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Marco Spedicato

IL DILETTANTISMO FRA
REALT E IDEOLOGIA
INDICE

Premessa p. 3

1. Prime avvisaglie p. 4

2. La marea p. 6

3. Ulteriori conferme p. 9

4. Anatomia di un concetto p. 11

5. Forme del desiderio p. 16

6. Precarizzazione, ruoli, ideologia p. 18

2
A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo
di essere i nostri babbi e i nostri maestri

(C. COLLODI, Le avventure di Pinocchio)

Premessa

Ideologia? Come sarebbe a dire ideologia? Ho letto bene si chieder il lettore dice
proprio ideologia? Ebbene s. Nonostante la ben poco disinteressata diffusione della teoria della
fine delle ideologie, sostenuta, guarda caso, da tutti quei politicanti dediti al vizio del trasformismo,
che cercano cos di mascherare le loro epocali giravolte, ora di renderci conto che lideologia
viva e lotta contro di noi. Mentre ci crogioliamo ancora al tepore del fal delle ideologie, la cruda
verit che a bruciare sono soltanto alcune ideologie, mentre le altre prosperano silenziosamente.
vero che attualmente le identit etico-culturali si trovano in uno stato di incertezza, ma, come
notava Debord, oggi non possibile trascurare il fatto che luso intensivo dello spettacolo ha,
come cera da aspettarsi, reso ideologica la maggioranza dei contemporanei, per quanto solo a tratti
e a sbalzi1, cio non esistono pi terreni vergini per lideologia, ossia soggetti ingenui e
incontaminati da conquistare. Oppure, il che lo stesso, possiamo dire che, in generale, viviamo in
unepoca di malafede, cio di credenze mantenute in opposizione ad altre e in mancanza di altre
genuine2, ma questo un discorso che riguarda anche la forma dei partiti politici attuali, molti dei
quali in effetti sempre pi simili a semplici accozzaglie elettorali. E tuttavia, in assenza (o quasi) di
repressione sociale, limportanza dellideologia cresce necessariamente: in contesti in cui la
convivenza non determinata in modo decisivo dalla forza, la coesione della societ passa per
quella che i sociologi chiamano collettivit identificante3, cio il gruppo in cui ci si identifica in
base alle proprie idee, credenze, principi, seppure non solennemente dichiarati.
Mi propongo in questo saggio di analizzare il berlusconismo dal punto di vista della sua ideologia
specifica (dico specifica perch, ad esempio, il neoliberismo fa certamente parte, bench con una
certa elasticit, dellarmamentario berlusconiano, ma comune a quasi tutte le forze politiche
attuali, italiane e non). Ho cercato dunque di evidenziare il filo conduttore del berlusconismo
(lideologia del dilettantismo), dovendo per necessariamente allargare il discorso al dilettantismo
reale per poter rendere pienamente comprensibili i vari passaggi del ragionamento: il lettore
trover perci molte apparenti divagazioni in quel che segue, ma il mio obiettivo quello di provare
a gettare un po di luce su ci che con troppa faciloneria molti hanno liquidato, e continuano a
liquidare, come vaneggiamenti e incoerenze di un megalomane.

1
G. DEBORD, Commentari sulla Societ dello spettacolo, in Id., La societ dello spettacolo, reperibile in Internet (al
9/5/2009) allindirizzo http://www.scribd.com/doc/4105023/Debord-La-societa-dello-spettacolo, pp. 61-62, corsivo
mio.
2
Cfr. N. CHIAROMONTE, Credere e non credere, Il Mulino, Bologna 1993, p. 185 ss.
3
Cfr. A. PIZZORNO, Le radici della politica assoluta e altri saggi, Feltrinelli, Milano 1993, p. 167.

3
1. Prime avvisaglie

C qualcuno che ricorda Quelli che il calcio? La domanda sembrer bizzarra, dato che va
tuttora in onda una trasmissione televisiva (quasi omonima) che la sua erede, ma io mi riferisco
proprio alloriginale, quella condotta da Fabio Fazio e che esord nel 1993, e non alla copia sbiadita
che abbiamo sotto gli occhi. Quelli che il calcio di Fazio fu una trasmissione rivoluzionaria,
aggettivo di per s non tanto indicativo se vero, come vero, che ci troviamo praticamente
sommersi da prodotti rivoluzionari, dal nuovo cosmetico allultimo modello di automobile, ecc.
Ma quella trasmissione fu rivoluzionaria davvero. Perch fu rivoluzionaria? Prima di tutto, a un
livello pi superficiale, per il suo argomento: si occupava infatti di calcio (sport nazionale italiano,
come tutti sanno) in unottica non pi specialistica, per iniziati, ma scanzonata e sbarazzina. Basta
questo per farne una trasmissione rivoluzionaria? Dato il contesto in cui and in onda, che era fatto
di programmi per lo pi ingessati e prevedibili, probabilmente s. Ma siamo ancora un po nel vago.
Guardando quella trasmissione si restava colpiti dal fatto che tutti erano costantemente sopra le
righe, e in un senso ben preciso: ognuno faceva qualcosa che eccedeva il proprio ruolo. Cera
Fazio, il presentatore, che pi che condurre faceva il Pierino della situazione, con il compito di
punzecchiare ospiti e colleghi per indurli a strafare. E poi cera Sassi che faceva battute (!),
Orietta Berti che parlava di calcio (!), Bartoletti che, fra un aggiornamento dai campi e laltro,
canticchiava le canzoni di Orietta Berti, Van Wood che un po suonava la chitarra e un po faceva
lastrologo (e non si capiva quale delle due versioni fosse quella principale), Idris, di professione
giornalista, che impersonava il buon selvaggio (il lato buono era evidentemente costituito dal
tifare per la Juventus), e cos via in un crescendo che, sebbene fosse ovviamente voluto, costruito,
risultava del tutto convincente e coinvolgeva anche gli ospiti non fissi.
E poi cera Paolo Brosio, che faceva linviato. Ma era un modo particolare di fare linviato: i
siparietti fra Fazio che lo spronava a compiere le sue missioni e lui che, riluttante e quasi
impaurito, acconsentiva solo dopo vari scambi di battute col presentatore sono memorabili quasi
quanto quelli che lo stesso Brosio, fino a poco tempo prima, poneva in essere col direttore del suo
telegiornale. Quelle di Brosio le ho definite missioni perch da quei battibecchi doveva risultare
evidente a tutti gli spettatori una cosa ben precisa: la sproporzione fra i mezzi e il fine (i quali mezzi
poi, come vedremo, nel dilettante si trasformano appunto in fine). Brosio, fra la goduria di Fazio e
degli ospiti, veniva spedito a percorrere in bicicletta dei tragitti a mo di vera e propria tappa
ciclistica, oppure, al contrario, veniva spedito a Londra per importunare le vecchiette che
guardavano in santa pace la TV. E cose del genere.
La costante era che questo personaggio, per un motivo o per laltro, allinizio non era mai convinto
di poter portare a termine la missione assegnatagli dal perfido Fazio, eppure alla fine era
comunque disposto a provarci. Il Paolo Brosio di Quelli che il calcio , a mio modo di vedere,
limbranato in rivolta: il dilettante.
Il Nuovo Zingarelli alla voce dilettante riporta:

1) Che, chi coltiva unarte, una scienza o si dedica a unattivit sportiva non per lucro ma per
diletto o per pura passione agonistica;
2) [est.] Che, chi manca di esperienza, perizia, e sim.; [spreg.] Che, chi si occupa di q.c. con
grande faciloneria, in modo superficiale e senza unadeguata preparazione.

Ora, io credo che tutti e tre gli aspetti di cui sopra si possano senzaltro attribuire al Brosio inviato
di Quelli che il calcio (perch del personaggio Brosio, ovviamente, che sto parlando). Forse
qualche dubbio potrebbe esserci per il primo punto, dato che ho affermato che linviato era sulle
prime sempre riluttante, cosicch non si tratterebbe certamente di diletto. In realt ho detto anche
che cera ogni volta una specie di opera di convincimento da parte di Fazio, che si inseriva in una
coscienza dei propri limiti che Brosio puntualmente mostrava, e che vinceva sempre ogni

4
riluttanza; in altre parole, anche se non possiamo parlare propriamente di diletto, possiamo per
benissimo parlare di passione agonistica: appunto in questo senso che ho parlato di imbranato in
rivolta.
Tutto questo avveniva alla RAI, la televisione di Stato. Ma anche dallaltra parte della barricata,
sulle reti Fininvest (poi Mediaset), cera una trasmissione interessante ai fini del nostro discorso, e
si chiamava, ironia della sorte, Non la RAI. Vi si poteva ammirare una torma di ragazzine, se non
proprio bambine, prive di qualunque particolare abilit, intente a dimenarsi, cantare (in playback),
piagnucolare, interagire qua e l coi telespettatori (durante i vari giochini), o addirittura fare discorsi
di senso compiuto (con laiuto, certo, degli appositi auricolari che fornivano i suggerimenti della
regia).
Anche questo, come laltro, fu un programma di successo. Perch interessante per il nostro
discorso? Perch evidentemente il senso di questo programma era del tipo: guardate come dal
nulla riusciamo a creare dei fenomeni; mentre il senso di Quelli che il calcio era piuttosto:
guardate dove possiamo arrivare. Quindi in un caso si ha, per cos dire, un dilettantismo
pianificato, e nellaltro un dilettantismo esibito. Quello che mi pare fondamentale riconoscere
che, a partire da quei due programmi televisivi, e alla luce di quanto avvenuto
contemporaneamente e successivamente nella societ italiana, la figura del dilettante e il
dilettantismo hanno assunto decisamente un ruolo centrale nellimmaginario collettivo.
un caso lapparizione nello stesso periodo, e indipendentemente luna dallaltra, di due
trasmissioni televisive cos simili per filosofia di fondo e impatto sul pubblico? Ci avveniva ai
tempi di Mani Pulite, il ciclone giudiziario che spazz via una parte rilevante del ceto politico
dirigente. Si dir: e dove starebbe il nesso? Il fatto che Mani Pulite fu oggettivamente una
rivoluzione; una rivoluzione anomala, senza rivoluzionari, ma pur sempre una rivoluzione. Con
loperazione Mani Pulite fu smantellato, di fatto, il sistema politico che aveva retto lItalia per quasi
cinquantanni, o meglio i ruderi di quella societ bloccata che aveva resistito per tutti gli anni della
guerra fredda e che aveva ormai esaurito la sua funzione. In un bellissimo saggio, Lestate
1914, Nicola Chiaromonte faceva notare come il cittadino medio, fino a prova contraria, abbia un
rispetto innato per gli specialisti4: al contrario, si pu dire allora che effetto di ogni rivoluzione
appunto il crollo di questo rispetto per gli specialisti. E, infatti, chiunque ricorder che il clima che
si respirava in Italia nei primi anni Novanta era molto simile, ad esempio, al Que se vayan todos!
dellArgentina del 2002. in questo clima che nacque il berlusconismo.
Noto con stupore che molti non riescono ancora a spiegarsi la nascita e lo sviluppo di questo
fenomeno. In realt la cosa molto semplice: in una situazione in cui i poteri dello Stato sono
oggettivamente in conflitto fra loro, Berlusconi appare come il garante dellequilibrio fra i poteri o,
per essere ancora pi precisi, del loro riequilibrio, in base alla sua sbandierata estraneit ad essi,
cio in base al suo essere un non-politico (oltre che, ovviamente, un non-magistrato), ossia un non-
specialista.
In pratica loriginario prodotto di laboratorio (il partito-azienda Forza Italia) si evoluto dal lato
istituzionale in senso anti-giustizialistico, come appena detto, riciclando spezzoni della vecchia
classe dirigente, fino alla recente annessione di Alleanza Nazionale e conseguente trasformazione in
Popolo della Libert, e dal lato della societ in senso populistico5, utilizzando lideologia oggetto di
questo saggio (vedremo comunque come lanti-giustizialismo stesso non sia che un aspetto
particolare dellideologia dilettantistica). Estremamente funzionale allo sviluppo di questo
fenomeno fu poi naturalmente lintroduzione del sistema elettorale maggioritario, che porta alla
personalizzazione dello scontro politico. E il prestigio personale di Berlusconi consistito proprio
nel fatto di coltivare limpegno politico non per lucro, per mestiere, come fanno invece i
professionisti della politica, con cui a un certo punto ha anche polemizzato apertamente in

