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Filosofia e disabilit: spunti per una riflessione sullumanit

(quanto segue ha costituito il nucleo centrale di un lavoro analogo risalente a qualche anno fa e mai
pubblicato su QdB)
1. Introduzione.
Cerchi lo sguardo di chi sta di fronte a te, e non lo trovi. Cerchi di comunicare con lui, ma non parla.
Allora, cerchi di fare qualcosa che possa essere di gradimento ad entrambi, ma non ci riesci, non trovi
nulla che faccia al caso. Poi ti fermi a riflettere per un attimo e fai forse la pi grande scoperta della tua
vita: sino a poco tempo prima credevi che ce lavresti fatta, che saresti riuscito, e invece ti scopri
incapace. Sembra che sia proprio questo il punto: con orrore, ti accorgi di una limitazione, ti accorgi con
vergogna che la tua esistenza di persona capace soltanto una finzione, che tu e chi ti sta di fronte,
probabilmente con malavoglia, avete in comune molto pi di quanto tu possa anche soltanto
immaginare. Quando finalmente riesci ad incrociare il suo sguardo, ti perdi, ti senti perso, anneghi in
quegli occhi ma non vedi te stesso, vedi un altro. Ne ricavi una disagevole sensazione di straniamento,
ti senti a disagio, scopri che la tua efficienza tale solo in apparenza e che la vita umana molto pi
varia di quanto potevi anche solo pensare qualche tempo prima. Adesso che fai? Fuggi? Fai finta di
niente? Cerchi di eliminare chi standoti di fronte ti sfida, pone in questione le tue sicurezze? Oppure ti
poni un problema di non poco conto in merito al posto che occupano nellesistenza quelli come lui?
Che, poi, come dire quale posto occupi ciascun essere umano. Solo adesso assumono senso quelle
parole che avevi letto anni prima:
Se un bambino disabile viene immesso inaspettatamente in un gruppo di bambini, tutti lo guarderanno
dapprima con curiosit o stupore o sgomento, secondo linesorabilit dei punti di vista. Gli unici che
conserveranno unattenzione concentrata, una partecipazione ambigua e un occhio torbido saranno
quelli che cercano in lui uno specchio. Alcuni, avvinti quanto sopraffatti dalla paura di riconoscersi,
reagiranno addirittura con la fuga o laggressivit. Ma tornare il loro destino vischioso, la loro sconfitta
rassicurante
Ecco la sfida posta in essere allumanit dalla disabilit: fare i conti sino in fondo con la diversit, con
lalterit.
Specchiarsi negli occhi dei disabili, infatti, vuol dire fare esperienza della diversit. Vuol dire
immaginare anche solo per un attimo come sarebbero potute andare le cose. Vuol dire cogliere
intuitivamente quanto vi sia di bello e di beffardo nel mistero della vita.
In ogni caso, come nascere una seconda volta.
La disabilit
Intento del presente scritto esplorare i confini dellumano, riflettendo sul legame che vi tra la
concezione antropologica dei disabili, la tutela dei loro diritti e, infine, last but not least, giustificazione
religiosa del loro essere al mondo.
Per prima cosa occorre definire cosa sia la disabilit, e , successivamente, stabilire chi sia disabile, in
modo tale da prendere in considerazione tutti i suoi possibili effetti.
Si pone, pertanto, quasi spontaneamente, la questione di fondo: che cos la disabilit? Urge darne una
definizione il pi accurata possibile. Solo che, per poter parlare di qualcosa, per, bene cominciare
dallesperienza comune. Cos, quando si pronuncia la parola disabili, pi o meno, si possiede gi una
certa nozione in mente, e si associa tale parola, generalmente, a persone con limitata autonomia
personale, con carenze cognitive, comunicative, etc. Dunque, in prima approssimazione, sembra di
doversi intendere la disabilit come quella condizione, temporanea o definitiva, di limitate potenzialit
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e/o abilit. In merito, la nostra immaginazione pu sbizzarrirsi, passando dai vegetativi in un letto
dospedale ai deficienti che talvolta in colonna, e in abiti per nulla calzanti, attraversano le strade.
Questa, ovviamente, limpressione iniziale, quella attestata dal senso comune, buono sovente, ma non
nel caso presente.
