14/2 (2007-2008) UNIVERSIT DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE ARCHEOLOGICHE E ANTROPOLOGICHE DELLANTICHIT Direttore responsabile Gilda Bartoloni Direzione M. Barbanera, B.E. Barich, G. Bartoloni, G.M. Forni, G.L. Gregori, M. Liverani, P. Matthiae, L. Michetti, L. Nigro, C. Panella Segretaria di redazione I. Brancoli Verger UNIVERSIT DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE SEPOLTI TRA I VIVI BURIED AMONG THE LIVING EVIDENZA ED INTERPRETAZIONE DI CONTESTI FUNERARI IN ABITATO Roma, 26-29 Aprile 2006 A cura di Gilda Bartoloni e M. Gilda Benedettini Su www.edizioniquasar.it possibile acquistare questa rivista anche in formato PDF. Accedendo alla scheda dei volumi, nella sezione catalogo, si potr consultare la lista completa dei contenuti, corredata da brevi abstract, e scegliere se acquistare lintero volume, le sezioni o i singoli articoli. 1. Qualche osservazione preliminare Largomento di questo contributo di grande in- teresse, ma anche difcile da sintetizzare in uno spazio limitato. Parlando di culti gentilizi la prima domanda da porsi : cosera la gens? La costante attenzione di storici e giuristi verso questa struttura sociale e giuridica, che informa di s una parte non piccola della storia monar- chica e repubblicana di Roma, motivata dalla possibilit di capire come si formi un organismo complesso a partire da aggregazioni pi modeste, e dalla qualit delle fonti che, per la loro lacunosit e laconicit, sollecitano la speculazione e la passione combinatoria degli studiosi. Se si aggiunge che non pochi istituti di diritto privato (tutela degli impuberi, successione ab intestato, gestione della terra) e pubblico (curie, plebe, clientela) sono coinvolti nei problemi di organizzazione della gens, e che essa si situa sullo spartiacque tra discipline diverse, diritto pubblico e privato, studi storico-religiosi, analisi, anche comparativa, delle societ e delle eco- nomie antiche, e perno losoa politica (per quanto attiene allorigine della propriet e dello stato), la continuit di questo interesse risulta pienamente giusticata. Ma qui sorge subito una difcolt, perch le fonti che la deniscono sono tutte molto tarde, al massimo del I secolo a.C.: quella di Q. Mucio Scevola ricordata da Cicerone, Top., 29: Gentiles sunt inter se qui eodem nomine sunt. Non est satis. Qui ab ingenuis oriundi sunt. Ne id quidem satis est. Quorum maiorum nemo servitutem servivit. Abest etiam nunc. Qui capite non sunt deminuti. Hoc fortasse satis est. Nihil enim video Scaevolam ponticem ad hanc denitionem addidisse; e quella di L. Cincio conservataci in un lemma dellepitome di Paolo Diacono, gentilis, 83 L.: Gentilis dicitur et ex eodem genere ortus et is qui simili nomine appel- latur, ut ait Cincius (fr. 21 Hu.): Gentiles mihi sunt qui meo nomine appellantur. Entrambe, con accenti vari, sottolineano la comunanza del nomen, che ovviamente implica la discendenza di coloro che eodem nomine sunt da un capostipite comune 1 . Ma a noi questa denizione non basta: si tratta di un semplice rapporto di parentela, qualitativamente analogo alla fami- lia communi iure di cui parla Ulpiano in una denizione conservata in D. 50, 16, 195, 2, o di 1 Sul nomen gentilicium, con accenti diversi, cfr. COLONNA 1977A, pp. 175 ss.; FRANCIOSI 1984A, pp. 3 ss. Emblematiche dellincertezza che attanaglia i ricer- catori sui rapporti tra struttura familiare e gentilizia sono le antiche rassegne critiche di ZANCAN 1936-37 e di FREZZA 1947. MARIO FIORENTINI CULTI GENTILIZI, CULTI DEGLI ANTENATI 988 M. Fiorentini Sc. Ant. qualcosa di diverso 2 ? Se pensiamo che, secondo la famosa formula di Livio (10, 8, 9), semper ista audita sunt eadem penes vos auspicia esse, vos solos gentem habere (usualmente ricordata con il brocardo plebeii gentem non habent), mi pare evidente che la gens delineata nelle fonti tardorepubblicane sia la struttura di riferimento dellaristocrazia. Ma sappiamo che a Roma e nel Lazio un ceto aristocratico non nasce con la citt ma dopo: lo rilevano gli archeologi, che rimarcano la profonda difformit tra una societ in cui i morti sono deposti con differenze di corredo correlate verosimilmente al prestigio e al ruolo occupato nella comunit, ipotizzati sia in base alla diversa congurazione del cinerario (urne a capanna, urne con coperchio a forma delmo, cinerari semplici), sia per le peculiarit del corredo, come le statuette che accompagna- no il defunto, comunque siano da interpretare 3 , o i dischi di bronzo trovati in due tombe del Foro di Cesare della fase II A, interpretati da Colonna come scudi bilobati di tipo saliare, che fanno pensare al rango sacerdotale ricoperto in vita dai due individui 4 ; e una societ i cui morti sono seppelliti con segni di distinzione di ricchezza non solo individuale ma di lignaggio; e questo progressivamente gi a partire dallVIII secolo a.C. 5 . Mi pare allora verosimile dedurne due forme distinte e successive di gens: una originaria, caratterizzata da una tendenziale omogeneit sociale, in cui il prestigio determinato dalle qua- lit individuali (sacerdote, pater familias, capo della comunit, guerriero, matrona), ed una suc- cessiva, che nel Lazio pare gi prolarsi nel corso dellVIII secolo, determinata da vari fattori economici e sociali su cui non mi posso dilungare, in cui si afferma la potenza del lignaggio 6 . Questo un punto di grande incertezza nella discussione: ricordo il lavoro di Carmine Ampo- lo sui mutamenti sociali nel Lazio nellVIII secolo e le accese discussioni che ne seguirono 7 ; ma ricordo come gi Pietro De Francisci avesse insistito nel differenziare la struttura della famiglia riconoscersi in un culto familiare e in antenati comu- ni, e dunque in gentes; struttura in seguito trasforma- tasi in una forma di dominio aristocratico. In linea generale questa scansione mi pare persuasiva. Un pro- blema ulteriore quello dellesistenza di un capo della gens: senza riandare a Bonfante, LBTOW 1955, pp. 36 ss., la ammetteva; a mio parere pi aderente a una struttura sociale larga come la gens, dotata di vincoli di solidariet ma non di gerarchia (se non forse nei fatti: ma la struttura giuridica prescinde spesso dalla pras- si), lesclusione dellesistenza del pater gentis durante la vita ordinaria del gruppo; salva la sua creazione in casi straordinari come una migrazione (esemplare il caso di Atta Clausus) o una guerra. Ipotesi nelle quali un capo era indispensabile. Sui mutamenti dei corre- di tombali come segno delle trasformazioni sociali in senso aristocratico AMPOLO 1972, pp. 469 ss. Il suc- cessivo AMPOLO 1984 indaga invece la veridicit delle norme decemvirali sulle limitazioni al lusso funerario, che giustamente lA. ritiene del tutto veritiere. 7 AMPOLO 1970-71, pp. 37-100. Sulla questione della possibile organizzazione gentilizia presso la ple- be cfr. in senso negativo FRANCIOSI 1984C, pp. 162 ss., sostanzialmente accettabile nonostante qualche affer- 2 Ulpian., 46 ad edictum, D. 50, 16, 195, 2: Com- muni iure dicimus omnium adgnatorum: nam etsi pa- tre familias mortuo singuli singulas familias habent, tamen omnes, qui sub unius potestate fuerunt, recte eiusdem familiae appellabuntur, qui ex eadem domo et gente proditi sunt. DE FRANCISCI 1959, pp. 159 ss.; FRANCIOSI 1995, pp. 276 ss.; SERRAO 2006, p. 56. 3 Il signicato delle statuette nei corredi delle tombe laziali vivacemente dibattuto: BIETTI SESTIERI 1992; TORELLI 1996=1997; BIETTI SESTIERI 2000, pp. 17 ss. Ai miei ni sufciente losservazione, comune ai due autori, che le statuette sono indicative di rango, non di lignaggio. 4 COLONNA 1991, pp. 55 ss.; DE SANTIS 2001, pp. 269 ss. Sulle differenze di rango nelle sepolture delle prime due fasi della civilt latina, gi TORELLI 1974-75, pp. 40 ss. 5 AMPOLO 1980; BIETTI SESTIERI 2000, pp. 15 ss., sulle tombe di Osteria dellOsa; BARTOLONI 2003, pp. 93 ss.; DE SANTIS 2001, pp. 269 ss. e gi TORELLI 1974-5, pp. 41 ss. 6 A unoriginaria strutturazione della gens come unit parentelare tra varie familiae pare credere TO- RELLI 1988B, p. 241, secondo cui pi familiae possono 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 989 allargata dalla gens, e ancora prima lo stesso Edoardo Volterra avesse messo in guardia dal ritenere la familia un gruppo politico 8 . Un altro problema di grande interesse il carattere rurale o cittadino della gens. Non posso dilungarmi su questo punto, ma mi pare che, se nel periodo precivico va da s che le gentes dovessero fondare la prosperit economica sullappro- priazione della terra, distribuendosi per pagos, la nascita della citt abbia creato una situazione inedita di fronte alla quale la risposta dei gruppi gentilizi sar stata di continuare a controllare le zone rurali ma inurbandosi per avvicinarsi al centro del potere, che ormai era urbano. Non credo, infatti, a certe ricostruzioni che propongono una lotta tra poteri civici e poteri gentilizi rimasti ostinatamente rurali, che assomiglia troppo alle vicende della lotta tra liberi comuni e signorie feudali nellItalia medievale, nendo per riproporre una sorta di Niebuhr aggiornato: non dimentichiamo che, quando Atta Clauso emigra a Roma cinque anni dopo lespulsione dei Tarquinii, se crediamo alla cronologia di Svetonio (Tib., 1), ottiene un territorio rurale trans Anienem per i suoi gentiles e clienti, ma viene cooptato in senato, ed il sepolcro gentilizio non situato nellagro, ma sotto il Capitolium 9 . In questo contesto, quale posto occupato dal culto? Non semplice rispondere a questa domanda, anche perch non sfuggir, nelle due denizioni ora ricordate, un dato abbastanza sorprendente, lassenza della menzione della comunanza dei sacra tra gli elementi caratterizzanti della gens. Il che sconcerta soprattutto nella denizione di un pontece massimo come Q. Mucio. unomissione di cui difcile dare una spiegazione esauriente, tenendo conto che il controllo sul culto privato era, a detta di Cicerone, una delle competenze fondamentali dei ponteci. Anche per le difcolt ora delineate, i culti gentilizi come argomento autonomo hanno raramente attratto lattenzione degli storici, e a maggior ragione dei giusromanisti, che ne ac- cennano appena come indizio del carattere di comunit politica che la gens avrebbe rivestito n dalle sue origini 10 (ed difcile pensare altrimenti; ma fermarsi a questa constatazione non mi pare sufciente a spiegarne le dinamiche interne e nei rapporti con la civitas), unitamente al ricordo di decreta gentilicia che, in alcune prospettive critiche, dimostra unoriginaria autono- mia normativa delle gentes. Anche gli storici della religione o dedicano loro solo qualche accenno sbrigativo, pi at- tratti dai grandi sistemi cultuali pubblici e dal mai risolto problema della religione senza miti, o li studiano con una prospettiva che privilegia la funzione che le presunte mentalit collet- tive delle gentes avrebbero rivestito allinterno del complessivo apparato del culto arcaico, non NA 2003, pp. 19 ss. Sulla migrazione dei Claudii, CA- POGROSSI COLOGNESI 1980, pp. 48 ss. 10 Su questo punto quasi superuo citare Pie- tro Bonfante e la sua teoria della natura politica rive- stita dalla gens nel periodo precivico (BONFANTE 1916). Anche i non molti decreta gentilicia conservati dalle fonti sembrano confermare il carattere di entit do- tate di autonomia normativa, rivestito in origine dalle gentes: MANCUSO 1988 e gi VOLTERRA 1949, pp. 525 ss. Contro la caratterizzazione politica della gens, gi ARANGIO-RUIZ 1914. mazione discutibile (come quella che fa nascere la vera e propria Urbs a cavallo tra il VII e il VI secolo a.C., ibid., p. 168). Va da s che anchio, come il compian- to A., ritengo MNAGER 1980 sprovvisto di qualsiasi plausibilit. 8 VOLTERRA 1949, pp. 521 ss.; DE FRANCISCI 1955, pp. 137 ss. 9 La caratterizzazione paganica della gens stata sostenuta soprattutto da CAPOGROSSI COLOGNESI 1992, pp. 141 ss. Troppo caratterizzata in senso rurale appare la gens nella ricostruzione di AMOROSO - BARBI- 990 M. Fiorentini Sc. Ant. di rado elaborando sistemi religiosi e rappresentazioni partendo dal dato etimologico e lingui- stico e dalla comparazione storico-religiosa. Questa prospettiva evoca richiami talora espliciti, pi spesso indiretti, allidea dumziliana secondo cui le narrazioni storiche dei primi secoli di Roma, lungi dal contenere nuclei storici da ricavare con un paziente lavoro esegetico, costi- tuirebbero una sorta di specchio deformato nel quale intravedere strutture, funzioni sociali e mentalit conservatesi immutate no almeno al IV secolo a.C. Non diversamente dai racconti relativi ai fatti dei primi secoli della storia di Roma, le fonti relative ai culti gentilizi andreb- bero perci lette come eco distorta delle strutture mentali arcaiche, che poi sarebbero quelle archetipiche della societ indoeuropea primitiva non ancora sommerse dagli inussi etruschi e greci, e che avrebbero, anchesse, subto in sguito quella sorta di Entmythisierung a cui, secondo Karl Koch, ma con ben altra consapevolezza storica, sarebbe andato incontro tutto il patrimonio mitologico romano arcaico 11 . Esempi illuminanti di questottica mi appaiono la triple fondation de Rome che Dominique Briquel collega allideologia trifunzionalistica di Dumzil 12 ; o una certa esegesi delle leggende dei Fabii, reinterpretate come se nascondes- sero caratteri sacri inalterati dalla preistoria romana (come ad es. la ferinit dei Lucerci o la fabiet come dato mitico, secondo la prospettiva di Montanari, che ritengo sprovvista di qualsiasi plausibilit 13 ), o del culto lupercale come se fosse la trasposizione sul piano rituale della lotta tra il desordre rituel di ne anno, collegato a Fauno, ai Luperci Fabiani e quindi ai Fabii, e lordre jovien, impersonicato dalla sodalitas dei Luperci Quinctiales collegata alla gens Quinctia, con una prospettiva calendariale proposta, sulle orme di Dumzil, da Marinella Corsano in un pur importante contributo 14 . Con la prospettiva incentrata su questi temi qua- si inevitabile la sconfortata conclusione, espressa da Jrg Rpke in un suo recente libro sulla religione romana, secondo cui noi non sappiamo quasi nulla dei sacra gentilicia 15 . Un esito deludente, ma forse meno drastico di quanto sia apparso allo studioso tedesco, forse troppo condizionato dalle fonti a cui ha attinto per la sua ricerca. Senza entrare nella controversia fra struttura e funzione (ch non mi sento allaltez- za di ricoprire il ruolo di arbitro tra Lvi-Strauss e Dumzil 16 ), personalmente trovo questo pi esaurienti sono le trattazioni pi antiche, a par- tire da WISSOWA 1912, per giungere a DUMZIL 1977, secondo cui la religione gentilizia si esaurisce nei riti personali e familiari. Diversa era la consistenza dellindagine di DE MARCHI 1896, che al culto gen- tilizio dedicava unaccurata, anche se ormai molto datata, ricerca. 16 MOMIGLIANO 1984=1988, pp. 45 ss., come sempre lucidissimo nellevidenziare le falle della costruzione dumziliana. PROSDOCIMI 2002, pp. 126 ss., respinge sia la ricostruzione trifunzionalistica dumziliana, sia quella strutturalista di Lvi-Strauss. Anche se le ragioni di questo dissenso non sono ov- viamente quelle che avanzerebbe un giusromanista, esse appaiono comunque decisive (soprattutto con- tro Dumzil) per negare attendibilit a quelle che mi sembrano eleganti ma inconcludenti esercitazioni 11 KOCH 1986. 12 BRIQUEL 1976, pp. 145 ss. 13 MONTANARI 1976, p. 143, nota 97. La matrice dumziliana di questa impostazione evidente. 14 Mi riferisco allo studio, per altri aspetti im- portante e con molti rilievi di notevole acutezza, di CORSANO 1977, pp. 137 ss. Particolarmente rilevante e, a mio parere, da condividere, la considerazione secondo cui, nonostante i nomi gentilizi delle due sodalit, esse non sono formate da membri delle due gentes (o almeno non solo da loro). Anche HOLLEMAN 1976, pp. 212 ss., argomenta dalla posizione del rito nel contesto dei Parentalia per trarne inferenze su na- tura e scopo. Sul punto torner tra breve. 15 RPKE 2004, p. 31, che ai culti gentilizi dedica solo un rapido accenno, e con unimpostazione su cui converr, in seguito, spendere qualche parola. N 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 991 lone di studi non particolarmente attraente, direi di pi, scarsamente produttivo, almeno ai ni dello studio delle strutture giuridiche romane arcaiche, mentre mi sembra pi vantaggioso esaminare le fonti relative alla storia (e la mitistoria) delle singole gentes combinandole con quelle sui culti, per tentare di collocare correttamente queste allinterno della societ romana, ed il culto gentilizio nel pi generale contesto delle forme del culto romano. Inoltre in dottrina non sempre la locuzione culto gentilizio impiegata con propriet. Vi si include spesso di tutto, per esempio il culto degli antenati, che essenzialmente culto dei defunti. Su un piano probabilistico niente vieterebbe di classicare le cerimonie per gli antenati come sacra gentilicia: in linea astratta si pu affermare che le cerimonie funebri per gli antenati servissero a riaffermare e consolidare i vincoli fondati sul nomen che, certicando la comune discendenza dal capostipite, attestavano il rapporto gentilizio. Questa , per esempio, la rap- presentazione che dei Parentalia di febbraio propone Sabbatucci 17 . Tuttavia i modelli interpre- tativi devono, per quanto possibile, approssimarsi alle rappresentazioni antiche; e purtroppo nelle classicazioni pervenuteci che, pur essendo tardorepubblicane, rispecchiano forme di organizzazione del culto molto conservative, i culti gentilizi, inclusi tra le forme del culto pri- vato, sono deniti semplicemente sacra pro gentibus, ossia culti ofciati per la prosperit del gruppo gentilizio nel suo insieme, come affermato nella classicazione, forse da attribuire ad Ateio Capitone, conservata da Festo (publica sacra, 284 L.). In essi non sono inclusi i riti per gli antenati. Infatti le feriae denicales sono annoverate tra le feriae privatae in unaltra classicazio- ne riferita da Festo (privatae feriae, 282 L.: Privatae feriae vocantur sacrorum propriorum, velut dies natales, operationis, denecales). Si tratta dunque di ricorrenze esclusive ad ogni singolo soggetto, corrispondenti ai sacra pro singulis hominibus della classicazione di Capi- tone. Nean che le parentationes sono sacra gentilicia, come affermano ad esempio Sabbatucci e Fraschetti sulle orme di John Scheid 18 . I Parentalia di febbraio, la celebrazione degli antenati defunti, erano culti funerari privati, cui si afancava la parentatio pubblica che apriva il novem- diale 19 . Sabbatucci li ha collegati alla ricognizione rituale dei iura sanguinis collegati ai vincoli agnatizi, mentre ai riti volti a rafforzare quelli di cognatio erano riservati i Caristia (non a caso detti anche cara cognatio) del 22 febbraio, il giorno successivo al termine del novemdiale dei Parentalia. Ma vincoli di agnazione non vuol dire legami gentilizi, bens rapporti di parentela allargata ai collaterali, tanto vero che anche nella norma delle XII Tavole relativa alla succes- date di avvenimenti salienti della vita degli antenati, per poter effettuare le parentationes. Queste registra- zioni potrebbero avere costituito parte di quegli ar- chivi privati tante volte ipotizzati dagli studiosi. 19 SABBATUCCI 1999, pp. 58 ss. Pi suggestiva mi pare la spiegazione della presenza della parentatio pubblica attuata dalla virgo Vestalis il primo giorno del novemdiale, come tentativo della civitas di impa- dronirsi della festivit in funzione antigentilizia. Sui riti funerari come sacra pro familiis, HARMON 1978B, pp. 1600 ss.; KASER 1978, pp. 19 ss. intellettuali. Contro le ricostruzioni di Dumzil si era gi pronunciato GRANDAZZI 1993. A mio pare- re le critiche espresse da POUCET 2000, pp. 424 ss., non scalscono la validit della presa di posizione di Grandazzi. 17 WARDE-FOWLER 1912; SABBATUCCI 1999, pp. 58 ss. 18 SCHEID 1993, pp. 188 ss.; FRASCHETTI 1998, p. 741. Peraltro, lA. propone su questo punto alcuni ri- lievi di grande interesse, come lipotesi che le gentes (o meglio, le famiglie) disponessero di registrazioni delle 992 M. Fiorentini Sc. Ant. sione ab intestato (Tab. V, 4-5 20 ) la successione degli agnati tenuta rigorosamente distinta da quella dei gentiles. Si tratta cio di due ordines ben distinti anche nellassetto altorepubblicano e quindi, a maggior ragione, in et monarchica. In pi va osservato che i Caristia non erano inseriti nel ciclo dei Parentalia ma ne rimanevano al di fuori, pur in una posizione di stretto collegamento, per cui lautonomia delle due feste (pur in un contesto temporale omogeneo) ribadisce la differenza tra gli stessi vincoli di agnazione e di cognazione. Come si vede, secondo le classicazioni romane, il culto degli antenati non culto gentilizio. Chiarito questo punto, che mi pare essenziale, dobbiamo porci un altro problema preli- minare, quello delle fonti sui culti. Notizie frammentarie provengono da opere sulle gentes. Di alcune di esse abbiamo i titoli: de familiis Romanis di Valerio Messala Rufo e di T. Pomponio Attico (Corn. Nep., v. Att., 18, 2); de familiis Troianis di Varrone e unomonima di Igino; un liber commentarius de familia Porcia citato da Aulo Gellio (N. A., 13, 20, 17), il libellus di Q. Elogio ad Quintum Vitellium Divi Augusti quaestorem menzionato da Svetonio (Vitell., 1, 2): tutte fonti al massimo del I secolo a.C. Per il totale naufragio di questa letteratura praticamente impossibile stabilire da quali fonti tali autori abbiano tratto le notizie, e ci ha suscitato unondata di difdenza sulla loro afdabilit: penso alla sprezzante valutazione del lavoro degli annalisti sui primi secoli di Roma espressa da Elias Bickerman, degradato a invenzioni per riempire i rotoli di papiro 21 . La dottrina storica francese, profondamente inuenzata dallo strutturalismo di Levi-Strauss e dal funzionalismo di Dumzil, forse la pi scettica in assoluto. sufciente citare il nome di un caposcuola: Jacques Poucet. Anche Wiseman ha pi volte espresso la sua critica radicale del- le opere genealogiche, che ritiene invenzioni per nobilitare personaggi di dubbi natali dellet triumvirale o dei primi anni augustei 22 . Le vedute dello studioso inglese sono, a mio parere, imprescindibili per una corretta comprensione della temperie politica e culturale che spira a Roma dallet mediorepubblicana; ma rischia di veicolare limmagine di una citt la cui storia inizia nel III o al massimo nel IV secolo, come se si trattasse di una societ senza memoria, che si sveglia improvvisamente e si inventa un passato di comodo. Questa strada pu portare o alla paralisi della ricerca per mancanza di fonti afdabili, o alla sostituzione delle invenzioni degli antichi con miti moderni, creati in base a sup- posizioni, ad associazioni libere tra fatti diversi, o a deduzioni fondate sul buon senso 23 o sulla logica (che , ovviamente, quella di noi che viviamo nel nostro secolo), gi combattuti da Massimo Pallottino negli anni 60 nella sua polemica con Gjerstad 24 . Se facile sbarazzarsi 21 BICKERMAN 1969, pp. 399 ss. 22 WISEMAN 1974, pp. 153 ss. Prospettive ribadite in WISEMAN 1983. Le ricerche di TRAINA 1993-1994 hanno in parte riabilitato queste tradizioni, riportate a pi complesse motivazioni e a memorie interne dei gruppi gentilizi. Dinamiche gi affrontate pi volte da Mario Torelli, ad es. in TORELLI 1991. 23 il merito riconosciuto alle ricerche di Jac- ques Poucet da MEURANT 2006, p. 21 s. 24 PALLOTTINO 1963. 20 Tab. V, 4: Si intestato moritur, cui suus heres nec escit, adgnatus proximus familiam habeto. 5. Si adgnatus nec escit, gentiles familiam habento. TALA- MANCA 1998. Con una prospettiva per molti versi nuo- va ARIC ANSELMO 2000, nota 88, secondo cui la nor- ma di Tab. V, 5 non sarebbe una semplice recezione di un antichissimo mos, ma una norma profondamente innovativa sul sistema della successione ab intestato. Qui mi limito a segnalare questo contributo senza po- terlo ovviamente analizzare. 