verso, vitale, alle tragedie umanedell’amore e della morte, della per-dita e del tradimento».Si può parlare di aspetti narcisi-stici in Fellini, fanciullo che indagaossessivamente sul proprio passa-to? Qualcuno, a suotempo, segnalò il«cordone ombelica-le» autobiografico di
Amarcord
. «In quelfilm», replica Hill-man, «il piacere del-la memoria è inseri-to in un contestospecifico, quello delfascismo, dove lastoria assimila e in-quadra la vicenda personale. In-trattenitore che usa con humourciò che riguarda se stesso - vita,emozioni, ricordi - Fellini si tra-sforma in geniale pagliaccio: pro-cesso che accomuna i grandi comi-ci, come Buster Keaton e CharlesChaplin. Il che non ha niente a chevedere col narcisismo: è una formad’arte». Quanto al glorioso e peculiaresentimentalismofelliniano, Hill-man lo abbraccia con entusiasmotravolgente: «Nel nostro mondomalato di freddezza e minimali-smo, il sentimentalismo è un trion-fale riscatto. Siete voi italiani a es-sere troppo sensibili al tema, a cau-sa degli eccessi sentimentalisti del-la Chiesa. Tanto che in Italia esisteuna tradizione di rivolta a quest’a-spetto, come dimostrano il futuri-smo e altre avanguardie artistiche. Anche il fascismo è stata una ribel-lione al sentimentalismo, per di-ventare poi sentimentale anch’es-so».
U
n vasto gioco di riflessi - unacomune «intelligenza delcuore» - unisce James Hill-man a Federico Fellini. Lo psicoa-nalista e il narratore di sogni. Il filo-sofo e il cineasta. Il guru di una psi-cologia analiticafondata sulla teoria junghiana degli ar-chetipi e l’instanca-bile viaggiatore nel-le sfere del fantasti-co. L’esperto ameri-cano di patologiedella psiche colletti-va e il più profonda-mente italiano tra ivisionari del cine-ma. Tanti i temi condivisibili: laforza creativa delle emozioni comeantidoto alla violenza e all’ingordi-gia della civiltà dei consumi; la vi-talità della fantasia contro l’op-pressione dei precetti tecnologici;il culto dell’ironia come chiave diriscatto; l’ubiquità e l’eccesso divelocità dei media come motore diuna crisi ontologica dagli effetti de-vastanti. Le immagini sono danna-te, scrive Hillman: il loro inaccetta-bile pullulare quotidiano ha deter-minato l’esilio dell’immaginazio-ne. Pare una didascalia, lanciata adistanza, all’incursione tragica egrottesca nell’universo televisivo –specchio minaccioso della falsitàdel visibile – compiuta da Fellini in
Ginger e Fred.
Fellini e Hillman non si sono maiincontrati. Eppure si può dire chetra loro ci sia stato un dialogo idea-le e silenzioso, sospeso nello spazioe nel tempo. L’allievo ribelle diJung ha visto tutti i film di Fellini. Ilquale, a sua volta, divorava i libri di
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Hillman, ammirandolo al puntoche «in un’intervista rilasciataqualche anno prima di morire», ri-ferisce da Dallas l’autore dei più fa-scinosi best seller psicoanaliticicontemporanei, «dichiarò che ilsuo testo preferito, in assoluto, erail mio saggio
Il mito dell’analisi
». Èun ulteriore spunto per indurlo aparlare del regista morto dieci annifa, e più che mai celebrato nel mon-do in questi giorni. Il cinema di Fellini, premetteHillman, testimonia con puntua-lità folgorante l’adesione del regi-sta al pensiero junghiano: «Un filmmolto eloquente in tal senso è
Giu-lietta degli Spiriti
, che registra ilviaggio psicoanalitico di una don-na sedotta da miriadi di fantasiedell’
animus
, attributo riferito daJung alla componente della perso-nalità meno vincolata ad aspettiprimitivi, quella spirituale. Perquesto, forse, è stato il film di Felli-ni che ho più amato: quando lo vi-di ero ancora rigorosamente jun-ghiano.
