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Universit degli Studi di Padova Facolt di Giurisprudenza

Diritti Umani a.a. 2009/2010





Problematiche attinenti al suicidio assistito:
caso Pretty


di
Andrea Paglia e Dario Cestaro




























































In copertina:
David Morte di Socrate, 1787



Indice

1. Caso .................................................................................................................. 1
2. Iter giudiziario britannico ................................................................................ 1
3. La sentenza della Corte Europea ...................................................................... 2
Articolo 2 ............................................................................................................................................................. 2
Articolo 3 ............................................................................................................................................................. 3
Articolo 8 ............................................................................................................................................................. 4
Articolo 9 ............................................................................................................................................................. 5
Articolo 14 ........................................................................................................................................................... 6
Riepilogo ............................................................................................................................................................. 7
4. Ordinamenti giuridici e diversi orientamenti .................................................. 9
Alcune precisazioni ............................................................................................................................................. 9
Leutanasia nel mondo ........................................................................................................................................ 9
La legislazione italiana .......................................................................................................................................12
I diversi punti di vista ....................................................................................................................................... 14
5. Discussione ..................................................................................................... 19
6. Conclusioni ..................................................................................................... 25
Andrea Paglia .................................................................................................................................................... 25
Dario Cestaro .................................................................................................................................................... 28


























































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1. IL CASO
Diane Pretty, cittadina britannica, nasce nel 1958. Sposata e con una figlia, nel 1999 le viene diagnosticata una
Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia degenerativa che colpisce i neuroni motori del sistema nervoso centrale.
Tale malattia porta al progressivo indebolimento degli arti e dei muscoli respiratori, fino alla completa paralisi;
generalmente la morte sopravviene per insufficienza respiratoria e polmonite, dopo gravi sofferenze e perdita di
dignit. Attualmente non esistono cure che ne impediscano il decorso.
La signora Pretty, ormai paralizzata dal collo ai piedi, si trova nella fase terminale della malattia e le resta
poco da vivere (si parla di mesi o addirittura settimane); pur se incapace di esprimersi in modo comprensibile, le
sue capacit intellettive non risultano menomate. Vorrebbe pone fine alla propria esistenza in modo da evitare le
gravi sofferenze che la malattia prospetta, ma, risultando incapace di realizzare in maniera autonoma la propria
volont, conviene con il marito che sia lui ad assecondarne il proposito.
Dal momento che la legislazione inglese incrimina laiuto al suicidio allarticolo 2 1 della legge del 1961, la
donna, tramite il proprio legale, chiede al Director of Pubblic Prosecutions (DPP) di non procedere penalmente
contro il marito una volta posta in essere la condotta, ma listanza non viene accolta.
Prende cos avvio un lungo iter giudiziario che sfocia nella sentenza della Corte Europea dei Diritti dellUomo
dellaprile 2002, nella quale viene confermato lorientamento dei tribunali britannici e rigettato il ricorso della
signora Pretty.





2. ITER GIUDIZIARIO INGLESE
La vicenda prende avvio nel Luglio del 2001, quando la signora Diane Pretty, gi determinata a porre fine alla
propria vita, ma ormai incapace di provvedervi autonomamente, ed avuta la disponibilit del marito ad aiutarla,
invia una lettera tramite il proprio avvocato al Director of Pubblic Prosecution (DPP) chiedendo che questi si
prenda limpegno di non incriminare il marito per aiuto al suicidio. Il DPP risponde nellAgosto del 2001
mediante una lettera con la quale rifiuta di prendersi limpegno richiesto:

I DPP, e procuratori generali, hanno sempre spiegato che non accoderebbero, quali che possano
essere le circostanze eccezionali, limmunit che assolvesse, richiedesse o dichiarasse di autorizzare o
di permettere la commissione futura di qualunque reato

Nello stesso mese, la signora Pretty ricorre alla Divisional Court per il controllo giurisdizionale sulla decisione
del DPP e chiedendo in particolare:
- unordinanza di annullamento di tale decisione;
- una dichiarazione con cui si dichiari tale decisione illegale;
- una dichiarazione con cui si dichiari incompatibile lart 2 della Legge del 1961 con gli articoli 2-3-8-9-
14 della Convenzione Europea dei Diritti dellUomo.
Nel mese di Ottobre la Corte rigetta il ricorso, motivando col fatto che il DPP non pu assumersi tale impegno
e che lart 2 della Legge del 1961 non risulta incompatibile con la Convenzione.
Si apre cos il grado di appello presso la Camera dei Lords, la quale, nel Novembre dello stesso anno,
conferma la sentenza di primo grado affermando, che la pretesa della signora Pretty dipenda dalla Convenzione:
infatti, lo stesso avvocato della ricorrente ha ammesso che il Common Law di Inghilterra non consente in alcun
modo di accettare la domanda formulata. Inoltre la Camera chiarisce di non essere un organo legislativo ed
altres di non essere n abilitata n qualificata per agire come arbitro morale o etico:

E importante sottolineare la natura ed i limiti del suo ruolo, visto che le questioni di vasta portata
sollevate con il ricorso attuale sono loggetto di una preoccupazione profonda e interamente
giustificata da molte persone. Le questioni di sapere se le malattie in fase terminale o altre devono
avere la facolt di sollecitare un aiuto per suicidarsi e, nel caso affermativo, in quali condizioni e
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mediante quali limiti, rivestono unimportanza sociale, etica e religiosa considerevole, ed esistono per
questo argomento delle convinzioni e delle idee largamente divergenti e sovente molto marcate.
La commissione non ha per compito nel caso di specie di soppesare, di valutare o di riflettere su
queste convinzioni e concezioni, o di rendere efficaci le sue proprie concezioni, ma di stabilire e
dapplicare il diritto del paese come si interpreta oggi.

La questione passa, cos, alla cognizione della Corte Europea.





3. LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA
Il 21 Dicembre 2001 viene presentato il ricorso davanti alla Corte Europea dei Diritti dellUomo, con il quale
si chiede di esaminare la compatibilit dellarticolo 21 della Legge del 1961 con gli articoli 2-3-8-9-14 della
Convenzione.
Nel 2002 la Corte dichiara la ricevibilit della questione e accetta di darne decisione nel merito, ritenendo che
le problematiche da essa sollevate siano sufficientemente serie e necessitino di una approfondita analisi.

Lart 21 della suddetta legge cos dispone:
Ogni persona che facilita, incoraggia, raccomanda o organizza il suicidio o un tentativo di suicidio
di un terzo e passibile, dopo essere stato accusato, di una pena detentiva al massimo fino a 14 anni


Articolo 2
DIRITTO ALLA VITA.
Il diritto alla vita di ogni persona protetto dalla legge. Nessuno pu essere intenzionalmente
privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei
casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena.
La morte non considerata inflitta in violazione di questo articolo quando derivasse da un ricorso
alla forza reso assolutamente necessario:
a) per assicurare la difesa di qualsiasi persona dalla violenza illegale;
b) per eseguire un arresto legale o per impedire levasione di una persona legalmente detenuta;
c)per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione.

La ricorrente sostiene, a fondamento della propria tesi, che ad oggetto dellarticolo 2 della Convenzione ci sia
il diritto alla vita e non la vita stessa; conseguentemente vi sarebbe in capo a ciascun soggetto, il diritto di
scegliere se continuare a vivere o meno. Il diritto a morire, quindi, costituirebbe un corollario del diritto a vivere
e lautorizzazione a farsi aiutare dal marito a mettere fine alla propria esistenza, dal momento che per lei
impossibile provvedervi autonomamente, non sarebbe in contrasto con lart 2. Obbligo dello stato in tal senso
sarebbe la predisposizione di strumenti legislativi idonei a consentire lesercizio di tale facolt di scelta. In
aggiunta, qualora non le venisse riconosciuto questo diritto, ne deriverebbe un contrasto tra la disciplina degli
stati in cui ammesso il suicidio assistito e lart 2 della Convenzione.

Il governo ribatte, innanzitutto, che il secondo periodo del primo comma vieta espressamente di privare taluno
della vita, rendendosi cos incompatibile il disposto normativo con linterpretazione della ricorrente nel senso di
includere un obbligo negativo: il diritto alla morte risulterebbe quindi in antitesi rispetto a tale articolo. Si rileva,
inoltre, come non vi sia alcun precedente esplicito al riguardo e che, anzi, la tesi della signora Pretty sarebbe
incompatibile con la giurisprudenza esistente.

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Per la Corte il punto di partenza che il diritto alla vita sia alla base del godimento di ogni altro diritto e
libert garantiti dalla Convenzione. Lart 2 stesso disciplina in maniera tassativa i casi in cui sia lo stato a poter
deliberatamente e intenzionalmente sopprimere tale diritto, e tra essi non risulta nessuno compatibile con le
circostanze della fattispecie in esame. Traspare lobbligo positivo da parte dello stato di assicurare il diritto alla
vita predisponendo una legislazione penale concreta al fine di proteggere la vita privata e adottare
preventivamente misure di ordine pratico per proteggere lindividuo da minacce esterne: un obbligo negativo,
cio il riconoscere un diritto a morire, deriverebbe da una distorsione di linguaggio, dal momento che tale diritto
appare diametralmente opposto a quello tutelato dallart 2, cio il diritto alla vita; in altre parole, non sembra
esservi alcun rapporto tra lart 2 e considerazioni relative a ci che una persona scelga di fare della propria vita.
Non si potrebbe per di pi creare un diritto alla autodeterminazione, nel senso che si darebbe ad ogni individuo
il diritto di scegliere la morte piuttosto che la vita.
Riguardo il possibile contrasto tra la Convenzione e una disciplina favorevole al suicidio assistito di altri paesi,
la Corte fa notare che nella fattispecie non sia proprio compito cercare di stabilire se il diritto in un tale o tale
altro paese misconosca o meno l'obbligo di proteggere il diritto alla vita. Ciascuno stato ha il dovere di
scegliere, esaminata attentamente la situazione interna, come disciplinare gli obblighi derivanti dallart 2 della
Convenzione. Oltretutto portare a sostegno della propria tesi la legislazione di altri stati aderenti alla
Convenzione in cui il suicidio assistito ammesso, non sarebbe di alcun aiuto alla ricorrente: non si pu far
derivare la violazione dellart 2 della Convenzione da parte del Regno Unito, per il fatto di aver adottato una
disciplina diversa.


Articolo 3
DIVIETO DELLA TORTURA.
Nessuno pu essere sottoposto a tortura n a pena o trattamento inumani o degradanti.

in relazione allarticolo 3 della Convenzione che Diane Pretty fonda gran parte delle sue ragioni, sostenendo
che la sofferenza, causata dalla malattia, sia paragonabile ad un trattamento inumano e degradante: vi sarebbe,
pertanto, un obbligo da parte dello stato di adottare le misure necessarie ad evitarle questa condizione, dal
momento che tale articolo non imporrebbe un semplice obbligo negativo.
Se poi si volesse ritenere che il diritto previsto non sia assoluto, il bilanciamento fatto dallo stato britannico
sarebbe sproporzionato, non lasciando spazio alcuno a considerazioni relative al caso in questione: infatti, non si
tiene conto della sua capacit di discernere, n di quella di decidere, n del fatto che non sia vulnerabile e quindi
non abbia bisogno di protezione, n dellinevitabilit della sua morte imminente, n delle sofferenze e indegnit
terribili cui destinata, n che non vi sarebbe coinvolgimento di altri, se non dei membri della sua famiglia, dai
quali per altro ha gi ricevuto il sostegno. Senza considerare le peculiarit di ciascuna fattispecie, i diritti
dellindividuo non sarebbero protetti.
Infine, la ricorrente ritiene offensiva laffermazione per cui tutti i malati terminali siano per definizione
vulnerabili e richiedano quindi una protezione da parte dello stato.

Il Governo contesta che larticolo 3 esprima un obbligo positivo per lo stato, ritenendo che imponga solamente
di astenersi dallinfliggere i trattamenti vietati. Qualora vi fossero degli obblighi positivi, essi dovrebbero essere
interprati in modo da non vessare le autorit con oneri eccessivi, in conformit con la giurisprudenza della
Corte. Fino ad ora tali obblighi positivi si sono riscontrati in determinati casi. La fattispecie non rientrerebbe in
alcuno di questi e, per tale motivo, larticolo 3 della Convenzione non verrebbe qui in considerazione; anzi, se
anche fosse rilevante, non configurerebbe in alcun modo un diritto a morire.
Il divieto del suicidio assistito deriverebbe dal giusto equilibrio tra i diritti dellindividuo e linteresse generale
al rispetto della sovranit della vita, allo scopo di tutelare le persone vulnerabili.
Si sostiene, infine, che ammettere leutanasia volontaria, implicherebbe inevitabilmente di legalizzare anche
quella involontaria.

La Corte, in primis, fa notare il carattere assoluto del diritto di cui allarticolo 3, il quale non prevede n
eccezioni, n condizioni, n possibilit di deroga ex articolo 15.
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Da una disamina storica, si evince come questo articolo sia sempre stato applicato a casi in cui il rischio di
essere sottoposti ai trattamenti vietati fosse derivato da atti posti in essere intenzionalmente dagli agenti dello
stato o da pubbliche autorit. Tuttavia, data limportanza fondamentale della disposizione, la Corte si riservata
la possibilit di applicarla anche ad altre situazioni. Dal combinato disposto con larticolo 3, larticolo 1
imporrebbe agli Stati un obbligo positivo di tutela dai trattamenti vietati, oltre a proteggere la salute dei soggetti
privati della libert.
Ai fini dellarticolo 3, si definisce trattamento ogni condotta che raggiunga un minimo di gravit e provochi
lesioni fisiche o intensa sofferenza fisica o mentale; il trattamento si qualifica degradante se umilia o svilisce
lindividuo, se dimostra assenza di rispetto per la sua dignit o la sminuisce, se suscita sentimenti di paura,
angoscia o inferiorit che fiacchino la resistenza fisica e morale. La sofferenza dovuta ad una malattia
rientrerebbe cos nellambito dei trattamenti vietati dallarticolo 3, se rischia di essere o se viene aggravata da
una condotta della quale le autorit si possano ritenere responsabili. Nella fattispecie, il Governo non ha inflitto
il minimo maltrattamento alla ricorrente e la stessa nemmeno lamenta cure inadeguate da parte dellautorit
sanitaria.
Diane Pretty sostiene che il rifiuto del DPP di impegnarsi a non perseguire il marito, nel caso in cui questi
laiuti al suicidio, ed il divieto di suicidio assistito costituiscono trattamenti vietati nella misura in cui le neghino
protezione dalle sofferenze che sar costretta a sopportare quando la malattia giunger allo stadio finale.
Tuttavia, tale interpretazione estensiva andrebbe oltre gli obiettivi fondamentali perseguiti dalla Convenzione,
minandone la coerenza: larticolo 3 non pu essere slegato dallarticolo 2, il quali sancisce il divieto di ricorso a
comportamenti che provochino la morte di un uomo. Ladempimento dellobbligo positivo evocato dalla
ricorrente non comporterebbe il venir meno o lattenuazione del danno subito, ma equivarrebbe ad obbligare lo
stato a consentire atti finalizzati ad interrompere la vita: ci non si pu far derivare dallarticolo 3, che quindi
non risulta essere stato violato.


