra uomo e donna. Dalla ceneri di questo amore cos totalizzante rinasce una donna ancora pi forte, seducente che, ovviamente mira a spostare i limiti delle proprie possibilit artistiche sempre pi in alto: come in "Balcan Baroque", del 1997 (immagine 3) dove ha grattato e pulito una montagna sanguinolenta di ossa di animale, cantando litanie e lamenti, tra video che celebravano la sua appartenenza ad un paese dilaniato in quegli anni dalle guerre; un'opera che le valso il Leone d'Oro alla Biennale di Venezia. La performance forse pi dura, stancante, forte, intensa della sua carriera stata per The Artist is present, divenuto poi uno splendido documentario, che non solo la testimonianza di una prova sica superata brillantemente da una donna di 63 anni, ma molto di pi. E' stata la pi grande retrospettiva della Abramovi$, collocata al sesto piano del Moma, tra video originali, riprodotti in contemporanea e performances reali ricreata da 36 artisti selezionati, che hanno "riprodotto" i lavori pi importanti dell'artista e d e l l a c o p p i a Ul a y - Ab r a mov i $ , c o me "Imponderabilia", lavoro del 1977, (immagine 4) in cui sostavano nudi sulla soglia di una delle sale della GAM di Bologna, obbligando i visitatori, per entrare, a vincere il proprio imbarazzo passando attraverso di essi. Per arrivare a Marina, i visitatori del Moma dovevano fare lo stesso identico passo tra due giovani artisti, completamente nudi. E' un successo clamoroso: nei mesi della performance quasi un milione di spettatori fanno ore interminabili di la per sedersi davanti a Marina Abramovi$, una, due, pi volte. C' chi prova per curiosit, c' chi lo fa per mettersi alla prova, c' chi lo fa spinto da un'idolatria quasi al limite della normalit. Ma ognuno ha una diversa reazione. Donne, uomini, perno bambini, di ogni razza ed et si siedono davanti a Marina: sorridono, guardano, molti piangono. Lei, regina sul suo trono di legno, curva nella fatica che comporta restare seduta per cos tante ore senza alcuna possibilit di movimento, alza gli occhi e osserva il suo spettatore. Lo invita a fermarsi; a rallentare; lo invita a guardarla e 19 immagine 2 immagine 4 immagine 3 nello stesso tempo a guardare se stesso. Ed ecco che scocca la magia che solo la grande arte rivela. La stessa che si ha forse guardando una grande capolavoro su tela o una scultura in marmo, avviene guardando gli occhi di Marina Abramovi$, artista, forse l'unica, in grado di fare di stessa un'opera d'arte e trasmettere quell'energia che caratterizza i grandi capolavori attraverso il suo corpo, offerto a noi spettatori. Prima della ne dei 100 giorni, si siede sulla sedia di fronte Marina, Ulay: un ritorno alle origini (immagine 5). # Il pubblico ammutolito, uno sguardo lunghissimo domina la scena. Poi Marina allunga le mani verso il suo grande amore: forse un gesto di perdono, di sicuro una riconciliazione attesa per vent'anni. E la sala esplode in un clamoroso applauso. E' il nulla assoluto, eppure tutto. E' la vita. Ed grande arte, che altro non che rappresentazione della vita stessa, delle emozioni, della felicit, del dolore, di tutto ci che, pur immateriale, la attraversa. E che solo una grande opera sa restituirci in tutta la sua potenza. 20 immagine 5 Economia Richard Wagner, Ride of the Valkyries" 56x42 21 La Cina vista da sotto un ombrellone di Antonio Di Stefano Le conversazioni da spiaggia sono molto istruttive, ovviamente a patto di origliare e non parteciparvi. Istruttive, non necessariamente utili, ad esempio questa estate, mio malgrado, ho scoperto che in una tal discoteca dellentroterra pugliese, recandosi in un dato numero di avventori, luso del prive viene a costare euro 17,50 cadauno, ingresso e consumazione inclusi. Prima di allora non avevo alcuna cognizione di causa sul costo della fruizione di un locale prive. Alla conversazione da bagnasciuga non si pu sfuggire, sia per lelevata concentrazione corporea in spazi limitati che limita luovo prossemico di ogni bagnate sia, come scriveva Flaubert, per lattivarsi di quell' istinto depravato che ci fa talvolta mettere il naso sotto le coperte per sentire l' odore di un peto . Insomma lunica soluzione sarebbe ritirarsi dalla spiaggia in un rigurgito di insofferenza pseudo- intellettuale, ma potrebbe essere un peccato, perch talvolta la conversazione sotto lombrellone pu essere pi esplicativa di una conferenza universitaria. Mi accaduto di recente, allorch i miei occasionali vicini di spiaggia (famiglia di Bitritto, Puglia, lui rappresentante di commercio, lei impiegata amministrativa) conversava con altro nucleo familiare nitimo (lui nel campo della meccanica, lei operaria, la nonna pensionata. Zona di provenienza: interno barese, probabile Altamura. Tutte le informazioni sulle famiglie sono desunte dai dialoghi, cui evidentemente mi sono appassionato, essendo risaputo che durante le conversazi one agost ane l e persone t endono rapidamente a sciorinare i fatti propri). Oggetto di tale confronto in pubblica battigia, esaurito tra quintalate di carni impudicamente esposte ai raggi ultravioletti, era il seguente: il valore dei prodotti made in China (ove made si legge allitaliana, in un inconsapevole rigurgito di autarchia fonetica). Per una ragione di sintesi procedo a riassumere le posizione espresse allinterno del gruppo di discussione. Il rappresentante di commercio, alla luce della oggettiva esperienza che deriva dalla mobilit territoriale insita nello svolgimento delle proprie mansioni, deprecava lutilizzo nei prodotti cinesi di materie che in Italia (leggi pi correttamente in Europa) s arebbero vi et at e e che i nvece i Ci nes i tranquillamente adoperano. Anzi, se vogliamo dirla proprio tutta, quelli si prendono pure le cose malsane che noi non sappiamo come smaltire, le riciclano alla meglio e ce le rilano tutte lucide nei prodotti che ci vendono (evidentemente il termine Cinesi da considerarsi onnicomprensivo di variegate popolazioni remote coinvolte in processi produttivi che ci vedono fruitori nali e naturalmente mi dissocio da generalizzazioni per le quali non precisati quelli propinano cose strane a noi poveri consumatori occidentali, tipo inserire gli ftalati nei giocattoli dei bambini. Ma evidentemente il rappresentante di commercio avr avuto le sue buone ragioni). La signora presunta altamurana conveniva sul fatto che talvolta gli abiti che si dimostrano di pessima fattura molto spesso, a guardare per bene, rivelano una quasi occultata targhetta con la poco rassicurante scritta made in China. Con la perdia ispirata dalla inalazione dello spray marino la signora di Bitritto, senza ltro alcuno, aveva chiesto: Ma non lavevi vista la targhetta quando lhai comprato?. A domanda diretta linterlocutrice aveva ammesso candidamente: No, mi stava bene. E costava cos poco! Cos non ci ho pensato. Lintervento del suo consorte, operante presso unazienda di meccanica con applicazioni in agricoltura, aveva spostato la conversazione su un piano squisitamente di politica industriale, limitandosi a constatare landamento del saldo aziendale nazionale: Ormai tutte le aziende se ne vanno in Cina, noi pure (e in quel noi cera unevidente immedesimazione affettiva con limpresa cui non corrispondeva, in maniera altrettanto evidente, alcuna partecipazione agli utili) ormai compriamo pezzi che arrivano per mare, ai porti di Bari e Brindisi, tutti fatti in Cina. Ecco, miracolo, dellestate mediterranea, che un tema spinoso e complesso come quello della globalizzazione veniva sviluppato, non privo di sfaccettature, da una combriccola di accaldati cittadini e cittadine che, sia in termini semantici che rimarcando con le dovute intonazioni di voce e atteggiamenti del corpo, denivano rispetto al tema lambivalenza del giudizio e della condotta corrente. Infatti traspariva un certo disvalore verso quei prodotti realizzati cos lontano, eppure la quasi ineluttabilit del loro ricorso (altrimenti la fabbrica si ferma). Allo stesso modo si 22 leggeva una valutazione poco lusinghiera sulla qualit di alcuni beni ed al contempo un apprezzamento relativo al basso costo in grado di drogare sempre pi limitati poteri di acquisto. Una cosa possiamo forse affermarla con sicurezza: se si parla di globalizzazione mantenere un prolo di coerenza (consistency direbbero gli anglosassoni) complicato. Soprattutto quando poi il concetto di globalizzazione sottintende un modello di consumo a senso unico. Esprime bene il concetto di complessit del sistema di mercato globalizzato Gallino quando fa lesempio dei lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro allorch la propria impresa viene acquistata da un fondo nel quale i lavoratori stessi versano denaro a titolo previdenziale 1 . Oppure che pensare del recente annuncio della FIAT che dichiara di confermare gli investimenti per Miraori? E sicuramente una buona notizia per le migliaia di lavoratori interessati, che riusciranno a conservare il posto ed il dignitoso salario grazie alla nuova linea di produzione di un SUV della Maserati: continueranno a veleggiare di poco sulla soglia di povert relativa 2
