Il contratto di lavoro quale manifestazione dellautonomia privata,e quindi di autoregolamentazione
degli interessi delle parti , ha una sua peculiare rilevanza allinterno della disciplina per la sua attitudine creativa,modificativa ed estintiva del rapporto . Anche nel contratto di lavoro riveste particolare importanza il principio dell autonomia individuale,nel concetto di libert delle parti di addivenire alla stipulazione di qualsiasi contratto,purch diretto alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela . E comunque fatto noto la centralit dellincontro di volont delle parti nellesercizio dellautonomia contrattuale delle stesse . E altres chiaro che,la posizione delle parti nel contratto di lavoro non quella tipica del contatto in genere che, pur creando normalmente una delimitazione alla sfera di libert e vincoli di comportamento ,postula pur sempre una posizione di parit tra le parti contraenti. Nel contratto di lavoro, infatti, il vincolo obbligatorio che viene a costituirsi tra le parti assoggetta istituzionalmente il lavoratore alle iniziative dellaltra parte alla quale dovuta obbedienza, fedelt, disciplina , in definitiva cio, subordinazione di libert che legittima gli atti dispositivi del datore di lavoro . Traendo spunto da questa peculiare caratteristica della prestazione di lavoro subordinato si dubitato da taluno che lo strumento contrattuale possa ritenersi adeguato alla concreta posizione delle parti nel rapporto di lavoro ; pur riconoscendo linnegabile valore delle motivazioni di questa opinione, peraltro, non pu non ritenersi che il contratto costituisca tuttora lo schema pi idoneo, sul piano della certezza, a descrivere compiutamente il rapporto che si instaura tra imprenditore e lavoratore . La proiezione contrattuale del rapporto di lavoro non impedisce, infatti, che il principio di uguaglianza delle parti nel rapporto obbligatorio debba subire particolari adattamenti in rapporto al contratto di lavoro, in considerazione, soprattutto, della peculiare posizione delle parti nei confronti delleventuale esercizio del potere di recesso unilaterale del contratto, a norma dellart.2118 c.c. E soprattutto in relazione a questo aspetto che,seppure comune a tutti i contratti di durata, presenta pregnante rilievo nel contratto di lavoro, in considerazione delle sue profonde implicazioni sociali, che si imposta lurgenza di adeguare lastratto principio di uguaglianza alla concreta realt,rimarcandosi come,ancorch inserita in un contesto contrattuale, la posizione delle parti non si trova pi in una situazione di parit. e ci nella linea di tendenza a favorire il lavoratore che sostanzialmente si sarebbe trovato in posizione deteriore rispetto alla supremazia gerarchica cui soggetto nellimpresa . La pi attenta dottrina, del resto, gi da tempo aveva chiarito come anche se luguaglianza giuridica dei soggetti del contratto costituisce presupposto della qualificazione contrattuale , ci non esclude che in molteplici rapporti si possa peraltro configurare una situazione di disuguaglianza sostanziale,tra le parti contraenti, il cui superamento, mediante eventuali interventi legislativi, non incide peraltro sullessenza contrattuale del rapporto. Nel rapporto di lavoro,come si gi accennato, alla originaria esigenza di mantenere ad entrambe le parti la libert di recedere dal contratto si sostituita laltra di realizzare, sul piano sostanziale, il rispetto dei valori della persona umana . Principio generale del diritto del lavoro la tutela del contraente economicamente pi debole nel contratto individuale di lavoro . La tutela della effettiva libert ed uguaglianza delle parti formalizzata dallart.3 della Costituzione il cui principio guida, che impone al legislatore di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per dare alle parti pari dignit sociale, costituisce in effetti lo spirito del diritto del lavoro . Altre nome costituzionali pongono al centro la questione del lavoratore,considerato come contraente debole,basti vedere gli artt. 4,36,38. Ma, indipendentemente dai ricordati principi costituzionali, la situazione di debolezza contrattuale del prestatore di lavoro ha trovato ulteriore riconoscimento, sul piano normativo, nel disposto dell art. 2113 c.c. . Secondo il disposto legislativo il lavoratore pu liberamente rinunciare ai diritti pattuiti con il datore di lavoro nel proprio contratto individuale, purch tali diritti non derivino da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi. Tuttavia non sempre il lavoratore a conoscenza di queste disposizioni inderogabili; in questo senso la legge interviene a sua tutela prevedendo che, qualora ci avvenga, il lavoratore possa impugnare latto di rinuncia.Ci tuttavia possibile, ai sensi dellart. 2113 c.c. e a pena di decadenza, proponendone impugnazione entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, se la sottoscrizione avvenuta in costanza di rapporto, o entro sei mesi dalla sottoscrizione, se successiva alla risoluzione del rapporto di lavoro.Tale impugnazione pu essere effettuata con qualsiasi mezzo e senza luso di formule specifiche, dovendo semplicemente contenere unesplicita manifestazione della volont di revocare il consenso prestato alla rinuncia del proprio diritto. La dichiarazione rilasciata dal lavoratore, che d atto di aver ricevuto una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non aver nullaltro a pretendere dal proprio datore di lavoro, viene chiamata quietanza a saldo o liberatoria.La stessa costituisce una semplice manifestazione del convincimento dellinteressato di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti.Tale dichiarazione, risolvendosi in un giudizio soggettivo, concreta una mera dichiarazione di scienza priva di ogni efficacia negoziale e non preclusiva, in caso di errore, della possibilit di agire per il riconoscimento dei diritti che successivamente risultino insoddisfatti. La quietanza a saldo pu assumere il valore di rinuncia o transazione, con lonere per il lavoratore di impugnare nei termini di cui allart. 2113 c.c. , unicamente alla condizione che risulti accertato, sulla base dellinterpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili altrimenti, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di rinunciarvi o di transigere sui medesimi . E ben vero che la protezione cos accordata pu essere vanificata dallinerzia del prestatore di lavoro che pu far decorrere inutilmente il termine di sei mesi previsto dal citato at. 2113 c.c., ma in tal caso la perdita dei diritti si verifica per la incorsa decadenza della relativa impugnazione . In sostanza, quindi, la c.d. tutela coattiva del lavoratore si realizza sul piano generale, per la necessit, sentita dal legislatore, di impedire la dismissione dei diritti del prestatore di lavoro, incidendo sulla sua stessa volont . Su un piano pi generale, poi, la tutela del contraente pi debole stata realizzata soprattutto con la normativa di garanzia del posto di lavoro attuata con la legge 15 luglio 1966 n. 604 e con lart. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 che ha eliminato, almeno in parte e nei limiti di applicabilit delle norme anzidette, quella posizione di disuguaglianza lasciata aperta dallart. 2118 c.c. Il principio di conservazione del contratto ha consentito di sviluppare un'ulteriore tutela del contraente pi debole allorquando, in presenza di una impossibilit sopravvenuta della prestazione dovuta a cause specifiche ed obbiettive,si prevista appunto la sospensione del rapporto. Il principio della sostituzione di diritto delle clausole difformi del contratto individuale, gi previsto nella norma generale dell'art.2077 c.c. E ribadito nella norma speciale dell' art.7 della legge 14 luglio 1959,n.741, trova anch'esso la sua ratio nel quadro della normativa di tutela del lavoratore quale contraente pi debole. Vi , d'altro canto, da ricordare l'importanza della c.d. Legislazione sociale,la cui continua evoluzione testimonia l'attenzione e lo spazio riservato dal legislatore in materia, al fine di assicurare la necessaria protezione a favore di determinati soggetti che troverebbero altrimenti in posizione di disequilibrio. Non pu infine non rilevarsi, anche in risposta all'opinione di chi dubita che le norme di tutela del contraente pi debole siano tali da rimuovere la disparit di fatto tra datore di lavoro e lavoratore, la incisiva e conclusiva importanza che rivestono alcuni recenti interventi normativi, quali il divieto di discriminazione di cui all'art. 15 dello Statuto dei lavoratori e le altre norme di tutela della libert e della personalit del lavoratore ivi contenute, nonch la particolare protezione accordata sul piano sostanziale (dagli artt. 2751 bis ss. c.c. , cos sostituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 426) e procedurale ( dagli artt. 423, 429 e 431 legge 11 agosto 1973, n. 533) dei crediti, e il divieto, infine, di discriminazione per ragioni di sesso (legge 9 dicembre 1977, n.903): norme tutte incentrate sulla tutela del Favor lavoratoris . Tuttavia la realizzazione completa del rapporto lavorativo trova il suo efficace completamento in occasione dello svolgimento di patologie che affliggono il sistema. Il concetto di processo del lavoro si instaura in questo contesto di tutela fra il contraente debole e il datore di lavoro, onde evitare gli abusi del contraente forte in costanza di rapporto senza possibilit da parte del lavoratore di poter reagire. Il nostro ordinamento ha sempre riconosciuto alle controversie in materia di lavoro una disciplina a se stante. La legge 295/1893 aveva istituito un "collegio di probiviri" x la risoluzione delle vertenze fra datori e lavoratori nelle imprese industriali. I collegi dei probiviri erano organi paritetici, i cui componenti erano nominati dagli industriali e dagli operai. Con l'avvento del regime fascista le commissioni paritetiche furono abolite e le controversie ritornarono di competenza del giudice ordinario. La l. 3 aprile 1926 n. 563 istitu la magistratura del lavoro (composta da 3 magistrati + 2 cittadini) competente su tutte le controversie relative alla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro: essa decideva: - sia sull'applicazione dei contratti collettivi, - sia sulle richieste di nuove condizioni di lavoro. Con il r. d. 26.2.28 n. 471 sono soppressi i collegi probivirali, disponendosi che siano di competenza del Pretore o del Tribunale,le controversie gi devolute ai precedenti organismi,con ci riportando all'autorit giudiziaria ordinaria le relative vertenze e, infine, ogni altra controversia individuale derivante da rapporti soggetti a contr. coll. di lav. Un periodo di involuzione si ebbe col vigente c.p.c. del 1942 in cui vennero alla luce i difetti del rito del lavoro che venne disciplinato secondo le norme del processo comune. Con il codice civile del 1942 si conclude il processo di tipizzazione del rapporto di lavoro subordinato e della relativa disciplina speciale. Alla subordinazione affidata la funzione di contraddistinguere il rapporto tipico oggetto della disciplina speciale di quel diritto. In particolare subordinata, ex art 2094 c.c., la prestazione che si svolge nell'organizzazione del datore di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dello stesso. In quest'articolo il codice disciplina un rapporto che a caratteristiche anomale data la posizione di supremazia di una della parti. La subordinazione deve consentire non solo la precisa delimitazione della fattispecie tipica rispetto ad altre, aventi pure ad oggetto attivit in senso lato lavorativa, ma anche la riconduzione ad essa dello specifico rapporto da qualificare. Proprio per questo si mira a accertare la natura qualificata ella subordinazione. In questo ambito rientra l'antica distinzione romana tra: - locatio operarum: aveva come oggetto un'attivit lavorativa in quanto tale, avulsa dal risultato perseguito dal creditore con estraneit del debitore rispetto al rischio del risultato. (attivit del lavoro) - locatio operis: specifico risultato di lavoro, consistente nel compimento di un'opera o di un servizio, con conseguente rischio a carico del debitore. (risultato del lavoro) la sentenza n. 115\94 della cassazione pronuncia che neanche la legge pu definire una prestazione di lavoro subordinata o autonoma. incostituzionale la legge che dispone del tipo e qualifica il rapporto. Il soggetto che pu determinare la natura il giudice operando ex post sui fatti. Nel modello ideale di subordinazione esistono sempre determinate caratteristiche peculiari dette INDICI DI SUBORDINAZIONE. Questi indici sono stati enucleati dalla giurisprudenza rispetto alla figura prevalente del lavoratore subordinato. Il modello ideale prevede l'insieme di tutti questi indici che sono: 1) l'inserzione del lavoratore nell'organizzazione predisposta dal datore di lavoro 2) la sottoposizione alle attivit direttive tecniche, al controllo e al potere disciplinare dell'imprenditore 3) l'esclusivit della dipendenza da un solo datore 4) le modalit di retribuzione 5) il vincolo dell'orario lavorativo 6) l'assenza di rischio d'impresa 7) l'alterit dei mezzi (i mezzi di produzione non sono suoi) l'operazione di qualificazione pu solo consistere in un giudizio di approssimazione della fattispecie (metodo tipologico), che sta nella riconduzione al tipo legale delle Il rapporto di lavoro subordinato Diritto del lavoro situazioni concrete in cui presente la parte maggiore o comunque pi significativa delle caratteristiche riscontrabili nel modello socialmente prevalente di lavoratore subordinato visto dal legislatore. Il giudizio di approssimazione comporta si stabilire se, malgrado l'assenza di taluni indici della subordinazione, l'assetto di interessi sotteso al rapporto da qualificare sia da ritenersi + vicino a quello espresso dal tipo di lavoro subordinato piuttosto che ad altri tipi. In questo caso fanno molta leva i poteri del datore di lavoro come quello di controllo. Le difficolt di qualificazione del rapporto hanno favorito l'inserimento tra gli indici, il criterio del NOMEN IURIS eventualmente attribuito dalle parti al rapporto. Come detto dalla cassazione ai fini della qualificazione non si pu prescindere dalla preventiva ricerca della volont delle parti giacch il principio secondo cui ai fini della distinzione in questione necessario aver riguardato l'effettivo contenuto del rapporto stesso indipendentemente dal nomen iuris.
CAPITOLO PRIMO
La ricerca di una corsia preferenziale per i procedimenti aventi ad oggetto i licenziamenti una costante dei progetti di riforma del processo del lavoro 1 , da quando il modello processuale varato nel 1973 si trasformato, nellultimo ventennio, nellesatto contrario di un processo immediato e concentrato. Lidea defficienza sottesa alla differenziazione della tutela introdotta tra accese discussioni dalla l. 11.8.1973, n. 533, era stata concepita nella logica che una tutela processuale che funziona giovi essenzialmente a coloro i cui diritti, se violati, abbisognano dellintervento del giudice, e allopposto che il processo che non funziona avvantaggi chi portatore di una posizione di potere che si realizza da s 2 . E questo tanto pi se i diritti suddetti hanno, come di frequente accade nella materia del lavoro, incidenza sullesistenza delle persone e pure questo accade di frequente - contenuto e funzione non patrimoniale di rango costituzionale. Lefficienza del processo veniva cio considerata quale strumento di effettivit dei diritti 3 . Se,da un lato, la L. 604/'66 segn una prima, significativa svolta con il riconoscere nel Giudice monocratico non soltanto un organo idoneo a gestire controversie anche di notevole valore economico, ma anche il pi adeguato a compiere le complesse e delicate indagini sulla sussistenza della giusta causa o giustificato motivo del recesso, svolta che il successivo Statuto dei lavoratori conferm, attribuendo al Pretore la gestione di quel nuovo ed estremamente incisivo strumento di intervento nella vita aziendale offerto dall'art.28 4 ,dall'altro, alcuni fattori resero in quegli anni ormai indilazionabile l'avvento di una riforma delle controversie individuali di lavoro. Tra questi motivi va segnalata la durata abnorme raggiunta dal processo del lavoro. Infatti, il procedimento di primo grado durava mediamente tre anni: ove si consideri che le controversie di lavoro, nella loro larghissima maggioranza, hanno ad oggetto situazioni sostanziali caratterizzate da un alto grado di deteriorabilit ed irreversibilit e comunque per le quali la rapidit del processo elemento essenziale per la loro effettiva tutela 5 , facile capire perch fosse necessario intervenire per ridurre i tempi del giudizio.
