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di Stefano Di Colli
La crisi finanziaria internazionale che ha raggiunto il suo apice nel secondo semestre del 2008 è la
conseguenza diretta di una serie di cambiamenti strutturali che hanno caratterizzato il sistema finanziario
globale negli ultimi dieci anni.
Lo straordinario tasso di crescita del Pil mondiale negli ultimi anni è stato guidato dalle economie
emergenti, il cui eccesso di risparmio ha finanziato l’indebitamento crescente di altre aree del mondo,
come in particolare gli Stati Uniti. Contestualmente, negli USA si è verificato un lungo periodo di bassi
tassi di interesse (nominali e reali) imposto dalla Federal Reserve a partire dal 2001. Il duplice obiettivo di
questa azione di politica monetaria è stato compensare almeno in parte gli squilibri di bilancia dei
pagamenti e di sostenere l’economia in una fase recessiva.
I prezzi delle materie prime e degli alimentari hanno conosciuto un periodo di incrementi
straordinari, causando fino al 2007 pressioni inflazionistiche su scala mondiale. La deregolamentazione,
l’integrazione dei mercati finanziari internazionali, l’innovazione finanziaria hanno ampliato la gamma di
prodotti offerti e le possibilità di combinare rischio e rendimento. Si è inevitabilmente generata
un’anomala espansione del credito e degli aggregati monetari che ha spinto verso il basso i premi al
rischio dei mercati immobiliari, azionari e obbligazionari e verso quotazioni eccessive i relativi asset price.
Le banche hanno esteso le loro funzioni ben oltre il tradizionale modello di intermediazione attraverso
l’attività di cartolarizzazione dei crediti, aumentato in questo modo la leva finanziaria, accresciuto il peso
del ricorso diretto al mercato.
Le condizioni di favorevole accesso al credito, unitamente al sostegno ricevuto anche al di fuori del
settore bancario da istituti quali Fanny Mae e Freddie Mac, hanno stimolato la domanda di mutui per le
abitazioni e di credito al consumo. Il prezzo degli immobili USA è salito del 124 per cento dal 1997 al
2006, il rapporto tra debito e reddito del 130 per cento, i mutui hanno raggiunto i 5,3 triliardi di dollari
nel giugno 2007 (erano 2 triliardi nel ’97).
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La crescita di questo comparto cruciale per l’economia americana ha sostenuto l’andamento
dell’economia a più livelli: tre nuovi posti di lavoro su cinque creati fino al 2007 erano legati al settore
immobiliare, i consumi sono stati spinti di un terzo oltre il proprio livello potenziale (i cittadini USA hanno
la possibilità di accedere al credito al consumo utilizzando come garanzia il valore della propria
abitazione), le Asset Backed Security emesse a seguito di cartolarizzazioni hanno raggiunto i 4.200 miliardi
di dollari prima di essere reimpacchetate in altre obbligazioni, i Collateralized Debt Obligation1 . Il valore
di questi ultimi ammonta ad oggi ad altri 3.000 miliardi di dollari. A partire dal 2008, la crisi si è delineata
in almeno cinque direttrici principali, distinte ma tra loro connesse e interdipendenti:
1) La recessione: l’inversione del ciclo economico era già in atto nel primo trimestre del 2008.
L’esplosione della bolla ne ha accentuato la dimensione, causando una vera recessione e prolungandone
gli effetti almeno per tutto il 2009.
2) L’implosione del settore immobiliare: il rallentamento di questo settore si era manifestato già nel
2005, ma nel 2007 e nel 2008 il ribasso ha raggiunto addirittura il 9,7 e il 15,3 per cento. La Federal
Reserve tra il 2004 e il 2006 ha alzato i tassi di interesse ufficiali diciassette volte, dall’1 al 5,25 per cento,
determinando un forte rincaro delle posizioni debitorie. In un primo momento sono andate in crisi le famiglie
meno solvibili che avevano stipulato i cosiddetti mutui subprime. Nel frattempo sono scesi drasticamente i
prezzi delle case, rendendo il valore dei debiti molto più alto di quello delle abitazioni su cui erano
sottoscritti. Le difficoltà si sono così allargate anche alle famiglie economicamente più solide che hanno
trovato conveniente interrompere i pagamenti delle rate. Il tasso di insolvenza nel 2007 è stato di un
mutuatario su sei, contro uno su venti del 2000. I dati di giugno 2008 riportano che il 37,44 per cento dei
mutui erogati nel 2005 ha problemi di pagamento, mentre lo stesso vale per il 40,28 per cento di quelli del
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Il meccanismo di questa “trasformazione” è molto semplice: si supponga che la banca X eroghi mutui a mille famiglie di diversa
rischiosità. Fatto ciò, la banca X trasferisce il credito ad un’entità esterna, il cosiddetto special purpose vehicle, che emette un
titolo, ponendo in garanzia il flusso futuro atteso delle rate dei mutui. Il titolo viene piazzato ad un’altra banca Y o a un investitore
istituzionale. In questo modo, viene di fatto sottoscritto un particolare tipo di Abs, il mortgage-backed security (Mbs), che consente
di sintetizzare asset illiquidi (i mutui) trasformandoli in liquidità immediata per la banca X. Affinché l’operazione sia ben strutturata
è necessario che 1) il gruppo di famiglie mutuatarie sia diversificato nel rischio e 2) ci sia fiducia sul fatto che il valore degli asset
continui a crescere nel tempo. Per assicurare la condizione 2) di solito tra la banca X e quella Y si interpone un soggetto terzo,
tipicamente un’agenzia assicurativa, che garantisce la bontà del credito sottostante il titolo.