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 993 delle tradizioni dei Familienarchive con la condanna inappellabile di falso (per la datazione al I secolo a.C. con laggravante dellimitazione di modelli greci, come gi opinava Soltau, ai primi del Novecento, in relazione ai modelli storiograci 25 ), io, invece, non sono mai riuscito a districarmi da unobiezione di fondo: in una societ ristretta come quella aristocratica urba- na, anche tardorepubblicana, in cui il reciproco controllo sociale doveva essere massimo per arginare e bilanciare le spinte egemoniche delle gentes, una falsicazione grossolana sarebbe stata accolta dagli altri casati aristocratici con disinteresse o acquiescenza 26 ? Di questa vigi- lanza abbiamo esempi eloquenti: Cn. Gellio negava credibilit alle genealogie di gentes che asserivano di discendere da Numa Pompilio che, secondo lui, non avrebbe avuto discendenza maschile 27 . E i freni allostentazione gentilizia non si limitano alla storiograa. Livio (43, 13, 6) menziona la reazione ai prodigi che, nel 169 a.C., accompagnarono la vigilia della terza guerra macedonica: i decemviri sacris faciundis esclusero due prodigia dal novero di quelli per i quali ordinarono azioni di culto, uno dei quali quod in privato loco factum esset - palmam enatam <in> impluvio suo T. Marcius Figulus nuntiabat. Dalla natura privata del luogo in cui si svolge il prodigium discende la sconfessione dellinteresse statuale: trattandosi di presagio trionfale, pare evidente che i decemviri mirassero a contrastare scalate politiche fondate su tali prodigi. Poich quellanno il fratello di Figulo rivest il consolato lobiettivo di arginare le velleit dei Marci, veicolate nel presagio trionfale, appare n troppo scoperto. Se dunque la societ nobiliare romana aveva, in un certo senso, gli anticorpi per tenere a freno le ambizioni politiche dei gruppi, non credo, con Besnier, che si debba accordare ducia cieca alla difdenza manifestata da Livio e da Cicerone 28 . Essa giusticata riguardo ai falsi triumphi, plures consulatus, genera etiam falsa et ad plebem transitiones, come afferma Cice- rone (Brut., 61), ossia alla storia genealogica e di avvenimenti conuita nella seconda annalistica e poi nella storiograa augustea: comprensibile linteresse che i gruppi plebei potevano avere a vantare inesistenti origini patrizie, poi perse con unimmaginaria transitio ad plebem. Invece le informazioni su mores, culti e rituali funerari gentilizi, essendo in linea generale neutre, a mio avviso dovrebbero essere vagliate con sano scetticismo ma senza pregiudizi e furori icono- clasti. Ci non signica prendere per buoni i fatti narrati dalle fonti; ma studiare le tradizioni pervenuteci, per tentare di collocarle nel loro contesto culturale e giuridico e ricostruirne la genesi, potr permetterci di ipotizzare con qualche verosimiglianza che almeno alcune delle tradizioni raccolte dagli antiquari della tarda Repubblica possano provenire da archivi gentilizi o da laudationes funebres, di cui Santo Mazzarino sottolineava la rilevanza nella trasmissione I.., I|c., .ct,.., -u,ct.,c ||, . , .,.|.t A,-, Mc,-.,. Plutarco (Numa, 21, 2), senza nominare la fonte, conferma questa differenza, elencando anche le quattro gentes presunte discen- denti di Numa: Pomponii Pinarii Calpurnii Mamerci. Su questa polemica GABBA 1967=2000, p. 43; RUSSO 2005, pp. 16 ss. 28 BESNIER 1953, p. 9; BRUNT 1982, pp. 5 ss., pi possibilista. 25 SOLTAU 1909, pp. 181 ss. Opposta la valutazio- ne di TONDO 1981, p. 18: gli storici greci, nel loro sfor- zo di informazione dei loro lettori, dovevano essere particolarmente scrupolosi nel descrivere le istituzio- ni romane. 26 un pensiero gi espresso da GABBA 1995= 2000, p. 65. 27 Dion. Hal., 2, 76, 5: ,.|.c| o. -ctc..|, ., .| . ..u, ,,cuc.|, u.u, t.ttc,c, -c. -u,ct.,c .c|, .| .t. c..tc. tc ,.|, ., o. 994 M. Fiorentini Sc. Ant. di generazione in generazione delle genealogie gentilizie, in sguito recepite in quella che il Maestro den incisivamente let della pretesta 29 . Si tratta cio di ripensare quel criterio er- meneutico che gi Pugliese Carratelli den pseudocritico piuttosto che ipercritico che porta a diagnosi patologiche sul grado di attendibilit delle fonti antiche 30 . Unultima osservazione. Quando studiamo le origini di Roma difcile sottrarsi allim- pressione che la ricerca soffra di una sorta di schizofrenia: a seconda che lanalisi provenga da un archeologo, da uno storico o da un giurista leggiamo storie radicalmente differenti, come se provenissero da pianeti diversi. Qualche frizione, derivante dalle diverse fonti utilizzate dalle quali vengono dedotte divergenti interpretazioni dei processi di crescita e trasformazione della civitas, in fondo inevitabile, perch adottando prospettive diverse abbastanza naturale che si ricostruiscano dinamiche diverse. Tuttavia una cos totale incomunicabilit a me pare inac- cettabile: la storia una e sarebbe a mio avviso necessario tentare di avvicinare i quadri storici. Se, studiando i corredi delle tombe dellOrientalizzante laziale, si nota che a Decima solo nelle tombe femminili si trovano oggetti legati al consumo del vino, prima di dedurne il particolare rapporto della domina con il consumo del vino 31 , sarebbe necessario incrociare questo indubi- tabile dato archeologico con un dato giuridico, quello della lex Romuli sul divieto di bere vino imposto alle donne (FIRA, 1 2 , Leges regiae, Romulus 7). Cos come, quando si studia la norma decemvirale sul divieto di seppellire i defunti con oro e argento, tranne nel caso in cui essi por- tassero protesi dentarie doro (Tab. X, 8: Neve aurum addito, at cui dentes iuncti escunt, ast im cum illo sepeliet uretve, se fraude esto), prima di affermare che questa norma incompatibile con la depressa civilt latina del V secolo a.C. 32 , sarebbe opportuno vericare se per caso siano documentate tombe con defunti con denti doro; e infatti almeno in un caso, a Satrico verso la ne del VII secolo a.C., fu inumato un uomo provvisto di una protesi dentaria aurea. Gi Pietro De Francisci aveva tentato di armonizzare le testimonianze della storia delle istituzioni romane arcaiche con quelle archeologiche 33 ; opportuno non perdere quella lezione di metodo. Lincrocio delle documentazioni potrebbe contribuire a unicare interpretazioni che tendono a divergere anche sensibilmente, fornendo immagini dei medesimi fenomeni storici discordanti ed eccessivamente contraddittorie tra loro 34 . 2. Classicazioni tardorepubblicane Sul posto occupato dal culto gentilizio allinterno delle strutture cultuali romane disponiamo di due fonti fondamentali, entrambe conservate da Festo. I) Fest., publica sacra, 284 L. La prima la notissima classicazione composta alla ne della Repubblica o nei primi anni del principato da un anonimo, gi da Reitzenstein identi- cato con buona plausibilit in Ateio Capitone 35 , e riportata da Festo (publica sacra, 284 L.=fr. 70 Suppl. Strzel.): publica sacra, quae publico sumptu pro populo unt, quaeque pro montibus, pagis, curis, sacellis; at privata, quae pro singulis hominibus, familiis, gentibus unt. ne di metodo, come nel precedente DE FRANCISCI 1955. 34 Fondamentali mi sembrano, a questo propo- sito, le Riessioni sul metodo di PALLOTTINO 1993, pp. 48 ss. 35 REITZENSTEIN 1887. Ma gi MARQUARDT 1878 lo aveva riportato al diritto ponticale. 29 MAZZARINO 1972, p. 58. 30 PUGLIESE CARRATELLI 1981, pp. 10 ss. 31 DAGOSTINO 1999, p. 84. 32 ROMANO 1981. 33 DE FRANCISCI 1959; ma tutta la sua produzione relativa ai primordia era fondata su questa impostazio- 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 995 Il testo opera una rigida bipartizione tra due categorie di culti, la cui discriminante indi- viduata in due parametri: quello dei destinatari del culto (pro), in base al quale sono pubblici i culti svolti in favore del popolo nel suo complesso o nelle sue partizioni, curie, montes e sacella, mentre quelli svolti in favore dei singoli, delle famiglie e delle gentes sono privati; e quello della provenienza del sumptus: i sacra publica sono compiuti publico sumptu. Con questa premessa indispensabile non mi pare che Rpke, nel suo studio gi citato, abbia interpretato correttamen- te la fonte di Capitone, dato che individua come principale carattere distintivo la provenienza del nanziamento per il culto, da assicurare publico sumptu: un criterio sicuramente presente nella classicazione di Capitone, ma non quello fondamentale, anzi direi sicuramente seconda- rio rispetto allaltro 36 . necessario inoltre ribadire che il culto pubblico se svolto in favore del popolo, non dal popolo: i culti a cui partecipa il popolo nel suo complesso erano deniti popu- laria da Labeone (Fest., Popularia sacra, 298 L.=fr. 16 Hu.): Popularia sacra sunt, ut ait Labeo, quae omnes cives faciunt nec certis familiis adtributa sunt: Fornacalia, Parilia, Laralia, porca praecidanea. Essi rispondevano ad un criterio del tutto diverso: quello della partecipazione di tutti i cittadini, ciascuno nella ripartizione a cui apparteneva, ad esclusione dei culti certis familiis adtributa. Labeone elencava infatti tra i sacra popularia i Fornacalia, culto pro curiis, i Parilia, di cui Varrone affermava la natura al contempo pubblica e privata, i Lararia e la porca praecidanea, tipici rituali funerari privati, familiari ma non riservati ad una sola famiglia 37 . Capitone cataloga dunque come pubblici i culti celebrati non solo a vantaggio del popolo, ma anche nelle minori articolazioni che, sotto il prolo cultuale, egli giudica autonome rispet- to al populus, e che classica seguendo un percorso discendente, dalla ripartizione maggiore (il populus), scendendo verso quelle minori: prima cita i montes, articolazione di settori urbani comprendente il Septimontium, che Labeone descrive come ancora vitale al suo tempo 38 (sacra ne a singole gentes. Una posizione ribadita in MOMM- SEN 1887, p. 19, ove ladtributio era interpretata come Verleihung. In contrario, e giustamente, DE FRAN- CISCI 1959, p. 170 e nota 341, faceva notare che, se la ricostruzione mommseniana fosse stata esatta, non si spiegherebbe la presenza della porca praecidanea che, in quanto rito dedicato ai di parentes, appare uno dei pi tipici sacra familiaria. Sul punto cfr. anche CATA- LANO 1974, pp. 123 ss. 38 Fest., Septimontio, 476 L.: Septimontio, ut ait Antistius Labeo (fr. 14 Br.), hisce montibus feriae: Pa- latio, cui sacricium quod t, Palatuar dicitur; Veliae, cui item sacricium; Fagu<t>ali, Suburae, Cermalo, Oppio, Caelio monti, Cispio monti. Labeone impiega il tempo presente per qualicare il sacricio palatino, che potrebbe implicare la vitalit del rito al suo tempo. Linterpretazione della festa tuttora oggetto di acceso dibattito: con pareri discordanti FRASCHETTI 1984 (ri- badito in FRASCHETTI 1990, pp. 134 ss. e in FRASCHETTI 2002); CARANDINI 1997 (confermato in CARANDINI 2006). Penso che vada abbandonata la visuale della festa come manifestazione di una sorta di lega religiosa tra uguali, 36 RPKE 2004, p. 25: Il pi importante criterio per distinguere i sacra publica dalle altre pratiche cul- tuali consiste nel guardare al nanziamento, ovvero nella risposta alla domanda: chi paga per celebrare questi culti?. Ovviamente laspetto dei destinatari non assente dalla visuale dellA. tedesco: per non occupa, come secondo me dovrebbe, il posto centrale. Anzi, la provenienza del nanziamento non mi pare neanche requisito fondamentale: in tal caso le opere edicate con denaro privato non potrebbero mai esse- re pubbliche: e invece levergetismo privato che nan- zia la costruzione di luoghi sacri o templi pubblici una delle manifestazioni peculiari della civilt romana n dallet repubblicana. 37 Sui Parilia, Varr. ap. Schol. Pers., 1, 72: Varro sic ait: Palilia tam privata quam publica. Pare evi- dente che, se questa festa veniva celebrata a livello sia pubblico sia privato, non poteva essere denita cer- tis familiis adtributa. RADKE 1994, p. 57. Dal verbo adtribuere MOMMSEN 1834, p. 10, era portato a co- struire una gura di culti gentilizi pubblici, statali quanto alla costituzione ma afdati per la celebrazio- 996 M. Fiorentini Sc. Ant. pro montibus); poi i pagi urbani, partizioni di cui non sono chiari i rapporti con i montes, ed a cui appartengono i Paganalia 39 ; le curie (Fornacalia, Fordicidia e Quirinalia: sacra pro curiis); e inne i sacra pro sacellis, in cui saranno da identicare Strenia, Volupia, Cloacina (i cui luoghi di culto sono designati come sacella), i sacella ricordati da Varrone (L. L., 7, 84), secondo cui in aliquot sacris et sacellis habemus Ne quod scorteum adhibeatur, ideo ne morticinum quid adsit, riferendosi palesemente ad una lex sacra relativa a luoghi di culto pubblici, che vieta di insozzare materialmente (e contaminare sul piano rituale) con carogne di animali; e forse Argei. Al contrario i culti celebrati a favore dei singoli, delle famiglie e delle gentes sono catalogati fra i culti privati. Da notare che per i sacra privata Capitone impiega un andamento contrario a quello adottato per i sacra publica, ascendente dal pi semplice (i singuli) al pi complesso (le gentes). Qualche parola va spesa sui sacra pro sacellis. Nella presenza di questa species dei sacra publica taluno 40 ravvisava una tensione nel lemma di Capitone, per la loro eterogeneit rispetto agli altri sacra publica che, con i sacra pro populo, pro montibus, pagis, curis fanno riferimento a partizioni cittadine, mentre i sacella non sarebbero identicabili in nessuna di esse. Si tratta di una critica meramente stilistica che non incia limportanza della fonte. Pi signicativo un altro rilievo. I sacella erano edici cultuali generalmente di modeste dimensioni, come risulta dalle denizioni tardorepubblicane, di Trebazio Testa riportata da Aulo Gellio (N. A., 7, 12, 5=fr. 4 Hu.) e di Verrio Flacco (sacella, 422 L.) 41 . Per questo erano pi facilmente appropriabili dai privati, come dimostra una serie di fonti tardorepubblicane di cui mi limiter a segnalare alcune pi rilevanti. In una lettera del 50 a.C., M. Celio Rufo informa Cicerone (ad Fam., 8, 12, 3) di avere intrapreso uniniziativa giudiziaria contro Ap. Claudio, fratello di Clodio: Praete- rea coepi sacellum, in domo quod est, ab eo petere. Si tratta verosimilmente di un piccolo edi- cio di culto che Claudio aveva accorpato alla sua abitazione. Linterpretazione pi attendibile di questo accenno sibillino , a mio avviso, quella di Tyrrell e Purser 42 , secondo cui si sarebbe trattato di un sacello pubblico illecitamente privatizzato da Claudio. Ancora pi sfortunata fu esclude unidenticazione delle feriae Sementivae di ne gennaio con i Paganalia, a cui accenna Varrone (L. L., 6, 24). Il rapporto tra le due entit esaminato da FRASCHETTI 1990, pp. 173 ss.; CARANDINI 2006, pp. 140 ss., inserisce i pagi nel contesto del processo che porta alla nascita di Roma, nel quale essi sono inseriti come prima fase preurbana. 40 Ad es. MOMMSEN 1907, III, p. 539. 41 Au. Gell., N. A., 7, 12, 5 (= fr. 4 Hu.): sa- cellum est locus parvus deo sacratus cum ara.. Fest., sacella, 422 L.: sacella dicuntur loca dis sacrata sine tecto. La marcata discrepanza tra le due fonti risolta da COARELLI 1983, pp. 124 ss., accordando ducia alla denizione di Trebazio. Non tutti i sacella che cono- sciamo sono a cielo aperto, mentre tutti sono prov- visti di unara per la celebrazione del rito; alcuni ne hanno pi di una, come il sacellum Mutini Titini sulla Velia, a cui accenner subito. La soluzione di Coarelli mi pare la sola accettabile. 42 TYRRELL - PURSER 1969, III, p. 268. in cui ciascun villaggio conservava la sua indipenden- za, come pensava ancora DE FRANCISCI 1959, pp. 479 ss. Vi sono anche testimonianze epigrache di sacra pro montibus, come il rito che si svolgeva nel sacellum at- testato da una epigrafe urbana (CIL, 1 2 , 1003=ILLRP, 698): M<ag(istri)> et amines / montan(orum) mon- tis / Oppi / de pequnia mont(anorum) / montis Oppi / sacellum / claudend(um) / et coaequand(um) / et arbo- res / serundas / coeraverunt. Il sacellum di pertinen- za dei montani e i lavori sono nanziati a loro spese; non credo quindi che si possa trattare di un luogo di culto pubblico: valutando il rito che vi si svolgeva alla stregua della classicazione di Capitone, pare evidente che non appartenesse ai sacra pro sacellis, ma pro mon- tibus. Sui montani montis Oppii, PALMER 1976, pp. 50 ss.; FRASCHETTI 1990, pp. 174 ss. 39 CAPOGROSSI COLOGNESI 2002, pp. 43 ss.; TAR- PIN 2002, pp. 186 ss.; CARANDINI 2006, pp. 140 ss. In questa sede non posso affrontare una discussione sullipotesi di SABBATUCCI 1999, pp. 41 ss., che non 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 997 la sorte toccata al sacello di Mutinus Titinus, secondo un lemma di Festo (Mutini Titini, 142 L.), Mutini Titini sacellum fuit in Veliis, adversum murum Mustellinum in angi<portu>, de quo aris sublatis balnearia sunt facta Cn. D<omitii> Calvini, cum mansisset ab urbe condita <ad pri>ncipatum Augusti <>. Anche in questo caso abbiamo lo smantellamento di un piccolo e antichissimo luogo di culto pubblico, con la rimozione delle are in esso contenute e la trasfor- mazione del corpo di fabbrica in balnearia privati 43 . Quello che pu sorprendere lassenza di reazione degli organi preposti alla tuitio, censori ed edili 44 : fenomeno che si pu riportare alla mancata elezione di censori nellet delle guerre civili e no al 22 d.C. Ben diversa era stata la risposta in una situazione identica, nel pieno della Repubblica, descritta da Livio (40, 51, 2): i censori del 179 a.C. complura sacella publicaque <loca> usu occupata a privatis publica sacra<que> ut essent paterentque populo curarunt. Il sacellum distrutto da Domizio Calvino, invece, non fu mai rivendicato. Cos come accadde in parecchi casi ricordati da Cicerone nel de haruspicum responsis, a partire da quelli distrutti da Sex. Atilio Serrano (de har. resp., 32: A Sex. Serrano sanctissima sacella suffossa, inaedicata, oppressa, summa denique turpitudine foedata esse nescimus?), per giungere a quello distrutto ed accorpato da Clodio alla sua casa (de har. resp., 30: Sequitur de locis sacris, religiosis.[] in iis aedibus quas tu, Q. Seio, equite Romano, viro optimo, per te apertissime interfecto, tenes, sacellum dico fuisse <et> aras. Tabulis hoc censoriis, memoria multorum rmabo ac docebo). C unapparente contraddizione in quanto dichiara loratore: prima afferma che parler di loca sacra e religiosa, che per loro na- tura non possono appartenere a nessuno, essendo cose sottratte al commercium; poi dichiara di avere le prove di quanto ha appena affermato nelle registrazioni delle tabulae censoriae. Poich in esse era contenuto lelenco di tutti i beni di cui il singolo cittadino era proprietario, ne discenderebbe che il sacello in parola fosse di propriet di Seio. La composizione di questa discrepanza andr forse cercata nel fatto che nella sua professio Seio avr dichiarato anche tutti i beni comunque nella disponibilit privata, indipendentemente dal loro essere in sua propriet. Se questa interpretazione corretta, avremmo un caso rilevante di sacellum racchiuso in una propriet privata, ma aperto al culto pubblico. Finora abbiamo visto sacella pubblici, i cui culti quindi rientrano nella species dei sacra pro sacellis. Tuttavia le fonti ci mostrano anche sacella privati, ove si svolgevano riti non pubblici, o addirittura sacella adibiti al culto gentilizio di diverse gentes, come ci mostra inequivocabil- mente un testo di Cicerone (de har. resp., 32) secondo cui molti membri dellordine senatorio eseguivano culti gentilizi a Diana in un sanctissimum sacellum sul Celicolo: L. Pisonem quis tellato da Calvino in seguito. Sappiamo che costui era ancora vivo nel 21 a.C. (MNZER 1903, col. 1422); potrebbe quindi avere compiuto lempia azione poco prima di morire. Sul rapporto tra il sacello di Titinus e Venus Calva, e le relative implicazioni in tema di culti gentilizi, convincentemente ipotizzati da Torelli, qualche rilievo pi sotto. Ottimi rilievi su tutto il pro- blema in PALOMBI 1997, pp. 88 ss. 44 DE RUGGIERO 1925, pp. 148 ss.; 229 ss.; PALMER 1965, pp. 319 ss. 43 Lidenticazione di Calvino con il Cn. Domi- zio Calvino console nel 54 a.C. e autore del restau- ro della Regia ponticum nel 36 a.C. (TORELLI 1984, p. 154) convincente. LA. identica lincendio che distrusse ledicio poi ricostruito da Calvino con lo stesso evento che gli avrebbe permesso di impadronir- si del sacello di Titinus. Ma Festo afferma che esso so- pravvisse intatto no <ad pri>ncipatum Augusti, una formulazione che difcilmente si concilia con la data dellincendio. Pu darsi pertanto che il sacello non fosse andato distrutto nellincendio e sia stato sman- 998 M. Fiorentini Sc. Ant. nescit his temporibus ipsis maximum et sanctissimum Dianae sacellum in Caeliculo sustulisse? Adsunt vicini eius loci; multi sunt etiam in hoc ordine qui sacricia gentilicia illo ipso in sacello stato loco anniversaria factitarint. Va evidenziata la particolare forma di esercizio di questo sacello di Diana: luso cultuale ne aperto ad una molteplicit di gentes. Ci signica che nes- suna gens ha lesclusiva dellesercizio del relativo culto. Ma c di pi: il sibillino accenno di Cicerone parrebbe sottintendere un esercizio collettivo di questo sacello da parte dei gentiles, ciascuno dei quali vi celebra il suo rito gentilizio 45 . I sacra pro sacellis implicano unaltra difcolt: lattendibilit della proposta di includervi i sacra Argeorum. Lobiezione principale consisteva nel fatto che il nome tecnico delle cap- pelle degli Argei, come risulta da Varrone, non sacella ma sacraria 46 ; ma Varrone, dopo aver affermato (L. L., 5, 45) che reliqua urbis loca olim discreta, cum Argeorum s a c r a r i a sep- tem et viginti rell., poco dopo (L. L., 5, 48) nomina lArgeorum s a c e l l u m sextum della regio Suburana, evidenziando una certa variabilit terminologica dei relativi luoghi di culto 47 . Pi interessante il problema della determinazione della partizione cittadina alla quale essi avrebbero afferito. Su questo punto non mi pare convincente una certa tendenza a incardinare gli Argei nel sistema delle curie 48 . Se cos fosse, nelle classicazioni tardorepubblicane dei sacra essi sarebbero ricompresi nei sacra pro curiis; il che non , dato che la processione ai sacraria svolta da sacerdoti pubblici (le vestali, la aminica Dialis, i ponteci), e pertanto non coinvolge nessuna struttura curiale. Inoltre lincompatibilit tra il sistema degli Argei e quello delle curie dimostrata dalleterogeneit dei ventisette sacraria degli Argei con le trenta curie; e inaccetta- bile lantico tentativo di normalizzarne il numero con le quattro regiones serviane, ipotiz- zando un numero di ventiquattro sacelli 49 ; n persuasivo mi sembra il tentativo di concordare i due numeri ipotizzando un aumento del numero delle curie da ventisette a trenta, ad opera di Romolo: un intervento di tale importanza che, se ci fosse stato, le fonti non avrebbero mancato di ricordarlo. Esatta, invece, la collocazione degli Argei nella fase proto-urbana, proposta da Carandini 50 . A mio parere gli Argei rispecchiano una fase del popolamento antecedente non STAD 1973, p. 39. Contro il collegamento Argei-curie si era pronunciato gi MAGDELAIN 1976-77=1990, p. 172, a mio avviso correttamente, e pur nel contesto di unipotesi sulla collocazione cronologica del rituale argeo che non ritengo plausibile. 49 SAGLIO 1877, p. 404; contra SCULLARD 1981, pp. 120 ss.: PALOMBI 1997, pp. 86 ss., con una persuasiva deduzione tratta da unintegrazione della seconda parte di Fest., Mutini Titini, 142 L., nella quale com- pare un <s>extum et vicesimum (accolta anche da TO- RELLI 1984, p. 154), convincentemente identicato nel ventiseiesimo sacrario argeo. Ci ovviamente sarebbe sufciente a escludere che la locuzione di Varrone (L. L., 5, 45) Argeorum sacraria septem et viginti pos- sa essere considerata un errore del Reatino o, peggio, della tradizione manoscritta (che sul passo, a quanto mi consta, non conosce varianti testuali). 50 CARANDINI 2006, pp. 201 ss. 45 Un non pi recente commento allorazione ci- ceroniana inla un paio di perle in relazione a questo sacello: prima sospetta che esso sia stato apparently dedicated by a private person or family, poi collega la distruzione del sacello ad una vigorous action against the Egyptian cults () destroying their alta irs, ve- dendo una possibile connessione tra i due eventi especially if this cult of Diana were foreign, orgiastic, or in any way unruly. Non riesco a vedere dignitosi e severi membri dellordine senatorio compiere un cul- to orgiastico: LENAGHAN 1969, p. 165. 