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VIVAIO. Il Timone.

2004 Catari: sfatiamo una leggenda

di Vittorio Messori I catari, ormai da anni, sono tornati di moda, soprattutto nella loro versione francese, quella degli albigesi. Ogni volta che vado verso la Spagna, non appena lautostrada entra nellantica Linguadoca, vedo apparire le scritte turistiche che annunciano che si nel Pays cathar. Gli autogrill, nelle zone di sosta, sono pieni di oggetti e oggettini proposti come souvenir della regione nel suo tragico passato medievale, presentato ora come glorioso: dalla parte, sintende, degli eretici sconfitti. Naturalmente so che, sotto a questa leggenda rosa dei buoni e poveri albigesi massacrati dai cattivi papisti, ci sono anche motivazioni politiche: la Francia della langue doc insofferente della Francia della langue doil, il Mezzogiorno che fu profondamente romanizzato e che fu vinto, conquistato, annesso, proprio ai tempi della Crociata contro i catari, dal Nord prima celtico e poi franco, dunque barbarico. Nel revival attuale dellantica eresia c molto che si avvicina alla lotta dei catalani e dei baschi verso il detestato dominio castigliano. Nella nostalgia del Midi per il suo passato e linsofferenza verso Parigi c il rifiuto che, nella Spagna periferica, si manifesta contro Madrid. Quel best seller internazionale che il Codice da Vinci, questo furbo frullato di sciocchezze esoteriche e di cose inventate, ha tra i suoi sfondi essenziali proprio il catarismo. Libro radicalmente anticattolico, in grado di incrinare la fede del credente comune grazie allastuzia dellautore, quel romanzo tra i primi nella classifica dei pi venduti nelle librerie cattoliche: cos risulta dalle apposite rubriche di Avvenire e di Jesus. So per esperienza che quando la vendita raggiunge certi livelli perch c la collaborazione indispensabile del libraio: molte copie in vetrina, pile di esemplari sparse nel locale e accanto alla cassa, materiale pubblicitario in evidenza. Lennesimo caso di masochismo cattolico? Non c da stupirsi: quando parlai con Umberto Eco del suo Nome della Rosa, lo trovai deluso (parole sue) della mancata reazione dei credenti. Anzi, mi disse che era rimasto prima sbalordito e poi divertito, da apostata dal cristianesimo anche questa definizione sua quando addirittura la maggiore universit cattolica degli Stati Uniti volle consegnarli il suo premio pi prestigioso per un libro che lo stesso autore aveva voluto come il pi velenoso possibile contro la fede. E che era nato, mi disse, da un desiderio che portava dentro sin dai tempi dellabbandono del cristianesimo: uccidere un monaco. Proprio nel Nome della Rosa, ecco arrivare puntuale leco dellaccusa contro la Chiesa che band la crociata degli albigesi. Labate del monastero dove si svolge lanomalo giallo esprime il suo punto di vista, quello dato per ufficiale, allora, nel cattolicesimo ortodosso: Quanto agli eretici ho una regola e si riassume nella risposta che diede Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux, a chi gli chiedeva cosa fare dei cittadini di Bziers, citt sospetta di eresia: Uccideteli tutti, Dio riconoscer i suoi. Ecco la reazione del frate-investigatore che, nel romanzo (con anacronismo un po buffo), controfigura di Eco, quindi pensa e parla come il professore liberal d i ununiversit anglosassone, secondo le categorie della political correctness divenuta di moda verso la fine del XX secolo (e, qui, siamo nel XIV!): Guglielmo abbass gli occhi e stette alquanto in silenzio. Poi disse: La citt di Bziers fu presa e i nostri non guardarono n a dignit, n a sesso n a et e quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta cos la strage, la citt fu saccheggiata e arsa. Sorprende che un professore tanto preoccupato di rigore e aggiornamento come il nostro Umberto, rimetta in circolazione ci riconosciuto come apocrifo da oltre un secolo. In effetti, non fu mai pronunciata la frase, divenuta tristemente famosa (e ancora oggi ripetuta, ma solo da dilettanti polemisti) attribuita al legato pontificio, labate di Cistercium, Citeaux in francese. Dom Arnaldo, cio, non responsabile di quel Tuez les tous, Dieu reconnaitra les siens che invece linvenzione fantasiosa di un monaco tedesco, Cesario di Heisterbach, che scriveva sessantanni dopo ed era ben lontano dallave re partecipato ai fatti. Abbiamo molte cronache della caduta di Bziers, ma in nessuna di esse vi traccia delle parole che divennero immeritatamente famose. Il padre Cesario, che viveva nel Nord della Germania da cui non si era mai mosso, non era n un cronista n uno storico, ma un compilatore di raccolte di aneddoti meravigliosi. In effetti, la frase disumana attribuita al legato Arnaldo sta in un suo libro dal titolo significativo, Dialogus miracolorum, ed , tra laltro, preceduta da un prudente dixisse fertur: si riporta che abbia detto.