Otto e mezzo
punta invece allarappresentazionedell’altra parte del-l’essere umano: l’
a-nima
, ovvero tuttociò che ha a che farecon la componentefemminile comecontatto con l’in-conscio. La parte salvifica del film èla donna mediatrice di emozioni edi accoglienza materna. D’altraparte Fellini identifica e circoscri-ve sempre, nel suo cinema, una ga-lassia mitica di donne-fantasma,donne-proiezione e donne-simu-lacro. Luogo avvolgente e dispen-satore, che nutre ogni suo film».Più o meno negli stessi anni incui Hillman scrive il suo celebre
Saggio su Pan,
Fellini esalta il latodionisiaco dell’esistenza e l’ener-gia creatrice delle pulsioni, «in par-ticolare con
Satyricon
,l’opera felli-niana più in sintonia coi miei libri,che attingono al mondo classico innome del recupero dei miti. La ri-cerca di Fellini, come la mia, mira-va a sottolineare la centralità delleimmagini, tanto più importanti deisignificati. Attribuiva il primo po-sto all’immaginazione, intesa, conassoluta concretezza, come realtàfantastica; e alle immagini dava vo-ce. Non a caso, nei film, cambiavaspesso le voci degli attori, ripren-dendo l’antica idea del teatro grecodi parlare attraverso la maschera.Per far emergere la psiche, la voceinteriore». In Fellini Hillman riconosce an-che il proprio attacco frontale al ni-chilismo: «Con
Ginger e Fred
con-dusse l’
animo del mondo
sul pia-neta ridicolo e spietato della televi-sione. Che produce fenomeni, nonimmagini: simulacri, fantasmi, in-cubi dilaganti nelle tenebre del sot-tomondo, alla ricerca di sangue edemozioni. Già
La Dolce Vita
e
Ottoe mezzo
erano risposte al nichili-smo tramite l’
animo
delle immagi-ni. Per non parlare di
Roma
: la sce-na delle motociclette che attraver-sano la città è la calata degli Unni,barbari invasori di civiltà. Immagi-ne che sa restituirci la distruzionedi una cultura con la forza impaga-bile dell’immediatezza». Hillman sente di condividerecon Fellini anche l’importanza at-tribuita alla malinconia, «valore di-namico e apertura verso prospetti-ve interne. Quella felliniana è unamalinconia creativa perché trasfi-gurata dall’arte, come nel jazz. È unsentimento che per-vade, ad esempio,un film denso di
ani-ma
come
La Strada.
E non ha mai - pensoa
Lo sceicco bianco
ea
Le notti di Cabiria
-la connotazione de-pressiva dei primifilm di De Sica e ditanto cinema neorealista. Felliniguarda e segue lo stesso sottoboscodi gente comune, intrappolata nel-la strada; ma dando un suono di-
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D
IA R IO
di
A 10 ANNI DALLA SCOMPARSA DEL REGISTA/ INTERVISTA A JAMES HILLMAN
STEVEN SPIELBERG
Conosco tutto il suo cinema e luiha divorato tutti i miei libri“Satyricon” è la cosa in assoluto più in sintonia con il mio lavoroL’opera che più di ogni altra hoamato è “Giulietta degli Spiriti”che registra il viaggio psicoanaliticodi una donna sedotta dalla fantasia
INCONTRAI Fellini quando andaia Roma per il lancio di “Duel” e luifu così gentile da passare una giornata con me.Da allora abbiamo continuato a comunicare ne-gli anni seguenti, sia pure con poca frequenza,per lettera e per telefono. Forse non tutti sannoche io scrissi a Fellini l’ultima lettera da lui lettaprima di morire, come mi ha rivelato la sua fami-glia. Gli scrivevo quanto continuava a commuo-vermi e ispirarmi tutto quello che aveva fatto nelcinema e che modello importante nella mia vitaera stato il personaggio di Marcello Mastroianniin “8 e 1/2”, che sentivo di vivere io stesso: manmano che il mio successo cresceva, la mia vitadiventava come quella di Mastroianni nel film.Tante volte mi sono sentito così, circondato dalcaos.
FELLINI.