4
Cfr. N. CHIAROMONTE, Credere e non credere, cit., pp. 106-107.
5
Per populismo si intende, in senso stretto, una tendenza unilaterale a esaltare la solitudine di un capo che si rapporta
da vicino alla massa senza avvalersi di momenti istituzionali e partitici di mediazione (M. PROSPERO, La
costituzione tra populismo e leaderismo, Franco Angeli, Milano 2007, p. 13).

5
proposito, bens per passione. Questo naturalmente a livello di immagine, perch poi la realt
diversa (significativa la canzone dei Modena City Ramblers intitolata El Presidente).
Va ricordato inoltre che la nostra unepoca di malafede.

In questo consiste la malafede contemporanea e, al tempo stesso, il significato di ci che si


chiama nihilismo: nel tenersi alla forma di quella che fu una credenza autentica senza pi
assumerne la sostanza, ma solo perch non ce n unaltra cui ci si possa affidare. Ci vuol dire
che non si crede a nulla, ma ci si lascia andare sul filo degli eventi come su una corrente
precipitosa e fatale. E bisogna aggiungere che il moto di questa corrente non riguarda solo i
fatti tecnici, economici o politici, ma anche (e soprattutto) le forme della sensibilit e la vita
intellettuale, coinvolgendo la vita della cultura in un automatismo che, applicato a un tal
campo, inevitabilmente mortifero: lautomatismo della ricerca del nuovo, il quale si riduce
in realt a un continuo segnare il passo nel disordine6.

Pi modestamente, a noi interessa il fatto che questo automatismo della ricerca del nuovo o, come si
dice correntemente, nuovismo stato una concausa della nascita del berlusconismo.

2. La marea

Ma torniamo a parlare della TV, e precisamente di quelle trasmissioni che da qualche anno a
questa parte (anche se il fenomeno pare oggi ridimensionarsi) hanno invaso e trasformato i
palinsesti: i famigerati reality show. Come introduzione allargomento utilizziamo alcune
osservazioni di addetti ai lavori sulla reality television in generale.
Scrive Marina Villa7:

Per reality television intendiamo una prassi comunicativa neotelevisiva che caratterizza tutti i
programmi che si ispirano a unaderenza con la realt quotidiana, colta sia nei suoi aspetti pi
drammatici sia in quelli pi banali, grazie al coinvolgimento sempre pi stretto del pubblico e
delle persone comuni.

Ma, daltra parte,

[] attraverso le modalit produttive, [la reality television] assegna massima forza alla
duplicit, alla riflessivit, alle contrapposizioni insite nei generi che sono confluiti nel reality
(docu-soap, docu-drama, reality show, infotaiment [sic]), esaltando cos le intime
contraddizioni del reale (C. De Maria et al., Reality tv, ERI-VQPT, Roma 2002, p. 12).

Lautrice aggiunge:

Nella reality television la sceneggiatura, la scrittura dei testi infatti un elemento determinante
[]. I nuovi tipi di programmi della reality television come Big Brother sembrano testi pi
aperti []. Ma anche qui un forte intervento registico e di scrittura necessario. Il materiale
fornito dalle immagini della vita quotidiana informe, si tratta di riprese in continuit senza un
filo conduttore, a volte incomprensibili per chi non conosce bene le dinamiche del programma
[]. Del resto, come si detto, per il reality show non conta tanto che la storia sia vera o falsa,
limportante che la storia che si sta raccontando sia una buona storia. In un contesto come

6
N. CHIAROMONTE, Credere e non credere, cit., p. 195.
7
M. VILLA, Reality tv: Big Brother e i suoi fratelli, reperibile in Internet (al 9/5/2009) allindirizzo
http://www.ildomenicale.it/eradigitale_articolo.asp?id_articolo=3.

6
quello della reality television, le buone storie sono spesso quelle pi eclatanti, esasperate,
inverosimili.

Citando poi Paolo Vasile, produttore di reality television, la Villa nota:

Anche in un programma come il Grande Fratello la realt quotidiana degli ospiti della casa
trasfigurata, accelerata. Si pu parlare di una quotidianit estrema.

E conclude:

Raccontando delle storie ispirate alla vita delle persone o inscenando delle situazioni di prova
(anche le pi inverosimili ed eccessive), quello che interessa alla reality television mostrare le
reazioni non controllate dei protagonisti, in base a un assunto che associa la verit di ci che si
vede alla reattivit e la reattivit allassenza di simulazione.

Teniamo bene a mente in particolare queste ultime osservazioni, che sottolineano quella
caratteristica dei reality che lautrice definisce una continua messa in scena di casi eclatanti e di
situazioni-limite.
Prima di procedere, va ribadito che il reality un genere di programma che fagocita altri generi, li
assimila e li riutilizza amalgamandoli in un nuovo contesto, e che forse anche per questo motivo
non esiste una definizione di reality show universalmente accettata dagli esperti. Qui, ad ogni modo,
prenderemo in considerazione come reality show, fra quelli trasmessi dalla televisione analogica
terrestre e di produzione italiana, quei programmi non documentaristici che comportano
unintrusione delle telecamere nella vita quotidiana dei partecipanti, anche se in circostanze pi o
meno eccezionali.
Va detto che gi il nome di questo tipo di programmi ha creato molte polemiche: tutto costruito e
recitato no, tutto vero. Non bisogna dimenticare che un reality comunque un gioco: sembra
banale dirlo, ma nel concetto di gioco la stessa distinzione fra seriet e non-seriet fortemente
sfumata e problematica, per non dire inconcepibile (si veda la definizione di gioco che d Huizinga
in Homo ludens8). Se non si tiene presente questo, si ricade inevitabilmente in quella divisione
manichea in voyeuristi e dietrologi evidenziata da Gualtiero De Marinis, che spiega:

Pi semplicemente quel che succede : si sceglie un cast di persone con determinate


caratteristiche che possano portare a determinati snodi o contrasti, si stabilisce un sistema di
retribuzione/pena che funzioni come correttivo, poi si fa partire la macchina e si rimane in
attesa a osservare di nascosto leffetto che fa, come diceva Jannacci. Dunque n realt pura,
n complotto. Soltanto un sistema dinamico, determinabile nel suo andamento generale, ma
intrinsecamente imprevedibile nelle sue espressioni singolari ed estemporanee9.

In ogni caso, al di l dellaspetto qualitativo di questi programmi, interessante vedere se esista un


qualche filo logico che permetta di avere delle conferme alla validit del nostro discorso sul
dilettantismo, e perci necessario scendere un po pi nei dettagli.
Notevole a mio parere il secondo reality show in ordine di tempo trasmesso in Italia (ha seguito di
poco Grande Fratello): Survivor. Perch notevole questo reality? Perch in esso traspare la vera
quintessenza dei principali reality. Survivor un termine inglese che significa letteralmente
sopravvissuto. C un capitolo del libro Lio minimo di Christopher Lasch che si intitola proprio
La mentalit della sopravvivenza. In esso si afferma, allinizio:

8
Per Huizinga gioco unazione, o unoccupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di
spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se
stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di essere diversi dalla vita ordinaria (J.
HUIZINGA, Homo ludens, Einaudi, Torino 2004, p. 35, corsivo mio).
9
G. DE MARINIS, Sulla realt dei reality, Film TV, Anno 12, n. 45, 2004, p. 33.

7
In unepoca difficile, ancora immersa nel godimento dei comfort materiali sconosciuti alle
generazioni precedenti, eppure ossessionata dal pensiero del disastro, il problema della
sopravvivenza offusca qualsiasi pi nobile pensiero10.

E pi avanti:

La disposizione a pensare alle organizzazioni come istituzioni totali, e alla vita moderna in
generale come una successione di situazioni limite, pu essere fatta risalire ai campi di
sterminio e di concentramento della seconda guerra mondiale, la consapevolezza della cui
esistenza ha influenzato il modo di vedere la vita sociale pi profondamente di quanto si
pensi11.

Lasch ne deduce quanto segue:

La vita quotidiana comincia ad assumere alcune delle caratteristiche meno auspicabili e pi


perniciose del comportamento in situazioni limite: riduzione della prospettiva alle necessit
immediate della sopravvivenza; autosservazione ironica; proteiformit dellio; anestesia
emotiva12.