Quanto alla sorte di Bziers, un mito anche che i morti siano stati ventimila e che sia stata distrutta. Il principale massacro avvenne nella chiesa della Maddalena che non poteva contenere pi di duemila persone e sappiamo che la citt, ben lungi dallessere svuotata e diroccata, si organizz subito per nuove resistenze. Comunque, poich sappiamo esattamente come andarono le cose in quel terribile giorno di luglio, sappiamo anche che non ci fu premeditazione. Unambasceria era stata inviata agli abitanti per chiederne la resa. Per tutta risposta, mentre i comandanti dei crociati erano a consulto, da Bziers si fece a sorpresa una sortita che aveva lo scopo non di sbaragliare ma di disturbare gli assedianti. Per loro sfortuna, gli incursori usciti dalla citt tentarono di devastare laccampamento dei ribauds, in italiano i ribaldi. Gi il nome suggerisce di chi si trattasse: vagabondi, pregiudicati, disertori, assoldati dai baroni per le imprese peggiori, in cambio del diritto di saccheggio. Davanti alla provocazione, questa masnada di gente senza scrupoli n paura non solo respinse gli assalitori ma, inseguendoli, riusc a penetrare dietro a loro nella citt. Quando i baroni furono avvertiti e giunsero con le milizie regolari, la carneficina era gi in pieno corso. Ci non toglie lorrore per stragi che, seppure inferiori a quanto vuole il mito anticlericale, restano orribili e contrassegnano senza dubbio la lotta contro i catari. Troppo complesso e lungo entrare, qui, nella trattazione analitica di un evento lungo e talmente complesso da avere provocato una delle bibliografie pi estese e in continuo accrescimento, come notavo. Ci basti richiamare alcuni punti: la dottrina degli albigesi (il nome che il catarismo assunse in Linguadoca) era un manicheismo oscuro, crudele, assurdo, comunque contrario a ogni regola non solo della societ di allora ma anche di quella di ogni tempo. La negazione del giuramento, del lavoro, del matrimonio, si univa a un cupo desiderio suicida, al culto dellendura, prova di fede suprema, consistente nel lasciarsi morire per fame per liberare lo spirito dalla sconcezza della materia. Il catarismo costituiva un pericolo sociale prima ancora che religioso. Non voleva riformare la Chiesa bens distruggerla e, con essa, tutto lordine del mondo che essa assicurava. Tra laltro, se la setta poteva non solo perdurare ma espandersi, lo si doveva al favore dellaristocrazia del Midi, desiderosa di mettere le mani sui beni strappati alla Chiesa. La solita storia, insomma: quella che si ripeter nel Cinquecento, quando il trionfo di Lutero sar determinato dallappoggio di principi interessati pi alle terre dei monasteri che ai dogmi; e che si ripeter ai tempi della Rivoluzione Francese, dove la borghesia sar cupida di comprare a prezzi ridicoli le ricchezze del clero dichiarate beni nazionali. Gli albigesi, tra laltro, erano un pericolo per la cristianit anche perch avevano rapporti, che cercavano di trasformare in alleanza, con i musulmani al di l dei Pirenei. In molti dei testi che infestano da tempo le librerie, appaiono come generosi riformatori, come miti e tolleranti annunciatori del loro Verbo riformatore contro il fanatismo cattolico. E vero il contrario: il loro nome significativo, chiamavano se stessi catari, cio, in greco puri, per la loro fanatica certezza di essere i soli portatori della Verit, i soli immacolati in un mondo satanico. Per oltre un secolo, la Chiesa temporeggi, tentando le vie pacifiche della persuasione, mentre il catarismo si organizzava in unaltra Chiesa, determinata a distruggere quella vecchia. Pure latteggiamento del papa, Innocenzo III, che giunse alla fine alla decisione di impiegare la forza, fu a lungo determinato dalla convinzione che fosse possibile ragionare, convincere, ricondurre alla fede. Ci si provarono anche grandi santi, come Bernardo e Domenico. Come ammette Daniel Rops, la pazienza della Chiesa fu ammirevole e, secondo alcuni, addirittura eccessiva. La risposta catara fu intollerante e violenta, molti missionari furono uccisi, il clero cattolico spogliato e brutalizzato. A Bziers, per esempio, la citt della strage, i canonici della cattedrale avevano dovuto fortificare la cattedrale per resistere ai continui assalti degli eretici. Le cose precipitarono proprio per un gesto di violenza estrema: nel gennaio del 1208 il conte di Tolosa, protettore degli albigesi, fece assassinare il legato del Papa, inviato per unambasceria che portasse a un accordo e alla pace. Fu a questo punto che Innocenzo III proclam la famosa crociata che ebbe sin troppo successo a causa (anche qui!) di motivazioni politiche: i baroni del Nord ne approfittarono per scendere in campo contro il ricco Midi e assicurarsene ricchezze e terre. Avvenne, insomma come, pochi anni prima, per la quarta crociata: partiti con la benedizione papale per dirigersi in Terra Santa, i pellegrini saccheggiarono prima Zara e poi presero addirittura Costantinopoli, incuranti delle scomuniche di Roma. Per tornare in Francia. Il 15 gennaio 1213, Innocenzo III scrisse cos allarcivescovo di Narbonne: Dei cinghiali devastavano in Linguadoca la vigna del Signore e sono stati resi inoffensivi. Per grazia di Dio e valore dei combattenti, la questione della fede ha preso fine in questo Paese con un successo che giudichiamo sufficiente. Dunque, ti ordiniamo di accordarti con il nostro caro figlio, il re di Aragona, e con i conti, baroni ed altri che abbiano autorit per giungere a convenzioni di tregua e di pace. Applicati con zelo a pacificare tutta la Linguadoca. Cessa di esortare il popolo cristiano alla guerra contro leresia e non promettere pi le indulgente che questa Sede Apostolica ha promesso per questo fine. Ecco il commento di Jean Guiraud, il grande medievista cattolico: Questa lettera molto importante

