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XIII.

SOCRATE,
IL MOSCONE FASTIDIOSO DEL NOBILE CAVALLO
DELLA DEMOCRAZIA DEGLI ATENIESI.
LA CRITICA RAZIONALE AL FALLIMENTO POLITICO DEGLI
AUTOMATISMI DEL MODELLO DEMOCRATICO DI CLISTENE




Ges di Nazareth e l'ateniese Socrate hanno in comune una
cosa, e cio di non aver scritto niente, per cui tutto ci che
hanno (o avrebbero) detto ci viene da altri, e questi altri non
sono sempre affidabili. Per quanto riguarda Ges di Nazareth ed
i Vangeli canonici ed apocrifi ne accenneremo pi avanti. Per
quanto riguarda Socrate dobbiamo "fidarci" di Platone e di
Senofonte, e gi Hegel diceva che il secondo era pi affidabile,
perch non avendo un suo personale sistema filosofico da
"promuovere", non aveva bisogno di nobilitare le sue personali
posizioni teoriche "retrodatandole" a Socrate. In ogni caso, in
questo capitolo partir dal presupposto, che so peraltro
filologicamente molto discutibile, che ci che ha "veramente
detto Socrate" sia ci che contenuto nei cosiddetti "dialoghi
socratici" di Platone, perch in quanto agli altri dialoghi, ed in
particolare i pi tardi, del tutto evidente e non contestato da
nessuno che Socrate un puro "prestanome" dei punti di vista
pitagorici di Platone.
Io parto invece dal fatto che Socrate non fosse un pitagorico,
e quindi non sia stato un teorico dell'educazione (paideia) della
classe dei reggitori della Repubblica, non sia stato un sostenitore
della geometria come propedeutica dell'arte di governare, ed in
altre parole che non sia stato un megafono di Platone. In accordo
con l'ormai vecchia interpretazione di Olaf Gigon, credo che
Socrate sia stato il portavoce di una forma culturale del
patriottismo nazionalistico ateniese, per cui Atene, oltre che
essere la citt della scultura e dell'architettura, della tragedia e
della commedia, era anche la capitale indiscussa del sokratiks
logos, che non era tanto una ben precisa teoria filosofica
determinata (per esempio, la teoria dell'esistenza della verit
contro il relativismo), quanto piuttosto una forma socio-
culturale, quella dell'estensione della isegoria politica
nell'assemblea (ecclesia) alla isegoria filosofica nel mercato
(agor), in evidente omologia e parallelismo. Atene era il luogo
della parrhesia, e cio del parlare libero e chiaro aperto a tutti (a
tutti, compresi gli stranieri, gli schiavi e le donne, e questa
apertura globale caratterizzer anche la scuola epicurea del
Giardino e la scuola stoica del Portico, entrambe nate ad Atene, e
solo pi tardi estesesi altrove). Il sokratiks logos, quindi, non
tanto un contenuto specifico determinato quanto una forma
sociale, l'estensione della isegoria dall'ecclesia all'agor. Che poi
l'empirico Socrate "non fosse d'accordo" con Protagora e con
Gorgia certo rilevante, ma non decisivo.
Ma chi era Socrate? La risposta facilissima, perch l'ha
fornita lui stesso. Socrate era il moscone fastidioso e
l'insopportabile tafano che ronzava continua mente intorno al
nobile cavallo della polis degli ateniesi. Se vogliamo prendere sul
serio questa auto-attribuzione (come io faccio), allora ne
conseguono alcune cose. Primo, che il Socrate autentico non era
un sapiente di tipo pitagorico come il suo (indiretto) allievo
Platone, in quanto i sapienti di tipo pitagorico si aggregavano
abitualmente insieme in comunit politico-religiose, e non
andavano in giro a chiacchierare nell'agor con giovani e vari
sfaccendati. Secondo, che il Socrate autentico non era un
"nemico della democrazia", come la pigrizia storiografica lo
dipinge. Se infatti Socrate viene indagato con un metodo
ontologico-sociale, che lo collochi cio nel suo contesto
comunitario, l'attribuzione di "nemico della democrazia" a
Socrate non sta n in cielo n in terra. Esaminando il modo in
cui questa sciocchezza ha potuto sorgere, e tornando poi al
Socrate storico e non alla sua proiezione retroattiva
destoricizzata e desocializzata, potremo capire molte cose
preziose. Qui infatti la destoricizzazione e la desocializzazione,
nemiche dell'approccio storico-genetico ed ontologico-sociale,
celebrano i loro grotteschi trionfi.