Queste parole sono state scritte negli USA dei primi anni Ottanta del secolo scorso ma penso che
descrivano altrettanto bene la societ in cui viviamo, e laccenno alle situazioni-limite mi pare
molto significativo se accostato a quello di Marina Villa citato in precedenza. Mi pare evidente,
cio, che il filo rosso che lega i pi importanti reality appunto la presenza di situazioni-limite.
Questa del tutto esplicita in Survivor, ma si ritrova, con varianti marginali, in Lisola dei famosi e
La talpa, che hanno a che fare con un limite di tipo spaziale, ma anche in La fattoria e Ritorno al
presente, in cui il limite di tipo temporale.
A questo punto si dir: anche ammettendo che il ragionamento sia giusto, che centra con il
dilettantismo? Ricordo allora che Lasch parlava di proteiformit dellio: cos questa
proteiformit dellio se non labitudine ad esporsi agli stimoli pi disparati, a sperimentare cose
nuove, a spostare i propri limiti in continuazione, al di l delle proprie capacit e del proprio ruolo?
Non forse sintomo di dilettantismo?
Tornando ai reality, venuto il momento di parlare di quello che probabilmente considerato il
reality show per antonomasia: Grande Fratello. Questo reality, che stato il primo ad andare in
onda in Italia, nel 2000, apparentemente non ha molto a che fare con il tema della sopravvivenza: i
reclusi, infatti, si trovano in una casa dotata praticamente di tutti i comfort, e gli unici disagi
consistono in una specie di razionamento e nel fatto stesso del loro isolamento dallambiente
esterno (le prove settimanali sono semplicemente ridicole). Insomma, parlare di sopravvivenza
sarebbe davvero troppo. Eppure Eppure la realt che per dei festaioli anche la semplice clausura
assume i contorni di una terribile ordalia. La situazione-limite consiste allora nellessere privati del
superfluo e della capacit di movimento, cosa che ai concorrenti deve sembrare, e lo dico senza
ombra di ironia, davvero terribile (del resto gi Marx diceva che tutti i grandi fatti della storia
universale si presentano due volte: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa; nel
nostro caso, la prima volta come campo di concentramento e la seconda come programma
televisivo). Grande Fratello ha le sembianze di un nulla costruito sul nulla, di un nulla al quadrato,
ma appunto perch labilit richiesta dal gioco non un fare, ma piuttosto un non-fare.
Anche nel pi recente La pupa e il secchione si assiste a una situazione-limite: degli intellettuali
sono qui a stretto contatto con delle pupe modaiole e ignoranti, e la pazienza di tutti messa a
dura prova; stesso discorso vale per 1,2,3 stalla!, in cui delle starlet o aspiranti tali sono costrette
a convivere con dei veri contadini e a condividerne, almeno in teoria, le fatiche.
10
C. LASCH, Lio minimo, Feltrinelli, Milano 2004, p. 40.
11
Ibidem, p. 48, corsivo mio.
12
Ibidem, p. 65.

8
Allo stesso filone appartiene poi Unan1mous, in cui per i partecipanti devono scegliere il vincitore
con una decisione allunanimit, il che forse fa venire in mente pi la cosiddetta teoria dei giochi
che un reality show.
Un reality in cui il tema del dilettantismo invece addirittura palese Campioni - Il sogno, dove si
ha a che fare con dilettanti in carne e ossa, nel senso che i concorrenti sono i giocatori di una vera
squadra di calcio dilettantistica impegnata nel campionato di appartenenza; stesso discorso per
Reality Circus, in cui i partecipanti devono, pur non essendo del mestiere, fare vita da circensi, e per
Wild West, con concorrenti che si improvvisano mandriani.
Esistono inoltre reality incentrati sulla performance, in cui prevale cio un elemento agonistico,
elemento che pure abbiamo visto presente nella definizione di dilettante citata in precedenza:
questo il caso di Operazione trionfo e Popstar/Superstar Tour, gare canore fra concorrenti
sconosciuti, di Music Farm, gara canora fra cantanti pi o meno famosi, di Saranno famosi/Amici di
Maria De Filippi/Amici, gara comprendente varie discipline artistiche, del relativo sottoprodotto Il
Ballo delle debuttanti, incrociato per con questioni di bon ton, del pi recente Italian Academy 2,
gara di danza, ma anche di Super Senior, in cui la sfida, per gli ultrasessantenni partecipanti, con
se stessi e le proprie capacit, dato che lobiettivo finale lallestimento di uno spettacolo teatrale.
In definitiva, i reality che non sembrano rientrare nello schema interpretativo qui proposto sono: La
casa delle playgirls, a partecipazione interamente femminile ed in chiave dichiaratamente sexy, le
cui concorrenti, per vincere, devono essere pi seducenti delle altre; Cambio moglie, in cui due
mogli si scambiano, ovviamente per un tempo limitato, le rispettive famiglie; Vero amore, in cui
diverse coppie sono messe alla prova da tentazioni di natura sessuale; ed infine La sposa perfetta,
dai contenuti reazionari, funzionante secondo un rigido schema vassallo-valvassore-valvassino,
nella fattispecie modificato in suocera-buon partito-ragazza da marito (ritengo di poter definire
approssimativamente questo filone minoritario di reality come filone sentimental-sessuale).
Riassumendo, i reality esaminati sono riconducibili per lo pi a tre tipologie:
1) situazioni-limite;
2) dilettantismo lavorativo o palese;
3) spiccato carattere agonistico.
E queste tipologie, come sappiamo, sono sintetizzabili nel concetto di dilettantismo.

3. Ulteriori conferme

Ora, parlando di dilettantismo il punto questo: la duplicit e lampiezza di questo concetto


corrispondono perfettamente allambiguit di fondo della nostra societ. La mancanza di situazioni
veramente chiare e definite, il carattere sempre pi sfuggente delle persone, lincoerenza e laspetto
carnevalesco dei rapporti umani sono cose ormai fin troppo familiari a chiunque per dovervisi
soffermare.
Tornando al mondo dello spettacolo, ci si dovrebbe chiedere: siamo sicuri che in passato i dilettanti
siano stati assenti dalla televisione? La risposta no, nel senso che i dilettanti cerano eccome, ma
concentrati in un solo programma: mi riferisco, naturalmente, a La corrida (che va tuttora in onda).
Mi limito per a far notare che lo scopo e il senso di questa trasmissione era e resta quello di
sbeffeggiare i dilettanti (come recita il sottotitolo: dilettanti allo sbaraglio), in quanto qui il vero
protagonista non il dilettante ma il pubblico che lo giudica. vero che la trasmissione esiste
ancora, ma non che leccezione che conferma la regola, un residuo dellantichit, una specie di
fossile del tutto marginale rispetto allintera programmazione televisiva attuale.
C qualche altra osservazione da fare. Ci sono altri segnali, sempre in ambito televisivo, che mi
sembrano confermare ulteriormente queste mie osservazioni sul dilettantismo.

9
Uno di questi segnali il caso Celentano, cio il mezzo putiferio scatenato dalla trasmissione di
Adriano Celentano Rockpolitik (del 2005, in quattro puntate). In questa trasmissione, in qualche
misura dissonante dal resto della TV italiana, Celentano riuscito a tenere insieme musica (sua e
non sua), monologhi (suoi), satira (di altri) e denuncia (degli autori del programma). Dove sta il
problema? A prima vista consiste soprattutto nel fatto che Celentano ha ridato dignit e ascolti a un
genere osteggiato dal governo allora in carica: la satira. Ma sedendo e mirando ci si accorge che il
vero punto dolente un altro. Tutti ricorderanno infatti il tenore delle polemiche sollevate prima,
durante e dopo la trasmissione da alcuni politici: Celentano gode di troppa libert [sic],
Celentano un cantante e faccia il cantante, non fa intrattenimento, fa politica,
politicamente sgrammaticato, ecc. Non come dire, traducendo in linguaggio pi comprensibile,
che Celentano travalica i ruoli? E questo non forse dilettantismo? Fra laltro mi pare che la
mescolanza di generi praticata in Rockpolitik non renda affatto azzardato un paragone fra questo
programma e la gesamtkunstwerk (opera darte totale) wagneriana (e si noti come Wagner stesso
fosse considerato, gi dai suoi contemporanei, un dilettante13). Quello che stupisce allora la
provenienza di simili critiche, dato che si pu dire che il successo del programma di Celentano
della stessa sostanza del Padre. Lunica spiegazione al riguardo sta evidentemente nel vecchio
detto chi sa il trucco non linsegni. Il problema ha poi assunto le proporzioni che ha assunto
perch riguarda la star Adriano Celentano, altrimenti non avrebbe certo avuto la stessa risonanza.
Scrive Debord nella sua opera pi importante:

La condizione di vedette la specializzazione del vissuto apparente, loggetto


didentificazione alla vita apparente senza profondit, che deve compensare il frazionamento
delle specializzazioni produttive effettivamente vissute. Le vedette esistono per rappresentare
tipi variati di stili di vita e di stili di comprensione della societ, liberi di esercitarsi
globalmente. Esse incarnano il risultato inaccessibile del lavoro sociale, mimando dei
sottoprodotti di questo lavoro, che sono magicamente trasferiti al di sopra di esso come suo
fine: il potere e le vacanze, la decisione e il consumo, che sono allinizio e alla fine di un
processo indiscusso. L, il potere governativo che si personalizza in pseudovedette; qui la
vedette del consumo che si fa riconoscere plebiscitariamente come pseudopotere sul vissuto14.

Nella nostra societ, dice cio Debord, lo spettacolo avvolge ogni cosa, penetra dappertutto e crea i
propri agenti (le vedette, i divi, o comunque li si voglia chiamare), privi di ogni qualit autonoma e
le cui divergenze sono perci apparenti.
Rispetto a Rockpolitik, diverso il caso di una trasmissione come Striscia la notizia: anche qui si ha
una compresenza di generi, ma essi restano meccanicamente sovrapposti e sempre distinguibili a
occhio nudo. Il dilettante supera o almeno attraversa la divisione dei ruoli (generi), mentre in
Striscia la notizia questo non accade: limitatore che si imbuca alle feste comico, le inchieste e i
servizi sono giornalistici, le veline sono intrattenimento, i conduttori delle semplici didascalie.
Manca cio un elemento unificante, di sintesi del tutto.
In definitiva, da questa breve analisi dello spettacolo in Italia mi sembra emergere con forza una
tendenza al dilettantismo, che naturalmente non ci autorizza a confonderla con la realt tout court.
Per capire in quale misura il dilettantismo penetrato nella societ italiana sono certamente
necessarie verifiche di altro tipo, ma mi pare innegabile che gli elementi emersi vanno in direzione
della sedimentazione di un senso comune dilettantistico. N, daltra parte, il discorso deve restare
necessariamente circoscritto allItalia: basti pensare che i format di molti dei programmi qui
considerati sono stranieri.
E, a proposito, c anche un altro caso eclatante di dilettantismo: il mitico Homer Simpson. Homer
il capofamiglia del cartone animato di culto I Simpson, che, stando a quanto ha dichiarato il suo
ideatore Matt Groening, ha nel pubblico italiano il terzo avamposto mondiale per livello di ascolti (

13
Cfr. ad es. F.W. NIETZSCHE, Considerazioni inattuali, Newton Compton, Roma 1997, p. 239 ss.
14
G. DEBORD, La societ dello spettacolo, cit., p. 17.