producendo costose (e probabilmente inquinanti) macchine per persone agiate, meno male che ci sono i ricchi cos anche i poveri possono campare! Il tema dello stare tutti insieme su ununica giostra, ovvero dellessere immersi in un ambiente sempre pi a contatto con quelli che un tempo erano mondi remoti, amplicato da una progressiva percezione della globalizzazione nella provincia, essendo viceversa nelle citt sdoganato il concetto ormai da decenni. La carenza del modello di welfare alla persona ha attirato anche nel pi montagnoso comune dellentroterra lucano frotte di badanti slave mentre l e aree produtti ve i n cri si vengono puntualmente raggiunte e occupate dalla capillare organizzazione della rete dello sfruttamento lavorativo asiatico con la complicit compiacente di operatori economici locali (si veda per esempio quello che sta accadendo al distretto murgiano del mobile imbottito). Ovviamente la globalizzazione non funziona solo per processi negativi, per certi versi pu riservare anche aspetti sorprendenti. Mi hanno colpito due notizie apparse lo stesso giorno, lo scorso 6 giugno, entrambe sintomatiche di un processo di connessione planetaria inevitabile: una negativa che riguardava larresto a Bergamo di mandati di un omicidio commissionato e perpetrato in Brasile ai danni di un altro Italiano al ne di lucrare sullassicurazione sulla vita e laltra, vitale, che mostrava i manifestanti turchi a Gezi Park protestare cantando Bella ciao, la canzone della Resistenza italiana. Come sar nita una delle pi belle canzoni della recente storia italiana sulle labbra di giovani resistenti turchi? Sar il giusto dazio per aver assegnato ad una corrente minoritaria del Partito Democratico il nome di giovani Turchi? Ma del resto perch sorprenderci quando ormai conviviamo tranquillamente con strumenti come i social network che ci tengono in potenziale contatto con milioni di persone ovunque nel mondo, spesso rendendo indifferente il fatto che il nostro contatto sia a Baltimora, Manila o un piano a salire nel proprio condominio? Se allora dobbiamo rassegnarci ad essere attori connessi con il mondo come fare allora a sopravvivere ed orientarsi ai tempi della globalizzazione? Se volete in rete c un ampio orilegio di manuali che ci insegnano a farlo (evidentemente c un manuale per ogni cosa su internet, e se hai fortuna pure un video esplicativo su Youtube). In fondo il tema non nuovo, c chi, non senza fondamento, ritiene che siamo globalizzati ormai dai tempi di Cristoforo Colombo. Certo necessario acquisire informazioni e darsi delle regol e. Ad esempi o andandosi a l eggere l e pubblicazione del Centro Nuovo Modello di Sviluppo 3
che aiutano a sviluppare azioni critiche nei comportamenti di consumo o compartecipando ad azioni che aiutano processi di integrazione di persone immigrate che cause di forza maggiore hanno spinto sui nostri territori. Certo non facile accettare le regole e uniformarsi ad esse. Non sentendomi in odore di santit confesso di cercare di essere almeno tendenzialmente coerente alle regole piuttosto che inessibile interprete delle stesse, cos rispetto alla Cina credo che sia un grande paese, con qualche problema di democrazia interna, ma tuttavia in genere non mangio a cibi cinesi (perch comprare una cosa che risponde a standard di preparazione diversi da quelli europei, che ha viaggiato mezzo mondo con conseguente costo ambientale, anche considerando che vivo in un Paese noto per la qualit del cibo e unampia variet gastronomica?), mi rassegno allacquisto di elettrodomestici ed elettronica cinese (ho forse alternative?), tendenzialmente non mi vesto con abiti fabbricati in Cina, preferendo quelli fatti in Italia o comunque nelle longitudini pi prossime. 23 Certamente, a verica di queste regolette test citate mi sarebbe piaciuto che la conversazioni tra i miei vicini di ombrellone mettesse qualche punto fermo, che mi aiutasse ad orientarmi nei miei approcci verso le produzioni cinesi, condavo in quello che avrebbe detto la nonna, depositaria di una conoscenza sedimentata e popolare, ma costei durante il dibattito origliato si limitata ad annuire visibilmente, senza profferire parola, ma non a me chiaro se per una sintomatologia parkinsoniana o per un atteggiamento di voluta neutralit nei rapporti italia-Cina. Note _________________ 1 Luciano Gallino Con i soldi degli altri Einaudi- 2009 2 La soglia di povert relativa per una famiglia di due componenti pari alla spesa media mensile per persona nel Paese, che nel 2012 di 990,88 euro. dati ISTAT 3 www.cnms.it Centro Nuovo Modello di Sviluppo 24 ARCHITETTURA Steve Reich and Musicians, Drumming 100x135 25 Sulla Consistenza in Architettura di Luca Lanini Una deni zi one di Cons i s t enza per larchitettura ha a che fare con il problema della sua Costruzione. Prover a spiegare questa relazione cercando di tenere insieme laspetto applicativo e quello teorico. Partir dunque da un progetto e da una denizione di architettura. Il progetto, vecchio ormai di pi di un secolo, unavara prospettiva a pastello e china: lo scheletro DOM-INO di Le Corbusier (g. 1). Tre impalcati e sei pilastri che da soli bastano a deni re un i cona fondat i va del l archi t et t ura contemporanea. In questo schema strutturale c il primo momento di frattura epistemologica nella storia dellarchitettura occidentale e proprio a partire dallidea di Costruzione. In quel distacco di pochi centimetri dal sistema strutturale ed il lo della facciata viene sancito il denitivo distacco - concettuale prima ancora che materiale - tra il sistema costruttivo e sistema rappresentativo dellarchitettura. E il principio della pianta e della facciata libera: sistema costruttivo e sistema rappresentativo/ sintattico sono indipendenti e quindi possono essere separati, e staccati, e ruotati e di nuovo sovrapposti. In quel piccolo disegno non c solo gran parte dellarchitettura contemporanea (c Mies, c Terragni, ma ci sono anche Koolhaas ed Eisenmann), ma c soprattutto la ne di un mondo. La ne di un mondo: quello degli ordini classici. Perch cessa qualsiasi signicato simbolico che era evocato da quellidea di architettura. Per larchitettura classica gli ordini erano un rimando diretto alle proporzioni del corpo umano attraverso un processo di astrazione, una metafora dellarchitettura come un secondo corpo in pietra, ed allo stesso tempo un sistema elementare di misurazione. In questo senso la Maison DOM-INO unicona brutale e potentissima della contemporaneit. Come direbbe Adolf Behne, manifestazione della sua terribile bellezza. La denizione che ho scelto invece lultima denizione di architettura ad avere avuto un qualche potere cogente, in unepoca -la nostra- effettivamente poco propensa a riettere su s stessa. E di Mies van der Rohe e recita: Chiarezza costruttiva portata ad espressione esatta. Questo ci che chiamo architettura. Una denizione che sembra riportarci a Vitruvio, nella cui opera molto netta la coincidenza tra Architettura ed Arte del Costruire. Ma in Mies c un aggiunta, apparentemente dura e laconica come la sua architettura: portata ad espressione esatta. Cosa intende il maestro di Aachen per espressione esatta? Lesattezza riguarda solo il mondo della tecnica? Riguarda solo la precisione del montaggio, il rigore del dettaglio? Oppure in quella locuzione presente lassunto che larchitettura non pu limitarsi allatto costruttivo e che gi nella costruzione presente un sistema di valori che gi un dato estetico, gi espressione? Come nella questione del Triglifo enunciata da Vi t r uvi o, che i l r i cor do pi et r i cat o ed architetturizzato del sistema di costruzione ligneo dei templi classici dellet arcaica, che ritorna proprio in Mies in forma concettualizzata in quel bellissimo disegno di dettaglio del grande tetto metallico della Neue Nationale Galerie di Berlino (g. 2). 26 fig 1 fig 2 In un bel saggio di Kenneth Frampton intitolato Tettonica ed Architettura, un saggio proprio sul ruolo della Costruzione nellarchitettura contemporanea, si fa riferimento al termine greco che denisce la costruzione -tekton- e rivela che in Aristofane tale termine associato alla macchinazione, alla creazione di cose false. Come se, insieme alla razionalit strutturale, n dalle origini fosse gi presente in questo termine una declinazione teatrale, il tema della messa in scena. La costruzione non coincide con il dato tecnico dalla sda alla forza di gravit, ma ha il compito di trasmettere un sistema pi ampio, i valori della cultura di unepoca, se necessario mettere in scena s stessa. Come nel caso del Seagram Building di Mies van der Rohe, dove la vera struttura celata ed evocata dalle putrelle in bronzo che scandiscono la facciata (g. 3). La ques t i one t ut t a al l i nt er no di quellaggiunta, nella denizione di espressione esatta. Cio quello stretto discrimine tra la risoluzione del problema tecnico o -viceversa- la rimozione del dato costruttivo dal quadro complessivo della gurazione dellopera, che mi sembra sempre di pi il cardine della ques t i one del r i conos ci ment o del l i dent i t dellarchitettura di questi anni. Al riguardo mi sembra possibile individuare due tendenze che tendono a strappare il sipario di quella composizione tra costruzione ed espressione esatta esperita dalla denizione miesiana. Da una parte la costruzione