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2006 e il 29, 28 per cento del 2007. Le banche hanno incontrato difficoltà a valutare correttamente questi
segnali negativi a causa della difficile tracciabilità legata alla cartolarizzazione.
3) I crolli dei mercati finanziari: le Abs e i Cdo che sono stati venduti in tutto il mondo sono strumenti
opachi: difficile ricostruire quali sono contaminati da situazioni di rischio o di insolvenza e quali no. Il
risultato è stato il crollo indiscriminato dei prezzi di tutti i titoli cartolarizzati, anche quelli non collegati ai
subprime. Il congelamento del mercato delle cartolarizzazioni si è propagato a tutte le obbligazioni e
successivamente ai mercati azionari. Le banche, avendo in portafoglio 746 miliardi di dollari di Abs e Cdo
cui si aggiungevano quelli detenuti dalle Conduit e Siv collegate, al momento hanno già dovuto svalutare
più di 500 miliardi di obbligazioni. Il fallimento della Lehman Brothers, l’annunciato accorpamento di
Merrill Lynch e la trasformazione di Goldman Sachs e Morgan Stanley in banche commerciali si inserisce in
questo processo. Gli istituti di credito e i fondi, per far fronte alle perdite, sono stati costretti a vendere
buona parte dei titoli liquidi detenuti, innescando il forte calo dei listini azionari (che da luglio 2007 a
luglio 2008 ha bruciato 17.000 miliardi di dollari) e alimentando i timori di non essere in grado di
adempiere le posizioni aperte sui Credit Default Swap in caso di default delle controparti. Attraverso
questo canale le tensioni sono state trasmesse anche al mercato dei prodotti derivati. L’incrinarsi del
clima di fiducia ha prodotto il consistente aumento della volatilità di tutti i mercati finanziari, la crescita
dei premi al rischio, il congelamento del mercato interbancario, con il conseguente aumento dei tassi
overnight e i rischi di una possibile restrizione del credito.
4) Lo shock dei prezzi delle materie prime: l’improvviso calo dei prezzi delle materie prime, dei prodotti
energetici e delle materie prime sta avendo effetti molto negativi sul ciclo economico dei paesi produttori
e provocando forti distorsioni sui mercati delle commodities.
5) I disavanzi di bilancia dei pagamenti: molti paesi in particolare nell’area geografica dal Baltico ai
Balcani hanno profondi disavanzi di bilancia dei pagamenti, che in questo contesto generale vengono
ulteriormente acuiti.
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Le cinque direttrici descritte sono diverse e separabili sul piano analitico, ma fortemente interconnesse
sia dal punto di vista causale che con riferimento ai meccanismi di propagazione e di retroazione che
caratterizzano i mercati.
La specializzazione della gran parte delle banche italiane nell’attività bancaria tradizionale ha contribuito
a contenere l’impatto delle turbolenze. L’attività di investment banking, fortemente colpita dalla crisi, è
limitata. I depositi e le obbligazioni della clientela ordinaria a giugno 2008 erano il 56 per cento della
raccolta complessiva delle istituzioni finanziarie e monetarie, contro il 51 di media dell’area dell’euro.
Nei dodici mesi fino a giugno l’incidenza delle nuove sofferenze sui prestiti complessivi è stata dello 0,9
per cento: un valore ancora basso rispetto alla fase ciclica negativa dei primi anni novanta, quando era
attorno al 3 per cento. Le famiglie italiane sono poco indebitate rispetto a quelle degli altri maggiori paesi
avanzati. Alla fine del 2007 il coefficiente di patrimonializzazione (total capital ratio) dei cinque principali
gruppi bancari era pari al 9,5 per cento, contro un minimo regolamentare dell’8 per cento. Per i primi tre
gruppi bancari italiani gli spread sui CDS hanno raggiunto circa 130 punti base il 17 settembre, con un
aumento di oltre 50 punti base rispetto al 12 settembre (Fonti: Banca d’Italia, ECB).
Le prospettive di crescita dell’economia mondiale a breve termine si sono fortemente deteriorate. Negli
Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone l’indebolimento della congiuntura è netto; nell’area dell’euro il
rallentamento della prima metà dell’anno si è accentuato; secondo il FMI la crescita mondiale nel 2009
sarà dovuta interamente ai paesi emergenti, che tuttavia risentiranno anch’essi della crisi. L’Italia non fa
eccezione a questo quadro generale. Gli effetti della crisi si sommano a debolezze strutturali preesistenti.
Dopo il calo del PIL nel secondo trimestre i più recenti indicatori confermano segnali negativi per i
prossimi trimestri. La possibilità che l’inasprimento delle condizioni creditizie per famiglie e imprese e il
deterioramento del ciclo economico si rafforzino a vicenda in una spirale negativa rimane il rischio
principale per l’economia mondiale.
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