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REGIONE LOMBARDIA VIII LEGISLATURA

CONSIGLIO REGIONALE ATTI 1164

PROGETTO DI LEGGE N. 0063


di iniziativa dei Consiglieri
Benigni, Cipriano, Civati, Mirabelli, Oriani, Pizzetti, Porcari,
Squassina, A., Tosi, Valmaggi, Viotto, Concordati

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Norme sulla disciplina delle reti e degli impianti per la distribuzione del gas.
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PRESENTATO IL 20/07/2005

ASSEGNATO IN DATA 01/08/2005


ALLE COMMISSIONI REFERENTE VI
RELAZIONE

Il comma 7 dell’articolo 113 del D. Lgs. 267/00, così come modificato dall’art. 35 della
legge 448/01, prevedeva: «La gara di cui al comma 5 (per l’assegnazione del servizio
ndr) è indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa
distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o,
in mancanza di essa, dagli enti locali. La gara è aggiudicata sulla base del migliore
livello di qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio,
dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti,
per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e
gestionale. Tali elementi fanno parte integrante del contratto di servizio».
Il secondo ed il terzo periodo di tale disposizione sono stati dichiarati incostituzionali
dalla sentenza della Corte Costituzionale 27/07/2004, n. 272. «L’estremo dettaglio con
cui vengono prescritti, con tecnica auto-applicativa, i vari criteri in base ai quali la gara
viene aggiudicata» -scrive la Corte- «senza peraltro prendere in considerazione ulteriori
requisiti dell’aspirante, quali, ad esempio, precedenti esperienze di gestione nel settore,
va al di là della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara, che
peraltro appaiono sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione, nella prima
parte del comma, di una serie di standard -coerenti con quelli contenuti nella direttiva
2004/18/CE - nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed aggiudicata.
È evidente quindi che la norma in esame, prescrivendo che deve considerarsi integrativa
delle discipline settoriali di fonte regionale la disposizione estremamente dettagliata ed
auto-applicativa di cui al citato art. 113, comma 7, pone in essere una illegittima
compressione dell’autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non
proporzionato rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza l’intervento legislativo
statale».
L’articolo 14, comma 6, del D. Lgs. 164/00, in tema di assegnazione del servizio di
distribuzione del gas, recita: «Nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi,
ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza, la gara è aggiudicata sulla
base delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, del livello di
qualità e sicurezza, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle
reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di
innovazione tecnologica e gestionale presentati dalle imprese concorrenti. Tali elementi
fanno parte integrante del contratto di servizio».
Come si vede, tale disposizione è - di fatto - identica a quella dichiarata incostituzionale,
per illegittima compressione dell’autonomia legislativa regionale.
Se così è, esistono dunque le condizioni per un intervento legislativo regionale che
consenta (non obblighi) l’estromissione dal perimetro della gara per l’affidamento del
servizio di distribuzione gas, lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti,
nonché il loro rinnovo e la loro manutenzione straordinaria.
Le ragioni che suffragano l’opportunità di estromettere dal perimetro delle gare lo
sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, nonché il loro rinnovo e la loro
manutenzione straordinaria, sono state ampiamente motivate nella relazione
accompagnatoria al PDL regionale di riordino complessivo dei servizi pubblici locali,
presentato dal centro-sinistra la scorsa legislatura (e i cui principi ispiratori, sul punto in
questione, sono stati peraltro recepiti dalla L.R. 26/03).
Come noto, L.R. 26/03 di «disciplina dei servizi locali di interesse economico
generale», all’articolo 2, prevede che -di norma- la gestione delle reti e degli impianti
spetti «ai proprietari degli stessi». Fermo restando l’obbligo, per questi, di applicare «la
normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti e di lavori pubblici e di servizi
allorché, per l’attività di gestione delle proprie reti ed impianti, intendano avvalersi, in
tutto o in parte, di soggetti terzi ai sensi di tale normativa».