46 Cos ad es. GEIGER 1920, col. 1661. 47 POE 1978, pp. 150 ss. 48 STORCHI MARINO 1995; SABBATUCCI 1999, p. 123; ma gi cos PALMER 1970, p. 85; p. 126, pensava che un sacello destinato a sacrici di famiglie (sic) no- bili avrebbe potuto svolgere al meglio il suo ruolo if it were a sacred enclosure belonging to a curia; GJER- 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 999 solo alla divisione della citt in quattro regiones, come affermato da Van Doren sulla scia delle appropriate osservazioni di Collaart 51 , ma anche alla concentrazione della popolazione in cu- rie. Del resto non mi pare persuasiva, nonostante la sua suggestivit, la proposta di Gianfranco Maddoli di collegare gli Argei al culto greco di Hera Arghea introdotto durante la monarchia etrusca 52 . N tanto meno ritengo accettabile lipotesi formulata da Magdelain che, argomen- tando dalla circostanza che la processione avrebbe seguito un percorso concepito in modo da toccare tutti i sacella di ogni regione serviana prima di passare alla seguente, deduceva la dipendenza del rito dallassetto quadripartito dellUrbe serviana, e quindi la seriorit degli uni in confronto allaltra 53 . II) Fest., sacer mons, 424, 14 ss. L. La segregazione dei culti gentilizi nellambito dei culti privati, asserita nel testo di Capitone, rispecchia una fase della storia romana nella quale le gentes, avendo perso qualsiasi rilievo ed essendo state respinte al di fuori della vita della res publica, sono state relegate nella sfera privata, considerate tuttal pi nel contesto dei rapporti di parentela e del diritto delle successioni 54 . Una prova di tale declino unanimemente rico- nosciuta nella supervisione sul culto gentilizio esercitata dal collegio ponticale: un fenomeno implicante il sostanziale venir meno dellautonomia cultuale delle gentes. Festo (sacer mons, 424, 14 ss. L.) riferisce una preziosissima testimonianza di questo con- trollo; un testo che, vorrei far notare, non stato inuenzato dalla classicazione di Capitone essendone sicuramente anteriore: Gallus Aelius (fr. 5 Br.) ait sacrum esse quocumque modo [Linds.; quodcumque more Lachm.] atque instituto civitatis consecratum sit, sive aedis, sive ara, sive signum, sive pecunia, sive quid aliud quod dis dedicatum atque consecratum sit; quod au- tem privati suae religionis causa aliquid earum rerum deo dedicent, id pontices Romanos non existimare sacrum. At si qua sacra privata succepta sunt, quae ex instituto ponticum stato die aut certo loco facienda sint, ea sacra appellari, tamquam sacricium; ille locus, ubi ea sacra pri- vata facienda sunt, vix videtur sacer esse. Una considerazione preliminare si impone: Elio Gallo cita materiali ponticali. Queste fonti in genere hanno no a tempi recenti sollecitato scarse attenzioni, come se i ponteci fossero qualcosa di sostanzialmente estraneo al patrimonio della sapienza giurisprudenziale romana: nel giusromanista essi in genere suscitano interesse solo laddove la loro attivit si in- contri col diritto profano, lasciando agli specialisti di storia della religione lanalisi dei responsi ponticali in materia di culto 55 . 55 Ad es. SCHULZ 1968, p. 19: La storia della scienza giuridica romana, peraltro, si occupa del dirit- to sacro solo in quanto il diritto sacro tocchi il profano e presenti con il medesimo parallelismi; materia pura- mente di culto appartiene alla storia della religione. Nello stesso senso mi pare caratteristico dellatteg- giamento dei giusromanisti nei confronti della giuri- sprudenza ponticale il sostanziale disinteresse ma- nifestato, in un articolo peraltro di notevole spessore critico, da WIEACKER 1986, p. 347 s. che, ricordata la 51 DOREN 1958, pp. 39 ss.; AMPOLO 1988, p. 166, invece, ritiene gli Argei organicamente distribuiti se- condo la citt delle quattro regioni serviane; ci che gli suggerisce la conclusione che lelenco, nella forma in cui ci pervenuto, debba risalire ad et successiva al VI secolo a.C. Una conclusione che mi lascia parec- chi dubbi. 52 MADDOLI 1971. 53 MAGDELAIN 1976-77=1990, pp. 171 ss. 54 TALAMANCA 1998; MASI DORIA 1999. 1000 M. Fiorentini Sc. Ant. Francesco Sini ha evidenziato bene le ragioni che hanno indotto la critica del secolo XIX, alla quale ancora oggi in sostanza facciamo riferimento, a marginalizzare questi materiali, rite- nuti appunto estranei alla nostra tradizione giuridica perch riguardanti settori diversi, come il ius sacrum 56 . In realt, lattivit dei collegi sacerdotali nel campo del diritto pubblico in et re- pubblicana va ricondotta alla sua reale portata, che quella del controllo della correttezza delle procedure dei riti. Lungi dal rilevare esclusivamente nellambito religioso, essa vale ad assicu- rare il gradimento delle divinit e, in denitiva, larmonioso rapporto tra queste e la civitas. Si tratta perci di funzione strettamente collegata al diritto pubblico. La descrizione dellattivit pubblica degli uguri fatta da Cicerone (de leg., 2, 31) determinante. Dal momento che quella che i Romani chiamavano pax deorum era una componente essenziale del corretto funziona- mento della civitas, i ponteci e gli uguri erano chiamati a governare un settore fondamentale della vita politica romana 57 . Mi pare che sia questo il senso pi pregnante della formula, altri- menti francamente ambigua, secondo cui nellet arcaica non si pu tracciare una reale cesura tra diritto e religione 58 . Vedremo in sguito come questo rilievo possa essere procuamente speso nellanalisi di un testo importante di Cicerone (de leg., 2, 58) relativo allaedes Honoris extra portam Collinam. Nel lemma Sacer mons la citazione da Elio Gallo, nalizzata alla delimitazione della no- zione di res sacra, pu essere suddivisa in tre parti: i) denizione di sacrum, limitato solo a quanto (aedis, ara, signum, pecunia, quid aliud) sia stato consecratum atque dedicatum da un mos o da un institutum civitatis; ii) le stesse res, se destinate dai privati suae religionis causa, non sono considerate sacrae dai ponteci 59 ; iii) vi sono sacra privata che un institutum ponticum impone ai privati di compiere stato die aut certo loco: questi sono sacra, e il locus ove si deve svolgere latto di culto , pur con qualche riserva (vix), considerato locus sacer. re la confusione tra sacro e profano nelle pronunce ponticali, RANDAZZO 2004. 56 SINI 1995, pp. 28 ss., sullespulsione dei frag- menta extra Digesta tradita, secondo la logica co- struttiva (ma meglio sarebbe dire, come fa giustamen- te Sini, omissiva) del Lenel della Palingenesia Iuris Civilis. La complessit dei materiali giuridici utilizzati da Elio Gallo fu messa in risalto da BONA 1987, pp. 119 ss. 57 VOCI 1953, pp. 49 ss.; SINI 2002, pp. 68 ss. 58 lambiguit che si riscontra in alcuni accenti del pur denso contributo di VOCI 1953. Non ambiguo invece FABBRINI 1968, nellattribuire alla religio arcaica un signicato non circoscritto alla religio sepulcrorum ma esteso a coprire tutte le manifestazioni del sacro. Una visione confutata da Albanese: ALBANESE 1969, a mio avviso determinante, nonostante la replica di FAB- BRINI 1970, pp. 197 ss. 59 ALBANESE 1969, pp. 208 ss., nota 8. profonda compenetrazione tra sacro e civile nellespe- rienza romana arcaica, lamenta che i testi ponticali unterrichten nicht direkt ber ihre (scil. dei ponteci) Methoden und Vorstellungen zum profanen Recht: wir knnen auf diese nur zurckschlieen aus Sakralfor- meln und Sakralgutachten (ibid., p. 348, nota 2), che lA. esclude dal suo esame, in quanto ritenute estranee allattivit profana dei ponteci. Invece a mio parere Sakralformeln und Sakralgutachten sono parte del peculiare orizzonte giuspubblicistico romano di et repubblicana e non possono essere messi da parte in ossequio ad una visione liberale della separazione tra diritto e religione (cos anche VOCI 1953, p. 45). Una nozione che, se al giorno doggi sarebbe del tutto au- spicabile (oltre che, a torto, ritenuta pienamente rea- lizzata), non risponde a pieno alla mappa delle strut- ture pubblicistiche romane, neanche di et imperiale: guriamoci a quelle monarchiche e repubblicane. Pi equilibrato, bench ancora orientato nel senso di nega- 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1001 Come si vede il lemma molto pi articolato di quanto sia considerato da coloro che lo leggono come prova della pura e semplice sorveglianza del collegio ponticale sui culti privati. Mommsen lo ritenne prova del fatto che lo stato avrebbe usato conferire culti pubblici alle gentes, anzi, avrebbe attuato una vera e propria Mandirung eines Geschfts 60 : un fatto non solo inspiegabile (perch conferire un culto ad una gens invece di afdarlo a sacerdozi pubbli- ci?), ma contraddetto proprio dal passo di Elio Gallo. In esso, infatti, i ponteci non afdano ai privati un culto pubblico, ma accolgono culti privati nella categoria dei sacra qualora sussi- stano determinati requisiti, in particolare la cadenza temporale (stato die) o la determinazione del certus locus in cui latto di culto deve svolgersi; ne deriva lestensione della qualit di sacer al locus in cui si svolge latto cultuale. La considerazione pi interessante mi pare per unaltra: la classicazione di Elio Gallo certamente anteriore a quella di Capitone, e in essa sono gi menzionati i sacra privata, ancora privi di quella caratterizzazione denitoria che contraddistingue la denizione di Capitone, ma certamente gi strutturati come contenitore di quelle forme del culto che non rispondo- no ai criteri elaborati dai ponteci per la ricomprensione nella categoria del sacrum. Un altro rilievo mi pare di grande valore: lesclusione di quanto i privati abbiano costi- tuito suae religionis causa il frutto di un intervento interpretativo dei ponteci, come appare evidente dal verbo existimare che esprime lautorevole pronuncia del collegio sulla soluzione di una controversia o di un quesito portato alla sua attenzione. Infatti, non esistendo una let- teratura scientica ponticale nella quale potessero maturare opinioni sullambito semantico di un termine tecnico, il verbo in parola allude allesito dellattivit di controllo del collegio, espresso in un decretum 61 . Lintervento ponticale delineato in questi testi si era reso necessario per assicurare la continuit di culti gentilizi che dovevano essere in immediato pericolo di estinzione. Le fonti, almeno a partire dal II secolo a.C., sono prodighe di informazioni sugli espedienti escogitati non solo dai privati ma anche dalla giurisprudenza cautelare dei ponteci per permettere agli onerati di sottrarsi ad obblighi che non solo dovevano essere sentiti sempre pi economica- mente gravosi e costrittivi, ma, aggiungerei, nei cui confronti, per la dispersione dei gruppi gentilizi in entit sempre meno compatte, la determinazione concreta dellonerato doveva esse- re sempre pi problematica. Il lungo testo del de legibus di Cicerone (2, 48-54), contenente una serrata polemica con gli Scevola ponteci, accusati dallArpinate di avere, con i loro interventi cautelari in materia di obbligati ai sacra, contribuito pesantemente al declino della religione gentilizia, venendo sostanzialmente meno allattivit di controllo esercitata tradizionalmente nato poco sopra. Quanto alla forma assunta da questa pronuncia ponticale, data lespressione usata da Elio Gallo (existimare), sarei orientato a ritenerla un de- cretum. Sulla differenza tra le due forme di intervento ponticale mi pare che si sia correttamente pronun- ciato RANDAZZO 2004. Cfr. anche MANCUSO 1988, pp. 78 ss.; FALCONE 1991, pp. 234 ss., di cui, in assenza di pi precisi riscontri cronologici, trovo convincente la datazione di Elio Gallo ai primi anni del I secolo a.C. 60 In realt il pensiero di Mommsen, oltre che pi articolato di come lho ora presentato, ha subto una profonda evoluzione, dal libro giovanile sui collegia (MOMMSEN 1834) al maturo Staatsrecht (MOMMSEN 1887). 61 Che i collegi sacerdotali dovessero non di rado risolvere questioni attinenti alla qualicazione pubblica o privata delle materie di loro competenza evidenziato dallepisodio narrato da Livio, relativo ai decemviri sacris faciundis (43, 13, 6), cui ho accen- 1002 M. Fiorentini Sc. Ant. dal collegio, appare emblematico in proposito: la penetrante lettura proposta dal compianto Ferdinando Bona al Convegno di Copanello del 1988, che confermava con altri argomenti la cautela verso lattendibilit delle critiche ciceroniane manifestata da Eberhard Bruck nel suo lavoro del 1945, mi pare la pi afdante, e ad essa rinvio senzaltro 62 . Dir di pi: abbiamo almeno una testimonianza quasi in presa diretta di questo fenomeno di abbandono dei sacra, risalente alla prima met del II secolo, lepisodio dellespulsione di L. Veturio dal ceto degli equites ad opera di Catone, su cui torner tra breve. Queste testimonianze rispecchiano dun- que unet di disgregazione progressiva della solidariet gentilizia in materia cultuale, specchio di un pi generale fenomeno di sfaldamento della gens come struttura sociale: un fenomeno che gi nel II secolo fa avvertire i primi scricchiolii (anche se, come vedremo, lo stesso secolo presenta episodi che ne attestano anche uninsospettata vitalit). Nellottica della giurisprudenza ponticale cui accenna Elio Gallo, pertanto, tra i culti privati fatta una bipartizione: culti privati di stretta pertinenza privata, e culti privati che, a sguito dellintervento di un institutum ponticum, sono assimilati a culti pubblici. Anche in questo secondo caso siamo in presenza di culti privati, dotati per di un grado particolare di coercitivit proprio a causa dellinstitutum ponticum. Questa duplicit dei culti privati con- fermata da unanalisi, necessariamente rapida, dei singoli sacra gentilicia. 3. Sacra gentilicia Le fonti attestano lesistenza di culti rimasti sempre nel chiuso della vita delle gentes. Si tratta di culti e rituali che non hanno mai inuenzato la vita della civitas. Tra questi il pi insolito senzaltro quello ricordato da Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 34, 137) a proposito della gens Servilia: Unum etiamnum aeris miraculum non omittemus. Servilia familia inlustris in fastis trientem aereum pascit auro, argento, consumentem utrumque. Origo atque natura eius incomperta mihi est. Verba ipsa de ea re Messallae senis ponam: Serviliorum familia habet trien- tem sacrum, cui summa cum cura magnicentiaque sacra quotannis faciunt. Quem ferunt alias crevisse, alias decrevisse videri et ex eo aut honorem aut deminutionem familiae signicari. Il testo cos singolare da avere provocato una sorta di reazione di rigetto tra gli studiosi 63 . Il motivo evidente: Messalla descrive un rituale di pronostico celebrato in onore di un triens sacer che, nel corso di un sacricio annuale, viene alimentato con oro e argento per ottenere un pronostico sulle sorti future della gens, da ricavare dal gradimento delle offerte manifestato dal presunto aumento o meno delle sue dimensioni. Cosa era questo triens? 2, 50): Sed ponticem sequamur. Videtis igitur omnia pendere ex uno illo, quod ponti<ces> cum pecunia sacra coniungi volunt, isdemque ferias et caerimonias adscribendas putant. FRANCIOSI 1964. 63 Nonostante la sua lunghezza, esso non fu re- cepito nella raccolta di HUSCHKE (SECKEL - KBLER) 1908, mentre fu inserito in quella di BREMER 1896 (Br.). Perno un contributo che n nel titolo riprende alla lettera le espressioni pliniane non ha sentito la neces- sit di soffermarvisi: VONES 1978. 62 BRUCK 1945, pp. 6 ss.; BONA 1990, pp. 215 ss., con unacuta disamina dei rapporti tra lattivit pon- ticale e il ius civile nellottica non disinteressata di Cicerone. Che fosse laspetto del peso economico connesso alla celebrazione dei riti gentilizi il maggiore responsabile di disaffezione e tentativi di abbandono, soprattutto al momento dellapertura della succes- sione, mi pare dimostrato dal criterio elaborato dai ponteci per individuare lobbligato ai sacra, incar- dinandone la trasmissione al patrimonio. questo il nucleo concettuale che ci trasmette Cicerone (de leg., 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1003 Il problema stato spesso risolto proponendo lidenticazione con una moneta della serie enea di un terzo dasse 64 . Una soluzione davvero banale, inadeguata a spiegare non solo il carat- tere alimentare del rito, non attestato in nessun altro culto, ma anche la materia del simulacro di culto, il bronzo. Non si capisce perch i Servilii avrebbero scelto un oggetto di culto di cos scarso valore come una moneta di bronzo, per di pi di una frazione ponderale. Oltre tutto, in questo caso, il rito non potrebbe essere pi antico della pi antica monetazione romana in bronzo che, anche accettando la datazione pi alta, non sarebbe pi antica della seconda met del IV secolo a.C. Invece il simulacro del culto servilio si armonizza con un periodo in cui il bronzo era considerato materia dotata quasi di una virt magica, a cui veniva offerto un pasto altrettanto prezioso come oro e argento. Un parallelo potrebbe essere costituito dal divieto di utilizzare strumenti di ferro, imposto al amen ed alla aminica Dialis, o dallanalogo obbligo di impiegare solo strumenti di bronzo nei restauri del pons Sublicius, secondo una serie di testi- monianze la pi completa delle quali fornita da Aulo Gellio (N. A., 10, 15) 65 . Gi trenta anni fa Jean Gag aveva proposto uninterpretazione del rituale a mio avviso esatta, leggendovi un caso rarissimo di sopravvivenza di magia dei metalli, unita ad una minente dignit de laes 66 . Non mi pare che vi sia alcun altro rituale, nelle pur variegate forme del culto romano, dotato di un simile valore: dal punto di vista della tipologia del rito, siamo in presenza di un vero e proprio unicum: lidenticazione con un aes signatum mi pare nel complesso la pi plausibile. Saremmo pertanto portati in piena et arcaica quando, come ricorda Varrone in un testo proveniente da Agostino (civ. Dei, 4, 31), che pure ha sollevato non infondate perplessit, i Romani veneravano immagini di culto aniconiche, come il lapis manalis portato in processio- ne durante lAquaelicium, o il lapis silex dei feziali che, come ricorda Servio (ad Aen., 8, 641), antiqui Iovis signum lapidem silicem putaverunt esse, o il delubrum che, secondo un lemma festino conservato nellepitome di Paolo Diacono (delubrum, 64 L.) avrebbe preso nome da un fustem delibratum, hoc est decorticatum, quem venerabant pro deo. Questa fase storica della religione romana ben si accorda con la grande antichit della presenza dei Servilii a Roma: essi infatti sono menzionati da Livio (1, 30, 2) tra le gentes Albanae coattivamente trasferite a Roma dopo la distruzione di Alba Longa ad opera di Tullo Ostilio: principes Albanorum in patres rapporto con questo pronostico del futuro associato allaumento o diminuzione delle dimensioni potreb- be forse essere rintracciato in testimonianze di sortes imminutae, come presagio di calamit, ricordate da Livio (21, 62, 5 a Caere, scoppio della seconda guerra punica; 22, 1, 11 a Falerii, disastri del Trasimeno e di Canne). Si tratta di mera analogia esteriore mancando, nel caso delle sortes, lelemento per cos dire alimen- tare, essenziale nel rito servilio in quanto preliminare al riscontro del gradimento dellofferta. In FIOREN- TINI 1988, p. 124 s., proponevo anche due eccezionali paralleli etnograci, tratti da VAN DER LEEUW 1975, p. 24 (pesatura annuale di una catena doro a Goa, ove ogni famiglia ha oggetti di culto da cui dipende la pro- sperit) e p. 552, nota 50 (Ewe del Togo), interpretati alla luce delle teorie dinamistiche di Wagenwoort. 64 Per lidenticazione in una moneta gi MOMM- SEN 1860, p. 107, che collegava la notizia di Messalla alla serie di C. Servilio del 134; DE MARCHI 1896, p. 107, che lo riferiva ad un culto familiare; H. Le Bon- niec, nel commento al l. 34 della Naturalis Historia accolta nella coll. delle Belles Lettres (p. 302); GAG 1958, p. 476, richiam lopinione di Adrien Blanchet, secondo cui si sarebbe trattato di une monnaie an- cienne considre comme un souvenir sacr. 65 DE FRANCISCI 1955, pp. 119 ss. 66 GAG 1976, pp. 241 ss.: si sarebbe trattato di survivances dune magie des metaux rarement attes- te Rome. Ancora pi ragguardevole il rapporto istituito dallA. tra il bronzo dei Servilii e la riforma monetaria di Servio Tullio, attestata da Plin., N. H., 33, 42-47, su cui AMPOLO 1974, pp. 382 ss. Un lontano 1004 M. Fiorentini Sc. Ant. ut ea quoque pars rei publicae cresceret legit, Iulios, Servilios, Quinctios, Geganios, Curiatios, Cloelios. Quale che sia il grado di attendibilit della lista liviana, lappartenenza dei Servilii al nucleo pi antico della popolazione romana mi pare certa 67 , cos come innegabile che il rito presuma un mondo ideale di pertinenza strettamente gentilizia nel quale il simulacro di bronzo venerato alla stregua di una divinit. Un altro culto su cui vorrei fermare lattenzione quello tributato dalla gens Nautia a Mi- nerva, la cui rilevanza data dal fatto che vi coinvolto il palladium: Servio (ad Aen., 5, 704) ri- corda che Nautiorum familia Minervae sacra retinebat, quod etiam Varro docet in libris quos de familiis Troianis scripsit. Dunque, secondo Varrone, la gens Nautia avrebbe tributato un culto a Minerva, nella rara epiclesi di Tritonia 68 . A lui, mi pare, si collega esplicitamente Virgilio (Aen., 5, 704-719) nel descrivere il capostipite della gens in questi termini: tum senior Nautes, unum Tritonia Pallas / quem docuit multaque insignem reddidit arte / haec responsa dabat, vel quae portenderet ira / magna deum vel quae fatorum posceret ordo. La provenienza troiana asserita da Varrone confermata da Dionisio di Alicarnasso (6, 69, 1): infatti il capostipite della loro gens Nauzio, sacerdote di Atena Poliade, era uno di coloro che con Enea allestivano la colonia, e portava emigrando il simulacro della dea, che i membri della gens dei Nautii si tramandarono trasferendoselo luno dopo laltro 69 . Vi sono alcune discrepanze: per Dionisio il capostipite della gens, Natios, avrebbe tra- sportato il palladio da Troia: la stessa versione di Virgilio. In altre fonti, invece, lo avrebbe ricevuto da Diomede. Anche questa seconda versione tramandata da Servio (ad Aen., 2, 166), che la colloca nellambito del viaggio di Enea (il capostipite degli Iulii) a cui il protagonista della storia, Diomede, tenta di restituire il palladio; ma si verica un imprevisto che consente a Nautes di impadronirsi della statua: transeunti per Calabriam Aeneae offerre conatus est. sed cum se ille velato capite sacricans convertisset, Nautes quidam accepit simulacrum: unde Miner- vae sacra non Iulia gens habuit, sed Nautiorum. Purtroppo stavolta Servio non ricorda il nome dellautore da cui ha tratto la notizia. Questa tradizione relativa alla gens Nautia va raffrontata con quella narrata da Cassio Emina e conservata da Solino (Coll. rer. mem., 2, 14=fr. 7 P.=fr. 8 S.): Nec omissum sit, Aenean aestate ab Ilio capto secunda, Italicis litoribus appulsum, ut Emina tradit, sociis non amplius sexcentis, in agro Laurenti posuisse castra: ubi dum simulacrum, quod secum ex Sicilia adve- xerat, dedicat Veneri matri, quae Frutis dicitur, a Diomede Palladium suscipit, tribusque mox annis cum Latino regnat socia potestate, quingentis iugeribus ab eo acceptis. Cassio Emina non fa cenno alla presenza del senior Nautes di Virgilio (Aen., 5, 704) 70 : Enea riceve direttamente il palladio dalle mani di Diomede. Qui non posso affrontare il problema, ben studiato da Marta Sordi, della pluralit dei palladi, tra quello laviniate e quello romano, senza contare quello di o..uctt| c. c, c.| .tccc||t., . tu ,.|u, |t., tu Ncut..|. 70 Neanche le gurazioni vascolari greche rac- colte da Schauenburg nel 1960 accennano a Nautes: ZEVI 1981, pp. 145 ss. Ci conferma lorigine gentilizia della narrazione del senior Nautes. 67 Nello stesso senso cfr. VONES 1978, pp. 3 ss. 68 Sulle derivazioni greche del culto di Tritonia a Lavinio, BEARZOT 1982, pp. 43 ss. 69 Dion. Hal., 6, 69, 1: ,c, ,..| cut.| tu ,.|u, Ncut., c t.| cu| A.|..c ct..c|t.| t| c.-.c| .., |, A-|c, ..,.u, H.co,, -c. t c|| c|.,-ct t, -.c, .tc|.ctc.