1 Ci si riferisce allelaborato della Commissione Foglia per la riforma del processo del lavoro di cui al D.M. 8 novembre 2006. Per un parallelo tra la riforma e lelaborato della Commissione Foglia, cfr. G.BENASSI,La riforma del mercato del lavoro: modifiche processuali, in Lav. Giur.,2012,8-9,749 ss. 2 Questa e le pagine successive sono tributarie, anche sul piano testuale, di de Angelis, 2012b 3
Cfr. per tutti Proto Pisani, 1973, 206 ss., anche in Id., 1976, 66 ss 4 MONTESANO-VACCARELLA,Manuale di diritto processuale del lavoro, III ed. Napoli, 1996,6. 5 PROTO PISANI,voce Lavoro,controversie individuali in materia di.., in Novissimo dir. it., App., 1983,623. In questa prospettiva, tuttavia, si deve porre in evidenza che non si trattava solo di disciplinare un processo rapido quanto, piuttosto, di situare sul piano tecnico-procedurale la convinzione che le controversie del lavoro sono normalmente caratterizzate dalla disuguaglianza economica e sociale delle parti,che si riflette sullo svolgimento del processo, nel senso che la parte economicamente e socialmente pi debole (la quale normalmente sar il lavoratore), in quanto dotata di minori capacit di resistenza e attesa, subisce dalla lunghezza del processo danni gravissimi, spesso irreparabili (giacch il diritto ad una esistenza libera e dignitosa non bene riparabile per equivalente), e comunque maggiori della parte socialmente ed economicamente pi forte ( la quale normalmente sar il datore di lavoro) che, invece, di regola avvantaggiata dalla durata del processo 6 . Infatti la lunghezza del processo, in sostanza, giovava in maniera duplice per il datore di lavoro, in un processo lungo era pi probabile che il lavoratore fosse indotto a transazioni inique e, in una situazione di inflazione permanente, il datore di lavoro eventualmente condannato poteva pagare in moneta svalutata la somma spettante al lavoratore. Per questo, la riforma attuata con la L. 11.8.1973 n. 533 ha, tra l'altro, introdotto istituti volti a disincentivare l'interesse della parte pi forte alla durata del processo. Si pensi ai meccanismi di cui agli artt. 429,terzo comma ( sulla rivalutazione dei crediti di lavoro), 431, primo e secondo comma ( sulla provvisoria esecutivit della sentenza di primo grado - anzi gi del dispositivo - di condanna a favore del lavoratore). Infatti, il titolo IV del libro II C.P.C. stato sostituito dalla L. n. 533 la quale ha, da un lato, sostituito, dall'altro, abrogato le norme contenute negli articoli da 409 a 473 c.p.c.. la riforma del 1973, di conseguenza alla percezione di come la situazione di disuguaglianza economica si riflette nel processo, introduce dei meccanismi diretti a disincentivare linteresse delle parte economicamente e socialmente pi forte alla durata del processo 7 . Considerata sotto questo aspetto la riforma del processo del lavoro rappresenta un grosso salto qualitativo nella storia della giustizia del lavoro in Italia; doveroso per sottolineare che questa riforma non un punto d'arrivo ma solo un momento di un processo riformatore complessivo della giustizia del lavoro 8 .
6 PROTO PISANI, op.cit., 675. Nello stesso senso, R. GRECO, Lesperienza decennale del processo del lavoro di fronte ai problemi degli anni ottanta, in AA.VV. , Il processo del Lavoro, op.cit.,48. Sullintento essenzialmente sostanzialistico del Legislatore del 73, intenzionato ad attuare una riforma che potesse recepire le peculiarit degli interessi e delle posizioni proprie delle parti del rapporto sostanziale cfr. SANDULLI, La Legge sul nuovo processo del lavoro ( profili di diritto sostanziale), in Dir. Soc., 1974,319. Nello stesso senso cfr. PROTO PISANI, Tutela giurisdizionale differenziata e nuovo processo del lavoro, in Foro it., 1973, I, 205; SMURAGLIA, Interventi legislativi nel settore del lavoro dalla L.n. 604 alla riforma del processo del lavoro e ruolo del sindacato, ivi, 341; GHERA, Interessi collettivi e processo del lavoro, ivi, 353; SIMONESCHI, La riforma della disciplina delle controversie individuali di lavoro nel testo approvato dal Senato, in Foro it., 1973, V, 129; NAPOLETANO, primi orientamenti interpretativi del nuovo processo del lavoro, Napoli, 1973; A. MARTONE, Sul progetto di riforma del processo del lavoro, in dir. Lav., 1971, I, 306; CAPPELLETTI, Una procedura nuova per una nuova giustizia del lavoro, in riv. Giur. Lav.,1971, I , 283; NAPOLI, Alcuni aspetti sostanziali della prevista riforma del processo del lavoro, in Riv. Giur. Lav.,1971,I,343. 7 Il legislatore del 1973 ha avvertito che la disciplina di un processo genericamente rapido non basta, poich il datore di lavoro riuscir sempre a trovare norme da utilizzare a scopo dilatorio o defatigatorio della controparte; e di conseguenza ha cercato di colpire il problema alla radice, introducendo strumenti idonei a rimuovere linteresse del datore di lavoro alla durata del processo e quindi ad eliminare gli effetti dannosi che derivano dagli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libert e leguaglianza dei cittadini. Questi meccanismi di disincentivazione ( nota anche la loro funzione preventiva ed intimidatrice) sono, fondamentalmente, tre: 1) lautomatica rivalutazione del credito di lavoro, indipendentemente dalle prove di danni ulteriori, attraverso la tecnica della sua indicizzazione e per tempo da quando il credito stesso si maturato (art.429, 3 comma c.p.c.): id est, lintegrale ripristino della situazione attiva del lavoratore proprio quale sarebbe stata se linadempimento o il ritardo nelladempimento non ci fosse stato; 2) la possibilit per il giudice di disporre con ordinanza il pagamento delle somme non contestate (art.423, 1comma c.p.c.), che vanifica per il datore di lavoro la possibilit di utilizzare il processo allo scopo di fiaccare le capacit di resistenza del lavoratore onde indurlo ad accettare transazioni inique; 3) la provvisoria esecutivit ope legis della sentenza di primo grado favorevole al lavoratore, che privi il datore di lavoro della possibilit di utilizzare il grado dappello a scopo defatigatorio. 8 Il primo passo da ravvisare nella previsione del procedimento di repressione della condotta antisindacale disciplinato dallart.28 L.20 maggio 1970, n.300, ed i cui necessari passi successivi dovranno essere oltre alla riconduzione del P.I. nellalveo di una giurisdizione effettiva sul rapporto, soprattutto la predisposizione di procedimenti sommari tipici (e non subordinati ad alcuna valutazione di periculum) a tutela di situazioni di vantaggio del lavoratore (quali il diritto alla conservazione del posto di lavoro contro i licenziamenti o trasferimenti illegittimi, il diritto alla salute, in genere tutte le situazioni soggettive a contenuto non patrimoniale, ecc.) che, in quanto necessitano di forme urgenti di tutela che prevengano (o quanto meno impediscano immediatamente la continuazione del) la violazione, non possono essere tutelate adeguatamente attraverso il ricorso al solo Il limite maggiore che presenta la riforma del 1973 dato dal fatto che il nuovo processo del lavoro riuscito a fornire una tutela giurisdizionale adeguata unicamente a quella situazione di vantaggio del lavoratore a contenuto e funzione prevalentemente patrimoniale, che possono essere tutelate adeguatamente attraverso una tecnica di tutela che intervenga dopo che la violazione stata gi preparata; non si presta, invece, a fornire una tutela giurisdizionale adeguata a tutte quelle situazioni soggettive del lavoratore a contenuto e/o funzione prevalentemente o esclusivamente non patrimoniale, quali sono tutte o quasi quelle situazioni soggettive previste dai primi tre titoli della legge n.300/70, che, considerata la loro natura, necessitano di forme di tutela urgente che prevengano o intervengano nell'immediatezza della violazione impedendone immediatamente la continuazione. Per colmare questa lacuna si continuato ad utilizzare il procedimento ex art.28 L.300/70 e in molte ipotesi in cui questo procedimento non applicabile, si continua a fare ricorso a quella forma atipica e insufficiente di tutela cautelare dei provvedimenti d'urgenza ex art.700 9 . Oggi, trascorsi quarant'anni dalla dall'entrata in vigore della L. 533/73,ha potuto constatare i problemi che questa legge ha portato con se, l'enorme crescita del contenzioso, il dilatarsi dei tempi della giustizia,a partire dalla "privatizzazione del rapporto di lavoro dei ferrovieri" che ha aumentato a dismisura le dispute ai sensi dell'art. 2103 per il riconoscimento della qualifica corrispondente alle mansioni superiori svolte e sul computo del compenso da lavoro straordinario 10 . La dottrina 11 pertanto si interrogata sui possibili rimedi. Si sono cos proposte la modifica di alcune e l'introduzione di alte norme processuali ( ad esempio , sull'elevazione del limite di inappellabilit della sentenza, sulla possibilit di ricorrere per saltum in Cassazione, sulle cause serali), accompagnate da miglioramenti dell'organizzazione giudiziaria 12 . Il Legislatore ha riposto la sua fiducia - forse eccessiva se si pensa allo scarso effetto deflativo fino ad oggi ottenuto da questi istituti- su filtri e strumenti alternativi ritenuti in grado di ridurre il contenzioso: si cos introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione, come condizione di procedibilit della domanda giudiziale, e si riformata la disciplina dell'arbitrato. Con l'avvento degli anni '90 poi si profondamente trasformato il quadro della normativa processuale e dell'ordinamento giudiziario. Infatti, un'importante riforma del processo ordinario di cognizione stata avviata con la L. 26.11.1990, n. 353, corretta ed integrata negli anni successivi da ulteriori interventi normativi 13 ; la nuova disciplina determina uninfluenza,talvolta diretta,spesso indiretta, sul rito del lavoro (si pensi agli istituti dell'esecutivit provvisoria di tutte le sentenze di primo grado,agli effetti delle regole sulla connessione, al nuovo giudizio di Cassazione, alle ingiunzioni di pagamento in corso di causa),soprattutto ove si riletta sulla circostanza che la L.533 del 1973 non copre interamente ogni
procedimento ordinario di cognizione (anche se disciplinato nella forma pi snella introdotta dalla L.533/73). Proto Pisani, in AA.VV. , Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, II ediz., 1987, pag.63 ss.. 9 Si veda Proto Pisani, I provvedimenti durgenza ex art.700 c.p.c., Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, cap.VII. 10 Secondo IANNIRUBERTO, La crisi della giustizia del lavoro: riflessioni e proposte minime, n Foro it., 1995,V,131,ss., questa la data che ha segnato il "tracollo" del processo. 11 Tra i numerosi contributi e dibattiti, cfr. le relazioni e gli interventi svolti al convegno di Messina del 28/29.10.1994 su L'abuso del processo del lavoro (per un resoconto s veda, PICCININI,L'abuso del processo del lavoro ,in Giur. Lav. Lazio, 1994,543 ss.); PERA, Bilancio e prospettive del contenzioso del lavoro, n Riv. dir. lav., 1994,I,193 ss.; D'ANTONA, Le trasformazioni del diritto del lavoro e la crisi del processo,in AA.VV. , Modificazioni del diritto del lavoro e crisi della tutela processuale, Atti del Convegno di Milano del 16.3.93, Milano 1994; DE ANGELIS,Il processo del lavoro tra funzionalit e rispetto delle garanzie, in Riv. it.dir. lav., 1994,I,339 ss. Ad avviso di molti l'abuso quasi inevitabile in un sistema nel quale Parlamento, Governo, Corte Costituzionale e Cassazione cambiano troppo spesso la disciplina e/o l'interpretazione degli istituti del diritto del lavoro. Cfr. AA.VV. ,La Giustizia del lavoro: disfunzioni, inefficienze, proposte di rivitalizzazione, n Riv. crit. dir. lav., 2004,475; BORGHESI,il processo del lavoro a trent'anni dalla sua introduzione: com' e come dovrebbe essere, in Lav. pubbl. amm.,204,861,ss.;PERINA,Trent'anni d esperienza nel processo del lavoro - Adeguatezza e criticit nella tutela delle parti, n Rass. giur. lav. Veneto, 2004,2,7 ss.; DE ANGELIS, la giustizia del lavoro tra crisi del processo, iniziative di riforma e specializzazione del giudice mal sopportata, in riv. ita. dir. lav.,203,I,313 ss.; G. CAZZOLA, La giustizia del lavoro in crisi: dal passato un rimedio possibile, in dir. rel. Ind. ,206,379 ss.-) 12 Anche se illusorio date le carenze dell'amministrazione della giustizia, sperare in un cospicuo aumento degli organici. 13 Sul tema, cfr. ALLEVA, Riflessioni sulle misure di deflazione del contenzioso del lavoro pubblico e privato, in Riv. Giur. Lav.,1997,123 ss. aspetto della disciplina delle controversie di lavoro e, dunque, alle norme sul procedimento civile dovr farsi riferimento per tutte le ipotesi non espressamente regolate altrimenti ed in quanto compatibili. Inoltre, il 2 giugno 1999 entrato in vigore il D.Lgs. 19.2.1998, n.51, contenente norme in materia di istituzione del Giudice unico di primo grado,il quale,nel sopprimere le Preture, ha diviso la competenza in primo grado tra Giudice di Pace e tribunale. Quest'ultimo,che il solo competente per le controversie di lavoro ( ai sensi del nuovo art.50-ter c.p.c.), opera per esse in composizione monocratica 14 . Infatti,l'art1 del decreto sul Giudice unico dispone la soppressione dell'ufficio del Pretore fatta salva l'attivit necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti 15 ,mentre gli articoli da 81 a 86 attengono specificamente alle cause di lavoro, prevedendo la sostituzione, di volta in volta,della parola Pretura con il termine Tribunale della parola Pretore con la parola Giudice. Delle controversie si occupa una Sezione Lavoro istituita presso il Tribunale ( cfr. Artt. 11,13 e 36 del decreto). Invece,la fase d'impugnazione si svolge dinanzi alla Corte d'Appello 16 ,in sede collegiale,con una Sezione incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie (art.19). Negli anni Novanta, inoltre, si realizzata quella complessa operazione,che va sotto il nome di privatizzazione del pubblico impiego 17 ,e cio di riconduzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici alla disciplina del Codice civile,delle leggi sul lavoro subordinato nell'impresa,dei contratti collettivi e individuali, nell'ambito di un pi ampio progetto di riforma dell'apparato e dell'azione amministrativa, coinvolgente personale, strutture, procedimenti, controlli 18 . A partire dalla Legge delega 23.10.1992,n. 421, finalizzata al contenimento, alla razionalizzazione ed al controllo della spesa per il settore del pubblico impiego,al miglioramento dell'efficienza e della produttivit,nonch alla sua riorganizzazione (art.2),l'assetto normativo sostanziale e processuale- del pubblico impiego stato rivoluzionato 19 .
