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Fisco e Diritto

Cassazione, sez. Tributaria 16 ottobre


2009, sentenza n. 21973

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IL CONCORDATO SALVA ANCHE I VECCHI REATI (CASSAZIONE N. 21973 DEL
16 OTTOBRE 2009)

Nessun problema per il concordato fiscale in quanto l’accertamento con adesione rimane valido
anche quando il Fisco viene a conoscenza, in un secondo tempo, del reato fiscale posto a carico del
contribuente. Per la Cassazione, infatti, “la disciplina dell’accertamento con adesione del
contribuente introdotta dal DLGS 19 Giugno 1997, n. 218, che ha esteso l’applicabilità
dell’istituto, segnatamente per non aver più previsto cause ostative discendenti da fatti a rilevanza
penale, si applica anche alla rettifica delle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994”
ovvero quelle definibili in base al DL 564/94 con il concordato di massa e “conseguente
inoperatività delle cause di esclusione o di inammissibilità per fatti a rilevanza penale”. Per la
Cassazione, in particolare, l’art. 2 del DLGS 218/97, prevedendo l’applicazione della nuova
disciplina ha altresì inteso riferirsi “a tutte le pendenze rientranti nell’indicata categoria a
prescindere dal fatto di essere state o meno definite”.

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Cassazione, sez. Tributaria 16 ottobre 2009, sentenza n. 21973

Svolgimento del processo

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'agenzia delle Entrate propongono ricorso per
cassazione nei confronti della [...] (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza n.
94/37/2002, depositata il 31-01-03, con la quale, in controversia concernente impugnazione di
avvisi di rettifica IVA per gli anni 1991 e 1992, la CT.R. Lazio rigettava l'appello proposto
dall'Ufficio e confermava la sentenza di primo grado (che riuniti i ricorsi proposti avverso i due
avvisi e ritenuto ammissibile l'accertamento con adesione definito dalla società a mezzo di
autocertificazione, aveva dichiarato estinto il giudizio per cessazione della materia del contendere),
rilevando che le proposte di concordato effettuate dall'Ufficio II.DD. per gli anni in questione, alle
quali la parte privata aveva aderito, erano definitive e perciò non modificabili sulla base di fatti di
rilevanza penale non conosciuti al momento della proposta dell'Ufficio, anzi esclusi dalla
informativa della G.d.F., che aveva segnalato fatti di rilevanza penale solo con riguardo al 1993.

Motivi della decisione

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dogli artt. 115 e 116 c.p.c, oltre che
vizio di motivazione in relazione all'omesso esame di documenti decisivi, i ricorrenti rilevano che
l'Ufficio aveva impugnato la sentenza di primo grado allegando che la G.d.F, aveva segnalato le
condotte penalmente rilevanti per gli anni 1931, 1992 e 1993 (non solo per il 1903) e che tali
deduzioni in fatto, corroborate da documentazione in atti, non furono mai contestate dalla
controparte. I ricorrenti inoltre rilevavano che i giudici d'appello non avevano considerato che il
verbale di costatazione, al foglio 47, attestava, in relazione al 1991, che "i fatti di cui sopra sono
stati a suo tempo rapportati all'autorità giudiziaria competente" e, ai fogli 92 e 103, faceva analoga
dichiarazione con riguardo al 9992,ripetendo la stessa attestazione in relazione a tutti gli anni
oggetto di verifica. Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2 bis
e 3 d.l. 564/94 conv. in l. 656/94 e successiva modifica, i ricorrenti rilevano che, dalla
documentazione citata nel precedente motivo, risultava che la G.d.F., fin dal 23-2-1994, aveva
comunicato all'A.G. di aver redatto a carico della società informative di reato per gli anni in
questione e pertanto i giudici d'appello avrebbero dovuto ritenere legittime le rettifiche operate
dall'Ufficio - che aveva negato la definizione - posto che, a norma art. 2 bis comma 2 d.l. 564/94,
come modificato dal d.l. 345/94, la definizione non è ammessa quando, sulla base di elementi, dati e
notizie in possesso dell'Ufficio, è configurabile l'obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e
"quando per i medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto all'autorità giudiziaria o risulta
essere stata avviata l'azione penale". Rilevano inoltre i ricorrenti che l'Ufficio, in data 8-3-96, con la
consegna del p.v.c. della G.d.F, era venuto a conoscenza di elementi ostativi all'adesione e che a
tale data la società aveva provveduto sola al versamento della prima rata, dovendosi ritenere che la
conoscenza da parte dell'ufficio di elementi ostativi all’adesione nel periodo anteriore all’integrale
pagamento sia causa di inammissibilità dell'adesione, avendo l'Amministrazione il dovere di
revocare l'accertamento con adesione qualora venga a conoscenza di elementi relativi ad illeciti
penali tributari, anche se il contribuente abbia aderito alla proposta effettuando integralmente il
relativo pagamento. Le censure esposte nel secondo motivo di ricorso, da esaminare in via
preliminare per ragioni di ordine logico, sono infondate. L'art. 2-bis del d.l. 564/1994, come
convertito dalla legge 564/1994, ha introdotto l'accertamento con adesione (c.d. a regime) per le
imposte sul reddito e sul valore aggiunto, in particolare stabilendo che:

a) "la definizione non è ammessa quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza
dell'Ufficio, è configurabile l’obbligo di denunzia" per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 del d.l.
429/1982 - come convertito dalla legge 516/1982 -nonché quando "per i medesimi reati risulta
essere stato presentato l'apporto dalla Guardia di finanza o risulta essere stata avviata l'azione
penale";
b) "la definizione si perfeziona con il pagamento delle maggiori somme dovute per effetto
dell'adesione";
c) "l’accertamento con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile
da parte dell'ufficio;
d) esso, infine, "non rileva ai fini penali ed extratributari".