|,, 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1005 Fimbria 71 , ma rilevo che la versione anonima della tradizione nauzia pare incunearsi in quella incentrata sulla restituzione del palladio ad Enea: Nautes si inserisce nel momento della con- segna della statua, di cui si impossessa approttando del fatto che Enea, in quel momento, occupato a svolgere, velato capite, un sacricio a Venus Frutis. Appare evidente che Virgilio e Servio (ad Aen., 5, 704) abbiano attinto al de familiis Troianis di Varrone come fonte del racconto. Al di l di dettagli ttizi 72 , ricco di signicato che Varrone trattasse di una gens ormai praticamente estinta 73 . Lacme dei Nautii si situa nel V secolo a.C.: Dionisio (6, 69, 1) denisce questa gens, al tempo della secessione della plebe del 494, casata illustrissima 74 ; Livio ricorda quattro consolati dal 484 al 404; uno nel 316 e uno nel 287, dopo di che la gens soffre un inarrestabile declino per sparire dalla vita pubblica nel I secolo a.C. 75 . Per questo motivo la collocazione dellopera varroniana proposta da Trai- na mi pare solo in parte convincente 76 : nel caso dei Nautii linteresse di Cesare per le origini troiane postulata dallA. si sarebbe scontrato con una tradizione gentilizia che sottraeva alla appresa, a suo dire, c,c t.| .,.,..|, TORELLI 1984, pp. 158 ss. Lo scetticismo dichiarato da TURCAN 1983, p. 47, sullidenticazione del tumulo scoperto a Lavinio con lher . on di Enea di cui parla ancora Dionisio (1, 64, 5), pur basato su reali discrepanze tra le fonti scritte e le risultanze degli scavi, mi pare forse troppo radicale. 73 un rilievo simile a quello proposto da AM- POLO 1970-71, pp. 42 ss., a proposito dei Veturii e dei Volumnii in relazione alla saga di Coriolano. 74 Dion. Hal., 6, 69, 1: .-.c c,tct. 75 In et imperiale nota solo attraverso docu- menti epigraci di liberti: CIL, 11, 8269, da Terracina, menzionante un C. Nautius C. l. Trupho, fu trovata insieme a una stula aquaria coi nomi di Settimio Se- vero e Caracalla (CIL, 11, 22893): FIORENTINI 1988, pp. 143, note 79 e 80. Condivido in pieno WISEMAN 1974, p. 157, secondo cui, dato che non conosciamo senatori della gens dopo il 287 a.C. (mentre unaltra gens albana, quella dei Geganii, sembra sparire anche prima, nel IV), the story of their Trojan origin proba- bly goes back a long way. 76 Sulla scorta di uno studio di Toohey, TRAINA 1993-1994, p. 627, inquadra il de familiis Troianis nel contesto della politica cesariana e del connesso in- teresse di Cesare per il mito di Romolo e la leggenda troiana. Ci possibile; resta per che la narrazione varroniana sottrae agli Iulii la prerogativa del culto di Minerva Tritonia; e va aggiunto, se la narrazione di Servio (ad Aen., 5, 704) proviene da Varrone, con una sorta di furto con destrezza. Centra qualcosa la pro- venienza della gens, che potrebbe essere indiziata da uno dei suoi cognomina pi antichi, Rutilus / Rutulus, portato dai consoli del 488, del 475, del 458, del 424, e dai tr. mil. cos. pot. ? 71 SORDI 1982, pp. 65 ss., anche in relazione alla notizia, tramandata da Servio (ad Aen., 2, 166), del rinvenimento del palladio da parte di Fimbria: quamquam alii dicant, simulacrum hoc a Troianis ab- sconditum fuisse intra extructum parietem, postquam agnoverunt Troiam esse perituram: quod postea bello Mithridatico dicitur Fimbria quidam Romanus inven- tum indicasse: quod Romam constat advectum. 72 Bisognerebbe a mio avviso indagare meglio i rapporti tra queste tradizioni e quelle connesse ai nostoi, soprattutto nel punto in cui Enea viene fatto incontrare con Odisseo sul lido laviniate. Il rappor- to tra Enea e Odisseo in Italia ambiguo: secondo Dionisio di Alicarnasso (1, 72, 2), Ellanico descri- ve Enea che arriva in Italia .t 'Ooucc..,; una tradizione, nota a Licofrone, li descrive come alleati (se nelleroe greco che va identicato il misterioso nnos di Alex., 1244); ma Festo (Saturnia, 432 L.), riporta la tradizione opposta in cui i due eroi sono nemici: Italici auctore Aenea velant capita, quod is, cum rem divinam faceret in litore Laurentis agri Veneri matri, ne ab Ulixe cognitus interrumperet sa- cricium, caput adoperuit atque ita conspectum ho- stis evitavit. Sul percorso seguito dal mito di Enea per giungere da Lavinio a Roma, SORDI 1989, pp. 19 ss., privilegia la pista etrusca a preferenza di quella greca, riproposta ancora da BRACCESI 2000, pp. 58 ss. con (p. 62) una rilevante interpretazione sul nnos di Licofrone, associato, oltre che a Odisseo, al Nnos re pelasgo fondatore o conquistatore di Cortona di cui parla ancora Dionisio (1, 28, 3). Su questi pro- blemi, AMPOLO 1992, pp. 321 ss. Sul problema dei santuari laviniati in rapporto alle tradizioni sullar- rivo di Enea e Odisseo, anche in rapporto allimpor- tante versione di Dionisio di Alicarnasso (1, 55, 1-2) 1006 M. Fiorentini Sc. Ant. gens Iulia lonore dellintroduzione del palladio a Roma. Varrone infatti attribuisce il pal- ladio non agli Iulii ma agli oscuri, e quasi scomparsi, Nautii e, a quanto possibile dedurre dalle fonti, senza giusticarne il successivo passaggio da questi agli Iulii. vero che forse a Cesare poteva non fare ombra una gens praticamente estinta: ma in un agone politico in cui anche le priorit temporali facevano aggio sulla potenza gentilizia, resta il fatto che Varrone attestava come il culto di Minerva Tritonia non fosse di pertinenza degli Iulii, ma dei Nau- tii. Peraltro, evidenziando la precedenza storica dei Nautii sugli Iulii nel culto di Minerva, Varrone potrebbe avere sfruttato notizie sui Nautii in funzione anticesariana, rispecchiando i suoi trascorsi pompeiani; ma leventuale strumentalit della narrazione non pu nascondere che essa si deve essere basata su notizie molto pi antiche, delle quali tuttavia impossibile stabilire la provenienza. Un altro culto sicuramente gentilizio quello della gens Aurelia, attestato solo in un lemma di Festo epitomato da Paolo Diacono (Aureliam, 22 L.): Aureliam familiam ex Sa- binis oriundam a Sole dictam putant, quod ei publice a populo Romano datus sit locus in quo sacra faceret Soli, qui ex hoc Auseli dicebantur, ut Valesii, Papisii, pro eo quod est Valerii, Papirii. A lungo, e anche di recente, ne stata dichiarata la natura pubblica, congetturata sulla base della concessione publice del locus destinato al culto 77 . Ma la concessione pubblica del locus il solo indizio che permetta di giungere a questa conclusione, mentre in contrario milita losservazione che le fonti fanno frequenti riferimenti a concessioni di fondi, aree sepolcrali individuali o collettive, case, emanate publice in favore di privati particolarmente benemeriti; esse, tuttavia, non rimangono pubbliche ma rientrano nella piena propriet dellonorato. Mi riferisco alle testimonianze relative alle case dei Valerii, note da molte fonti, e in particolare da Asconio (in Pisonian., 13, 8 ss. Clark) e da Cicerone (de har. resp., 16); ai prata Mucia, di cui parlano Livio (2, 13, 5) e Festo (Paul. Fest., Mucia prata, 131 L.); alla domus concessa publice sulla Sacra via a C. Scipione Nasica Corculum, pontece massimo dal 150 a.C., cui accenna Pomponio (l. sing. ench., D. 1, 2, 2, 37); per non parlare del locus sub Capitolio concesso ai Claudii come sepolcreto gentilizio 78 . Per nessuna di queste si parla di pagamento di un vectigal che, n da et repubblicana, connota luso privato di beni pubblici, mentre evidente che, nei casi ora in esame, siamo in presenza di beni che ricadono nella piena propriet dei beneciati. Particolarmente signicativo quanto dichiara Cicerone (de har. resp., 16) sullo status giuridi- co della domus di Valerio Publicola: P. Valerio, pro maximis in rem publicam beneciis data est domus in Velia publice illi locus illi quam i p s e p r i vat o i ur e t ue r e t ur . Il richiamo alla tutela privatistica assicurata a Valerio, a prescindere dalle motivazioni che avevano spinto conseguenze sul regime giuridico del locus. La natura pubblica del culto stata ribadita ancora pi di recen- te da RICHARD 1976, pp. 915 ss., in un pregevole con- tributo che mi trova in disaccordo su questo unico, bench centrale, punto. 78 Per unanalisi delle fonti in materia mi permet- to di rinviare ancora a FIORENTINI 1988, pp. 132 ss. 77 Una rassegna critica sarebbe troppo lunga; sufciente ricordare che gi MOMMSEN 1834, p. 10, lo aveva ritenuto pubblico poich in agro publico e- ret; e WISSOWA 1912, p. 315, aveva dichiarato la natura pubblica del culto aurelio ohne Zweifel. Eppure gi WILLEMS 1883, pp. 347 ss., aveva affermato che il pu- blice del lemma festino avrebbe signicato solo che la concessione era avvenuta a spese dello stato, senza 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1007 Cicerone a menzionare lepisodio 79 , vale ad assicurarci che la casa di Publicola era di pieno diritto privato. Un regime giuridico attribuito anche alla domus di un altro membro della gens Valeria, secondo una notizia fornita da Valerio Anziate e trasmessa da Asconio (in Pisonian. p. 13, 8 ss. Clark): M. Valerio Maximo, ut Antias tradidit, inter alios honores domus quoque publice aedicata est in Palatio, cuius exitus quo magis insignis esset in publicum versus declina- retur, hoc est, e x t r a p r i va t um a p e r i r e t ur . La concessione dellarea di culto agli Aurelii segue le stesse modalit. Abbiamo dunque una gens sabina, come i Claudii e i Valerii, che, trasferitasi a Roma, vi ottiene unarea per la celebrazione del culto. Da notare letimologia del nomen gentilizio: Au- selii < Sol 80 , come se il nome della gens derivasse dalla divinit a cui i suoi membri celebravano il culto. evidente che siamo nel contesto del pi ristretto patrimonio cultuale gentilizio, in cui perno il nome si fa derivare dalla divinit a cui viene reso il culto. Anche i Claudii avevano uno o pi culti propri: lo attestano alcune testimonianze, invero piuttosto sibilline, su un sacricio espiatorio annuale e su un culto reso a Saturno. Sul primo ci informa una denizione di Ateio Capitone conservata in un lemma di Festo (propudialis porcus, 274 L.): propudialis porcus dictus est, ut ait Capito Ateius (fr. 19 Strzel.), qui in sacricio gentis Claudiae velut piamentum et exsolutio omnis contractae religionis est. Capitone menziona dunque un sacricio gentilizio nel corso del quale veniva sacricato un porcus propudialis per lespiazione di una religio contracta 81 . La situazione alla quale si riferisce il giurista augusteo piuttosto oscura, e solo un esame dei termini chiave (propudialis, religio e piamentum) da lui adoperati pu consentirci di collocarla genericamente. I primi due termini si riferiscono ad una colpa che ha dato luogo ad una rottura dei rap- porti col mondo divino. Due lemmi dellepitome di Paolo Diacono ci permettono di instradare la discussione per tentare di comprendere la natura di questa colpa: Paul. Fest., propudium, 253 L.: propudium dicebant, cum maledicto nudare turpitudinem volebant, quasi porro puden- dam. Quidam propudium putant dici, a quo pudor et pudicitia procul sint; e Paul. Fest., pro, 257 L.: pro ponitur [] pro privandi facultate, ut in propudio, prohibendo, quia utrumque abnuit in his esse pudorem potestatemque. In entrambi i testi il valore di propudium deli- neato come antitetico ai valori del pudor e della pudicitia. dunque nellambito del disordine sessuale, che aveva dato luogo a una situazione permanente di contaminazione, che deve essere collocata la religio, per puricare la quale i Claudii sacricavano annualmente un porco. Il termine piamentum fa invece riferimento esplicito al mezzo necessario al ristabilimento dellarmonico rapporto con la divinit: si tratta di un piaculum, ossia di un sacricio riparato- re della contracta religio. Prosdocimi ha ben messo in luce che il piaculum pu servire in una serie molto ampia di situazioni: quando si tratta di compiere una violenza, volontaria ma necessaria, a un elemento naturale che potrebbe essere consacrato a qualche divinit, come un di una tutela anche rituale. 80 Unetimologia esatta: sul liber linteus di Zaga- bria e sul fegato di Piacenza il nome del Sole Usil. 81 FIORENTINI 1988, pp. 185 ss. 79 Si tratta del raffronto, invero un po vanitoso, tra la fonte della concessione a Valerio, a cui la casa donata dal popolo romano con un regime privatistico, e quella a lui restituita grazie a responsi di aruspici e a pronunce dei ponteci e degli auguri, e quindi dotata 1008 M. Fiorentini Sc. Ant. bosco o le messi, come ricorda Catone (agr., 134 e 139-140); o per riscattare infrazioni sociali; o in seguito a portenta come fulmini o monstra 82 . Il piamentum della gens Claudia si pone in questa funzione espiatoria, con la differenza che i piacula per i portenta e quelli catoniani sono compiuti una tantum, quando se ne presenti la necessit; mentre quello claudio perpetuo per espiare una colpa inestinguibile. Se si pensa al crimine di cui la tradizione storiograca accusa il decemviro Ap. Claudio, ossia loltraggio a Virginia, la sua uccisione per mano del padre, con cos tanti particolari apparentemente romanzeschi narrati da Livio (3, 48), forte la tentazione di collegare il porcus propudialis a questo episodio tuttaltro che edicante della storia gentilizia dei Claudii. Ovviamente questa solo una suggestione: mancando le controprove necessarie, la correlazione proposta pu essere ipotizzata solo in via indiziaria. Tuttavia luccisione del porcus propudialis non appare lunico atto di culto attribuito dalle fonti alla gente Claudia. In realt abbiamo altre fonti che ci prospettano la celebrazione di un culto tributato dai Claudii a Saturno. Si tratta di un altro testo, molto mutilo, di Festo (<Sa- turno>, 462 L.): <Saturno> sacricium t cap<ite aperto > Metellus pontifex <maximus Claudium augurem iussis>set adesse[t], ut eum < Sul>pici Ser. f. inaug<urationi adhiberet, Claudius excusa>ret se sacra sibi fa<miliaria esse Saturni, ob quae sibi sup>plicandum esset capite <aperto; itaque si ad iussum > adesset, futurum, ut cum ap<erto capite inauguratio> facienda esset, pontif<ex eum multavit>; Claudius provocavit; <populus negavit ius pon>tici esse, et Claudius <> Saturno sacra fecit rem<>. Il testo, a parte le gravi lacune, pone alcuni problemi di difcile soluzione, primo fra tutti quello della cronologia. In genere lepisodio viene datato al I secolo a.C., identicando i perso- naggi rispettivamente in Q. Cecilio Metello Pio e in Appio Claudio console nel 54 a.C., esperto augure 83 . Il dato problematico di questa collocazione cronologica costituito dallappellati- vo di Metello: Metellus pontifex senza altre note identicative costantemente denominato il L. Cecilio Metello console nel 251 a.C., protagonista del famoso episodio del salvataggio del palladio nellincendio del tempio di Vesta che, nella ricostruzione mitistorica dellevento, gli sarebbe costata la vista 84 ; e a mio parere questa lidenticazione giusta. Un altro punto discutibile la qualicazione del culto come familiare. Bona, nel 1963, laveva accettata senza discutere; ma gi nel 1949 Volterra lo aveva, a mio avviso correttamente, classicato come culto gentilizio 85 . Un altro problema posto dal lemma festino la collocazione temporale del sacricio. Un testo di Livio (43, 23, 6) potrebbe contribuire a risolvere la questione. Narrando le vicende del 83 MNZER 1920, p. 267, nota 1; CATALANO 1960, p. 221; BONA 1963, p. 319, n. 18; BONA 1964, p. 81; SZEMLER 1972, p. 175 e n. 4, senza prove, data lepiso- dio al 63 a.C., lanno della morte di Metello Pio. 84 La dimostrazione di COARELLI 1969, p. 149 nota 1, con le fonti a sostegno dellidenticazione, ac- cettata poi da MORGAN 1973, p. 36. 85 Risp. BONA 1963, p. 319; VOLTERRA 1949, p. 526. 82 PROSDOCIMI 2002, pp. 133 ss. Non ho la possi- bilit di approfondire un altro punto di una certa im- portanza, ossia il tipo di animale sacricato, un porco. FIORENTINI 1988, pp. 187 ss. Tanto meno mi posso sof- fermare su unaltra espressione di estremo interesse, ossia religio contracta, una locuzione che parrebbe situare la circostanza sul piano della produzione di unobbligazione, non diversamente, nel caso, da un atto illecito. Ma il punto meriterebbe unattenzione particolare che in questa sede non possibile. 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1009 primo anno di guerra contro Perseo, lo storico ricorda come i primi scontri tra lesercito mace- done e quello romano, comandato da Ap. Claudio, si svolgessero in Epiro allinizio dellinverno, dopo di che, sistemate le truppe negli accampamenti invernali, Appius nequiquam in his locis terens tempus, ipse Romam sacricii causa rediit. Sarebbe suggestivo identicare il giorno di questo sacricio, che non pu essere altro che quello menzionato da Festo, con i Saturnalia. Se cos fosse, avremmo un esempio luminoso di culto gentilizio svolto nella stessa data di quello pubblico. Sappiamo che nel calendario romano i Saturnalia iniziavano a.d. XVI kal. Ian. Ma il calendario repubblicano, come ben si sa, era gravemente in ritardo rispetto a quello astrono- mico: Derow ha dimostrato che le idi di marzo del 168 a.C. caddero il 4 gennaio dello stesso anno, quindi 68 giorni prima della data astronomica 86 . Se cos, anche il solstizio invernale, e gli stessi Saturnalia, devono essere caduti con un divario temporale simile. Tuttavia, collocando la ne delle operazioni militari verso linizio di dicembre, Claudio avrebbe avuto tutto il tempo di compiere alcune operazioni in Epiro, sistemare le truppe negli hiberna e tornare rapidamente a Roma per celebrare il rito a Saturno negli stessi giorni della celebrazione pubblica. Ovviamente questa interpretazione solo congetturale; ma, se anche non possiamo iden- ticare il giorno in cui i Claudii celebravano il loro sacricio a Saturno con uno di quelli in cui si svolgevano i Saturnalia, il dato pi importante che emerge dal lemma di Festo che il sacricio dei Claudii era compiuto secondo le stesse modalit del culto pubblico a Saturno che, com n troppo noto, veniva celebrato graeco ritu, a capo scoperto 87 . In altri termini il rito gentilizio e quello pubblico si svolgevano seguendo le medesime formalit. I culti dei Valerii e dei Fabii hanno localizzazioni note: il primo stanziato al Terentum, il secondo sul Quirinale. Le origini mitologiche del culto praticato dai Valerii alle divinit infere del luogo sulla riva sinistra del Tevere, successivamente trasformato nei ludi saeculares, sono descritte da Valerio Massimo e Zosimo 88 ; il secondo ampiamente, bench variamente, citato dalle fonti in rapporto allassedio gallico di Roma. Il culto della gens Fabia un caso paradigmatico che ha sollevato discussioni a non nire, per la grande quantit di argomenti correlati. Il testo fondamentale un passo della narrazione dellassedio di Roma ad opera dei Galli di Brenno, trasmessaci da Livio (5, 46, 2): Sacricium erat statum in Quirinali colle genti Fabiae. Ad id faciendum C. Fabius Dorsuo Gabino cin- ctu sacra manibus gerens cum de Capitolio descendisset, per medias hostium stationes egressus nihil ad vocem cuiusquam terroremve motus in Quirinalem collem pervenit; ibique omnibus sollemniter peractis, eadem revertens similiter constanti voltu graduque, satis sperans propitios esse deos quorum cultum ne mortis quidem metu prohibitus deseruisset, in Capitolium ad suos rediit. graeco ritu, non affonda neanche le sue origini in un rituale effettivamente greco. Scheid riuta quindi la caratterizzazione del ritus graecus come culto stranie- ro. 88 COARELLI 1997, pp. 113 ss.; ARONEN 1989, pp. 19 ss., ipotizza che Zosimo abbia attinto dal .,. t.| c,c 'P.c.., .,t.| di Flegonte di Tralle (II se- colo d.C.). 86 DEROW 1973, p. 346; la tabella a p. 349, che mostra come le calende di dicembre cadessero il 16 novembre precedente. 87 SCHEID 1995, pp. 21 ss., ritiene che lespressio- ne ritus graecus rimandi non alla provenienza etnica di un culto ma solo a una modalit rituale, come quella del compimento del rito a capo scoperto che, nel caso di Saturno e di molte altre divinit cui si sacricava 1010 M. Fiorentini Sc. Ant. Livio individua dunque nel sacricio dei Fabii al Quirinale un culto gentilizio in senso proprio (sacricium statum genti Fabiae); dove, con statum, il Patavino sottintende la caden- za annuale del rito, che si svolge stato die (un giorno pressato); si tratta inoltre di un rito da svolgersi certo loco (sul Quirinale). Non mi soffermer sul problema pi dibattuto ma che, allo stato, mi pare insolubile, vista anche lambiguit delle fonti su tutto lepisodio: quello dellidenticazione della divinit cui il sacricio era tributato 89 . Qui discuter brevemente la natura del culto. Per due volte Livio esplicitamente lo denisce gentilizio, nel luogo appena de- scritto e in 5, 52: sollemne Fabiae gentis in colle Quirinali ove, con sollemne, il Patavino usa il termine tecnico che indica il sacricio da compiersi ogni anno, come ricaviamo da un lemma di Festo (Sollo, 384 L.): sollemne quod omnibus annis praestari debet. Ma altre fonti, descrivendo Fabio come sacerdote pubblico, postulano la natura pubblica del rito, come in un frammento di Cassio Dione: poich era necessario, da parte dei ponteci, compiere un certo sacricio in unaltra parte della citt, Cesone Fabio, a cui toccava il rituale, discese dal Campidoglio preparato come di consueto, e attraversando le linee nemiche comp i riti prescritti e lo stesso giorno ritorn 90 . Si tratta della medesima versione che leggiamo in Floro (1, 7, 16) 91 . Ne deriva che, nella variante Floro-Dione, il culto pubblico e non gentilizio. Non sfuggiranno le profonde divergenze di questa versione rispetto a quella liviana: qui Fabio un pontece. Non credo, con Fraschetti, che la qualit di pontece di Fabio possa conciliarsi con la natura gentilizia del rito 92 : per lo storico greco il culto era di competenza dei ponteci, non specico dei Fabi, e Dorsuone lo compie rivestendo la carica di pontece. Quindi, a mio avviso, la contraddizione non sanabile. Ma la collazione dei testi su questo episodio offre anche di peggio: Appiano fornisce una terza versione anche pi divergente rispetto a quella di Cassio Dione, a suo dire letta in un Cassio romano, in genere identicato con Cassio Emina: e discese dal Campidoglio un sacerdote, di nome Dorso, per un sacricio annuale nel tempio di Vesta, tranquillamen- te portando gli oggetti sacri in mezzo ai nemici. 2. Pur vedendo che il tempio era bruciato sacric nel luogo consueto 3. E questo afferma essere accaduto Cassio il Romano (fr. 19 P.= fr. 23 S.) 93 . Qui Fabio un sacerdote che compie un rito al tempio di Vesta; quindi, .. .tc.| o t.|c ..,u,,.c| .| t| t, 'Ect.c, |..| ct..| tc ..,c o.c t.| ...| .uctc-., 2. t| o. |..| ..,c.|| .o.| .-uc.| .. tu cu|-u, tu... 3. Kc. to. c.| .o. ,.|.c-c. Kccc., 'Pc., (fr. 19 P.=fr. 23 S.). Partendo dal- . Partendo dal- Partendo dal- Partendo dal- la considerazione che Kssios frutto di correzione testuale per un sicuramente errato Kasios presente nel greco de virtutibus et vitiis del X secolo che ci ha conservato il frammento di Appiano, FORSITHE 1990, pp. 342 ss., propone di correggerlo in Kladios, os- sia Claudio Quadrigario. SANTINI 1995, p. 171 s., non si pronuncia sullipotesi di Forsithe. Ai ni del mio discorso, che lautore sia Emina o Quadrigario in- differente. 89 Dopo GAG 1966, cfr. WISEMAN 1995. 90 Dio Cass., fr. 25.5 B.: ...o t. t.| ..,.| .,| u t.| |t..-.| c-. u t, .., ,.|.c-c., Kc.c.| 4c.,, u ..,u,,.c .-|..t, -ct. t. . cut| .- tu Kc.t..u ct..c.|, .c., ...-.., -c. o.c t.| ...| o...-.| tc t. |..|c ...c. -c. cu-.,| c|.-.c-.. 91 Flor., 1, 7, 16 Et stato quodam die per medias hostium custodias Fabium ponticem ab arce dimisit dipende evidentemente dallo stesso ramo della tradi- zione che fa di Fabio Dorsuone un sacerdote pubbli- co. 92 FRASCHETTI 1998. 93 App., Celt., 6 Viereck-Roos: 1. -c. t., c tu Kc.t..u -ct.c.|.| ..,.u,, |c A,c.| 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1011 non solo un culto pubblico ma neanche svolto sul Quirinale. Non mi soffermer sugli in- numerevoli, e in gran parte infruttuosi, tentativi di comporre queste divergenze insanabili. Ognuna delle varianti ha una spiegazione plausibile: quella di Livio serviva ad accentuare la pietas verso un culto gentilizio, a fronte della minaccia di abbandono della citt, ventilata dai plebei, che avrebbe signicato la defezione dai luoghi del culto pubblico 94 ; lautore citato da Appiano forse mirava a sminuire il ruolo svolto da una casata preminente nellepisodio dellassedio 95 . Non si pu non collegare la notizia del culto gentilizio sul Quirinale ad una versione, tramandata dal solo Dionisio di Alicarnasso (9, 19, 1), relativa al massacro dei Fabi al Cremera, che lo stesso storico dichiara inverosimile: Alcuni dicono che, avvicinandosi un sacricio pa- trio che doveva compiere la gens dei Fabii, gli uomini uscirono per compiere i riti portando con s pochi clienti, ed avanzarono senza aver prima perlustrato le strade n essendosi disposti per centurie dietro le insegne, ma tranquillamente e senza alcuna cautela, come procedendo in pace e per terre amiche... 