14 Cfr.,tuttavia, anche gli artt. 132 e 133 che inducono a constatare come sarebbe stato preferibile dettare una disposizione specifica per le controversie di lavoro data la particolarit del rito, secondo il quale tutto dovrebbe svolgersi in un' unica udienza. 15 Transitoriamente,infatti,l'art.42 prevede che l'ufficio del Pretore mantenuto per la definizione dei procedimenti pendenti alla data di efficacia del recente decreto che proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti. 16 Tuttavia,l'art.2 del D.L. 24.5.1999, n. 145 ( conv. In L. 22.7.1999, n. 234), al fine di alleggerire il carico di lavoro specialistico delle Corti d'Appello, impossibilitate a predisporre in tempi rapidi articolazioni giudiziarie idonee a smaltire un rilevante flusso di cause ( cos la Relazione ministeriale) ha aggiunto, al decreto n.51 del 1998, una nuova disposizione transitoria, l'art. 134-bis, nel quale si prevede che, fino al 31.12.1999,nelle controverse relative a rapporti di lavoro e in quelle di cui all'art.442 c.p.c. Introdotte antecedentemente alla data di efficacia del decreto n. 51 l'appello si propone al Tribunale, che giudica in composizione collegiale. 17 Parte della dottrina,nel rilevare il rischio della semplificazione e dell'approssimazione racchiuso nel termine privatizzazione,considerato fuorviante sul piano culturale e su quello tecnico-giuridico, preferisce parlare di contrattualizzazione per alludere alla relazione, paritaria e antagonistica ( anzich autoritaria e protezionistica) che ora. Cio dopo la rifoma- si instaura tra pubblica amministrazione e singolo dipendente (RUSCIANO,Problemi sulla contrattualizzazione del lavoro pubblico, in Dir. Lav., 1998,,213). In effetti, il termine privatizzazione va inteso in senso non soggettivo,come avvenuto per le imprese precedentemente in mano pubblica e per alcuni enti previdenziali,bens essenzialmente normativo come trasformazione del regime giuridico dei rapporti di lavoro ( DELL'OLIO, voce Privatizzazione,V) Privatizzazione del pubblico impiego, in Enc. Giur. Treccani, Aggiornamenti, Roma, 1999,I.). 18 Sul senso e sui principi della riforma in generale si segnalano,tra i moltissimi contributi apparsi, AA.VV. , Amministrazioni pubbliche e diritto privato del lavoro, in quad. Dir. Lav. rel. Ind., XVI, Torino, 1995; CARINCI, Contratti e rapporto individuale di lavoro premessa,in giorn. Dir. Lav. rel. Ind., 1993; RUSCIANO, Contributo alla lettura della riforma dell'impiego pubblico, in RUSCIANO-ZOPPOLI (a cura d), L'impiego pubblico nel diritto del lavoro, Torino, 1993, XXVIII; PERSIANI, Prime osservazioni sulla nuova disciplina del pubblico impiego, in Dir. Lav., 1993,I,247; TREU, Finalit della riforma, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, commentario diretto da Carinci,I,Milano,1995,11; CARINCI-D'ANTONA (Commentario diretto da) , Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Dal D. Lgs. n. 29/1993 ai D. Lgs. nn. 396/1997 , 80/1998, Milano, 2000; CORPACI-RUSCIANO-ZOPPOLI (a cura di), Amministrazioni pubbliche, lavoro, processo,Milano, 2000. Tra contributi pi recenti,cfr. PERRINO,Il rapporto di lavoro pubblico,Padova,2004; APICELLA-CURCURUTO-SORDI-TENORE,Il pubblico impiego privatizzato nella giurisprudenza,Milano, 2005. 19 Nonostante le fortissime critiche espresse nel parere dell' Ad. Generale del Consiglio di State del 31.8.1992,n. 146 ( Riv. Dir. Lav., 1993,II,43) e l preoccupazioni manifestate dal CSM, comm. Speciale referente per la riforma giudiziaria e l'amministrazione della giustizia, nella risoluzione del 20.12.1995 ( in Foro it., 1996,II,56). Sulla base della legge delega stato emanato il D. Lgs. 3.2.1993 n. 29,seguito da diversi successivi e decreti correttivi, il quale ha modificato il quadro delle fonti e dei loro reciproci apporti sulla disciplina del lavoro pubblico, intaccando il legame tra organizzazione pubblicistica degli uffici e gestione dei rapporti di lavoro, il legislatore ha previsto la devoluzione delle controversie al Giudice Ordinario, con disposizioni che hanno faticato a trovare chiarezza e coerenza 20 . Successivamente con la c.d. Seconda privatizzazione, avviata con la legge delega 15.3.1997,n.59 21 e realizzata dai DD. Lgss. 31.3.1998, n.80 e 29.10.1998, n. 387, il quadro di riferimento s completato: le pubbliche amministrazioni, nella gestione del personale, operano con i poteri dei privati datori di lavoro; rapporti di lavoro sono disciplinati dal codice civile, dalle leggi sul lavoro subordinato nell'impresa, dai contratti collettivi e individuali di lavoro; le controversi relative sono affidate alla giurisdizione del Giudice ordinario, secondo le regole del processo del lavoro 22 . Non va dimenticato che i primi commentatori della riforma del '93, oltre a segnalare le incertezze interpretative ed applicative sollevate dall'originario formulazione del riparto di giurisdizione, avevano criticato la scelta del legislatore di devolvere al Giudice ordinario del lavoro la gran parte delle controversie sul pubblico impiego, senza tener conto dell'impatto dirompente e moltiplicatore 23 che ci avrebbe avuto sulle gi critiche condizioni del processo del lavoro. Gli anni Novanta si chiudono con una fondamentale Legge Costituzionale (23.11.1999, n.2), che inserisce i principi del giusto processo nell' art. 111 della Costituzione: intervento che, secondo la dottrina, funge e funger da chiave interpretativa delle successive novit legislative ed arresti giurisprudenziali 24 .
20 Per quanto concerne la tutela processuale dei diritti nel pubblico impiego, gi attribuita alla giurisdizione amministrativa esclusiva (Tar e Consiglio di stato),s deve ricordare che, nel corso degli anni '80,il legislatore aveva richiamato le disposizioni della L.533/'73 in quanto applicabili per le controversie del personale dell'allora Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale, pur se sottoposti alla giurisdizione del Tar (D.P.R. 24.3.1981, n. 145). Successivamente, la legge quadro sul pubblico impiego ( del 29.3.1983,n.93) aveva previsto una futura organica riforma della giurisdizione amministrativa in materia (art.28: in sede di revisione dell'ordinamento della giustizia amministrativa si provveder all'emanazione di norme che si ispirano, per la tutela giurisdizionale del pubblico impiego, ai principi contenuti nelle L.L. 20.5.1970,n.300 e l. 11.8.1973,n. 533). Pi tardi,la Corte costituzionale,con la sentenza n. 146 del 1987, ha dichiarato illegittime quelle norme del processo amministrativo che non consentivano per le controversie di pubblico impiego l'esperimento dei mezzi istruttori di cui agli artt. 421,secondo e quarto comma,422,424 e 425 c.p.c. . Sui problemi processuali, postisi subito dopo la privatizzazione del pubblico impiego, si rinvia a VERDE, Il nuovo (e futuro) processo nelle controversie del pubblico impiego, in Dir. Proc. Amm., 19932,267; GAROFALO, Osservazioni sul sistema contrattuale e sulla giursdizione, in NACCARI ( a cura di), La riforma del lavoro pubblico, Roma, 1993,121; FERRARO, I problemi di giurisdizione della riforma del pubblico impiego, ivi, 91; BARCHI, La giurisdizione, in GALANTINO (a cura di), Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Padova,1994,323; D'AURIA,Il nuovo pubblico impiego tra giudice ordinario e giudici amministrativi, in CECORA- D'ORTA ( a cura di), La riforma del pubblico impiego,Rimini,1994,115; ALBENZIO, La tutela giurisdizionale,La nuova disciplina sulla giursdizione nelle controversie di pubblico impiego, in Foro it., 1995, IV,50; CORPACI, Quale tutela giurisdizionale per il pubblico impiego? In Riv. giu. Lav.,1996,I,317. 21 Con la quale si delegato il Governo a devolvere,entro il 30 giugno 1998,al Giudice ordinario, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorch concernenti in via incdentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione, prevedendo: misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso, procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato.... ( art.11 lettera g),del quarto comma). 22 Tra i vari commenti cfr. PERONE-SASSANI (a cura di), Processo del lavoro e rapporto alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche,Padova, 1998. Cfr. Altres, DE ANGELIS, La giustizia del lavoro tra pubblico impiego e Giudice unico di primo grado,in Il lav. Nella giur., 1998,3,195. 23 La crescita esponenziale dei ricorsi dinanzi al Giudice ordinario del lavoro. A seguito delle privatizzazioni - dipende da una serie di fattori, quali, ad esempio, i minori costi legali del giudizio ordinario, la diffusa considerazione dell'ex Pretore quale giudice pi vicino alle esigenze dei lavoratori, la rapidit del rito, la nascita di un nuovo contenzioso suscitato dall'applicazione delle norme privatistiche, la diversa e pi vicina distribuzione territoriale degli uffici giudiziari, l'esistenza di importanti precedenti di passaggio di giurisdizione dal Giudice amministrativo al Giudice ordinario che hanno comportato un' esplosione di cause ( Ferrovie e Poste). Se a ci si aggiungono l'attuale struttura, che emerge e si aggrava di anno n anno ( come si evince chiaramente dai dati statistici esistenti sulla situazione della giustizia del lavoro) e il fenomeno sempre pi diffuso dell'emancipazione di leggi poco chiare, tecnicamente imperfette, frammentarie, non suscitano stupore le pessimistiche previsioni diffuse tra studiosi e operatori del diritto. 24 Per la Legislazione,cfr. La L. 1.3.2001,n.63 sul giusto processo e la L. 24.3.2001,n.89 sulla ragionevole durata del processo; per la giurisprudenza lavoristica, cfr. Le sentenze della Cassazione a SS.UU. 20.4.2005 nn.8202 e 8203; 17.6.2004 n. 11353; 23.1.2002, n. 761; in dottrina, da ultimo, cfr. VIDIRI, l'art.111,comma 2, Cost. E le recenti pronunzie della Cassazione sul processo, in Mass. Giur. Lav.,2006,172 ss. Peraltro, come gi accennato, il quadro della normativa processuale e dell'ordinamento giudiziario stato oggetto, negli ultimi tempi, di una profonda rivisitazione e l'esame dei recenti interventi sembra confermare proprio l'auspicio, gi formulato nelle pagine precedenti, che il Legislatore tenda volutamente ad una sempre pi marcata assimilazione del processo ordinario a quello del lavoro, con l'obbiettivo di rispondere in modo adeguato alle imprescindibili esigenze di concentrazione 25 , celerit ed immediatezza dei giudizi 26 . In questo contesto si colloca il D. Lgs. 2.2.2006, n.40, attuativo della legge delega 14.5.2006,n.80,il quale se, da un lato rappresenta,come stato autorevolmente sostenuto, il tentativo di recuperare quella funzione nomifilattica della Corte di cassazione, ormai quasi del tutto intrappolata nelle maglie di un consistente lavoro arretrato,dall'altro e, sotto il profilo di pi diretta incidenza con le controversie in materia di lavoro, si segnala per il riflesso che destinato a determinare sul ruolo del giudice 27 : il n.3 dell art. 36 c.p.c.,prevede espressamente,infatti, la possibilit di ricorrere per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in sostanza estendendo quanto gi previsto dal D. Lgs. n. 165/2001,per i CCNL vigenti nel settore del pubblico impiego privatizzato,anche ai CCNL di diritto privato. Ed ancora,analogie con alcuni istituti tipi delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ritenuti idonei a snellire il contenzioso e orientati in una prospettiva di modernizzazione del sistema,possono riscontrarsi con l'introduzione dell'art. 420-bis c.p.c. 28 ,modellato sull'art.64 del D. Lgs. n. 165 citato, con il quale viene riproposto quell'accertamento pregiudiziale sull'efficacia,validit ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi, anche se per cos dire depurato degli aspetti di natura squisitamente pubblicistica ( come ad esempio, il ricordo da parte delle associazioni sindacali, o ancora l'obbligo di queste ultime di
25 Secondo BALENA (Le preclusioni istruttorie tra concentrazione del processo e ricerca della verit, n www.judicium.it,2) a quasi un secolo di distanza dall'inizio della propaganda chiovendiana in favore dell'oralit, dell'immediatezza e della concentrazione del processo, non sembra azzardato affermare che l'idea di un processo concentrato sia l'unica che sopravvive e che ricorre oramai immancabilmente negli auspici di ogni riforma, o tentativo di riforma, processuale; l'Autore sottolinea, inoltre, che le soluzioni inaugurate dalla L. 533/'73 hanno rappresentato un modello cui ispirarsi, poich si ritiene che il merito del legislatore processuale del lavoro sia stato per l'appunto quello di riaffermare con maggiore coerenza ed energia (pure ed anzitutto sotto il profilo delle preclusioni) i principi strenuamente propugnati da Chiovenda. Quale conferma di ci l'autore cita Cass. S.U. 20.4.2005, n. 8202, secondo cui la riforma del 1973 avrebbe disegnato un coerente sistema spirato a principi di concentrazione, immediatezza e oralit, propugnati da autorevole dottrina processualistica. Tale lettura condivisa in dottrina da FAZZALARI, Istituzioni di dritto processuale, VIII d. Padova, 2001,167 ss.; MONTESANO-VACCARELLA,Manuale di diritto processuale del lavoro, cit. 6 ss. Contraria invece, la posizione di TARZIA, secondo il quale l modello processuale delineato nella L. 533/73 ad un'analisi rigorosamente oggettiva,appare assai lontano, se non addirittura antitetico, proprio in alcuni dei suoi aspetti pi qualificanti, rispetto agli ideali chiovendiani. N questa prospettiva,cfr. Anche PROTO PISANI, Giuristi e legislatori: l processo civile, in Foro it.,1997,V,19; MONTELEONE, Diritto processuale civile, III ed.,Padova, 204, 729. 