“
“
IL SET
Fellini sulset delfilm “8 e1/2”.Nei tondi,due disegnidel regista
FELLINIFELLINI
LEONETTA BENTIVOGLIO
“Per me è stato l’uomo del sogno”
IL SET
Fuori dal teatro di posa, dalle luci, dalset, dallamaterializzazione difantasie e sogni,fuori daquell’atmosfera misento un pochinovuoto, mi trovosubito in esilio
IO REGISTA
Nel momento in cuifaccio il mio lavoro,divento un cineasta,vengo abitato. Unoscuro abitatore chenon conosco prendele redini della baracca, dirigetutto quantoal posto mio
‘‘
tutta la vita tentò di farsi corri-spondere (se non amare) dalmondo reale, stabilendo un rap-porto fiducioso con lui. Spesso,tentò di ingannarlo: per qualchetempo, il mondo finse di lasciarsiingannare. Fu un tentativo gran-dioso, a volte drammatico, di cuinemmeno lui, forse, si rese contocompletamente. Alla fine, comecapita a quasi tutti gli esseri uma-ni, fallì. Aveva dei giudizi duri e precisisulle persone che conosceva econ cui lavorava. Ma non di-sprezzava nessuno: perché il di-sprezzo, almeno per lui, era unsentimento infruttuoso. Nutrivaun’immensa curiosità per tutti gliesseri umani: anche per quelli in-significanti e noiosi. Ogni came-riere o tassinaro costituiva, perlui, un universo. Pensava che inognuno di noi si nasconda una lu-ce, o una scintilla, o un lato diver-tente e assurdo, o un’altra perso-na, o una semplice possibilità diqualcosa o persino un barlume digenio. A lui qualcuno aveva affi-dato il piacevolissimo compito diportare alla luce tutte queste cosenascoste. Tentò ogni strada. Inprimo luogo, un’attenzione spa-smodica: guardava, spiava gli in-terstizi tra le apparenze, sorpren-deva gli uomini e le cose nel mo-mento in cui non si controllava-no. E poi la gentilezza: una genti-lezza affettuosa o che simulaval’affetto, la quale è l’arma miglio-re per indurre il mondo a scoprir-si. Infine dava a ciascuno una pic-cola parte di sé: un pensiero, unaparola, un ricordo, un sogno: co-me un’ostia da masticare a lungoin segreto.Mai opera di seduzione, alme-no tra quelle che ho conosciuto,l’
I-Ching
con le istruzioni per l’u-so: io lo misi da parte senza guar-darlo nemmeno. Cercava di far-mi conoscere il mago Rol, che aTorino faceva non so quali prodi-gi, e io preferivo di gran lungal’accorto portiere portogheseche vegliava sulla casa sua e diGiulietta Masina. Un prestigiato-re, o un esorcista, o un veggente lomettevano in estasi: io voltavo lo-ro le spalle. Lui corteggiava di-speratamente i dèmoni, e alme-no una volta fu sul punto di per-dersi. Io credevo che i dèmoninon amano essere corteggiati.Quando voglio-no, ci pensanoloro a scenderefino a noi, e adabitare e a intri-dere i nostrifilm e i nostri li-bri, e a nutrirsidi loro. Alla fine,si arrabbiò conme e mi disseche ero un pie-montese gesui-ta: cosa vera al-la lettera, per-ché sono statoeducato a Tori-no, e ho studia-to dai purtrop-po insignifi-canti Padri Ge-suiti. Qualchetempo dopo, glirisposi che tuttii miracoli delsuo famoso viaggio a Tulun, con imessaggi telefonici e le appari-zioni di Castaneda, mi ricordava-no il cattivo film di un imitatore diFellini.Con lui, mi sono sempre senti-to in debito, e ancora oggi mi sen-to in debito, come se non avessicorrisposto in pieno alla sua ami-cizia. Parlava; e avevo l’impres-sione che mi rivelasse ogni cosadi sé: stava aperto davanti a me,senza segreti, mentre io – non soper quale ragione – qualcosa glinascondevo. Non mentiva mai. Aveva una dote rarissima: la tene-rezza o, come diceva Sainte-Beu-ve, il
vellutato del cuore