3. Questo racconto mi pare poco degno di fede: infatti non credibile che tali uomini, sotto le insegne militari, tornassero dallaccampamento in citt a causa di un sacri- cio senza un decreto del senato, potendo i sacri riti essere compiuti anche da altri membri pi anziani della stessa casata; e se anche tutti fossero partiti dalla citt e nessuna parte della gens fosse stata lasciata presso la sede gentilizia, inverosimile che tutti coloro che occupavano la fortezza ne abbiano abbandonato la difesa; infatti avrebbero potuto andare anche tre o quattro di essi per compiere il sacricio in favore di tutta la stirpe. Per queste cause questa narrazione non mi sembra degna di fede 96 . Mi pare di poter dire, forse un po paradossalmente, che proprio la dichiarata inverosi- miglianza del lgos a indurre a dargli credito: Dionisio, infatti, gli nega attendibilit sulla base 96 Dion. Hal., 9, 19, 1: T.|., .| u| cc.| t. -uc.c, ..ctcc, ct,.u, | .o.. t 4c..| ..t..cc. ,.|,, . .| c|o,., .-| .,u, .c,.|. .ctc, .. tc ..,c, -c. ,.cc| ut. o..,.u|..|. tc, ou, ut. u c...c, t.tc,.|. -ctc u,, ,c-u., o. -c. cuc-t., ., .| ..,| t. -c. o.c ..c, ,.u.|.... 3. ut, .| u| tt| ..,. .-c|, c.|.tc. ..|c. ,,. ut. ,c, ..-, c ct,ct.ou -uc.c, .|.-c tu, u tc., c..c., tcutu, c|o,c, .., t| .| c |cct,. ..| c |.u 1.cct, u,, ou|c.|.| t.| ..,u,,..| -c. o. .t.,.| ..t..c-|c. t.| .t.|t.| .| tu cutu ,.|u,, ,.-t.| o. tc., .-.c., ut .. c|t., c.u-.cc| .- t, ..,, -c. .o..c .,c tu 4c.u ,.|u, .| t., ..ct.., u....t, c|tc, ..-, | tu, -ct.-|tc, t ,u,.| .-...| cutu t| uc-| ,-u| ,c, c| -c. t,.., t.ttc,., c.-.|. cu|t..cc. .,. tu ,.|u, u tc ..,c o.c .| o tcutc, tc, c.t.c, u- .o. . .ct, ..|c. ,,. 94 Nel celebre discorso che fa pronunciare a Fu- rio Camillo, Livio (5, 52) contrappone la cura delle gentes verso i loro culti al pericolo di abbandono dei luoghi sacri, se fosse stata approvata la proposta ple- bea di trasferire la popolazione a Veio, abbandonando la citt in rovina dopo il saccheggio gallico: Hos om- nes deos publicos privatosque, Quirites, deserturi estis? Quam par vestrum factum [ei] est quod in obsidione nuper in egregio adulescente, C. Fabio, non minore hostium admiratione quam vestra conspectum est, cum inter Gallica tela degressus ex arce sollemne Fabiae gentis in colle Quirinali obiit? An gentilicia sacra ne in bello quidem intermitti, publica sacra et Romanos deos etiam in pace deseri placet, et pontices amines- que neglegentiores publicarum religionum esse quam privatus in sollemni gentis fuerit?. Notevole anche la contrapposizione tra gentilicia sacra e publica sacra et Romanos deos, che implica lantinomia tra le divinit del popolo romano, a cui sono tributati sacra publica, e quelle peculiari della gens. 95 Su alcuni spunti di polemica antigentilizia del nobile Emina cfr. MAZZARINO 1972, pp. 302 ss. 1012 M. Fiorentini Sc. Ant. di argomentazioni razionali, di tattica militare o di logica comune o di procedura, come il fan- tomatico psephisma bouls che sarebbe stato necessario per tornare in citt per svolgere il rito. Mi sembra evidente che nel ragionamento dello storico greco nisce per rimanere totalmente oscurato il carattere privato del bellum dei Fabii, che peraltro risalta particolarmente in pratica in tutte le fonti antiche; anzi, secondo alcune suggestive ricostruzioni, si sarebbe trattato del tentativo di incorporare permanentemente al territorio della tribus Fabia territori marginali connanti con Veio: una vera e propria espansione territoriale 97 . soprattutto un dettaglio ad attirare lattenzione: quello del ritorno in massa dei membri della gens, sia gentiles sia clienti, per il compimento del sacricio. Un dato del genere non si accorda con la congurazione as- sunta dalla religione, anche privata, di et evoluta ma con quella, ancora collettiva, della gens arcaica (almeno per come la possiamo, con molta cautela, intravedere dalle fonti), in cui gentiles e clienti partecipano in massa alla celebrazione del culto, entro certi limiti cooperando per la prosperit materiale e ideale del gruppo. Pi incerte, ma altrettanto signicative, le notizie su un culto della gens Veturia, noto attraverso due frammenti di unorazione di Catone, il primo tramandato da Festo (stata sacri- cia, 466 L.=ORF 8, 72), quod tu, quod in te fuit, sacra stata, sollempnia, capite sancta deserui- sti; il secondo da Prisciano (Inst., 6, 16, p. 208 K.=ORF 8, 74): aquam Anienem in sacrarium inferre oportebat. non minus XV milia Anien abest. Va in primo luogo respinta lidea, ancora di recente affacciata, che il culto a cui accenna Catone fosse pubblico. Mommsen lo aveva dedotto dalla locuzione capite sancta impiegata dal Censore, e lillazione era stata approvata dal compianto Gennaro Franciosi, ma a me pare non aderente al tenore dei frammenti pervenuti 98 . Il rito invece era sicuramente privato; e questo carattere sarebbe rafforzato se accogliamo, come secondo me necessario, la vecchia ipotesi di Marmorale secondo cui anche il fr. 73 Malcovati sul crepitum dei servi appartenesse allorazio- ne catoniana, che conterrebbe dunque la giusticazione di ordine rituale addotta da Veturio per la commissio del rito 99 . Plinio Fraccaro ipotizz che la Voturia tribus fosse stanziata nellagro ostiense, come era gi stato riconosciuto da Mommsen e, negli anni 60 del secolo scorso, da Lily Ross Taylor 100 . Poich la gens Veturia eseguiva i riti con acqua dellAniene, ci potrebbe alludere al trasferi- mento della gens dallagro sabino, attraversato da questo ume, ove sarebbe stata precedente- mente stanziata, a quello ostiense, nel territorio successivamente occupato dalla trib rustica si quis eorum sub centone crepuit, quod ego non sensi, nullum mihi vitium facit. Si cui ibidem servo aut an- cillae dormienti evenit, quod comitia prohibere solet, ne is quidem mihi vitium facit. Appare evidente nel- le parole di Catone che un evento capace di impedire la convocazione dei comitia non necessariamente era idoneo a contaminare il rito privato. 100 MOMMSEN 1887, p. 165 e nota 2; ROSS TAYLOR 1960, p. 42. Qui prescindo del tutto dalla spinosa (ma anche un po oziosa) questione dellappartenenza del- la gens alla parte patrizia o a quella plebea della civitas. Sul punto, SHATZMAN 1973, pp. 65 ss. 97 RICHARD 1989, pp. 68 ss. 98 MOMMSEN 1887, pp. 19 ss. e nota 3, confermato in MOMMSEN 1907, p. 568, nota 1: Mommsen riteneva che la locuzione capite sancta si riferisse alla diserzio- ne dai culti pubblici, considerata Kapitalklage. Da ultimo accetta tale ricostruzione FRANCIOSI 1995, p. 29, nota 32. Ma gi WISSOWA 1912, p. 400, nota 7, aveva respinto lipotesi di Mommsen, orientandosi, a mio avviso esattamente, per la natura gentilizia del rito. 99 MARMORALE 1949, p. 95. Fest., stata sacricia, 466 L.=ORF 8, 73: Domi cum auspicamus, honorem me dium immortalium velim habuisse. Servi, ancillae, 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1013 che avrebbe assunto il nome gentilizio del gruppo ormai ivi stabilitosi da tempo 101 : un altro cospicuo caso di mobilit orizzontale di gruppi gentilizi, come gi delineata nel dossier prepa- rato da Ampolo 102 . E non affronto lo spinoso problema della coppa prenestina di Vetusia, che potrebbe invece suggerire una provenienza prenestina della stessa gens o di un suo ramo (se il nome latino e non etrusco, come la critica pi recente portata a credere 103 ). Per nire questa breve carrellata, menziono la testimonianza epigraca del culto della gens Iulia a Vediovis, scoperta a Bovillae e datata al II secolo (CIL, 1 2 , 1439=ILLRP, 270), unet in cui gli Iulii non erano ancora al sommo della vita politica ma solo una delle gentes patrizie: in fronte: Vediovei patrei / genteiles Iuliei; in latere dextro: [[Vedi[ov]ei]] aara; in parte postica: leege albana dicata 104 . Va rilevata prima di tutto limportanza del luogo di ritrovamento: Bovillae , secondo la tradizione, la citt che ha accolto i sacra di Alba dopo la distruzione, e da qui proviene un alta- re dedicato da una gens Albana: straordinario esempio di fossile cultuale 105 . In secondo luogo sarebbe importante comprendere a quale lex Albana si riferisca la dedicazione dellaltare. Fro- tingham colleg la lex Albana al carattere vulcanico del dio, correlato a sua volta al vulcano Albano 106 . A me pare piuttosto che il nesso sia da comporre proprio con lorigine albana van- tata dagli Iulii e dichiarata da Livio (1, 30, 2), che elenca gli Iulii tra le gentes deportate a Roma da Tullo Ostilio dopo la distruzione di Alba 107 . Questa tradizione, cos, non pu pi essere dal lapicida per errore, fu eraso. Soprattutto il ri- lievo relativo a pater come appellativo di Vediovis signicativo perch non coevo con la dedicazione dellara gentilizia. Com noto Tacito (Ann,. 2, 41) ci informa che Tiberio costruir un sacrario nei pressi di Boville: Fine anni arcus propter aedem Saturni ob recepta signa cum Varo amissa ductu Germani- ci, auspiciis Tiberii, et aedes Fortis Fortunae Tiberim iuxta in hortis, quos Caesar dictator populo Roma- no legaverat, sacrarium genti Iuliae efgiesque divo Augusto apud Bovillas dicantur. Sulla natura am- bigua della divinit, la cui rilevanza nel calendario arcaico comunque dimostrata dal fatto che latto di culto in suo onore vi denito come agonium, ossia sacricio compiuto dal rex in regia, come af- ferma Varrone (L. L., 6, 12, dies agonales per quos rex in regia arietem immolat), MAGDELAIN 1995, pp. 18 ss. 105 Un tentativo di ricostruire unetnologia lazia- le precivica a partire dalla lista di Plinio fu compiuto da BERNARDI 1964, pp. 228 ss., ancora legato alle teorie etniche, ma di sicuro interesse. 106 FROTINGHAM 1917, p. 376. 107 Com noto, la tradizione manoscritta del passo liviano reca non Iulios ma Tullios; la correzio- ne tuttavia pare inevitabile, dato che nessuno ha mai pensato che i Tullii avessero origini albane. Sulla de- portazione delle gentes Albanae a Roma, MAGDELAIN 1995, pp. 37 ss. 101 FRACCARO 1924, p. 55. Con un calcolo delle distanze non privo di elementi congetturali (soprat- tutto il punto da cui partire per misurare le quindici miglia), egli giungeva ad identicare nel X miglio della via Ostiensis il punto approssimativo ove localizzare il sacrario dei Veturii. Fraccaro correggeva cos lipotesi precedentemente formulata (FRACCARO 1911, p. 43, n. 1), secondo cui XV, presente nei codici di Prisciano, sarebbe stato un errore per IIII. La nuova soluzione di gran lunga preferibile. 102 AMPOLO 1970-71, pp. 42 ss., con importanti osservazioni sul ruolo centrale ricoperto dai gruppi gentilizi allinterno della civitas di V secolo a.C. Ri- lievi di grande interesse sul tema della mobilit genti- lizia in et altorepubblicana sono proposti da TORELLI 1988A, p. 66 s., ed ora da BRIZZI 2001, pp. 125 ss. 103 Mi pare che ormai lorigine latina delliscri- zione sia stata abbandonata sin da TORELLI 1967. TO- RELLI 1981, pp. 135 ss., ipotizza plausibilmente un passaggio della gens da Veio (come testimonierebbe la presenza in quella citt del veiente Mamurio Veturio) a Preneste, e da qui a Roma. Ipotesi prospettata anche da GRANT 1982, p. 308, per il quale liscrizione sulla coppa documenta la forma di un arcaico nome regale veientino (sic nella trad. it.), Vetusia, ma respinta da AMPOLO 1980, p. 176. Cfr. anche ROMANO 1988. 104 Dalle note delled. ILLRP (I, p. 159) ricavia- mo due dati epigraci importanti: patrei fu postea additum, e il Vedi<ov>ei del lato destro, aggiunto 1014 M. Fiorentini Sc. Ant. imputata alla piaggeria di scrittori che, volendo compiacere la vanit di Cesare, proiettano nel passato pi remoto lorigine della gens in funzione encomiastica, ma appare attestata epigra- camente gi nel II secolo a.C., in unet in cui la casata degli Iulii non ancora particolarmente eminente. Mommsen, che identic la lex Albana in una regolamentazione cultuale pubblica che perpetuava lancestrale rito albano, alla quale quello gentilizio si sarebbe dovuto conforma- re 108 , si era maggiormente avvicinato alla soluzione, che tuttavia non mi pare ancora soddi- sfacente. Infatti, dalla scarna allusione sembra di poter ricavare che il rinvio alla lex Albana non riguardasse le modalit del rito ma quelle della dedicazione dellara, leege Albana dicata: un procedimento ben noto sul piano epigraco riguardo a luoghi di culto non solo pubblici, ma anche privati 109 . Inne un altro dettaglio mi pare importante: gli Iulii non dedicano lara a Roma, ove era presente un antichissimo culto pubblico di Vediovis, qualicato come agonium ed ofciato dal rex 110 . Qualunque sia limplicazione di questo rilievo, una gens stabilitasi a Roma da molti secoli, ma con saldi legami con larea da cui aveva tratto origine, ancora nel II secolo a.C. si richiama a prescrizioni rituali che fanno riferimento a un centro estintosi mezzo millennio prima. Ancora Cicerone (De har. resp., 32) ricorda come molti membri dellordine senatorio eseguissero culti gentilizi a Diana in un sanctissimum sacellum sul Celicolo: L. Pisonem quis nescit his temporibus ipsis maximum et sanctissimum Dianae sacellum in Caeliculo sustulisse? Adsunt vicini eius loci; multi sunt etiam in hoc ordine qui sacricia gentilicia illo ipso in sacello stato loco anniversaria factitarint. Questa fonte, stranamente poco utilizzata in relazione al culto gentilizio, attesta al di l di ogni possibile dubbio come, ancora alla ne della Repubblica, il culto gentilizio fosse diffuso nella certo non vastissima cerchia dellaristocrazia senatoria alla quale Cicerone si rivolge ricordando la demolizione del sacello ad opera di L. Calpurnio Pisone Cesonino. Questo fenomeno induce a non accentuare eccessivamente la crisi del culto gentilizio nella tarda Repubblica. Se molti sono gli episodi di diserzione dei culti privati e di distruzione di secolari luoghi di culto, va tuttavia riconosciuto che forse i nobiles, nella vita quotidiana, avranno perpetuato le antichissme pratiche di culto. Forse gli episodi ricordati con indignata foga retorica da Cicerone sono solo casi isolati, che potrebbero, a contrario, confer- mare che, nel quotidiano, il culto gentilizio in qualche modo continuava ad essere praticato con una certa continuit. Tutti questi riti sono stati sempre connati nella pi ristretta cerchia gentilizia. Vi sono invece culti che, o nella loro eziologia, o nel loro svolgimento storico, nati come culti gentilizi, in sguito sono stati accolti come culti pubblici: il culto di Ercole allara maxima, che sappiamo essere diventato pubblico solo alla ne del IV secolo, quello al Terentum dei Valerii, che si tra- sformer nei ludi saeculares, o il rito svolto al tigillum sororium, collegato alla gens Horatia 111 . 111 Un altro, attestato archeologicamente, po- trebbe essere il luogo di culto connesso alla villa ar- caica dellAuditorium, trasformato nel IV secolo a.C., stando alla valutazione di DALESSIO - DI GIUSEPPE 2005, pp. 15 ss. 108 MOMMSEN 1834, p. 18: Lex sacrorum faciun- dorum Albano ritu, gentis Iuliae patrio. 109 Per limitarmi ad esempi di et repubblicana, CIL, 14, 2892, da Praeneste; 11, 944, da Carpi. 110 MAGDELAIN 1995, pp. 18 ss. 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1015 Non credo invece che in questo gruppo siano da includere i Lupercalia, dei quali sono portato a escludere il carattere gentilizio. Su questultimo mi soffermer brevemente. 4. I Lupercalia non sono un culto originariamente gentilizio Agli inizi stessi della cit- t troviamo il rito pi famoso e discusso della religione romana, quello dei Lupercalia. La sua caratterizzazione gentilizia accolta quasi unanimemente, soprattutto facendo leva sulla circostanza che le due sodalitates che lo svolgono portano nomi gentilizi, Luperci Fabiani e Quinctiales (o Quintiliani) 112 . Dir subito che il carattere originariamente gentilizio dei Lu- percalia a me non riesce convincente. Le fonti sui Lupercalia si possono suddividere in due gruppi omogenei: quello che descrive il rito e quello che ne narra leziologia. I due insiemi non si amalgamano facilmente tra loro: quello rituale non sembra presentare decise connotazioni gentilizie; quello eziologico si appunta invece sulla rivalit tra le due sodalitates, riportata a una sorta di gara tra i due capostipiti, Romolo e Remo, senza rendere conto dei particolari, decisamente inconsueti, del rito. Cerchiamo di dipanare brevemente la matassa. In unorazione giudiziaria (pro Cael., 26) Cicerone descrive i rapporti che intercorrono tra i membri delle due sodalitates: Neque vero illud me commovet, quod sibi in Lupercis sodalem esse Caelium dixit. Fera quaedam sodalitas et plane pastoricia atque agrestis germanorum Lu- percorum, quorum coitio illa silvestris ante est instituta quam humanitas atque leges, siquidem non modo nomina deferunt inter se sodales, sed etiam commemorant sodalitatem in accusando, ut, ne quis id forte nesciat, timere videantur!. Come si vede, loratore colloca lorigine dei col- legi lupercali allet preurbana, quando ancora la comunit non era retta dalle leggi ed aveva ca- ratteri talmente primitivi da non contemplare quella solidariet che dovrebbe vincolare tra loro i membri di qualsiasi sodalitas, ma che tra i Luperci non esisteva proprio perch essi risalivano a unet in cui, non essendo stata ancora fondata la citt, erano ignote le relazioni tipiche di una societ civile. La cronologia preromulea confermata dallappellativo che Varrone (L. L., 6, 34) attribuisce allabitato palatino nellambito del rito: antiquum oppidum Palatinum signica che il sito non ancora stato inaugurato da Romolo; ed signicativo che alla ne della Repubblica Varrone fosse cos avvertito della precedenza cronologica dei Lupercalia da denire il Palatino semplicemente oppidum, evitandone una caratterizzazione terminologica urbica. Nel discorso ciceroniano i germani Luperci alludono alle due sodalitates, ma anche ai due germani mitici per eccellenza, Romolo e Remo, che avrebbero fondato il culto 113 . Ed proprio questo il punto che mi porta a dubitare della caratterizzazione gentilizia del rito: essa si evi- denzia esclusivamente per i nomi gentilizi delle due sodalitates, ma quasi tutti i miti eziologici attestati dalle fonti prescindono dalle gentes. Leggiamo questo lungo testo di Servio (Ad Aen., 8, 343): gelida monstrat sub rupe lupercal sub monte Palatino est quaedam spelunca, in qua de litates ma di una sola fera quaedam sodalitas non mi pare signicativo: nel contesto del brano loratore non intende riferirsi alla loro organizzazione interna. Una lettura convincente di questa testimonianza ci- ceroniana, e dellinesistenza dei rapporti che normal- mente legano tra loro i sodales, in FRASCHETTI 2002, pp. 18 ss. 112 Come MARQUARDT 1878, p. 422; WISSOWA 1912, p. 404; CORSANO 1977; DE MARTINO 1979, pp. 57 ss., e, sia pur rapidamente, CAPOGROSSI COLOGNESI 2000, che lo denisce forse il pi importante. Ma contra, gi UNGER 1881, p. 54. Un elenco che non ha la minima pretesa di esaustivit. 113 Il fatto che Cicerone parli non di due soda- 1016 M. Fiorentini Sc. Ant. capro luebatur, id est sacricabatur: unde et lupercal non nulli dictum putant. alii quod illic lupa Remum et Romulum nutrierit: alii, quod et Vergilius, locum esse hunc sacratum Pani, deo Arca- diae, cui etiam mons Lycaeus in Arcadia consecratus est. et dictus Lycaeus, quod lupos non sinat in oves saevire. ergo ideo et Euander deo gentis suae sacravit locum et nominavit lupercal, quod praesidio ipsius numinis lupi a pecudibus arcerentur. Dan.: sunt qui dicant hunc Pana Enualion, deum bellicosum: alii Liberum patrem, eo quod capro ei t divina res, qui est hostia Liberi pro- pria. in huius similitudinem intecti cultores eius: cui lupercalia instituta sunt, quia deus pastoralis est. nam Remum et Romulum ante urbem conditam lupercalia celebrasse eo quod quodam tem- pore nuntiatum illis sit latrones pecus illorum abigere: illos togis positis cucurrisse caesisque obviis pecus recuperasse: id in morem versum, ut hodieque nudi currant. non nulli propter sterilitatem hoc sacrum dicunt a Romulo constitutum, ideoque et puellae de loro capri caeduntur, ut careant sterilitate et fecundae sint: nam pellem ipsam capri veteres februm vocabant. Anche le varie eziologie narrate dal Servio Danielino ne collocano le origini ai primordia, quando il Palatino ancora un oppidum, e a quel mondo pastorale anteriore alla fondazione della citt (ante urbem conditam) in cui labigeato frequente degenerando spesso in disordini. Come si pu vedere, lultima interpretazione proposta dal commentatore, non nulli propter sterilitatem hoc sacrum dicunt a Romulo constitutum, neanche si lega alla storia dei gemelli (tanto pi che vi compare solo Romolo, e non anche il fratello). Mi pare importante notare che anche le tradizioni ricordate dai due testi serviani che collegano le due sodalitates ai mitici gemelli, non fanno alcuna menzione dei Fabii e dei Quinctii. Uneziologia diversa, e a mio avviso deteriore rispetto a quella narrata dal Servio aucto, riportata da Valerio Massimo (2, 2, 9): Lupercalium enim mos a Romulo et Remo inchoatus est tunc, cum laetitia exultantes, quod his avus Numitor rex Albanorum eo loco ubi educati erant, urbem condere permiserat sub monte Palatino [] facto sacricio caesisque capris epularum hilaritate ac vino largiore provecti, divisa pastorali turba, cincti obvios pellibus immolatarum hostiarum iocantes petiverunt. Cuius hilaritatis memoria annuo circuitu feriarum repetitur. Sembra che, nellansia di coprire quanto di anticivico presente nel rito lupercale, Valerio Massimo ne abbia volutamente cancellato i particolari pi imbarazzanti, trasformandolo in un innocuo gioco di giovani in preda al vino e al buon umore 114 : per questo che lo ritengo dete- riore rispetto alle altre versioni note. La maggior parte delle fonti antiche relative allorigine delle due sodalitates non le collega alle gentes: non la narrazione di Fabio Pittore, n quella di Tuberone, n quella dellaltrimenti ignoto Boutas: testimonianze raccolte tutte da Plutarco nella biograa di Romolo (Rom., 1, 79-80). C invece un particolare del mito eziologico pi famoso, quello di Ovidio (Fast., 2, 373-380), che non solo si riferisce sicuramente al rito ma collega esplicitamente le due sodali- tura di grande interesse circa unipotetica riforma dei collegi lupercali effettuata nel 304 a.C. da Q. Fabio Rulliano. Tuttavia mi pare che lA. sopravvaluti lim- portanza della narrazione di Valerio Massimo; a mio parere essa solo una variante nettamente impallidi- ta. 114 Dico anticivico nel senso messo in luce da FRASCHETTI 2002, pp. 24 ss., facendo leva su alcuni par- ticolari del mito eziologico, che ho denito imbaraz- zanti: Remo che si ciba degli exta ancora semicrudi, e senza farne parte a Romolo e ai suoi sodales. Partendo da questo passo WISEMAN 1995 propone una conget- 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1017 tates alle gentes: il momento in cui Romolo, dopo il massacro dei ladri di bestiame, arrivato pi tardi del fratello, si accorge che Remo e i suoi sodales, i Fabiani, hanno mangiato gli exta senza attendere il suo ritorno: ut rediit (scil., Remus), veribus stridentia detrahit exta / atque ait haec certe non nisi victor edet. / dicta facit, Fabiique simul. venit inritus illuc / Romulus et mensas ossaque nuda videt. / r i s i t , e t i ndo l ui t Fa bi o s po t ui s s e Re mumque / vi nc e r e , Qui nt i l i o s no n p o t ui s s e s uo s . / forma manet facti: posito velamine cur- runt, / et memorem famam quod bene cessit habet. Romolo ride e si duole: linterpretazione razionalistica, proposta da Ovidio, immagina che Romolo abbia, come si suol dire, fatto buon viso a cattiva sorte. Io penso, invece, che in questa risata (che ha dato a Valerio Massimo il destro di falsicare, da bravo benpensante, tut- to lintento del rito, trasformandolo in un ingenuo gioco di primitivi bestioni) vada sentita leco lontana di un dettaglio importante del rituale descritto da Plutarco: in una prima fase, che si svolge nelle immediate adiacenze della grotta del Lupercal, sacricano infatti delle capre, e poi fatti venire presso di loro due giovani nobili, alcuni li toccano sulla fronte con un coltello grondante di sangue, gli altri li asciugano subito con un batuffolo di lana inzuppato di latte. Dopo essere stati asciugati, i giovani devono scoppiare a ridere 115 . Il rituale, che riusciva incomprensibile a Plutarco (che ne deniva laita, in apertura di 6, dustpaston), appare chiaramente di natura iniziatica, di morte e di resurrezione: il sangue delle capre sacricate porta alla vita i due giovani (che ovviamente rappresentano le due sodali- tates 116 ), e la risata che essi lanciano la manifestazione della loro nuova vita. Ovidio ha razio- nalizzato questa risata, non comprendendone la vera natura di morte e rinascita 117 . E Ovidio e Plutarco ci introducono al rituale. Le fonti che si soffermano sulla funzione del rituale ne evidenziano la nalit lustrale. La pi importante un testo di Varrone (L. L., 6, 34): posterior (scil. mensis), ut idem dicunt scriptores, ab diis inferis Februarius appellatus, quod tum his paren<te>tur; ego magis arbitror Februarium a die februato, quod tum februatur populus, id est Lupercis nudis lustratur anti- quum oppidum Palatinum gregibus humanis cinctum. Il Reatino contrappone due etimologie del nome del mese di febbraio che a suo avviso sono incompatibili tra loro: quella funeraria, giusticata dalla collocazione calendariale delle parentationes in memoria degli agnati defunti in febbraio; e la sua (ego magis arbitror), secondo cui il mese prende nome dal dies februatus, ossia quello in cui si svolge il rito lupercale, fondata sulla assimilazione tra februare e lustrare. cordare il risit et indoluit di Romolo. A mio parere il contrario: le espressioni di Ovidio dimostrano che egli non comprendeva la ragione della risata e tent di razionalizzarla. 