26 Tra i primi commenti si segnalano VACCARELLA, Una novit giurisprudenziale ed una legislativa per il rito del lavoro, n AA.VV. , Problemi attuali sul processo del lavoro, in Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza,vol. 3, Milano, 2005, 1 ss.; VIDIRI, La riforma del 205: la funzione nomofilattica della Cassazione e l'interpretazione dei contratti collettivi,ivi,15 ss.; SASSANI, Il nuovo giudizio di Cassazione, n www.judicium.it. Ad esempio, leggendo il nuovo testo degli artt. 183 e 185 c.p.c. Pu notarsi come l'udienza di trattazione oggi prima comparizione delle parti e trattazione della causa - condivide con il processo del lavoro le finalit di concentrazione,anche se quest'ultimo l'unico in cui si realizza l'effettiva oralit. Non possono, infine, dimenticarsi, pur non essendo questa la sede per un loro approfondimento, le rilevanti modifiche introdotte in materia di procedimenti cautelari ( cfr. L 23.2.2006, n. 51) e di processo di esecuzione ( cfr. LL. n. 51-52 del Febbraio 2006). Da ultimo, s segala il Disegno di legge n. 1047 ( Riforma del processo del lavoro), di iniziativa dei senatori, Salvi, Treu, ed altri, presentato il 28.9.2006, con la dichiarata intenzione di garantire celerit e certezza alla soluzione delle controversie che riguardano licenziamenti e trasferimenti (attraverso l'introduzione, nel lavoro privato e pubblico, di una specifica procedura d'urgenza giudiziale, senza il preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale) e d riformare il processo previdenziale, con particolare riferimento agli accertamenti sanitari. Inoltre, si propone una riforma complessiva della conciliazione da cui sono escluse le controversie previdenziali, quelle che richiedono trattazione sommaria o d'urgenza,e quelle nel lavoro pubblico privatizzato), che diventa una fase precontenziosa,a giudizio formalmente gi iniziato, e dell'arbitrato. Inoltre,verrebbero abrogati gli articoli 420-bis c.p.c. E 146-bis disp. Att. c.p.c. Che hanno recentemente introdotto l'istituto dell'accertamento pregiudiziale sull'efficacia,validit ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi. La proposta legislativa muove dalla constatazione che il contenzioso del lavoro attraversa, non da poco, una crisi determinata essenzialmente dal progressivo allungamento dei tempi di definizione dei processi, crisi ancor pi evidente per la peculiarit del rito introdotto dal Legislatore del 1973, informato a principi di oralit e celerit che oggi stentano a trovare effettivit. 27 VACCARELLA, op.cit.,8. 28 E del connesso art. 146-bis att. c.p.c., in forza del quale, nel caso in cui all'art. 420-bis, si applica in quanto compatibile- l'art.64,quarto, sesto e ottavo comma del D. Lgs. n. 165 del 201. raggiungere l'interpretazione autentica). Si impone, dunque, al Giudice una decisione obbligatoria attraverso una sentenza immediatamente impugnabile per cassazione e vengono cos eliminati i due gradi del giudizio di merito, con il manifesto intento, da un lato, di privilegiare il giudizio di legittimit una tantum n funzione nomofilattica, contenendo lo spiacevole ( pur se del tutto legittimo) fenomeno di interpretazioni opposte e tuttavia avallate dalla Suprema Corte 29 e, dall'altro, di ridimensionare, riducendolo, il fenomeno delle controversie cosiddette seriali. In secondo luogo, il D. Lgs. n.40 del 2006 opera,per cos dire, una rivitalizzazione dell'istituto conosciuto con il nome di ricorso per saltum, di cui all'art. 360,secondo comma, c.p.c.: in particolare, l'accordo delle parti pu essere, per esplicita previsione di legge ( terzo comma, art. 366 c.p.c.), anche anteriore alla sentenza di primo grado, con la conseguenza che, in tal modo, viene consentita la possibilit di incrementare l'utilizzo della cosiddetta causa pilota, poco frequente in precedenza, in quanto l'accordo doveva,invece, raggiungersi successivamente alla sentenza impugnata. Se evidente risulta prima facie l'intento di permettere alle parti di accordarsi quando... accordarsi ancora una opzione ragionevole 30 ,dotando cos di efficacia l'istituto in commento, non pu passare inosservata nemmeno la circostanza che il Legislatore miri a sviluppare il ricorso per saltum nelle tipiche questioni di interesse collettivo, di interpretazione di clausole normative di contratti e accordi collettivi di lavoro. Il D.Lgs. n.40 del 2006 assume, inoltre, un'importanza decisiva con riferimento ad un altro tradizionale strumento di deflazione del contenzioso 31 ;l'arbitrato, di cui all'art.806 c.p.c.,diventa,infatti, oggetto di ripensamento,in termini,estensivi, della disciplina,da parte del Legislatore. L'articolo citato, come si vedr, pur conservando le distinzioni sussistenti tra arbitrato rituale e irrituale,effettua un integrale richiamo all'art.409 c.p.c., assoggettando le controversie in materia di lavoro all'operativit dell'istituto. A distanza di circa due anni dalle elezioni politiche del 2008, la maggioranza parlamentare ha dato corso allapprovazione in entrambi i rami del Parlamento del disegno di legge n. 1167-B di complessivi 50 articoli, alcuni dei quali incidevano profondamente sul sistema ordinamentale in tema di disciplina dei rapporti di lavoro e di tutela giurisdizionale dei lavoratori. Si trattava quindi non di un intervento marginale o comunque frammentario, ma di un disegno intenzionale di modificare, con carattere di generalit, il rapporto fra lavoratori (e loro diritti) e ordinamento giuridico. Sarebbe stata una legge storica, naturalmente intendendo con tale espressione tutto ci che di particolarmente positivo o di particolarmente negativo si verificava nelle varie epoche. La legge si dipanava in 50 articoli di cui lepicentro dellintervento normativo costituito dagli art. 30, 31 e 32 e pi precisamente, in ordine logico, dallart. 31, dallart. 30 e dallart. 32.. Anche se apparentemente trattano istituti diversi, le norme degli art. 31, 30 e 32 sono legate da un filo comune e sono espressione di un disegno comune, costituito da unavversione (nelle sue pieghe interne, assumente carattere di furore) nei confronti della tutela giurisdizionale dei lavoratori (subordinati e para-subordinati) e della disciplina sostanziale (legislativa e collettiva) di tutela degli stessi.
29 VACCARELLA, op.cit.,9. 30 SASSANI, op. cit. 31 Una funzione deflattiva pu, inoltre, essere riconosciuta ai recenti interventi sui procedimenti di istruzione preventiva: n particolare, la L. 23.2.2006, n.51 ha introdotto l'art. 696-bis, rubricate consulenza tecnica preventiva ai fini della risoluzione della lite. L'articolo, al secondo comma, recita infatti che se vi soccombenza reciproca o concorrono altri gusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice pu compensare, parzialmente o per intero,le spese tra le parti. Analoga funzione potr assolvere anche il nuovo test dell'art.151 delle Disposizioni di att., nel testo modificato dal D. Lgs. n. 40 del 206. La nuova formulazione dell'articolo, sulla riunione dei procedimenti, che trova applicazione a partre dai giudzi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto e cio al 2.3.2006, prevede,al prmo comma, che la riunione, ai sensi dell'art.274 del codice,dei procedimenti relativi a controverse in materia di lavoro e di previdenza e assistenza e a controversie dinanzi al giudice di pace, connesse anche soltanto per identit delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente,la loro decisione, deve essere sempre disposta dal giudice, tranne nelle ipotesi che essa renda troppo gravosi comunque ritardi eccessivamente il processo. In queste ipotesi la riunione, salvo gravi e motivate ragioni, comunque, disposta tra le controversie che si trovano nella stessa fase processuale. Analogamente si provvede nel giudizio di appello. Lobbiettivo delle norme (e quindi di chi si assunto la responsabilit di procedere alla loro emanazione) stato quello, in primo luogo, di svilire e, se possibile, escludere la funzione di tutela giurisdizionale svolta dalla magistratura ordinaria (e in concreto dai giudici del lavoro, di ogni grado) e, inoltre, di attenuare, anche sul piano sostanziale, gli spazi e i contenuti di tutela dei diritti dei lavoratori. Su tale piano deve anzi dirsi che si trattato di un disegno organico e, a suo modo coerente, poich tutte le varie norme (e in concreto i 29 commi di cui si compongono gli art. 30, 31 e 32, rispettivamente di 6, 16 e 7 commi) rispondono ad unanaloga impostazione, cos che in ciascuna di esse si ritrova un medesimo DNA. Non stato quindi un disegno di legge di compromesso o di mediazione, in quanto, anzi, il suo percorso parlamentare stato caratterizzato (anche nel passaggio dagli originari 9 articoli ai 50 finali) da una continua rincorsa antigiurisdizionale, nel senso che ci si sforzati di elaborare norme di sempre maggiore chiusura degli spazi di tutela concessi ai prestatori di lavoro. Nel quadro di cui sopra, una primazia assoluta spetta al 9 comma dellart. 31, che sicuramente , almeno su un piano di principio, il pi significativo di tutta la legge. Va rilevato in primo luogo che, come avviene quasi sempre quando si introducono norme lesive, la formulazione lessicale della disposizione ovattata, ambigua e sostanzialmente mistificante. Vi si scritto infatti nel primo dei quattro periodi di tale 9 comma che In relazione alle materie di cui allarticolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui allarticolo 808 del codice di procedura civile che rinviano alle modalita` di espletamento dellarbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del codice di procedura civile, solo ove cio` sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente piu` rappresentative sul piano nazionale.. La norma sembrerebbe quindi proporsi in termini di tutela, e cio con la suggestiva sottolineatura del criterio per cui la possibilit di pattuire clausole compromissorie ammessa solo ove ci sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale, mentre invece il nucleo della norma non sta in questo, ma nella previsione della possibilit per i lavoratori di perdere la facolt di ricorrere alla tutela giurisdizionale. Lapparente residua ed esigua tutela di cui al primo periodo viene poi addirittura smentita dal quarto periodo dello stesso 9 comma, in cui si prevede che comunque, anche ove intervenisse lassenso delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale, la possibilit di perdita del diritto di ricorrere alla tutela giurisdizionale potr realizzarsi a sguito dellemanazione, trascorsi appena dodici mesi, di un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di definizione delle modalit di attuazione e di piena operativit delle disposizioni del 9 comma. In sostanza, la maggioranza parlamentare ha voluto, con tale 9 comma, consentire che, a sguito di un semplice atto del prestatore di lavoro (e cio di una sua firma), egli perdesse un diritto primario, quale quello di agire in giudizio per la tutela dei suoi diritti. Tale essendo lincontestabile contenuto della norma, va ora, in primo luogo, rilevato come la stessa segni un profondo mutamento di tendenza rispetto alle caratteristiche, non solo dellordinamento repubblicano, ma addirittura prerepubblicano. E infatti, a parte le problematiche del periodo precedente al 1973 32 , certo che con lart. 5, 1 comma della L. 11.8.1973 n. 533 si era chiaramente stabilito che leventuale previsione della possibilit di definizione delle controversie in forme arbitrali (rituali o irrituali) era ammessa senza
32 Per una compiuta ricostruzione delle vicende dellarbitrato rituale e irrituale prima della L. 11.8.1973 n. 533, v. BARONE Carlo Maria in ANDRIOLIBARONEPEZZANOPROTO PISANI, Le controversie in materia di lavoro, 2 ed., Bologna Roma, 1987, p. 207-230. pregiudizio della facolt delle parti di adire lautorit giudiziaria. Ci era stabilito, per larbitrato rituale, dallart. 4, 2 comma, della L. 11.8.1973 n. 533, che aveva fissato tale principio nel testo del riformulato 2 comma dellart. 808 c.p.c. e per larbitrato irrituale dallart. 5, 1 comma, della stessa legge. La normativa sullarbitrato rituale era stata poi riscritta dallart. 20 del D. Lgs. 2.2.2006 n. 40 (approvato dalla stessa maggior maggioranza parlamentare di centro-destra e, in qualche misura, premonitore della svolta successiva), con cui si modificato lart. 806 c.p.c., introducendovi, al 2 comma, la formulazione anodina e sincopata, per cui Le controversie di cui allarticolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o acconti collettivi di lavoro. Ma anche se tale formulazione non riprendeva quella lineare ed esplicita, contenuta nel testo dellart. 808 c.p.c. vigente dal 1973, e cio quella per cui le controversie di cui allart. 409 c.p.c. potevano essere decise con arbitrato rituale purch ci avvenga, a pena di nullit, senza pregiudizio della facolt delle parti di adire lautorit giudiziaria, sia la limitata incidenza (per non dire lestrema marginalit) dellarbitrato rituale in materia di lavoro, sia la rilevanza del mantenimento (cio della mancata abrogazione) dellart. 5, 1 comma, L. 11.8.1973 n. 533 (e cio della norma per cui larbitrato irrituale pu essere previsto ma senza pregiudizio della facolt delle parti di adire lautorit giudiziaria), aveva indotto la pi autorevole e sensibile dottrina 33 ad attribuire a tale principio valore generale, e quindi rilevante anche per lo stesso arbitrato rituale. Inoltre in ogni caso era presente la garanzia dellimpugnabilit della decisione arbitrale per violazione delle norme di legge dei contratti collettivi, che esplicitamente prevista per rituale arbitrato (v. art. 829, 4 e 5 comma, c.p.c.) e, veniva considerata sussistente, almeno da una parte della dottrina 34 , anche per larbitrato irrituale. In sostanza, nella Costituzione materiale del nostro Paese era iscritto, fino al recente disegno di legge, un principio in forza del quale era insopprimibile (e quindi non poteva essere cancellato) il diritto di ciascun lavoratore di adire lautorit giudiziaria ordinaria per la tutela dei propri diritti. Ove, invece tale principio fosse stato derogato e smentito lordinamento avrebbe spianato la strada al principio opposto, e cio quello per cui ammesso (a condizione di una semplice firma) che il lavoratore, e di fatto i milioni di lavoratori (subordinati e para-subordinati) italiani si spoglino di tale diritto, cio acconsentano a restare privi di tutela giurisdizionale. Si trattava, quindi, almeno in prospettiva, di una svolta epocale, cio di un nuovo modo di intendere i rapporti fra i lavoratori (e quindi la maggior parte della popolazione) e lordinamento giuridico. In qualche modo una svolta, che riporterebbe allindietro, non tanto (e non solo) rispetto al 1948, ma addirittura rispetto al 1789. A fronte di tale contenuto, la prima esigenza che si imponeva era quella di sottolineare che la norma aveva solo una motivazione, e nessun altra. E la motivazione stava in una avversione contro i diritti dei lavoratori e contro la tutela giurisdizionale degli stessi che si maturata in certe aree, che hanno trovato una sponda nella formazione politica rivelatasi, ai sensi della legge elettorale, nel 2008 maggioritaria. Si trattava cio di un avversione alla sfera dei prestatori di lavoro, diffusa in taluni ambienti imprenditoriali, ma anche genericamente di ceto medio, e pi in generale di una corrente reazionaria presente in vari strati della societ italiana. In tale contesto poi il nemico, ancor pi che nei lavoratori, fu visto nel magistrato del lavoro, in quanto soggetto meno suscettibile di altri di essere coinvolto in logiche di scambio, nelle quali i detentori di potere economico, politico, amministrativo possano far valere la loro influenza. Il magistrato del lavoro, fu quindi visto come unoasi di contropotere, legato solo alle norme e per questo tanto pi pericoloso, perch insensibile, e molto pi difficilmente irretibile, in un sistema
