Emilio Komar
Incontro con una delle personalità più acute della filosofia contemporanea.La riscoperta di un grande
uomo dimenticato dall'integralismo di tutti gli “antintegralisti”.
L'idealismo e la sua mancanza di rispetto per la realtà: un esito nichilista che annulla
l'io umano.
Lei si definisce «realista cristiano». Perché sente la necessità di accostare questi due
termini?
Ci pare che questa sua risposta riveli un certo pessimismo verso la filosofia cattolica
contemporanea...
Nel culturalismo di molti pensatori cattolici; e nel culturalismo c'è l'idealismo. Non
penetrano veramente la realtà, hanno ceduto alle esigenze di Kant.
Poco fa ha detto che il pensiero idealista finisce nel nulla. Perché questo esito
nichilista?
«Deus eduxit res ex nihilo», dice San Tommaso, Dio ha tratto il mondo dal nulla. Se
non ci fosse una forza, un bene, un essere pieno che esiste da sempre e per sempre,
l'unica alternativa sarebbe che le cose si siano tratte da sole. L'essere sarebbe il
passaggio in un viaggio che va dal nulla al nulla. Il nichilismo moderno è la necessaria
conseguenza di questa impostazione che si trova alla radice dello stesso idealismo. Ma
noi non possiamo fare niente dal nulla, noi siamo solo collaboratori di Dio alla
creazione del mondo. Chesterton è stato tra i pochi che hanno sottolineato la grande
importanza della concezione della creazione nel pensiero di san Tommaso.
Anche nella Chiesa il tema della creazione non è trattato con molta frequenza; si è perso
lo stesso sentimento di essere creature. Il cardinale Ratzinger, quando era arcivescovo
di Monaco, ha dedicato le sue prime prediche di Quaresima a questo tema, spiegando
come l'idea di creazione sia fondamentale per la comprensione dell'ordine delle cose.
In una sua recente conferenza lei ha tracciato una distinzione tra due tipi di idealismo:
uno “più innocente” che si risolve in panteismo, ed un secondo, “più insidioso”, che ha
assimilato al marxismo materialista.
No, non è esatto, di materia nel marxismo non si parla. Si parla di materiali, di materia
prima da plasmare, deformare, usare. Non rispetta, questo marxismo, l'ordine intrinseco
dell'oggetto. Direi che una caratteristica che stupisce leggendo i libri dei marxisti è che
in essi, pur trattandosi di libri materialisti, non ci sia mai un capitolo che parli della
materia; vi si trova solo l'attivismo, che ha come unico scopo quello di trasformare, e
che davanti ad una cosa può porsi solo l'interrogativo: «Che farne?»! Immaginate una
persona a cui regalano una statua di legno bella e preziosa e che dice: «Che bella statua,
si potrebbero farne duemila stuzzicadenti». Questo è un esempio di come oggi la
materia non sia più compresa e conosciuta, e come accada che tutto l'essere sia privato
della sua originaria impronta.
Il marxismo è finito come sistema, ma non si sono esauriti gli elementi che lo
compongono. Il cosiddetto pensiero dialettico, per esempio: dialettico significa
antidialogo e ciò postula una assenza di soggetti. La dialettica nega l'esistenza di enti
particolari, li riduce a momenti di un processo. In questo senso il marxismo si è dissolto
disseminandosi. Ha conquistato il mondo in forma impura, attraverso il positivismo.
Quando lei parla della realtà, della creazione, è come se queste fossero una rivelazione
continua...
Lo sono. La realtà, le cose, non possono essere prese come semplici fatti; c'è in esse una
profondità irriducibile. Come dietro le opere d'arte c'è un artista, qualcuno che le ha
sentite, amate e progettate, così le cose sono già state pensate. Pensate, volute e amate.
Quando dice che ci sono programmi educativi, anche cattolici, deludenti, a che cosa si
riferisce? Dove lo vede?
Appunto nel fatto che è assente una educazione all'attenzione. Primeggia la prassi.
Persino in teologia. Mentre la vera conoscenza si deve occupare della verità che sta
nelle cose, che è la reale presenza di un Altro. E questo concetto di conoscenza era
quello che, almeno inizialmente, Husserl voleva attuare: un vero ritorno alle cose.