Chi scrive non ritiene affatto di stare vivendo oggi in una
"democrazia". Volendo definire il dispotismo smisurato del
denaro che ci domina, e che militarmente garantito da un
impero armatissimo a legittimazione messianico-
veterotestamentaria (e quindi per nulla "greca"), lo definirei una
oligarchia finanziaria globalizzata che viene legittimata
periodicamente da plebisciti "pluralisti" ampiamente manipolati
(sondaggi, finanziamenti stratosferici ai politici "buoni" e
marginalizzazione diffamatoria dei "cattivi" da parte del circo
mediatico asservito, ecc.).
Volendo per giocare al gioco del politicamente corretto,
ipotizziamo che si tratti invece veramente di una "democrazia", e
vediamo allora con un metodo storico- contrastivo le differenze
con l'antico modello classico ateniese. Queste differenze non
stanno affatto - come scrisse nel 1819 Benjamin Constant - nel
fatto che la libert degli antichi sarebbe stata collettivistico-
comunitaria mentre quella dei "moderni" (cio dei ricchi: per lo
sfacciato Constant vigeva l'equazione Moderno = Ricco) avrebbe
avuto come suo fondamento il diritto assoluto di godersi le
proprie ricchezze senza rompiscatole giacobino-comunisti.
La differenza essenziale stava nel fatto che gli antichi, ignari
della fallacia naturalistica, del disincanto del mondo, del
politeismo dei valori, della separazione kantiana fra categorie
dell'essere e categorie del pensiero, della smentita delle grandi-
narrazioni, ecc., credevano in genere nell'esistenza del Bene, non
ancora definito in modo neoplatonico-cristiano ma
concettualizzato ancora in modo comunitario (Bene = Garanzia
del metron, oggetto della dike), e quindi non potevano
rassegnarsi alla semplice automaticit del principio numerico-
casuale di maggioranza. Senza aver ancora letto Joseph
Ratzinger, i Greci antichi sapevano perfettamente che la
semplice decisione politica (boulesis) fondata sul puro principio
di maggioranza equivaleva esattamente a ci che oggi viene
definito come "nichilismo" o come "relativismo".
Gorgia, ritenuto un sostenitore di entrambi, non era un
filosofo, ma un retore giudiziario, e quindi un avvocato. Nessuno
pu oggi sostenere seriamente che gli avvocati siano i titolari del
vero e del falso, visto che il loro mestiere consiste esattamente
nel far assolvere un criminale che ha strangolato un intero
caseggiato. In quanto a Protagora, ritenuto da molti superficiali
un "relativista", perch sosteneva che l'uomo era la misura di
tutte le cose, non era affatto un relativista, ma un normativista
antropologico (come Aristotele e Ratzinger, del resto), in quanto
partiva non da questo o da quell'uomo, ma proprio dal buon
vecchio concetto universale unitario di Uomo con la U
maiuscola, proprio il concetto che gli althusseriani amano come i
tori il panno rosso.
Socrate apparteneva a questo mondo, un mondo che credeva
che il Bene esistesse veramente, coincidesse con il Vero, non
fosse n relativo n convenzionale, ed appunto per questo
ronzava come un tafano nell'agor rompendo le scatole al nobile
cavallo della polis degli ateniesi. Niente pi stupido ed
anacronistico che rappresentarsi Socrate come un partecipante
habermasiano ad una tavola rotonda di professori universitari o
ad un pensionato perdigiorno. Erede della concezione
precedente di verit (vero ci che garantisce la riproduzione
comunitaria, falso ci che la mette in pericolo), cos come della
concezione precedente di giustizia (giusto ci che frena -
katechein - lo scatenamento dell'illimitato - apeiron - con
l'imposizione della giusta misura - metron), Socrate criticava la
democrazia ateniese dall'interno.
Non era quindi un "nemico della democrazia", se non per i
teorici del formalismo alla Kelsen-Bobbio per cui la democrazia
non pu essere definita in modo "sostanziale" a partire dai suoi
contenuti, ma soltanto in modo "formale" a partire dalle sue
procedure. Socrate era il pensatore meno "bobbiano" che sia mai
esistito, e chi non lo capisce non capisce proprio nulla.
Un insigne rappresentante di coloro che non capiscono nulla
di Socrate stato il pur volenteroso e benintenzionato professore
americano Stone, che ha riscritto in modo avvocatesco la famosa
Apologia di Socrate. Come noto, l'Apologia il discorso di
difesa che Socrate ha tenuto davanti alla foltissima giuria
popolare che poi lo condann a morte con il veleno "indolore"
della cicuta. Sulla competenza delle giurie popolari basterebbe
leggere le Vespe di Aristofane, ma nel caso di Socrate il processo
fu interamente "politico".
Formalmente, si trattava di due accuse, che Socrate defin la
vecchia accusa(quella di non credere agli di della polis) e la
nuova accusa (quella di corrompere i giovani con le sue
opinioni politiche antidemocratiche), ma in realt si trattava di
una "resa dei conti" politica contro coloro che avevano
collaborato direttamente con gli Spartani oppure contro coloro
che erano stati troppo "tiepidi" con l'occupazione (e Socrate, non
avendo fatto parte della giunta collaborazionista di Crizia,
poteva essere collocato nel secondo gruppo).