33 V. ROCCELLA Massimo, Manuale di diritto del lavoro, 3 ed., Torino, 2008, p. 470 ed ivi nota 36. 34 V. ancora ROCCELLA Massimo, op. cit., p. 470-471; ma, contra, VALLEBONA Antonio, Breviario di diritto del lavoro, 5 ed., Torino, 2009, p. 507. conoscitivo di potere allargato. Per questo, il primo obiettivo dellintervento normativo fu quello di esautorarlo, cio di creare le condizioni poich non potesse pi intervenire, facendogli mancare la materia prima, e cio lafflusso delle domande di tutela giurisdizionale. La prima motivazione fu la celerit, dal momento che il processo di fronte al giudice del lavoro aveva talora evidenziato tempi lunghi, sarebbe stato opportuno prevedere un meccanismo alternativo. Il nuovo art. 412-quater c.p.c. (cos come sostituito dal comma 7 dellart. 31) delineava uno scenario di avvio del procedimento faticoso, poich, dopo la notifica (prevista dal 3 comma) di un ricorso (sostanzialmente corrispondente al ricorso di cui allart. 414 c.p.c.), si apriva una fase travagliata, nel cui ambito era previsto che il convenuto, ove accetti la procedura di conciliazione ed arbitrato, nominasse il proprio arbitro di parte. A questo punto si apriva unulteriore sub-fase, nel senso che i due arbitri (quello nominato dallistante nel ricorso introduttivo e quello nominato dal convenuto) dovrebbero scegliere un terzo soggetto, svolgente funzioni di arbitro presidente (con la contrapposta speranza, da parte di ciascuno dei due, di pervenire alla scelta di uno pi sensibile alle esigenze della parte che li ha nominati). Ove tale schermaglia non riesca, listante avrebbe dovuto rivolgersi al Presidente del Tribunale (neppure, sembrerebbe, della Sezione Lavoro, ove costituita), che sceglieva il terzo arbitro. Per cui gi la fase dellavvio del Collegio era costellata di notevoli tempi tecnici. Una volta costituito e insediato il collegio, si aveva uno svolgimento preliminare non dissimile da quello del processo del lavoro con il deposito entro 30 giorni ( 5 comma) di una memoria difensiva da parte dellavvocato del convenuto, e con il deposito nei venti giorni successivi (6 comma) prima di una replica del ricorrente e poi di una controreplica del convenuto. Ma a questo punto il collegio non poteva fare altro che quello che fa il giudice del lavoro, per cui, se questi ha necessit di ammettere prove e poi di farle espletare, lo stesso far il collegio, e non vi alcun elemento per ritenere che il tempo occorrente per listruttoria al giudice sia minore di quello che occorrer al collegio. Fra laltro, mentre listruzione testimoniale di fronte al giudice era regolata da norme precise, pi difficile fissare, o far rispettare, regole analoghe di fronte al collegio. E cos pure, nel caso molto frequente di necessit di accertamenti peritali tramite un consulente tecnico di ufficio, non vi alcun elemento che consenta di prevedere una durata inferiore delle operazioni peritali. Infine, anche per la fase post-istruttoria sarebbe stato preferibile che le parti avessero tempo per esporre le loro valutazioni in atti scritti (per i quali probabilmente chiederanno e otterranno anche un termine per repliche), cos come ne avrebbe bisogno il collegio per la valutazione finale. Per cui non vi alcuna garanzia neppure di rispetto del termine, meramente ordinatorio cio non vincolante, di venti giorni previsto dal 10 comma del nuovo art. 412-quater c.p.c. (secondo cui La controversia decisa, entro venti giorni dalludienza di discussione, mediante il lodo). Il procedimento di fronte al collegio avrebbe quindi la stessa possibilit di durata di quello di fronte al giudice ordinario. Ma, in realt, vi era un altro elemento, che diversificava loperativit del procedimento arbitrale, e cio quello della sua collegialit. In unepoca caratterizzata, sia in sede penale che civile, che addirittura di giurisdizione contabile, dallaffermazione della monocraticit, stupisce un ritorno alla collegialit, nel senso che a distanza di circa 40 anni dallintroduzione della L. 11.8.1973 n. 533 la trattazione delle controversie di lavoro sarebbe tornata a rivolgersi ad un organo collegiale. La scelta cadde su un organo collegiale, non solo per un generico timore della monocraticit, ma perch si voluto fare in modo che un arbitro nominato dal convenuto e un arbitro nominato dal ricorrente (ma, pur egli, prevalentemente di matrice sindacale e quindi proclive ad atteggiamenti di mediazione) tallonassero il presidente nelle sue decisioni. Ma la soluzione della collegialit aveva per un evidente costo in termini di efficienza: riunire tre persone assai pi difficile che fissare unudienza di fronte a un giudice singolo, in quanto ogni esigenza e ogni impedimento di uno qualunque dei tre arbitri (fra laltro, presumibilmente gi vincolati da propri impegni personali, accademici e/o professionali) comporter una pi difficile individuazione delle date di riunione, o un rinvio di quelle gi prefissate. Non quindi affatto vero che il collegio potr funzionare meglio e pi speditamente del giudice ordinario. Il confronto fra i due organi non pu poi non far rilevare la perdita, nel collegio, di quellinestimabile valore che costituito nella giustizia ordinaria, dalla caratteristica istituzionale di una precostituita imparzialit. Il giudice ordinario fa parte, come tale, di un corpo posto in posizione di terziet e imparzialit e che quindi, istituzionalmente, non deve dipendere da meccanismi altrui. Lipotetico presidente del collegio sar invece un professore universitario di materie giuridiche (non necessariamente a tempo pieno, per cui potr essere anche a tempo definito e quindi contestualmente svolgente funzioni di avvocato, o comunque professionali) o un avvocato ammesso al patrocinio davanti alla Corte Suprema di Cassazione, e quindi un soggetto coinvolto nel mare delle relazioni sociali e personali (ove non anche, come pur non infrequentemente si verifica, in formazioni associative non particolarmente palesate allesterno). Vi quindi, per sua natura, un fortissimo dislivello di attendibilit circa limparzialit del magistrato e di quello che potr essere il presidente del collegio. Infine, e ovviamente, priva di ogni senso la tesi per cui larbitrato rappresenterebbe unopportunit in pi proprio per i tantissimi lavoratori che, da sempre, non sono tutelati dallarticolo 18 perch lavorano in piccole o piccolissime aziende 35 , in quanto del tutto evidente che la devoluzione della controversia ad arbitri non incide in alcun modo sul campo di applicazione dellart. 18. Per cui, non vi neanche un elemento che supporti oggettivamente (al di fuori della motivazione reazionaria) la scelta di consentire la devoluzione delle controversie al collegio. Peraltro anche i due pi significativi precedenti in tema di collegi arbitrali non hanno dato risultati esaltanti. Uno quello contemplato dal 6 comma dellart. 7 della L. 20.5.1970 n. 300 in tema di sanzioni disciplinari, che era stato previsto per lincentivo, prospettato ai lavoratori, di ottenere in tal modo, cio gi solo con la richiesta della costituzione del collegio, la sospensione dellapplicazione della sanzione disciplinare. Ebbene, se si facesse una approfondita indagine statistica, si vedrebbe che, da un lato, molto spesso sono stati gli stessi datori di lavoro a preferire che la decisione della controversia venisse effettuata dallautorit giudiziaria ordinaria e, dallaltro, che assai spesso i collegi di conciliazione e arbitrato si sono persi per strada, cio non si sono pi riuniti, per assenza di questo o quel componente. In ogni caso, si trattato di unesperienza minore, quando addirittura non ha dato luogo a problemi per la liquidazione dei compensi degli arbitri. Laltra esperienza stata quella dei collegi di conciliazione e arbitrato per le controversie sui licenziamenti dei dirigenti, in ordine ai quali si vedrebbe, in un indagine statistica, che, su 100 casi di impugnazione di licenziamento, fra quelli in cui il dirigente si rivolto direttamente al giudice ordinario e quelli in cui stato il datore di lavoro (pur di fronte alladizione del collegio da parte del dirigente) a preferire la definizione della controversia tramite giudice ordinario, si avrebbe una netta
35 In tal senso v. una dichiarazione del segretario confederale della UIL Paolo Pirani, quale riportata dal Sole-24 ore del 12.3.2010, p.5. maggioranza. In sostanza, si trattato, in entrambi i casi, di surrogati del tutto inidonei e non suscettivi di porsi al livello della giustizia ordinaria. Gi su questo primo piano della celerit, efficienza e imparzialit, non vi quindi alcun elemento che giustifichi la scelta legislativa di consentire la possibilit di soppressione della tutela giurisdizionale. Nelle prime dichiarazioni successive allapprovazione della legge si osato poi addirittura cercare di giustificare la stessa addirittura con lelemento del costo, e cio sostenendo che ladizione del collegio sarebbe meno onerosa per il lavoratore di quella del giudice ordinario 36 . un argomento questo, in cui la colpa lata equivale al dolo. E infatti indiscutibile che il processo del lavoro stato, almeno dal 1973 (ma in parte lo era gi prima), completamente gratuito, in quanto esente da ogni forma di contributo; tanto che gi come un pericoloso segno di inizio di controtendenza pu essere vista lintroduzione, disposta dallart. 212 della L. 29.12.2009 n. 191 (recante lintroduzione di un comma 6-bis allart. 10 del T.U. in materia di spese di giustizia, di cui al D.P.R. 30.5.2002 n. 115), del contributo unificato obbligatorio per i ricorsi di lavoro alla Corte Suprema di Cassazione. In sostanza, il magistrato (monocratico) del lavoro, ma anche i magistrati (collegiali) di appello svolgono una funzione, che non comporta alcun onere per le parti. Del tutto e gravemente diversa la situazione per quanto riguarda il collegio di conciliazione e arbitrato. Qui infatti specificamente previsto (v. comma 11 del nuovo art. 412-quater c.p.c.) che il collegio funziona a spese delle parti e che, in particolare, almeno cinque giorni prima delludienza ciascuna delle parti deve consegnare presso la sede del collegio un assegno circolare di importo pari all1% del valore della controversia. altres stabilito che ciascuna parte deve compensare il proprio arbitrio nella misura dell1%, salvo la liquidazione finale (relativa al complessivo 4% suindicato, oltre che alle spese legali) nellambito del lodo. Ora tale regolamentazione riesce ad essere incongrua sia per il ricorrente (quasi sempre il lavoratore), sia per il convenuto. Per il ricorrente, pu diventare un onere quello di versare il primo 1%, soprattutto quando egli reclami somme o danni ingenti. Nelleventualit poi che il lavoratore, non arretrando di fronte agli oneri conseguenti, formuli una domanda di un importo esuberante (ad es. , come finora spesso si verificato, di 300.000,00 per danni professionali, biologici, esistenziali e morali), il datore di lavoro si trover costretto a versare anche lui una somma iniziale di 3.000,00 e il costo complessivo del collegio si determiner automaticamente in 12.000,00. quindi unoffesa alla realt e alla verit prospettare un carattere del collegio migliorativo in termini di costi rispetto al giudizio di fronte al giudice ordinario, poich, al contrario, il confronto vedr sempre per sua natura un onere del collegio maggiore o molto maggiore (nellordine di varie migliaia di euro) rispetto al giudice ordinario, il cui costo zero. Proprio perch il ricorso al collegio si prospetta tendenzialmente molto costoso, tale costo agirebbe poi intrinsecamente come fattore di disincentivo alla utilizzazione del collegio stesso. E infatti, mentre oggi il lavoratore sa che comunque il servizio giudiziario gratuito, rispetto al collegio non potrebbe non considerare che lattivazione di una tale procedura comporterebbe, come tale, e a prescindere dalle spese legali, un costo estremamente rilevante, di cui egli correrebbe il
36 Per una tale singolarissima posizione v. una dichiarazione del segretario generale della CISL Raffaele Bonanni, riportata nel Sole-24 ore del 12.3.2010, p. 5, secondo cui oggi il lavoratore deve pagare almeno 200 euro solo per la prima lettera del suo avvocato, come se il ricorso al collegio non richiedesse unanaloga (ed ancora pi complessa) assistenza tecnica. rischio di subire il carico, in quanto in primo luogo deve comunque anticipare l1% e poi, in caso di sua soccombenza, il collegio potrebbe tranquillamente porre lintero 4% a suo carico. Contrariamente a quanto si accennato, non vi sarebbe poi nella procedura avanti al collegio alcuna riduzione di spese legali. Va rilevata in primo luogo, al riguardo, una singolare sfasatura allinterno del nuovo art. 412-quater c.p.c., in quanto, mentre il 5 comma prevede che il convenuto deve costituirsi tramite una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato, un analogo obbligo non previsto per il ricorrente. Il che solo apparentemente un trattamento di favore per questultimo, poich in realt equivale ad ammettere la possibilit di un confronto sperequato, fra chi pu non essere assistito da un difensore tecnico e che necessariamente viene assistito da questo. Per cui pu prospettarsi un vizio di illegittimit costituzionale anche su questo piano, per contrasto della norma con gli art. 3 e 24 Cost. Ma, in ogni caso, nella maggior parte dei casi entrambe le parti saranno assistite da avvocati e non vi alcuna norma che preveda, per gli stessi, compensi professionali diversi da quelli previsti per un analogo giudizio di fronte al giudice ordinario. Ed anche giusto che sia cos poich il procedimento non solo sostanzialmente analogo, ma , se mai, pi complesso e complicato, sia per la fase di instaurazione (che prevede anche il sub-procedimento di richiesta di nomina del terzo arbitro al Presidente del Tribunale), sia per la fase (non specificamente regolamentata e quindi priva di criteri-guida e maggiormente esposta a insidie procedurali e comunque a eccezioni e obiezioni) istruttoria e per quella decisionale. Alla fine, i compensi degli avvocati (per funzioni e onorari) saranno gli stessi, o meglio anche maggiori, di quelli di fronte al giudice onorario, per cui la liquidazione finale, cio quella disposta dal collegio ai sensi dell11 comma, sar portentosa, poich si riferir sia al 4% complessivo del valore della controversia per i compensi degli arbitri, sia al pagamento delle spese legali in favore della parte vincente, sia al pagamento delle spese della eventuale consulenza tecnica dufficio, per cui tutte queste voci (nellordine, anche, di varie migliaia di euro) potrebbero essere poste a carico del lavoratore. Si tratta quindi di uneventualit, che potrebbe ulteriormente intimorire il lavoratore e farlo desistere da tale avventura arbitrale. La gravit di tutto quanto suindicato non affatto scalfita dalla cautela contenuta nellAvviso comune firmato il 12.3.2010, secondo cui le clausole compromissorie non prevedranno una deroga alla facolt dei lavoratori di ricorrere al giudice per le controversie relative allapplicazione dellart. 