10
stato trasmesso in Italia a partire dal 1991). Homer Simpson ha svolto via via i pi svariati lavori
senza alcuna preparazione (ad esempio agricoltore, pugile, comandante di una nave militare,
missionario, barista e chi pi ne ha pi ne metta), compreso quello abituale di addetto alla
sicurezza di una centrale nucleare (con esiti spesso disastrosi), e tuttavia non si cura minimamente
della sua leggendaria inettitudine (memorabile, sul punto di essere licenziato, la sua esclamazione:
Marge, non si tratta di soldi: il mio lavoro la mia identit!, che, per chi conosce il personaggio,
una bestialit esilarante e vuol dire in realt esattamente il contrario). Homer Simpson
probabilmente la pi chiara, incisiva ed estrema figura di dilettante mai apparsa nellambito della
creazione artistica. Anche se una delle sue massime : Provare il primo passo verso il
fallimento, che non proprio una massima da dilettante, il suo comportamento totalmente agli
antipodi, dato che ogni sua azione compiuta prima ancora che il suo cervello si sia messo in moto
(altra frase memorabile, rispondendo alla proposta della figlia Lisa di ascoltare la radio invece di
guardare la TV: Basta che accendi qualcosa, sto cominciando a pensare!). La sua figura risalta
ancora di pi in confronto con gli altri membri della famiglia Simpson, che sono (tranne la piccola
Maggie, che si pu considerare, mutatis mutandis, una figura analoga a quella del padre: si vedano
alcune incredibili e del tutto inverosimili performance come i due salvataggi di Homer,
dallannegamento nelloceano e dalla mafia a fucilate, e il ferimento del signor Burns) nettamente
caratterizzati: la casalinga (Marge), il teppista (Bart) e lintellettuale (Lisa).
Ma la figura di Homer Simpson, per quanto riuscita, resta appunto una creazione artistica: nel
mondo reale nessuno pu cambiare lavoro con la facilit e la velocit di Homer. Per dirla pi
chiaramente, fra dilettantismo e precariet c un rapporto di proporzionalit inversa: il dilettante
sceglie unattivit, ma anche i suoi ritmi e la sua durata, mentre il precario non sceglie n lattivit,
n i ritmi, n la durata ( infatti perennemente a tempo determinato). E, dato che nella nostra
esperienza quotidiana siamo immersi nella precariet fino al collo, la tendenza dello spettacolo al
dilettantismo qui emersa (ma un fugace accenno a questo tema c gi in Debord, che parlava di
fine parodistica della divisione del lavoro15) si pu senzaltro definire una negazione spettacolare
della precariet. Ma bisogna aggiungere che essa trova comunque il suo fondamento nella vera e
propria mutazione antropologica connessa al genocidio culturale che caratterizz lavvento
della societ dei consumi in Italia e che Pasolini16 descrisse in diretta, proprio mentre avveniva,
con accenti di grande intensit.

4. Anatomia di un concetto

A ben vedere, gi in passato il tema del dilettantismo affiorato qua e l, pi o meno


direttamente, ben prima dellavvento della societ dello spettacolo (altro nome, pi preciso e
penetrante, della societ dei consumi ovvero della societ a capitalismo avanzato).
Precisamente, la teorizzazione del dilettante comincia in Germania nellultimo decennio del
Settecento, con degli abbozzi per un articolo (che poi non fu mai scritto per esteso) scritti in comune
da Goethe e Schiller nel marzo-maggio 1799 a Jena e pubblicati nel 1832 fra le opere di Goethe.
Nel complesso in questi abbozzi, che eserciteranno grande influenza, il dilettantismo viene visto,
per quanto necessario dal punto di vista storico, sociale e istintuale, come pi dannoso che utile, sia
al soggetto sia soprattutto alle arti.
Ma chi il dilettante?

Un artista, gli italiani lo chiamano sempre maestro. Se vedono che uno esercita unarte
senza farne professione, dicono si diletta. [] La parola dilettante non si trova nella lingua

15
G. DEBORD, Commentari sulla Societ dello spettacolo, in Id., La societ dello spettacolo, cit., p. 55.
16
Cfr. P.P. PASOLINI, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1993, passim.

11
italiana pi antica. Significa un amatore delle arti, che non vuole solo contemplare e godere, ma
anche prendere parte allesercizio di esse. [] Quando parliamo di dilettanti, escludiamo il
caso di uno nato con un reale talento artistico e a cui le circostanze abbiano impedito di
coltivarlo da artista. Parliamo soltanto di quelli che, senza possedere un talento particolare per
questa o quellarte, lasciano fare solo allimpulso generale allimitazione17.

Gi si pu notare come il termine abbia una netta connotazione negativa. Proseguono infatti gli
autori:

Il dilettante sta allarte come colui che fa un lavoro abborracciato sta al mestiere. []
Dilettante si diventa. Artista si nasce. [] Esperienza che si fa coi fanciulli, stimolati da ogni
cosa in attivit che cada sotto i loro occhi: soldati, attori, funamboli. Si propongono un fine
irraggiungibile, che vedono ottenere da adulti esercitati e riflessivi. I loro mezzi diventano
scopo: scopo fanciullesco, mero gioco, occasione per esercitare la loro passione. Quanto i
dilettanti somigliano a costoro18.

Un saggio interessante sul tema poi Dilettantismo di Rudolf Kassner, del 1910, ricco di cenni
storici, che merita di essere citato ampiamente.

Le epoche con una coscienza giuridica altamente sviluppata, con una grande educazione
politica e piene di un forte senso della comunit, sul cui fondamento esse siano sempre
cresciute, non conoscono in genere n il concetto n la questione dei dilettanti. [] Gli alti
princpi e i grandi risultati costringono luomo a decidersi per il bene o per il male e il
dilettante invece sempre indeciso nellanima19.

subito evidente che anche Kassner non ha una buona opinione del dilettante, che contrappone alla
legge, intesa innanzi tutto in senso giuridico, ma anche in senso etico:

Neanche la dogmatica e letica delle religioni menzionano il dilettante. [] Solo singoli


uomini profondamente religiosi come Agostino, Pascal, Kierkegaard, per i quali la fede fu
lesperienza pi profonda della loro vita, hanno in qualche modo sentito e conosciuto il
dilettante. [] Ma [] il punto di vista della chiesa questo: senza peccato originale non vi
altro peccato, senza peccato originale il peccatore non affatto un peccatore bens appunto un
dilettante, un dilettante nel peccato e nella virt, una creatura vaga, un parassita, uno zingaro e
un clown, [] la chiesa non lasci e non lascia mai crescere lidea del dilettante, bens giudica
e condanna il dilettante come rivoltoso, perch a lei non serve il singolo e perch nel suo
mondo tutto tende alla legge e al giudice supremo20.

Seguono poi alcune osservazioni molto penetranti:

Il dilettante sempre nel tempo. Anzi, egli sopravvaluta il tempo e i suoi concetti. proprio
da questo che lo si deve riconoscere, dal fatto che ha una concezione cos esagerata di tutto ci
che attuale e dal fatto che riconduce tutto allattuale. Ed perci che egli senza solitudine e
fugace. E privo di un vero presente. [] Nel diciassettesimo e diciottesimo secolo il dilettante
sopravvalutava le arti e i sistemi, luomo esteriore, luomo politico. Nel nostro tempo egli
sopravvaluta luomo in s, luomo senza misura, senza legame. [] Lo dico subito
francamente: il dilettantismo si sviluppa preferibilmente nellindividualismo. [] Ci significa:
perch possa esistere il dilettante luomo deve essere gi stato portato ad una certa concezione
della propria libert e del proprio significato e deve aver difeso per un certo periodo questa

17
J.W. GOETHE, F. SCHILLER et al., Il dilettante, Donzelli, Roma 1993, p. 3.
18
Ibidem, pp. 4-5, corsivo mio.
19
Ibidem, p. 139.
20
Ibidem, pp. 140-142.

12
concezione come un bene prezioso e unico, deve aver imparato a essere uomo per amore
delluomo21.

Possiamo notare come queste osservazioni siano affini al tema della sopravvivenza che abbiamo gi
incontrato in Lasch. Kassner torna quindi ad occuparsi della storia del concetto:

I greci non hanno un termine per il nostro dilettante. Tuttavia conoscevano la questione. Chi
legge Platone potrebbe pensare che i greci conoscessero su tutta la terra solamente artisti e
dilettanti. Ma non del tutto. Perch il greco d valore al fatto di sapere e capire una cosa e non,
come noi moderni, al fatto di trarne piacere. Il nostro concetto del dilettante deriva proprio da
questo trar piacere da una cosa e dallarte, mentre per noi il termine abborracciatore che
indica colui che non conosce una cosa. Il dilettante greco quindi sarebbe stato piuttosto
labborracciatore, il non-artista che non capisce la tecnica di una cosa, che affronta male la
materia []. Forse solo Platone introdusse la sfumatura del dilettante nel concetto cos
semplice e chiaro di non-artista, cos come nelluomo di Platone si ha gi lintuizione
dellindividualismo moderno22.

Dopo aver trattato di alcune figure affini a quella del dilettante, e del dilettantismo presso vari
popoli, lautore conclude:

Se per una volta consideriamo il dilettantismo nel senso popolare del termine, cos come lo
intende la persona istruita che ragiona in modo abitudinario, allora si pu affermare che la vita
moderna, la nostra epoca non sono adatte per il dilettantismo. [] La macchina piega e distorce
luomo e luomo tramite essa diventa solo un membro, un braccio, cinque dita, due occhi, una
nuca, ma non un dilettante. Dov allora tra i lavoratori il posto per il dilettante? Non c, e
dunque noi chiamiamo dilettante colui che non lavora, colui che dedito ai piaceri, il
fannullone23.