117 Questa parte del rito potrebbe essere collega- ta alla particolare data in cui esso si svolge: in effetti gi COARELLI 1983, p. 276, aveva sottolineato la fun- zione espiatoria della festa, in quanto posta al cen- tro di una celebrazione dei morti, i dies parentales. Questa funzione dei Lupercalia suona particolarmen- te persuasiva, visto il particolare momento dellanno 115 Plut., Rom., 21, 6: ccttuc. ,c, c.,c,, ..tc ..,c-..| ou.| c ,.|u, ,cc-.|t.| cut.,, . .| c,.| cc.,c tu .t.u -.,,c|uc.|, .t.,. o ccttuc.| .u-u,, .,.| .,.,.|| ,cc-t. ,c.,|t.,. ,.c| o. o.. tc ..,c-.c .tc t| cc.|. Il testo ovidiano evidenzia anche unaltra fase importante del rito: il pasto consumato vede la preminenza della sodalitas collegata a Remo, quella dei Fabiani. 116 Cos convincentemente anche FRASCHETTI 2002, p. 21. Tuttavia, secondo lA. la risata vuole ri- 1018 M. Fiorentini Sc. Ant. A me pare che lincompatibilit sia solo apparente, e che anzi i due aspetti, funerario e lustrale, si possano integrare tra loro. Infatti appare evidente che la seconda parte del rito, che si svol- ge intorno allantiquum oppidum Palatinum, abbia una decisa connotazione propiziatoria: il rituale di morte e rinascita dei Luperci, svolto al Lupercal, si trasmette a tutta la popolazione, soprattutto alle donne, per procurar loro la fecondit; tanto vero che sono loro le prime de- stinatarie delle frustate. Lespressione gregibus humanis cinctum, che ha fatto scorrere umi di inchiostro, se- condo me si inscrive perfettamente in questa prospettiva: gli uomini-capri (o gli uomini-lupo, se aveva ragione Altheim 118 ) corrono tutto intorno alle radici del Palatino (ma, come ha sot- tolineato benissimo Fraschetti, al di fuori di esso, dato che la Sacra via, percorsa dai Luperci alla base della pendice settentrionale del Palatino, esterna al pomerio romuleo), e colpiscono il gregge degli umani che sta allinterno del circuito percorso dai Luperci: questi, a mio avviso, sono i greges humani di cui parla Varrone (L. L., 6, 34), e non i due gruppi di Luperci 119 . E che il percorso fosse intorno al Palatino mi pare dimostrato dalla circostanza che si trattava di una lustratio, termine di cui Macrobio (Sat., 3, 5, 7) fornisce il signicato rituale, affermando che lustrare signicat circumire 120 . La nalit propiziatoria mi pare coessenziale allintero rito: non credo, con Wiseman 121 , che essa appartenga a uno strato del rito successivo a quello lustrale. Questa funzione propiziatoria pu spiegare perch, secondo alcune tradizioni, trasmesse nellepitome paolina (Februarius, 75 L.), il febbraio abbia questo nome: Februarius mensis dic- tus, quod tum, id est, extremo mense anni, populus februaretur, id est lustraretur ac purgaretur, vel a Iunone Februata, quam alii Februalem, Romani Februlim vocant, quod eo mense sacra ebant, eiusque feriae erant Lupercalia, quo die mulieres februabantur a lupercis, amiculo Iu- nonis. Il lemma riporta entrambi gli aspetti del rito, sia quello espiatorio, collegato al periodo dellanno (extremo mense anni) in cui si svolge, sia quello propiziatorio, vlto ad impetrare la vo al Lupercorum per sacram viam ascensum atque descensum di Agostino (civ. Dei, 18, 12). Credo che lIpponense si riferisse solo al settore della corsa pi frequentato dal pubblico e perci percorso pi volte avanti e indietro dai Luperci lungo il tragitto in declivio della Sacra via (su cui COARELLI 1983; FRA- SCHETTI 2002, p. 142, nota 50, e FIORENTINI 1988, p. 168 e nota 125). Sul percorso in declivio della Sacra via, CARANDINI 2004, pp. 14 ss. Linterpretazione di Michels ora accolta da ZIOLKOWSKI 1998-99, pp. 195 ss., pur critico verso leccessivo rilievo concesso dalla studiosa al passo di Agostino. Per un percorso intor- no al Palatino si pronuncia anche WISEMAN 1999, p. 77, che evidenzia come lustratio dovrebbe implicare un percorso circolare, apportando luso del termine in Catone (Agr., 141, 1), che lo fa coincidere con cir- cumagere. 121 WISEMAN 1999, p. 78 s., che argomenta dal fat- to che i Luperci battevano non solo le donne, ma tutti coloro che incontravano. in cui si svolge. Tuttavia la nalit espiatoria, legata ai morti, non mi pare alternativa a quella lustrale; anzi, come cercher di mostrare, le due funzioni mi sem- brano complementari. 118 ALTHEIM 1956, II, p. 13, den il rito lupercale una Wolfshhle. 119 Come credeva WISEMAN 1995, p. 82. Sprov- vista di qualsiasi verosimiglianza lipotesi di KIRSOPP- MICHELS 1953, pp. 38 ss., criticata anche da ZIOLKOWSI 1998-99, pp. 198 ss., anche se qualche credito sembri attribuire alla sua idea della corsa dei Luperci come forma di difesa contro i possibili effetti maligni della presenza dei morti durante il novemdiale dei Parenta- lia. Contro questa ricostruzione sia sufciente rileva- re che i morti a cui favore si compiono i riti parentali non sono i morts malfaisants di Jobb-Duval, ma i parentes. 120 Nonostante HARMON 1978A, pp. 1441 ss., e FLOBERT 1983, p. 96, ritengo inaccettabile KIRSOPP- MICHELS 1953, pp. 43 ss., la quale dava eccessivo rilie- 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1019 fecondit delle donne, che richiama la presenza di Iuno. Incidentalmente, dalle parole di Paolo Diacono parrebbe che non solo i Romani, ma anche altre comunit avessero festivit in onore di questa Iuno, denominata in modo diverso che a Roma (Februalis invece che Febru lis). Anche Giovanni Lido ci trasmette alcune informazioni preziose, combinate ad altre con- fuse e forse fraintese: il febbraio prende nome da Februa, dea cos chiamata; i Romani adot- tarono Februa come divinit custode della puricazione delle azioni; invece Anisio, nel suo Sui mesi, afferma che Februo, in lingua etrusca, signica il mondo infero e viene venerato dai Luperci allo scopo di aumentare i frutti. Ma Labeone afferma che febbraio prende nome dal lutto; infatti presso i Romani il lutto si chiama feber e durante questo mese veneravano coloro che abitavano nellaldil. Ma i libri ponticali chiamano il puricare februare, e Plutone Fe- brus. Ritengono che il mese di febbraio sia consacrato ad Era per il fatto che ai sici Era appare essere il cielo inferiore; e la puricazione assolutamente adatta ad esso. Si chiama per non solo Febbraio, ma anche Februato, per il fatto che presiede ad esso, e con sacrici vengono adorate Februata e Februale 122 . Oltre ad alcune informazioni avvicinabili a quelle del lemma di Paolo-Festo, Lido inla una dietro laltra tre citazioni rare e per questo preziose (il che non signica che siano vere): a) secondo uno sconosciuto poeta elegiaco, Ansios, nel rito lupercale vi sarebbe una so- vrapposizione lessicale etrusca: A|uc.,... 4.,u| t| -ctc-|.| ..|c. t Ouc-.| .| .,.., -c. -.,c.u.c-c. ,, t.| Au.,-.| u., ..oc.., t.| -c,.|. Laspet- to funerario, che risalta nel rapporto col katachthnion, si accompagna tuttavia, nella visuale di Anisio, a uno propiziatorio, volto ad assicurarsi un buon raccolto, ove, pi che un aspetto agra- rio, potrebbe vedersi un fraintendimento, o forse meglio una metafora, del raccolto uma- no propiziato alle donne in et feconda dai colpi inferti dai Luperci con lamiculum Iunonis. Letimologia del febbraio dal tn katachthnion non comunque una gratuita invenzione delloscuro poeta, risalendo piuttosto alla tradizione antiquaria del II secolo a.C.: Varrone (L. L., 6, 34) ricorda come, secondo Ser. Fulvio Flacco (cos. 135 a.C.) e M. Giunio Graccano, ab diis inferis Februarius appellatus, quod tum his paren<te>tur 123 ; b) un Labeone, che Pernice 124 identic con Cornelio Labeone, enfatizza laspetto espia- torio del rituale, sulla base del signicato di phber, collegato dallerudito romano con il latino februum, con cui era designata la striscia di pelle di capra con cui i Luperci battevano gli astanti e soprattutto le donne; |t..-c.c ..c -c.., 4.,| t| Hut.|c. t| 4.,uc,.| |c `H,c c|ct.-|c. c.uc. o.c t t| `H,c| c,c t., uc.-., o-..| ..|c. t| ut.| c.,c o. -c-c,, c|t.-,u, t. c.,. c,o.,. u || o. 4.,uc,., cc -c. 4.,uct, .,.tc., o.c t t| tutu .,|, -c. 4.,uctc| -c. 4.,uc., t., ..,., c|c.,.c-c.. 123 UNGER 1881. 124 PERNICE 1873, pp. 46 ss. Su Cornelio Labeo- ne, BRIQUEL 1998, pp. 345 ss. 122 Lyd., de mens., 4, 20: T. 4.,uc,.. .|. c 4.,uc,, -.c, ut. ,cc,,.u.|,, t |c ,.,|.| 4.,uc| o. .,| -c-c,t.-| t.| ,c,ct.| . 'P.c.. c,.c| A|uc., o. .| t. .,. |.| 4.,u| t| -ctc-|.| ..|c. t Ouc-.| .| .,.., -c. -.,c.u.c-c. ,, t.| Au.,-.| u., ..oc.., t.| -c,.|. o. Ac..| c tu .|-u, .,.. --|c. t| 4.,uc,.| .., ,c, c,c 'P.c.., t .|-, ,cc,,.u.tc., -ct cut| o. tu, -ct..|u, .t..|. cc | -c. .,uc,. t -c-c,c. tc 1020 M. Fiorentini Sc. Ant. c) unopinione che evidentemente era supportata dai libri ponticali nei quali, a detta di Giovanni Lido, si leggeva la stessa notizia 125 : .,uc,. t -c-c,c. tc |t..-c.c ..c -c.., 4.,| t| Hut.|c, ove Plutone appare interpretatio graeca di una divinit infera romana, forse Dite o forse Vediovis 126 . Ma Lido fa emergere, un po confusamente, anche quel- lo propiziatorio collegato a Iuno. In tutto questo discorso laspetto gentilizio rimane completamente oscurato. Il rituale certamente pubblico pro populo (nel senso di Capitone), e non ha niente a che fare con i Fabii o con i Quinctii. Il mito di fondazione del rito collegato alle due gentes da un numero relati- vamente ristretto di fonti: Ovidio, due lemmi festini (Paul Fest., Faviani, 78 L., e <Quintiliani Luperci>, 308 L., come integrato da Orsini e Mueller), un riferimento poetico di Properzio (4, 1, 26), e lorigo gentis Romanorum (22, 1: suos appellaverunt, Remus Fabios, Romulus Quinti- lios). Ma lanalisi delle nalit del rito ora tentata mi porta ad escludere questa identicazione. Il rito, come si potuto vedere, serviva alla lustratio delloppidum Palatinum, con cui nessuna delle due gentes aveva rapporti: non i Quinctii che, secondo Livio (e quindi probabilmente Var- rone, che dovrebbe essere la sua fonte tramite il de familiis Troianis), hanno origine albana, da cui furono deportati sotto Tullo Ostilio e, secondo unipotesi recente, potrebbero avere avuto il loro luogo di residenza sul Celio, mentre secondo Marinella Corsano potrebbero avere avu- to rapporti col Capitolium, attraverso contatti con Iuppiter 127 ; non i Fabii, che avevano il loro luogo di culto ancestrale sul Quirinale dove, ancora nei primi anni del IV secolo, compivano il loro annuale sacricio gentilizio 128 . Nel 1963, partendo proprio dal collegamento dei Fabii col 128 Notavo (FIORENTINI 1988, pp. 165 ss.) che la prospettiva gentilizia lascia inesplicato un parti- colare che la rende inverosimile: se le due sodalitates avessero n dallinizio avuto caratterizzazione genti- lizia, non si riuscirebbe a spiegare la notizia, irrime- diabilmente contradditoria, secondo cui i Quinctii sarebbero stati deportati forzatamente a Roma da Tullo Ostilio dopo la distruzione di Alba. Una com- posizione potrebbe essere proposta nellimmaginare la presenza di due nuclei di Quinctii, una albana e una romana. Ma una dispersione gentilizia per queste et cos antiche non mi pare verosimile. La contraddizio- ne pertanto rimane e non pu essere spiegata se non escludendo loriginariet del carattere gentilizio del rituale. Che poi, a mio parere, non si presenta neanche nelle et successive. Ovviamente questo rilievo si reg- ge sul presupposto che il nome autentico della soda- litas romulea rimandi alla gens Quinctia. Ovidio usa Quintilii, e Dionisio (3, 29, 7), nel riportare lelenco delle gentes coattivamente trasferite a Roma da Tullo Ostilio, usa Kointilous: ma il nome di questa gens ha una formazione pi recente dellaltra che, col tema in -ali-, appartiene ad uno strato molto arcaico, di cui fanno parte anche i nomi dei amines (PERUZZI 1978, p. 33 s.). 125 Questa testimonianza di Giovanni Lido va aggiunta al dossier di tracce dei libri ponticum rac- colto da Francesco Sini. 126 Lidenticazione di Ploton con Vediovis po- trebbe essere suggerita dallavvicinamento di Fauno, la divinit a cui in primo luogo dedicata la festa, con Vediovis, secondo la prospettiva di KERENYI 1979, p. 87. Ci, a parere dellA., spiegherebbe perch Cesare non avrebbe avuto difcolt ad aggiungere una ter- za sodalitas alle due originarie: infatti Vediovis era venerato a Boville dagli Iulii (CIL, 1 2 , 1439=ILLRP, 270: Vediovei patrei / genteiles Iuliei / [[Vedi<ov>ei]] aara / leege Albana dicata (FIORENTINI 1988, pp. 237 ss., e supra, p. 1013). 127 Leccezionale livello delle sepolture del VII e del VI secolo della zona lateranense, che riette una notevole prosperit dei gruppi ivi stanziati, induce COLONNA 2005, p. 737, a cautamente identicarle con quelle dei capi albani deportati a Roma da Tullo Osti- lio, tra cui, come ricorda Livio (1, 30, 2) vi erano anche i Quinctii. Quanto al legame col Capitolium, espresso dal cognomen portato da uno dei gruppi pi antichi della gens, CORSANO 1977, pp. 146 ss., ne trae unilla- zione di tipo funzionalistico (presunta capitolinit della gens Quinctia) che ritengo inammissibile. 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1021 Quirinale testimoniato dal culto gentilizio di cui ci informa Livio (5, 46, 2), combinato con la suddivisione del collegio dei Salii in due gruppi, Palatini e Collini, Arnaldo Momigliano aveva argomentato che i Luperci avrebbero rappresentato la fusione della comunit latina con quella sabina 129 . Almeno per quanto attiene al rito lupercale questa deduzione mi pare poco verosi- mile: in primo luogo, se i Fabii hanno rapporti accertati col Quirinale, non altrettanto si pu dire dei Quinctii per il Palatino, dato che sappiamo dalla lista liviana che, no al regno di Tullo Ostilio, essi erano stanziati ad Alba, donde vennero deportati dopo la sua distruzione. Inoltre, se la suddivisione del collegio lupercale in due sodalitates rispecchia una sorta di sinecismo tra la comunit palatina e quella collina, non si capisce perch il rito si dovesse svolgere esclusi- vamente attorno a uno dei due stanziamenti. In questo caso levidence invocata dal Maestro piemontese infondata. Anche largomento onomastico, proposto da Mommsen ed accettato da larga parte della dottrina, secondo cui loriginario carattere gentilizio del rito sarebbe provato dalla circostanza che il prenome Kaeso sarebbe stato esclusivo delle due gentes 130 , confutato dal fatto che, in et altore- pubblicana, altre gentes, anche plebee, portavano questo prenome: almeno gli Acilii e i Duilii. E allora resta da spiegare quando il carattere gentilizio si sia inltrato nel contesto ritua- le. Wiseman ha proposto un momento preciso: il 304 a.C., ad opera di Q. Fabio Rulliano 131 . Forse la ricostruzione di Wiseman eccessivamente circostanziata, anche perch in una data cos bassa una riforma di questa portata non avrebbe potuto essere stata omessa dagli anna- li dei ponteci, da cui difcile pensare che non sarebbe passata agli annalisti e soprattutto agli antiquari. Tuttavia mi pare di grande interesse la prospettiva dalla quale Wiseman guarda allaspetto gentilizio del rito: esso sarebbe la superfetazione repubblicana di un rituale che in origine non aveva niente di gentilizio. Dopo questo lungo ma necessariamente sommario esame dei sacra gentilicia una con- clusione si impone: da essi totalmente estraneo laspetto funerario, relativo alla celebrazione degli antenati defunti, sui quali ora necessario brevemente soffermarsi. 5. Riti funerari Riguardo al secondo argomento del mio esame, inevitabile partire dalla norma delle XII Tavole citata da Cicerone (de leg., 2, 55=X, 1): Hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito. Cicerone aveva cura di differenziare concettualmente i verbi designanti le azioni collegate ai due diversi rituali funerari: subito dopo avere esposto la sua opinione sulla ratio della norma decemvirale, su cui mi soffermer tra breve, egli (de leg., 2, 55) proseguiva: quod autem addit neve urito, indicat non qui uratur sepeliri, sed qui humetur. Quindi, a parere dellArpinate, dal momento che il testo della norma contemplava due ipotesi, sepeliri ed uri, con la prima espressione il legislatore decemvirale si sarebbe riferito solo allinumazione. Neve urito designa una tipologia di cerimonia funebre diversa dallinumazione, ossia la cremazione. La meticolosa differenziazione dei due rituali, correttamente effettuata da Cicerone, ci in- troduce al problema pi rilevante della norma, quello della sua ratio. Se la sua portata oscura MAN 1999, p. 76. 131 WISEMAN 1995. 129 MOMIGLIANO 1963, p. 99. 130 MOMMSEN 1864, p. 17; GAG 1966, e ora WISE- 1022 M. Fiorentini Sc. Ant. ai nostri occhi, neppure i dotti Romani della ne della Repubblica capivano bene a cosa servis- se. Cicerone (de leg., 2, 55) la riportava ad esigenze di sicurezza urbana, connesse alla necessit di evitare il pericolo di incendi: Credo vel propter ignis periculum. Il sostanziale fraintendi- mento dellArpinate reso evidente dalla titubanza con cui egli propone la sua spiegazione. Secondo Isidoro di Siviglia (Etym., 15, 11, 1), invece, la norma avrebbe inteso tutelare la citt dalle esalazioni prodotte dalla putrefazione dei cadaveri: Prius autem quisque in domo sua sepelibatur, postea vetitum est legibus, ne faetore ipsa corpora viventium contacta incerentur. Sia la soluzione di Cicerone, sia quella di Isidoro sono del tutto insufcienti, perch entrambe collegate al rito prevalente ai loro tempi: la prima perch il pericolo degli incendi non spiega il divieto dellinumazione; quella di Isidoro, che lo giusticava con gli effetti della decomposizio- ne dei cadaveri inumati, lascia inesplicato il divieto di cremazione 132 . evidente che siamo in presenza di spiegazioni razionalizzanti di una norma di cui non si riusciva pi a comprendere la portata. Tenter di propore qualche rilievo tra breve. Cicerone sapeva bene che la norma decemvirale non era stata applicata inessibilmente. Proprio al centro della citt erano note sepolture mitiche, come la tomba di Acca Larentia al Velabro, i doliola o i busta gallica; tutte sepolture che comunque erano esterne allantiquum pomerium Palatinum come, a proposito del sepolcro di Acca, afferma esplicitamente Varrone (L. L., 6, 24); la tomba di Faustolo o di Osto Ostilio al Comizio, le ossa di Oreste, la sepoltura di un fulmine ictus nel Volcanal, disposto da un senatus decretum, e quindi allinterno del po- merio serviano 133 ; alcuni sepolcreti deniti familiari (credo per gentilizi) di et storica, come quello della familia Cincia attestato in un lemma di Festo in relazione alla porta Romana 134 ; ed inne aree sepolcrali destinate a personaggi eccezionali e alle loro discendenze. ni, quod est ante clivum Capitolinum iuxta Concordiae templum. I busta gallica si trovavano, secondo Livio (22, 14, 1), media in Urbe: lUrbs repubblicana, non quella romulea. Sta di fatto che essi erano ritenuti collegati con lassedio gallico, quando tutta larea si trovava intra pomerium. Sulla qualicazione giuridica dei doliola, dei busta gallica e delle ossa Orestis come res religiosae in quanto sepolture, ALBANESE 1969, pp. 215 ss., critico nei confronti di FABBRINI 1968, pp. 536 ss. La risposta di FABBRINI 1970 non mi pare efcace. Festo (Statua, 370 L.) riporta una tradizione relativa a un seppellimento rituale nel Volcanale: Statua est ludi eius, qui quondam fulmine ictus in Circo, sepultus est in Ianiculo. Cuius ossa postea ex prodigis, oraculo- rumque responsis senatus decreto intra Urbem relata in Volcanali, quod est supra Comitium, obruta sunt; superque ea columna, cum ipsius efgie, posita est. 134 Fest., Romanam portam, 318 L.: Romanam portam vulgus appellat, ubi ex epistylio deuit aqua; qui locus ab antiquis appellari solitus est statuae Cin- ciae, quod in eo fuit sepulcrum eius familiae. Sed porta Romana instituta est a Romulo inmo clivo Victoriae; qui locus gradibus in quadram formatus est. COARELLI 132 Ciononostante il ne della norma anco- ra riconosciuto in esigenze di prevenzione degli in- cendi da ROBINSON 1977, pp. 386 ss. evidente che non sono daccordo con la studiosa irlandese; n mi convince DYCK 2003, p. 400, secondo cui, con la ratio proposta, Cicero clearly has no feeling for the fear of the dead that causes them to be safely contained in their own places well away from human habitation. Non cera bisogno di una norma legislativa per tene- re lontani i morti dallUrbs: ad esorcizzare la paura dei morti, del resto, erano deputate apposite festivit come i Lemuria. La ratio di Tab. X, 1, come cercher di mostrare tra breve, va ricercata nella necessit di te- nere separata larea inaugurata allinterno del pomerio dalla contaminazione rituale insita nella morte. Tende ad accentuare il carattere preventivo della norma, pur senza omettere che la prima nalit sarebbe stata da ricercare in un complesso di prescrizioni di carattere religioso, anche MINIERI 2000, pp. 46 ss. Ringrazio lamico Luciano per avermi fornito lestratto del suo articolo. 133 Serv., ad Aen., 2, 116: Orestis vero ossa Aricia Romam translata sunt et condita ante templum Satur- 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1023 A proposito di queste ultime, Cicerone (de leg., 2, 58) inizia esponendo le regole relative al ius sepulcrorum contenute nel diritto ponticale, prosegue con quella disposta dalle leges, ossia nelle XII Tavole (Tab. X, 1), giusticandola come misura di prevenzione degli incendi, e poi parla delle sepolture in urbe posteriori alle XII Tavole: Atticus. Quid quod post XII in urbe sepulti sunt clari viri? Marcus. Credo Tite fuisse aut eos quibus hoc ante hanc legem virtutis causa tributum est, ut Poplicolae, ut Tuberto, quod eorum posteri iure tenuerunt, aut eos si qui hoc ut C. Fabricius virtutis causa soluti legibus consecuti sunt. Cicerone distingue due categorie di soggetti: coloro ai quali tale onore era stato decretato pri- ma delle XII Tavole e mantenuto per i posteri, come ai Valerii a partire da Publicola, e ai Postumii come premio ad A. Postumio Tuberto, il dittatore vittorioso al lago Regillo nel 499 o 496, ai quali vanno aggiunti i Claudii ricordati da Svetonio (il cui sepolcro gentilizio era probabilmente alla pendice N del Capitolium, e perci extra pomerium 135 ); ed altri ai quali esso fu conferito dopo la legislazione decemvirale, come a C. Fabrizio Luscino, il vincitore di Pirro, morto nel 275, e forse alla sua discendenza. Conosciamo dunque almeno due gentes che seppellivano entro lurbs in et predecemvirale (nel Foro ed alla base della Velia; non contando la gens Cincia), ed almeno unaltra cui questo onore fu concesso dopo. Di questi sepolcri parla Plutarco (quaest. rom., 79): e infatti agli altri aristocratici e comandanti decretarono che non solo loro ma anche i loro discendenti fossero sepolti nel Foro, come a Valerio e a Fabrizio; e si afferma che, quando i loro discendenti muoiono e vengono portati nel Foro, una torcia accesa viene posta sotto il feretro e subito rimossa, godendo dellonore senza provocare invidia, e cos limitandosi a confermare il loro privilegio 136 . Soffermiamoci sul sepolcreto dei Valerii al piede della Velia. Il rapporto col riconosci- mento reso a Publicola, risultante nelle Quaestiones Romanae, evidenziato da Plutarco anche nella chiusa della vita di Publicola (Popl., 23, 4): e il popolo vot che il corpo fosse sepolto a spese pubbliche 5. Fu infatti sepolto sulla base di un voto del popolo dentro la citt presso la cosiddetta Velia, in modo che il luogo di sepoltura toccasse anche a tutta la gens. 6. Ora per nessun membro della gens vi viene pi sepolto, ma conducendo il defunto lo depongono l, e qualcuno, presa una accola accesa, ve la pone sotto per un momento e subito la toglie via, testimoniando con questo gesto che il defunto ha il diritto di esservi seppellito ma vi rinuncia, e in tal modo portano via il morto 137 . 