. Per qual-che anno, fui malato: a volte,uscire di casa e vederlo era per meun’impresa ardua: ma quando loincontravo, ero sempre avvoltoda un’attenzione e da una preci-sione scrupolosa nell’affetto, co-me non ho mai conosciuto in al-tri, sebbene, nella mia vita, abbiaavuto molti grandi amici.* * * Credo che la realtà non loamasse. Come poteva amare unocome lui, che sfuggiva, era sem-pre da un’altra parte, non avevaidee né programmi, amava gli an-geli e i clown, si rifiutava di cre-scere, derideva le pretese dellarealtà, come diceva san Paolo, di
essere qualcosa
? Malgrado le ap-parenze, non era un beniaminodegli dèi, e lo sapeva benissimo.Ma lui amava la realtà: così colo-rata, pittoresca, informe, senzalimiti, imprevedibile, piena di ca-si e di avventure. Non poteva as-solutamente farne a meno. E per
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(segue dalla prima pagina)
E
ravamo due vagabondi sen-za patria né dimora, che siincontravano da soli, senzanessuno, sebbene fasciati dal ca-lore dell’esistenza – cameriericiabattanti e un po’ logori, vendi-tori ambulanti che offrivano rose,vecchi amici coi quali scambiareun saluto, l’acciottolio e i profumie le voci della cucina. Non man-giava quasi niente: cibi simbolici,che gli assicuravano l’esistenza.Era un asceta: proprio lui, che se-condo qualcuno avrebbe condi-viso, come diceva Gadda, la “granfiera magnara” della vita. Appena seduti, cominciava avoce bassa la conversazione. Sor-rideva: sorrideva appena con leestremità delle labbra, quasi mairideva a voce spiegata, e la sua iro-nia invitava sempre più lontano,verso teneri e soffici prati di ama-bilità. Parlavamo di ogni cosa:letteratura, raramente cinema,aneddoti, ricordi, persone, mi-steri, dèmoni, religioni, vita,morte, persino gli dèi o Dio. Separlava di libri, sembrava chenessuno vivesse, come lui, den-tro un libro: se parlava di persone,le auscultava, le decomponeva,conosceva tutte le molle che le fa-cevano agire; e su qualsiasi cosalasciava cadere la sua luce mite,pigra ed estrosa. Aveva un’intelli-genza morbida, rapida, colorata,senza schemi né presupposti,pronta a trasformarsi nello scin-tillio di un’onda o nell’ombra diuna nuvola rosa. Capiva tutto alvolo: anche quello che non avevoancora pensato. Non aveva lapretesa di possedere idee: «que-ste scatolette chiuse» – dicevaMusil – con sopra le istruzioni perl’uso. Non era il Maestro, cometutti lo chiamavano, facendolosoffrire: né un testimone né unmessaggero o un profeta. Era ilfratello maggiore o minore, il fi-glio scappato di casa, l’amico im-pagabile col quale discorri tutta lanotte. E così si stabiliva ogni voltatra noi il rapporto tipico dell’ado-lescenza. Parlavamo con un’as-soluta impudicizia; e insieme conla pudicizia delicata dell’adole-scenza: con l’arte, che solo allorasi possiede, di non ferirsi e di nonoffendersi mai. Aveva molto rispetto e venera-zione per la grandezza: soprat-tutto verso quella degli scrittori.Provava un’ammirazioneprofondissima per Kafka. E senon fece mai il film su America (Ildisperso), intorno al quale si di-vertì a giocare e a prendere in gi-ro, fu perché pensava che qual-siasi tentativo di trascrivere inimmagini un libro perfetto sareb-be stato empio. Non era un mito-mane. In un periodo in cui tutti siconsiderano grandi, persino icuochi, i parrucchieri, i calzolai,gli esperti di psicologia infantile ei critici letterari, sapeva di nonpossedere la grandezza. Non eraaffatto un narciso, e provava po-chissimo interesse per sé stesso. Aveva una profonda indifferenzaper Federico Fellini: egli era, almassimo, uno strumento attra-verso il quale potevano venire al-la luce cose, che lo riguardavanopoco. Non si misurava mai. Eraciò che qualcuno o Qualcuno gliaveva concesso di essere: nem-meno un centimetro o un gram-mo di più o di meno.Entrambi credevamo che, co-me dice Amleto, «ci sono moltecose tra cielo e terra, che la