Articolo 8
DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE.
Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua
corrispondenza.
Non pu esservi ingerenza della pubblica autorit nellesercizio di tale diritto se non in quanto tale
ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una societ democratica,
necessaria per la sicurezza nazionale, lordine pubblico, il benessere economico del paese, la
prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle
libert altrui.

La ricorrente afferma che il diritto di autodeterminazione comporterebbe il diritto di disporre del proprio corpo
e di decidere cosa farne, implicando di conseguenza il diritto di scegliere quando e come morire. Il rifiuto del
DPP di assumere limpegno sollecitato e la mancanza di una disposizione legale che autorizzi il suicidio
assistito violerebbero i diritti garantiti dallarticolo 81 della Convenzione.
In aggiunta, la ricorrente osserva che occorrono gravi ragioni per giustificare un giudizio circa un aspetto cos
intimo per la vita privata, ma il Governo non avrebbe dimostrato la necessit di tale ingerenza, poich le
circostanze del caso non sono state prese in considerazione.

Il Governo sostiene che i diritti garantiti dallarticolo 8 non sono in discussione, poich il diritto alla vita non
comporta un diritto a morire; al contrario, infatti, il diritto preteso comporterebbe lestinzione del beneficio
stesso su cui si fonda il diritto alla vita. Lo stato, oltretutto, avendo il diritto di stabilire la misura in cui gli
individui possono acconsentire a farsi infliggere ferite, sarebbe maggiormente legittimato a decidere se una
persona possa consentire ad essere uccisa.

La Corte afferma che la nozione di vita privata ampia e non esaustiva: essa ricomprende, infatti, lintegrit
fisica e morale della persona, lidentit fisica e sociale di un individuo, lidentificazione e lorientamento
sessuale, il diritto allo sviluppo personale e quello di instaurare e intrattenere relazioni con altri esseri umani e il
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mondo esterno. Bench non sia stato accertato che larticolo 8 implichi un diritto allautodeterminazione, la
Corte osserva che la nozione di autonomia personale rispecchia un principio sotteso allinterpretazione delle
garanzie di tale articolo.
La corte esamina la posizione del Governo, secondo cui il diritto alla vita privata non pu comportare un
diritto alla morte assistita, facendo notare che facolt di ognuno condurre la propria esistenza come pi gli
aggrada, includendo anche la possibilit di dedicarsi ad attivit fisicamente o moralmente pregiudizievoli per la
propria persona. Lingerenza dello stato per evitare agli individui le conseguenze dello stile di vita scelto, anche
quando tali comportamenti costituiscano un rischio per la salute o possano essere addirittura letali, considerata
dalla Convenzione come lesiva della vita privata ai sensi dellarticolo 81 e richiede pertanto una giustificazione
conforme al paragrafo secondo dello stesso articolo. Per esempio, limposizione di un trattamento sanitario
senza il consenso del paziente, adulto e sano di mente, costituirebbe un attentato allarticolo 81, poich, come
affermato dalla giurisprudenza interna, un individuo pu invocare il diritto di morire rifiutando un tale
trattamento che abbia leffetto di prolungargli la vita.
La fattispecie in esame non ha ad oggetto trattamenti sanitari, poich la ricorrente patisce le sofferenze fisiche e
mentali causate dalla malattia degenerativa di cui affetta, ma la scelta di porre fine alla propria esistenza con
lassistenza del marito fa parte dellatto di vivere: pertanto la signora Pretty ha il diritto di chiedere che venga
rispettata la sua volont.
Ora, la legislazione inglese le impedisce di compiere tale scelta per evitare quello che secondo lei costituisce un
epilogo della vita indegno e doloroso. La Corte, quindi, non esclude che ci possa costituire una lesione del
diritto dellinteressata al rispetto della sua vita privata, secondo larticolo 81.
La Corte esamina di conseguenza quando lingerenza dello stato sia o meno legittima. Per essere compatibile
con il paragrafo secondo, una ingerenza, nellesercizio di un diritto garantito da tale articolo, deve essere
prevista dalla legge, ispirata ad uno o pi scopi legittimi e necessaria in una societ democratica per il
perseguimento di tali scopi.
Per quanto riguarda la nozione di necessit in una societ democratica, la Corte ritiene vi sia un potere
discrezionale di ciascuno stato nello stabilire quali siano gli scopi legittimi perseguiti e quali siano i mezzi
necessari a raggiungerli, salvo il controllo della Corte relativamente alla loro conformit alla Convenzione.
A tale riguardo la ricorrente ritiene che i mezzi predisposti dallordinamento britannico (legge del 1961), volti
alla tutela del bene vita, siano sproporzionati in considerazione della situazione personale di piena capacit di
intendere e volere. Infatti, sia i tribunali interni, sia la Camera dei Lords hanno concluso che la ricorrente non sia
persona vulnerabile e che per tale motivo sarebbe sottratta alla necessit di una protezione molto forte.
La Corte fa notare che la ratio legis della Legge del 1961 sia quella di tutelare le persone che in virt della
propria situazione (malattia in stadio terminale) risultino deboli e vulnerabili; anche se tale condizione non
propria di tutti i soggetti interessati, aprire la porta ad eccezioni alla norma in esame, o comunque attenuazioni
al divieto, comporterebbe un grave rischio di abusi in danno a tali soggetti.
pur vero che, secondo quanto sostenuto dagli avvocati di Diane Pretty ex articolo 34, la Corte dovrebbe
attenersi al caso concreto, ma tale decisione non potrebbe n in teoria, n in pratica essere formulata in modo da
impedire la sua applicabilit ad altre fattispecie (vincolo del precedente). Oltretutto, la legge del 1961 non risulta
avere una formulazione rigida, ma anzi consente una valutazione del caso concreto almeno sotto due distinti
profili: in primo luogo spetta al DPP scegliere quali procedimenti devono essere aperti; in secondo luogo, la
previsione di una pena edittale formulata solo nel massimo, lascia una ampia discrezionalit al giudice. Il fatto
che il DPP abbia rifiutato di impegnarsi anticipatamente a non perseguire il signor Pretty, sottende ad una
questione di ragionevolezza in relazione alla gravit dellatto per il quale limmunit stata richiesta.
Per tali motivi, la Corte ritiene che lingerenza della legge britannica risulta giustificata in quanto necessaria in
una societ democratica per la protezione di diritti altrui in conformit allarticolo 82. Non si riscontra, quindi
la violazione dellarticolo 8 della Convezione.


Articolo 9
LIBERT DI PENSIERO, DI COSCIENZA E DI RELIGIONE.
Ogni persona ha diritto alla libert di pensiero, di coscienza e di religione; tali diritto include la
libert di cambiare religione o di credo e la libert di manifestare la propria religione o credo
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individualmente o collettivamente, sia in pubblico che in privato, mediante il culto, linsegnamento, le
pratiche e losservanza dei riti.
La libert di manifestare la propria religione o il proprio credo pu essere oggetto di quelle sole
restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una societ democratica, per la
protezione dellordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e
della libert altrui.

La signora Pretty invoca anche larticolo 9 della Convenzione, relativo alla libert di pensiero, violato a suo
parere dalla legislazione britannica e dal rifiuto del DPP alla sua richiesta: non si tenuto conto, infatti, della
sua situazione particolare, rendendo di conseguenza non giustificati tali provvedimenti, alla luce del secondo
paragrafo del medesimo articolo.

Il Governo si oppone facendo notare come i diritti elencati dallarticolo in questione non implicherebbero il
pi ampio diritto di ciascuno a porre in essere qualunque condotta al fine di perseguire le proprie convinzioni.
Se poi la Corte dovesse riscontrare una ingerenza nelle libert dellarticolo 9, esse sarebbero comunque
giustificate, in conformit al secondo paragrafo dello stesso articolo, per i motivi riportati in relazione agli
articoli 3 e 8 della Convenzione.

La Corte anzitutto precisa che non tutte le opinioni o convinzioni rientrano nel campo di applicazione
dellarticolo 9 e in ogni caso il termine pratiche non vale ad indicare ogni qualsivoglia condotta determinata,
motivata o influenzata da una religione o da una convinzione. Le argomentazioni addotte dalla ricorrente sono
pressoch tutte riconducibili al principio di autonomia personale, rivelandosi perci una semplice
riformulazione di quanto sostenuto allarticolo 8 della Convenzione. Per tali motivi larticolo 9 non risulta
essere oggetto di violazione.


Articolo 14
DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE
Il godimento dei diritti e delle libert riconosciute nella presente Convenzione deve essere
assicurato senza distinzione di alcuna specie, come di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione,
di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza ad una
minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Larticolo 14 viene invocato dalla ricorrente in riferimento alla Legge britannica del 1961, ritenendo che
questa causi una discriminazione nel trattare allo stesso modo situazioni nettamente differenti: in particolare si
sostiene che allinteressata sarebbe impedita ad esercitare il diritto a disporre della propria vita, diritto di cui
godrebbero invece tutte le persone in grado di suicidarsi autonomamente. Lunica giustificazione fornita dal
Governo consisterebbe nellinteresse pubblico a difendere le persone vulnerabili; ma, essendo stato constatato
che Diane Pretty non rientri in tale categoria di persone, si ritiene che nel suo caso non vi siano motivazioni
ragionevoli a giustificare tale trattamento meno favorevole.

Il Governo sostiene, di contro, che larticolo 14 non rilevi nella fattispecie, non riscontrando alcuna violazione
dello stesso. Secondariamente, se anche la Corte ritenesse inciso il diritto in questione, il Governo nega vi derivi
alcun tipo di discriminazione, sia perch la situazione della ricorrente non si ritiene analoga a chi pu suicidarsi
senza aiuto, sia perch il diritto interno non attribuisce un diritto al suicidio che, anzi, proprio la legge del 1961
vede con sfavore. In ogni caso, una differenza eventuale di trattamento sarebbe ammissibile in virt delle
medesime argomentazioni portate, a riguardo, agli articoli 3 e 8 della Convenzione.

La Corte fa notare, preliminarmente, che esiste in capo agli Stati un potere discrezionale nello stabilire se, e in
quale misura, siano giustificate distinzioni di trattamento in relazione a fattispecie che risultino per altri aspetti
analoghe. pur vero che, nella stessa giurisprudenza della Corte, si rinvengono casi in cui gli Stati, senza
giustificazioni ragionevoli, hanno trattato allo stesso modo soggetti che si trovavano in situazioni
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sostanzialmente differenti, incorrendo, quindi, in discriminazioni; tuttavia, non sarebbe il caso di cui si tratta, dal
momento che per la Corte una giustificazione ragionevole si potrebbe rinvenire nel ritenere che, introducendo
eccezioni alla legge del 1961, si rischierebbero abusi, compromettendo cos seriamente la protezione della vita
consacrata dalla legge in esame. Per tali motivi la Corte ritiene non violato larticolo 14.


Riepilogo
Per questi motivi, la corte allunanimit:
1. dichiara il ricorso ricevibile;
2. dichiara che non vi stata violazione dellarticolo 2 della Convenzione;
3. dichiara che non vi stata violazione dellarticolo 3 della Convenzione;
4. dichiara che non vi stata violazione dellarticolo 8 della Convenzione;
5. dichiara che non vi stata violazione dellarticolo 9 della Convenzione;
6. dichiara che non vi stata violazione dellarticolo 14 della Convenzione.



































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4. ORDINAMENTI GIURIDICI E DIVERSI ORIENTAMENTI

Alcune precisazioni
Per chiarezza espositiva e completezza nei contenuti, opportuno in via preliminare enunciare i concetti che
stanno alla base dellargomento trattato.
Eutanasia, letteralmente buona morte (dal greco , composta da -, bene e , morte) - il
procurare intenzionalmente, e nel suo interesse, la morte di un individuo la cui qualit della vita sia
permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica.
Leutanasia si dice attiva, quando la morte viene determinata o provocata attraverso luso di sostanze tossiche
o una eccessiva dose di farmaci; passiva, quando la morte deriva dallinterruzione o lomissione di un
trattamento sanitario indispensabile alla sopravvivenza dellindividuo.
Unaltra distinzione si pu fare tra eutanasia volontaria, quando richiesta espressamente dal soggetto o
attraverso il testamento biologico, e involontaria, quando consegue alla volont di un terzo delegato o comunque
nel caso di incapacit di intendere e volere del soggetto.
Il suicidio assistito, preso ad oggetto in questa relazione, un caso particolare di eutanasia attiva volontaria, in
cui ad un soggetto capace di intendere e volere vengono forniti da un terzo i mezzi per poter porre in essere il
proprio intento suicida, non potendovi provvedere autonomamente.
Concetto opposto alleutanasia quello di distanasia (accanimento terapeutico), quando si sottopone un
soggetto ad un trattamento sanitario particolarmente invasivo, il quale non produce sostanziali effetti, non
portando alla guarigione, allallungamento della vita o comunque ad un miglioramento della condizione
generale del soggetto.