Invece, la gamma delle disabilit, specie quelle che interessano la sfera cognitiva, possono trovare una
definizione rigorosamente diagnostica nel DSM-IV, Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders, il manuale diagnostico dei disordini mentali, codificato dalla North American Association of
Psichiatry. In esso, ci si basa su una nozione comunemente accettata di sviluppofisiologico delle
competenze cognitive, per descrivere linsieme dei possibili disturbi mentali, i quali, infatti, vengono
qualificati, per lappunto, nei termini di disordini, ossia degli esiti patologici nellevoluzione mentale
dei soggetti. Globalmente, muovendosi allinterno di una prospettiva di natura medica, la disabilit il
risultato di deviazioni patologiche dal normale sviluppo del soggetto.
Tuttavia, per quanto utile, e certamente interessante sotto molteplici punti di vista, tale approccio non
appare adeguato a render conto del fenomeno della disabilit, il quale mostra diverse sfaccettature.
Inoltre, concreto il rischio di ascriverlo ad un errato sviluppo cognitivo, il che non del tutto corretto,
oppure non esaurisce la questione. Infatti, sulla disabilit cognitiva possono incidere:
(1) fattoriambientalifattorigeneticifattorineonatali. In effetti, sul normale sviluppo delle facolt mentali
incidono rischi ambientali inerenti alla produzione di possibili danni permanenti o ad unerrata
alimentazione oppure ancora lesposizione ad agenti velenosi. Nella stessa misura possono concorrere
delezioni genetiche, apportatrici di danni cromosomici permanenti tali da impedire un normale sviluppo
del soggetto. Ancora, una gravidanza portata avanti nel miglior modo possibile non esente dal rischio
di complicazioni poco prima, e durante, il parto, e tali da porre in serio rischio lo sviluppo fisiologico
successivo delle competenze cognitive del nato. A tutto ci, in qualche misura, decisamente collegato
alla nascita dei soggetti, si dovrebbe aggiungere la possibilit di diventare disabili in un momento
qualsiasi della propria esistenza. Circostanza questa che non pu essere presa in considerazione da
un manuale che fa proprio un approccio medico alle disabilit. Per intenderci, vero che le
conseguenze di determinate malattie mentali possono generare situazioni di, per cos dire, limitazioni
temporanee o definitive delle proprie facolt mentali, ma la disabilit unaltra cosa.
A questo punto, allora, si deve aggiungere che il manuale diagnostico in oggetto venne codificato nel
1952 come risposta allInternational Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death,
presentato nel 1948 dallOrganizzazione Mondiale della SanitWorld Health Organization), e giunto
sino alla decima versione. Esso non altro che una classificazione dei principali disturbi che possono
qualificarsi come nocumento al normale sviluppo della personaumana. In genere, la classificazione si
basa sulleziologia del problema, ossia sulla malattiadifetto che, a sua volta, comporta uno svantaggio
del soggetto affetto rispetto agli altri. Essa, infatti, istituisce una tripartizione collegata tra
(a) menomazioneImpairment); (b) disabilitDisability); e, (c) handicap. Con menomazione sintende
una qualsiasi perdita o anormalit di una struttura o di una funzione, sul piano anatomico, fisiologico e
psicologico. Con disabilit sintende una limitazione o perdita della capacit di effettuare unattivit
nel modo o nei limiti considerati normali per un essere umano. Con handicap sintende una
situazione di svantaggio sociale, conseguente a menomazione e/o disabilit, che limita o impedisce
ladempimento di un ruolo normale per un dato individuo in funzione di et, sesso, fattori culturali e
sociali.
Sembra, allora, che proprio non si riesca a dare una definizione in positivo della disabilit, dicendo
cosa essa sia, e non soltanto cosa non sia. In questa accezione, infatti, essa viene sempre considerata
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come una patologia evolutiva del soggetto, un esito errato quanto indesiderabile nello sviluppo della
persona umana.
Trattandosi di una tripartizione fortemente connotata dalla nozione di malattia, nel 1999 lOMS lha
sostituita con lICF, International Classification of Functioning, Disability and
Health http://www.who.int/classifications/icf/en/), una classificazione giustamente definita, e
considerata, rivoluzionaria perch non guarda pi soltanto alleziologia medica, prendendo in
considerazione soltanto i limiti nello sviluppo del soggetto, ma perch considera
la condizionegeneraledivita del soggetto, puntando in tal modo su quel che egli riesce a fare, anzich
prendere a metro di giudizio quel che non riesce a fare. Cos la disabilit viene vista come il frutto
dinamico, non statico, dellinterazionesoggetto con un ambiente. In questo modo, infatti, la disabilit
giunge ad avvicinarsi al concetto inglese di handicap, ossia di maggior peso, di origine ambientale
e/o sociale, che grava sui soggetti, ostacolandone la vita regolare ed essendo di nocumento in tutte le
attivit quotidiane, cessando di essere un limite fisico in s del soggetto. Ci consente di distinguere
finalmente tra la disabilit e il disabile, tra la malattia e la persona portatrice.