nostra
filosofia ignora». La realtà è per-corsa da segni, miracoli, dèmoni,santi, scintille, barlumi che, for-se, provengono da altri mondi.L’aldilà penetra persino nel caf-felatte. Non viviamo mai comple-tamente qui. Ma una cosa ci divi-deva profondamente. Lui sogna-va, io non sognavo. Lui mi regalò
‘‘,,
Ancora oggi, a diecianni dalla morte, misento in debito con luicome se non avessicorrisposto in pienoalla sua amicizia, alsuo modo di aprirsi
‘‘,,
Per più di vent’annisono andato con lui acena. Arrivava inanticipo sotto casa miae sembrava una grandeombra che sostava nellaluce debole del lampione
MARTIN SCORSESE
Uno dei film che amo diFellini è “I vitelloni”: hacatturato così benel’immaturità di questi uominidesiderosi di andarseneeppure terrorizzati di lasciarela sicurezza della casa. Io erocome loro, quando eroadolescente a New York
Regista
I FILM
LUCI DEL VARIETÀ
(1950), giratocon Lattuada,racconta ilmondo dellecompagnie digiro
LO SCEICCOBIANCO
(1952) Sordi èun seduttoreda strapazzo
AMORE IN CITTÀ
(1953)L’episodio diFellini è“Agenziamatrimoniale”
I VITELLONI
(1953) Vitaquotidiana dicinqueperditempo inprovinciaLeoned’argento
LA STRADA
(1954) Il rozzoZampanò e lamiteGelsominaLeoned’argento
IL BIDONE
(1955) Ilfallimentoesistenziale diun truffatoredi professione
LE NOTTI DI CABIRIA
(1957) Storiadi unasentimentaleprostitutaromanaPalma d’oro eOscar
LA DOLCE VITA
(1960)Mastroianni èun giornalistache “vive” avia VenetoPalma d’oro eOscar
BOCCACCIO’70
Fellini giròl’episodio “Letentazioni deldottor Antonio”
8 E 1/2
(1963) Autobiografiaimmaginariadi Fellini. DueOscar
GIULIETTA DEGLISPIRITI
(1965) Primofilm a colori
FELLINI VISTO DA FELLINI
L’OCCHIODEL REGISTA
Fellini dietro lamacchina dapresa neglianni ’50.Sopra, unaimmaginedella “Strada”
TUTTI STREGATIDAI SUOI INCANTESIMI
PIETRO CITATI
WOODY ALLEN
Fellini fa parte di un piccologruppo di maestri del cinema,Kurosawa, Bergman, BunuelTutti noi che facciamocinema abbiamo avuto moltoda imparare da lui. Ci siamoscritti tante volte, e conservola sua corrispondenza comeun tesoro
RegistaDisegno di Fellini per il film maifatto “Il viaggio di G.Mastorna”Il personaggio della mammadi Titta in “Amarcord”
ARTISTA
Credo che unartista sia unmedium, una mente,dei nervi, un corpo,delle mani, unsimulacro abitato daun sogno, da unafantasia, da un’idea,da un sentimentoche diventa una storia
‘ ‘
ebbe un effetto così straordina-rio. Forse, per trovare qualcosa disimile, bisogna ricordare Byron,o il giovane o il vecchio Tolstoj, oil giovane D’Annunzio, o Kafka –sebbene il fascino di Kafka si eser-citasse su pochi. Quando Felliniposava il suo sguardo dolcissimosugli esseri umani, riempiva lorola vita. Ognuno si sentiva scelto:mai nessuno lo aveva tanto con-siderato ed amato: ognuno pos-sedeva finalmente quell’esisten-za (sebbene fittizia), che finoranon aveva mai conosciuto: avevaun’anima, una fantasia, un’intel-ligenza, il suo palloncino colora-to. Spesso ho assistito a spettaco-li bellissimi: sotto gli sguardi diFellini, molti diventavano visibil-mente migliori. Era una specie dimetamorfosi fisica e psichica, odi levitazione. Così, poche perso-ne sono state tanto amate. Ora,dieci anni dopo la sua morte,molti si sentono ancora orfani dilui, e lo ricordano tra loro e lo rim-piangono, perché per qualcheanno, sotto la sua ombra, hannosfiorato la felicità e persino lagrandezza.Dopo gli uomini, Fellini tra-sformò il mondo. Adottò un sololuogo, Roma: Roma lo guardava elo proteggeva con la sua indiffe-renza amorosa, e non cercava diimporgli idee, convinzioni, so-cietà, frequentazioni. Vi vivevacome un ospite – la condizionesuprema sulla terra –; cittadinosenza cittadinanza, straniero conuna finta patria. Non gli piacevaviaggiare; andare a Hollywood o aParigi o a Tokyo. Il