Il successivo art. 3 dello stesso decreto, nel disciplinare l'accertamento con adesione del
contribuente per gli anni pregressi (cd. concordato di massa), dichiara applicabili, "alle
dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994", la "definizione di cui all'art. 2-bis", in relazione
alla quale il regolamento di esecuzione - reso col D.P.R. 177/1955 - espressamente ribadisce (art. 8,
comma 1) che "l'accertamento con adesione non è revocabile ne soggetto ad impugnazione e non è
integrabile o modificabile da parte dell'ufficio”. Successivamente, il D.Lgs. 218/1997, nel
rimodulare la disciplina dell'accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, ha ribadito,
in via di principio (art. 2, comma 3, primo periodo), che "l’accertamento definito con adesione non
è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio".

La nuova disciplina si segnala, in particolare;

a) per non avere più previsto cause ostative, discendenti da fatti a rilevanza penale, stabilendo (art,
17, comma l, lett. b), l'abrogazione degli artt. 2-bis e 2-ter del d.l. 564/1996, come convertito dalla
legge 656/1994, ed, espressamente, di tutte le disposizioni con esso incompatibili (art. 17 cit.,
comma 2)
b) per avere rafforzato il carattere "premiale" dell’istituto, stabilendo (art. 2, comma 3, secondo
periodo) che "la definizione esclude, anche con effetto retroattivo, in deroga all'articolo 20 della
legge 7 gennaio 1929, n. 4, la punibilità per i reati previsti nel decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, limitatamente ai fatti oggetto
dell'accertamento; la definizione non esclude comunque la punibilità per i reati di cui agli articoli 2,
comma 3, e 4 del medesimo decreto-legge".
Tanto premesso, le SU di questa Corte, nel risolvere (con sentenza n. 14697 del 2005) il contrasto
manifestatosi nella giurisprudenza della Sezione tributaria riguardante innanzitutto la "revocabilità"
dell’accertamento con adesione ormai perfezionatosi, in presenza di cause ostative di rilievo penale,
hanno rilavato che la soluzione da seguire, sotto il vigore della precedente disciplina, era quella
della revocabilità, dovendosi necessariamente coordinare il criterio della "irrevocabilità", proprio di
ogni normativa premiale tributaria, con i principi dell’autotutela, evidenziando tuttavia che per la
soluzione della questione proposta non poteva prescindersi da eventuali interferenze della disciplina
sopravvenuta col D.Lgs. 218/1997. In particolare, con riguardo all'ulteriore contrasto
giurisprudenziale riscontratosi con specifico riguardo al concordato di massa (ossia riguardante,
come nella specie l’accertamento con adesione per anni pregressi) le SU, traendo argomenti in
senso contrario alla interpretazione restrittiva anche dalla sentenza della Corte Cost. n. 452 del
1997, hanno concluso che l'art, 2, comma 6, del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (in rigore dal 1
agosto 1997) comporta l'applicabilità dalla nuova disciplina anche alle dichiarazioni presentate
"entro il 30 settembre 1994", con la conseguenza che non sono più operative le cause di esclusione
o di inammissibilità richiamate dall'art. 3 del d.l 564/1994 - come convertito dalla legge 656/1993 -
attraverso l'art. 2-bis, abrogato. A tali conclusioni le SU sono giunte anche considerando che il
comma 3, secondo periodo, dello stesso art. 2 D.Lqs. citato esclude la punibilità per alcuni reati
previsti dal d.l. 429/1982 – come convertito dalla legge 516/1982 - espressamente "con effetto
retroattivo", in deroga al principio di ultrattività e che ogni esclusione dal beneficio, ancor più in via
di autotutela, risulterebbe irragionevole, parche resa con valutazione ex ante (in relazione
all'obbligo di denunzia in capo all'ufficio, alla presentazione di rapporto della Guardia di finanza, e
di solo inizio dell'unione penale), e non più rimediabile in caso di verificata insussistenza dei fatti
contestati, che avrebbero dovuto costituire materia dell'accertamento con adesione.

Alla luce di quanto sopraesposto il motivo in esame; deve essere rigettato, con assorbimento del
primo motivo, in quanto riguardante vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione di
fatti rilevanti solo in relazione alla interpretazione della disciplina in esame proposta nella censura
sopra esaminata e ritenuta infondata. Considerata la sussistenza di una articolata serie di contrasti e
la pubblicazione della decisione delle SU solo pochi giorni prima della consegna del presente
ricorso all'ufficiale giudiziario, si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio di
legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

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