Capacit, potenzialit, svantaggi
Dunque, sembra di capire come la situazione di svantaggio sia frutto di un ambiente non in grado di
accogliere la diversit di alcuni soggetti, di venire incontro ai loro bisogni speciali, colpevole di non
fare nulla per rimuovere le cause materiali della differenza. Di conseguenza, il soggetto in minor
grado, rispetto agli altri, di esprimere appieno le proprie capacit, cognitive e sociali, denotando di
conseguenza un minor numero di potenzialit. Esiste, pertanto, uninterazione dinamica tra le capacit
del soggetto, in relazione ad un ambiente adatto ed ospitale, le sue potenzialit future, in genere di
sviluppo ulteriore, e linsieme degli svantaggi di cui soffre. In ogni caso, sembra che debba essere cura
della societ la presa in carico di tali soggetti in maniera tale che se ne possano ridurre gli svantaggi.
A questo punto, sembra di aver raggiunto una definizione soddisfacente. Pertanto, la disabilit la
condizione, temporanea, come nel caso di gravi malattie o di gravi incidenti, o definitiva, di maggior
svantaggio di dati soggetti rispetto ad altri per via di un ambiente di vita che aumenta le difficolt,
anzich ridurle. Pertanto, quasi conseguentemente, il disabile colui che non incontra un ambiente
di vita favorevole al suo pieno sviluppo personale.
Tale definizione marca la differenza tra ICD e ICF: il primo considera definitiva, per quanti sforzi una
societ possa produrre, la condizione di svantaggio, indicando le vie che consentano di ridurre la
condizione di minorit, mentre la seconda considera la condizione di possibile nocumento allo sviluppo
personale come un frutto ambientale. La conseguenza che lhandicap va considerato non come la
malattia di alcuni, ma come una condizione di scarsa qualit della vita che interessa potenzialmente
ciascuno di noi. Come chiaramente si recentemente espresso il Comitato Nazionale di Bioetica:
la disabilit una caratteristica appartenente a tutto il genere umano[3]
Cos posta la questione, del tutto naturale che si sviluppi la riflessione seguente: cosa accade se una
societ si chiude sempre pi in s stessa? La risposta, per quanto amara, inevitabile: essa non terr
conto dei bisogni personali dei vari soggetti, diversi da caso a caso, e che vanno dalla normalit alla
specialit. Cosa comporta questo? Che, ancora una volta, i pi forti troveranno un ambiente a loro
adatto, e i pi deboli un ambiente ancor pi sfavorevole. Invece, sostiene Trisciuzzi:
lhandicappato non un fatto esterno alla societ, ma nasce dallesistenza di precisi modelli culturali
e sociali, e non la scienza che stabilisce il livello di gravit del danno, ma sempre la societ che ne
definisce i limiti, come pure fissa il grado del ricupero e quindi delleducabilit
Una sfida per la cultura, un impegno per la civilt, un costo per la giustizia
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La nascita di persone disabili, prima ancora, e pi, di quelle che lo diventano nel corso degli anni, ha
posto in essere anche la necessit di una teodicea che giustifichi la presenza dellerrore, se cos pu
chiamarsi, e quindi del male, cos come della sofferenza, nellordine della natura, un ordine che, per
lappunto, si ritiene razionale. I greci, infatti, cui si deve la filosofia, consideravano la natura sottoposta a
ferree leggi di natura che ne descrivevano un corso rigido e regolato. Tuttavia, anche se oggi le cose
non appaiono pi negli stessi termini, resta forte limpressione secondo la quale non sia possibile
considerare la disabilit la condizione normale della vita umana. Essa deve, pertanto, apparire come un
errore della natura che, di tanto in tanto, e per singoli notevolmente sfortunati, sbaglia nella
generazione di nuovi individui e produce infelicit. Il problema, ad esempio, da un punto di vista