18 della L. 20.5.1970 n. 300, n dallimpegno informalmente assunto dal Ministro del lavoro di allora di tenere conto di tale limite nellemanazione delleventuale decreto ministeriale di attuazione. Di fronte infatti alle critiche, per cui il nuovo art. 412-quater c.p.c. avrebbe comportato la possibilit di disapplicazione, e quindi la vanificazione, della tutela dellart. 18, si voluto evitare il rischio di una diffusa e consapevole mobilitazione popolare analoga a quella che port alla manifestazione, caratterizzata dalla presenza di milioni di persone, del 19 marzo 2002 in Roma. Ma ci non toglie in alcun modo la gravit del nuovo art. 412-quater c.p.c., in quanto la legislazione sul lavoro non si compone solo dellart. 18 e sono numerosissimi i diritti fondamentali del lavoratore (da quello alla retribuzione, a quello alla sicurezza, a quello a idonee condizioni di lavoro in tema di mansioni, qualifiche, sede di lavoro, ecc) che meritano una tutela non dismissibile. Inoltre sempre in ragione delle motivazioni politiche che spinsero tale disegno di legge,non si mancato di evocare il superamento dellintero sistema di tutela inderogabile del lavoratore, quale previsto dalle leggi e dai contratti collettivi. E, poich anche al riguardo luso degli eufemismi sempre utilizzato, anche per evitare di dare consapevolezza alla collettivit di ci che si appresta, si usata unespressione ovattata, quale quella di cui al 3 comma del nuovo art. 412-quater c.p.c., per cui il ricorso al collegio deve contenere leventuale richiesta di decidere secondo equit, nel rispetto dei principi generali dellordinamento. In concreto, il piano perseguito da chi, nella maggioranza parlamentare, ha tirato le fila delloperazione stato il seguente: a) previsione della possibilit della soppressione, per i lavoratori, del diritto di ricorrere alla tutela giurisdizionale; b) previsione della possibilit della soppressione per i lavoratori dellintero apparato di norme di legge ordinaria e delle discipline contrattuali collettive a loro favore, attraverso la sottoscrizione di una clausola compromissoria, che li obblighi a presentare ricorsi al collegio con la richiesta di decidere secondo equit o che comunque stabilisca che le controversie da loro proposte vanno decise secondo equit. Si trattava quindi di un vero e proprio smantellamento del corpus juris a tutela dei lavoratori sedimentatosi in quasi un secolo, per cui si tornerebbe a una generica valutazione equitativa affidata allumore del singolo collegio e priva di ogni effettivo riferimento normativo. Come si puntualmente scritto, si tratterebbe di un colpo al cuore dellinderogabilit delle discipline lavoristiche 37 e in qualche misura del superamento dello stesso concetto del diritto del lavoro. Che tutto ci si realizzi, a parte le problematiche relative allentrata in vigore e al mantenimento della legge di cui si parler in seguito, non per ancora scontato. Innanzitutto, anche se il tema merita approfondimento ulteriore, pu ritenersi, nella effettivit delle relazioni sindacali italiane, che a tuttoggi un qualsiasi contratto collettivo non sottoscritto dalla organizzazione sindacale verticale di categoria aderente alla CGIL, o un qualsiasi accordo interconfederale non sottoscritto dalla CGIL, non possano considerarsi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale. Considerando individualmente le singole confederazioni, la CGIL sicuramente quella comparativamente pi rappresentativa sul piano nazionale e la stessa situazione si verifica anche sul piano della maggior parte dei settori industriali e del settore commerciale. Non solo, ma anche considerando le altre confederazioni (o associazioni di categoria) nellinsieme, molto probabile che la CGIL risulti comunque comparativamente pi rappresentativa, e in ogni caso lonere probatorio, da assolvere in ogni singola controversia (anche dalla parte che deducesse limproponibilit della controversia di fronte al giudice ordinario) sarebbe di chi formulasse leccezione stessa. Non quindi affatto scontato che il meccanismo diventi operativo prima di dodici mesi. In secondo luogo, poich il meccanismo presuppone, per i lavoratori gi in servizio una loro disponibilit a presentarsi fisicamente presso le sedi degli organi di certificazione di cui allart. 76 del D.Lgs. 10.9.2003 n. 276 per sottoscrivere la clausola compromissoria, non realistico pensare ad una disponibilit in massa in tal senso, e che cio milioni di lavoratori gi in servizio (vengono sollecitati e comunque) siano disposti ad effettuare questo atto di sottomissione ed abdicazione. Diversa pu considerarsi la situazione dei lavoratori ancora non assunti, nel senso che pi agevole sarebbe nei loro confronti corredare lapparato di assunzione con la richiesta di recarsi presso gli organi di certificazione per sottoscrivere tali clausole. E tuttavia anche qui si pongono vari problemi. In primo luogo, poich anche gli imprenditori e i datori di lavoro sono molto pi sensibili alle
37 V. ROCCELLA Massimo, op. cit., p. 471. istanze dei lavoratori di quanto pensino coloro che hanno approvato il disegno di legge, non affatto sicuro che si determini una diffusa tendenza dei datori di lavoro ad esigere tale sottomissione, essendo invece pi probabile che il fenomeno resti circoscritto ad ambiti marginali. Daltra parte, il datore di lavoro, che cos si comportasse, rivelerebbe subito un volto opposto a quello di una leale e positiva collaborazione, per cui comunque darebbe luogo a un rapporto di lavoro incrinato e minato fin dallinizio. In secondo luogo, non pu neppure escludersi che il condizionamento dellassunzione alla sottoscrizione di una clausola compromissoria possa venire valutato, anche considerando tutte le circostanze del caso, come il tentativo di conseguire, attraverso la prospettazione del male della mancata assunzione, lindebito vantaggio della rinuncia del lavoratore alla possibilit di ricorso alla tutela giurisdizionale (tanto pi che la clausola compromissoria prevede la decisione delle controversie secondo equit), e quindi creare i presupposti per lapertura a carico del datore di lavoro di un procedimento penale per il delitto di cui allart. 629 c.p. (estorsione) o per quello di cui agli art. 56 e 629 c.p. (tentata estorsione). Infine, non neppure detto che le commissioni di certificazione non svolgano con compiutezza la funzione loro assegnata nel terzo periodo del 9 comma del nuovo art. 412-quater c.p.c. e cio quello di accertare la effettiva volont delle parti, e soprattutto del lavoratore, di rinunciare alla tutela giurisdizionale. Anzi, si pu dire che se tali commissioni illustreranno adeguatamente al lavoratore la ben diversa portata delle due strade (una gratuita, laltra stra-onerosa; una affidata ad un giudice singolo, laltra a un collegio di incerta composizione; una affidata a un giudice facente parte di un corpo posto in posizione di autonomia, indipendenza e terziet laltra, affidata ad un soggetto esterno, che potrebbe essere un libero professionista, dipendente dalle commesse dei clienti), ben difficilmente una scelta libera si orienter verso il collegio arbitrale. Per cui, ancora la stessa operativit del meccanismo ancora tutta da verificare. l disegno di legge infatti era nato in partenza viziato da evidenti profili di illegittimit costituzionale. Infatti, se pur, in generale, non inibito ai soggetti, in materie non provviste di una particolare rilevanza di ordine pubblico o costituzionale, prevedere che la decisione delle loro controversie avvenga nelle forme e con i modi di un arbitro rituale o irrituale, ci non pi vero e non vale ove, da un lato, la materia sia di particolare rilevanza costituzionale e, dallaltro, le caratteristiche sociali del soggetto siano tali da far istituzionalmente dubitare della spontaneit dei suoi atti. Questo quello che accade nella materia del lavoro sia sul piano oggettivo che soggettivo. Sul primo, lordinamento ha elevato il lavoro a valore primario, per cui si tratterebbe di una svolta epocale e unanimemente condivisa lidea che si possa pervenire a una dismissione dei diritti fondamentali dei lavoratori. Quanto poi alla posizione soggettiva dei lavoratori, lintera esperienza storica del diritto del lavoro che accredita il principio per cui non si pu rimettere la tutela del lavoratore in fase genetica nelle sue mani, cio nella sua disponibilit, poich il bisogno di lavorare (e quindi di cominciare a lavorare, ma anche di continuare a lavorare) potrebbe portarlo a rinunce e sottomissioni di ogni genere. Deve quindi ritenersi che per i lavoratori subordinati (e, per estensione, anche per quelli para- subordinati) il principio di cui allart. 24, 1 comma, Cost. operi in modo rafforzato, e cio nel senso che, pur in presenza di clausole compromissorie, essi non perdano il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Daltra parte, una ricostruzione del genere non solo non presenta nulla di discriminatorio, ma costituisce anzi precipua attuazione del dettato dellart. 3, 2 comma, Cost., che impegna tuttora la Repubblica a trattare i lavoratori non in modo genericamente eguale agli altri cittadini e in generale agli altri soggetti, ma a rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la loro libert ed eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della loro persona. La disposizione del 9 comma dellart. 31 era affetta da una evidente illegittimit costituzionale, che potrebbe portare a considerare velleitaria tutta la manovra, che ha portato alla sua introduzione. Il d.d.l. conteneva poi alcune norme, che si riferisvano ai contratti di lavoro subordinati a tempo indeterminato e, per gli stessi, alla materia del licenziamento e che incidedvano su due diversi piani: a) lart. 30, nei suoi commi 1, 2, 3 e 4, si riferiva ai criteri, cui deve attenersi il giudice nella valutazione circa la legittimit dei licenziamenti; b) lart. 32, 1 e 2 comma, si riferiva invece allagibilit della tutela giurisdizionale, prevedendo ulteriori decadenze. Poich tale seconda serie di previsioni si legava a una pi generale concezione restrittiva, vanno opportuno esaminati anzitutto i primi quattro commi dellart. 30. Ma, al riguardo, pu subito dirsi che essi sono, in larga parte, declamativi, cio che vi si ripropongono principi gi affermati in giurisprudenza. Con il comma 1 si enfatizza che In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui allarticolo 409 del codice di procedura civile e allarticolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale limitato esclusivamente, in conformit ai principi generali dellordinamento, allaccertamento del presupposto di legittimit e non pu essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.. Ma, in sostanza, se pure il furore antigiurisdizionale pu avere fatto pensare ad una innovativit, e quindi capacit di reale incidenza di tale disposizione, essa non fa altro che ribadire il principio gi affermato dalla costante e consolidata giurisprudenza per cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti allattivit produttiva scelta riservata allimprenditore, quale responsabile della corretta gestione dellazienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicch essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruit ed opportunit (Cass., sez. Lav., 22.8.2007, n. 17887). Ovviamente, peraltro, essa non pu voler dire (e neppure il predetto 1 comma lo dice) che, ove a fronte delle esigenze tecniche indicate dal datore di lavoro, sussistano anche esigenze di tutela della persona dei lavoratori, di queste non si debba tenere conto. Per cui ad es. in caso di trasferimento si applicheranno sempre i principi generali in tema di correttezza e buona fede, cosicch , specie a fronte di posizioni soggettive dei lavoratori meritevoli di particolare considerazione (si pensi alla madre, sola, con figli a carico), evidente che il trasferimento sar illegittimo se vi era una qualsiasi possibilit di diversa soluzione e quindi di evitarlo. Anche il 2 comma, il quale dispone che Nella qualificazione del contratto di lavoro e nellinterpretazione delle relative clausole il giudice non pu discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformit tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, privo di efficacia innovativa, in quanto non fa altro che riprendere, anche con gli stessi termini, il contenuto del 1 comma dellart. 80 del D. Lgs. 10.9.2003 n. 276. Si tratta quindi, in sostanza, sia nelluno che nellaltro caso, di norme velleitarie, poich con le stesse non si scalfisce (n si pu scalfire) il principio, per cui il giudice deve tenere conto della natura e realt effettiva del rapporto di lavoro e non delletichetta (sia pure certificata), cio del famigerato nomen juris con cui il predisponente ha intestato la scrittura del contratto di lavoro. Il primo periodo del 3 comma si caratterizza per porre al giudice tre criteri-guida, quello delle fondamentali regole del vivere civile, quello delloggettivo interesse dellorganizzazione e quello delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi e in quelli individuali certificati. Quanto al primo, sorprende solo che si sia sentita la necessit della sua enunciazione. Infatti, ormai da circa 44 anni la giurisprudenza ha applicato tali regole, fino a praticare criteri di particolare (se pur giustificato) rigore (ad es. per i furti e in generale per le appropriazioni di buoni- punti), per cui, in sostanza, non vi era alcun bisogno della risottolineatura di un criterio gi applicato. Anche in ordine al terzo criterio, prassi costante della giurisprudenza riferirsi alle previsioni disciplinari contenute nei contratti collettivi, tanto che, se un rilievo pu farsi, che talora sono questi a prevedere norme in qualche modo lassiste (talora, come nel caso dellart. 