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INCONTRO CONVIVIALE DEL 13 FEBBRAIO 2014

CON LA PARTECIPAZIONE DEL LIONS CLUB RHO

Rotary
club Rho

Mario Melazzini
Assessore Regione Lombardia alle Attivit produttive, Ricerca e Innovazione Nato a Pavia il 10 agosto 1958. E' padre di tre figli e nonno di Leonardo. Si laureato in Medicina nel 1985 e si specializzato poi in Ematologia generale Clinica e Laboratorio. Tra gli altri incarichi, stato direttore dell'Unit operativa Complessa di Day Hospital Oncologico dell'Istituto Scientifico di Pavia, della Fondazione Maugeri IRCCS e professore a contratto presso la I Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro dell'Universit degli Studi di Pavia. Ha svolto numerose attivit di ricerca ed autore di diverse pubblicazioni scientifiche. E' stato Presidente nazionale di AISLA e ArISLA, direttore Scientifico del Centro Clinico NeMo della fondazione Serena presso Azienda Ospedaliera Niguarda e Segretario Nazionale FISH - Federazione Italiana Superamento Handicap. E' stato prima Dirigente presso la DG Sanit di Regione Lombardia e dall'ottobre del 2012 assessore alla Sanit.

E' TROPPO BELLO VIVERE

intervista di Nicoletta Pasqualini

Per respirare si aiuta con un ventilatore, per mangiare ha un sondino nello stomaco. Viaggia in carrozzina e dipende dagli altri. Ma questo non gli impedisce, nella sua doppia veste di medico e paziente, di far sentire con la voce che gli rimane la voglia di vivere anche con una malattia che porta alla morte. Quanto rumore si fatto attorno al dolore di Piergiorgio Welby, malato di sclerosi laterale amiotrofica che chiedeva di morire perch la vita, in quelle condizioni cos dolorose, gli era diventata ormai insopportabile. Ma ci sono molti altri malati di SLA che gridano il coraggio ed il diritto di vivere, anzich di morire. Simbolo di questa lotta Mario Melazzini, primario al Day Hospital Oncologico S. Maugeri di Pavia, colpito quattro anni fa da questa cara ragazza: cos chiama affettuosamente la sua SLA. Una malattia neurodegenerativa che lo ha inchiodato ad una sed ia a rotelle ed ha ridotto il suo corpo ad un contenitore, togliendogli ogni possibilit di compiere gesti volontari. Da medico, ora anche paziente, dice che il problema reale da risolvere labbandono delle famiglie e delle persone che soffrono. Un uomo dolce, un belluomo, con una carriera tutta in ascesa. Dopo aver scoperto il male che lo affliggeva ha compiuto un cammino tortuoso e passando per il libro di Giobbe ha capito che la vita un dono e come tale vale la pena viverla sempre, ad ogni costo. Vivere bello, in qualsiasi modo, anche in un corpo che non sento pi mio.

Labbiamo intervistato a Verona, presso una casa famiglia della Comunit Giovanni XXIII. Sempre impegnato in questa battaglia per la vita? Attorno a questa malattia c il pi totale abbandono e me ne sono accorto quando mi sono ammalato. Questo mi ha spinto a farla conoscere. Non una malattia solo dellindividuo ma anche della famiglia. Il malato si scontra direttamente con le problematiche che questa malattia neurodegenerativa provoca, senza venire informato in maniera corretta, non tanto sul problema, ma sulle soluzioni. Quali sono? L80% dei pazienti decede entro tre anni dal momento della diagnosi perch non sufficientemente supportato con strumenti che facilitano la vita. Come laiutarsi nella respirazione con la ventilazione, che io faccio con una maschera, e con una alimentazione adeguata tramite un sondino che mi permette di condurre una vita qualitativamente accettabile. Prima di ammalarsi che persona era? La mia stata una vita dura, adesso lo di meno. Mi sono posto degli obiettivi e li ho raggiunti dal punto di vista familiare e professionale. Ho una famiglia bellissima. Sono diventato primario oncologo a 39 anni. Ero proiettato in una tranquillit sia professionale che personale stupenda anche se non ero mai contento perch cercavo di raggiungere sempre qualcosa di pi. Quali progetti aveva? Dare un po di serenit pratica a me, ai miei figli e a mia moglie per goderci la nostra vita di coppia, dato che tante cose ce le eravamo perse. Avevo un progetto per il mio lavoro: creare un gruppo di oncologi clinici con una maggior attenzione ai bisogni dei pazienti terminali. Poi improvvisamente, a 45 anni compiuti, entr in me questa ragazza. I primi segnali della malattia? Strisciavo il piede sinistro. Facevo molto sport. Andavo in bici e non riuscivo a mettere il piede nello scarpino del pedale. Da qui decisi di farmi degli esami dai quali non risult nulla se non una modestissima riduzione degli enzimi muscolari. Quindi? Pensai ad un semplice problema di schiena. Fino a quando il problema si trasfer allaltra gamba. Per camminare dovevo aiutarmi con il bastone. Decisi allora di fare tutti gli esami di accertamento. E l avvenne un brusco contatto reale da paziente con il mondo medico. Dopo ore di attesa chi mi visit mi disse: Ah! Ma lei medico... perch non lha detto?. E perch avrei dovuto?. Lavrei ricevuta prima. E poi con altrettanta grazia mi disse: Fa sport?. S. Bene, se lo scordi!. Come si evoluta la malattia? Da una stampella dovetti passare a due. Lei dovr cominciare a pensare di utilizzare la carrozzina, mi disse il riabilitatore. Nel giro di un mese la situazione precipit. Andai in montagna con i miei figli e, senza farmi vedere da nessuno, verificai quanto tempo impiegavo a fare la pista ciclabile a piedi e in carrozzina. Dal luned, tornando in ospedale, cominciai ad usare la carrozzina. Prima la consideravo una sconfitta, poi una vittoria nei confronti della malattia. Lessere cosciente degli effetti degenarativi della malattia sul proprio corpo, come le ha fatto vedere la vita? Fu bruttissimo sapere la diagnosi. Con questa malattia non si pu fare nulla, pensavo. Allontanai mia moglie, tutti. Volevo accelerare la malattia. Non accettavo laiuto di nessuno. Fino a quando toccai il fondo. Mi hanno aiutato due carissimi amici: Ron, amico fraterno, che con discrezione mi sempre stato vicino, ed il mio padre spirituale, Silvano Fausti, un gesuita. Volevo stare lontano da tutti. Ho passato quattro mesi in montagna. Portati la Bibbia mi disse il mio padre spirituale . Se hai voglia leggiti il libro di Giobbe. La Bibbia rimase sul comodino per un mese, poi decisi di aprirla. Giobbe mi aiut a capire lessenza dellesistere.