Leutanasia nel mondo
Paesi Bassi: il primo Stato ad intervenire sullargomento, depenalizzando nel 1994 leutanasia. Nel
2001, viene approvata dal Senato la legge sulleutanasia e sul suicidio assistito, che ufficializza
limpunit, di fatto goduta dai medici, per la somministrazione di dosi letali di farmaci o per
linterruzione delle cure ai pazienti gravi o morenti. La legge prevede il rispetto di determinate
condizioni, tra cui:
- che lintervento sia eseguito da un medico;
- che vi sia una ripetuta richiesta da parte del paziente;
- che il paziente sia capace di intendere e volere e abbia ponderato la propria decisione;
- che il medico sia persuaso che la sofferenza del soggetto sia irrimediabile e non lenibile;
- che il medico abbia dato adeguata informazione sulle modalit di intervento e le relative
conseguenze;
- che ci sia la visita di un altro medico che accerti gli elementi sopra elencati.
Sono previste alcune precisazioni riguardo ai minori, i quali possono determinarsi alleutanasia solo se
maggiori dei 16 anni (se si tratta di soggetti tra i 12 e i 16 anni o disabili mentali, serve il consenso scritto
del genitore o del tutore). Vi poi il riconoscimento del testamento biologico con cui ciascun
maggiorenne maturo pu disporre anticipatamente la propria volont in tema di eutanasia.
La pratica delleutanasia stata, quindi, sottratta al controllo giurisdizionale, diventando come una
qualsiasi forma di terapia.

Belgio: nel 2002 anche il Belgio, su esempio dei Paesi Bassi, ha approvato una legge a favore
delleutanasia volontaria, per cui non sono punibili i medici che la praticano su soggetti capaci di
intendere e volere che la richiedano liberamente, consapevolmente e ripetutamente e siano affetti da una
malattia grave e incurabile.
Primo tratto distintivo rispetto alla legislazione olandese sta nel fatto che le sofferenze, che giustificano
il ricorso alleutanasia, possono essere anche psichiche.
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Nel caso di incoscienza del paziente, esiste la possibilit di predisporre dei documenti scritti che
dichiarino la volont anticipata per un periodo quinquennale, il cosiddetto testamento biologico.
Il medico tenuto ad informare sulle cure palliative disponibili, salvo poi attenersi alla volont del
paziente, redigendo in seguito un rapporto da sottoporre ad una apposita commissione che ne valuti la
correttezza procedurale.
Dal 2005, a seguito di una delibera del Parlamento, disponibile presso le farmacie un kit per
leutanasia del costo di 60, contenente 3 dosi di barbiturici (bromuro), 1 paralizzante e 2 dosi di
sonnifero. Tale provvedimento stato preso a causa delle richieste dei medici di base, che si erano
lamentati per la difficolt di accesso alle sostanze letali, fino ad allora presenti esclusivamente nelle
farmacie ospedaliere. Per accedere a tale kit, sufficiente una prescrizione dettagliata simile a quella
necessaria per richiedere sostanze stupefacenti.

Australia: molto particolare la situazione australiana, in cui in corso un acceso dibattito sulla
questione, iniziato nel 1995, anno in cui nello stato di Vittoria vengono approvati il Living Will,
testamento biologico sul modello Usa, e listituzione di un mandatario avente il compito di darne
esecuzione. Seguono tale legislazione anche gli stati del Nuovo Galles e del Queensland.
Nello stesso anno lAssemblea Legislativa degli Stati del Nord (Northen Territory Legislative
Assembly) ha approvato una legge sui diritti del malato terminale, Rights of the terminally ill act. In
virt di tale legge, si sono verificati 4 casi di suicidio assistito, che hanno scatenato intese polemiche,
tanto che nel 1997 la legge stata abrogata. Essa consentiva ai malati terminali di richiedere lassistenza
di un medico qualificato per porre in essere il suicidio assistito, in presenza di alcune condizioni:
- maggiore et del paziente;
- malattia incurabile;
- nessuna speranza di trovare cure;
- trattamenti possibili unicamente volti ad alleviare il dolore;
- lasciare trascorrere un lasso di tempo per consentire un eventuale ripensamento;
- certificazione da parte di 3 persone (medico curante, medico esterno e psichiatra).
La disciplina australiana si differenziava da quella olandese sostanzialmente poich riconosceva un
diritto alla morte, considerando leutanasia un vero e proprio trattamento medico a tutela del paziente, tale
per cui cera la possibilit per altre persone di richiedere leutanasia in rappresentanza del malato
incapace, con la presenza di testimoni. Inoltre, non erano previste sanzioni per i medici che avessero
praticato leutanasia in mancanza dei requisiti richiesti.

Francia: viene approvata nel 2005 a larga maggioranza trasversale in Parlamento una legge sui diritti del
malato e la fine della vita (legge n2005-370), che modifica profondamente la parte riguardante le cure al
malato del codice di sanit pubblica (Code de la Sant Pubblique). Tale legge, che disciplina leutanasia
passiva e il testamento di vita, avversando laccanimento terapeutico, prevede tra laltro che:
- si possano sospendere o non iniziare atti di prevenzione, indagine o cura ritenuti inutili,
sproporzionati o che abbiano il solo effetto di mantenere artificialmente in vita il paziente e,
qualora questo sia incapace, la decisione in merito spetta al medico curante in accordo con
leventuale equipe medica, a seguito del parere di almeno un medico esterno in qualit di
consulente;
- qualora il medico constati la presenza di un trattamento antidolorifico che consenta di alleviare la
sofferenza al malato, vi pu ricorrere anche qualora tale trattamento possa comportare una morte
anticipata, purch ne siano informati il malato o il suo fiduciario e la famiglia o un parente;
- ogni maggiorenne pu dare direttive anticipate, per il caso in cui diventi incapace, relative alla
propria eventuale volont di limitare o cessare i trattamenti medici, revocabili o modificabili
parzialmente o totalmente, con scadenza triennale (in caso di mancato rinnovo, le disposizioni
valgono quali indicazioni, ma non sono vincolanti per il medico);
- ogni maggiorenne pu nominare un fiduciario che esprima la propria volont nel caso in cui diventi
incapace;
11

- colui che desideri la prosecuzione delle terapie, anche nel caso in cui si trovasse in una situazione
di incapacit di intendere e volere, deve dichiararlo anticipatamente per iscritto.

Germania: la posizione risulta poco chiara, dal momento che manca una legislazione specifica
sullargomento. Lordinamento tedesco non punisce listigazione al suicidio, purch latto ultimo che
cagiona la morte sia compiuto dal suicida stesso. Il suicidio assistito e leutanasia passiva, invece,
vengono giudicati in relazione allomissione di soccorso (soprattutto quando il soggetto che vuole morire
rifiuta ogni tipo di aiuto) e al maltrattamento di persone tutelate; tuttavia le leggi sono interpretate
diversamente in ciascun caso concreto.

Svizzera: larticolo 115 del codice penale punisce listigazione e laiuto al suicidio posti in essere per
motivi egoistici; ne risulta, quindi, la non punibilit del cosiddetto omicidio per compassione o di
qualunque condotta che aiuti il soggetto a morire su esplicita richiesta di questultimo. Nellambito di
questa legge operano alcune organizzazioni (ad esempio Exit e Dignitas), che forniscono aiuto a chi
voglia porre fine alla propria esistenza.
Recentemente il governo di Berna ha proposto la modifica della propria legislazione in merito
allassistenza organizzata al suicidio, prospettando due possibili orientamenti: il primo che ne limiti
lapplicazione e il secondo che lo escluda del tutto, ritenendo che le organizzazioni che operano in tale
settore si siano spinte oltre i limiti consentiti dalla legge; si ritiene quindi necessario prendere
provvedimenti, affinch tale pratica non si risolva in una attivit a scopo di lucro, limitando in ogni caso il
ricorso al suicidio assistito ai soli soggetti in fin di vita e non ai malati cronici e psichici.
Nella prima proposta, per poter accedere al suicidio assistito, si richiede:
- che il soggetto esprima liberamente la propria volont;
- che la propria decisione derivi da una lunga riflessione;
- che vi siano due perizie di due medici distinti e indipendenti dallorganizzazione di aiuto al
suicidio: la prima che accerti la capacit di intendere e volere e la seconda che accerti che il
soggetto sia affetto da malattia fisica, incurabile e con prognosi di morte imminente
(precedentemente era sufficiente una grave sofferenza fisica o psichica);
- che lassistente al suicidio presenti tutte le alternative al paziente.
Nella seconda proposta, si prevede il divieto totale dellassistenza organizzata al suicidio, ritenendosi a
priori che chi agisce allinterno di una organizzazione non possa agire per fini altruistici, n creare un
legame sufficientemente stretto con il soggetto.
Tali proposte derivano anche dalla volont di porre un freno al cosiddetto turismo del suicidio,
fenomeno in forte espansione, visto con sfavore anche dal governo di Zurigo, tanto che un parlamentare
ha avanzato lipotesi di istituire una tassa a carico dello straniero che si rechi nel cantone per ottenere
laiuto al suicidio.

Canada: nellaprile 2010 stata respinta a larga maggioranza (228 No contro 59 Si) per la terza volta la
proposta di legge che prevedeva la non perseguibilit di quei medici che avessero praticato leutanasia
su soggetti maggiorenni, in stadio terminale o affetti da dolore fisico o psicologico, i quali ne avessero
fatto richiesta scritta.

Stati Uniti dAmerica: il caso di riferimento la sentenza Cruzan vs Director, Missouri Dept. of Health
del 1990, in cui la Corte Suprema statunitense si esprime sul tema, affermando due principi guida. Nel
primo riconosce ad una persona capace il diritto di rifiutare lidratazione e la nutrizione artificiale;
nellaltro rileva lassenza di un diritto o divieto costituzionale a prevedere, in ipotesi definite, le
modalit di cessazione di esistenza di un soggetto consenziente, rimettendo quindi la questione ai
legislatori dei singoli stati. Fino ad ora solo lo stato dellOregon ha posto in essere una disciplina
sulleutanasia.


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La legislazione italiana
LItalia manca di una normativa specifica in materia di eutanasia. Vi sono tuttavia una serie di norme, a vari
livelli, che possono dare delle indicazioni per una futura disciplina. Procedendo con ordine, si pu innanzitutto
richiamare larticolo 2 della Costituzione:

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalit, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidariet politica, economica e sociale.

Questo articolo enuncia la tutela dei diritti inviolabili delluomo, previsti dalla Costituzione, la quale per non fa
alcun esplicito riferimento al bene vita. Tale bene si pu ricavare solamente in via interpretativa e in particolare
facendo riferimento al disposto dellarticolo 32, comma 1:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivit,
e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Lordinamento italiano, nel tutelare la salute dellindividuo, implicitamente protegge quello che ne il diritto
presupposto: il bene vita. Il fatto che le cure siano garantite a chiunque (con particolare riguardo a coloro che
non potrebbero permettersele) indica che chiunque ha diritto di pretendere la protezione della propria vita, ossia
un vero e proprio diritto alla vita.
Tale impostazione ancora pi evidente nel codice penale, laddove sono disciplinati i delitti contro la vita e
lincolumit individuale, al titolo XII capo I del Libro II. Larticolo fondamentale il 575 cp, sullomicidio:

Art. 575 Omicidio.
Chiunque cagiona la morte di un uomo punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno

Si pu, quindi, notare come venga visto con sfavore dallordinamento ogni tipo di condotta volta a ledere il bene
vita altrui, vietando qualsiasi interferenza esterna al suo godimento. Questo ancora pi evidente allarticolo
579 cp:

Art. 579 Omicidio del consenziente.
Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, punito con la reclusione da sei a
quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto commesso:
1. contro una persona minore degli anni diciotto;
2. contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per
un'altra infermit o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
3. contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o
suggestione, ovvero carpito con inganno.

Da tale disposto si ricava che neppure il consenso dellavente diritto in grado di fungere da scriminante
riguardo alla condotta dellomicida: infatti, il consenso non comporta il richiamo allarticolo 50 cp come causa
di giustificazione.

Art 50 Consenso dellavente diritto
Non punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che pu
validamente disporne.

Si determina, invece, una vera e propria fattispecie di reato meno grave rispetto allart. 575 cp (prevedendo una
pena inferiore); ogni aggressione al bene vita altrui, pertanto, viene sanzionata indipendentemente dal consenso
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o meno dellavente diritto, poich ad essere vista con sfavore non laggressione in s al bene vita, ma il fatto
che venga posta in essere da un terzo. Tale tutela talmente forte da prevedere addirittura la perseguibilit
dellistigazione e dellaiuto al suicidio:

Art. 580 Istigazione o aiuto al suicidio.
Chiunque determina altrui al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in
qualsiasi modo l'esecuzione, punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni.
Se il suicidio non avviene, punito con la reclusione da uno a cinque anni sempre che dal tentativo di
suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni
indicate nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta minore degli
anni quattordici o comunque priva della capacit d'intendere o di volere, si applicano le
disposizioni relative all'omicidio.

In questo reato, la condotta del terzo si configura come un apporto morale o materiale, che non comporta
direttamente la morte del soggetto secondo il nesso eziologico di causa ed effetto, ma che, spingendo il soggetto
stesso al suicidio, comunque vista con sfavore dallordinamento penale.

opportuno fare un richiamo anche al codice deontologico medico, che, pur non avendo valore legale, regola
la condotta del medico nellesercizio della propria professione e comporta sanzioni disciplinari nel caso in cui vi
sia una violazione. Di particolare interesse sono gli articoli 3 e 17:

Art. 3 Doveri del medico
Dovere del medico la tutela della vita, della salute fisica e psichica dellUomo e il sollievo dalla
sofferenza nel rispetto della libert e della dignit della persona umana, senza distinzioni di et, di
sesso, di etnia, di religione, di nazionalit, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace e in
tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. La salute
intesa nellaccezione pi ampia del termine, come condizione cio di benessere fisico e psichico della
persona.