perch prova che, per Innocenzo III, la crociata era terminata alla fine del 1212, avendo conseguito, stando al Papa, sufficienti successi. Se la guerra dur ancora per ben 16 anni, questo avvenne malgrado la Santa Sede: a partire da quegli inizi del 1213, non fu pi che una lotta dei signori del Nord per spossessare i signori del Sud e una lotta dei re di Francia per riunire alla Corona quella magnifica provincia che la Linguadoca. Ne conclude Guiraud: Sarebbe gravemente ingiusto, dunque, rendere la Chiesa responsabile di una guerra che non ha pi approvato, e meno che mai diretto, e di atti di spoliazione e di conquista dovuti allambizione personale e alle mire politiche dei Signori. Fu proprio in quei terribili 1 6 anni in cui la Chiesa fu scavalcata che si verificarono gli atti peggiori, i massacri pi sanguinosi: ma, questo, proprio perch manc lopera moderatrice dei religiosi che avevano seguito le truppe allorch limpresa era riconosciuta come una crociata. Non dimentichiamo che proprio per combattere il catarismo, nei suoi vari volti, nacque lInquisizione, dopo grandi esitazioni da parte del papato e, inizialmente, per opera delle autorit civili. Si tratt della risposta a un problema drammatico, non di uniniziativa concertata a freddo, tanto per assicurare un dominio clericale sulle coscienze. La prima inquisizione non per caso voluta e poi gestita dai responsabili dellordine politico: solo chi sa cosa fosse davvero il feroce dualismo cataro cons apevole della disgregazione sociale e della barbarie che portava con s. A chi ne ha nostalgia (e pare siano in molti, non solo in Francia) laugurio di provare su di s quali fossero le delizie del regno dei puri. Agli altri, lasciamo come elemento di riflessione due citazioni significative. La prima di Henry Charles Lea, quel singolare editore e studioso americano che, per amore del suo protestantesimo, scrisse la pi informata, forse, storia dellInquisizione nel Medio Evo: Se la credenza dei catari fosse riuscita a reclutare la maggioranza dei fedeli, essa avrebbe riportato lEuropa ai tempi selvaggi primitivi. La seconda citazione di un altro protestante, Paul Sabatier, il celebre biografo di san Francesco: Il papato non stato sempre dalla parte della reazione e delloscurantismo: quando sbaragli i catari, la sua vittoria fu quella del buon senso e della ragione. Non dobbiamo permettere che le persecuzioni sopportate da eretici come questi ce li renda affascinanti al punto da modificare il nostro giudizio radicalmente negativo. Il Timone

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