teologico potrebbe essere quello di render conto della ragione per cui Dio permette che
nascano soggettidisabili. Una questione, invero, affrontata in passato, senza tuttavia trovare ad oggi
una formulazione del tutto soddisfacente. In genere, ma si tratta a ben vedere di un ragionamento che
si potrebbe benissimo generalizzare al ben pi vasto problema della presenza del male nel mondo
(malum mundi), sono tre le possibili risposte al problema, partendo dallassunto teista: (a) Dio non ha
alcun ruolo; (b) Dio lo vuole; (c) Dio non lo vuole. In breve:
1. Dio vuole che nascano bambini handicappati perch, mediante la loro nascita, vuole punire (o i loro
genitori o gli stessi bambini a causa di colpe commesse in una vita precedente); 2. Dio vuole che
nascano bambini handicappati, ma non per punire, bens per qualcosa daltro (insegnare, mettere alla
prova, salvare); 3. Dio non vuole che nascano bambini handicappati, ma c una libert della creazione
che egli rispetta [] 4. Dio non vuole che nascano bambini handicappati, ma, a livello naturale, non
pu assolutamente nulla[5]
Daltra parte, come non porsi il problema da un punto di vista teologico dato che Dio dice a Geremia:
Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato
Dio consacra i soggetti disabili in quanto vuole che nascano cos? Il problema, da un punto di vista
razionale, infatti, di difficile comprensione. Ed ancor pi se si pensa che una tale conclusione debba
essere accettata.
Daltra parte, sempre Dio fa dire allevangelista:
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio [] tutto stato fatto per mezzo di
lui, e senza di lui niente stato fatto di tutto ci che esiste
Verbo, ossia la seconda persona della Trinit, Ges il Cristo, il tramite tra Dio Padre e la Creazione.
In quanto tale Lgos, nella traduzione dei Settanta, Verbum nella vulgata latina,
insieme principioparola della Creazione. evidente limportanza del concetto greco adoperato, quello
di lgosprincipiodiscorsoragione, e che rende conto della difficolt a tradurre in un linguaggio
speculativo le verit di fede. Tuttavia, da sempre Dio parla agli uomini, a testimonianza del fatto che
nonostante le intrinseche debolezze umane, anche nel dare una veste linguistica accettabile alla
Rivelazione, la fede passa attraverso la comprensibilit umana, quella per lappunto che trova
espressione mediante il lgosragionevolezzaumana. Ma se la Creazione ha luogo attraverso il Lgos,
dunque in qualche maniera, per cos dire, razionale, come possono avere luogo le generazioni di
soggetti disabili? Forse che la razionalit creatrice talvolta fa errori? O che, per ragioni lontane
dallumana comprensione, la stessa sceglie di generare disabili? In questo si colloca il problema
teologico dei soggetti disabili: perch Dio rende possibile una simile generazione? E come mai a
maggior ragione se si pone mente al fatto che Dio cerca in tutti i modi di far partecipe luomo del Suo
progetto salvifico per il tramite della comprensione umana, di per s limitata? Ci spinge, ad esempio,
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Mancuso a ri-tratteggiare in profondit lo statuto della ricerca teologica, cercando di venire incontro alle
esigenze laiche:
linterlocutore principale di questo libro la coscienza laica, laica nel senso che ricerca la verit non per
appartenere a unistituzione, sia essa Chiesa, partito, movimento, centro sociale, ma per se stessa, la
verit in s e per s, la necessitas rationis
Come Mancuso riporta, alcune parole del famoso discorso tenuto da Benedetto XVI allUniversit di
Ratisbona suonano cos:
Non agire secondo ragione contrario alla natura di Dio, Agire contro la ragione in contraddizione
con la natura di Dio
Si sostiene, dunque, una teologia che cerca la ragione umana. Da questo punto di vista, pertanto,