Art. 17 Eutanasia
Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare n favorire trattamenti finalizzati a
provocarne la morte.

Si pu notare come tali articoli, conformemente alle disposizioni sopra riportate, tutelino il bene vita come bene
primario e, in particolare, larticolo 17 vieta al medico di porre in essere ogni tipo di condotta finalizzata
alleutanasia.

per interessante osservare che, per almeno tre aspetti, la situazione italiana si presenti come contraddittoria:
anzitutto, la Costituzione, al comma secondo dellarticolo 32 citato, sembra dare una notevole importanza al
principio di autodeterminazione, tanto da considerarlo come un limite alla vita, legittimandone la disposizione
da parte del titolare.

Nessuno pu essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge. La legge non pu in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Volendo applicare questa disposizione fino in fondo, se ne potrebbe ricavare che chiunque pu rifiutare le
cure, anche nel caso in cui da tale rifiuto ne derivasse la morte per il soggetto. In questo senso, il principio di
autodeterminazione incide sul bene vita, poich, sia pure indirettamente, tale bene risulta disponibile e chiunque
pu cos determinarsi alla morte.
Anche nel codice penale il bene vita si pu ritenere disponibile per il soggetto titolare, dal momento che non
costituisce fattispecie di reato il suicidio, neppure come mero tentativo.
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La stessa contraddizione si pu ricavare anche nel codice deontologico medico che, ribaltando quanto detto in
relazione agli articoli 3 e 17, sembra dare una notevole importanza alla volont del paziente allarticolo 38.

Art. 38 Autonomia del cittadino e direttive anticipate
Il medico deve astenersi, nellambito dellautonomia e indipendenza che caratterizza la
professione, alla volont liberamente espressa della persona di curarsi e deve agire nel rispetto della
dignit, della libert, e autonomia della stessa. Il medico, compatibilmente con let, con la capacit
di comprensione e con la maturit del soggetto, ha lobbligo di dare adeguate informazioni al minore
e di tenere conto della sua volont. In caso di divergenze insanabili rispetto alle richieste del legale
rappresentante deve segnalare il caso allautorit giudiziaria; analogamente deve comportarsi di
fronte ad un maggiorenne infermo di mente. Il medico, se il paziente non in grado di esprimere la
propria volont, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo
stesso in modo certo e documentato.

In ogni caso, per quanto riguarda la legislazione italiana vigente, si pu ritenere che:
1. leutanasia attiva volontaria punita a titolo di omicidio del consenziente ex art. 579 cp;
2. leutanasia involontaria, sia essa attiva o passiva, punita a titolo di omicidio volontario ex art. 575 cp;
3. il suicidio assistito punito a titolo di aiuto al suicidio ex art. 580 cp.

Tuttavia, pu trovare spazio, per tutte e tre le ipotesi sopra menzionate, lapplicabilit dellarticolo 62 cp sulle
attenuanti generiche, con particolare riferimento al punto 1 del comma 1, ovvero lavere agito per motivi di
particolare valore morale o sociale.



I diversi punti di vista
Chiese Cristiana Cattolica e Ortodossa
La posizione della Chiesa Cattolica sulleutanasia intransigente: il bene vita indisponibile, in quanto dono
di Dio, pertanto luomo non pu arrogarsi il diritto di uccidersi. Tale concezione ben esposta in un brano
dellEnciclica Evangelium vitae sul valore e linviolabilit della vita umana, di Papa Giovanni Paolo II (25
marzo 1995, n66):

Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dellesistenza di chi soffre, leutanasia
deve dirsi una falsa piet, anzi una preoccupante perversione di essa: la vera compassione,
infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si pu sopportare la
sofferenza. [] La scelta delleutanasia diventa pi grave quando si configura come un omicidio che
gli altri praticano su una persona che non lha richiesta in nessun modo e che non ha mai dato ad
essa alcun consenso. Si raggiunge poi il colmo dellarbitrio e dellingiustizia quando alcuni, medici o
legislatori, si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. [] Cos la vita del
pi debole messa nelle mani del pi forte; nella societ si perde il senso della giustizia ed minata
alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le persone.

Da un altro brano:
Leutanasia va condannata perch implica luccisione anticipata, sia pur pietosa, del morente:
mentre la umanizzazione della morte va promossa con un insieme di mezzi e di attenzioni.

Secondo tale concezione leutanasia la fuga dal dolore e dallagonia. Si dovrebbe riflettere sul fatto che la
richiesta di legalizzare leutanasia provenga soprattutto dai paesi della societ industriale (Manuale di Bioetica,
Sgreccia). Risulta pertanto che suicidio assistito ed eutanasia sono moralmente inaccettabili; tuttavia la Chiesa
Cattolica si pone in contrasto con laccanimento terapeutico perch, come leutanasia, pretende di dominare
tecnicamente la morte. Una soluzione proposta la medicina palliativa:
15

La medicina palliativa una risposta concreta ai bisogni del malato inguaribile e lo aiuta a
superare lalternativa tra accanimento terapeutico ed eutanasia.

La Chiesa Ortodossa si colloca in una posizione simile a quella cattolica, equiparando eutanasia e suicidio
assistito allomicidio, ritenendoli, quindi, entrambi peccati mortali.


Chiesa Valdese
Per quanto riguarda il Protestantesimo, non vi una condanna formale del suicidio assistito, mentre riguardo
alleutanasia vi sono varie posizioni allinterno della stessa confessione. Fra queste vi quella della Chiesa
Valdese, la quale ha espresso una posizione estremamente liberale, attraverso un documento approvato nel
1998, da un apposito gruppo di lavoro. In questo documento si legge:
solo lessere umano pienamente cosciente in grado di decidere se la propria vita ancora degna di
essere vissuta. Donne e uomini sono responsabili delle loro vite e delle loro scelte e nessuno - medico,
istituzione religiosa o societ - pu in ultima analisi imporre lobbedienza a valori non condivisi

di conseguenza:
leutanasia e il suicidio assistito, praticati in un contesto di precise regole e di controlli validi, ma
non vessatori, nei confronti tanto del paziente quanto del medico, costituiscono unespressione di
libert dellindividuo nel momento in cui egli giudica che la medicina non sia pi in grado di
migliorare il suo stato e che lesistenza, ulteriormente prolungata, sarebbe intollerabile.

Per i Valdesi la condizione umana di per s volta ad un naturale degrado. Il ruolo della medicina, considerata
anchessa un dono di Dio, lo strumento con cui luomo pu rendere maggiormente sopportabile e dignitoso
tale degrado. A tal fine sono ammesse anche le cure palliative, mentre laccanimento terapeutico visto in modo
particolarmente negativo:
quando la malattia influisce sulla dignit della persona, non accettabile che una legge possa
costringere ad allungare la vita.

Dal momento che le idee riguardo alleutanasia e al suicidio assistito non sono condivise da tutti, sarebbe
auspicabile la creazione di uno Stato laico che garantisca libert di scelta a ciascuno in relazione alla propria vita
e al degno morire secondo la propria coscienza. Questo il motivo per cui nel documento valdese, sopra
riportato, si chiede che in Italia si inizi un cammino legislativo, volto a legalizzare leutanasia.


Ebraismo
Per lebraismo leutanasia va condannata, godendo la persona di grande rispetto e dignit, sia in vita che con
la morte. Accelerare la morte di chi si trova in uno stadio terminale della malattia, o che pi in generale sta
soffrendo a tal punto da considerare la propria vita invivibile, considerato un affronto allamore di Dio per
luomo. Si ritiene praticabile la sola eutanasia indiretta ed consentito luso di farmaci antidolorifici, anche
qualora la loro somministrazione possa accelerare la morte del paziente, purch non vengano somministrati
proprio a tale scopo.


Islam
La posizione islamica riguardo leutanasia ed il suicidio assistito molto chiara: tali pratiche sono da
condannare poich, come dice il Corano:
Ognuno muore, nel momento fissato da Dio, col permesso di Dio
E Dio che d la vita e la morte

La vita umana, infatti, considerata sacra, un dono di Dio:
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Chiunque uccida una persona come se avesse ucciso tutta lumanit, e chiunque salvi una
persona, come se avesse salvato tutta lumanit
Non prendere alcuna vita che Dio ha reso sacra, tranne che per giustizia

La possibilit, quindi, di prendere una vita umana non viene esclusa, ma regolata da condizioni molto
stringenti, elencate nella Sharia. Il diritto al suicidio, invece, totalmente escluso, poich il corpo stato creato
da Dio, e a Lui appartiene: per lIslam, infatti, idolatria e suicidio consapevolmente voluto costituiscono peccati
gravissimi.
Ab Hamid l Ghazal, eminente filosofo islamico, disse che la malattia una delle forme di esperienza
tramite le quali gli uomini giungono alla consapevolezza di Dio. Ammettere leutanasia avrebbe, quindi,
conseguenze molto gravi per il malato, dal punto di vista religioso.
La cura dei deboli assume, cos, una valenza moto alta e giustifica i sacrifici di tempo, denaro ed energie; sar
compito della scienza fare in modo di limitare al massimo le sofferenze, senza compromettere la dignit del
malato.
Per la medicina islamica esistono pressanti doveri di mantenimento dellidratazione, della nutrizione, della
cura e della limitazione del dolore, purch non si trasformino in interventi inutili, invasivi e dolorosi.
Nel 1985, in Kuwait, in occasione della Prima Conferenza Internazionale di Medicina Islamica, venne
approvato il Codice Islamico di Etica Medica; esso prevede, tra laltro, che:
Leutanasia, come il suicidio, non ha supporti se non in una visione atea della vita,la quale
ritiene che la vita sulla terra sia seguita dal nulla. LIslam rifiuta la pretesa di poter sopprimere un
essere umano anche nel caso di una malattia incurabile particolarmente dolorosa, poich non vi
dolore umano che non possa essere trattato dalla medicina palliativa o dalla neurochirurgia

E ancora:
Nella sua difesa della vita, comunque, il medico dovr capire quali sono i limiti e non
trasgredirli. Se scientificamente accertato che le funzioni vitali non possano essere restaurate, in
quel caso inutile mantenere diligentemente il paziente in uno stato vegetativo grazie alluso di
macchinari o attraverso libernazione o altri metodi artificiali. Il medico mira a mantenere il
processo della vita, non quello della morte. In ogni caso, il medico non prender alcuna misura
atta a mettere fine volontariamente alla vita del paziente

Priorit del medico islamico, secondo i detti di Maometto, cercare una cura alla malattia:
Cercate la cura, con laiuto di Dio, poich, per ogni malattia, Dio ha dato anche una cura
Il vostro corpo ha dei diritti su di voi


Induismo
Linduismo tiene molto in considerazione la vita umana e per tale motivo non in via generale favorevole
alleutanasia, ma daltra parte lascia grande libert di coscienza agli individui. Il suicidio, invece, fortemente
avversato, poich impedisce la liberazione finale, aumentando il Karma negativo.


Buddismo
Per i buddisti la vita considerata inviolabile e, poich ciascuno connesso a tutti gli altri attraverso le vite
precedenti, rispettare la vita considerato un obbligo morale: violare la vita equivale a rompere il primo precetto
delletica buddista (e per i monaci pu comportare lespulsione dallordine di appartenenza).
Pur essendoci rispetto per lautonomia individuale, aiutare qualcuno a morire, su sua richiesta, equivale a
commettere un omicidio; distruggere una vita costituisce sempre violazione del principio della vita: per tali
motivi proibito lomicidio, tanto quanto laiuto al suicidio.
Il processo della morte ha un enorme importanza, costituendo lanello essenziale tra una vita e quella
successiva: la morte lelemento costitutivo del ciclo Samsarico e devessere accettata in quanto tale; essa
non la fine e di conseguenza la sofferenza non termina con essa: uccidersi, quindi, non ha senso.
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I riti e le preghiere hanno la funzione di liberare dal dolore psichico, mentre quello fisico devessere curato
dalla medicina, pur nel rispetto della coscienza del paziente e in ogni caso evitando di ricorrere allaccanimento
terapeutico (vietato espressamente).
Alleutanasia sarebbero preferibili le cure palliative, la somministrazione delle quali, tuttavia, andrebbe
interrotta nellimminenza della morte, al fine di lasciare intatta la lucidit del soggetto per praticare nel modo
migliore il trasferimento di coscienza.
In una sua dichiarazione, un medico specialista, divenuto poi monaco buddista, Ven. Mettananda, disse in
riferimento ai malati terminali:
[] (ndr. In essi) la coscienza non ancora svanita, ma occupa una dimensione interna. Anche
se i pazienti in stato comatoso sono senza speranza in riguardo al loro stato fisico, la mente
cosciente che si rintanata allinterno, potrebbe ancora essere in funzione, preparando il paziente
alla morte. Questo processo di coltivazione mentale pu continuare finch il paziente continua a
respirare. Il lavoro della coscienza ritirata render la destinazione del dopo morte la migliore
possibile.


UAAR
LUnione degli Atei e Agnostici Razionalisti, come si pu ricavare da un intervento del segretario
dellassociazione (Giorgio Villella) al Convegno Internazionale Diritto a vivere, diritto a morire (Roma, 23
luglio 2002), afferma che leutanasia e il suicidio assistito debbano essere depenalizzati e, di conseguenza,
dichiarate legali in uno Stato laico.
Secondo questa presa di posizione, leutanasia, a differenza del suicidio, che per altro non sanzionato
dallordinamento penale,
riguarda persone che non hanno speranza di poter tornare ad una vita sopportabile per loro, ma
che hanno davanti solo una lenta e dolorosa agonia e non c alcun argomento ragionevole che si
possa usare per opporsi; si pu solo fare opposizione per motivi fideistici, che per valgono per i
singoli fedeli, non per lo Stato e comunque chi si oppone per motivi fideistici come non obbligato
ad avvalersi per s della eutanasia, cos non pu pretendere di vietarla agli altri.