Queste conclusioni in particolare ci portano ora a dover indagare sulla dicotomia lavoro-
divertimento, come sviluppo di quella appena emersa abborracciamento-piacere: cercheremo cos di
arrivare alla sostanza di questo strano concetto a due facce. A tal fine partiamo da alcune
interessanti osservazioni contenute nei Pensieri di Pascal. Scrive Pascal:

Luomo, per quanto sia pieno di tristezza, se lo si pu convincere a partecipare a qualche


distrazione, finch questa durer, sar felice; e per quanto felice sia, se non distratto e
occupato da qualche passione, o da qualche divertimento che impedisca alla noia di riempirgli
lanimo, sar ben presto scontento e infelice. Senza distrazione non c gioia, con la distrazione
non c tristezza. La felicit delle persone di alta condizione dipende dal fatto di avere intorno
molta gente che le distrae, e di potersi mantenere in quella stessa condizione24.

E pi avanti:

La sola cosa che ci consola delle nostre miserie il divertimento, e tuttavia la pi grande
delle nostre miserie, perch soprattutto esso che ci impedisce di pensare a noi stessi, e che,
insensibilmente, fa s che ci perdiamo. Senza il divertimento, saremmo nella noia, e questa noia
ci spingerebbe a cercare un mezzo pi sicuro per uscirne. Ma la distrazione ci diverte, e ci fa
arrivare insensibilmente alla morte25.

21
Ibidem, pp. 145-146, corsivo mio.
22
Ibidem, pp. 147-148.
23
Ibidem, pp. 167-168.
24
B. PASCAL, Pensieri, Newton Compton, Roma 1993, p. 60.
25
Ibidem, p. 66.

13
Pascal riflette quindi sul rapporto che gli uomini hanno col tempo:

Ciascuno esamini i suoi pensieri: li trover tutti occupati nel passato o nellavvenire. Non
pensiamo quasi per niente al presente, e se ci pensiamo, soltanto perch ci illumini per
predisporre lavvenire. Il presente non mai il nostro fine; il passato e il presente sono i nostri
mezzi; soltanto lavvenire il nostro fine. In tal modo, non viviamo mai, ma speriamo di
vivere, e, disponendoci sempre a essere felici, inevitabile che non lo siamo mai26.

Si pu dedurre da queste riflessioni, risalenti al diciassettesimo secolo e che riflettono ovviamente


quella realt, che:
1) il divertimento ha una connotazione decisamente negativa, perch inteso come distrazione,
etimologicamente come un distogliersi da una realt sociale rigidissima, praticamente statica,
come unevasione temporanea dalla routine il divertimento, che non tutti si possono permettere,
un antidoto (molto relativo) alla routine immutabile (Pascal dice proprio noia, come abbiamo
visto);
2) il presente il tempo della noia, per cui non ci si pensa mai veramente, ma si preferisce sperare
di vivere, cio pensare al futuro.
Confrontiamoci adesso con la situazione di unepoca successiva, e precisamente la seconda met
dellOttocento, acutamente analizzata da Walter Benjamin nel saggio Di alcuni motivi in
Baudelaire. Scrive Benjamin:

Angoscia, ripugnanza e spavento suscit la folla metropolitana in quelli che primi la fissarono
in volto. In Poe essa ha qualcosa di barbarico. La disciplina la frena solo a stento. []
Muoversi attraverso il traffico, comporta per il singolo una serie di chocs e di collisioni. Negli
incroci pericolosi, percorso da contrazioni in rapida successione, come dai colpi di una
batteria. Baudelaire parla delluomo che simmerge nella folla come in un serbatoio di energia
elettrica. E lo definisce subito dopo, descrivendo cos lesperienza dello choc, un
caleidoscopio dotato di coscienza. [] Venne il giorno in cui il film corrispose a un nuovo e
urgente bisogno di stimoli. Nel film la percezione a scatti si afferma come principio formale.
Ci che determina il ritmo della produzione a catena condiziona, nel film, il ritmo della
ricezione27.

Quindi Benjamin, citando Marx, nota:

Ogni lavoro alla macchina esige [] un precoce tirocinio delloperaio. Questo tirocinio va
distinto dallesercizio. Lesercizio, solo decisivo nel mestiere, aveva ancora una funzione nella
manifattura. Sulla base della manifattura ogni particolare ramo di produzione trova
nellesperienza la forma tecnica ad esso conforme, e la perfeziona lentamente28.

La novit che la stessa manifattura produce, daltra parte, una classe di operai non specializzati,
che lazienda di mestiere escludeva rigorosamente.

Loperaio non specializzato quello pi profondamente degradato dal tirocinio della


macchina. Il suo lavoro impermeabile allesperienza. Lesercizio non vi ha pi alcun diritto.
Ci che il lunapark realizza nelle sue gabbie volanti e in altri divertimenti del genere non che
un saggio del tirocinio a cui loperaio non specializzato sottoposto nella fabbrica29.

Vale a dire che il divertimento diventa obbligatorio. Scrive ancora Benjamin:

26
Ibidem, p. 67, corsivo mio.
27
W. BENJAMIN, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1997, pp. 109-110.
28
Ibidem, p. 111.
29
Ibidem, pp. 111-112.

14
Allesperienza dello choc fatta dal passante nella folla corrisponde quella delloperaio addetto
alle macchine. [] In ogni caso Baudelaire era lontanissimo da un concetto simile. Ma egli
stato affascinato da un processo dove il meccanismo riflesso che la macchina mette in moto
nelloperaio si pu studiare nellozioso come in uno specchio. Questo processo il gioco
dazzardo. [] Allo scatto nel movimento della macchina corrisponde il coup nel gioco
dazzardo [] e la schiavit del salariato fa, in qualche modo, pendant a quella del giocatore. Il
lavoro delluno e dellaltro egualmente libero da ogni contenuto30.

E inoltre:

Se si considera il gioco dazzardo non tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello
psicologico, la concezione di Baudelaire appare ancora pi significativa. Il giocatore mira al
guadagno: questo chiaro. Ma il suo gusto di vincere e far quattrini non si pu definire un
desiderio nel senso proprio della parola. Ci che lo occupa intimamente , forse, avidit, forse
una cupa decisione. Comunque si trova in uno stato danimo in cui non pu fare tesoro
dellesperienza. Il desiderio, invece, appartiene agli ordini dellesperienza31.

Benjamin cita poi alcuni versi di Baudelaire, sintetizzandoli da par suo:

Et mon coeur seffraya denvier maint pauvre homme


Courant avec ferveur labme bant,
Et qui, sol de son sang, prfrerait en somme
La douleur la mort et et lenfer au nant32.
In questi ultimi versi, Baudelaire fa dellimpazienza il substrato della furia del gioco33.

Cosa ci dice, in sostanza, Benjamin? Ci dice che in seguito alla rivoluzione industriale:
1) labitante della grande citt sottoposto quotidianamente a una serie di choc, e questo fa s che
cominci ad avvertire un continuo bisogno di stimoli;
2) il lavoro si allontana dal mestiere, perch lesperienza vi perde ogni importanza;
3) lesposizione agli choc equivale al tirocinio delloperaio addetto alle macchine e al gioco
dazzardo;
4) lesperienza e il desiderio perdono la loro importanza nella psiche delluomo.
Ora, se ricordiamo la voce dilettante del vocabolario, evidente che le osservazioni di Pascal
hanno a che fare con la prima definizione e quelle di Benjamin con la seconda. Questo di dilettante,
infatti, come abbiamo visto, un concetto duplice. Ma qual il suo elemento unificante? Con ogni
evidenza, non pu che essere proprio il desiderio: simmetricamente, desiderio di vivere al di fuori
del presente (divertimento in Pascal) e desiderio di vivere al presente (bisogno di stimoli in
Benjamin).
Qui c unapparente contraddizione: non diceva Benjamin che il desiderio perde importanza nella
psiche delluomo moderno? Come pu essere allora alla base di questo strano concetto che
suppongo rilevante nella nostra situazione attuale? Il fatto che il desiderio di cui parla Benjamin, il
desiderio-esperienza, solo un tipo di desiderio: esiste anche un desiderio inconscio, desiderio a
presa rapida che esige immediata realizzazione e di conseguenza fa a meno dellesperienza.

30
Ibidem, pp. 112-113.
31
Ibidem, p. 114.
32
[] E il cuore mio/ si sbigott del fatto di invidiare/ tanti poveri uomini che, ardenti,/ verso labisso spalancato
corrono/ e che, dal proprio sangue ubriacati,/ a conti fatti certo preferiscono/ alla morte il dolor, linferno al nulla!
(ultimi versi della poesia Le Jeu tradotta da L. De Nardis, in C. BAUDELAIRE, I fiori del male, Feltrinelli, Milano
1989, p. 183).
33
W. BENJAMIN, Angelus novus, cit., p. 116.

15
5. Forme del desiderio

Parlando del desiderio, necessario riconoscerne la natura ambigua. Come dice Fabio
Ciaramelli:

Il desiderio dellaltro [] implica allora una trasformazione profonda del desiderio inconscio.
Se infatti questultimo caratterizzato dal godimento immediato del suo oggetto, e quindi dalla
totale assenza dello scarto temporale tra il desiderio e il suo soddisfacimento, il desiderio
dellaltro ha una struttura inevitabilmente trasversale, indiretta od obliqua. Il punto decisivo
che il desiderio inconscio non ha autentica alterit, confinato com allinterno della vita
psichica originaria. [] Ma - - come ci ricorda Levinas - - il desiderio autentico non aspira al
ritorno proprio perch, lungi dal tendere a ci da cui procede, sorienta verso lestraneit
dellaltro - - vale a dire verso quanto eccede la sua origine allinterno stesso del soggetto. []
Loriginario si configura perci come radicale non immediatezza, cio come esplosione verso
unalterit estranea al proprio, ma fin dallinizio, in virt della sua stessa assenza, implicata
nel proprio. [] Il desiderio umano ambiguo, proprio perch al tempo stesso pulsionale e
indiretto, cio culturalmente codificato. [] La deriva del desiderio - - il suo movimento
indiretto verso sempre parziali forme di appagamento e soddisfacimento differito - -
originaria proprio perch il desiderio non mai immediato e diretto ma fin dallinizio coinvolto
nella mediazione istituita. [] Tra desiderio inconscio e desiderio sociale, centrale il ruolo
della rimozione originaria come rinuncia allimmediato34.