diverso
eranoiosissimo. Uscire alle otto dimattina da via Margutta, percor-rere via del Babuino, sbirciarenella vetrina di Feltrinelli, entra-
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elettricista (apparteneva allavecchia razza degli artigiani),mangiare con le sue incantevoliaiutanti – Daniela, Fiammetta,Norma – o con un vecchio diret-tore di produzione che fingeva diessere stalinista, o con RobertoBenigni, che chiacchierava e pet-tegolava e leggeva ottave e saltel-lava come un grillo, e cresceva ediventava intelligente e comin-ciava a possedere un’anima sottogli occhi del suo grasso Geppetto,mentre, lì vicino, Paolo Villaggioera nero, torvo e tetro, come iquadri neri di Goya vecchio. Poic’erano le proiezioni, che mi di-vertivano moltissimo: GiuliettaMasina ballava come se avessevent’anni; e le voci erano semprequella di Fellini, che impersona-va tutte le parti, e consigliava,suggeriva, insultava, e scompari-va all’improvviso ridendo come ilgatto del Cheshire.Mi chiesi molte volte se Fellinifosse davvero un regista: un regi-sta per vocazione, come Chaplin,Dreyer e Kurosawa. Avrebbe po-tuto essere molte altre cose: pit-tore, trascinatore di folle, un “di-vino” mondano; o un eccellentescrittore, come lo era nelle bellis-sime finte interviste, dove imita-va scrivendo il colore e i movi-menti e i gorgheggi e le pause del-la propria voce. Credo che fossediventato regista per amore delcaso. Chi scrive, chiude le portedella propria stanza, e allontanail mondo. Di un film, Fellini ama-va invece proprio il fatto che con-viveva col caso, era immerso nelcaso, collaborava e si lasciava in-fluenzare dal caso: in un certosenso, era soltanto la forma ca-sualmente assunta dal caso. Il re-gista doveva combattere con iproduttori, i volti spesso opachied ostili degli attori, gli alberi, ifiumi, gli elettricisti, il sarto, il fo-tografo, i parrucchieri, i giornali-sti: «con gente che viene da tuttele arti del mondo e si capisce lostesso in una babele di lingue, inun disordine caotico di richiami,grida, arrabbiature, liti...». Felliniamava volgere a proprio vantag-gio i contrasti e i favori illusoridella vita; ed era lieto di non com-porre un libro, – ma un fenomenoda fiera, uno spettacolo di piazza,un varietà, un circo pieno di leo-ni e di acrobati.* * *Qualche volta, parlava dellesue notti. Negli ultimi anni dor-miva (o diceva di dormire) po-chissimo. Si alzava, leggeva, di-segnava, scriveva. Aveva sogni,incubi, allucinazioni, furie,scoppi aggressivi, visitazioni didèmoni, deliri autodistruttivi,durante i quali lui (così mite)odiava il mondo, gli altri e sé stes-so. Credo che l’abbia aiutatoErnst Bernhard, che aveva salva-to Giorgio Manganelli dal disa-stro. Ma si aiutò sopratutto da so-lo. Col passare degli anni, stabilìun rapporto sempre più confi-denziale col proprio inconscio.Ci viveva dentro tranquillo, co-me il bambino nella sua vascad’acqua calda. Non aveva l’oc-chio torvo, sublimemente rivol-to verso il di dentro, strabico aforza di contemplare i propriabissi, che possiede il visionarioo il delirante. Non era mai posse-duto dall’inconscio o dalla tene-bra, come il medium. Vivendo tranoi, nel giorno, cercava di cono-scere con la fantasia quanto po-teva del regno immenso dellanotte, raccogliendone i tesori e imostri. Era così affabile, cosìgentile, così mansueto, che an-che i mostri più terribili si lascia-vano indurre a perdere la loroforza, come se la sua mano senzanervi li avesse accarezzati, addo-mesticati e placati.
