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IL SOGNO

Abstract
Il tema del presente lavoro è il sogno. Ora, non volendo annoiare il lettore con cose che
presumibilmente già conosce, ciò che tenterò di attuare sarà un approccio il più possibile
originale e (questa è la speranza) nuovo rispetto ad un fenomeno ancora profondamente
sconosciuto. Saranno, così, “date per lette” molte delle questioni sia di ordine storico, sia
di ordine psicanalitico già abbondantemente presenti nella letteratura più o meno
specializzata, privilegiando una lettura decisamente poco ortodossa del fenomeno stesso.

Ciò che intendo proporre, quindi e nei limiti di questo articolo, è una serie di considerazioni
atte, infine, ad abbozzare un metodo valido per la comprensione di qualsiasi
manifestazione onirica sia essa qualificabile come sogno ordinario, come falso risveglio,
come sogno lucido, ovvero come OOBE (Out Of Body Experience). Tutto ciò nell’intento,
per niente nascosto, di portare il lettore ad una comprensione tale da fargli estendere, in
modo del tutto naturale, la percezione onirica a ciò che normalmente chiamiamo “mondo
reale”.

Nell’articolo è fatto più volte riferimento alla suddivisione dell’inconscio in quattro ambiti
(IP, IC, IU e IM). Tale argomento è presente in un articolo dal titolo “IM-TEORIA”
scaricabile qui:
http://semiasse.altervista.org/sentistoria/esquel/166_im_teoria.pdf

L’evento onirico.
L’evento onirico dovrebbe essere sempre inteso come un “oggetto” coerente, vero ed
autonomo.

In sostanza, per coerente intendiamo qualcosa di totalmente auto-esplicativo. Qualcosa


che è possibile leggere in modo del tutto consequenziale senza, cioè, poter rilevare
contraddizioni logiche al suo interno.

Per vero intendiamo il sogno come portatore di un messaggio preciso ed interamente


verificabile una volta messo a confronto con la storia personale del sognatore.

Infine, con autonomo ci si riferisce al fatto che il singolo sogno, pur ammettendo
senz’altro la possibilità di sogni logicamente concatenati, appare strutturato come un’entità
a se stante che nasce, si manifesta e muore e, in conseguenza di ciò, è capace da solo di
indurre mutamenti più o meno significativi nella psiche del sognatore.

Struttura dell’evento onirico.


Se chi legge ha qualche esperienza di programmazione, potrà pensare il sogno come ad
un programma Object Oriented (OO). Per chi non ha idea di cosa sia, un programma
Object Oriented può essere pensato come un grosso oggetto che, a sua volta, è costituito
da diversi oggetti minori (le sotto-procedure delle quali il programma stesso si serve). Tali
oggetti minori, pur essendo sostanzialmente autonomi rispetto al programma contenitore,
lavorano tutti per il raggiungimento di un determinato scopo (nel caso di un programma: il
lavoro per il quale è stato concepito, nel caso del sogno: il suo significato).

Si pensi, ad esempio, ad un programma che compie un calcolo complesso. Tanto più sarà
complesso il calcolo, tanto più facilmente questo sarà scomposto in sotto-procedure
(classi) le quali si occuperanno di compiere una specifica parte del lavoro, restituendo alla
procedura principale (main) valori parziali che, alla fine, la stessa main si occuperà di
assemblare nel modo più opportuno.

Ora, possiamo pensare che quelle classi esistano in modo autonomo sul disco fisso del
nostro programmatore e, ammesso che siano state scritte bene, che potranno essere
usate per un numero indefinito di programmi diversi (se una procedura esegue la somma
di due numeri reali, essa lo farà sempre, sia nel programma che stiamo scrivendo adesso,
sia in altri che potremmo decidere di scrivere in futuro).

Propongo, quindi, di pensare il sogno strutturato esattamente come un programma Object


Oriented, nel quale il sogno stesso, inteso nella sua complessità, è l’intero programma,
mentre gli oggetti onirici che lo compongono sono oggetti minori e specializzati, creati con
le classi appena descritte. In questo modo, la classe è pensabile come uno stampo in
grado di produrre un numero indefinito di oggetti non necessariamente con eguali
caratteristiche, se non per lo scopo (il metodo) che il singolo oggetto persegue.

Nota per i più maliziosi: attenzione, non si tratta di mutare il nome “archetipo” nel nome
“classe” (vedremo come le due cose siano, in realtà, diverse). Si tratta, piuttosto, di
cambiare radicalmente il modo di pensare il meccanismo onirico ammettendo, una volta
per tutte, la presenza di un motore intelligente, slegato dalla mente del sognatore e che
manifesta la propria presenza (e la propria volontà) principalmente (ma non solo)
attraverso la produzione onirica.

Ciò significa che, in ipotesi, questo motore sarebbe in grado di assemblare “al volo”
tutte le classi necessarie alla creazione di una determinata manifestazione psichica
sia essa un’emozione durante lo stato di veglia, un sogno ordinario, un sogno
lucido, un falso risveglio o un’oobe. Non solo, il suddetto motore sarebbe altresì in
grado di “creare” nuove classi partendo da quelle già esistenti.