53 per il personale non dirigente di S.p.a. Poste Italiane del CCNL 11.7.2003, consentendo la prosecuzione del rapporto anche in caso di commissione di veri e propri reati, ad es. di furti di lievi entit, minacce, ingiurie gravi, ecc..). Per cui, sono stati veramente rarissimi (e per lo pi riferiti a situazioni particolari, come quella delle lavoratrici in stato di gravidanza e puerperio) i casi in cui la giurisprudenza si sia distaccata, in melius per il lavoratore, rispetto alle previsioni dei contratti collettivi. Quanto poi allipotesi dei contratti individuali certificati, non realistico pensare a casi in cui il datore di lavoro abbia perfino cura di elaborare una disciplina personalizzata dei casi di recesso. E in ogni caso, se ne dovr valutare la legittimit in relazione allobbligo dei datori di lavoro (aderenti alle associazioni imprenditoriali firmatarie dei contratti collettivi o che li abbiano recepiti, o che comunque abbiano dichiarato in sede di assunzione, anche nelle comunicazioni al Centro per limpiego, di applicarli) di rispettarli. Il criterio delloggettivo interesse dellorganizzazione quello nuovo e, come gi indicato (sia pur con timore) da un noto giurista, potrebbe riservare amare sorprese per i suoi inventori. Esso, infatti, si pone sostanzialmente in antitesi con quanto indicato al 1 comma, poich, mentre al 1 comma si enuncia che il giudice dovrebbe arrestarsi passivamente alle valutazioni tecniche, organizzative e produttive, e quindi di merito, che competono al datore di lavoro o al committente, nel 3 comma si dispone che egli debba tenere conto delloggettivo interesse dellorganizzazione, che quindi potrebbe risultare diversa dalle valutazioni unilaterali datene dallimprenditore. Si tratta di una problematica meritevole di ulteriore approfondimento, ma che comunque evidenzia il sostanziale difetto di incidenza (e, per vero, di concretezza) del complessivo art. 30. Lo stesso dicasi della parte finale del 3 comma, in cui, sostituendosi di fatto i criteri di cui allart. 8 L. 15.7.1966 n. 604 per la determinazione dellindennit (in genere da 2,5 a 6 mensilit) per i rapporti di lavoro cui non applicabile la disciplina della reintegrazione, e quindi per un aspetto comunque di modesto rilievo, si fatta una enunciazione di criteri (in primo luogo, richiamando quelli eventuali previsti nei contratti collettivi, che per in genere non regolano tale materia, e nei contratti individuali, di l da venire, e in secondo luogo indicando le dimensioni e le condizioni dellattivit esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, lanzianit e le condizioni del lavoratore nonch il comportamento delle parti anche prima del licenziamento), sostanzialmente analoghi ai precedenti. In definitiva, la norma dellart. 30 una mera goccia dacqua, che non tocca ledificio normativo in materia di lavoro. Ben diversa la situazione dellart. 32, e in particolare dei primi due commi, che intervengono, questa volta pesantemente e in modo immediato, sulla materia dei licenziamenti. Ma, al riguardo, simpone una premessa di ordine generale. Come dimostra lesperienza, sia storica, sia interdisciplinare, se c una spia del favore o sfavore dellordinamento per una certa posizione soggettiva, essa costituita proprio dalla disciplina della tutelabilit della stessa in termini di preclusione temporale: se vi favore, lordinamento allunga i termini di esercizio (sino a prevedere ad es. , limprescrittibilit della pretesa punitiva dello Stato per i delitti puniti con la pena dellergastolo, ovvero, sotto altro aspetto, per il diritto al risarcimento del danno conseguente ad omissione contributiva, la decorrenza dellinizio della prescrizione decennale, non dalla data dellazione o omissione, ma dallevento, cio dalla determinazione del danno); quando invece vi la tendenza a sfavorire lesercizio del diritto, i tempi si restringono. Ora, in sede civilistica si consolidato da tempo il criterio per cui lazione di nullit imprescrittibile (art. 1422 c.c.), e quella di annullamento soggetta (art. 1442 c.c.) a prescrizione quinquennale. In astratto, su tale base si sarebbe dovuta prevedere negli anni 1966-1970 una disciplina conseguente, e che cio stabilisse per il licenziamento annullabile lesercizio dellazione di annullamento in cinque anni. In concreto, la regolamentazione fu diversa e ci perch nel 1966, paghi del fatto che comunque sintroduceva per la prima volta un controllo legale sui motivi del licenziamento, non sembr di rilevante pregiudizio lintroduzione di un termine, a pena di decadenza, di appena 60 giorni per limpugnazione stragiudiziale e nel 1970, paghi dellintroduzione dellart. 18, non si pens di tornare sul punto. In ogni caso, la previsione di un termine di decadenza, sia pure particolarmente ristretto, quale previsto dallart. 6 della L. 15.7.1966 n. 604, non ha sollevato grosse obiezioni, in quanto (anche se per la verit, in caso di recesso con preavviso e tanto pi in caso di recesso con preavviso nei confronti di un lavoratore malato o infortunato, la decorrenza del termine di impugnazione non coincide con la data di cessazione del rapporto di lavoro, e pu essere anche notevolmente anticipata rispetto alla stessa) la ricezione dellatto scritto di licenziamento comunque un evento traumatico, cui consegue, di solito, la fisiologica emotivit di una risposta impugnatoria, quantomeno stragiudiziale, immediata. Ma, poich al legislatore del 2008-2010 tale termine di decorrenza non bastava, ve ne ha, con il 1 comma dellart. 32, aggiunto un altro, e cio quello per cui Limpugnazione inefficace se non seguita, entro il successivo termine di centoottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o larbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto laccordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. Ora, tali regole, da un lato, non rispondono ad alcuna esigenza sostanziale, dallaltro, introducono una disciplina fortemente differenziata in peius per i lavoratori licenziati rispetto alla generalit dei soggetti. Al datore di lavoro, che licenzia, deve riconoscersi, per ci solo, linteresse ad agire in sede di accertamento per far dichiarare la legittimit del recesso, per cui lo stesso potrebbe presentare un ricorso in tal senso ancor prima di avere ricevuto una impugnazione del licenziamento. In ogni caso, e questa volta del tutto indiscutibilmente, deve riconoscersi tale interesse al datore di lavoro, che abbia ricevuto una impugnazione stragiudiziale del licenziamento. In tale situazione, egli era (gi prima della nuova legge) ed perfettamente legittimato ad agire, quantomeno, gi subito dopo avere ricevuto tale impugnativa. La previsione di un ulteriore termine di decadenza, di 180 giorni (decorrenti, a rigore dalla ricezione, ma, per sicurezza, conteggiabili dallinvio della lettera di impugnazione) per il deposito del ricorso non ha quindi alcuna giustificazione sostanziale (posto che, se voleva, il datore di lavoro anche nella normativa precedente poteva dare luogo allazione) ed esprime solo un ulteriore elemento di sfavore per la tutela giurisdizionale dei lavoratori licenziati, i quali ora dovranno stare attenti a due termini (e ove propendano per la richiesta di conciliazione ed arbitrato poi non accolta, addirittura a tre termini). Ma tale intensificazione di decadenze pu dar luogo a qualche specifico dubbio di costituzionalit. Se la regola generale che si pu agire, con lazione di annullamento, entro 5 anni, perch per i lavoratori licenziati il termine potrebbe essere al massimo di 240 giorni? E perch, fra gli stessi lavoratori, quello che si fosse dimesso a sguito di dimissioni derivanti da errore o violenza morale, potrebbe agire in 5 anni e quello licenziato in soli, al pi, 240 giorni? E come si giustificherebbe che, per quelli che sono i pi deboli fra i deboli (cio i lavoratori licenziati), lordinamento, invece di apprestare ex art. 3, 2 comma, Cost. una disciplina di maggior favore, appresterebbe una disciplina enormemente pi sfavorevole e restrittiva? Vi sono quindi le condizioni per individuare anche su questo specifico punto una rilevante questione di costituzionalit. Ma la volont restrittiva non si limitata a questo, poich con il 2 comma dellart. 32 si introdotta una c.d. norma di chiusura, secondo cui Le disposizioni di cui allarticolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificate dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidit e di efficacia del licenziamento. In concreto, la maggioranza parlamentare sembra aver voluto evitare che restassero varchi di agibilit della tutela giudiziaria in quei casi, in cui la giurisprudenza aveva escluso loperativit dellart. 6 della L. 15.7.1966 n. 604, quali: a) il caso del licenziamento intimato in forma orale: del tutto irragionevole ed incongruo che il datore di lavoro, che abbia violato il primo ed essenziale precetto formale del licenziamento (e cio di comunicarlo con atto scritto), possa avvalersi del fatto che il lavoratore, anche per la mancanza di un tangibile documento, non si sia attivato entro i 60 giorni successivi (per cui potr succedere che il datore di lavoro cerchi di attribuire a sue frasi, ad es. a quella con cui aveva detto al lavoratore di stare a casa per mancanza di lavoro, valore di licenziamento). Per cui, anche su questo piano omogeneizzare le due situazioni (quella di chi ha ricevuto un atto scritto di licenziamento e quella di chi non lo ha ricevuto) vuol dire porsi in contrasto addirittura con lart. 3, 1 comma, Cost., ancor prima che con lart. 3, 2 comma, Cost.; b) il caso del licenziamento intimato per iscritto, ma indicato come effettuato ex art. 2118 c.c. , e cio come recesso intimabile senza indicazione dei motivi, c.d. ad nutum (v. Cass 22.3.1994 n. 2728): c) il caso del licenziamento di lavoratrice nel periodo dalla pubblicazione di matrimonio ad un anno dopo la celebrazione dello stesso e il caso di lavoratrice dallinizio della gravidanza ad un anno dopo la nascita del figlio, che hanno sempre avuto una disciplina differenziata. Si tratta di situazioni particolari, che tutte rendevano giustificata la particolare tutela loro in precedenza accordata e che non meritavano quindi lonore di una loro omogeneizzazione al regime generale. Analogamente in un quadro costituzionale, che proclama di voler tutelare la famiglia (art. 21 e 30, 1 comma, Cost.) e la maternit (art. 30, 2 comma, e 37, 1 comma, Cost.) stupisce che si vogliano addossare oneri perentori, ad es. , a una lavoratrice nelle delicate ultime settimane pre-partum e nelle prime post-partum. Per cui, anche su questo piano, e addirittura con la possibilit di evocazione di principi costituzionali ulteriori a supporto, lecito dubitare della legittimit costituzionale del citato 2 comma. Gli ulteriori cinque commi dellart. 30 si caratterizzano per essere quelli di pi immediata e negativa portata. Il loro contenuto (pur essendo essi legati da un solo comune filo ispiratore) vario e pu essere cos ricostruito: a) per i rapporti di lavoro, a tempo indeterminato, e gi assoggettati alla L. 15.7.1966 n. 604, previsto un doppio termine di decadenza (60+180 giorni) anche interno al rapporto, per limpugnazione del trasferimento; b) lo stesso previsto per i casi di cessione del contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. ; c) il predetto doppio termine viene esteso anche allimpugnazione del recesso disposto dal committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalit a progetto; d) viene esteso altres allipotesi, di dimensione sociale e statistica rilevantissima, dellazione di nullit della clausola a termine del contratto di lavoro a tempo determinato; e) viene esteso in ogni altro caso in cui, compresa lipotesi prevista dallarticolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o laccertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto; f) per le controversie relative alle azioni di nullit del termine apposto al contratto di lavoro previsto un limite quantitativo al risarcimento del danno che pu essere liquidato dal giudice. Ora tutti questi interventi, che pur rispondono a una comune e precisa intenzione, vanno adeguatamente chiariti. Gi il primo intervento, e cio quello relativo allimpugnazione del trasferimento, di particolare gravit. La norma dellart. 6 della L. 15.7.1966 n. 604, nella sua primigenia formulazione, aveva una sua oggettiva giustificazione, poich normale che, se il lavoratore licenziato vuole reagire, lo faccia subito e, daltra parte, egli si trova in una situazione, rispetto al precorso rapporto di lavoro, in cui non ha pi nulla da perdere, in quanto ha gi perso tutto (taluni datori di lavoro si distinguono invero per aggiungere, al licenziamento, anche la sofferenza della mancata erogazione delle competenze di fine rapporto). Al contrario, il trasferimento un atto interno al rapporto e porre termini perentori per la sua impugnazione, prima, in sede stragiudiziale e poi in sede giudiziale, vuol dire costringere il lavoratore, o a subire il trasferimento e quindi una pesante modificazione delle sue condizioni di vita, o ad accrescere, con il contenzioso, il suo contrasto con il datore di lavoro. Tale essendo la situazione, ne viene, in base ai principi della famosa e sempre fondamentale sentenza della Corte Costituzionale 10.6.1966 n. 63, che sicuramente tale scelta non esigibile nei confronti dei lavoratori cui non si applichi lart. 18 L. 300/1970, poich, quantomeno per essi, sicuramente la scelta non libera, in quanto anche la rinuncia ad impugnare il trasferimento potrebbe essere dettata dal termine di subire poi un recesso, che sarebbe comunque produttivo di effetti, pur se giudicato illegittimo. N varrebbe sostenere che nella sentenza citata la Corte Costituzionale si era riferita come parametro solo al diritto alla retribuzione prevista dallart. 36 Cost., poich fin troppo evidente che la messa a repentaglio del posto di lavoro, quale potenzialmente conseguente allinasprimento del contrasto giudiziale, coinvolgerebbe anche il titolo alla percezione delle retribuzioni. Per quanto concerne poi i rapporti di lavoro, cui si applica lart. 18, viene meno in tal caso la giustificazione propria del termine di decadenza, in quanto, a fronte del normale termine decennale di esercizio dei diritti (per non dire dallimprescrittibilit dellazione di nullit) e comunque di quello quinquennale per lazione di annullamento, non si individuano apprezzabili giustificazioni per una previsione cos sbilanciata a sfavore dei lavoratori, come quella che prevede un doppio ravvicinato termine (di 60+180) anche per limpugnazione del trasferimento. N, daltra parte, sussistono per il datore di lavoro le esigenze proprie dellart. 6 L. 15.7.1966 n. 604 in caso di licenziamento, poich anche nellipotesi di impugnazione differita di un trasferimento egli non sar tenuto a una retribuzione ulteriore.