Per riassumere, il concetto di dilettante appare dunque costituito in primo luogo, in negativo, da due
elementi (divertimento e non-specializzazione), ma anche, in positivo, dal desiderio; a sua volta lo
stesso desiderio ambiguo, in quanto al tempo stesso pulsionale e culturalmente codificato.
Abbiamo cos addirittura una doppia ambiguit.
Concentriamoci a questo punto sui nemici del desiderio. Uno, come abbiamo visto, il desiderio
stesso rivolto allindietro verso una pienezza originaria che non che un suo fantasma: il desiderio
inconscio (ossia il bisogno). Ma ce n un altro, non meno importante: la frustrazione, cio la
continua mancata gratificazione del desiderio. Se nel caso del desiderio inconscio si ha, allestremo,
una specie di delirio di onnipotenza, in quei casi in cui lentit della frustrazione cos elevata da
superare i limiti di tolleranza da parte del soggetto si ha apatia (indifferenza, demotivazione totale) e
angoscia (agitazione incontrollabile) o, per meglio dire, una tenaglia ristagno-parossismo del
desiderio che, come nel primo caso, ne indica la regressione a uno stato barbarico. La differenza
che in questultimo caso la barbarie compressa e concentrata, mentre nellaltro diluita e
uniforme. Entrambi i casi sono poi diversi da quello della speranza.
Leopardi diceva che la speranza una quasi stessa, o certo inseparabil, cosa col desiderio35, ma
ci vero solo in un senso ben definito: il desiderio, infatti, avvertimento di una mancanza, ma
bisogno consapevole, energia applicata a uno scopo36, mentre la speranza oscillazione derivante
dal timore che questa mancanza non sar colmata37; per cui possiamo dire che la speranza s
desiderio, ma intermittente, traballante, desiderio misto a paura (il che, per inciso, spiega come
mai la speranza sia sempre tenuta in gran conto, Bloch a parte, dai potenti e dai mistificatori di tutte
le risme).
Facciamo alcuni esempi tratti dallarte cinematografica (c da dire che in genere gli artisti
sentono il proprio tempo meglio di molti intellettuali).

34
F. CIARAMELLI, Sullambiguit del desiderio, reperibile in Internet (al 9/5/2009) allindirizzo
http://mondodomani.org/dialegesthai/fc01.htm.
35
G. LEOPARDI, Zibaldone, vol. II, Mondadori, Milano 1997, p. 2700.
36
Cfr. B. SPINOZA, Etica, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 142.
37
Cfr. ibidem, p. 146.

16
Il primo esempio da prendere in considerazione Charlot di Charlie Chaplin. Pur tenendo presente
che Charlot non un personaggio ma una maschera, si pu sinteticamente affermare che egli un
vagabondo, un escluso che non vorrebbe altro che lintegrazione nella societ, integrazione che si
dimostra (con leccezione di pochi film) impossibile. Ad ogni modo, questa la faccia di Charlot
entrata nellimmaginario collettivo: un poveraccio continuamente sulla difensiva, pur con i suoi
sberleffi e le sue irriverenze, uno straccione mosso unicamente dal bisogno, e principalmente dal
bisogno pi elementare, la fame (memorabile la scena di La febbre delloro in cui Charlot vede il
suo compagno davventura sotto le sembianze di un pollo gigante). Per cui Charlot, il vagabondo,
una maschera del desiderio inconscio.
Consideriamo adesso un altro personaggio famosissimo: lAlex De Large di Arancia meccanica di
Stanley Kubrick. Alex il capo di una banda di giovani teppisti dediti a violenze e stupri, e la sua
filosofia si pu dedurre facilmente dalla risposta che d ai compagni quando gli propongono di
fare un grosso colpo, un bel colpo da adulti, per avere tanti soldi: Non hai tutto il necessario? Se
volete una bella auto la cogliete dallaiuola stradale, se ti servono i tintinnanti li gratti, no?. Anche
qui, come si vede, siamo nel regno del desiderio inconscio, dellappagamento immediato. Alex,
per, il vagabondo della societ dei consumi, e ha un destino decisamente diverso da quello di
Charlot: dopo aver tentato di rieducarlo, infatti, il governo fa marcia indietro riportandolo alle sue
vecchie abitudini; mentre Alex immobilizzato a letto, convalescente, il ministro va a fargli visita e
lo imbocca. Il capitalismo, dunque, che imbocca il vagabondo.
Il terzo esempio cinematografico da considerare Fantozzi. Fantozzi il leggendario ragioniere
maltrattato da tutti, perennemente alle prese con contrattempi e angherie, che subisce in
continuazione ma cui occasionalmente si ribella. Le sue ribellioni non sono per mai preordinate,
ma avvengono del tutto spontaneamente, come scatti improvvisi: come dimenticare limpietosa
stroncatura del film La corazzata Potmkin, o lira funesta contro la statua della madre del
megadirettore (contro la quale, per la fretta, ogni mattina andava puntualmente a sbattere)? Fantozzi
un frustrato: siamo quindi dalle parti di quella che ho definito tenaglia ristagno-parossismo del
desiderio. Bisogna aggiungere che Fantozzi un professionista: molto scrupoloso nel suo lavoro,
al punto da svolgere spesso e volentieri anche quello dei colleghi cialtroni, il suo mondo un
mondo gerarchico e formale (ci si d sempre del lei, anche a sproposito), tutti si chiamano non per
nome ma per titolo (ragioniere, geometra, ecc.), e la condizione lavorativa ha un peso tanto
determinante, seppure in negativo, che gli impiegati sono seguiti da nuvole minacciose (ogni
impiegato ha la sua nuvola personale); inoltre Fantozzi, una volta andato in pensione, sente
nonostante tutto nostalgia del lavoro, arrivando perfino a farsi riassumere (in nero) dalla megaditta.
La costante che, lavoro o non lavoro, Fantozzi trattato da tutti quelli con cui ha a che fare come
una nullit assoluta (una merdaccia), e la sua vita decisamente squallida.
Ora, se confrontiamo il tragico destino di Ugo Fantozzi con quello di Alex De Large, vediamo
facilmente che lantitesi non pu essere pi totale. Stando alle indicazioni che ci vengono da queste
immortali creazioni artistiche, dobbiamo riconoscere questo: la societ a capitalismo avanzato ha
stabilito che Alex pi utile di Fantozzi, che il vagabondo pi utile del professionista. E ci
avviene per la diversa forma che il desiderio assume nelle due tipologie: desiderio ristagnante-
parossistico nel caso del professionista, desiderio inconscio nel caso del vagabondo.
Scrive Ciaramelli:

La dimensione creativa del desiderio frustrata e disconosciuta nellimmaginario narcisistico


dellet dei consumi di massa, al cui interno prevale e simpone con prepotenza il modello
ripetitivo dellappagamento immediato da realizzarsi, da parte di pochi privilegiati, attraverso il
meccanismo autoreferenziale del consumo e del possesso. Tutto cospira e deve cospirare ad
annullare gli ostacoli che si frappongono allagognata gratificazione. Ecco perch si tende ad
abolire la mediazione, disintegrando lo spazio dei simboli. In conseguenza di ci, differimento,
deviazione e quantaltro contribuisca a rimandare il possesso delloggetto viene denigrato e
tendenzialmente espunto dalla struttura del desiderio. [] Che la corsa a sempre nuovi oggetti
di consumo resi appetibili dal proliferare contagioso e mimetico del desiderio sia una farsa

17
triste e grottesca per un numero crescente di disperati, non le impedisce di occupare il centro
dellimmaginario collettivo nellepoca della globalizzazione. Ragion per cui caratteristica e
contraddizione che domina il nostro tempo linflazione del desiderio, tenuto in considerazione
solo in quanto costituisce lunico tramite efficace in vista dellinduzione indispensabile di
sempre nuovi bisogni38.

Per quanto riguarda la scomparsa delletica del lavoro, gi nei primi anni Sessanta del secolo scorso
Henri Lefebvre scrive:

In altri tempi, quando lartigianato, la corporazione, il mestiere avevano ancora molta


importanza, luomo sociale per eccellenza, il lavoratore, si formava nel e con il lavoro. In
questo senso la genesi dellessere individuale riproduceva la genesi delluomo sociale. La
situazione era relativamente semplice. Attitudini e comportamenti fuori del lavoro
provenivano pi o meno direttamente, ma essenzialmente, dal lavoro. Lindividuo era questo
o quello: minatore, carpentiere, muratore, professore Il mestiere determinava quasi
completamente la vita quotidiana. Creava dei tipi umani ben differenziati []. Oggi, nei paesi
industriali avanzati, questa situazione relativa del lavoro e del fuori-lavoro tende a
rovesciarsi. Uno spostamento dei centri dinteresse si compie. lattitudine verso il lavoro che
si forma nella vita quotidiana []. Pi precisamente: un tempo il lavoro possedeva un valore
in senso etico come in senso economico. Cerano i valori del lavoro: il lavoro ben fatto, il
prodotto considerato ancora come unopera personale, comparabile sino a un certo punto
alloggetto creato dallartigiano o dallartista, e cos via. Con la divisione parcellare del lavoro
(e nelle fabbriche con lentrata in massa degli operai comuni, manovali specializzati sulle
macchine) quelletica tradizionale si polverizzata. Il lavoro non attira pi nessuno39.

Daltra parte, che il vagabondo (cio, in sostanza, il sottoproletario) sia ormai integrato nella societ
attuale confermato dal fatto che anche chi per lungo tempo gli ha attribuito potenzialit
rivoluzionarie si dovuto ricredere40.
Quello che mi pare innegabile, in ogni caso, il declino del professionismo. La divisione del lavoro
permane ed anche molto rigida, ma il professionista, in quanto professionista, non conta pi
niente.

6. Precarizzazione, ruoli, ideologia

Resta da vedere se in questultima fase dello sviluppo capitalistico la situazione sia la stessa,
ai nostri fini, di quella che abbiamo visto analizzata da Benjamin e Lefebvre, o se invece siano
intervenuti mutamenti sostanziali. Scrive Vittorio Rieser (in un saggio che senzaltro il caso di
citare dettagliatamente41) che

non c dubbio che etichettare la fase attuale del capitalismo come post-fordista, cos come
etichettarla in termini di globalizzazione, abbia una componente ideologica, che offusca
alcuni elementi della realt. Esaltandone altri. Ma, al tempo stesso, non c dubbio che la fase
attuale presenti forti elementi di discontinuit rispetto alla precedente: in particolare, rispetto
alla qualificazione del lavoro e al mercato del lavoro (esterno e interno allimpresa) in cui essa

38
F. CIARAMELLI, La distruzione del desiderio, Dedalo, Bari 2000, pp. 151-152.
39
H. LEFEBVRE, Critica della vita quotidiana, vol. II, Dedalo, Bari 1977, pp. 81-82.
40
In questa direzione, infatti, al di l delle fumosit, vanno i recenti discorsi sul fare la rivoluzione senza prendere il
potere.
41
V. RIESER, La qualit alienata, reperibile in Internet (al 9/5/2009) allindirizzo http://www.larivistadelmanifesto.it/
archivio/50/50A20040515.html, corsivo mio.