Appare evidente che un’impostazione di questo tipo determina una dicotomia profonda
perché divide la Mente dall’Inconscio in modo netto e definitivo lasciando, da una parte, un
costrutto “mente” il quale copre (più o meno) interamente l’ambito del conscio e, dall’altra,
ciò che abbiamo definito “motore intelligente” che domina sull’intero inconscio. Ciò, come
vedremo, è un fatto gravido di conseguenze piuttosto interessanti giacché presuppone
l’esistenza di una volontà terza rispetto a Mente, in grado di agire su questa in molti e
diversi modi e per scopi sorprendentemente pragmatici.

Ma vediamo in quale modo tutto questo si possa realizzare e, per farlo, prendiamo ad
esempio un sogno pubblicato da una persona sul News Group “it.sogni.discussioni” -
gerarchia usenet - all’incirca un anno fa.

“Ho sognato di star guardando un telegiornale alla TV in cui davano notizia di un


sordomuto che si aggirava in una foresta (non so quale!) in America. Questo
sordomuto rapiva ragazzi/e più o meno della mia età e poi li uccideva. Ad un tratto
mi ritrovo in questa foresta assieme a mio cugino. Ma la cosa strana era che la
foresta era recinta da un muro al di là del quale vi era un paese. Inoltre vi era una
porta che permetteva di uscire dalla foresta per andare nella cittadina. Io e mio
cugino eravamo nella foresta, sentiamo dei passi, eccoci davanti il sordomuto. Mio
cugino comincia ad andare verso la porta, io lo seguo, sento i passi dell'assassino
alle spalle, dico a mio cugino di correre più veloce che può e io faccio lo stesso.
L'assassino ci è alle spalle. Il sogno finisce così. Cosa significa?

Senza considerare l’intero simbolismo onirico ci soffermeremo sulla figura dell’assassino,


affermando che, in questo caso, costui può essere inteso come l’oggetto di una classe che
potremmo denominare "Distruttore".

Ora, il Distruttore è sordomuto per definizione. Esso non accetta domande (né dà risposte)
sul perché distrugge. Fa il suo lavoro e basta.

Volendo generalizzare, quindi, potremmo affermare che dentro di noi esiste qualcosa che
lavora per la vita (costruttore) e qualcosa che lavora per la morte (distruttore) di parti di
noi. In specifico, di quelle parti che, avendo esaurito lo scopo per il quale sono venute ad
esistenza, ora non servono più. Nel corso della vita accade che parti di noi divengano
vecchie, obsolete e che, quindi, muoiano (accade tanto in ambito fisico, quanto psichico).
Così, quando ciò accade, compare il distruttore che ha il compito specifico di liberare il
campo da ciò che è diventato inutile.

Il problema è che, da esseri abitudinari quali siamo, ci affezioniamo alle nostre componenti
e, quando viene il momento della loro "terminazione", ci spaventiamo e facciamo sogni
come quello descritto dall’utente usenet.

In sostanza, ciò che il sogno descrive è lo spiegarsi d'una funzione psichica (il distruttore)
che compie il lavoro per la quale è stata creata.

Invocazione delle classi oniriche.


Supponiamo che, come nella programmazione Object Oriented, le classi oniriche siano
caratterizzate anzitutto dal proprio nome. Per restare sull’esempio proposto, avremo allora
la classe denominata “Distruttore” la quale esporrà un solo metodo (“distruggi”) ed una
serie di proprietà destinate a connotare l’oggetto che sarà creato a seguito
dell’invocazione della classe medesima. 1

E’ appena il caso di sottolineare che quella appena descritta è naturalmente una finzione.
In particolare , la stringa “Distruttore” sta lì ad indicare ai lettori di lingua italiana che la
classe ha un nome univoco, quale che sia. Dobbiamo, cioè e nell’ambito del modello
proposto, presupporre che i nomi delle classi abbiano una forma eguale per tutti i viventi 2
e, di conseguenza, siano codificati in un linguaggio adatto allo scopo. I nomi delle classi,
sotto questo profilo e visto che siamo in ambito “inconscio”, ossia lontani anni luce da una
logica binaria, potrebbero essere di natura essenzialmente emozionale.

Al di là, però, di tali interrogativi per noi ancora relativamente insondabili il motore
intelligente che muove l’intero sogno, non dovrà far altro che “chiamare per nome”

1
Tale proprietà potranno essere le più diverse ma, facilmente, esse avranno a che fare con l’immagine specifica
percepita dal sognatore durante il sogno e, quindi, figura umana, animale, vegetale, colore e tipo dei capelli, del manto,
dell’inflorescenza, livello specifico della Hybris manifestata, etc.
2
Segnatamente, per tutti gli IP appartenenti ad uno specifico IC. In proposito vedi l’IM-TEORIA.
(invocare) la classe della quale ha bisogno per risolvere uno specifico pezzo dell’evento
onirico, “passando” alle singole proprietà eventualmente esposte dalla classe medesima le
informazioni (dati) necessarie a configurarle correttamente ed attivando uno dei metodi
relativi. Evidentemente, le informazioni passate alle proprietà della classe saranno quelle
afferenti sia alla situazione contingente, sia alla storia personale del sognatore.