135 COARELLI 1997, p. 255. 136 Plut., quaest. rom., 79: -c. ,c, c., c,.ct.uc. -c. ct,ct.,., .o.-c| u- cutu, || cc -c. tu, c cut.| .|tct.c-c. t c,,c, -c-c., Ouc.,.. -c. 4c,.-.. -c. cc. tut.| c,|., c-c|uc. -c. -.c-..c.| .., c,,c| u..c-c. ococ -c..||, .|- .u-u, c.,.c-c., ,..|.| c|..-|., t t. -c. t. ...|c. || .-.c.u.|.|. 137 Plut., Popl., 23, 4: o. o,... .1.cct oc.c tc|c. t c.c... 5. Etc o. -c. t.| .t.| 1.cc.|.| .|t, cct., c,c t| -cu.|| Ou..c|, .ct. -c. ,.|.. c|t. t, tc, .t..|c. 6. Nu| o. -ct.tc. .| uo.., 1983, pp. 232 ss. e nota 31, non credendo che la porta Romana si aprisse nelle mura palatine, esprime un mo- tivato scetticismo sulla localizzazione del sepolcro dei Cincii allinterno del pomerio; VALVO 1990, pp. 145 ss.; GRANDAZZI 1998. Il lemma festino parrebbe prolare di- verse localizzazioni della porta: una popolare (vul- gus appellat), un epistilio da cui scende acqua e che gli antichi chiamavano statuae Cinciae per la presenza del sepolcro; ed una tecnica attribuita alla porta della cinta romulea del Palatino aperta in fondo al clivus Victoriae. Anche se sarebbe di estremo interesse localizzare pi precisamente questo epistilio, ai miei ni basta consi- derare che esso doveva comunque trovarsi fuori del po- merio palatino (ma allinterno di quello serviano). 1024 M. Fiorentini Sc. Ant. Questo ragguaglio va collazionato con una notizia fornita da Dionisio di Alicarnasso (5, 48, 3): ma il senato, venuto a conoscenza di come le loro sostanze (scil. dei cogentiles di Publi- cola) fossero scarse, decise che le spese per la sua sepoltura fossero tratte dallerario, e concesse un luogo entro la citt, nei pressi del Foro sotto la Velia ove fu cremato e sepolto, unico tra gli uomini eminenti no ai miei tempi; e questo luogo, come se fosse sacro, consacrato alla sepoltura dei suoi discendenti 138 . Dunque, con una legge comiziale per Plutarco (t.| .t.| 1.cc.|.|) o, secondo Dionisio, con senatoconsulto ( u .1.cct), venne assegnato a Publicola un luogo ai piedi della Velia ove fosse seppellito lui con la sua discendenza. A parte levidente iperbole costituita dallunico tra gli uomini eminenti no ai miei tempi (almeno Silla aveva avuto lo stesso onore), Dionisio fornisce unindicazione signicativa: Publicola fu incinerato e sepolto nello stesso luogo: .|-c .-cu- -c. .tc. Si tratta dunque dun bustum, secondo la de- nizione di Festo (bustum, 29 L.): bustum proprie dicitur locus, in quo mortuus est combustus et sepultus (...); ubi vero combustus quis tantummodo, alibi vero est sepultus, is locus ab urendo ustrina vocatur. I passi di Plutarco conservano unaltra rilevantissima informazione sul rituale in uso pres- so i Valerii. Il rito prevalente no al IV secolo a.C. linumazione, ma i Valerii rimarranno sempre fedeli alla cremazione, tanto che Plutarco ci trasmette una preziosa notizia (letta in Valerio Anziate? 139 ): il corteo si dirige nel Foro, il feretro viene deposto a terra, una accola viene accesa sotto il letto funebre e subito rimossa, dopo di che il corteo riprende il percorso verso il sepolcreto. ragionevole vedere in questo rito una nta cremazione svolta nello stesso luogo ove, evidentemente prima delle XII Tavole, si svolgeva unincinerazione autentica in un bustum. Questo rituale sostitutivo sicuramente databile allet postdecemvirale quando, in ossequio alla disposizione della norma di Tab. X, 1, il sepolcreto dei Valerii dovette essere rimosso 140 . 140 Non accettabile FRANCIOSI 1984B, pp. 52 ss., per il quale il rituale della torcia attesterebbe che in origine i Valeri inumavano i loro morti, e solo in s- guito sarebbero passati alla cremazione. frutto di un fraintendimento MANZO 1995, p. 113, nota 32, secondo cui, oltre ad altre gentes, i Valerii origina- riamente inumanti, in prosieguo di tempo accolsero la pratica dellincinerazione. E, soprattutto, Plut., Popl., 32, 5-6 non narra che Valerio Publicola fu inu- mato allinterno dellabitato nella tomba gentilizia e poi aggiunge che, successivamente, tale pratica cadde in disuso. Dion. Hal., 5, 48, 3 esplicito nellindi- care che il luogo in cui Valerio fu sepolto era un bu- stum. Non vi fu quindi alcuna obliterazione del rito, bens una sua trasformazione cosciente quando il rito da sempre seguito dai Valeri non pot pi essere ce- lebrato nel Foro: cio dopo lintroduzione legislativa del divieto. t.| c ,.|u, -.cc|t., o. t| |.-,| .-.. -ctct.-.|tc., -c. ococ t., .|| c.| c| u|.,-.|, ..t c|c.,..tc., c,tu,.|, .,,. t ...|c., ..o.c-c. o. t, t.,, -c. t| |.-,| ut., c-.uc.|. 138 Dion. Hal., 5, 48, 3: .|t. u c-ucc ., ...| cut., tc ,c,ctc (add. c,, O), .- t.| oc..| .1.cct ,ct.| ..,,-|c. tc, .., t| tc| occ|c,, -c. .,.| .|-c .-cu- -c. .tc |. t.| .,., .u ,.|.|.| ..c|.| c|o,.| .| t .. cu|.,,u, t, c,,c, c.o...| u Ou..c, -c. .ct.| .c., ..,| tut t., . .-..|u tu ,.|u, .|-ct.c-c. c|...||. 139 BOSCHERINI 1975, pp. 141 ss. ha escluso che la fonte di Cicerone e Livio, che deve essere la stessa, sia Valerio Anziate, propendendo per Calpurnio Pisone. Valerio Anziate deve essere la fonte, ma insieme an- cora a Pisone, delle versioni di Dionisio e di Plutarco (HRR, I 2 , CCCXXVI ss. P.). 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1025 Sulla Velia (o alla sua base) la tradizione colloca anche la casa di Publicola che, non di- versamente dal successivo locus sepulturae, le fonti, e soprattutto Asconio (in Pisonian., 13, 8 ss. Clark), rappresentano come una novit giusticata dai meriti insigni dellonorato. si- gnicativo che dalla stessa area provengano i frammenti di elogia dei Valerii Messallae (CIL, 1 2 , Elogia, XL=CIL, 6, 3826 e 31618), scoperti nei pressi della Basilica di Massenzio, quindi proprio sulla Velia. Lipotesi che si possa trattare di tituli apposti a un monumento funerario, enunciata da Federica Fontana 141 , mi pare da escludere proprio perch un sepolcro, in quel luogo e nella tarda Repubblica, non poteva esistere. E allora si potrebbe pensare, come propo- ne Jean-Claude Richard, a un monumento commemorativo della gens Valeria sulla collina da sempre collegata alle memorie gentilizie 142 . Tuttavia sorge spontanea la domanda se il luogo di sepoltura dei Valerii, situato anchesso ai piedi della Velia, come ricordano sia Dionisio (u Ou..c|), sia Plutarco (.|t, cct., c,c t| -cu.|| Ou..c|), non possa essere pi antico di Publicola. I Valerii sono una delle gentes maiores che, nonostante la dichiarata provenienza sabina, sarebbe giunta a Roma con Tito Tazio, agli albori stessi dellurbs 143 ; Plutarco fornisce anche la presunta versione ori- ginaria del nomen: Ou..c,, che sarebbe traslitterazione greca di un latino *Velesus 144 . La suggestione di associare il luogo di sepoltura a quello di abitazione forte. Avremmo quindi un caso esemplare di collegamento topograco tra casa dei vivi e casa dei morti, ossia un em- blema anche visivo del prestigio gentilizio, entro la citt ormai formata in tutte le sue artico- lazioni giuridiche e spaziali, anzi vicino al suo centro politico e religioso, il Foro e la Regia, agli inizi del V secolo a.C., unet che vede lo stanziarsi nel territorio romano di altre gentes, come quella dei Claudii, anche ai quali viene concesso dallo stato un luogo di sepoltura presso il Campidoglio 145 . E il discorso non cambierebbe, anzi si farebbe anche pi stringente, se fosse vera lipotesi, cautamente avanzata da Coarelli, di identicare nella domus dei Valeri la casa ar- caica, scoperta da Giacomo Boni, sovrappostasi al sepolcreto adiacente al tempio di Antonino e Faustina 146 . stanziata, la Velitia. Mi pare stimolante uno spunto di PALOMBI 1997, p. 26, nota 65, circa un originario popo- lamento sabino della Velia, indiziato dallidentit del suo nome con quello che, a dire di Dionisio di Alicar- nasso (1, 20), gli Aborigeni avrebbero donato ai Pelasgi presso Reate: una notizia forse mutuata da Varrone. Il collegamento onomastico del monte con la gens, che ovviamente non va interpretato come derivazione delluno dallaltra, potrebbe essere un indizio a favore delloriginaria sabinit della Velia. 145 Suet., Tib., 1: locumque sibi ad sepulturam sub Capitolio publice accepit. 146 COARELLI 1983, pp. 81 ss., che ipotizza cauta- mente un collegamento tra questa domus ed almeno alcune delle tombe di bambini del sepolcreto ad essa sottostante. PALOMBI 1997, p. 73, nota 13, non accoglie lipotesi in quanto, a suo avviso, la casa dei Valeri do- vrebbe trovarsi in un luogo diverso da lui identicato, grazie a un accenno di Livio che la pone in inmo cli- 141 FONTANA 1999, p. 301. 142 RICHARD 1994, p. 420. 143 Val. Max., 2, 4, 5, ne localizza la residenza originaria in villa sua propter vicum Sabinae regionis Eretum. 144 Pi volte: Public., 1; Numa, 5, 2. Zosim., 2, 1-3 lo chiama Ou c. c.,, ossia *Valesius, che si accorda perfettamente con la versione del nome gentilizio nota dal lapis Satricanus che, com noto, al genitivo Po- pliosio Valesiosio, ossia Publii Valesii. La versione del nome tramandata da Plutarco, pertanto, se non pura invenzione dello storico greco (che non credo), deve risalire ad uno strato linguistico ancora pi antico della seconda met del VI secolo a.C. Mi pare signicativa, anche se, per quanto ne so, mai evidenziata, la coin- cidenza del tema Vel- della gens con quello del mons che in sguito la accoglier, la Velia, con la comunit albense dei Velienses che sicuramente lo abitava (Plin., N. H., 3, 69), e col nome della curia probabilmente ivi 1026 M. Fiorentini Sc. Ant. Tuttavia i Romani erano consapevoli che la norma decemvirale non aveva risolto una volta per tutte il problema delle sepolture urbane. Vi sono fonti che alludono a provvedimenti reiterativi del divieto. Il pi importante un passo di Servio (ad Aen., 11, 206): nitimos tollunt in agros qui enim e longinquo venerant, referri non poterant. urbique remittunt deest unicuique. et meminit antiquae consuetudinis: nam ante etiam in civitatibus sepeliebantur, quod postea Due l l i o c o ns ul e s e na t us pr ohi bui t e t l e g e c a vi t, ne qui s i n ur be s e p e l i r e t ur. Il testo di Servio stato raramente esaminato 147 : assente dalla raccolta delle leges publicae di Rotondi, nonostante la precisa menzione di una lex, la dottrina, dando credito a Cicerone secondo cui il divieto era contenuto nelle XII Tavole, lo ha generalmente svalutato 148 . Eppure la precisione del dato cronologico ci dovrebbe far pensare che Servio leggesse da qualche parte che al tempo del console C. Duilio, il vincitore della battaglia navale di Lipari contro i Car- taginesi nel 260 a.C., il senato avrebbe preso una decisione rafforzata in una lex (che non pu signicare altro che una legge comiziale), ne quis in urbe sepeliretur. Con una prospettiva esattamente rovesciata, una parte minoritaria della dottrina se ne servita per negare credibilit alla norma decemvirale, interpretata come anticipazione del provvedimento citato da Servio 149 . Da ultimo questa lettura negativa stata avanzata da Angela Romano in un saggio del 1981. La ragione ne vista dallA. nella presunta non corrispondenza del divieto di seppellire alle condizioni urbane del V secolo a.C.; in particolare nello scarso pericolo che i roghi di combustione dei cadaveri avrebbero costituito per un abitato ancora non eccessivamente denso. La norma sarebbe stata al contrario giusticata proprio a partire dallet mediorepubblicana, un contesto sociale molto pi evoluto ed articolato, alla quale lA. ascrive il divieto. Va indubbiamente riconosciuto ad Angela Romano il merito di avere riportato lattenzio- ne della critica sulla testimonianza di Servio. Le motivazioni presentate dallA. a supporto del suo punto di vista non appaiono tuttavia condivisibili, oltretutto inserite come sono in un con- testo di generale svalutazione dellautenticit delle norme della Tab. X che appare infondato. Il punto pi criticabile del saggio di Romano il tentativo di dimostrare lincompatibilit di Tab. X, 8, sul divieto di accompagnare il defunto con oro ed argento, con le condizioni economiche fonte di Servio. LA. ha probabilmente tratto lelen- co da PALMA 1990, pp. 12 ss., che per pi comple- to, ricordando anche lex coloniae Genetivae Iuliae (LXXIII=CIL, 1 2 , 594), omessa da Andreussi. Allo stesso modo anche VALVO 1990, pur in uno studio specicamente dedicato alle sepolture in urbe, non ne fa cenno. 148 Come fece DE FRANCISCI 1913, p. 34, per il quale non si sarebbe potuto ricavare granch da un autore non esperto di diritto come Servio. 149 Cos gi LAMBERT 1902; e ora ROMANO 1981, pp. 7 ss., le cui conclusioni mi sembrano da respin- gere. vo (2, 7, 12), con la parte bassa della cd. scorciatoia per le Carinae, quindi non sulla pendice della Velia affacciata sul Foro; localizzazione che farebbe venir meno il rapporto tra domus e sepolcro gentilizio, dato che le fonti collocano questultimo sotto la Velia, ma al Foro. 147 ANDREUSSI 1999, p. 100, ricorda molte ripre- se del divieto, di Adriano, documentata da Ulpiano (25 ad ed., D. 47.12.3.5), di Antonino Pio (SHA, Pius 12.3), dei Severi (Paul. Sent., 1, 21, 2-3: Corpus in ci- vitatem inferri non licet, ne funestentur sacra civitatis: et qui contra ea fecerit, extra ordinem punitur. 3. Intra muros civitatis corpus sepulturae dari non potest vel ustrina eri) e di Diocleziano (C. 3.44.12) ma non la 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1027 dellet arcaica: Neve aurum addito, at cui dentes iuncti escunt, ast im cum illo sepeliet uretve, se fraude esto. LA. attribuisce il lusso funerario vietato dalla norma non allet arcaica ma a quella mediorepubblicana, ormai imbevuta di modelli greci 150 . Ancora pi inverosimilmente Romano collega le norme limitative del lusso funerario alle leggi suntuarie del II secolo. Il ri- lievo identico a quello proposto da Lambert 151 . Allaprirsi del XX secolo una posizione come questa poteva essere giusticata dalla poca o nessuna conoscenza della civilt latina arcaica, ri- costruita solo sulla base di supposizioni, di un evoluzionismo un po troppo meccanico che ve- deva tutte le societ antiche sottoposte a un processo di crescita lineare e costante dal primitivo allevoluto, e senza il supporto di prove materiali, tanto da prestar fede a testi di Cicerone (de leg., 2, 60 ) e di Livio (34, 4, 9) che, nel lodare la semplicit dei costumi antichi, non descrivono come era la societ arcaica ma come non era la loro. Ma un punto di vista simile non pu pi essere difeso dopo le spettacolari scoperte delle necropoli orientalizzanti ad Osteria dellOsa, alla Rustica, a Decima, alla Laurentina e in molti altri centri latini, effettuate a partire dagli anni 70 del secolo scorso. In particolare non pare che Romano conosca il fondamentale contributo di Giovanni Colonna 152 che, al di l della difcolt di collegare la norma decemvirale al milieu culturale del VI secolo a.C. piuttosto che a quello assai pi impoverito del V, ha dimostrato come le tombe ricchissime del VII secolo lascino quasi repentinamente il posto, nel corso del VI, a sepolcri quasi del tutto privi di corredo, ma non per questo da reputare poveri (le urne di marmo greco impiegate come contenitore smentiscono questa visione). Lassenza di corredo quindi letta come mutamento delle usanze funerarie, a sua volta ricondotto ad unistanza sun- tuaria che sarebbe ben pi antica del decemvirato. Pi in generale limpostazione complessiva del contributo di Romano a non essere condi- visibile, imperniato com su una valutazione evoluzionista della societ romana che, partendo da origini modeste conservatesi sostanzialmente immutate no allet mediorepubblicana, giunge solo nel III secolo ad assaporare il gusto dellopulenza grazie agli apporti del mondo ellenistico. A parte la ducia accordata a un testo di Servio a preferenza di una testimonianza di Cicerone che, conoscendo molto bene le XII Tavole, sapeva quali norme provenissero dalla giurisprudenza ponticale, quali dalla legislazione decemvirale e quali da una legge che, se avesse introdotto per la prima volta il divieto, non avrebbe potuto essergli ignota, la motivazione che ha indotto la stu- diosa napoletana a negare credibilit allorigine decemvirale della norma di Tab. X, 1, alla luce di considerazioni dordine pratico, ruota tutta sullimplausibilit della norma, letta in funzione anti-incendio. In realt la norma non aveva sicuramente questa funzione, rispondendo piuttosto alla necessit, di natura prettamente rituale, di osservare una tassativa separazione dello spazio va contenuta in Tab. X come consolidazione di una regola di tipo consuetudinario pi antica di almeno un secolo. Ma i suoi argomenti, in parte formatisi su un esame comparativistico con la legislazione suntuaria greca, non mi appaiono sempre convincenti. ALBANESE 1998, pp. 397 ss., prospetta proprio la nalit di limi- tazione delle spese e soprattutto della habrosne, su cui AMPOLO 1972, pp. 472 ss. 150 Romano considera assurda la norma che consente di conservare al cadavere gli eventuali denti doro: ma che la pratica delle protesi auree fosse in uso dimostrato proprio dalle tombe: BAGGIERI 1998, pp. 321 ss. data il cranio da Satrico tra il VII e il VI secolo, quindi proprio in et monarchica. 151 LAMBERT 1902. 152 COLONNA 1977B, pp. 132 ss. TOHER 1986, pp. 301 ss., non condivide linterpretazione della normati- 1028 M. Fiorentini Sc. Ant. inaugurato entro il pomerio-urbs (che in origine coincidono) da quello, per sua natura contami- nante, destinato alla morte 153 . Un rapporto che, per quanto impallidito, presente ancora in un passo delle Pauli Sententiae, testo giuridico la cui prima stesura sicuramente databile agli anni tra la ne del III e gli inizi del IV secolo d.C. (1, 21, 2-3): Corpus in civitatem inferri non licet, ne funestentur sacra civitatis: et qui contra ea fecerit, extra ordinem punitur. 3. Intra muros civitatis corpus sepulturae dari non potest vel ustrina eri 154 . Il testo non collega il divieto di sepoltura con lo spazio inaugurato dellUrbs, ma comunque con la necessit di evitare di funestare il culto pubblico cittadino, corrompendolo col contatto con la morte. Lantitesi tra spazio sacro della civitas e carica contaminante della morte espressa recisamente. Con quanto detto nora sul rapporto di totale incompatibilit tra spazio della citt e spazio della morte, si pu dire che il divieto di seppellimento entro il pomerio non solo non sia poste- riore alle XII Tavole, ma sia certamente addirittura anteriore al V secolo a.C. e coessenziale con la stessa fondazione dellUrbs, in quanto direttamente conseguente alla natura inaugurata dello spazio urbico. La norma decemvirale non risponde a esigenze pratiche ma esclusivamente rituali, ormai incomprensibili agli stessi Romani colti dellet tardorepubblicana, come appare evidente dal parere espresso in modo cos esitante da Cicerone (credo vel propter ignis periculum) 155 . Per questo la scansione temporale proposta da Carmine Ampolo nel 1988, secondo cui solo nel VII secolo a.C. si pu avere una vera citt, non mi pare del tutto aderente a quanto pro- spettano le fonti. Ampolo esclude che lo spostamento del sepolcreto del Foro, trasferito nel- le aree marginali (soprattutto allEsquilino), debba essere interpretato come liberazione dello spazio urbico dal contatto con la morte, e perci fosse nalizzato alla creazione di un centro politico-religioso 156 , dal momento che le aree cos guadagnate furono occupate da case priva- te, capanne accanto alle quali erano situate sepolture dei bambini. Largomento mi pare fallace poich lo spostamento della necropoli non ha una semplice funzione di razionalizzazione dello spazio urbano, ma proprio quello di separare lo spazio inaugurato dallo spazio dellimpurit proprio della morte, come affermato molto bene da Magdelain 157 . Pertanto fondazione della citt, pomerio ed espulsione dei sepolcreti dalla citt devono essere collegati tra loro. E tornia- mo a Servio Onorato. Nella divergenza tra la norma delle XII Tavole e la legge del 260 a.C. attestata da Servio, la sola alternativa possibile non quella proposta da Angela Romano, e neanche quella pur inge- gnosamente prospettata da Michael Crawford, secondo cui Servio avrebbe fatto confusione tra il C. Duellius console del 260 e il K. Duilius decemviro 158 . Ma, a parte la considerazione che a ritenere che tale testimonianza (scil. il passo di Servio sulla legge del 260 a.C.) si riferisca a un secondo inter- vento dopo quello decemvirale. Tanto pi che, nel corso del saggio, ella tratta della necessit di ribadire il divieto nelle et successive (ibid., pp. 15 ss.). 156 AMPOLO 1988, p. 161. 157 MAGDELAIN 1976-77=1990, pp. 155 ss. 158 CRAWFORD 1996, II, p. 704, che parla di un testo garbled. La precisione del dettaglio della titolatura di C. Duellius come console mi fa dubitare dellipote- si di Crawford. Inoltre difcile che un autore cos a 153 Sul tema dello spazio inaugurato qualche bre- ve rilievo nel paragrafo seguente. 154 CTh., 1, 4, 2 afferma che nelle controversie la citazione delle Pauli Sententiae sempre ammessa. SEEK 1919, p. 178, la data al 27 settembre 328, sicuro terminus ante quem per la composizione dellopera. Su P. S., 1, 21, 2-3, LICANDRO 1991, p. 213 nota 30, an- che in relazione a Serv., Ad Aen., 11, 206. 155 Pertanto non mi sento di condividere neanche laffermazione che ROMANO 1981, p. 12, avanza senza motivazione, secondo cui Nulla daltra parte induce 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1029 sarebbe strano che una norma decemvirale fosse ricordata sotto il nome di un singolo decem- viro (e nean che il pi prestigioso: perch K. Duilio e non Ap. Claudio?), invece che di tutto il collegio, largomento su cui si basa Crawford per negare ducia al testo serviano non pare irre- sistibile: under the Republic the senate was not able lege cavere. A mio avviso, invece, Servio adombra, con una formulazione scorretta ma comprensibile, considerato lo iato temporale che lo separa dallepisodio di Duellio (sei secoli), un tipico modus operandi del senato in et mediorepubblicana: emanazione di un senatoconsulto che d incarico ai consoli di proporre al popolo una legge comiziale. Far solo un esempio comparativo, la procedura di emanazione della lex Claudia de sociis descritta da Livio (41, 9, 9): legem dein de sociis C. Claudius tulit <ex> senatus consulto. Il senato emana un senatoconsulto in cui contenuto lordine, impar- tito ai consoli, di proporre ai comizi una certa legge 159 . E allora, se il rituale sostitutivo compiuto dai Valerii nel Foro parrebbe documentare lavvenuto spostamento dei sepolcri in ottemperanza al divieto disposto dalle XII Tavole, qua- le pu essere stata la motivazione che spinse il senato a reiterare, nel 260 a.C., il divieto di seppellire in Urbe? Non ho una risposta, ma penso che la soluzione debba essere ricercata contestualizzando la legge nellet in cui fu emanata, la prima met del III secolo a.C., anzi, gli anni in cui Roma era impegnata nella prima guerra contro Cartagine per il dominio sul Mediterraneo. Mnzer aveva congetturato che essa avesse risposto a nalit per cos dire pu- nitive nei confronti dei plebei Fabricii 160 . Lipotesi non mi convince: che quindici anni dopo la concessione di un tale onore verso un soggetto s plebeo, ma anche vincitore di Pirro, il senato potesse revocarlo apparentemente senza motivo, non mi pare plausibile; tanto pi che non pare che la lotta politica vedesse soccombere questa gens nella prima met del III secolo. vero che Fabrizio non era andato esente da biasimo soprattutto per la vicenda della legione campana a Reggio 161 , mentre lapparente generalit della disposizione si puo spiegare con la necessit di non violare la norma decemvirale che vietava di promulgare leggi dirette contro un singolo cittadino (privilegia ne inroganto, su cui ci informa Cicerone [de leg., 3, 11=Tab. IX, 1]); e peraltro, avendo presumibilmente le altre gentes gi rimosso i sepolcri dal Foro, il vero destinatario avrebbe potuto essere proprio Fabrizio. Ma preferisco orientarmi verso una diversa spiegazione, una motivazione legata ai progetti di monumentalizzazione del Foro, in parte realizzati proprio da Duilio, con lerezione della colonna rostrata, ed ai lavori di risiste- ponteci, come dimostr gi WIEACKER 1986, ed ora FRANCHINI 2005. Di tutta questa problematica niente traspare nella frase, un po incidentale, di Dyck. 159 Sono numerosi gli esempi di una procedura siffatta: ROTONDI 1912, p. 280. Anche per ROMANO 1981, p. 12, Servio si sarebbe riferito ad una delibera del senato trasfusa in una legge pubblica. 