com possibile lerrore creativo dei soggetti disabili? Forse, allora, che Dio fa differenze tra i suoi
figli? Se cos fosse, non corrisponderebbe affatto allimmagine di Dio buono che d suo Figlio per la
salvezza dellumanit, che si fa carne e muore come un uomo. Ma, forse, la risposta molto pi
semplice, per quanto meno attraente da un punto di vista razionale: la presenza della disabilit
dovrebbe mettere in grado di contemplare il, e di parteciparvi, mistero della vita
Daltra parte, in merito, la coscienza ebraica maggiormente esercitata di quella cristiana nel cercare
un senso alla sofferenza umana, soprattutto quando essa sia la pi ingiustificabile perch si abbatte
sullinnocente. Infatti, cos Giobbe conclude la sua odissea umana e teologica:
comprendo che tu puoi tutto e che nessuna cosa impossibile per te. Chi colui che, senza aver
scienza, pu oscurare il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a
me, che io non comprendo. Ascoltami e io parler, io tinterrogher e tu istruiscimi. Io ti conoscevo
per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perci mi ricredo e ne provo pentimento su polvere e
cenere
Paradossalmente il popolo veterotestamentario appare pi pronto ad affrontare, sulla base della propria
cultura millenaria, le problematiche etiche. Tuttavia, uninterpretazione teologica cristiana possibile
ottenerla. Infatti, scrive Mancuso:
Cristo accetta la sofferenza non per piegarla allincremento della propria vita, ma gratuitamente. la
sofferenza innocente, slegata cio dal nesso vita-morte. Tutti gli innocenti che soffrono entrano in
questa stessa dimensione, gli appartengono. Chi soffre di un dolore innocente entra in quella
dimensione dove Cristo entrato, va a toccare il nucleo del mistero che ci sovrasta e che ci contiene (e
che ci definisce), quel legame tra vita e morte che necessariamente crea sofferenza, perch solo la
sofferenza fa s che dalla vita che diviene morte nasca altra vita
Dunque, che risposta offre la teologia cristiana al problema dellhandicap? La risposta sembra essere la
seguente:
agli uomini, alcuni dei loro figli nascono cos perch essi sono liberi; ma liberi vuol dire fragili, esposti al
nulla. Lhandicap il prezzo che si paga a una creazione libera, lo stesso prezzo pagato dal Padre con
limmolazione del Figlio ab origine mundi
Cos come lassistenza alle persone disabili
una delle supreme attivit, forse la suprema in assoluto, che lamore umano conosca. Qui si manifesta
la completa gratuit, a volte non c neppure un sorriso in cambio, perch linteressato neppure in
grado di sorridere [] Qui si serve la vita, senza per questo produrre morte o sofferenza altrui. E lo si
pu fare perch, personalmente, ci si perde. Proprio come Dio nel suo rapporto col mondo. Con ci
si esce dal meccanismo governato dal principe di questo mondo, perch, semplicemente, si esce da
questo mondo
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Se Dio crea ogni creatura e ciascuna imago deiin visum dei, allora lesperienza della diversit, offerta
dal disabile, contemplazione del Volto divino. Si tratta certamente di sentieri interessanti e stimolanti,
ma che conducono troppo lontano dalla specificit del presente contributo.
Tornando al presente argomento, emerge come considerare i disabili delle persone abbia delle precise
conseguenze, umane e sociali. Infatti, nella misura in cui una comunit esiste perch esiste un suo
diritto (ibi ius, ibi societas), come corpus normativo, allora la societ deve assumersi la responsabilit di
tutelare, e difendere ove occorresse, i diritti di questa categoria sociale, e lo deve fare a maggior
ragione in quanto essa particolarmente esposta ai soprusi. Le societ umane si caratterizzano per
essere imperi del diritto, espressione di una civilt umana basata sui valori universali, e condivisi, di
giustizia e rispetto.