Circa il regime di proprietà delle reti e degli impianti, la menzionata legge regionale
prevede che «gli enti locali non possono cederne la proprietà; possono, tuttavia,
conferire tale proprietà, anche in forma associata, a società di capitali con la
partecipazione totalitaria di capitale pubblico, ovvero a società pubbliche
necessariamente maggioritarie, i cui soci portatori del capitale di minoranza siano scelti
con procedura aperta e ad evidenza pubblica».
Quanto al perimetro di riferimento dell’attività di gestione delle reti e degli impianti, la
medesima legge stabilisce, infine, che: «la gestione comprende la realizzazione degli
investimenti infrastrutturali destinati all’ampliamento e potenziamento di reti e impianti,
nonché gli interventi di ristrutturazione e valorizzazione necessari per adeguarne nel
tempo le caratteristiche funzionali»;
L’Autorità Garante della Concorrenza, d’altro canto, ha più volte evidenziato le
inefficienze e la scarsa propensione agli investimenti risultanti dalla ripartizione delle
responsabilità che la separazione tra proprietà e gestione implica.
Il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale, peraltro, non era né un gestore
selezionato con gara, né un gestore a tempo determinato. La gestione della rete, in tal
senso, non era “precaria”.
Ebbene, non potrà allora sfuggire come il problema della scarsa propensione agli
investimenti, derivante dalla cesura fra proprietà e gestione straordinaria
dell’infrastruttura, raggiunga il punto di massima tensione, allorché tale separazione
viene innescata dal meccanismo ciclico delle gare per la selezione periodica del gestore
(non proprietario) della rete.
Il proprietario non investe poiché non coinvolto nei benefici derivanti dall’eventuale
aumento di produttività della gestione; il gestore, viceversa, non investe nel medio
lungo periodo su beni non propri, gestiti - per giunta - a scadenza.
È dimostrato inoltre come la curva degli investimenti decresca all’approssimarsi del
periodo di scadenza dell’affidamento, così come, più in generale, il tasso di propensione
agli investimenti e all’innovazione si presenta ridotto in tutte quelle situazioni dove
esiste il rischio latente di interruzioni drastiche del possibile prosieguo di una
determinata attività.
La diarchia forzosa di proprietà e gestione (a tempo) delle infrastrutture, insita
indissolubilmente nel regime delle gare, alle inefficienze e alla scarsa propensione agli
investimenti, aggiunge ulteriori effetti negativi:
maggiori oneri per l’utente finale, derivanti: a) dai costi di contrattualizzazione dei
rapporti fra proprietario e gestore, nonché dei rapporti fra gestore uscente ed eventuale
gestore entrante, post gara; b) dagli ulteriori costi rivenienti dal sicuro contenzioso
suscitato dai complicati meccanismi di regolazione dei rapporti appena menzionati; c)
dai piani di ammortamento del gestore, basati di massima sulla durata dell’affidamento,
e quindi più accelerati rispetto a quelli del proprietario, calcolati invece sulla più lunga
vita residua del bene;
disincentivazione al finanziamento delle opere. Una delle priorità strategiche del Paese
sono gli investimenti nel settore delle infrastrutture, per la realizzazione delle quali
occorre facilitare in ogni modo l’attivazione di ogni potenziale fonte di finanziamento.
Separando proprietà e gestione (soprattutto straordinaria) delle reti come di qualsiasi
altro bene immobile, pare abbastanza evidente come le possibili occasioni di
finanziamento vengano ridotte, piuttosto che favorite.
I sostenitori dei modelli basati sulla dualità di proprietà e gestione, e le disposizioni di
legge che tali modelli recepiscono (vedi appunto art. 14 del D. Lgs. 164/00), prevedono
che gli investimenti funzionali al potenziamento e allo sviluppo della rete siano di
pertinenza del gestore temporaneo della medesima.
Ecco, tale logica -come detto- non solo ribalta la regola consolidata che vuole che gli
interventi straordinari siano eseguiti dal proprietario della casa invece che dall’inquilino
in affitto, essa dimentica, invero, un altro dato evidente: e cioè che il sistema creditizio
sarà sempre più propenso concedere un prestito per la ristrutturazione a chi è
proprietario di un immobile, piuttosto che a chi proprietario non è.