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si muove []. In realt, cambiato il terreno su cui si innesta (e quindi si misura) la
qualificazione del lavoro, dallorganizzazione del lavoro al suo mercato - e quindi alcune
dispute sullaumento o diminuzione della qualificazione non hanno senso, se non si ridiscutono
i criteri con cui la si analizza e la si misura. Per di pi, questo mutamento di terreno non
omogeneo. Vi sono ampie porzioni dei processi produttivi dove, almeno prima facie, i vecchi
criteri funzionano []. Per questo, per cogliere complessivamente questo mutamento generale
ma disomogeneo del terreno, opportuno partire da un livello di astrazione pi elevato: in
queste note proponiamo di ripartire dal concetto marxiano di lavoro astratto.

Il lavoro astratto, secondo quanto afferma Marx nei Grundrisse,

[] lavoro puro e semplice, [] assolutamente indifferente a una particolare


determinatezza, [] quanto pi il lavoro perde ogni carattere artigianale, la sua particolare
rifinitezza diventa sempre pi qualcosa di astratto e indifferente, ed esso diventa
progressivamente attivit puramente astratta, attivit puramente meccanica, e perci
indifferente, indifferente alla sua forma particolare; attivit semplicemente formale, o, che lo
stesso, semplicemente materiale, attivit in generale, indifferente alla forma. Il carattere
astratto del lavoro cresce con il livello di sviluppo capitalistico []. Ma, al tempo stesso, vi
sono notazioni come questa: [] il capitale spinge il lavoro oltre i limiti dei suoi bisogni
naturali, e in tal modo crea gli elementi materiali per lo sviluppo di una individualit ricca e
dotata di aspirazioni universali, nella produzione non meno che nel consumo. Il lavoro
astratto stato spesso sinteticamente definito come lavoro senza qualit. Certo, per
esattamente nel senso in cui il protagonista del romanzo di Musil uomo senza qualit: []
senza qualit proprie, non (necessariamente) di bassa qualit. Tale lavoro pu presentare
qualit professionali elevatissime, e per non sono sue, non sono di sua propriet, ma
derivano (quando va bene, o vengono negate, quando va male) dal suo rapporto col capitale;
entrano (o non entrano) in funzione nel rapporto subordinato col comando capitalistico. Forse,
pi propriamente, anzich senza qualit (che in italiano pu dar luogo ad equivoci), si
potrebbe definire in termini di qualit alienata. [] Nelle fasi precedenti dello sviluppo
capitalistico, la fascia (sia pure minoritaria e in diminuzione) dei lavoratori di elevata
professionalit si caratterizzava anche per il fatto che tale professionalit era, in qualche modo,
patrimonio personale del lavoratore, che poteva portarsela con s sul mercato del lavoro e
lungo larco della sua vita lavorativa. Oggi, assistiamo a una scissione crescente tra elevata
qualificazione e possesso personale della qualificazione stessa. [] La qualificazione si
presenta cos come una sommatoria di micro-processi di apprendimento, spesso tra loro
eterogenei, la cui sequenza non controllata dal lavoratore.

Per concludere,

leterogeneit dei processi di apprendimento richiesti per non essere tagliati fuori riduce il
peso dellaccumulazione di esperienza (sia nel senso micro, relativo alla mansione
specificata, sia in quello macro, relativo al tipo di qualificazione acquisita), e aumenta quello
del livello scolastico e dellet (il giovane pi atto a processi di apprendimento mutevoli ed
eterogenei che non lanziano). [] Ci significa - tra laltro - che anche il livello formativo
diventa astratto, non pi patrimonio su cui il lavoratore pu investire prevedendo il suo
rendimento, ma solo un biglietto di ingresso indispensabile per entrare nel mondo del
lavoro astratto (eventualmente) qualificato.

Fin qui Rieser. Ma c di pi.

La terziarizzazione del lavoro, connessa ai processi di outsourcing, allespansione strategica


delle funzioni di servizio incorporate nelle merci e alla mercificazione dei beni relazionali, ha
sviluppato rappresentazioni del lavoro fortemente centrate sulla potenza costruttiva del soggetto
al lavoro, svincolato da un contesto formale di subordinazione. Queste culture, cresciute
allinterno dei processi di esodo delle soggettivit dallideologia novecentesca del lavoro e

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sussunte dentro ai processi di trasformazione delle economie produttive, hanno prodotto la
centralit della dimensione imprenditiva del lavoro: lapologia individualistica del rischio e
della sfida, della creativit e della capacit innovativa, sono lespressione di questa rinnovata
retorica della potenza autogenerativa del soggetto al lavoro. [] Si consideri inoltre come i
processi di terziarizzazione e le conseguenti centralit assunte dalle pratiche cognitive di
produzione, manipolazione e innovazione di simboli, informazioni e linguaggi tendano a dare
unimmagine della soddisfazione lavorativa svincolata dal perseguimento di un risultato utile e
remunerativo e si esprimano invece [] come capacit del soggetto, non solo e non tanto di
eseguire un compito con sufficiente cura e professionalit, quanto piuttosto di mettere in atto
qualit creative di produzione del compito stesso; [] il lavoro come imprenditivit si avvicina
allo statuto del gioco; la contingenza, limprevedibilit, linevitabile provvisoriet della propria
condizione producono un depotenziamento dellesperienza e della sua funzione nei processi di
crescita e socializzazione dellindividuo, costringendo ad un pensiero centrato sul presente, sul
qui ed ora, alieno a qualsiasi ipotesi di progetto e di sedimentazione dellesperienza come
condizione di accesso al reale e alla maturit psichica42.

Possiamo allora constatare come, nonostante i cambiamenti intervenuti in questultima fase post-
fordistica, il nostro ragionamento sul dilettantismo ne esca rafforzato: su questo substrato di
precarizzazione che si sviluppa la tendenza al dilettantismo emersa dallanalisi precedente.
Abbiamo visto che, in positivo, il lavoratore astratto, come il dilettante, ha delle potenzialit che
vanno in direzione delluniversalit; ma pu esistere un dilettantismo di questo tipo nella societ
capitalista? Come scrive il giovane Marx:

Luomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale, e quindi come uomo
totale. Tutti i rapporti umani che luomo ha col mondo [] sono nel loro comportamento
oggettivo o nel loro comportamento di fronte alloggetto, lappropriazione di questo stesso
oggetto. [] La propriet privata ci ha resi cos ottusi ed unilaterali che un oggetto
considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, [] quando viene da noi usato []. La
soppressione della propriet privata rappresenta quindi la completa emancipazione di tutti i
sensi e di tutti gli attributi umani; ma una emancipazione siffatta appunto perch questi sensi e
questi attributi sono diventati umani, sia soggettivamente sia oggettivamente. Locchio
diventato occhio umano non appena il suo oggetto diventato un oggetto sociale, umano, che
procede dalluomo per luomo. [] Il bisogno o il godimento hanno perci perduto la loro
natura egoistica, e la natura ha perduto la sua mera utilit, dal momento che lutile diventato
lutile umano43.

Lefebvre aggiunge:

Luomo totale non davanti a noi che un orizzonte al di l del nostro orizzonte. un limite,
unidea, e non un fatto storico. Tuttavia dobbiamo storicizzare la nozione, pensarla
storicamente e socialmente. E non alla maniera ingenua di coloro che credevano in una brusca
apparizione, nella storia, delluomo nuovo, completo, che ha tutte le qualit sino allora
incompatibili, vitalit e lucidit, umile coraggio nel lavoro e grande entusiasmo creatore44.

La realt, evidentemente, ben diversa. Lindividuo, infatti, vivendo in societ, si scontra


necessariamente col problema dei ruoli, che stato affrontato da Vaneigem.

Il ruolo un consumo di potere. Esso colloca nella rappresentazione gerarchica, dunque nello
spettacolo; in alto, in basso, nel mezzo, mai al di qua o al di l. [] Residuo della separazione,

42
M. CERRI, Narcisismo e gioco nel lavoro post-fordista, reperibile in Internet (al 9/5/2009) allindirizzo
http://spazioinwind.libero.it/ildubbio/numero3_02/cerri.htm, corsivo mio.
43
K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1995, pp. 116-117.
44
H. LEFEBVRE, Critica della vita quotidiana, vol. I, cit., pp. 77-78.

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si sforza infine di creare ununit del comportamento; in quanto tale, esso fa appello
allidentificazione45.

Continua Vaneigem:

Il ruolo quella caricatura di s che si porta dappertutto, e che dappertutto introduce


nellassenza. Ma lassenza ordinata, addobbata, infiorata. [] Il fatto che lidentificazione,
come ogni disumanit, trova origine nellumano. La vita inautentica si alimenta di desideri
provati autenticamente. E lidentificazione mediante il ruolo fa doppio bottino: recupera il
gioco delle metamorfosi, il piacere di mascherarsi e di trovarsi dappertutto sotto tutte le forme
del mondo []. Essa recupera anche il riflesso didentit, la volont di trovare negli altri
uomini la parte pi ricca e pi autentica di s. [] Pi cose e ruoli si hanno, pi si ; cos ha
deciso lorganizzazione dellapparenza. Ma dal punto di vista della realt vissuta, tanto si
guadagna in grado di potere quanto si perde in volont di realizzazione autentica. Si guadagna
in apparire quanto si perde in essere e in dover-essere46.

Per difendersi da tutto ci, si tratta di avere un certo distacco nei confronti dei ruoli che permetta, se
non la libert assoluta, che impossibile, una sufficiente leggerezza di movimento. Ma ad ogni
modo:

Gli arruolamenti successivi logorano i travestiti. [] Non soltanto la moltiplicazione dei ruoli
tende a renderli equivalenti, ma oltretutto li frammenta, li rende derisori. [] Ci sono sempre
meno grandi ruoli, sempre pi comparse47.