considerata come Cimento, come dimostrazione muscolare dellopposizione ad un sistema di carichi. E dunque tutta una serie di edici i cui le forme tecniche coincidono con larchitettura. Anzi, assumono un valore autonomo, diventano pi importanti o indipendenti da ci che concorrono a costruire. Penso ad esempio al barocchismo di un funambolico ingegnere/architetto come Santiago Calatrava, dove la sua scrittura ipertroca nasconde metodicamente il tema architettonico delledicio. Oppure penso allopera di Sir Norman Foster, di gran lunga larchitetto pi sensibile allinterno di questa tendenza, che non ha caso negli ultimi anni ha molto mitigato laspetto della Corporate Identity (architettura da multinazionale) delle sue architetture, nendo per abbracciare un approccio pi incline al politicamente corretto di temi inerenti la sostenibilit ambientale. Un modo di fare architettura che stato paradossalmente colpito proprio dal Mercato Globale di cui era espressione una volta scoppiata la Bolla Immobiliare che -ricordo- stata causata proprio da un surplus di costruito nel mondo e dai costi troppo elevati di unedilizia disinvolta. Laltra tendenza quella di chi fa coincidere larchitettura unicamente con lespressione. Concepisce cio larchitettura come una grande installazione abitabile di arte contemporanea. Tanto che sono spesso artisti a rmare queste architetture, penso alle opere di Rashid o a quelle di Anish Kapoor a Napoli (g. 4) e a Londra. Architetture dunque che tendono ad occultare il sistema costruttivo. Sotto pelli, reti, suoli articiali. Architetture dove il sistema costruttivo perde qualsiasi riconoscibilit ed evidenza, sovvertendo uno dei 27 fig.3 fig.4 principi cardine del Movimento Moderno che vedeva nel sistema costruttivo la metafora della razionalit generale delledicio. Tra queste tendenze appena enunciate esistono tentativi di mediazione. C ad esempio chi ha perseguito con coerenza il tema della costruzione secondo il dettato del Movimento Moderno, ove la Costruzione e la Tecnica sono garanzia del funzionamento e dellintelligibilit del l edi ci o. Penso al l archi tettura i beri ca e sudamericana, in cui non sono rari straordinari architetti/ingegneri come Torroja a Mendez da Rocha. Poi c chi, a partire da quegli assunti che abbiamo enunciato, ne cerca uno sviluppo in termini concreti e progressivi. Citer due progetti che in maniera diversa mi sembrano emblematici. Rem Koolhaas sostiene con una sorta di slogan costruttivista che larchitettura moderna sia piano tipo +ascensore. Il piano tipo che permette la libert anche nella gestione commerciale dello spazio, lascensore che ne permette la sovrapposizione e la congestione delle funzioni che su quei piani vengono allocate. Nel suo progetto di concorso per la Tres Grand Biblioteque de France (g. 5) la struttura delledicio coincide con i nove punti di collegamento verticale. Una sorta di Maison DOM-INO a scala colossale in cui viene operata la sintesi denitiva e concettuale tra piano libero ed ascensore. Allinterno di questo spazio assoluto, in questa sorta di macrotelaio spaziale si dispongono depositi, cataloghi e condotti, i piani delle sale di lettura, i volumi delle sale conferenze, etc. Un volume a scala colossale e piranesiana in cui si dispongono gli spazi indicibili e gli oggetti a reazione poetica di corbusiana memoria. La Max Rheinhardt Haus (g. 6) di Peter Eisenmann rappresenta per me il punto di non ritorno per il mito positivista della costruzione e della consistenza dellarchitettura. Un edicio alto, quasi un esercizio di decostruzione formale sul tipo del grattacielo miesiano. Un edicio che sembra implodere, che si avvita su s stesso e si svergola. Un edicio che mette in scena il crollo piuttosto che la salvica distribuzione dei carichi del razionalismo strutturale francese o tedesco. Dal nichilismo di Eisenmann, da questo Ground Zero, da questa apologia del disastro, l archi t et t ur a pu s al var s i f acendo al cune considerazioni rivolte alla costruzione di unidentit riconoscibile proprio a partire dal tema della sua consistenza. Un aereo, unautomobile, una nave (en passant, tutte icone della modernit) sono costruzioni tecnicamente assimilabili allarchitettura. Non quindi laspetto tecnico in senso assoluto a connotare larchitettura dal punto di vista della sua costruzione. Perch la categoria che sembra denire la costruzione 28 fig. 5 fig. 6 architettonica il radicamento: il suo consistere in un luogo. La ssit in un punto preciso dello Spazio e del Tempo, la sua connessione sentimentale con la geograa e con unepoca. Oggi fa il mestiere di architetto, chi compie una ricerca paziente su alcune questioni non pu esimersi dal cercare di ricomporre i due corni della denizione di Mies da cui siamo partiti: Costruzione ed Espressione. Un compito difcile ed inesausto che denito tutto nella trasformazione delle forme tecniche nelle forme architettoniche: nella testa della trave lignea che diventa triglifo, nel prolato metallico che diventa il pilastrino del Padiglione di Barcellona. Bisogna per aver ben chiaro che rispetto allepoca eroica dei Maestri di cui abbiamo parlato, proprio per lo sterminato mondo di possibilit che attiene oggi al regno della tecnica, la denizione di questo rapporto cambia con grande velocit. Tocca dunque ad ogni generazione di architetti ridenirlo di volta in volta, per renderlo anche se per pochissimi anni di nuovo stabile. Consistente, per lappunto. 29 NArrazioni Steve Reich and Musicians, Music for 18 Musicians100x135 30 Della coerenza e della consistenza: un dialogo semiserio, a lungo rimandato di Giuseppe De Nittis & Patrizia Piredda La giovane segretaria Si sl i leggeri occhiali da lettura che da troppe ore le inforcavano il naso. Inarc indietro la schiena stendendo sotto la scrivania le gambe longilinee coperte no ai polpacci da una gonna ben modellata alle sue curve. I piedi liberi si muovevano avanti e indietro con un lento andamento. Erano gi tre mesi che Ludovica lavorava come segretaria del direttore generale del call center Agor, dopo che la rivista di losoa per la quale scriveva aveva chiuso i battenti. Era stato il proprietario, capo e padrone dellagenzia a volere una losofa nella sua famiglia, cos chiamava i suoi dipendenti che non conosceva affatto, per dare allazienda un tocco intellettuale. Di media altezza, avvol t a da boccol i rossi che mol l eggi avano morbidamente sulle spalle a ogni movimento della testa, con uno sguardo vivace e lucente, al contempo dolce e sicuro, amichevole e sfuggente, Ludovica sapeva benissimo che la sua presenza nel call center serviva solamente da immagine pubblicitaria dellazienda. Con i suoi colleghi aveva un rapporto di cordiale indifferenza perch non amava intrattenersi in conversazioni di gossip o di sciocchezze ripetute allinnito tanto per uccidere il tempo delle pause. Per questo Ludovica restava spesso solitaria durante il pranzo, pur non disdegnando mai un sorriso e, quando era di luna buona, anche qualche breve conversazione scherzosa. Con il direttore generale Strozzarane, di cui era segretaria, invece, vi era un palese e reciproco disprezzo; ma, per sua fortuna, Ludovica sapeva di non rischiare il posto perch era stata scelta dal sommo capo in persona. Fortuna, quest'ultima, che le aveva dato uno stipendio e soprattutto una certa libert dai meccanismi viscidi e volgari e dai soprusi in cui cadevano i dipendenti sotto il direttore generale. Gi pochi giorni dopo aver iniziato il nuovo lavoro, trovando troppo errato e moralmente dubbio il contenuto di una lettera del dottor Strozzarane, sicuramente laveva migliorato togliendo alcune parti e aggiungendo piccole considerazioni morali sui pacchetti call center da vendere, ma per poco non mandava in fumo mesi di contrattazioni politiche, accordi pi o meno leciti, mazzette e favori. Unaltra volta aveva modicato una circolare poich, a suo dire, il linguaggio conteneva delle fastidiose inesattezze. Aveva deciso, quella volta, di seguire la logica particolare della metafora e aveva trasformato cos il testo in una serie incatenata di frasi poetiche che era sfociato in un bel parapiglia tra gli impiegati dellazienda i quali, prendendo come al loro solito alla lettera la circolare, avevano capito schi per aschi! Per non parlare di quando, entrata nellufcio del direttore generale e disgustata dal fumo di sigaro che saturava laria, aveva spalancato la nestra contro la quale pochi attimi dopo il dottor Strozzarane, preso da una concitata conversazione al telefonino, aveva sbattuto la testa provocandosi un bel bernoccolo. Per questo e per altri mille motivi, il direttore generale Strozzarane non perdeva occasione per vendicarsi con meschine vessazioni alle quali Ludovica reagiva sempre con intelligente autocontrollo e ero orgoglio. Quel giorno, per, Ludovica aveva dovuto mettere a riposo il suo spirito orgoglioso e accettare senza tanto discutere del lavoro extra perch era stato il gran capo-padrone a chiederle di riordinare in un documento formato excel, uninterminabile torre di Babele di vetusta contabilit rigorosamente per il giorno dopo. Ad un esperto limpresa avrebbe richiesto 4 o 5 ore di lavoro in pi, guriamoci a Ludovica che per lo