Il segretario aggiunge che la contrariet alleutanasia e al suicidio assistito di alcune religioni non deve essere
motivo di impedimento, per coloro che non si conformano in tali tradizioni e principi, a ricorrere a queste
pratiche. Sarebbe auspicabile una libera scelta da parte dellindividuo, senza sindacare sulladesione o meno
rispetto ai dettami religiosi di questo o quellaltro credo:
sono daccordo che bisogna essere rigorosi nel fare leggi che regolano i rapporti sociali, ma nel
mio rapporto con me stesso, con la mia vita, come sono libero di suicidarmi, devo essere libero di
avere un aiuto, se mi necessario, da parte di chi si offre di darmelo. Qui non sono coinvolti i
cattolici, non sono coinvolti i fedeli di altre religioni: qui sono io, solo di fronte al problema della
mia morte, paralizzato in un letto, tra atroci dolori che voglio accorciare la mia inutile sofferenza.
Non giusto che le religioni mi impediscano questo: come io riconosco ai fedeli di tutte le religioni
il diritto di conformarsi alle loro tradizioni e ai loro princip, loro devono riconoscere a me,
cittadino italiano, uno dei dieci milioni di cittadini italiani che la pensa cos, di potermi
conformare alla mia morale, alle mie idee.

Come ultima argomentazione il segretario afferma che, se lItalia uno stato laico, deve riconoscere la
necessit di depenalizzare leutanasia, per rispondere alla richiesta di coloro che la richiedano:
Che siano sofferenze inutili e insopportabili lo pu decidere solo chi le prova; nessuno Stato pu
valutare al suo posto se lo siano e decidere per lui in conseguenza.

Consulta di Bioetica Onlus
La consulta di Bioetica unassociazione impegnata a promuovere lo sviluppo del dibattito laico e razionale
sui problemi etici nel campo della medicina e delle scienze biologiche, in unottica pluralistica e di rispetto delle
diverse concezioni di valore.
Lassociazione ha da tempo istituito una apposita Commissione di studio in tema di eutanasia, arrivando alla
conclusione che nella societ contemporanea sia in crescita la richiesta di suddetti trattamenti, ma che parte
delle richieste potrebbero essere evitate con un adeguato ricorso alla medicina palliativa.
18

Si riscontra, per, che in Italia non viene dato adeguato rilievo a tale tipo di medicina e che, anzi,
necessiterebbe di un maggiore impulso sia sul piano culturale, sia soprattutto su quello istituzionale, nellambito
della medicina tradizionale.
La commissione afferma di non essere sicura che tale tipo di intervento, anche quando correttamente
effettuato, riesca a gestire tutte le situazioni di sofferenza insopportabile dovute a malattie inguaribili; pertanto,
in queste circostanze, pu presentarsi il problema delleutanasia e della sua liceit morale.
Da un documento approvato dallAssemblea Ordinaria dei Soci (30 Gennaio 1993), si pu leggere quanto segue:
Riteniamo quindi che il diritto di morire con dignit e di aiutare a morire con dignit debba
venire riconosciuto e rispettato dalla societ pluralista, in modo analogo allunanime
riconoscimento espresso nei confronti del diritto di vivere. Riteniamo che un medico, il quale in
coscienza decida di accettare una richiesta di eutanasia nei termini sopra definiti, compia un atto
moralmente lecito, in quanto il suo comportamento rispetta sia il principio di autodeterminazione
del paziente, sia il principio di beneficenza e di tutela della vita degna di essere vissuta. Crediamo
inoltre che leventuale rifiuto da parte del medico di acconsentire alla richiesta sia legittimo.







































19

5. DISCUSSIONE
Come si potuto constatare da quanto esposto fin dora, le posizioni in tema di eutanasia e, per quanto a noi
pi interessa riguardo al suicidio assistito (eutanasia volontaria attiva), sono molteplici e molto articolate.
significativo evidenziare che entrambe le posizioni (favorevoli e contrarie) sono presenti allinterno delle
compagini religiose (es: valdesi a favore; cattolici contro): ci dimostra che non pu fungere da discrimine
ladesione ad unetica religiosa, piuttosto che ad una laica; ci tanto pi evidente se si considera che, anche
allinterno degli ambienti laici, vi sono soggetti contrari alle pratiche in argomento, per motivi prettamente
giuridico-sociali.
Lo scopo della discussione che seguir sar quello di individuare quali siano i punti forti ed i punti deboli delle
varie posizioni, in una ricerca critica delle opinioni che, per chi scrive, possano sembrare maggiormente logiche
e coerenti.
Anzitutto, si ricorda che il suicidio assistito consiste nel prestare aiuto ad un soggetto, affetto da una malattia
incurabile e ormai allo stadio terminale, affinch possa porre fine alla propria vita, non essendo in grado di
provvedervi autonomamente. Da tale definizione si possono gi individuare alcuni degli elementi che verranno
di seguito presi in considerazione: esiste un diritto alla vita? Se si, qual la sua ampiezza e quali sono (se vi
sono) i suoi limiti? Che ruolo hanno i diritti alla privacy e allautodeterminazione in relazione al suicidio
assistito? Quali rischi comporta vietare o ammettere il suicidio assistito? Come deve strutturarsi il consenso di
un soggetto per essere considerato valido? Pu lo Stato andare contro un consenso validamente espresso e, se si,
per quali motivi ed entro quali limiti? I quesiti sono molteplici ed insidiosi e dare loro una risposta obiettiva non
affatto semplice.

Il punto di partenza per tutte le opinioni, su cui non sembra esserci alcun tipo di contrasto, consiste
nellaffermare che la vita sia un diritto di cui ciascuno pu godere. altrettanto condiviso che si tratti di un
diritto naturale, cio non creato, ma riconosciuto dallordinamento, che spetta a chiunque senza distinzioni, ed
qualificato come assoluto, poich consente di escludere qualunque altro soggetto nellesercizio del suo
godimento.
Non altrettanto condivisa, invece, lampiezza di tale diritto, ma proprio questo uno dei principali problemi
su cui verter la discussione. Chi sostiene che lordinamento debba prevedere delle leggi a favore delleutanasia
volontaria appoggia la concezione che la morte sia parte integrante del diritto alla vita, costituendone
semplicemente un limite temporale, nonch unico atto di disposizione della stessa: dal momento che la vita
fondamento e presupposto a qualunque altro diritto, ci che durante il suo corso viene compiuto andr
inevitabilmente ad incidere su uno dei diritti riconosciuti o creati dallordinamento; lunico atto riguardante la
vita, che non vada ad incidere, se non indirettamente, su un qualsiasi altro diritto, la rinuncia alla vita stessa. Il
diritto alla vita, quindi, si sostanzierebbe nellalternativa tra il vivere e il cessare di vivere. Tale tesi si pone
di conseguenza in contrasto con la sentenza della Corte Europea dei Diritti dellUomo, esaminata in apertura di
questa trattazione.
In uno stato, che si definisca democratico e liberale, non pu non trovare accoglimento il principio di
autodeterminazione, secondo il quale ogni individuo ha la possibilit di usufruire a proprio piacimento dei diritti
che gli sono riconosciuti e concessi; la decisione a tal proposito deve essere libera, tanto pi con riguardo a quei
diritti cosiddetti personalissimi. Applicando questo principio al diritto alla vita, si pu concludere che ogni
soggetto possa decidere di morire, senza che vi siano interferenze esterne.
A tale argomentazione si pu obiettare che diritto alla vita e diritto alla morte siano due diritti distinti: infatti,
da sempre in tutti gli ordinamenti presente una forte tutela della vita in quanto tale, mentre la morte vista
come negazione della vita stessa, ponendosi, quindi, in antitesi ad essa. Da un punto di vista logico, ci si pu
chiedere se si possa invocare un diritto allo scopo di poter pretenderne la sua soppressione. Una questione di
questo tipo si era gi posta in relazione al diritto alla libert personale: Posso in nome della libert personale,
decidere di essere schiavo? la contraddizione in termini appare evidente, perch garantire la libert significa
tutelare i soggetti dalla schiavit, quindi non si pu sfruttare tale garanzia per pretendere il riconoscimento di ci
che la farebbe venir meno. incontestabile il fatto che ormai gran parte degli stati abbiano risolto la questione
abolendo definitivamente la schiavit. Ora la stessa questione si ripropone in relazione al pi importante diritto
alla vita: Posso in nome del diritto alla vita, rinunciare ad essa? risulterebbe strano e poco coerente se
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lordinamento risolvesse la questione secondo una logica diversa dallesempio precedente, soprattutto se si
considera che il diritto alla vita pi importante del diritto alla libert personale e di ogni altro diritto, essendo il
presupposto della loro esistenza.

possibile ricavare da quanto esposto un secondo elemento di conflitto: il diritto alla vita un diritto
disponibile o indisponibile? Per i sostenitori del suicidio assistito se viene riconosciuto un diritto, deve essere
lasciata al soggetto la possibilit di compiere ogni atto di disposizione, fino alla soppressione stessa e fintanto
che non sia lesivo di beni altrui: lintenzione di porre fine alla propria vita, pertanto, rientra nellambito di
disponibilit della vita stessa, poich si tratta di un diritto personalissimo e in quanto tale rilevante solamente per
il soggetto titolare. Se si permette di tenere un comportamento, si lascia implicitamente anche la libert di non
tenerlo; se, invece, lo si vieta, si preclude a priori ogni possibilit di scelta. Detto ci, si pu affermare che solo
permettendo la soppressione della propria vita, la facolt di scelta rimane in capo ad ogni soggetto, in
conformit al principio di autodeterminazione.
Chi, invece, vorrebbe vietare il suicidio assistito fa notare che negli ordinamenti in generale vista con
sfavore ogni aggressione al bene vita, tanto pi se proviene da un terzo: infatti, distruggere tale bene, a
differenza di qualunque altro, non consente una possibilit di recupero; si tratta, cio, di una scelta definitiva
della quale sarebbe impossibile pentirsi. Per questo motivo, il diritto alla vita non pu essere disponibile,
soprattutto al fine di tutelare i soggetti pi deboli (es. incapaci di interedere e volere, minori). Entra qui in gioco
la cosiddetta teoria del piano inclinato, ovvero quella teoria secondo cui prendere una posizione specifica,
ancorch condivisibile, in relazione a determinati problemi etici, comporterebbe un concatenarsi di conseguenze
sfocianti in esiti aberranti o quanto meno in contrasto con qualsiasi senso di giustizia. Ammettendo, infatti, il
suicidio assistito, sarebbe agevole, sfruttando il principio di uguaglianza, affermare che godrebbero del diritto di
terminare la propria vita anche i soggetti incapaci di esprimere un valido consenso. Da ci deriverebbero due
possibilit, almeno inizialmente alternative, ma che finirebbero per diventare complementari: la necessit di
regolare il cosiddetto testamento biologico e la previsione di curatori speciali che operino la scelta in luogo del
soggetto, qualora questi non abbia provveduto (o non abbia potuto provvedere) a redigere un proprio
testamento.
A questo punto, risulta evidente che non pi il titolare del diritto alla vita a decidere quando chiedere la morte,
ma si finirebbe per ammettere una valutazione esterna oggettiva dei casi in cui una vita possa essere legalmente
soppressa: un esempio lo studio giuridico e medicale Lautorizzazione alleliminazione delle vite non pi
degne di essere vissute di Binding e Hoche del 1939, in base al quale il nazionalsocialismo tedesco inaugur
i campi di sterminio deportandovi soggetti di pura razza ariana che oggi definiremmo deboli e degni di tutela,
mentre allora vennero definiti un peso per la societ e un rischio per lumanit (handicappati, anziani, malati
mentali). Pi recentemente nel 2000, il dottore olandese Gunning (intervistato dallAvvenire) riport il seguente
episodio: Conosco un internista che curava una paziente con cancro ai polmoni. Arriva una crisi respiratoria,
che rende necessario il ricovero. La paziente si ribella: non voglio leutanasia, implora. Il medico lassicura,
laccompagna lui stesso in clinica, la sorveglia. Dopo 36 ore la paziente respira normalmente, le condizioni
generali sono migliorate. Il medico va a dormire. Il mattino dopo non trova pi la sua ammalata: un collega
glielaveva terminata perch mancavano letti liberi.
Chiunque pu essere daccordo che tale esito non in alcun modo giustificabile, n sostenibile, in una societ
democratica moderna che si ponga a tutela dei diritti delluomo. Appare sorprendentemente attuale ci che
dichiar nel 1806 il dottor Christopher Hufeland, medico di Goethe: Il medico non dovrebbe fare nientaltro
che preservare la vita. Se questa di valore o meno non linteressi. Una volta che permette a tali considerazioni
di influenzare le sue azioni, il dottore diventa luomo pi pericoloso dello Stato.

