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Lame di luce penetrano nel fitto del bosco di Sas Baddes, nel Supramonte di Orgosolo.

Attraversano i varchi lasciati da decine di giganteschi lecci caduti al suolo e squarciano la penombra
che avvolge da secoli quella che è la più importante foresta primaria del bacino mediterraneo. Sono
ferite aperte in un mare verde dove le chiome degli alberi si intrecciano formando un unico,
lussureggiante ombrello. Settecento ettari di lecci secolari, alti e maestosi che non hanno mai
conosciuto la scure dell’uomo. Verrebbe da pensare che quel paesaggio si sia conservato intatto dai
tempi della creazione. Da alcuni anni, però, con sempre maggiore frequenza, accade di imbattersi in
alberi crollati al suolo e ridotti a scheletri in disfacimento. Talvolta si sono spezzati solo i rami più
grossi, in altri casi, un leccio, cadendo sugli alberi vicini, li ha abbattuti trascinandoli al suolo. In
questi ultimi inverni, spiegano a Orgosolo (ma il problema si è fatto sentire anche in altre aree del
Supramonte) una serie di nevicate particolarmente abbondanti ha appesantito le chiome degli alberi
facendo schiantare al suolo le piante più grandi e più vecchie.
Questo è un fenomeno naturale che si ripete da sempre, ma suscita allarme la dimensione del
disastro, che pare aumentare di anno in anno, e il fatto che non si veda traccia dei giovani arbusti
necessari per assicurare il ricambio. Proseguendo così – è questo il timore – il destino del bosco
potrebbe essere segnato. Scomparse le capre (i pastori hanno abbandonato da tempo i magri pascoli
del Supramonte), ci si sarebbe attesi un deciso miglioramento delle condizioni del manto arboreo.
Ma non è andata così. <E’ sconvolgente pensare che questa meraviglia naturale possa abbattersi
come un castello di carte – afferma Aldo Nieddu, profondo conoscitore di questi monti –. Non
possiamo far finta di ignorare che, inverno dopo inverno, anno dopo anno, aumenta il numero dei
giganti estirpati, coricati o spezzati>.Poi, constatata la quasi totale assenza di giovani piante che
dovrebbero assicurare il ricambio, mette in evidenza il fatto che, in tutto il Supramonte, siano
notevolmente cresciuti i branchi dei mufloni e siano aumentati cinghiali e maiali. <Forse – aggiunge
- sarà il caso di interrogarsi sulle possibili conseguenze di questo cambiamento>.
La stessa sorte dei lecci altissimi di Sas Baddes hanno subito molte delle querce disseminate nei
versanti del Supramonte dove il dilavamento del suolo, conseguenza di un uso improvvido del
territorio, ha messo a nudo la roccia. Qui sono sopravvissute poche piante isolate e anche qui, a
causa delle nevicate, molti dei lecci sono schiantati al suolo. Questo fenomeno è particolarmente
avvertibile a Costa Silana, l’imponente muraglione di roccia che sovrasta un lungo tratto
dell’Orientale Sarda tra Baunei e Dorgali dove gli alberi sono rade macchie di verde che spezza il
bianco abbacinante delle distese di calcare. Lo stesso accade a Costa Montes, il declivio che si
affaccia sul comunale di Urzulei, e in gran parte dei versanti del Supramonte più esposti alle
intemperie. I grandi lecci che ancora resistono sono vegliardi acciaccati dall’età che sopravvivono
su aride pietraie dove non esiste più lo strato di terra necessario alla crescita di nuovi germogli. Qui,
dove gli alberi sono ben distanti tra di loro, si coglie ancora di più la dimensione del disastro.
Geologo, vice presidente della Federazione speleologica Sarda, Francesco Murgia conferma che
l’entità del fenomeno segnalato a Sas Baddes autorizza a parlare di <emergenza> ma ritiene che
siamo pur sempre di fronte a <eventi naturali la cui soluzione deve essere lasciata alla natura>. Il
peso della neve, a suo parere, è solo in parte la causa del disastro: molto influisce la tipologia del
sottosuolo, fortemente carsico, con uno strato di terreno solo superficiale dove le radici non possono
penetrare in profondità. <Che fare? In una situazione come questa – aggiunge - più si interviene, più
si rischia di far danno>.
Professore associato di Botanica ambientale all’Università di Cagliari, Gianni Bacchetta non pare
stupito da quanto sta accadendo sul Supramonte che, pur presentando aree fortemente degradate,
conserva oltre 130 endemismi e resta una delle aree meglio conservate della Sardegna. Dove,
afferma <oggi si vedono gli effetti delle pratiche agropastorali che si sono protratte per secoli.
Pascoli, tagli e incendi hanno favorito l’erosione dei suoli e la perdita degli orizzonti organici
superficiali che consentono alla vegetazione di svilupparsi e riprodursi. In queste aree, la capacità di
recupero è pari quasi a zero. Diversa è la situazione a Sas Baddes dove, pur persistendo problemi di
senescenza dei boschi, sono ben visibili gli effetti positivi di un pascolo meno intenso e di un uso
più razionale del territorio. Purtroppo – aggiunge – le conseguenze delle nevicate sulle piante sono
state ingigantite dalle caratteristiche del suolo che non consente lo sviluppo di grandi apparati
radicali>. Rimedi? <Opzione zero: la natura, se lasciata in pace, riesce a fare meglio e prima di
quanto può fare l’uomo>.
Dorgalese, funzionario dell’Ente Foreste, Dionigi Secci condivide l’esigenza di muoversi con
estrema prudenza. Specialmente a Sas Baddes dove, a suo parere, non vi sarebbero problemi di
ricambio vegetale. <Certo – afferma – può impressionare vedere una foresta senza sottobosco fatta
solo di piante molto alte, ma questo è normale in una lecceta perché la copertura delle fronde fa
filtrare solo poca luce. Ma quando un albero cade per cause naturali, si apre uno squarcio e, come i
raggi del sole raggiungono il suolo, parte la vegetazione spontanea e rinascono in breve tempo le
nuove piante. E’ un ciclo naturale che si ripete da secoli e si ripeterà ancora>.

Angelo Pani

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