160 Secondo MNZER 1909, col. 1937, la legge ci- tata da Servio avrebbe costituito un nachtrglicher Protest des Senats gegen diese Auszeichnung eines Ple- beiers. Il senato era gi pieno di membri di famiglie plebee. Non si vede perch avrebbe dovuto combatte- re uno dei suoi membri pi encomiabili. 161 Sul punto indispensabile CASSOLA 1962. suo agio coi materiali arcaici come Servio potesse fare confusione non solo fra decemviri e consoli, ma anche tra un Kaeso e un Caius. Tuttavia anche DYCK 2003, p. 400, ritiene la testimonianza di Servio garbled. LA. propone unalternativa: Otherwise it may be an in- stance of a new law reviving one that had fallen into desuetude. Anche questa ipotesi della ripetizione di una legge di cui si fosse perso il ricordo non mi sembra appagante: a mio parere si tratta s della reiterazione della norma decemvirale, ma non in quanto fosse cadu- ta in desuetudine, come cercher di mostrare tra breve. Del resto la desuetudine delle norme decemvirali ri- sponde sempre ad un modello che prevalentemente fa riferimento allattivit di interpretazione creatrice dei 1030 M. Fiorentini Sc. Ant. mazione del Comizio intrapresi forse da M. Valerio Massimo Messalla, datati da Coarelli agli anni tra il 263 e il 252 a.C. 162 . Ma forse possibile fornire una proposta alternativa alle due ora enunciate. Non cono- sciamo il luogo preciso del sepolcro di Fabrizio: sappiamo solo che era situato nel Foro, il luogo centrale della vita politica cittadina, in cui le ambizioni di primato dei singoli e delle famiglie si confrontavano non solo con gli strumenti usuali della politica, ma anche con lesi- bizione della potenza gentilizia. Pu darsi allora che con la legge del 260 ricordata da Servio si volesse precludere per il futuro luso funerario del Foro in funzione celebrativa di fasti non solo gentilizi ma soprattutto personali. Le fonti descrivono i modi bizzarri e appariscenti con cui Duilio sottolineava leccezionalit della posizione raggiunta con la vittoria sui Cartagine- si 163 . In altri termini, secondo questa ipotesi che prospetto come assolutamente congetturale, nel 260 il senato avrebbe sollecitato la rogazione della legge per osteggiare non la memoria di Fabrizio, ormai morto da quindici anni, ma le eventuali pretese di Duilio di essere sepolto nel Foro, come avevano ottenuto altri viri triumphales prima di lui. Qualunque sia la soluzione del problema sollevato dalla legge del 260, si pu dire che con essa si afferma denitivamente una concezione dello spazio cittadino come luogo dei vivi, come territorio della politica dal quale la potenza gentilizia, esibita nelle forme ancora arcaiche del rituale funerario e della deisidaimona, viene per sempre espulsa per far posto ai simboli collettivi dellincipiente potere della Repubblica imperiale. 6. Urbs Il testo decemvirale e quello di Servio (ad Aen., 11, 206) sono di enorme impor- tanza anche riguardo al problema dellestensione spaziale dellUrbs. Quanto in proposito ha os- servato di recente Carandini mi sembra pienamente sottoscrivibile: no a Servio Tullio pomerio e Urbs coincidono, per cui del tutto naturale il divieto di seppellire in Urbe (anzich intra po- merium), perch lo spazio coperto dallUrbs lo stesso di quello inaugurato 164 . Gi Magdelain aveva richiamato, a questo proposito, una etimologia di urbs elaborata da Pomponio (lib. sing. ench., D. 50, 16, 239, 6): urbs ab urbo appellata est: urbare est aratro denire: la denitio con laratro consiste appunto nella delimitazione del pomerio 165 . La divaricazione inizier quando i due spazi non coincideranno pi, ossia quando Servio Tullio eriger la sua cinta muraria e al contempo estender il pomerio a tutto lo spazio racchiuso da essa, tranne lAventino che, inter- no alle mura, rester esterno al pomerio no a Claudio, come afferma alla ne della Repubblica M. Valerio Messalla Rufo, citato da Aulo Gellio (N. A., 13, 14, 5, 6=fr. 3 Hu.). 164 CARANDINI 2006. Sulla perdurante efcacia del divieto in et imperiale, STROSZECK 2001. 165 MAGDELAIN 1976-77=1990, pp. 158 ss., e nota 18. Non mi convince, invece, lo scetticismo del Mae- stro francese riguardo al pomerio palatino: gli indizi sulla sua effettiva esistenza sono pi che consistenti; lo stesso testo di Tacito (Ann., 12, 24), cos maltrat- tato dalla critica (ad es. da MAGDELAIN 1976-77=1990, pp. 161 ss.) coerente in s: COARELLI 1983, pp. 262 ss.; CARANDINI 2006, pp. 235 ss. Il rapporto tra urbs e urvus espresso anche da Varrone (L. L., 5, 143): CATALANO 1978, pp. 440 ss. 162 COARELLI 1985, p. 20: nel 263 Messalla celebra un trionfo, nel 252 ricopre la censura e dunque, secon- do Coarelli, potrebbe avere dedicato come censore le opere appaltate dopo il trionfo del 263. Quanto a C. Duilio, Tac., Ann., 2, 43, attesta ledicazione dellae- des Iani nel Foro Olitorio su sua iniziativa. 163 Val. Max., 3, 6, 4: C. autem Duellius, qui pri- mus navalem triumphum ex Poenis retulit, quotiens- cumque <publice> epulatus erat, ad funalem cereum praeeunte tibicine et dicine a cena domum reverti solitus est, insignem bellicae rei successum nocturna celebratione testando. 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1031 La determinazione dellestensione spaziale dellUrbs comporta per una complicazione, costituita da un decretum ponticale di et ignota riportato da Cicerone (de leg., 2, 58): Sed <ut> in urbe sepeliri lex vetat, sic decretum a ponticum collegio, non esse ius in loco publico eri sepulcrum. Nostis extra portam Collinam aedem Honoris. Aram in eo loco fuisse memoriae proditum est. Ad eam cum lamina esset inventa, et in ea scriptum [lamina], Honoris, ea causa fuit <ut> aedis haec dedicare<tur>. Sed quom multa in eo loco sepulcra fuissent, exarata sunt. S t a t ui t e ni m c o l l e g i um l o c um p ubl i c um no n p ot ui s s e p r i vat a r e l i gi one o bl i g a r i. Il testo importante perch, ancora una volta, permette di osservare, in controluce, il collegio ponticale nella sua attivit di organo risolutore di situazioni controverse, con alcuni rilevanti risultati interpretativi 166 . Lintervento fu motivato dal rinvenimento di una lamina di bronzo con inciso il nome di una divinit, Honos, nellarea di un sepolcreto situato allesterno della porta Collina. Cicerone attesta che, pur in assenza di edici sacri, permaneva il ricordo che nella zona era esistita unara (aram in eo loco fuisse memoriae proditum est). A questo punto sorge il problema del conitto tra locus sacer e necropoli, risolto dal collegio ordinando la demolizione dei sepolcri. Lordine motivato dal decreto secondo cui locum publicum non potuisse privata religione obligari, da cui deriva non esse ius in loco publico eri sepulcrum 167 . Due sono i punti rilevanti (e problematici) per il nostro discorso. Il primo concerne il collegamento tra lordine di demolizione del sepolcreto e la norma decemvirale. In effetti, Cicerone impernia il decretum ponticale su Tab. X, 1: cos come la legge (scil. delle XII Tavole) vieta il seppellimento in urbe, cos il collegio ponticale decret. Il problema determinato dal valore dato dal collegio alla parola urbs. Come afferma esplicita- mente loratore, larea in cui si trovavano i sepolcri era situata extra portam Collinam: quindi, al di fuori delle mura repubblicane. Perch giusticare il decreto con una norma che aveva va- lore intra urbem, ma si potrebbe dire in senso ancora pi restrittivo, intra pomerium? Non so rispondere con sicurezza a questa domanda, che non mi risulta sia mai stata posta in relazione a questa testimonianza dellattivit dei ponteci; ma mi parrebbe di poter cautamente dire che anche in questo caso ci troviamo di fronte a una di quelle decisioni in cui il collegio ha mani- dalla scoperta des vestiges dun temple dans la zone cimtriale de lEsquilin (sic), da cui lA. inferiva che lintervento dei ponteci era richiesto quando surgit un conit entre le caractre religieux qui, par nature, appartient tout tombeau, et le caractre pu- blic du terrain quil occupe. A parte il lapsus sulla localizzazione del sepolcreto (lEsquilino invece del Quirinale), e linesattezza delle vestigia del tempio (non di resti delledicio si trattava, ma di una lamina di bronzo da cui i ponteci dedussero la verit del ricordo dellantica esistenza del luogo di culto, che evidentemente era per scomparso da lungo tempo), non rilevata la discrasia tra la qualit di locus sacer che larea avrebbe dovuto rivestire e la denizione di locus publicus ad essa attribuita dalla pronuncia pon- ticale. 166 Eppure, nonostante la sua indubbia rilevanza anche nellambito del diritto privato, questo decre- tum ponticale non ha attirato lattenzione di autori che si sono cimentati proprio con lattivit decretale dei ponteci: mi riferisco in particolare a CRAWFORD 1989, pp. 93 ss., che lo discute ma in un altro contesto; mentre avrebbe potuto essere assunto come terminus post quem per il processo che condurr, gi alla ne della Repubblica, ad enucleare le varie categorie di res; in particolare non viene evidenziato quello che a mio parere lelemento pi rilevante del decretum, ossia che unarea riservata ad una divinit non viene dai ponteci denita locus sacer bens locus publicus; e a RANDAZZO 2004. 167 Fuorviante DE VISSCHER 1963, p. 361, secon- do cui la consultazione dei ponteci fu occasionata 1032 M. Fiorentini Sc. Ant. polato la norma per gli scopi che si era presso, ossia ledicazione del tempio, ottenuta con una interpretazione creativa e libera, e francamente un po spregiudicata della legge. Ma forse possibile unaltra spiegazione che non coinvolga lonorabilit interpretativa dei ponteci. A ben vedere, lincardinamento della decisione ponticale nella norma decemvirale non contenuto nel decreto ma opera di Cicerone. Pu darsi quindi che i ponteci avessero semplicemente deciso che, essendo uscita dal terreno, in forma di lamina iscritta, la prova che larea era stata un tempo consacrata ad Honos, conformemente a quanto era tramandato dalla memoria pubblica, i sepolcri dovessero essere rimossi. Per qualche motivo che non sono in grado di afferrare, Cicerone avrebbe collegato il decreto al divieto di seppellimento in Urbe. E questa osservazione ci introduce al secondo problema posto dal decreto ponticale, che attiene alla qualicazione del luogo. Noi, con le categorie elaborate dalla scienza giuridica classica in materia di classicazione delle res, ci aspetteremmo che un luogo in cui sorge un edicio sacro fosse denito locus sacer. Invece i ponteci non cos lo deniscono, ma publicus. Una qualicazione che appare abba- stanza sorprendente, e che non mi pare giusticabile con una presunta seriorit dellenuclea- zione della nozione di locus sacer rispetto alla pronuncia ponticale, bench non sia ben nota la data della dedicazione della aedes Honoris extra portam Collinam, che tuttavia viene collocata da Coarelli nel corso del III secolo a.C. 168 . Il nucleo della pronuncia ponticale dunque costituito dalla massima locum publicum non potuisse privata religione obligari. Sulla qualicazione del locus mi soffermer pi tardi. Per ora ritengo utile confrontare la massima ponticale con i pi tardi materiali giurispruden- ziali relativi alle res sacrae. Mi riferisco in particolare ad un testo di Marciano, giurista attivo nella tarda et severiana, contenuto in D. 1, 8, 6, 3. Mettiamo i due testi a confronto: Cic., de leg., 2, 58: Sed <ut> in urbe sepeliri lex vetat, sic decretum a ponticum collegio, non esse ius in loco publico eri sepulcrum Statuit enim collegium locum publicum non potuisse privata religione obligari. Marcian., 3 inst., D. 1, 8, 6, 3: Sacrae autem res sunt hae, quae publice consecratae sunt, non private: si quis ergo privatim sibi sacrum constituerit, sacrum non est, sed profanum. semel autem aede sacra facta etiam diruto aedicio locus sacer manet. nota 51. PLATNER - ASHBY 1929 la denirono solo ar- chaic inscription senza ulteriori approfondimenti, ma anchessi datarono ledicazione del tempio nel corso del III secolo a.C. Un problema che lascio agli arche- ologi larmonizzazione di questa testimonianza let- teraria con le risultanze di un recente scavo effettuato in Via Goito, che ha restituito tre tombe di et repub- blicana obliterate, secondo gli scavatori, nel corso del II secolo a.C. Il luogo di queste tombe molto vicino a quello pi o meno individuabile dal passo ciceronia- no. Sullo scavo cfr. la relazione preliminare di MENGHI et al. 2006, pp. 1 ss. 168 SCICHILONE 1961, p. 54; RICHARDSON JR. 1992, s.v. Honos, Aedes, pp. 189 ss. (ma riporta in modo errato liscrizione menzionata da Cicerone, come Domina Honoris, secondo la lettura di Hlsen, che riteneva il secondo lamina, presente nel testo, cor- ruzione di Domina; ma la lettura esatta fu accertata da Vahlen); PALOMBI 1996, p. 30 s. Com noto il ter- minus ante quem della aedes Honoris extra portam Collinam fornito da CIL, 1 2 , 31=6, 3692, Bicoleio V(ibi) l(ibertus) Honore / donom dedet mereto, varia- mente datata: la datazione pi alta stata proposta, proprio al III secolo a.C., da COARELLI 1972, p. 56, 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1033 Marciano, discutendo della categoria delle res sacrae, enuncia due regole: a) appartiene alla categoria delle res sacrae solo quanto sia stato sottoposto ad un ceri- moniale pubblico, identicato da Marciano nella consecratio 169 ; quanto sia stato consacrato privatamente non res sacra; b) il locus, una volta che sia stato consacrato, rimane tale anche se ledicio sacro costrui- tovi sopra sia andato distrutto: semel autem aede sacra facta etiam diruto aedicio locus sacer manet. difcile sottrarsi allanalogia tra la regula iuris enunciata da Marciano e la situazione che diede origine alla pronuncia ponticale ricordata da Cicerone (de leg., 2, 58). Se infatti questultima, esplicitamente, non si esprime sul rapporto tra il locus e la costruzione privata che lo abbia in sguito occupato, la regola enunciata nel III secolo d.C. da Marciano la contiene ne- cessariamente: uno spazio attribuito alla divinit non pu mai pi essere restituito ai rapporti negoziali privati, a meno che il suo carattere di locus sacer non venga rimosso con opportune cerimonie. Ci implica che, se anche un privato occupasse larea sacra, questa non potrebbe divenire di sua propriet con lusucapione perch, come afferma Gaio, giurista di et antonina (4 ad ed. provinc., D. 41, 3, 9): Usucapionem recipiunt maxime res corporales, exceptis rebus sacris, sanctis, publicis populi Romani et civitatium, item liberis hominibus. Le cose sottratte al commercium privato non possono essere mai oggetto di usucapione. La situazione dellarea immediatamente esterna alla porta Collina era leggermente diversa perch, non sorgendovi attualmente alcun edicio sacro, era stata occupata da un altro genere di cose sottratte al commercium, le sepolture (ossia res religiosae). Il collegio ponticale le rac- chiude in una qualica particolare, quella della privata religio. Per i giuristi i luoghi attribuiti alla privata religio dei sepolcri erano comunque, al pari delle res sacrae e di quelle sanctae, cose extra commercium e anche extra patrimonium, sottoposte quindi allo stesso regime di sottra- zione ai rapporti negoziali privati. I ponteci, invece, dovevano risolvere un problema diverso, ossia a quale situazione attribuire priorit, tra le res religiosae e le sacrae: e risolsero il dilemma costruendo una diversicazione tra la privata religio collegata ai sepolcri e la natura opposta rivestita dallarea sacra. Credo che sia per questo motivo che questultima viene denita locus publicus: per sottolineare la differenziazione tra una destinazione comunque privata, quella della privata religio afferente ai sepolcri ed alla celebrazione dei riti funerari, per loro natura racchiusi nella sfera privata, in onore dei parenti defunti, e la destinazione pubblica, ossia rivol- ta alla collettivit dei cives, propria di uno spazio dedicato a una divinit. 7. Conclusioni Come abbiamo potuto vedere dalla rapida rassegna qui effettuata, a Roma il culto gentilizio non si identica mai col culto degli antenati: esso sempre culto di divinit, a volte del tutto peculiari a singole gentes (come il triens dei Servilii), talora uguali a quelle pubbli- che, tanto che lidentit del culto si estende a quella del rito, come avviene per i Claudii, che sa- tra queste due formalit solenni variarono nel tempo: FIORENTINI 1988, pp. 327 ss., con discussione dei testi fondamentali in materia, di Cicerone (de dom., 127) in confronto a Livio (9, 46, 7); TATUM 1993. 169 Questa regola risponde ai profondi muta- menti procedurali intervenuti col Principato: in et repubblicana la sola consecratio sarebbe stata insuf- ciente a fondare la natura di locus sacer, in quanto era necessario un ulteriore atto, la dedicatio. I rapporti 1034 M. Fiorentini Sc. Ant. cricano a Saturno allo stesso modo dei sacerdoti pubblici, cio capite aperto; ma si tratta sempre di rituali propri, talora svolti in luoghi distinti e peculiari della gens (come forse vale per i Fabii al Quirinale), talaltra in luoghi di culto aperti ad una molteplicit di gentes, come avviene nel sacel- lum Dianae del Celicolo nel I secolo a.C., su cui ci informa Cicerone (de har. resp., 32). I culti funerari, invece, rimandano ad una diversa sfera: quella delle parentationes, delle cerimonie annuali di celebrazione degli agnati defunti. Chiaramente esse hanno sempre avuto lo scopo di onorare il defunto: addirittura si potrebbe risalire agli stessi albori della civilt latina, se fossero esatte le interpretazioni delle gurazioni presenti sulle pareti di alcune urne a capanna villanoviane, che sembrano rappresentare personaggi che danzano in vario modo intorno al defunto, o seduti al banchetto funebre 170 . Questi rituali non sono sacra gentilicia ma privatae feriae, come risulta evidente dalle classicazioni tardorepubblicane che abbiamo esaminato allinizio: in quella probabilmente di Capitone conuita in Festo (publica sacra, 284 L.), i sacra gentilicia sono deniti sacra pro gentibus e non comprendono i riti funerari che, in un altro lemma festino (privatae feriae, 282 L.), sono classicati tra le privatae feriae 171 . Sotto questo aspetto la connotazione gentilizia del culto funerario si lascia cogliere solo riguardo alla celebrazione del nomen che, come noto, uno degli elementi qualicanti la solidariet gentilizia, secondo la visuale, ormai pesantemente appannata, che della gens avevano gli esperti tardorepubblicani 172 . Le fonti sui culti e sui sepolcri gentilizi, che ho cos cursoriamente citato, ci mostrano una capillare occupazione del suolo da parte dei nuclei gentilizi. Molte delle manifestazioni della vita gentilizia allinterno dellurbe sono funzionali allostentazione della potenza genti- lizia: penso alla descrizione polibiana del funerale aristocratico, ancora nel II secolo a.C., con gli antenati che accompagnano il defunto al sepolcro, in persona dei familiari travisati con le maschere funebri degli avi 173 : una gloricazione tragica della potenza gentilizia, secondo il grande affresco tracciato da Santo Mazzarino nel suo Pensiero storico classico, ma anche una trasposizione funeraria della celebrazione del trionfo, secondo la geniale interpretazione di Angelo Brelich 174 . Ma questa ormai la nobilitas patrizio-plebea nata dal compromesso del 367 a.C., i cui riti funerari Polibio nalizzava alla deisidaimona suscitata da questi spettacoli nella plebe, e non so quanto ci possa dire dei rituali funebri delle gentes arcaiche: forse lanalisi dei sepolcreti e delle rafgurazioni sui cinerari ci pu orientare pi di quanto non facciano le fonti scritte. gulis hominibus, familiis, gentibus unt. Fest., priva- tae feriae, 282 L.: Privatae feriae vocantur sacrorum propriorum, velut dies natales, operationis, denecales. Su questi testi cfr. supra, pp. 994 ss. 172 Cfr. le due denizioni di Cicerone (Top., 29) e di L. Cincio trasmessa da Festo (gentilis, 83 L.), esa- minate supra, pp. 987 ss. 173 Del tutto condivisibile, sul punto AMPOLO 1980, pp. 186 ss. 174 Risp. MAZZARINO 1972; BRELICH 1938, pp. 189 ss. 170 JANNOT 2002, pp. 3 ss. LA. ipotizza che queste immagini di danze rappresentassero rituali di eroizzazione del defunto. Se ci fosse vero, avremmo gi in et villanoviana limmagine visiva di una prima differenziazione sociale, non legata a disparit di ran- go ma di funzione allinterno del gruppo. Sulle gure sedute delle urne villanoviane, MENICHETTI 1994, pp. 28 ss.; TORELLI 1996=1997. 171 Fest., publica sacra, 284 L.: publica sacra, quae publico sumptu pro populo unt, quaeque pro montibus, pagis, curis, sacellis; at privata, quae pro sin- 14, 2007-2008 Culti gentilizi, culti degli antenati 1035 Lautonomia cultuale delle gentes in et arcaica e repubblicana non si scontra, ma si integra nella struttura cittadina, della quale esse erano la spina dorsale; e il punto di mediazione tra le due strutture costituito dalle curie. Nella classicazione tardorepubblicana trasmessa da Fe- sto e attribuita a Capitone (publica sacra, 284 L.) i culti delle curie sono qualicati sacra publica, confermando la natura pubblica di questa partizione cittadina; ma i culti delle gentes, le quali costituiscono lossatura (bench non lunica componente) delle curie, sono esclusi dai culti pubblici. Allora, sul piano del culto, i gentiles assumono una duplice sionomia: come membri delle curie partecipano ai riti comuni (Fornacalia e Fordicidia) che, essendo feriae conceptivae, ogni curia celebra in una data particolare (e questo pare dimostrare loriginaria indipendenza delle curie tra loro); in quanto membri delle gentes celebrano riti propri, che rimangono circo- scritti e riservati ai cogentiles. Da questo punto di vista si pu dire che il culto gentilizio sia un aspetto particolare di quel processo di ascesa sociale che consente ad alcuni gruppi di differen- ziarsi dal resto della comunit curiale: il gruppo inizia a distanziarsi socialmente dai curiales, con cui comunque continua a intrattenere i rapporti sociali e di culto: parallelamente a questo processo di affermazione di rango avviene un processo di autonomizzazione del culto, che rende ancora pi riconoscibile il ruolo autonomo che la gens ha acquisito. con lampliamento dellaristocrazia ad opera dei Tarquini prima, e poi con lingresso della plebe nel centro del potere politico che la civitas cessa di essere la somma di solidariet gentilizie rappresentata dalle curie, per diventare qualcosa di pi complesso, per la necessit di mediare tra le gentes e le esigenze di soggetti privi della struttura gentilizia (plebeii gentem non habent). Riferimenti bibliograci ALBANESE 1969: B. 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Such analysis may help to solve open questions about the problems of sacred urban space, relationships between pomerium and Urbs and the various ways of urban space occupation.