pi utilizzava il computer come macchina da scrivere! Erano ormai trascorse le 23:00 e lei era a poco pi della met del lavoro. Ma i suoi occhi e la sua mente chiedevano una pausa, cos rimise gli occhiali e dopo aver guardato la colonna di documenti che ancora l'attendeva come un muratore che guarda i mattoni che ancora non sono muro, volse lo sguardo al computer mentre le mani con un inconscio movimento automatizzato si preparavano a riprendere le consuete operazioni di inserimento dati. Poi il respiro si spezz, ogni processo mentale si congel. Poche minacciose parole risaltavano nel bianco del monitor: ERRORE DI SISTEMA - PROCEDURA DI RIAVVIO IN 3 SECONDI, 2 SECONDI, 1 SECONDO ... poi buio, silenzio. Ludovica rimase senza parole. Prima buss sul monitor, poi schiaffeggi la tastiera e inne strapazz il mouse, ma tutto ci che ottenne fu un breve e basso segnale acustico che sembrava alle sue orecchie una pernacchia beffarda. Avrebbe dovuto disperarsi, ma non era da lei e quando Ludovica si riprese dalleccesso di furore si accorse che il computer aveva ripreso l'aspetto usuale. Tutto era al proprio posto... tutto tranne il le excel, quel muro che stava costruendo nelle ultime 14 ore. Ludovica ebbe un'intuizione. Se le leggende di corridoio erano vere (anche solo in parte) forse vi era ancora una speranza per portare a termine il suo compito. Si alz di scatto e a piedi scalzi usc in cerca del dottor Ledeo che in quattro mesi non aveva mai incontrato, ma di cui aveva sentito vociare nei pochi momenti sociali con gli altri dipendenti. Leggera con passo di gatto, si diresse verso la grande hall del call center ... Il timido informatico La grande hall del call center Agor altro non era 31 che un cupo interminabile stanzone rettangolare dalle tipiche sproporzionate dimensioni di un capannone industriale dei primi anni settanta. Sebbene fosse pi adatto a contenere rudi macchinari per la produzione met al meccani ca, quel l a gabbi a di cement o prefabbricata racchiudeva le 150 postazioni di lavoro dei centralinisti che ne occupavano uniformemente la supercie oltre alle 12 postazioni di lavoro dei tecnici informatici ripartite lungo il perimetro. Le pareti spoglie di quella stanza si alzavano dritte per 8 metri prive di ogni decorazione nella durezza di un bianco sporco lordato da troppi anni di incuria. Una serie di nestroni aperti tra il settimo e l'ottavo metro coronavano la stanza permettendo alla luce diurna di rischiarare la prigione. Da quel softto inumanamente alto, da quello squarcio sotto al cielo, sanguinava gocciolando in basso la luce solare che deformava schiacciandole sulle brulle pareti le ombre dei centralinisti. Quotidianamente Gianfederico Ledeo, rimuginando su questa immagine, si chiedeva quale fosse l'archetipo del centralinista perfetto mentre, faccia al muro e spalle alla realt, si godeva seduto alla sua postazione di lavoro da tecnico informatico la danza tribale di centinaia di ombre di teste e di telefoni. Gianfederico Ledeo, Federico per i rarissimi amici, anni 36, stempiato e allampanato, goffo e schivo. Ormai al suo sesto anno di lavoro presso l'Agor, inizialmente apparve un mistero per gli oltre 190 dipendenti della compagnia di servizi telefonici. Tuttavia, ben presto, venne retrocesso a mistero assai poco interessante e la gente cominci ad ignorarlo. Vuoi una congenita predisposizione ad una timidezza paralizzante, vuoi il suo terrore atavico per cibi contaminati da ogni genere di veleno chimico, biologico o metasico che lo teneva lontano dalla caffetteria ed ancora pi lontano dalla mensa aziendale, Federico si precluse gi nei primi mesi di lavoro ogni possibilit di avere scambi di opinioni o anche di futili dialoghi con i suoi colleghi. Non che questa solitudine lo ferisse particolarmente. Almeno non pi di quanto la solitudine lo avesse gi ferito nel corso della sua vita, dagli anni della scuola no all'universit passando per il catechismo, gli scout, il teatro e tanto altro. Lui ci aveva provato in tutti i modi, ma ormai alla soglia dei 37 si era completamente rassegnato alla sua natura di corpo estraneo alla societ ... un tappo di sughero che per quanto affondo immerso nell' acqua sempre e velocemente viene espulso alla sua supercie. Dall'altra sponda i colleghi di lavoro avevano imparato a considerarlo come un' estensione biologica dei calcolatori elettronici che facevano vivere il call center. In oltre sei anni di lavoro non era esistito problema, virus, attacco informatico che il dottor Ledeo non fosse stato capace di risolvere. Nel vociare popolare della comunit dei centralinisti leggende popolari erano ormai sorte e ben consolidate. C'era chi sosteneva che il Ledeo potesse battere sulla tastiera ad occhi chiusi, chi diceva che a lui la tastiera non serviva perch poteva connettersi direttamente alla macchina tramite un cavo USB che inlava in un apposito ingresso ben nascosto sotto il polso sinistro dove era sempre ben stretta una vistosa polsiera anti-tendinite. I pi tecnologici arrivavano a congetturare che nell'era del WiFi anche il Ledeo dovesse essere wireless e c'era chi giurava di averlo visto imporre le mani allo schermo di un computer ed espellere un potentissimo virus pronunciando una sola volta "EXORCIZAMUS TE, OMNIS IMMUNDE VIRUS" ... Inne, il recente ritrovamento di un grosso scatolone nei magazzini del call center con mittente RoboTronics S.p.A. e data di spedizione risalente a sei anni prima, aveva convinto i pi che il Ledeo altri non fosse che un avanzatissimo prototipo di cyborg acquistato in Cina dal sommo capo. L'unica cosa che sconcertava la compagine femminile delle centraliniste era la losoca riessione su come mai un costosissimo ed iper-tecnologico esempio di bio-cibernetica dovesse essere cos brutto e privo di ogni pi remota traccia di sex appeal. Costoso per costoso, si dicevano, avrebbero potuto farlo somigliante a Brad Pitt o Fabrizio Corona?! La combriccola dei maschi aveva, d'altra parte, con solerzia trovato la difcile risposta a cotanta speculazione. Si era trattata certamente di una diabolica trovata di quella serpe del direttore Strozzarane per impedire che la mandria delle baccananti ninfomani centraliniste insidiassero la preziosissima creatura del capo. E dato che era risaputo che la soglia di gradimento di quelle era estremamente bassa, il capo, sotto suggerimento del direttore, doveva aver convocato i pi alti esperti di antropologia per far modellare il suo cyborg in una forma talmente disgustoso da riuscir a tener lontano le assatanate sanguisughe. Come tutti sappiamo, abbandonate al vociare delle masse, tutte le verit vengono deformate ed alterate. E questo resta vero anche per Gianfederico Ledeo, che bench non alla moda e non brillante, trascurato e goffo, smunto e miope, non era di certo un orrore della natura. Comunque, se non per le sue qualit siche o caratteriali, nessuno osava mancargli di rispetto o deriderlo, almeno pubblicamente. Dopo qualche iniziale atto di bullismo subito il gran capo aveva imposto con un editto in stile assiro-babilonese il totale rispetto per il suo gioiello informatico. L'ultimo temerario goliarda che aveva osato deridere pubblicamente Federico era stato licenziato seduta stante con un proclamo orale pronunciato per bocca dal temibile direttore Strozzarane a benecio di popolo dal centro dello stanzone grigio. Il malcapitato era stato quindi accompagnato con disonore alla porta, mentre frignando invocava un perdono che non sarebbe mai arrivato. Cos funziona la satrapia Agor, paga uno per educarne molti. 32 Sebbene le sue indubbie qualit avessero fatto di lui un protetto del capo, questo non signicava che Federico avesse accesso a privilegi e trattamenti speciali. Al contrario il suo stipendio si adeguava al minimo sindacale ed il contratto a tempo indeterminato era arrivato da meno di un anno, solamente perch la legge aveva impedito al direttore Strozzarane di inventare ulteriori esotiche forme di contrattazione del lavoro a scadenza. Inoltre, sebbene sapeva di potersi ritenere un fortunato, visto i tempi, ad avere un lavoro sicuro, certamente non traeva alcuna gioia nello svolgere quel mestiere meccanico e mesto che cos poco aveva a che fare con il suo percorso di brillante studente di matematica ed il suo spirito creativo. Se da una parte l'Agor era stato il meglio che le sue capacit umane gli avevano concesso, dall'altra la fecondit del suo cervello non si rassegnava all'idea dell'atroa. Dopo un iniziale periodo di sconforto e paranoia, gli del tipico senso di frustrazione di chi rinuncia a lottare, Federico ricominci a trovare padronanza della propria fantasia ritornando su un antico progetto che ormai considerava dimenticato. Negli ultimi tempi imprevisti progressi lo avevano convito che la sua rivoluzionaria teoria era corretta. Bisognava solo lavorare di pi e con mezzi informatici pi potenti. Per questa ragione da oltre quatto mesi restava al lavoro ben oltre l'orario normale dato che l'apparato informatico dell'Agor, di primissima qualit, eccezionalmente potente e perfettamente congurato, era esattamente ci che a lui serviva per portare a compimento il grandioso disegno ... L'incontro notturno Per questa ragione anche