Anche un pensatore di un altra cultura come Ortega y Gasset esprime l'esigenza di
tornare alla realtà. Così, un pezzo di essere può aprirci il cammino verso l'essere pieno,
come può chiuderlo. Bisogna tener fermo questo punto di vista perchè una educazione
possa essere considerata tale.
Le università pubbliche, statali, sono dominate dal pensiero positivista, in certi casi da
un positivismo della peggior specie. Vale la pena, per un cattolico, contendere questi
spazi, tentare cose diverse?
È sempre giusto, prima, imparare ciò che viene insegnato e dare esami... anche non
credendoci. Così lo si conosce, questo positivismo a volte dozzinale. C'è anche da dire
che non tutti sono positivisti, anzi la maggioranza è culturalista. Si studia filosofia come
si studia storia della letteratura, si riuniscono informazioni, ma non si parla delle
“cose”. Il pathos filosofico, del resto, lo può dare solo uno che ce l'ha. A Torino
seguivo un salesiano, Giuseppe Gemmellaro, siciliano, allora giovane decano della
facoltà di filosofia del Pontificio ateneo salesiano. Quest'uomo mi caricava le batterie
per settimane, perché quando apriva la bocca “filosofava” veramente. Lo stesso
facevano Gentile e Sciacca. La loro era una filosofia forte. Anche Mazzantini
filosofava; lo faceva in modo pacato. Nelle conferenze parlava in una maniera quasi
monotona, foneticamente intendo; ma il pensiero non era monotono. In un momento
dell'esposizione era capace di alzare la voce ed esclamare: «Ma in questo, signori,
siamo tutti greci!», e stare in silenzio alcuni secondi. E noi ci rendevamo facilmente
conto che la pensavamo in modo sbagliato. Oppure diceva: «Per essere benevolmente
critici, bisogna prima essere criticamente benevoli». Così arrivava a noi...
È una questione lunga, un po' il lavoro di tutta la mia vita. Devo comunque ricordare
una coincidenza importante per me, la scoperta di un pensatore polacco, Stefano
Swiezaski, che scrisse, tra le altre cose, una storia della filosofia del secolo XV in sette
volumi, purtroppo in polacco. Con lui ho avuto un contatto assolutamente casuale.
Venne ad un congresso di filosofia cristiana a Cordoba, al quale non potei partecipare
perché ero relatore ad un altro congresso. Andarono invece alcuni miei alunni, i quali,
ascoltandolo, si guardarono tra loro sorridendo. La cosa lo infastidì ed essi gliene
spiegarono la ragione. «Le stesse cose - gli dissero - ce le aveva insegnate lo scorso
mese il professor Komar». Lui volle sapere chi fossi. La cosa si ripeté nel corso di un
seminario nella località di San Isidro, dove lo invitarono a parlare di Pico della
Mirandola, su cui anch'io avevo fatto lezione. Stessa scena di Cordoba. Pensò di
dovermi incontrare, ma l'incontro, per varie ragioni, non poté aver luogo. Mi mandò un
bigliettino invitandomi a scrivergli a Varsavia. Lo feci, mi inviò i suoi libri, ed
iniziammo un carteggio entusiasmante. Quando la sua opera verrà pubblicata in una
lingua più accessibile ribalterà molte cose.
Noi siamo stati tutti clienti della storiografia liberale che è ispirata in parte a Leibniz e
in parte a Hegel e ai suoi discepoli, e noi la ripetevamo con qualche riferimento
cattolico, con una spruzzata di acqua benedetta e alcuni santini di don Bosco. Questa
era la storia cattolica della filosofia moderna. Ma dentro aveva una tremenda tesi di
origine liberale...
Questo nucleo “liberale” non è stato ancora contestato a fondo da parte cattolica?
Può precisare questo punto, che ha attribuito a Del Noce, che cioè dietro questa
concezione di moderno/antimoderno c'è un errore storico-cultural-politico?
Per Del Noce il tema centrale è quello dell'interpretazione storica del fascismo. Per lui
il fascismo non è integrista, ma è rivoluzionario, è una forma occidentale del marxismo,
dell'idealismo che afferma la supremazia della prassi. In questo senso la polemica
italiana è una polemica di importanza universale. Gentile è il primo autore che prende
sul serio le tesi su Feuerbach. L'ultima tesi, l'undicesima, afferma che fino ad ora la
filosofia ha interpretato il mondo, ma da ora in poi lo creerà. La filosofia che crea e
trasforma il mondo rende inutile la contemplazione dell'essere.