Emerge, di conseguenza, un terzo aspetto problematico: il rapporto tra suicidio assistito e valido consenso
espresso. Proprio per evitare il rischio sopra esposto, infatti, sarebbe opportuno che il legislatore prevedesse in
modo puntuale lambito di applicabilit di una ipotetica legge sul suicidio assistito, regolando ad esempio i casi
in cui il consenso venga validamente espresso. E qui sorge il problema: quando il consenso validamente
espresso? Le risposte a questa domanda sono molteplici. Anzitutto, il consenso ruota attorno ad alcune
caratteristiche, che possono essere presenti o meno, a seconda di una impostazione pi garantista o pi liberale.
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Negli ordinamenti si pu riscontrare la presenza dei seguenti requisiti: capacit di intendere e volere del
soggetto, ripetitivit della richiesta, attualit e personalit di un consenso libero ed informato.
Poich la discussione verte sul solo suicidio assistito, il requisito dellattualit non elemento di discussione,
essendo intrinseco alla fattispecie trattata. Con la stessa motivazione, anche il requisito della personalit
presupposto: infatti, appare evidente che nelleutanasia volontaria in generale ad avere rilievo il consenso del
malato stesso, il quale, in quanto cosciente, non necessit di rappresentanza legale o volontaria per manifestare
le proprie intenzioni.
Per quanto concerne lobbligo di informazione, il medico dovrebbe portare a conoscenza del soggetto tutte le
possibili terapie alternative che gli consentirebbero di alleviare le sofferenze. Tale requisito potrebbe non essere
ritenuto indispensabile per chi sostenesse una posizione estremamente liberale in cui ci che conta lesclusiva
volont del paziente, che non dovrebbe essere condizionato neppure dal medico: si tratta di una idea
evidentemente astratta e difficilmente condivisibile, ma, proprio al fine di evitare un possibile piano inclinato, si
ritiene opportuno prenderla in considerazione.
Strettamente connesso allobbligo di informazione, lelemento costitutivo pi importante per un valido
consenso la capacit di intendere e volere, ovvero la capacit di un soggetto di capire la propria posizione,
comprendere quali possano essere le soluzioni e i loro rischi ed avere una capacit razionale critica che consenta
di rielaborare queste informazioni per esprimere una valutazione propria. Tale requisito talmente importante
che se venisse a mancare farebbe ricadere la fattispecie allinterno delleutanasia involontaria. Le attuali
conoscenze mediche forniscono strumenti idonei a valutare la capacit intellettiva nel soggetto, pertanto una
ipotetica proposta di legge che volesse regolamentare il suicidio assistito, dovrebbe prevedere lobbligo da parte
della struttura sanitaria che ha in cura il soggetto di sottoporre lo stesso ad un attento esame che ne verifichi le
capacit intellettive. Chi a favore del suicidio assistito ritiene tale requisito indispensabile e sufficiente a
difendere i diritti della persona.
Come sopra esaminato, quasi tutti gli stati in cui la fattispecie disciplinata hanno introdotto lulteriore
requisito della ripetitivit, al fine di verificare che la volont non sia solamente effettiva, ma anche persistente:
secondo unottica pi garantista infatti, deve essere lasciato ad ogni individuo un ragionevole lasso di tempo per
un eventuale ripensamento.
Chi invece contro fa notare che anche un soggetto capace di intendere e volere possa essere influenzato,
anche in modo determinante, da soggetti esterni o dalla propria situazione familiare: non affatto improbabile
che lintento sucida di un soggetto possa essere influenzato da questioni prettamente economiche, soprattutto
per i soggetti che godono di redditi medio bassi (i quali sarebbero disposti a sacrificarsi per il benessere della
famiglia), o comunque dal sentirsi a disagio nel chiedere ai familiari un importante dispendio di tempo ed
energie nel fornigli assistenza, avendo a disposizione in ogni caso un metodo pi sbrigativo.
Una posizione ancora pi estrema ritiene che un malato terminale non sia mai in grado di prestare un valido
consenso, poich incapace di intendere e volere; tale posizione si basa principalmente su uno studio pubblicato
nel 1994 dallo Stato di New York: When death is sought: assisted suicide and euthanasia in the medical
context. Da questa pubblicazione emerge che la grande maggioranza dei malati terminali non desidera il
suicidio, anzi si afferma che tutti coloro che abbiano espresso la volont di morire sono stati ritenuti affetti da
depressione endogena: pazienti con una sofferenza non controllata possono vedere la morte come lunica fuga
dalla sofferenza che stanno sperimentando. In ogni caso la sofferenza non solitamente un fattore di rischio
indipendente. La variabile significativa nel rapporto tra sofferenza e suicidio linterazione fra sofferenza e
sentimenti di disperazione e depressione. Ovviamente i progressi della scienza medica da allora sono stati molti
e di notevole importanza, tuttavia la citazione dimostra lestrema importanza di un supporto psicologico al
malato terminale, a fine di evitare che la sua scelta sia condizionata da altri o dalla propria debolezza psichica e
che la scelta non diventi oggetto di abusi.
Confutando quanto appena detto, preoccuparsi dei condizionamenti esterni nellambito di un valido consenso
comporterebbe limpossibilit di ritenere accettabile ogni qualsivoglia dichiarazione: assodato il rischio di
pressioni esterne, altrettanto evidente che ogni decisione viene formulata in considerazione alla situazione
contingente, ad esito di un bilanciamento di interessi operato dal soggetto. Accertata la capacit di intendere e
volere, deve essere il malato ad attribuire il giusto valore ad ogni aspetto che entra in considerazione nella
propria decisione e non deve, invece, essere data a tali elementi una valutazione aprioristica: il soggetto deve
essere libero di scegliere se prendere in considerazione le pressioni esterne e il valore da attribuire ad esse; tale
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valutazione, infatti, collegata alla condizione dellindividuo ed quindi strettamente personale. Appare pi
liberale non tanto incidere sulla libert di scelta del soggetto, quanto piuttosto fornire strumenti che
disincentivino il suicidio: ad esempio lo Stato potrebbe intervenire con sussidi economici alle famiglie, strutture
sanitarie ad hoc (ad esempio gli Hospice, cio edifici dotati di ogni tipo di confort per il malato e per i familiari
che lo accudiscono, in cui vi sia personale medico specializzato, che si stanno diffondendo in tutta Europa;
molto di recente anche lospedale di Varese si datato di una struttura di questo tipo), assistenza psicologica
personalizzata che crei uno stretto rapporto di fiducia medico-paziente e che garantisca al malato un percorso
idoneo al raggiungimento di una decisione quanto pi effettiva possibile.

in riferimento agli strumenti sopra evidenziati che gli oppositori allintroduzione di una legge sul suicidio
assistito avvalorano la propria tesi con un ulteriore elemento: le cosiddette cure palliative (il nostro quarto punto
di discussione). Si intende per cura palliativa ogni tipo di intervento medico, anche non farmacologico, idoneo a
far venir meno o ad attenuare i sintomi di una malattia incurabile in un malato terminale, allo scopo di limitare
le sofferenze. Levoluzione del pensiero medico e concomitanti disposizioni legislative, che ne rendono lecito
lutilizzo in alcuni stati, hanno comportato a considerare queste terapie come una terza alternativa: le cure
palliative diventano una ulteriore scelta tra patire le sofferenze e desiderare il suicidio assistito.
Consentire luso delle cure palliative pu comportare una riduzione della prospettiva di vita del paziente, ma ci
comunque tollerato perch la morte non lintenzione primaria nel somministrare tali cure, ma solo un
effetto secondario alla riduzione delle sofferenze. In questi termini legalizzare le terapie in oggetto costituirebbe
una risposta concreta ai bisogni dei malati terminali, non rendendosi perci necessario introdurre una legge che
consenta di porre fine ad una vita: opportuno, infatti, ricordare che il malato spinto a chiedere laiuto al
suicidio a causa delle sofferenze che si trova a sopportare e, quindi, ci che veramente chiede che queste
vengano fatte cessare; se le cure palliative si dimostrano idonee in tal senso, il paziente non ha pi motivo di
chiedere che la propria vita venga interrotta. Nel Marzo di questanno stata approvata anche dal Parlamento
italiano una legge che regolamenta la somministrazione delle cure palliative, colmando una lacuna giuridica
allesigenza di terapie alternative.
Ammesso che quanto detto sia valido per un gran numero di casi, non si pu certamente dire che ci sia valido
per tutti: bisogna, infatti, tener presente che le sofferenze patite dai malati terminali non sono di natura
essenzialmente fisica, ma derivano anche dal disagio psicologico, dato dallimmobilit e dalla mancanza di
autonomia, che incidono fortemente sul senso di dignit personale, aggiunti alla consapevolezza di non poter
guarire, n di migliorare, e alla breve prospettiva di vita. Per i casi in cui le cure palliative non risultino
sufficienti, si dovrebbe prevedere la possibilit di ricorrere al suicidio assistito, quanto meno come extrema
ratio. Si pu aggiungere che chi a favore del suicidio assistito, proprio in relazione a questo elemento di
discussione, tende a dare prevalenza al diritto di autodeterminazione rispetto al diritto alla vita; infatti, vietando
leutanasia attiva volontaria, non si permette a chi soffre alcuna scelta in relazione a come gestire la propria
situazione, ma anzi, le cure palliative diventerebbero una scelta obbligata anche per chi vorrebbe morire, ma non
gli viene riconosciuta la libert di farlo. In base allarticolo 32 Costituzione, comma 2, da tener presente che
anche le cure palliative potrebbero astrattamente essere oggetto di rifiuto da parte del paziente, ma non sarebbe
concretamente pensabile che tale rifiuto possa essere manifestato da chi non ha alcuna valida alternativa. Le
cure palliative si presenterebbero come una implicita imposizione.
A chiusura del ragionamento, si potrebbe configurare una duplice lesione: da una parte al diritto di uguaglianza,
perch, mentre le cure palliative forniscono un aiuto contro le sofferenze fisiche, non avrebbero la stessa
efficacia contro quelle psicologiche; dallaltra parte al diritto di autodeterminazione, perch chi si trovasse in
uno stadio terminale e fosse coscientemente e effettivamente determinato a volere la propria morte, non avrebbe
strumenti per ottenere soddisfazione: la morte non la peggiore delle infermit, peggiore il desiderio di
morire e non poterlo consumare (Sofocle).

La tesi appena esposta non prende in considerazione un elemento piuttosto rilevante: il progresso scientifico e
medico (quinto punto). pur vero, infatti, che le attuali cure palliative non consentono di dare risposta ad ogni
situazione astrattamente immaginabile in cui il loro uso potrebbe considerarsi necessario; altrettanto vero che
continui studi hanno portato ad un netto miglioramento degli strumenti a disposizione dei soggetti in stadio
terminale, al fine di rendere meno pesante la loro condizione: ad esempio, attrezzature che consentano alcuni
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tipi di movimento o di poter esprimere i propri pensieri attraverso computer che rilevano il movimento
dellocchio, ecc. Non da escludere, quindi, che il progresso scientifico possa portare ad un costante
miglioramento e diffusione di questi strumenti, anche se, poich molto sofisticati, i costi di ricerca e produzione
risultano indubbiamente elevati. Se lordinamento legalizzasse il suicidio assistito, questo risulterebbe
sicuramente molto pi economico e non necessiterebbe di approfonditi studi per la sua applicazione. In un
sistema capitalistico, in cui il valore economico gioca un ruolo assai rilevante, risulterebbe comprensibile anche
se non condivisibile, porre in secondo piano lo studio delle terapie del dolore e il miglioramento della situazione
dei malati terminali, oltretutto se si considera che esse andrebbero a favore di soggettivi deboli, improduttivi e
con una breve prospettiva di vita. Questo rischio risulterebbe concreto soprattutto in stati come lItalia che
presentano un debito pubblico molto elevato, comportando la necessit di tagli e risparmi. In unottica
pessimista, si potrebbe addirittura configurare il rischio di un piano inclinato, in cui le costose cure ai malati
terminali verrebbero completamente soppiantate dal pi economico ricorso al suicidio assistito, che
diventerebbe quasi un obbligo morale per il malato terminale.
Si pu controbattere allargomentazione appena esposta, facendo presente che la ricerca medico scientifica,
qualora non venga posta in essere dalle grandi case farmaceutiche o direttamente dallo Stato, trova comunque
spazio allinterno di associazioni che si muovono grazie a donazioni private e sussidi pubblici. Inoltre,
lintroduzione di una legge sul suicidio assistito, si configurerebbe solo come una valida alternativa e non come
una imposizione: la facolt di poter scegliere se porre fine alla propria vita, lascia in ogni caso impregiudicato il
diritto di ricevere laiuto pi completo, efficace e moderno, dal punto di vista medico, fisico e psicologico, a
coloro che accettano e sopportano la propria malattia.

Introdurre il suicidio assistito comporterebbe un ulteriore problema, esposto come sesto punto, quanto meno
dal punto di vista teorico: si tende, infatti, a trascurare che ci significherebbe non solo dover garantire strutture
adeguate e ogni altro strumento necessario a porre in essere il suicidio, ma anche stabilire ex ante chi avr il
compito di aiutare il soggetto nel suo intento. A tal proposito, non affatto scontato che vi sia qualcuno disposto
ad assumersi tale responsabilit. Se il suicidio un diritto, di conseguenza, nelleventualit in cui mancassero
volontari, subentrerebbe il problema di dover obbligare qualcuno a prestare laiuto richiesto ed individuare in tal
senso una categoria di soggetti obbligati o quanto meno le caratteristiche che essi dovrebbero astrattamente
possedere. Infatti, sarebbe paradossale prevedere un diritto senza dare poi la possibilit a chi voglia avvalersene
di farlo concretamente. Da qui sorge una domanda: si pu obbligare qualcuno a porre in essere una tale
condotta? Si tratta evidentemente di un quesito a cui non si pu dare facilmente risposta, anche se un obbligo di
questo tipo rischierebbe di non trovare alcun fondamento n in relazione al diritto, n tanto meno alla sensibilit
sociale. Per tale motivo introdurre il suicidio assistito, non solo rischierebbe di danneggiare i soggetti deboli, ma
rischierebbe di comportare anche conseguenze non facilmente giustificabili.
Una possibile soluzione potrebbe derivare dal bilanciamento di interessi tra il diritto di chi vuole morire e il
diritto di astenersi dallaiuto di chiunque altro. La questione pu trovare risposta nellarticolo 2 della
Costituzione: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili delluomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalit, e richiede ladempimento dei doveri inderogabili di
solidariet politica, economica e sociale. Dal momento che ad ogni diritto corrisponde un dovere, con
lintroduzione del diritto al suicidio assistito, lo Stato potrebbe prevedere ladempimento dei doveri inderogabili
di solidariet sociale corrispondenti; pertanto, il diritto di morire potrebbe prevalere sullobiezione di coscienza.
Ad ogni modo questo problema appare pi teorico che reale, poich, come dimostra un sondaggio dellEurispes
del 2007, il 68% degli italiani intervistati si dichiara favorevole alleutanasia e il 26,3% sostiene che, nonostante
essa sia illegale in Italia, venga comunque praticata negli ospedali pubblici. Inoltre, un sondaggio Lancet del
1999, rileva che il 17% dei medici italiani disposto a praticare leutanasia attiva o il suicidio assistito, mentre
79,4% disposto ad interrompere il trattamento di sostentamento vitale. Da quanto si evince da questi sondaggi
il problema dellobiezione di coscienza non sembra essere cos grave da rendere necessario lintroduzione di un
obbligo di assistenza al suicidio per qualcuno.
In passato una situazione simile si riscontrata riguardo allaborto: anche in questo caso vi era il problema di
far coesistere la garanzia di un diritto con la possibilit da parte del medico di fare obiezione di coscienza. Visto
il favore della collettivit su tale diritto, lo stato si limitato a imporre ad ogni struttura ospedaliera di assumere
medici disposti a praticare laborto, senza dover introdurre nessuna imposizione per i medici obiettori. Il
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consenso diffuso di cui gode leutanasia, potrebbe rendere possibile una soluzione analoga, prevedendo che ogni
istituto di cura si fornisca non solo dei mezzi, ma anche del personale necessario al fine di assecondare la
volont del paziente. Si potrebbe addirittura prevedere la possibilit che siano soggetti privati a prestare
concretamente laiuto al suicidio, purch laccertamento dei requisiti richiesti venga svolto da un medico
qualificato, per evitare qualsiasi tipo di abuso.