A un livello pi alto c poi il problema degli specialisti, che sono, secondo lespressione di
Vaneigem, gli scienziati del ruolo48. Osserva a tal proposito Porcaro:

In effetti un determinato grado di specializzazione sembra inevitabile. [] La


specializzazione sembra connessa a qualsiasi forma di organizzazione stabile. [] Ci che pu
e deve essere eliminato, ad opera della politica comunista, non tanto la specializzazione,
quanto la specializzazione antagonista. Si ha specializzazione ogni volta che ad un agente di un
determinato ambito sociale viene concesso tempo per aumentare la propria conoscenza del
funzionamento di tale ambito e, dunque, per divenire dirigente. [] Si ha invece
specializzazione antagonista ogni volta che un ambito sociale venga diretto secondo logiche
diverse da quelle che gli sono proprie, e dunque attraverso un linguaggio di comando che non
quello comune a tutti gli agenti. In tal caso agli altri agenti non pu essere concesso tempo per
accedere al linguaggio di comando sia perch tale tempo dovrebbe essere eccessivo (trattandosi
di un linguaggio qualitativamente diverso da quello comune agli agenti), sia perch essi
tenderebbero a tradurre il linguaggio di comando nel linguaggio loro proprio, ostacolando cos
limposizione di una logica alternativa a quella dellambito specifico. [] La politica
comunista, insomma, non pu proporre la completa abolizione dei ruoli direttivi, ma pu
proporre una fluidificazione di questi ruoli sulla base delladerenza al linguaggio proprio di un
ambito specifico (e dunque dei suoi agenti) e della liberazione di tempo per la crescita
individuale e collettiva49.

Dopo esserci occupati del dilettantismo (im)possibile in una societ capitalista, venuto il momento
di parlare del suo utilizzo come ideologia, ovvero dei principi dellideologia berlusconiana.
Lideologia berlusconiana, non esplicitamente dichiarata ma veicolata con le parole e gli atti
45
R. VANEIGEM, Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni e altri scritti, Massari, Bolsena 2004, pp.
150-151.
46
Ibidem, pp. 156-158.
47
Ibidem, pp. 169-170.
48
Cfr. ibidem, pp. 163-164.
49
M. PORCARO, Nella corrente, Punto Rosso, Milano 1994, pp. 48-50.

21
direttamente dal capo carismatico, e agevolata dalla sedimentazione di un senso comune
dilettantistico, di cui si detto, si pu riassumere grosso modo in questi pochi principi di fondo:
volere potere; non c niente da sapere; chiunque pu fare qualunque cosa. Si tratta cio di
unideologia fortemente volontaristica basata sul desiderio, e precisamente su quello che abbiamo
chiamato desiderio inconscio.
Questi principi spiegano facilmente tre cose.
La prima lossessione per la sicurezza: infatti, se chiunque pu fare qualunque cosa, nessuno
pu essere davvero sicuro del fatto suo, e tutti sono costantemente minacciati da altri soggetti
incontrollabili; significativo per che questa insicurezza venga accuratamente tenuta lontana
dallambito lavorativo (cio dalla precariet) e indirizzata dai manovratori di questa ideologia in
direzione di capri espiatori pi o meno estemporanei (prima gli albanesi, poi i rumeni, poi i rom,
ecc.: c da dire che al giorno doggi anche i capri espiatori sono a tempo determinato).
Limportante, nel mondo della politica apparente, che il lavoro sia ridotto in clandestinit: per
dirla con Shakespeare, non bisogna nominarlo; appena lo nomini, non c pi.
La seconda cosa che si pu spiegare a partire dai principi suddetti lanti-giustizialismo, che poi
non altro che invincibile avversione per la magistratura. Scrive Lefebvre:

Il sentimento o il desiderio non scelgono affatto. Vorrebbero ad un tempo scegliere e non


scegliere e possedere tutte le incompatibilit: molti mestieri, molte possibilit, molti futuri,
molti amori. La pratica, ovvero lesigenza dellatto e della decisione, impone la scelta. Ma
scegliere giudicare50.

Il dilettante lopposto del giudice. E lavversione berlusconiana per i magistrati ben nota:
Berlusconi arriv a dichiarare che i giudici sono antropologicamente diversi dalla razza umana.
Quello che forse sfuggito a molti che, fra le altre cose, Berlusconi devessere anche un raffinato
antropologo, dato che a dicembre del 2007, contestato a Cinecitt dai giovani dei centri sociali (e
colpito da un uovo), li ha cos apostrofati: Sono arrivato a pensare che siamo antropologicamente
diversi (confermando involontariamente quanto aveva detto a suo tempo Pasolini). Non pu essere
un caso. Cosa ci dicono queste fisime antropologiche di Berlusconi? Ci dicono che non parla a un
popolo indistinto, come avveniva nelle forme precedenti di populismo, ma solo ed esclusivamente
ai suoi simili, il che poi ci che intende Pizzorno per stile ideologico di far politica51. Se di
messia si tratta, non si tratta di un messia combattente: non sua intenzione convertire gli infedeli,
ma catalizzare (e capitalizzare) qualcosa che esiste gi, seppure allo stato brado. Insomma
Berlusconi ha trovato la vacca da mungere, e la munge indisturbato.
La terza cosa che questa ideologia del dilettantismo spiega facilmente la scarsissima sensibilit al
famoso tema del conflitto di interessi: volete che un dilettante, che per definizione supera (o
attraversa come un fantasma) i ruoli, sia anche solo vagamente consapevole di una problematica del
genere? Per lui perfettamente naturale accumulare i ruoli, magari svolgerli tutti
contemporaneamente, come il grande capo fa o vorrebbe fare.
Va da s, inoltre, che lattacco frontale a questa ideologia sui generis non funziona (lideologia
opposta sarebbe il professionismo: competenza, seriet, precisione, ecc.; ma essa inutilizzabile
dopo la mutazione di cui si parlato in precedenza). Peraltro viene ribadito che chi per le regole
attacca la libert (in realt il desiderio, che cosa diversa), illiberale, antidemocratico, e
cos via: il desiderio non viene chiamato con il suo nome, ma viene travestito da libert.
A questo punto cominciamo a tirare le somme dicendo, senza alcun intento polemico, innanzi tutto
cosa non il berlusconismo.

50
H. LEFEBVRE, Critica della vita quotidiana, vol. I, cit., p. 22.
51
Allingrosso si potr dire che lo stile ideologico quello che ambisce al riconoscimento da parte di una comunit di
fedeli partito, movimento, chiesa o setta che sia. E il riconoscimento viene concesso giudicando delladeguatezza di
una certa condotta, o discorso, al dettato dellideologia. Il successo ha spesso contenuto pi intellettuale che
propriamente politico (A. PIZZORNO, Le radici della politica assoluta e altri saggi, cit., p. 311).

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stato detto che il berlusconismo dispotismo, perch tende allunificazione dei poteri, al loro
accentramento anzich alla loro divisione, come invece prescrive il liberalismo; ma, se vero che la
divisione dei poteri non certo un caposaldo del berlusconismo, anche vero che il loro
accentramento pur sempre tendenziale, relativo, cosicch si pu parlare al massimo di dispotismo
potenziale, non certo attuale.
Si parlato poi, al contrario, da parte degli apologeti, proprio di liberalismo; ma questa una tesi
che davvero non sta in piedi, per quanto appena detto e per unacuta osservazione di Pizzorno:

la cerchia delle posizioni pi importanti, quelle prossime al centro [della societ], sfugge,
almeno apparentemente, alla regola che le vorrebbe strettamente correlate. [] Il fatto che
quando si penetra in questa cerchia centrale, il concetto stesso di ruoli distinti e isolabili non
pi adeguato, e cos cade ogni problema di correlazione o meno tra di essi. Pi esattamente, i
ruoli che potevamo distinguere secondo una certa classificazione strutturale ai livelli non
altissimi della divisione dei compiti sociali tendono a congiungersi, e come a far corpo unico,
quando ci si avvicina al centro, [] il potere che si realizza in un certo ambito di rapporti
sociali si riversa automaticamente in tutti gli altri ambiti. I ruoli [] tendono a fondersi in un
solo ruolo onnicomprensivo, che si esprime, fra laltro, nella figura privata pubblicizzata52.

Questa la base concreta del dilettantismo berlusconiano: dov in tutto ci il liberalismo?


Un altro paragone che stato fatto quello col qualunquismo; ma il qualunquismo aborriva in ugual
modo tutti i partiti, tutte le ideologie, mentre il berlusconismo ha costantemente guardato a destra,
aborrendo unicamente i comunisti (anche se con questo termine indica indistintamente tutti quelli
che sono antropologicamente diversi).
Si parlato, infine, del berlusconismo come neofascismo; ma, in primo luogo, il fascismo
statalista mentre il berlusconismo anti-statalista; in secondo luogo, il fascismo guerrafondaio
mentre il berlusconismo, quando va in guerra, ci va di soppiatto (in occasione della guerra in Iraq
Berlusconi disse: Andiamo in Iraq ma non siamo belligeranti); terzo, come diceva Trotsky, il
fascismo unorganizzazione di lotta della borghesia nel momento e per i bisogni duna guerra
civile53: dunque, niente guerra civile, niente fascismo; quarto, la struttura caratteriale del fascista
deriva, secondo Reich, dallinibizione della sessualit naturale54, cosa che non corrisponde certo
alla nostra realt attuale.
A maggior ragione trovo fuori luogo parlare del berlusconismo come autobiografia della nazione,
se teniamo conto che, nonostante tutto, dal suo apparire fino ad oggi esso stato sempre minoranza
nel Paese.
La mia definizione del berlusconismo invece la seguente: il berlusconismo un fenomeno
populistico che utilizza il dilettantismo come ideologia a fini reazionari.
Ma il dilettantismo pu costituire sia un semplice serbatoio di voti per lOmino di burro nel Paese
dei balocchi che una tappa di avvicinamento alluomo totale. La differenza la stessa che passa fra
bisogno e desiderio.

Tra bisogno e desiderio vi sono molte mediazioni. A dire il vero, vi tutto: la societ intera
(attivit produttrice e modalit del consumo), la cultura, il passato e la storia, il linguaggio, le
norme, le ingiunzioni e i divieti, la gerarchia dei valori e delle preferenze. Il desiderio non
diviene tale se non assunto dallindividuo attraverso i suoi conflitti, voluto e accettato,
confrontato coscientemente con il bene (loggetto) e il godimento apportato da quel bene.
Non diviene veramente desiderio che divenendo potenza vitale e spirituale, accettata e
esercitata dallindividuo, vita metamorfizzata in coscienza creatrice, creante e creata:
ridivenendo bisogno. Inizialmente, il bisogno natura; diviene opera e si realizza in opere55.

52
Ibidem, pp. 116-117.
53
L. TROTSKY, Scritti sullItalia, Erre Emme, Roma 1990, p. 104.
54
Cfr. W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, Einaudi, Torino 2002, passim.
55
H. LEFEBVRE, Critica della vita quotidiana, vol. II, cit., pp. 13-14.

23
In conclusione, difficile dire se il berlusconismo sopravviver al suo leader, ma, che questo accada
oppure no, c da scommettere che dovremo continuare comunque a fare i conti con la sua
ideologia: il dilettantismo.

[maggio 2009]

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