quella notte, come ormai da molte altre prima, Federico si stava preparando ad una lunga maratona di euforica scrittura di codici di programmazione quando sent aprirsi una porta e vide una lama di luce provenire dall'ufcio del direttore. La paura che inizialmente lo colse fu rapidamente spazzata via dalla certa consapevolezza che l'odioso Strozzarane mai e per nessuna ragione sarebbe rimasto in sede oltre le 16:00, orario della sacra riunione al golf club. Rassicurato da questo pensiero si gir nella direzione da cui proveniva il rumore, ma gli occhi a lungo feriti dalla luce intensa della lampada non si abituarono subito al buio. Tuttavia l'udito gli rivel dei sofci passi, come di piedi scalzi, diretti nella sua direzione. Dall'altra parte del salone, immersa nel buio, Ludovica scorse nell'estremo angolo opposto un bagliore di luce e con un sospiro di sollievo pens che forse la soluzione al suo problema era li a portata di mano. Di certo non fu terrore quello che colse Federico quando vide emergere dall'ombra la sagoma lieve di Ludovica. Tuttavia una letale mistura di sorpresa, imbarazzo e disagio lo pietric ugualmente quando si sent rivolgere le seguenti parole: Ludovica - Mi scusi, suppongo che lei sia il dottor Ledeo? Io sono, Ludovica Rocciadura, la #qua s i nuova segretaria del direttore Strozzarane. Le parole colte meccanicamente dai timpani furono codicate dal brillante cervello del goffo informatico solo alcuni istanti dopo. Con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati che lo facevano sembrare un opossum imbalsamato, Federico balbett: # Federico - Si certo hem io sono Gianfederico Ledeo. Piacere di conoscerla di persona dottoressa Rocciadura. Cosa la spinge ad avventurarsi quaggi e per giunta a questora tarda della notte? E mentre pronunciava queste parole ebbe anche la forza di pensare che la voce mai udita prima di Ludovica era un po' pi aspra del suono angelico che lui aveva molte volte immagino. Ma non per questo quella gura che gli si par dinnanzi gli parve meno bella o attraente. Ludovica - Credo di aver fatto un piccolo guaio con il computer. Sono scesa per vedere se ci #f o s s e ancora qualcuno in giro a cui poter chiedere aiuto e ho trovato lei! # Federico - Laiuto molto volentieri! Cosa accaduto? # Ludovica - Non so dirle di preciso ad un certo punto lo schermo si ammutinato, il computer si riacceso e io non so che ne abbia fatto il mio lavoro! Questo quanto Ludovica non era incline alla curiosit, ma non pot evitare di notare una serie di libri insoliti per quel posto: tra pesanti manuali di programmazione Java e C ++, vi erano testi di Aristotele, Platone e Kant, una raccolta di scritti di Schlick, l'opera completa dei lavori di Cantor ed una biograa di Turing (questi ultimi due nomi a lei non nuovi, ma certamente non familiari). Positivamente sorpresa # Ludovica - Non vorrei sembrarle invadente, ma ... mi piacerebbe chiederle cosa ha portato in questo luogo quasi completamente composto di chiacchiere, pettegolezzi e sciocchezze di ogni sorta, i cari Aristotele e Platone! Per giunta assieme a Kant, Schlick, Cantor e Turing Ma lei non un tecnico informatico? # Federico - Si lei ha ragione, faccio il tecnico informatico in questa azienda, ma solo durante le ore di lavoro. Vede, ora in queste ore tarde della notte posso vestire i panni a me pi cari, ovvero quelli del matematico ... s, hem del matematico puro ... del 33 logico ... e forse un po' anche quelli del losofo, se mi concesso osare. Ludovica rimase meravigliata da quella rivelazione. L'insignicante e goffo tecnico informatico Ledeo, era un logico matematico! Iniziava cos a provare dentro quel piacere particolare che spinge una persona a ricercare laltro attraverso il dialogo. # Ludovica - non vorrei sembrarle troppo invadente ma mi chiedevo cosa della matematica pura la interessasse a tal punto da rimanere no a questora tarda in ufcio Federico, inizialmente sorpreso dalla domanda diretta e per natura restio a far dominio pubblico degli affari suoi, impieg un attimo per valutare la risposta. Tuttavia la lucentezza degli occhi di Ludovica avvolti da quella uente chioma di boccoli rossi ebbero la meglio sulle sue titubanze. # # Federico - Sa, molto raro che io parli di queste cose con qualcuno. Ma lei dottoressa Rocciadura Ludovica - Mi scusi se la interrompo. Le sarei i nni t ament e g r at a s e pot es s e chi amar mi semplicemente Ludovica. E coronando questa ultima frase con un raggiante sorriso si mise a sedere di fronte a Federico pronta allascolto. # Federico - Va benee io leti sarei grato se mi chiamassi semplicemente Federico ... che poi il nome che uso quando di notte lavoro in rete con altri colleghi matematici. E dopo essersi rischiarito la voce con un gentile colpetto di tosse # Federico - Allora, la questione che mi tormenta da anni se sia possibile o meno concepire l'Intelligenza Articiale o, come si dice in gergo, l'AI. La questione, sebbene sia di carattere losoco nella sua integrit, ha anche un aspetto matematico ben denito. Vediamo un po'! si ecco, il problema si potrebbe porre nei termini seguenti: la mente umana, almeno per la parte che fa e concepisce la matematica, pu essere rimpiazzata da una macchina oppure i procedimenti mentali propri dell'uomo trascendono le procedure meccaniche anche della pi sosticata macchina? Ora l'investigazione di questa domanda chiama in causa necessariamente i lavori di Gdel sull'incompletezza della matematica. # Ludovica - La questione mi interessa molto dal punto di vista losoco e logico, ti prego, vai avanti # Federico - Si certo, con molto piacere. Allora, lasciami cominciare dicendo che in matematica un sistema formale un insieme di assiomi che possono essere usati per dimostrare teoremi. Una teoria matematica consiste quindi in una assiomatica e di tutti i teoremi che ne derivano. Un sistema assiomatico si dice coerente se non possibile trarre dal sistema due teoremi contraddittori mentre si dice completo se possibile dimostrare, a partire dagli assiomi dati la verit o falsit di ogni proposizione consistentemente dedotta nel sistema. Nel 1900, in un famoso congresso tenutosi a Parigi, il grande matematico David Hilbert pose alcuni problemi fondamentali per la matematica del secolo venturo. Tra questi vi era la questione della consi st enza degl i assi omi del l a matemati ca e l'assiomatizzazione della sica. Questo progetto era destinato a fallire come solo trenta anni dopo il geniale matematico austriaco Kurt Friedrich Gdel dimostr. A questo punto Federico fece una pausa lasciando a Ludovica il tempo di riettere e di entrare nel vivo del discorso. # Ludovica - Se non erro, tu stai facendo riferimento a quelle che in matematica vengono dette teorie formali del primo ordine. Se ben ricordo un po' come un gioco in cui ci sono degli elementi di base e delle regole da seguire. Si parte da un alfabeto, costituito da un insieme nito di simboli, e dal linguaggio che ne deriva, ovvero dall'insieme di frasi, meglio dette formule o proposizioni, che possibile costruire concatenando i vari simboli in modo consistente. A questo punto si aggiungono gli assiomi che individuano la struttura logica della teoria e le regole di inferenza che specicano quando una proposizione conseguenza logica di altre proposizioni. # Federico - Esatto! Lasciami solo aggiungere che una teoria matematica l'insieme di tutti i teoremi enunciabili in modo consistente all'interno del sistema stesso. Il vantaggio di aver denito un linguaggio formale del primo ordine che all'interno di un tale linguaggio possibile formulare teoremi e dedurne conseguenze logiche in modo del tutto formale e meccanico senza mai fare ricorso al contenuto semantico delle proposizioni in gioco. Chiaramente la matematica, o meglio le teorie matematiche, possono essere formalizzate come sistemi del primo ordine. Ora, nel suo primo teorema Gdel ha dimostrato che in ogni formalizzazione coerente della matematica, che sia sufcientemente potente da poter assiomatizzare l'aritmetica di base, possibile costruire una proposizione che sintatticamente corretta ma che non pu essere n dimostrata n confutata all'interno dello stesso sistema. In altre parole questo primo risultato ci 34 dice che una costruzione assiomatica consistente non pu soddisfare contemporaneamente le propriet di coerenza e completezza. Se dagli assiomi viene dedotta l'intera aritmetica allora essi portano necessariamente ad una contraddizione. Se al contrario i teoremi derivati non sono contraddittori allora esiste almeno un teorema indecidibile nella teoria. In altri termini ci che Gdel ha mostrato che in una formalizzazione consistente della matematica non mai possibile giungere a denire la lista completa degli assiomi che permetta di dimostrare tutte le verit. Questo in sintesi il secondo dei teoremi di Gdel: nessun sistema nito e coerente pu essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza. Fu questo risultato ad affossare il programma di Hilbert. # Ludovica - Sembra proprio che Gdel sia giunto qualche secolo dopo alle stesse conclusioni di Aristotele: in logica, infatti, i principi fondamentali non possono essere dimostrati attraverso se stessi, vale a dire che