Qual ? Ho la fortuna di avere questa malattia che ti porta via tutto e tu sei prigioniero di un corpo. Un contenitore che pieno di nulla ma ricchissimo di emozioni. questo il valore aggiunto di questa malattia. Ho la fortuna come malato di provare e di affrontare determinate problematiche: perch non mettersi a disposizione degli altri?. NellAssociazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica? S, e da dieci mesi sono diventato presidente nazionale, nonostante la mia malattia progredisca. Conoscendo le problematiche che la malattia pu dare, puoi andare avanti in maniera dignitosa. Il caso di Welby ha suscitato un bel vespaio. Lei hai denunciato che chi nelle sue condizioni e vuole vivere fa meno notizia di chi invoca la morte... Credo nel valore della vita, la amo in tutte le sue manifestazioni. Mi sono reso conto di quanto sia importante, per una persona fragile, il sentirsi considerata, il sentire che esiste anche quando si trova a vivere in determinate situazioni. Gridare il coraggio di vivere e di far vivere una cosa forte. C invece molta disinformazione attorno a questo problema. In questo periodo si parla tanto di eutanasia, di accanimento terapeutico, suicidio assistito,autodeterminazione e autonomia del paziente, c una confusione mostruosa. Cio? Si sta strumentalizzando il problema. Si vuole normare un evento per arrivare alleutanasia. Il messaggio che passato che i malati che si trovano in una condizione simile a quella di Welby hanno una sofferenza tale che incompatibile con una dignit e qualit di vita accettabile. La sofferenza, il dolore si pu evitare? Ci sono tutti gli strumenti fisici per lenire la sofferenza fisica ma c anche la sofferenza psicologica che a volte fa molto pi male di quella fisica. Ci vuole un rapporto personalizzato con il paziente, condividendolo con i familiari proprio perch una malattia della famiglia. Cos c una presa in carico del paziente e in questo modo non si parla pi di accanimento terapeutico perch un percorso che si compie insieme. Quali cambiamenti le ha imposto la malattia? Dipendere dagli altri, adattarmi a tutte le situazioni. Sono passato dallaltra parte e questo mi ha insegnato a fare il medico. Mi ha fatto capire i valori reali della vita, apprezzare le piccole cose. Programmare ma non pianificare. C spazio per la felicit? Alla sera sono molto stanco ma sono felice. Mi alzo felice. Con un po di pensieri perch mi sento delle responsabilit nei confronti dei miei compagni di malattia e anche dei miei colleghi medici. Con i figli che rapporto ha? Loro sono la mia benzina, tutti e tre in modo diverso. Da questa nostra esperienza di malattia loro traggono un beneficio. Spero che la sofferenza che sto vivendo in modo positivo possa essere per loro una carica positiva. Sono maturati molto. Che ruolo ha sua moglie Daniela? Lei mi d forza e sicurezza. La malattia pu sfasciare le migliori famiglie. Ci ha tentato ma Daniela stata bravissima. Se fosse stato per la mia arroganza... Non si pu affrontare sofferenza e malattia senza amore. Vale sempre la pena di vivere? S! Perch la vita un dono e come tale va accettata, va vissuta dallinizio alla fine. Vissuta con amore e positivit perc h bisogna godere di ogni istante che si vive e ringraziarlo, per chi crede nel buon Dio. Chi non crede pu ringraziare chi vuole, per il fatto di essere stati messi al mondo. Lei credente? Moltissimo. La fede lha aiutata ad accettare la malattia? Soprattutto ad accettare la morte.

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