SEGUE A PAGINA 36ROBERTO BENIGNI
I FILM
TRE PASSINEL DELIRIO
(1967) suol’episodio“TobyDammit”
FELLINISATYRICON
(1969)Rilettura delSatyriconall’insegnadellatrasgressione
I CLOWNS
(1970)Inchiesta sulmondo delcirco per la tv
ROMA
(1972) Lascopertadella cittàeterna
AMARCORD
(1974) Adolescenzain unacittadinaromagnolanegli anni ‘30Oscar
ILCASANOVA
(1976) Ascesa ecaduta delseduttoreveneziano
LA CITTÀ DELLEDONNE
(1979) Incuboerotico di unuomo dimezza età
PROVA D’ORCHESTRA
(1979) laribellione diun’orchestraal direttoretedesco
E LA NAVE VA
(1983) Unmondo difantasmi incrociera
GINGERE FRED
(1986) Due exballerini siritrovano in tv
INTERVISTA
(1987)Riflessionesul mondodellospettacolo
LA VOCEDELLA LUNA
(1990) Elogiodella folliaquotidiana
re in piazza del Popolo accolto daiprimi raggi del sole, varcare laporta di Canova, ordinare uncaffè, parlare con un cameriere oun tassinaro, fare una telefonata(anzi, come diceva, «una telefo-natina») era immensamente piùavventuroso che esplorare il Ti-bet e l’Antartide. All’interno di Roma, scelse unluogo: Cinecittà, o un teatro diposa non troppo lontano. Era ilposto dove la realtà veniva aboli-ta e dove trionfavano, senza riva-li, il
falso,
lo spettacolo, l’illusionematerializzata. Come amavaquei luoghi. «Fuori dal teatro diposa, dalla materializzazione difantasie e sogni, dal truccare gliattori, dalla creazione di un ordi-ne illusorio, tagliato fuori dall’o-rizzonte di un set cinematografi-co, – mi sento vuoto, immediata-mente in esilio», disse-scrisse inuna delle sue ultime false intervi-ste. Gli piaceva accompagnarmiper i viali di Cinecittà, parlare conun falegname, un fabbro o un
QUANDO MUOREFELLINI...
Quando muore Fellini il grido è forte spacca la testa che improvvisa piange lacrime dal marecchia fino al Gange alluvionano il mondo alla sua morte.Quel giorno dimmi chi noin lacrimavanemmeno la persona più frigidaPianse Rondi con Akira Kurosawapianse la Loren con la Lollobrigidapianse Anita e Marcello pianse il Sole pianse Mollica lacrime a bizzeffe pianser anche i vermi e tutte le parole quel giorno cominciavano per F Quando muore il maestro di Amarcorde anche i poeti abbassano la testaera più bello di Harrison Forde era più sexy lui di Mae Weste Era leggero comne Cavalcanti saggio come i filosofi tedeschi umano come sanno esserlo solo i santi profondo come Fiodor Dostoieski elegante narciso mai avarolui era insieme Topolino e Pippolugubre come Antonio Fogazzarobuffo come Peppino De FilippoQuando dava l’azione come un romboil set s’illuminava d’alabastroEra come Cristoforo Colomboun condottiero come Fidel CastroLo studiavano le psicanaliste ma a lui nessuno mai tolse le brache Fellini aveva più forza di maciste e più immaginazione di Mandrake Dolce come Verlaine e come Beatrice e maledetto come James DeanCasto della purezza di Euridice e intelligente come Rin Tin Tin M’han detto che era morto e c’ebbi uno sciocche come se fosser morte le albicocche Fellini, m’hai avviluppato con le tute passioni e per saluto estremo ti diròcitando un bel refrain di Little Tony che t’amo, t’amo, t’amo e t’amerò.
MARCELLO MASTROIANNI
Lavorare con Fellini èveramente un gioco. InAmerica quando raccontavoaneddoti non mi credevano, per loro è inconcepibilelavorare come lavora Fellini,fare del cinema come ungioco, che poi è lo stileitaliano
Attore
EMMA THOMPSON
Io venero Federico Fellini, èun regista fantastico. Sonoignorante di cinema, ma horivisto “Le notti di Cabiria”e sono uscita pensando, miodio, dove sono i nostri Fellinioggi? Quel film era cosìavanzato rispetto ai suoitempi!
Attrice
IL TEMPO
Non ho lasensazione deltempo che passaMi sembra di esseresempre fermo su un palcoscenico, contutte le cose intornoa me pronte:oggetti, quadricolori, persone
INEDITO
Così Fellini vedeva Leonetta Bentivoglio sul set della "Città delle donne”
MEMORIA
È una componentemisteriosa, che peròci lega a qualchecosa che forse nonricordiamonemmeno di aver vissuto ma che cisospinge a entrarein dimensioni chenon sappiamo definire
Un Pinocchio con le sembianze diRoberto Benigni
Versi letti a Roma dall’attore nel primo anniversariodella morte di Fellini e finora mai pubblicati
Premia la tua curiosità
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