non possibile dimostrare, ad esempio, il principio di non contraddizione attraverso la contraddizione. In n dei conti la matematica si fonda sulle stesse strutture della logica quindi inevitabilmente gode degli stessi principi. Insomma, laffermazione che nessun sistema coerente pu essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza mi sembra un po ovvia . Un po' smarrito dopo l'ultima affermazione, Federico pazientemente replica: # Federico - Vedi, Ludovica, se oggi Gdel considerato a buon diritto uno dei pi grandi logici assieme ad Aristotele e Frege, un motivo ci sar?! Vi di erroneo in ci che dici il fatto che il risultato di Gdel non si riferisce alla dimostrabilit degli assiomi che deniscono la teoria o delle regole di inferenza come il principio di non contraddizione. Esso parla semplicemente della dimostrabilit dei teoremi formulabili in modo consistente all'interno della teoria A queste parole Ludovica, prima sorridendo e poi come un ume in piena: # Ludovica - proprio a questo che mi riferivo. In logica queste proposizioni sono basilari come per un medico basilare sapere che il cuore pompa sangue. Gdel discorre della indecidibilit di alcune affermazioni dicendo che se P = questa affermazione non pu essere dimostrata e se il sistema formale coerente allora l'argomento mostra che P non pu essere dimostrata nel sistema. Ma questa in logica una conclusione ovvia come ovvio dire che lacqua bagnata. E possiamo andare oltre: per Penrose questa differenza tra ci che pu essere formalmente dimostrato e ci che pu essere riconosciuto come vero dalla mente umana mostra che l'intelligenza umana non ha una natura algoritmico-meccanica. Bella scoperta! Forse arrivato a tale soluzione dopo aver letto letica e la poetica di Aristotele? Forse quando si reso conto che anche gli scienziati usano la metafora si domandato come mai ad un certo punto lo scienziato deve utilizzare un linguaggio non rigoroso per poter esprimere ci che altrimenti non potrebbe dire! Lintelligenza umana non ha una natura meccanica, come pensavano i positivisti, perch di tipo metaforico. Se hai letto bene Kant sai sicuramente che il giudizio estetico si fonda sul libero g i o c o t r a intelletto e immaginazione. Cos questo libero gioco se non il procedimento metaforico che riesce a scorgere il simile nel dissimile? Il problema di alcuni scienziati, sai qual per me? Che spesso corrono dietro a delle chimere perch credono che il loro linguaggio sia universale, esatto, chiaro, oggettivo, mentre a fondamento di ogni linguaggio non pu esserci la logica, proprio per quel che hai detto prima di Gdel, ma qualcosaltro: la metafora appunto. Diciamo che il teorema di Gdel, da quel che tu mi dici, potrebbe essere importate dal punto di vista losoco in quanto una dimostrazione che dallinterno della matematica ne mostra i limiti. Federico, tramortito da una miscela di cos tanti concetti diversi, non riusciva a capire bene se quelle parole erano uno scherzo, una provocazione oppure se la questione che Ludovica gli aveva proposto avesse un qualcosa che no ad allora gli era sfuggito, qualcosa che andava ben oltre i problemi prettamente matematici. Cercando di fare ordine razionale tra i suoi pensieri, ed interessato ad esplorare le prospettive aperte da Ludovica, rispose: # Federico A me pare che il tuo ragionare si basa su un utilizzo improprio del teorema di Gdel che poi la forzatura di voler dare all'enunciato P di Gdel un valore semantico nel linguaggio umano. Al contrario la grandezza del lavoro di Gdel sta proprio nel fatto di aver provato che il paradosso del mentitore esiste a livello formale senza nessun ricorso ai linguaggi naturali. Ci tutt'altro che banale! Hai perfettamente ragione quando sostieni che i linguaggi umani non sono di natura meccanica ed io condivido tutte le tue osservazioni in merito. In particolare la tua obiezione che chiama in causa la metafora coglie molto bene il nocciolo della questione in quanto i linguaggi naturali si contraddistinguono per la loro ambiguit semantica. Al contrario, come gi ho ripetuto, i linguaggi formali, i soli a cui fa riferimento Gdel, si caratterizzano per la propriet dell'univocit semantica. Ad ogni simbolo corrisponde un solo signicato. Come puoi facilmente capire a questo livello basico di linguaggio non si pu applicare nessuna nozione di metafora. Anche io sono tra quelli che pensa che Penrose abbia tortoma per dei motivi matematici e noncome dire...metaforici. 35 # Ludovica Ma queste affermazioni in realt non hanno senso, sono insensate perch i linguaggi ideali non hanno nessun valore dal punto di vista pratico, vale a dire nel reale utilizzo che ogni essere umano fa del linguaggio. Quindi se dici che i teoremi di Gdel fanno riferimento al solo linguaggio formale, l devono rimanere perch al di fuori le sue premesse non sono valide, anzi sono false. Se si cambia sistema, si devono cambiare anche le premesse altrimenti si creano dei guazzabugli, dei pasticci linguistici e dei pensieri insensati. Ecco perch, partendo da tale contesto, unaffermazione un po ovvia dire che la mente umana non pu essere sostituita d a u n a macchina. Ad esempio luomo per muoversi in acqua deve nuotare, deve muoversi in un determinato modo; ma fuori se muovesse le sue gambe come dentro lacqua non riuscirebbe ad avanzare. La matematica non ha oggetti, formale, hai ragione, ma questo un linguaggio creato che, come il movimento delluomo in acqua funziona solo in un determinato contesto. Per lo pi gli uomini, nella vita reale utilizzano un altro linguaggio. # Federico Eccosulla questione che la matematica sia o meno un linguaggio pratico...beh!... ne potremmo disquisirne a lungo...ma sorvoliamo per ora. Tuttavia mi pare che almeno su una questione abbiamo trovato un punto di totale accordo: il risultato di Gdel va accettato come una veri t mat emat i ca limitatamente a quello che afferma e solamente dentro la matematica. Questo a me basta per sapere che allora vero! Ora da una parte mi pare che accetti l'idea che un problema ha senso solo se ben posto all'interno del suo linguaggio. Tuttavia non riesco ancora a capire per quale pregiudizio sostieni che la questione: la mente umana limitatamente alle sue funzioni logico-matematiche assimilabile ad una macchina (o meno)? trascende il dominio della matematica. Io ho l'impressione che quello che ti disturba sia nuovamente un puntiglio di carattere semantico o interpretativo. Lasciami allora riformulare il problema nel modo seguente: pu esistere una macchina capace di concepire ed elaborare la matematica cos come fa la mente umana? Oppure, con la tua metafora pu esistere una macchina capace di nuotare in acqua cos come fa l'uomo? # Ludovica I pregiudizi di solito non sono di chi riette andando al di l di ci che esiste e che si d come verit, ma sono proprio di chi crede nei dogmi! Per questo su alcune tue affermazioni non posso dire nulla: dire che sai che vero un fatto di fedeo meglio di dogmi. E come se volessi dire ad un fedele che il giudizio universale non esiste: se lo crede bon! Nulla, giustamente si pu fare. Tu credi che i numeri esistano come entit neumeniche, e dici di sapere questa verit, cos prendi gli assiomi ed i principi inferenziali di conseguenza come dogmi e li difendi a spada tratta come un crociato. Ci va bene. Se lo credi nulla pu farti cambiare idea. Io per credo che anche gli assiomi ed i principi facciano parte di cose che dobbiamo per forza porre come se fossero vere altrimenti non si attiverebbe il processo conoscitivo: ma ci non signica che siano vere solo che io le devo prendere per tali. In ogni caso se dici che una questione matematica e non bisogna interpretare e uscire dalla matematica, allora non si pu affermare che la mente umana non una macchina perch questa, ti ripeto ancora, unaffermazione che cade sotto un altro dominio, non pi matematico, come anche chiedersi se si possa costruire una macchina in grado di elaborare la matematica come la mente umana: anche questa domanda cade fuori il dominio della matematica pura ed entra in quello delletica. Non un problema di formule e di formalismo. un problema prima di linguaggio e poi di dominio delle affermazioni. La stessa cosa accade ai medici quando si trovano di fronte a questioni che riguardano la medicina (come nel nostro caso riguardano la matematica) ma in modo trasversale, nel senso che sono domande che questionano non il funzionamento interno o il valore delle scoperte, ma qualcosa che appartiene allagire, alletica...capito ora la questione? # Federico - Molto di quello che tu dici ineccepibile ed io lo accetto come anche sono pienamente d'accordo con te quando affermi che il problema sorge primariamente a livello di linguaggio. Come mi hai ben spiegato prima, il linguaggio naturale si basa su metafore e quando un matematico parla con una losofa necessariamente deve far ricorso ai linguaggi umani. Ora quando io ti dico una macchina in grado di elaborare la matematica come la mente umana non intendo realmente un intreccio di cavi elettrici e braccia meccaniche. Questo sarebbe sporco lavoro da ingegneri. Quello che io intendo invece se: il processo dimostrativo umano di teoremi all'interno di una teoria