La considerazione della presenza di diritti, in altri termini, comporta che la societ prenda sul
serio tali diritti, e si regoli di conseguenza senza tentennamenti e/o ostruzionismiNella misura in cui il
disabile colui che vive una esistenza limitata a causa di un ambiente non adatto ai suoi bisogni
particolari, gioco forza riconoscere, come proprio, compito di una societ assicurargli il rispetto dei
suoi dirittisoggettivi, diritti, per definizione, non disponibili alla contrattazione, e che gli spettano in
funzione del riconoscimento della sua particolare condizione, la quale, per, va considerata non la
causa di una possibile discriminazione, quanto, piuttosto, lilluminazione della presenza di ben precisi
bisogni speciali. Se ci viene fatto, allora possibile riscattarne limmagine e la considerazione in
seno al medesimo consesso civile. Ci si lagna, per, generalmente, per via di un ben noto malcostume
italico, che le tasse siano troppo alte, e che sarebbe bene ridurle. Ma ridurre la spesa vuol dire anche
ridurre i servizi, proprio quel terzo settore di vitale esigenza per le persone disabili. Tale atteggiamento
trova oggi il destro di una crisi economica la quale, ormai, serve a giustificare qualsivoglia decisione
politica e/o governativa, presa allinsegna del risparmio. Tuttavia, in tutti questi casi si trascura un fatto
semplice e conseguente: i diritti, a dispetto di quanto comunemente si possa pensare, non sono
gratuiti, hanno un costo. Ecco, allora, una conseguenza alla quale bene che ci abituiamo, vista la
piega morale, nel senso di costume, assunta a livello continentale: me ne frego dei bisogni altrui,
minteressano le mie tasche.Infatti, nella misura in cui prevale legoismo contributivo ci saranno alla
fine meno diritti per tutti. Solo che in questo caso il tutti vuol dire che i pi deboli pagheranno il prezzo
maggiore. Motivi di preoccupazione, al riguardo, suscita la recente politica federalista, ove lerogazione
dei servizi verr agganciata alla risorse prodotte dal medesimo territorio. Molto brevemente, ci
significher che le persone disabili, in certi casi, saranno doppiamente sfortunate: da un lato, nascono e
vivono con ulteriori ostacoli al completo sviluppo della loro personalit, e, dallaltro lato, hanno anche la
sfortuna di vivere in un territorio privo di risorse adeguate a garantire loro servizi essenziali. Ci basta a
criticare lottimismo di Bobbio: la tendenza attuale contraria alla direzione di progressiva estensione
dei diritti[15].
Trattare adeguatamente le persone disabili equivale a dare concreta realizzazione
alla mission umanistica: dare corso a quel che sviluppa la personalit umana in tutti si suoi aspetti,
anche in quelli che possono apparire poco nobili e/o degradanti ai nostri occhi.
Ci vuol dire che, per quanto la persecuzione dei diritti abbia un costo economico, dare corso alla
giustizia non ha prezzo in quanto essa un bene non disponibile alla contrattazione, ossia al cosiddetto
valore economico.
Altrimenti, cosa si potrebbe rispondere ad una madre che, sconsolata, chiede cosa dovremmo fare
allora con i nostri figli? Portarli nelle camere a gas?.
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Daltra parte, il nesso tra la disabilit e la societ , come visto, molto marcato. Infatti, la prima una
conseguenza della seconda nei casi in cui questultima non tiene conto della diversit, e non fa nulla
per aiutare i pi deboli.
anche vero, comunque, e ci a riprova degli esiti raggiunti nella presente ricognizione, che una
societ umana si caratterizza proprio per la sua vita culturale, la quale, per intenderci, ha una direzione
diametralmente opposta al principio biologico della lotta per la sopravvivenza, detto anche del gene
egoista, che fa primeggiare la mera forza fisica e che, altrettanto chiaramente, non ha nulla a che fare
con i principi di giustizia.
(immagine tratta da: http://www.disabiliforum.com/prodotti/img/Misure_disabile.bmp)
[1] Cfr. G. Pontiggia, Nati due volte, Blibliotex, Barcellona, 2002, pp. 35 6.
[2] Cfr. A. Canevaro, Pedagogia speciale. La riduzione dellhandicap, Paravia Bruno Mondatori, Milano,
1999, p. 13 e sgg.
[3] Cfr. Comitato Nazionale di Bioetica, Bioetica e riabilitazione, Roma, 17 Marzo 2006, p. 7.
[4] Cfr. L. Trisciuzzi, Manuale di didattica per lhandicap, Laterza, Roma Bari, 20045, p. 228.
[5] Cfr. V. Mancuso, Il dolore innocente. Lhandicap, la natura, Dio, Mondadori, Milano, 2008, pp. 41
42.
[6] Ger 1, 5.
[7] Gv, 1, 1 3.
[8] Cfr. V. Mancuso, Lanima e il suo destino, Raffaello Cortina, Milano, 2007, p. 9.
[9] Ivi, pp. 33 4.
[10] Gb, 42, 1 6.
[11] Cfr. V. Mancuso, Il dolore innocentecit., p. 187.
[12] Ivi, p. 209.
Ibidem.
[14] Cfr. R. DworkinTaking Rights Seriously, Duckworth, London, 1977, p. 205: if the government does
not take rights seriously, then it does not take law seriously either.
[15] Cfr. N. Bobbio, Let dei diritti, Einaudi, Torino, 1992.
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