L'avvocato francese Vergs, esperto in processi politici, ha
spiegato in un'opera fondamentale che quando si di fronte ad
un processo politico si pu decidere se strisciare come vermi
chiedendo piet, decidere di attenersi unicamente ad un livello
procedurale formale, sfidare apertamente i giudici rivendicando
il proprio operato, oppure dichiararsi non-colpevole. Socrate si
difese da solo, e sostenne sostanzialmente di non essere
colpevole: non vero che non credeva negli di della polis, e non
vero che corrompeva i giovani; anzi, avrebbe dovuto ricevere
una pensione dallo Stato (mantenimento a vita nel Pritaneo,
ecc.). Con questa ultima richiesta imbestial i bizzosi pensionati
ateniesi, e fu condannato a morte. Rifiut l'offerta di scappare
(cfr, Critone) e pass le ultime ore prima di morire dissertando
sull'immortalit dell'anima in modo apertamente orfico-
pitagorico (e interpretato alcuni secoli dopo come precristiano).
Cos muore - aggiungo io - un patriota ateniese sincero, un
moscone della democrazia, un eroe comunitario. Altro che un
filosofo da bar o un "nemico della democrazia"!
Stone non ci capisce nulla, e riscrive l'intera Apologia,
sostenendo di aver trovato duemila anni dopo la giusta strategia
processuale con cui Socrate avrebbe potuto probabilmente
essere assolto. Riporto qui sommariamente la riscrittura
difensiva di Stone, perch si tratta di un vero capolavoro di
destoricizzazione e di desocializzazione integrale, che mostra gli
abissi tragicomici di ogni rifiuto dell'approccio ontologico-
sociale. Stone infatti afferma che Socrate non avrebbe dovuto
fare una difesa sostanzialistica, affermando di essere nel giusto
e cos irritando i pensionati ateniesi (Stone ha certamente in
mente le giurie dei telefilm tipo Perry Mason), ma avrebbe
dovuto fare un'arringa puramente formalistica, sostenendo
che ad Atene c'era il diritto astratto di dire tutto quello che uno
pensava (Stone traduce cos il termine greco parrhesia, che
significa invece sincerit, veridicit, diciamoci la verit, e non
invece diritto astratto di dire quello che uno vuole), e pertanto
anche lui aveva avuto il diritto di farlo. E quindi, perch
condannarlo a morte se si era limitato a fruire del diritto di dire
quello che pensava? Ed in quanto a quello che Socrate
veramente pensava. Stone gli attribuisce apertamente l'ostilit
verso la democrazia.
Non mi sarei soffermato tanto a lungo sul pittoresco
equivoco di Stone, se dietro a questo equivoco non ci fosse un
intero gigantesco complesso di fraintendimenti. In breve, la
distinzione fra il diritto formale di dire tutto quello che uno
pensa e l'eventuale contenuto di verit e di giustizia di quello
che uno dice - distinzione che Stone fa retroagire storicamente
fino a Socrate - non nasce prima del Settecento europeo, e nasce
appunto soltanto nel Settecento europeo perch con lo sviluppo
del modo di produzione capitalistico ci che uno dice diventa
interamente irrilevante, perch non "fonda" pi i presupposti
della convivenza comunitaria, fondata ormai sull'abitudine dello
scambio (David Hume, Adam Smith), e quindi, diventando
irrilevante, pu essere interamente liberalizzata.
Socrate era del tutto estraneo a questa situazione storico-
sociale, che pi tardi Lukcs nella sua Ontologia dell'Essere
Sociale definisce onnipotenza astratta e concreta impotenza. E
mai definizione fu pi esatta e geniale, in quanto l'onnipotenza
astratta di poter dire quel che si vuole (o quasi; si pu infatti
riempire di fango tutto, da Dio al comunismo al sesso maschile,
ma non discutere la problematica dell'olocausto ebraico) si
coniuga alla concreta impotenza di intervento sui meccanismi
anonimi della globalizzazione economica, dell'impoverimento e
della precariet sociali di massa, della distruzione ecologica del
pianeta, ed infine sui processi di istupidimento antropologico di
massa prodotti dalla sinergia di circo mediatico, pulsione
consumistica eccessiva e distruzione della scuola da parte delle
cavallette sindacalistiche e psico-pedagogiche di vario tipo.
Lasciamo stare il grande Socrate. Socrate, moscone della
democrazia, eroe del dialogo, credeva nella unit veritativa
delle categorie del pensiero con la giustizia comunitaria delle
categorie dell'essere sociale. Pensare che avrebbe potuto essere
invitato al ballo sociale dei relativisti significa non capire
assolutamente niente della Grecia antica.

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