formale algoritmico oppure no? Dopo i lavori di Turing questa frase ha un signicato matematico rigoroso che nessun matematico potrebbe fraintendere o interpretare a suo arbitrio... Ludovica Se sei cieco inutile continuare a mostrarti: anche Galileo aveva rinunciato a far vedere agli aristotelici del Seicento ci che non volevano vedere perch avevano le loro verit ineccepibili. Ma qualche matematico che osserva al di l del suo naso sono certa esiste Intimorito dall'ultimo appassionato affondo di Ludovi ca, Federi co stava per repl i care al l a provocazione quando improvvisamente un sordo rumore di serratura che si apre e di cardini che cigolano colp l'attenzione dei due. Fulmineo i loro sguardi corsero alle lancette dell'orologio a parete. La 36 notte trascorsa troppo velocemente dava spazio alle prime luci che si inltravano dai nestroni in alto mentre dalla porta principale d'ingresso cominciavano ad entrare gli addetti alla pulizia. Le cifre 7:00, interpretate in un qualsivoglia linguaggio formale o naturale, ora esprimevano un unico inequivocabile signicato: mancava un'ora all'inizio dell'orario di lavoro, c'era ancora un le excel da recuperare, c'era ancora mezza torre di Babele di documenti da inserire. Ma forse, deposti i rafnati quanto inutili argomenti losoco-matematici, quattro buone mani operaie e collaborative ce la potevano ancora fare. Note _________________ Questo dialogo per la costruzione di Federico trae spunto da un articolo di Gabriele Lolli intitolato "Wittgenstein contro Gdel" ed apparso in: Anno mondiale della matematica, Bollati Boringhieri, 2000, pp. 32-9; per la costruzione di Ludovica trae spunto dalla losoa di Ludwig Wittgenstein. Gdel e Wittgenstein non si sono mai incontrati: in questo dialogo abbiamo voluto immaginare un possibile incontro in tempi moderni. 37 MUSICA Miles Davis, Pharaohs Dance, from Bitches Brew56x42 38 MUSICA E CONSISTENZA. di Francesco DErrico Calvino, come noto, non ha mai scritto l ' ul tima conferenza del l e Lezioni Americane Consistency, la sesta, n le ha mai tenuto le conferenze. Ma alcune sue indicazioni mi hanno fatto riettere incoraggiandomi a scrivere qui una o due cose su cui mi utile soffermarmi in condivisione. In primo luogo mi piace rileggere ci che lo stesso Calvino a proposito delle sue lezioni ebbe modo di dire: "Vorrei dedicare le mie conferenze a certi valori, a certe qualit, o certe specicit della letteratura che mi sono particolarmente care, cercando di inserirle nella prospettiva del prossimo millennio." Qualit, valori, specicit della letteratura: Calvino ci parla del suo mondo creativo e del suo prezioso artigianato, del suo oggetto espressivo: la letteratura appunto. Questo per me interessante perch mi permette di circoscrivere il campo di questo mio breve ragionamento impedendo slittamenti su piani che vanno al di fuori del lavoro creativo. Accolgo cos il solo metodo, potendolo includere in seno ad un'altro artigianato che mi pi vicino, quello della musica. In secondo luogo porrei l'accento, n da adesso, sull'ipotesi che non sia il talento selvaggio assoluto, infantile ed ingenuo, ma la coerenza o la consistenza a dare corpo al pensiero creativo. Insieme per, la sola coerenza, nel senso di attivit ossessiva, paralizza la uidit dell'immaginazione. Porta al ristagno delle idee. Lo sbandierare il solo talento come sola condizione necessaria un inganno, cos come la pratica della sola disciplina ostinata cecit. Per quanto possa sembrare superuo mi sembra inoltre necessario mettere subito in luce il fatto che le caratteristiche tipiche della creativit sono: il lavoro, la disciplina e la capacit di accogliere un numero elevato di regole e principi e le abilit cognitive ed emotive per gestirle, per assemblare materiali e idee, cio per produrre oggetti d'arte. L'eccentricit, se manifesta, solo la supercie di chi fa arte, la sua sostanza l'attitudine alla perseveranza, la cura per i dettagli, l'attenzione all'artigianato. Consistenza e coerenza non fanno rumore ma sono il motore dell'esperienza artistica e creativa stessa. Dunque, consistency. I primi signicati nella traduzione letteraria in italiano della parola sono: coerenza, costanza poi consistenza e, in ne, concordanza. Quindi la coerenza si presenta a noi consistente, compatta e, per cos dire, muove alla concordanza. Sono i segni che le parole lasciano risuonare nelle scatole cognitive ed emotive di ciascuno ed in ciascuno a suo modo. Mi raccolgo di nuovo sull'artigianato, sul fare con perizia e qui ancora un indizio lasciatoci da Calvino: Bartleby lo scrivano. # Sembra che nella sua sesta lezione, infatti, uno degli oggetti letterari di maggiore interesse atti ad esplorare indicazioni sulla consistenza fosse appunto il breve e paradossale, anzi tempo, racconto di Melville. Qui il senso sbriciola se stesso, lo scopo declina in favore della consistenza della compattezza ostinata: I would prefer not to, avrei preferenza di no. Lo scopo, il senso, sono oggetti verticali che ci sovrastano dall'alto come una imponente scultura, Manhattan! Caricandoci del loro peso, come il linguaggio in s, sempre pronto ad impartire ordini, edicare costrutti preannunciati. Lo scopo e il senso, dunque, indicano la via, magari compassionevolmente ma con l'indice severo. Bartleby comincia con l'attivit dello scrivere in una sua forma specica: quella del copiare con perizia. Scrivano molto abile molto concentrato e maestro nel suo mestiere di copista. Ma qui la copia non il falso ma resistenza, resistenza alla severit e al peso delle persecuzioni di scopo, della necessit di senso. Eppure non basta cos. Anche il limpido lavoro di copia va interrotto, ancora opponendosi allo scopo, al senso, no al silenzio dopo una catena notevole di I would prefer not to. Due cose a questo punto vanno dette. Questa specica forma del copiare amore per l'oggetto e intendo empatia, corrispondenza, possibilit creativa di accogliere l'altro. Concordanza. Senza scopi o dispositivi d'ordine ma con l'artigianato paziente del saper fare. [...] per Melville la comunit dei celibi a trascinare i suoi membri in un divenire illimitato. Un fratello, una sorella ancora pi veri per il fatto di non essere pi il proprio, la propria, essendo sparita ogni propriet [] L'americano colui che si liberato della funzione paterna inglese, il glio di un padre sbriciolato, glio di tutte le nazioni. (Gilles Deleuze Giorgio Agamben, Bartleby La formula della creazione. Macerata 1993). 39 Eppure, e qui torna la stessa tensione che Calvino ci ha presentato nelle sue prime conferenze, come la leggerezza luminosa va riettendosi nel peso della realt, cos la consistenza della coerenza, specie quella che rasenta l'assurdo, osserva il suo altro senza opporvisi: la paralisi. Ancora una volta si producono statue di sale. Sembra leggere un invito alla essibilit alimentata da coerenza e consistenza in linea proprio con la leggerezza che non dimentica il peso degli oggetti sia letterari che dell'esperienza. Ossimori: coerenze- essibili; leggeri-pesi. Le attivit creative, quando abbandonano l'alleanza con il pensiero critico, cio abbandonano la capacit di assumere gli oggetti alle proprie attenzioni nel rispetto degli stessi (in quanto gli oggetti stessi della conoscenza sono traccia assoluta di tutto ci che resta del lavoro, della passione, dell'intelligenza creativa, di quelli che ci hanno preceduti o che sono a noi paralleli), le attivit della scrittura creativa cos come dell'improvvisazione nelle pratiche musicali, diventano povere, sottoposte all'io narciso. E dunque, quando abbandonano la leggerezza consapevole del peso, quando delegittimano la coerenza essibile, non sono pi creative e non sono pi critiche. Allo stesso modo quando non si pi capaci di accogliere le conoscenze e le consapevolezze che ci hanno preceduti, che ci sono parallele e che in qualche modo ci anticipano, cio quando ci impossibile scrollarci di dosso il peso del protagonismo cieco, quando non si sente pi di appartenere ad un sentire condiviso, che vede e sente l'altro, quando accade tutto ci si fuori dalla scrittura creativa e dalle possibilit espressive. Allora, quando si sul ciglio di tali rischi, come accadde a Bartleby, meglio cessare di scrivere. Attendere la risacca. Quel momento di silenzio prima dell'onda nuova. Mettersi all'ascolto. Il corso della musica viene esperito se accolto nel dialogo oscillante, evolutivo e biologicamente esplorativo. Ad esempio ascoltando il sentiero che va da Gesualdo a Berio, quello che va da Monteverdi a Puccini, da Duke Ellington a John Coltrane. Ogni autore, come ogni improvvisatore, che di questo parafrasi e viceversa, sembra essere un punto della linea temporale, un integrale dello spazio geograco esplorato. Ciascuno fa tesoro di questa condizione ed attraverso il suo gesto minimo e consapevole, creativo e coerente, innesta il suo contributo in un preciso momento. Oggi tempo di risacca. Il usso indietreggia e l'inconsapevolezza all'ascolto dell'attimo, silenzio necessario, la paura di accoglierlo, genera sterili e fragili individualismi tanto anonimi quanto soli. Cos la risacca da necessaria pu diventare cieca. A tal proposito mi concedo, in forma di suggeri