L’impostazione basata sul rinnovo ciclico della gestione, separata dalla proprietà,
dimentica - inoltre - le difficoltà del sistema creditizio ad accettare finanziamenti di
interventi pluriennali, nel corso del rimborso dei quali, il gestore originariamente
finanziato può essere sostituito da un altro.
Insistere sulla scissione fra proprietà e gestione, attribuendo gli investimenti al “nudo”
gestore, significa -in termini più scientifici- porsi in netta antitesi con le indicazioni
contenute negli accordi internazionali di Basilea 2. I quali -come noto- hanno introdotto
una profonda svolta nel sistema bancario europeo, codificando una metodologia di
concessione del credito, basata su coefficienti standard di rating, attribuiti a ciascuna
impresa in proporzione al relativo grado di patrimonializzazione.
Da questo punto di vista, è evidente come, per gli effetti di Basilea 2, il “nudo” gestore
si trovi in una posizione patrimoniale nettamente svantaggiata, rispetto al gestore che è
anche proprietario della rete.
Scindere proprietà e gestione, attribuendo al gestore il compito degli investimenti
sull’infrastruttura, significa -dunque - portare il soggetto chiamato ad investire nella
posizione meno adatta per poter finanziare a prestito gli investimenti di lungo periodo
che gli si chiedono di fare.
In prospettiva della vigenza delle regole di Basilea 2, il mero gestore, oltre a trovare con
estrema difficoltà istituti di credito disposti a finanziarlo nel lungo termine, attingerà
alla provvista di debito messagli a disposizione a condizioni certamente penalizzanti.
La scarsa capitalizzazione delle società di gestione prive della proprietà degli assets
gestiti - infine - renderà loro estremamente problematico anche l’accesso a quello che
potrebbe essere il secondo possibile canale di finanziamento, alternativo alle banche:
ovverosia, l’emissione di prestiti obbligazionari oppure l’approdo in Borsa.
La L.R. 26/03 privilegia la concentrazione di proprietà e gestione delle reti in capo alle
imprese esistenti, in un orizzonte di stabilità e certezza, emancipandole dalla
conduzione ad orologeria delle infrastrutture impiantistiche e dagli steccati gestionali
preconfezionati con gara.
L’obiettivo insito nella legge è la formazione di aggregazioni vere, basate su effettive
logiche industriali e su programmi di investimento di lungo periodo, e non invece come
escamotage per avere transitoriamente qualche anno in più di gestione.
Lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, nonché il loro rinnovo e la
loro manutenzione straordinaria, coinvolgono -per necessità di cose- ingenti (se non
ingentissime) risorse finanziarie, per periodi di tempo anche molto dilatati, e con
remunerazione degli investimenti parimenti dilatata.
Inserire nel perimetro della gara l’esecuzione di tali opere implica, di conseguenza,
restringere il campo dei potenziali competitor a quel solo esiguo numero di operatori di
settore oggi dotati di sufficienti strutture patrimoniali e idonee capacità finanziarie,
portando la fase competitiva in una non certo auspicabile situazione di oligopolio.
Platea di potenziali competitori destinata vieppiù a restringersi, in misura tanto più
consistente quanto più elevata sarà l’estensione delle reti o la mole degli impianti, la cui
gestione (comprensiva di quella straordinaria) è messa a gara.
Anche da questo punto di vista, quindi, più viene a realizzarsi l’aggregazione nella
gestione delle reti, meno il regime della gara per la loro gestione (comprensiva di quella
straordinaria) diventa -in prospettiva- plausibile.
Anche se foriero di alcuni aspetti problematici - si potrebbe controribattere - il regime
delle gare rimane, nondimeno, l’unico strumento a disposizione per superare il nanismo
industriale e la parcellizzazione degli attuali soggetti gestori.
In un contesto di scarsità di risorse e in ambito -come quello afferente alla gestione delle
reti- dove le entrate, derivanti da tariffa, sono un termine dato e non una variabile
dipendente dalla volontà del gestore, il contenimento dei costi e il raggiungimento di
economie di scala e di scopo rimangono obiettivi ineluttabili tanto quanto in un regime
di competizione classica.