In aggiunta a quanto appena affermato, un ulteriore sondaggio, effettuato dal Centro di Bioetica
dellUniversit Cattolica di Milano nel 2002, fa emergere dei dati interessanti. A un campione di 259 rianimatori
stato proposto un questionario anonimo sullargomento (al quale ha risposto l87%): di questi il 3,6% ha
dichiarato di aver praticato eutanasia attiva, somministrando volontariamente farmaci letali, mentre il 96,4% ha
negato di averlo mai fatto; tuttavia il 15,8% del totale si dichiara favorevole. Attualmente leutanasia, che
illegale in Italia, risulta essere comunque praticata e, pur essendo lincidenza del fenomeno molto bassa, sarebbe
opportuno regolarla a tutela dei medici che la praticano, ma soprattutto dei pazienti che la richiedono, senza
dimenticare che lillegalit comporta inevitabilmente la clandestinit e che, quindi, i casi reali in cui viene
praticato il suicidio assistito potrebbero essere molti di pi.
Largomentazione proposta non sembra per ragionevole, dal momento che essa evidenzia soprattutto un
problema di controllo da parte dello Stato e non costituisce, invece, un valido motivo giuridico allintroduzione
di una legge sul suicidio assistito. Per di pi, legalizzare una pratica per il solo fatto che essa venga comunque
eseguita clandestinamente, comporta gravi rischi legati allinsorgere di una tolleranza sociale sul fenomeno.
Caso emblematico a tal riguardo quanto accaduto nei Paesi Bassi, dove leutanasia volontaria legale dal
2002. Condizione perch essa venga praticata che i malati terminali siano maggiori di 12 anni; tuttavia, la
rivista medica Nederlands Tijdschrift voor Geneeskunde ha segnalato che, nonostante il divieto, leutanasia
gi stata praticata ad almeno qualche decida di neonati affetti da malformazioni gravi, senza che vi siano state
conseguenze giudiziarie per i medici coinvolti. Da tale esempio, si pu dedurre che ammettere il suicidio
assistito, pur se in relazione a casi determinati, motivandolo con il semplice sentire comune, potrebbe
comportare che casi di abuso vengano tollerati.
Si pu controbattere che il rischio di abuso presente tanto se una pratica legale, quanto se illegale. Il fatto
che il suicidio assistito sia una pratica clandestina denota che alla base c la richiesta da parte di alcuni malati
terminali di porre fine alla propria esistenza; tale richiesta viene accolta con molta difficolt poich pochi medici
sono disposti a farlo in modo illegale. Non si pu, pertanto, usare largomento degli abusi come pretesto per non
introdurre una pratica, che nella realt necessaria.

Come si potuto constatare da questa breve, ma articolata discussione, sono diversi e validi i motivi a
supporto sia della tesi di chi si ritiene favorevole allintroduzione del suicidio assistito, sia della tesi contraria.
evidente che il tema molto ampio e presenta molteplici spunti di riflessione ed elementi di problematicit: qui
si cercato di riassumere i punti essenziali e, per chi scrive, maggiormente interessanti. Si fa, inoltre, notare che
non esistono due posizioni nette e diametralmente opposte, ma, trattandosi di un tema delicato e personale, la
sensibilit di ognuno spinge a dare opinioni tra loro divergenti e peculiari sia nelle motivazioni, che nelle
soluzioni.
possibile, tuttavia, fare una semplificazione di massima, raggruppando le varie tesi entro tre filoni principali:
il primo tende a dare preferenza assoluta al diritto alla vita, vietandone ogni tipo di disposizione, anche da parte
del titolare del diritto stesso. Il secondo, al contrario, fa prevalere su qualsiasi altro diritto, e quindi anche su
quello alla vita, il diritto allautodeterminazione, sostenendo che il suicidio assistito debba essere introdotto a
garanzia della libert di scelta di ogni individuo che si trovi in uno stadio terminale. La terza tesi, infine, tende a
porsi a met strada tra le due, intendendo operare un bilanciamento tra i due diritti e prevedendo, quindi, la
possibilit per il malato di ricorrere al suicidio assistito, solo entro condizioni rigide ed in casi ben definiti.
A conclusione di questa trattazione, che si cercato di svolgere nel modo pi oggettivo e completo possibile,
si riportano ora le conclusioni a cui giunto chi scrive, secondo la propria personale visione, senza la pretesa di
dare una soluzione definitiva alla questione.



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6. CONCLUSIONI
Entrambi gli autori concordano sul fatto che vi sia, quanto meno in certi casi, la necessit di ammettere il
ricorso al suicidio assistito: impedirlo in via assoluta, infatti, significherebbe ammettere che lo stato possa
ingerirsi in una scelta che, per sua natura, non pu che essere personale. Lo Stato non dovrebbe sindacare sul
valore che ciascuno attribuisce alla propria vita.
Le argomentazioni pi forti a sostegno di questa tesi paiono avere un fondamento pi religioso che giuridico:
pur volendo considerare il diritto alla vita indisponibile, ci non significa escludere che vi siano casi eccezionali
in cui, disporre di questo diritto, risulta lecito o quanto meno non perseguibile (ad esempio, omicidio per stato di
necessit o legittima difesa). Se ci vero, nulla vieta di considerare lo stadio finale di una malattia inguaribile
come un caso eccezionale che renda ammissibile la disponibilit del proprio bene vita.
Per quanto riguarda la seconda motivazione giuridica, relativa al rischio di generare un piano inclinato o
almeno di consentire degli abusi, si pu notare che essa ammetterebbe implicitamente la necessit di introdurre
listituto in questione, ma che ci non sia possibile per problemi di effettivit del controllo statale e per la
difficolt di realizzare una legge sufficientemente puntuale.
in ragione di quanto detto che chi scrive ritiene la prima tesi poco convincente e pertanto da abbandonare.


Andrea Paglia
Si definisce stato etico quella forma istituzionale che, secondo la teoria di Hegel, fonte di libert e norma
etica per il singolo; la condotta dello Stato, quindi, non pu essere oggetto di valutazioni morali da parte
dellindividuo: lo Stato si pone come fine supremo e arbitro assoluto del bene e del male.
Secondo una visione pi moderna, lo Stato inteso come un insieme organizzato di individui che si d regole
per il vivere comune. In Italia i fondamenti di queste regole ed istituzioni sono state impresse nella Costituzione
che rappresenta il fulcro del diritto e che tutti devono rispettare. La Costituzione, quindi, si pone come un
contratto sociale tra gli uomini che vivono allinterno del territorio nazionale italiano. Contratto sociale che per
non stato sottoscritto da ogni individuo, poich la maggior parte dei soggetti sono nati successivamente alla
promulgazione nel dicembre del 1947. Secondo la mia opinione, quindi, la Costituzione rappresenta s un testo
fondamentale, ma difficilmente riesco ad attribuirle quel carattere di sacralit e di intoccabilit, anche per
quanto riguarda la prima parte dei diritti delluomo.
Ho volutamente iniziato la mia personale conclusione presentando il concetto di stato etico e facendo una
brevissima trattazione sulla Costituzione italiana al fine di richiamare in seguito tali concetti.

La mia opinione concerne il fatto che lintroduzione di una legge sul suicidio assistito non solo auspicabile,
ma addirittura doverosa. Regolamentare leutanasia, e nella fattispecie il suicidio assistito, secondo il mio
pensiero, il miglior modo per uscire da questo impasse giuridico, in cui non vi sono leggi, regolamenti o altro
che stabiliscano cosa giusto o non giusto fare. Vi sono al riguardo gi diverse pronunce giudiziarie che
tendono verso lidea di una legalizzazione delle pratiche di eutanasia e suicidio assistito: come non citare i casi
Englaro e Welby, che molto hanno fatto parlare di s. Non essendoci una disciplina in merito, la discussione
stata ampia, profonda e combattuta: regolamentare la fattispecie con una disciplina puntuale toglierebbe spazio a
una forse inutile discussione.
Il problema, dunque, si sposta sul come disciplinare questa fattispecie. Secondo il mio pensiero, il diritto di
autodeterminazione quel diritto che maggiormente entra in considerazione: introducendo una legge che lasci
libert di scelta al malato terminale se porre fine o meno alla propria vita, si introduce anche un criterio di
giustizia sostanziale. Chi il soggetto al centro della nostra attenzione? Il malato terminale. Bisogna fare molta
attenzione a non spostare il bersaglio della discussione: giusto, infatti, disquisire sui pro e sui contro di una
legge sul suicidio assistito e sulleutanasia in generale; giusto fare le considerazioni di piani inclinati e di
possibili abusi; ma non bisogna dimenticare che il fulcro della questione se un soggetto affetto da una grave
patologia degenerativa, con poche speranze di vita e tra mille sofferenze fisiche e psichiche, abbia o non abbia il
diritto di decidere di morire.
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Potrebbe il legislatore emanare una legge che vieti il suicidio assistito perch non riconosce al singolo il diritto
di disporre della propria vita? A questa domanda rispondo facendo un rinvio alla definizione di stato etico, sopra
esposta. Secondo il mio pensiero, lo Stato non pu avvalersi della facolt di decidere cosa fare della vita di un
essere umano; non pu decidere di imporre la vita (il suicidio tentato non punito) e nemmeno decidere di porvi
fine: cos come lo Stato italiano non ha la pretesa di sanzionare un cittadino con la pena di morte, altrettanto non
dovrebbe sindacare sulle scelte di un cittadino di porre fine alla propria vita. Lo Stato dovrebbe porre in essere
tutti gli strumenti idonei al miglior godimento della vita ai propri cittadini, favorendone la crescita, lo sviluppo,
la realizzazione personale, sia come singoli che nelle formazioni sociali, ma anche permettere che alcuni di
questi individui, in determinate situazioni, decidano di cessare di vivere. Uno Stato che non permetta il suicidio
assistito per queste ragioni si definirebbe etico, uno stato cio che ha la pretesa di stabilire cosa bene e cosa
male per il singolo individuo.
Potrebbe il legislatore, allora, non ammettere il suicidio assistito perch il rischio di piani inclinati e abusi
troppo grave? A mio avviso no, perch riconoscere il diritto di morire ad un soggetto, ma non ammetterlo,
facendo un giudizio prognostico sui possibili casi deviati, costituirebbe una lesione alla libera determinazione di
ciascuno, bene giuridico ben pi importante. Basterebbe, infatti, una legislazione attenta che disciplini una
procedura puntuale e preveda controlli efficienti, al fine di evitare il rischio di abusi e problematiche attinenti.

A questo punto sembra naturale che una legge sul suicidio assistito non debba far altro che introdurre una
facolt. Esemplificando con un ipotetico dialogo: vuoi tu malato terminale morire naturalmente? io Stato ti
fornisco assistenza adeguata, cure palliative per ridurre il dolore, strutture idonee e personale qualificato. Vuoi
tu malato terminale porre fine alla tua vita? io Stato ti fornisco i mezzi necessari per farlo, dopo una breve ma
attenta indagine che accerti leffettivit della tua scelta. Lo stato in questo modo si comporta come un
dispensatore di soluzioni, perch sta in capo al singolo soggetto scegliere ci che pi gli interessa tra i servizi
pubblici offerti. Ogni soggetto in base alla propria convinzione filosofico-religiosa potr decidere se aderire o
meno alla legge sul suicidio assistito, senza per altro poter obiettare nulla sulle decisioni di altri soggetti.
Attualmente, invece, in Italia non c modo di raggiungere lintento voluto da parte di un malato terminale,
perch lordinamento non si esprime in merito. Il silenzio dellordinamento, tra laltro, pone anche un problema
di legittimit di quelle sentenze che gi si sono espresse in modo favorevole. Le motivazioni, infatti, sono in
molti punti troppo deboli e contraddittorie: pur rispondendo ad un senso di giustizia sostanziale, si rivelano
deficitarie, facilmente attaccabili giuridicamente, proprio perch non godono di un substrato normativo. In un
sistema di Civil Law, infatti, i giudici devono attenersi strettamente alle leggi e, purtroppo, non sempre riescono
a rispondere al desiderio di giustizia dei cittadini. Sarebbe in questo caso preferibile un sistema di Common
Law, ma lunica soluzione realmente adottabile in Italia lintroduzione di una legge sul suicidio assistito.
Sorge quindi il problema avanzato da numerosi giuristi, se lintroduzione di detta legge possa essere
costituzionalmente ammissibile. Il problema qui non di poco conto, perch in realt la Costituzione non si
pronuncia nemmeno sul bene vita e, vagliando anche le fonti di grado inferiore, emergono interpretazioni che
propendono per considerare il bene vita disponibile, altre indisponibile.
Per quanto mi riguarda, se mai ci fosse un problema di incostituzionalit nellintrodurre una legge sul suicidio
assistito, non si dovrebbe far altro che modificare quel disposto costituzionale in contrasto. Riallacciandomi
allincipit, infatti, non vedo il motivo di mantenere un costituzione che non risponda pi alle esigenze dei
cittadini.
Le interpretazioni dei disposti costituzionali possono essere di tipo evolutivo o mantenersi sulloriginal
meanings (fortunata coniazione di Anthony Scalia, giudice della Corte Suprema statunitense): nel primo metodo
si cerca di dare risposta ai problemi giuridici allargando il campo di applicazione anche a quelle situazioni
analoghe che non sono state previste nel redigere il testo di legge; nel secondo, si applica la norma secondo il
significato originario, magari andando a spulciare tra i lavori preparatori per far emergere il reale intento del
legislatore. Una legge sul suicidio assistito potrebbe essere incostituzionale adottando luno o laltro metodo.
Ma perch abbandonare a priori una legge (che ritengo necessaria) solo perch non conforme in modo assoluto
ad una costituzione promulgata pi di 60 anni fa? La mia opinione che andr cambiata la Costituzione, non
abbandonata la legge.