mento, una breve e uti l e di gressi one nell'attualit musicale tutta italiana - squarcio televisivo: italietta a cosa mai ci allevi! - una digressione dicevo, fatta di talenti lampanti, teneri e sorridenti. Lascerei denitivamente i rumori provocati dal povero Giovannino il rigido/dinoccolato (ancora un ossimoro!). Lo lascerei ad accarezzarsi i riccioli verticali per alimentare il suo ego-successo. Lasciamolo stare li, nalmente, ancora riesso nel riesso lmico adolescente dell'Elfo/ottenuto (letteralmente Helfgott). Ottenuto il successo. Ottenuto come? Ma ottenuto con l'occhialuta coerenza ostinata di un neurone specchio, imitativo per scopo, con l'accortezza scrupolosa di lasciare scorrere l'arco temporale utile all'oblio cognitivo, ma non sufciente (furbetto furbetto!) all'oscurarsi emotivo usato per legare l'assetato di senso. Cedere ancora imbambolati al vestito nuovo dell'imperatore..non pi tempo. In concl usi one mi pi acerebbe ancora sottolineare come ogni intenzione espressiva, se sostenuta con coerenza dal lavoro e dall'esperienza condivisa, porta se stessa alla luce in maniera leggibile e sincera molto pi di quello che accade attraverso quell'oggetto che viene chiamato talento, vero o presunto. Troppo spesso, infatti, i talenti vengono presi a pretesto per non vedere ed affrontare la durezza del lavoro, a volte per non riconoscerlo, per non cogliere il peso dell'esperienza nel mondo degli oggetti d'arte: musica, letteratura, pittura o quello che sia. I talenti di ciascuno, tanto spesso ingannevolmente presentati come lampanti, stanno invece nascosti e ciascuno non sa quando far la loro conoscenza e neanche se questo accadr. Indicare un talento proprio o altrui sembra essere un gesto generoso ma cela una forma di esercizio di potere, pone ordini indica senso e scopo col peso di chi, in tutta evidenza, non vede l'altro ma ne fa uso. E questo vale per chi fa arte come per chi ne fruisce. La pratica della leggerezza, consapevole del peso, come la consistenza coerente capace di abbandonarsi alla essibilit ci permettono di incontrare, invece, un principio di concordanza. 40 L'esperienza del condividere che lascia cadere ogni percezione del talento, che non trattiene la necessit astratta di scopo, il bisogno avido di senso in favore dell'incontro degli sguardi scoperti e vulnerabili ci riconsegna a noi stessi pi integri e consistenti. Coerenza, consi st enza: l o scri ba per antonomasia copia, cio osserva l'oggetto dal vero. Ma Bartleby non un falsario. Egli, infatti, oltre a copiare si occupava di lettere perse: della memoria e dell'altro. Breve bibliograa/lmograa d'uso _________________ Italo Calvino Lezioni Americane. Ed.Garzanti. Herman Melville Bartleby lo scrivano. Ed.Feltrinelli Gilles Deleuze, Giorgio Agamben Bartleby la formula della creazione. Ed.Quolibet. Shine: Film del 1996 diretto da Scott Hicks 41 AUTORI 42 Velvet Underground and Nico Run Run Run 56x42 Pierluigi Argoneto Laureato in Ingegneria industriale, consegue un dottorato in Ingegneria della produzione. Docente di Teoria dei Giochi autore di pubblicazioni, testi scientici e divulgativi. redattore per Il Quotidiano e Linkiesta. Francesco derrico Francesco D' Erri co ( Napol i 1962) musi ci sta professionista insegna presso i Conservatori di Salerno e Napoli. Laureato in losoa teoretica con Master in consulenza losoca. Ha pubblicato quindici cd a suo nome e circa trenta cd in collaborazione. Oltre la sua attivit di compositore e concertistica continua ad interessarsi a problemi losoci con pubblicazioni ed incontri. Info: www.francescoderrico.it Giuseppe De Nittis nato nel 1977 a Montalbano Jonico (MT). Studia prima a Pisa (laura in sica teorica) e poi a Trieste (Ph.D. in sica matematica presso la SISSA). Attualmente post-doc (alias precario della ricerca) presso la Friedrich-Alexander-Universitt di Erlangen (Germania) e le sue ricerche sono nanziate dalla Alexander von Humboldt-Foundation. Il tema principale della sua ricerca riguarda gli aspetti matematici della meccanica quantistica. Antonio Di Stefano Scrive a nome della "Cooperativa sociale Unaterra", un manipolo di donne e uomini che da una quindicina d'anni promuove, con tutte le difcolt del caso, forme di consumo equo, sostenibile e solidale. fiorella fiore Nata nel 1982. Laureata in Storia e Tutela dei Beni Artistici e in Storia dellArte. Redattrice da novembre 2008 della rivista In Arte Multiversi. Collabora come critica d'arte con la Galleria di Arte Contemporanea Bivio Art. luca lanini Luca Lanini (Roma 1966). Laureato in Architettura a Napoli (1992). Professore Associato di Progettazione Architettonica presso lUniversit di Pisa. Cofondatore con Manuela Raitano di b.e.ar. building environment architecture con cui ha vinto ed stato premiato in numerosi concorsi di progettazione nazionali ed internazionali. roberto natalini Matematico, lavora a Roma come Dirigente di ricerca presso lIstituto per le Applicazioni del Calcolo Mauro Picone del CNR. I suoi interessi sono rivolti allo studio qualitativo e numerico delle equazioni alle derivate parziali, con applicazioni in uidodinamica, problemi di danneggiamento, ussi di trafco, biologia, ed inoltre responsabile scientico del progetto Sportello Matematico per l'Industria Italiana. Da alcuni anni svolge unintensa attivit di divulgazione attraverso il sito Maddmaths!. patrizia piredda Si laureata in letteratura, poi in losoa a Roma e ha preso il dottorata in Inghilterra; si occupa del rapporto tra il linguaggio. l'estetica e l'etica (in particolare Wittgenstein, Kant, Aristotele) studiando i testi letterari (in particolare Pirandello, D'Annunzio, Savinio). Attualmente sta pubblicando una ricerca sul linguaggio e l'etica in D'Annunzio e Nietzsche condotta presso la University of Oxford. Selezione e cernita componente visuale, artistica, corrispondenza e assonanza percettiva delle opere rispetto al tema del Magazine:Fiorella Fiore. Responsabile della fascinazione cromatica, allineamento parasimmetrico visuale, note, bordi e immagini: Vania Cauzillo. 43 44 JS Bach, Toccata und Fuge D-Moll56x4 ARTISTA Le immagini che illustrano questo numero del Magazine di Liberascienza sono di Martin Klimas, artista tedesco di Dsseldorf, il quale ha cercato di registrare il colore del suono. Le fotografie, che compongono la serie "A cosa assomiglia la musica?", sono infatti l'incredibile risultato di ci che accade ponendo un foglio traslucido tra la vernice e un altoparlante che suona a volume altissimo Miles Davis, Hendrix, Steve Reich. Ci sono voluti 6 mesi e 18 litri di vernice per completare l'opera. Martin Klimas afferma di essersi ispirato alle ricerche scientifiche di Hans Jenny, lo scienziato nato nel 1904 che viene considerato il padre della cimatica, che studia la forma e la morfologia delle onde. D'altra parte non si pu non notare nella sua ricerca un approccio vicino alle fotografie di Harold Eugene Edgerton, scienziato del MIT che usava lo stroboscopio per riprendere eventi fisici, con risultati molto vicini a ci che definiamo "arte". Insomma, un artista in puro stile Liberascienza! In copertina: Massive Attack, "Angel" 56x42 45 MATERIALE PUBBLICATO Il Magazine di Liberascienza una rivista elettronica aperiodica. Il copyright degli articoli libero. Chiunque pu riprodurli. Unica condizione mettere in evidenza che il testo riprodotto tratto da www.liberascienza.it Tutti i materiali, i dati e le informazioni pubblicati allinterno di questo sito web sono no copyright, nel senso che possono essere riprodotti, modicati, distribuiti, trasmessi, ripubblicati o in altro modo utilizzati, in tutto o in parte, senza il preventivo consenso di Liberascienza, a condizione che tali utilizzazioni avvengano per nalit di uso personale, studio, ricerca o comunque non commerciali e che sia citata la fonte attraverso la seguente dicitura, impressa in caratteri ben visibili: www.liberascienza.it Ove i materiali, dati o informazioni siano utilizzati in forma digitale, la citazione della fonte dovr essere effettuata in modo da consentire un collegamento ipertestuale (link) alla home page www.liberascienza.it o alla pagina dalla quale i materiali, dati o informazioni sono tratti. 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Li berasci enza una associazione costituita su iniziativa di un gruppo di giovani provenienti da diverse esperienze culturali. Liberascienza si vuole proporre come laboratorio sperimentale per la diffusione dell'idea di pensiero scientico quale parte del patrimonio culturale di base, troppo spesso trascurato. Sostieni Liberascienza! Le iniziative in cantiere sono molte, per questo Liberascienza ha deciso di lanciare un progetto di sottoscrizione pubblica che offre a chiunque lopportunit di diventare protagonista di un progetto tanto ardito quanto interessante. Puoi cominciare da ora: effettua un versamento sul C/C intestato a Liberascienza IBAN IT92E0335967684510300012171 Se gestisci una pagina internet, un sito, un blog, una community, iscriviti alla nostra newsletter, inoltra le nostre iniziative ai tuoi contatti, pubblica i nostri link, fai pubblicit a Liberascienza diffondendo il nostro Magazine! 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