La leva tariffaria, improntata alla remunerazione dei fattori della produzione sulla base
di prefissati standard di elevata efficienza, può costituire un propellente per
l’aggregazione, almeno tanto efficace quanto un regime di concorrenza “per” il mercato.
Non vi è competizione in tema di polizia locale, eppure, dati i vincoli di bilancio dei
Comuni, a fronte di costi crescenti del servizio, o si aumentano le tasse, oppure si
assiste alla proliferazione spontanea di consorzi sovra comunali per l’esercizio
congiunto del controllo del territorio.
Il processo di riunificazione fra proprietà e gestione delle reti e degli impianti destinati
all’esercizio dei servizi pubblici locali, così come concepito dalla L.R. 26/03, evidenzia
un ultimo elemento di estremo interesse.
Nel momento in cui la gestione della rete di trasmissione elettrica nazionale è stata
ricondotta in capo al proprietario della stessa, il legislatore nazionale non si è
minimamente peritato di chiedersi a che titolo il proprietario gestisse l’infrastruttura in
oggetto; né -tanto meno- il proprietario della rete è stato in qualche modo concepito
come l’affidatario della gestione del bene.
È stato semplicemente dato per scontato, ciò che nella vita di tutti i giorni viene dato per
scontato. Ossia, che l’essere legittimi proprietari di un bene, implichi anche la facoltà di
usarlo e gestirlo (che la facoltà di usare e gestire un bene sia insita nel diritto di
proprietà su di esso).
Il proprietario della rete, in quanto tale, gestisce il proprio bene.
Che il proprietario debba avere, prima di ogni altro, il potere di usare e gestire ciò che
gli appartiene, costituisce, d’altronde, la regola base di un’economia di mercato, la dove
la possibilità per un terzo di gestire un bene altrui costituisce sempre l’eccezione.
Sotto questo profilo, il diritto del legittimo proprietario di provvedere (quantomeno)
all’ampliamento e al potenziamento delle proprie reti ed impianti, e di eseguire tutti gli
interventi di ristrutturazione e valorizzazione necessari per adeguarne nel tempo le
caratteristiche funzionali, non solo non incide in alcun modo sui principi comunitari in
materia di libera circolazione dei capitali e dei servizi, ma anzi, ne costituisce - se mai -
il presupposto necessario, senza il quale non si potrebbe avere né un’economia di
mercato né una libera circolazione dei capitali e dei servizi.
Si constata - invece - come tale regola base sia stata più volte ribaltata nella logica dal
legislatore nazionale, la dove si è posto mano alla disciplina delle reti dedicate
all’erogazione dei servizi pubblici di valenza locale, collegando la legittimazione alla
gestione di tali reti sempre e comunque ad un atto di affidamento (diretto, previa gara
ovvero “in house”), senza mai pensare che detta legittimazione potesse derivare -prima
di ogni altra cosa- dall’esercizio del diritto proprietà su di esse.
Nessuna Direttiva comunitaria e nessuna delle recenti riforme dei vari servizi pubblici
locali ha mai messo in dubbio il fatto che le reti deputate all’erogazione di tali servizi
potessero essere di proprietà degli enti locali.
Anzi, in alcuni casi -per esempio quello della distribuzione del gas- ove la disponibilità
della rete locale si sia persa, si è imposto ai Comuni il complicato onere di ritornarne in
possesso.
Detto questo, se gli enti locali decidono di conferire la proprietà di una rete o di un
impianto ad una loro società, ciò che è profondamente sbagliato è lasciare intendere che
tale società gestisca gli assets conferitile in virtù di un qualsivoglia atto di affidamento.
Come ricordato, in un sistema capitalistico, tale società ha il diritto di gestire i beni
conferitile in quanto proprietaria degli stessi, senza la necessità di alcun tipo di
affidamento, senza scadenze, fuori da ogni logica transitoria e, soprattutto, senza il
rischio che un giorno qualcuno possa contestarle la legittimità della gestione in essere.