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Per meglio comprendere la mia posizione sul suicidio assistito, tratto qui di seguito uno dei diritti che
maggiormente ha influenzato la giurisprudenza americana: la privacy.
Il diritto alla privacy viene per la prima volta teorizzato da due insigni giuristi, Warren e Brandeis, che nel
1890 scrivono un articolo sulla prestigiosa rivista Harward Law Review. A causa dello sconcerto per la
pubblicazione delle foto della salma di Bismark da parte di un fotoreporter (figura professionale nascente
proprio in quegli anni) la privacy si costituisce come un diritto a tutela dellimmagine propria di ogni soggetto. I
due giuristi, ripescando la teoria di Locke e alcuni commentari britannici, qualificano la privacy come il diritto
di ciascun individuo ad essere lasciato solo, ovvero ad escludersi dalla comunit. Questa sfera di protezione
viene ben rappresentata dallespressione ciascuno signore del proprio castello, dove per castello si intende il
luogo concreto o figurato in cui ciascuno pu godere di illimitata libert, quindi la casa di privata propriet e,
metaforicamente, il proprio corpo. Un esempio la sentenza Griswold vs Connecticut del 1965, in cui la Corte
Suprema ha accolto il diritto del signor Griswold di non fornire spiegazioni riguardo alla presenza di
anticoncezionali artificiali, a fronte di una normativa statale che ne vietava luso e leducazione alluso. La
privacy si configura, quindi, come una protezione dallingerenza statale nella sfera privata delle persone.
Una successiva sentenza, Lawrence vs Texas del 1998, ha mutato linterpretazione del diritto alla privacy: la
sentenza della Corte Suprema ha accolto il diritto del signor Lawrence di avere rapporti omosessuali, in Texas
proibiti, perch la privacy non era pi considerata una sfera sottratta al diritto, ma una vera e propria sfera di
diritti fondamentali.
Questa nuova interpretazione ha trovato applicazione anche in altre fattispecie: la sentenza Roe vs Wade ha
sancito il diritto di aborto proprio utilizzando il diritto alla privacy. La donna pu abortire perch esercita una
signoria sul proprio corpo e lordinamento non pu sindacare sulla scelta.
Il diritto alla privacy non esclusivo della giurisprudenza americana: la privacy stata adottata anche dalla
CEDU (Corte Europea dei Diritti dellUomo) nella sentenza Tysiac vs Poland del 2005. Anche in questo caso ad
oggetto cera il diritto di abortire.
Secondo la mia opinione, il diritto alla privacy troverebbe applicazione anche per quanto riguarda il suicidio
assistito: lintenzione di porre fine alla propria vita rientrerebbe in quella sfera di diritti fondamentali, poich
ciascuno signore del proprio castello-corpo. Nella sentenza Pretty, il ricorso alla Corte europea era stato
motivato adducendo che lordinamento britannico fosse in contrasto con la Convenzione europea dei diritti
delluomo, in relazione al diritto alla vita, alla vita privata, alla libert di pensiero e al divieto di
discriminazione. Mi domando quale sarebbe stato lesito del procedimento se il ricorso fosse stato presentato
adducendo la violazione del pi recente diritto alla privacy, cos come inteso nella sentenza Tysiac vs Poland.
Infatti, con tale sentenza che trova spazio nella giurisprudenza europea il concetto di privacy elaborato dalla
giurisprudenza americana, anche se non presente nella Convenzione, quanto meno con la stessa portata.
Qualora la Corte Europea adottasse il diritto alla privacy per decidere le controversie in tema di suicidio
assistito, ci si ripercuoterebbe anche nellordinamento italiano che dovrebbe conformarsi alla nuova
giurisprudenza, pur non avendo una tradizione giuridica di Common Law.
Sicuramente la privacy non un diritto facilmente adottabile dallordinamento italiano, ma ritengo che quella
sfera di diritti possa essere positivizzata in una legge: riconoscere la facolt per il malato terminale di porre fine
alla propria vita o meno non sarebbe molto distante dallidea americana di privacy. Le motivazioni e le
tradizioni giuridiche sarebbero diverse, ma, se in entrambi i casi lo Stato non pu avere la pretesa di sindacare
sulle scelte del singolo individuo, allora leffetto sarebbe il medesimo.

Ritengo, a conclusione del discorso, che lintroduzione di una legge sul suicidio assistito sia doverosa per
rispondere alla sempre pi diffusa richiesta da parte dei malati terminali di porre fine alla propria vita:
probabilmente nella societ italiana emerge una sensibilit diversa rispetto ad un tempo; ci che andava bene 5-
10 anni fa, potrebbe non esserlo pi e ci che prima non rappresentava un bisogno, potrebbe invece costituire
una necessit adesso.
il diritto che si deve conformare alla mentalit, non il contrario. Se il diritto di uno Stato non sar pi in grado
di rispondere alle esigenze dei propri cittadini, avr perso la naturale funzione della sua esistenza.


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Dario Cestaro
A mio avviso sarebbe preferibile sostenere una posizione meno assolutista, che operi un bilanciamento di
interessi tra diritto alla vita e diritto allautodeterminazione, cercando tra questi un punto di equilibrio.
Perch ci sia possibile occorre preliminarmente fare una distinzione tra i concetti di depenalizzazione e di
legalizzazione spesso utilizzati (cos come nella trattazione svolta) come sinonimi, ma che in realt hanno alla
base delle premesse alquanto diverse e portano, quindi, a conseguenze altrettanto non congruenti. In particolare
il primo dei due termini presuppone che una certa condotta, a seconda dei casi, non sia pi considerata illecita, o
non lo sia pi per lo meno a certe condizioni; il secondo, invece, presuppone che la condotta sia pienamente
conforme al diritto e che proprio questo ne stabilisca la liceit.

Per essere pi chiari occorre trasporre tale distinzione al tema affrontato nella discussione: sostenere la
legalizzazione del suicidio assistito presupporrebbe la presenza nellordinamento, e in special modo nella sua
fonte primaria, di un diritto o un principio che ne richiedano lintroduzione, e che quindi vi sarebbe una
violazione della costituzione se tale istituto non fosse previsto. In altre parole, si dovrebbe poter ricavare dalla
carta fondamentale un diritto a morire o un principio in base al quale si possa ritenere che la vita sia un bene
pienamente e liberamente disponibile.
A mio avviso, ci non sarebbe sostenibile senza necessariamente forzare la portata dei singoli disposti normativi
e addirittura limpostazione di fondo che sostiene lintero ordinamento italiano: appare, infatti, evidente che vi
sia una forte tutela del bene vita, essendo punito anche severamente ogni tipo di aggressione ad esso perpetrata e
ci ricavabile non solo da codice penale, ma dalla costituzione stessa, la quale non parla mai di diritto a morire
o di autodeterminarsi in tal senso; addirittura larticolo 32, da molti invocato a sostegno della disponibilit del
bene vita, sembra piuttosto essere posto a tutela del soggetto dallaccanimento terapeutico e dalle
sperimentazioni medico-scientifiche sullessere umano (bisogna infatti ricordare che soprattutto questultime
vennero praticate nei campi di concentramento nazisti e, essendo la Costituzione italiana nata proprio a seguito
della sconfitta delle forze dellAsse, ben probabile che tale pratica fosse nota ai costituenti, i quali vollero
vietarla espressamente), non potendosi quindi ricavare un diritto al suicidio, se non interpretando
estensivamente il principio contenuto nella disposizione.
pur vero che nel codice penale non viene punito il suicidio, nemmeno se tentato, ma questo sembra una
scelta dettata pi da ragioni di opportunit che da giudizi di illegittimit della condotta: infatti, il valore dato alla
vita talmente alto e basilare da non essere neppure compresa in Costituzione la previsione espressa di una
disposizione che labbia ad oggetto, essendo ritenuto tale diritto implicito ed incontestabile. altrettanto vero,
tuttavia, che i padri costituenti non avrebbero potuto prendere in considerazione i problemi etici che le scoperte
in ambito tecnologico, scientifico e medico hanno negli ultimi anni reso sempre pi spinosi e pressanti:
escludere totalmente la possibilit di ricorrere allaiuto al suicidio, apparirebbe anacronistico soprattutto se si
considera la progressiva tendenza di molti stati a modificare i propri ordinamenti in senso sempre pi liberale,
anche in relazione allintroduzione e allo sviluppo nella realt giuridica, prima americana e poi anche europea,
del concetto di privacy. Ci ha contribuito allevoluzione degli assetti normativi dei vari stati, nel senso di
limitare lingerenza degli organi pubblici nella vita e nelle scelte di ciascun privato.
Ecco perch si ritiene necessario un bilanciamento tra vita e libert di scelta, il quale potrebbe essere realizzato
attraverso lo strumento della depenalizzazione: questa, infatti, parte dal presupposto che non esiste in
Costituzione il diritto a morire, ma che in certi casi, precisi e particolari, laiuto al suicidio potrebbe essere
tollerato e giustificato; verrebbe, quindi, capovolto il presupposto logico che sta alla base della legalizzazione
sopra evidenziato.
Si potrebbe cos stabilire, introducendo un articolo ad hoc nel codice penale, la non applicabilit dellarticolo
580 a chi avesse aiutato al suicidio il malato terminale, di cui fosse stata accertata la piena capacit di intendere
e volere e che lo avesse richiesto espressamente e ripetutamente, consapevole di non avere alcuna prospettiva di
guarigione e preferendo il suicidio ad ogni altra possibile alternativa.
Questa soluzione, ne sono consapevole, non risolverebbe tutti i problemi e potenzialmente potrebbe creare delle
difficolt interpretative, qualora la previsione normativa non venisse formulata in modo chiaro e concreto;
tuttavia, potrebbe presentare alcuni punti di forza che credo interessanti e sui quali ritengo opportuno
soffermarmi. Anzitutto, si ribadisce, il suicidio assistito verrebbe considerato uno strumento non conforme in
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via generale allordinamento, ma ammesso solamente in casi estremi in cui la malattia risulterebbe tale da
realizzare le condizioni di applicabilit per il malato dello stato di necessit al proprio suicidio (la soppressione
di una vita e, nel caso specifico, la sua sarebbe quindi giustificata); la capacit di intendere e volere avrebbe
invece, in tale contesto, la funzione di scriminare la condotta del soggetto che presterebbe il proprio aiuto,
configurando una sorta di forza maggiore. In secondo luogo, una tale previsione consentirebbe al giudice di
effettuare tutti i controlli necessari, al fine di evitare abusi o, se non altro, di sanzionarli, derivando
lammissibilit del suicidio assistito non da una legge che lo renda legittimo, ma da una causa di non punibilit
specifica.

Infine, concludendo questa esposizione, si ritiene sarebbe opportuno sottolineare espressamente che
nellaiutare il malato non verrebbe compiuto alcun atto di piet: il concetto di mercy killing, introdotto dai
sistemi anglosassoni, molto insidioso e pericoloso poich sottenderebbe la possibilit di dare un valore alla
vita. una questione di questo tipo non solo non pu avere senso in un moderno ordinamento (una vita, dal
momento in cui venga considerata tale e fino al momento in cui si ritenga esistente, e deve essere considerata
dello stesso valore di ogni altra, quantomeno alla luce del principio di uguaglianza, consacrato allarticolo 3
della Costituzione), ma se venisse realmente presa in considerazione, aprirebbe la strada alla possibilit, se non
addirittura allopportunit, di stimare dallesterno o perfino astrattamente ex ante quale valore dare alla vita in
ciascun caso concreto.
Se si aiutasse taluno a morire per piet, ritenendo la sua vita poco dignitosa o addirittura non umana,
risulterebbe quasi immediato domandarsi perch un tale privilegio dovrebbe essere concesso solo a chi ha la
possibilit di chiederlo coscientemente e consapevolmente.
In realt, non vi sarebbe alcun potere di giudizio riguardo al valore da dare alla vita di un altro soggetto. Il
medico manterrebbe il dovere, secondo quanto prescritto dal codice deontologico, di prestare le cure richieste al
fine di alleviare il pi possibile ogni sofferenza o disagio (di recente, tra laltro, stata introdotta una legge
relativa allutilizzo delle cure palliative, utile proprio in tal senso); con il concretizzarsi delle condizioni
richieste, leventuale aiuto che verrebbe prestato al suicidio del malato terminale, non avrebbe nulla a che
vedere con atti di piet o considerazioni simili, ma rientrerebbe allinterno di una sorta di forza maggiore, che
altro non se non la riespansione del diritto allautodeterminazione del soggetto in questione, realizzandosi in
questo modo un bilanciamento con il diritto alla vita fino a quel momento prevalente. Da ci deriverebbe la non
ammissibilit di ogni tipo di eutanasia involontaria, dal momento che essa risulterebbe privata di ogni
fondamento logico e giuridico. Una tale prospettiva potrebbe costituire, quindi, un solido ostacolo allo sviluppo
di un pericoloso piano inclinato, lasciando tuttavia impregiudicata la possibilit di scelta al malato terminale di
porre fine alla propria vita.
Per tali ragioni, si ritiene la depenalizzazione del suicidio assistito, cos come intesa, lo strumento pi idoneo a
dare una risposta da un punto di vista giuridico ed imparziale alle varie questioni che il tema trattato solleva.

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