Unipotesi ulteriore quella prevista dal 4 comma lett. c), per cui anche in caso di trasferimento di azienda il lavoratore deve impugnare, entro brevi termini perentori, latto con cui il datore di lavoro alienante gli comunica la volont di cessare la sua titolarit del rapporto, avendo egli ceduto lazienda ex art. 2112 c.c. , per cui il rapporto continuer con il cessionario. Si tratta di un atto particolare, in quanto, da un lato, assimilabile al licenziamento, poich comunque il datore di lavoro alienante esce dal rapporto, e, dallaltro, si distingue da questo, perch, se il lavoratore non si oppone, il rapporto continua con il cessionario. Deve comunque ritenersi che, anche in precedenza, il lavoratore, che avesse voluto impugnare latto (ad es. sostenendo che il datore di lavoro non aveva rispettato le regole e i termini di cui allart. 47 L. 29.12.1990 n. 428, quale modificato dallart. 2 D.Lgs. 2.2.2001 n. 18), fosse tenuto a impugnarlo entro 60 giorni, per cui su tale piano la previsione non ha concreto carattere innovativo. Con la disposizione del 3 comma, lettera b), dellart. 32 si realizza un singolare allineamento in negativo della posizione dei collaboratori autonomi a quella dei dipendenti, nel senso che essa stata prevista per estendere ai primi, non una disciplina di tutela, ma un tratto sfavorevole della disciplina dei secondi. Ma anche questa norma si caratterizza in modo particolarmente negativo. Ove si tratti di vero rapporto autonomo, non per sua natura applicabile una disciplina analoga a quella del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, per cui non si comprendono le ragioni della necessit di un onere di impugnazione. Ove si tratti invece (e questo sembrerebbe il vero retroterra della norma) di un falso rapporto autonomo, si ricadrebbe in pieno nella volont legislativa di contrastare, per non dire addirittura boicottare, la tutela giurisdizionale in caso di recesso, imponendo al lavoratore di impugnare velocemente un licenziamento anche se il datore di lavoro non lo ha qualificato come tale. E ci confermato dalla previsione, di cui alla prima parte della lettera a) del 3 comma, per cui il lavoratore deve sottostare al doppio onere di decadenza anche nel caso di licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro il che vuol dire che, se anche si tratta di rapporto di lavoro in nero, o camuffati da collaborazioni autonome, o da appalti ad imprenditori con partita IVA, in ogni caso il soggetto lavoratore (che in realt un subordinato) deve stare attento al duplice sbarramento temporale dei 60+180 giorni. La finalit legislativa, chiara e manifesta, non quindi quella di agevolare chi stato maltrattato e turlupinato, ma di favorire chi ha posto in esse rapporti non regolarizzati o configurati allesterno in modo falsificato e perverso. A livello statistico, cio sul piano del concreto impatto sociale, pi pericolosa sarebbe stata quella delle lettere e) e d) del 3 comma dellart. 32, con le quali si disposto: a) che anche i licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla legittimit del termine apposto al contratto, sono soggetti allapplicazione del nuovo art. 6 L. 15.7.1966 n. 604 e quindi del doppio termine di decadenza; b) che anche lazione di nullit del termine apposto al contratto di lavoro ai sensi degli art. 1, 2 e 4 del D.Lgs. 6.9.2001 n. 368, soggetto a tale doppio termine, con decorrenza dalla data di scadenza del rapporto; c) che tale disciplina si applica sia ai contratti in corso, sia a quelli gi cessati (ancorch stipulati ai sensi della L. 18.5.1962 n. 230), con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge. Trattasi di innovazioni di enorme portata, che sconvolgono una disciplina assestatasi quantomeno dal 1942 e quindi per circa 70 anni. In concreto, da ora in poi (e ci riferiamo ai rapporti di lavoro a tempo determinato in corso o che saranno istituiti) i lavoratori si sarebbero trovati di fronte, subito dopo la cessazione del rapporto di lavoro, una tagliola, perch, se non avrebbero agito subito (cio entro i ben noti 60+180 giorni) avrebbero perso ogni loro diritto conseguente alla, pur eventualmente sussistente, nullit della clausola a termine, mentre, se viceversa avrebbero agito, si sarebbero trovati esposti (ove non riescano vincenti) a non essere pi richiamati in servizio. Ed proprio questa seconda condizione che toglie spontaneit al mancato esercizio della prima scelta. In questo modo si sarebbe ingenerato nel lavoratore il timore di precludersi (in caso di mancato accoglimento del ricorso) ogni possibilit di futuro richiamo. Ma proprio in questo che si annida il nucleo di una illegittimit costituzionale della norma. Come ha indicato la Corte Suprema di Cassazione con orientamento consolidato (v., fra le tante, Cass. 13.8.1997 n. 7565), in tal caso i diritti dei lavoratori cominciano a prescriversi dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che accerta la nullit della clausola a termine e la conversione del contratto a tempo indeterminato. Si tratta quindi di un caso particolare, poich, pur dovendosi riconoscere lavvenuta conversione, non si pu non prendere in considerazione che il rapporto di lavoro si svolto senza alcuna garanzia soggettiva e psicologica di stabilit. Proprio per questo la giurisprudenza ha applicato a tale ipotesi il principio, costituzionalmente necessitato, della non decorrenza della prescrizione durante il rapporto di lavoro. Ma per la stessa ragione si rende costituzionalmente illegittima lintera normativa suindicata, in quanto non si pu considerare rilevante una mancata attivazione da parte di un soggetto, che, in quanto assunto solo a termine, privo di stabilit. Non si possono perci omogeneizzare le due situazioni, rispettivamente, del lavoratore licenziato nellambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e di un lavoratore che abbia in corso o abbia concluso un rapporto di lavoro a termine, poich, mentre il primo ha visto comunque la cessazione patologica del suo rapporto e non ha pi nulla da perdere, il secondo ha visto solo la conclusione apparentemente fisiologica di un rapporto a termine e non pu escludere che (se non insorger giudizialmente) sar richiamato. Non si pu quindi approfittare di tale situazione di precariet e di insicurezza del prestatore di lavoro, e quindi del suo metus di non venire riassunto in caso di controversia, per fargli perdere i diritti conseguenti alla nullit del termine stesso. Lintera normativa suindicata va quindi considerata incostituzionale per contrasto con gli art. 3, 4, 36 e 41, 2 comma, Cost. Di specifico rilievo negativo in tale quadro poi la norma della lettera b) del 4 comma, con la quale si vorrebbe fare una ablazione generalizzata dei diritti di centinaia di migliaia (e forse di milioni) di lavoratori nel ridottissimo termine di sessanta giorni dallentrata in vigore della legge stessa. In un colpo solo i lavoratori precari italiani perderebbero ogni loro possibilit di agire giudizialmente, e ci, fra laltro, senza alcuna informazione di massa da parte degli organi (in specie radiotelevisivi) di informazione. Si consumerebbe cio un atto nefasto, e in sostanza anche subdolo, verso una infinit di persone, e soprattutto donne e giovani, e quindi i pi deboli. Con un singolare fenomeno di riscrizione al contrario, dopo aver demolito limpianto normativo di quella che era stata la L. 18.4.1962 n. 230, il disegno di legge si diresse a sovvertire anche i principi di quella che era stata la L. 23.10.1960 n. 1369, poi sostituita, in un modo un po rocambolesco, dagli art. 20 e 27 del D.Lgs. 10.9.2003 n. 276. In sostanza, si previde che se un lavoratore fosse assunto da un falso appaltatore e cio da un soggetto che si interponesse al posto del vero datore di lavoro, anche e perfino in questo caso avesse solo 60 giorni di tempo successivi alla cessazione del rapporto per chiedere in via stragiudiziale il riconoscimento delleffettiva titolarit del rapporto e ulteriori 180 giorni per presentare il ricorso, in mancanza del rispetto dei quali termini avrebbe perso ogni relativo diritto. Ma la norma, nella sua virulenza, si espone allo stesso vizio di illegittimit costituzionale sopra rilevato: poich, in realt, il rapporto di lavoro si era costituito con il vero datore di lavoro, si avr un caso di rapporto di lavoro a tempo indeterminato privo di garanzie soggettive e psicologiche di stabilit, il che rende inammissibile la previsione di termini di decadenza al suo interno. Per cui, anche questa norma, con la quale indirettamente si verrebbe ad avallare ogni fenomeno di illecita interposizione e di caporalato, non pu che essere esposta ad un annullamento per incostituzionalit. Come se non bastasse lestensione smisurata delle norme di decadenza, lart. 32 ha ristretto anche larea del risarcimento del danno spettante al lavoratore a termine, prevedendo che il giudice non potrebbe liquidargli unindennit inferiore a 2,5 mensilit e superiore a 12, ovvero, in presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale, che prevedano lassunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori gi occupati con contratti a termine nellambito di specifiche graduatorie (trattasi di una norma pensata appositamente per S.p.a. Poste Italiane), a sole 5 mensilit. Anche questa previsione insostenibile, perch contraria a tutti i principi dellordinamento. Al riguardo, va ricordato, per una equilibrata trattazione del tema, che da molti anni la giurisprudenza si attestata nel senso che, pur in caso di nullit della clausola a termine, il lavoratore che abbia svolto quel rapporto e che in epoca successiva agisca giudizialmente, ha diritto al risarcimento del danno, non con decorrenza dal giorno di cessazione del rapporto, ma dal giorno in cui abbia offerto la sua prestazione lavorativa. Da questo giorno si determina una situazione di illegittimo rifiuto da parte del datore di lavoro delle prestazioni lavorative offerte dal dipendente, corrispondente alla c.d. mora del creditore (mora accipiendi) di cui agli art. 1206 e segg. c.c. Ma, se questa situazione si prolunga per oltre un anno (ad es. per due, tre anni) prima di pervenire alla sentenza, assurdo che il lavoratore, cio il soggetto che ha ragione, veda limitato il contenuto del risarcimento a sole 12 mensilit, poich egli avr diritto al risarcimento integrale del danno effettivamente subito. Il principio base del processo civile quello per cui la durata del procedimento non pu andare a danno della parte che ha ragione, e tale principio pu ritenersi costituzionalizzato ai sensi dellart. 24, 1 comma, e dellart. 111, 1 e 2 comma, Cost. Ne consegue che i commi 5 e 6, e cos pure di conseguenza, il comma 7 dellart. 32 non possono che essere valutati costituzionalmente illegittimi per contrasto con le norme suindicate. Lanalisi svolta ha palesato come gli art. 31, 30 e 32 del disegno di legge in esame siano stati fra i pi deplorevoli nella storia del diritto del lavoro del nostro Paese e come molti dei relativi enunciati siano esposti a densi profili di incostituzionalit. Tuttavia non si sarebbe sinceri se non si rilevasse che anche essi a loro modo sono unimmagine del nostro Paese e, se si vuole, delle generazioni attuali. Il fatto che, specie dopo la scomparsa nel Parlamento eletto dopo la consultazione del 2008 di partiti politici di sinistra specifica, si determinata una sorta di insensibilit diffusa e strisciante ai valori della solidariet e di una almeno tendenziale eguaglianza. I lavoratori subordinati vengono visti, tanto pi quanto sono deboli, non come il fulcro della societ, ma come una serie di soggetti gi dotati di troppe tutele e nei confronti dei quali bisogna procedere a una rimodulazione peggiorativa delle discipline. Su tale piano, lintero decennio 2001-2010 (escludendo la pallida e non particolarmente feconda parentesi dal maggio 2006 allaprile 2008) stato costellato di normative controriformistiche: 1) era tale il D. Lgs. 6.9.2001 n. 308 di tormentato allargamento dei casi di contratto a termine; 2) stato tale lapparato normativo di cui alla L. 14.2.2003 n. 30 e ai D. Lgs. 10.9.2003 n. 276 e 6.10.2004 n. 251; 3) sono state tali le frammentarie norme, in materia di rapporti di lavoro contenute nel D. L. 25.6.2008 n. 112, conv. in L. 6.8.2008 n. 133; 4) stato massicciamente tale il recente disegno di legge n. 1167-B nei suoi art. 31, 30 e 32. Non quindi una contingenza, ma un disegno preciso (e talora anche viscerale) di scremare le tutele e le garanzie per i lavoratori subordinati, che ha percorso ormai un intero decennio. Ma, proprio perch lorientamento stato ed questo, esso delinea per le forze politiche e sindacali e per ogni soggetto legato ai valori costituzionali la possibilit (e, in realt, la doverosit) di un obiettivo specifico, e cio quello di porre fine alla normativa controriformistica e di riprendere la strada del riconoscimento di effettive tutele a chi vive (quando riesce a conseguirlo) del proprio lavoro. Su tale piano ha avuto un alto significato la decisione del Presidente della Repubblica di esercitare il potere di cui allart. 74, 1 comma, Cost., e quindi di rinviare il disegno di legge alle Camere con levidenziazione, non solo dei vizi di legittimit costituzionale degli art. 31 e 32, ma anche del loro contrasto profondo con tutti i valori dellevoluzione storica del diritto del lavoro; Una normativa, come quella degli art. 31, 30 e 32, che, se si intende la complessit dei lavoratori come gruppo, pu considerarsi veramente discriminatoria di tale gruppo e quindi nuova protagonista di una impostazione discriminatoria, anchessa presente nella storia, pi negativa, dellultimo secolo e mezzo del diritto italiano 38 .
38 Per unattenta e compiuta indagine sulla legislazione di discriminazione razziale, non solo nei confronti degli ebrei negli anni 1938-1945, ma gi prima nei confronti della popolazione indigena africana delle colonie occupate dallItalia, v. BIANCONI Sofia, La legislazione razzista in Italia e in Europa, Roma, 2009.