A meno che non si voglia sostenere che l’Unione Europea vieti al proprietario di
utilizzare una cosa sua, o che il proprietario gestendo un proprio bene violi la normativa
comunitaria in tema di libera concorrenza.
Obbligare il proprietario a metter in gara lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli
impianti, nonché il loro rinnovo e manutenzione, nei fatti, altro non significa che
confezionare un surrettizio provvedimento d’esproprio, in esatta antitesi con i principi
base dell’economia di mercato, nel nome del cui sviluppo e tutela -ci mancherebbe- si
dice invece agire.
In altre parole, se si ritiene (sia nel diritto comunitario, sia in quello interno) che gli enti
locali, o lo Stato, possano essere -anzi, debbano essere- i proprietari delle reti e degli
impianti; se, insomma, si ritiene che lo Stato o gli enti locali abbiano titolo per essere i
proprietari delle reti e degli impianti destinati all’erogazione dei servizi, allora non si
capisce per quale ragione tali enti (o le società di tali enti proprietarie delle reti) non
debbano avere anche titolo per gestire i loro assets.
Oltre ad essere in antitesi con i principi che stanno alla base dell’economia di libero
mercato che si invoca, continuare ad incentrare prioritariamente il tema dello sviluppo e
del rinnovo delle reti e delle infrastrutture, anziché sulla certezza della proprietà,
sull’istituto dell’affidamento (qualsiasi configurazione esso assuma), porta con se
un’ultima conseguenza negativa.
Quella di lasciare il delicatissimo tema dello sviluppo e della valorizzazione delle reti
troppo esposto al rischio di continui ricorsi in ordine alla verifica della legittimità di
ciascun singolo affidamento.
Ciò che sta puntualmente avvenendo e che era sin troppo facile prevedere, lasciando la
materia degli investimenti infrastrutturali nella peggiore delle situazioni possibili:
l’incertezza e le aule dei Tribunali amministrativi.
Come ricordato in apertura, il PDL in oggetto non vieta che lo sviluppo e il
potenziamento delle reti e degli impianti di distribuzione gas, nonché il loro rinnovo e la
loro manutenzione straordinaria, possa essere affidata a terzi dal proprietario tramite
gara.
Ciò che si vuole evitare, per le ragioni sopra esposte, è che la scissione fra proprietà e
sviluppo, potenziamento e manutenzione straordinaria delle reti e degli impianti di
distribuzione gas sia l’intangibile regola d’obbligo, valida ovunque e comunque.
Articolo 1 – Norme sulle discipline delle reti e degli impianti per la distribuzione
del gas
“All’articolo 33 della Legge Regionale 26/03 sono aggiunti i seguenti commi:
Comma 4: «Nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa
distribuzione sul territorio e di sicurezza, la gara di cui al comma 1 dell’articolo 14 del
D. Lgs. 164/00 è aggiudicata sulla base delle migliori condizioni economiche e di
prestazione del servizio, del livello di qualità e sicurezza delle reti e degli impianti,
nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale presentati dalle imprese
concorrenti. Tali elementi fanno parte integrante del contratto di servizio».
Comma 5: «La realizzazione degli investimenti infrastrutturali destinati
all’ampliamento e potenziamento delle reti e degli impianti, nonché gli interventi di
ristrutturazione, manutenzione straordinaria e valorizzazione necessari per adeguarne
nel tempo le caratteristiche funzionali spetta, di norma, alle società proprietarie delle reti
e degli impianti di cui all’articolo 2, comma 1».
Comma 6: «In alternativa alle disposizioni di cui al comma precedente, gli enti locali,
singoli o associati, devono affidare la realizzazione degli investimenti infrastrutturali
destinati all’ampliamento e potenziamento delle reti e degli impianti, nonché gli
interventi di ristrutturazione, manutenzione straordinaria e valorizzazione necessari per
adeguarne nel tempo le caratteristiche funzionali, in sede di gara ai sensi e per gli effetti
di cui all’articolo 14 del D. Lgs. 164/00. Anche tali elementi devono far parte integrante
del contratto di servizio ».

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