Così, nel sogno proposto, la classe “Distruttore” una volta invocata genera un oggetto
fortemente connotato (l’assassino sordo-muto del sogno). Tuttavia, non è affatto detto che
il sognatore, la prossima volta che sarà invocata la stessa classe, farà esperienza onirica
del medesimo oggetto. Meglio, se le conseguenze saranno verosimilmente le stesse,
l’immagine onirica potrebbe mutare. Questo, per le considerazioni sopra dette, rivelerebbe
una straordinaria capacità dinamica delle classi oniriche. Una capacità che appare
assolutamente peculiare.

Ciò è immediatamente osservabile dal confronto dei sogni di soggetti diversi ed aventi ad
oggetto situazioni simili, nonché dal confronto dei c.d. grandi sogni (ossia, i sogni nei quali
si manifesta la presenza di contenuti inconsci dotati di “numinosità” 3 ). In entrambe queste
situazioni è possibile osservare come il singolo oggetto onirico vesta facilmente panni
diversi nei sogni di soggetti diversi, ancorché stia lì a fare la medesima cosa. Restando
sull’esempio del “Distruttore”, questi potrà da taluno essere percepito come un uomo
(assassino), da altri come un animale (un divoratore di carogne) o, da altri ancora, come
un essere spirituale (l’angelo distruttore di apocalittica memoria).

Questo è ancor più evidente nei “grandi sogni”. Si pensi, ad esempio, all’epifania onirica
della Vergine, nella sua accezione di Madre Celeste. E’ improbabile che due persone
diverse le quali dovessero farne esperienza onirica descrivano, da svegli, la stessa,
identica figura. Al contrario e facilmente, le due descrizioni potrebbero differire per diversi
particolari quali il colore del manto, dei capelli, degli occhi, la foggia della corona e così
via 4 .

Giustificare, quindi, il mutamento di forma del singolo oggetto percepito in sognatori


diversi, così come nello stesso sognatore, può essere agevole facendo riferimento sia alla
cifra psichica unica (quanto irripetibile non saprei) propria di ciascuno di noi, sia
all’estremo dinamismo delle classi oniriche, sia alla straordinaria capacità mitopoietica di
ciò che abbiamo chiamato “motore intelligente” il quale sarebbe in grado di derivare nuove
classi da quelle già esistenti in presenza delle variabili più strane e bislacche (in
riferimento, ovviamente, alla storia personale del sognatore). In tal caso la classe derivata
erediterebbe metodi e proprietà della classe genitore aggiungendone di ulteriori e creando
oggetti specifici, atti a risolvere (nel modo più sublime) specifiche parti del singolo evento
onirico.

Archetipi.
In ordine a questi particolarissimi oggetti onirici, uno dei problemi più grossi è costituito
dalla loro estrema potenza così come dalla rilevante autonomia che, probabilmente
proprio grazie a tale potenza, dimostrano di possedere.

3
Che si riferisce alla sfera del sacro. Numen (pl. Numinia) era usato dai latini per esprimere la potenza divina.
4
Non è in discorso ‘cosa fa’ o ‘dice’ l’epifania, bensì solo la sua apparenza onirica essendo l’azione dell’oggetto onirico
legata con evidenza allo scopo del sogno inteso come oggetto principale.
Spesso, in relazione all’interpretazione onirica di un “grande sogno” e in riferimento al
sognatore, si nota l’uso della proposizione specifica “entra in contatto”. Come a dire che il
soggetto, durante il sogno, sperimenta (entra in contatto con) una manifestazione onirica
particolarmente potente (un archetipo, appunto) e che, almeno all’interno della
speculazione junghiana, comporta sempre conseguenze profonde per il sognatore
medesimo. Ritengo questo modo di descrivere il fenomeno piuttosto ambiguo. In
particolare, connotare l’esperienza soggettiva con la frase “entrare in contatto” con
qualcosa, in realtà non spiega alcunché sull’eziologia di questo qualcosa.

Tuttavia, è ben vero che questi oggetti spesso si comportano in modo tale da ingenerare
l’idea che possano agire del tutto autonomamente. Si pensi alle psicosi, ossia a scenari
all’interno dei quali alcuni di questi grandi oggetti onirici appaiono del tutto autonomi e
soverchianti rispetto alla coscienza di veglia. Del resto, anche in ambito onirico, qualora si
tratti di immagini numinose, tale strapotere è facilmente rilevabile dallo stesso sognatore.
Tutto ciò potrebbe essere spiegato in termini di reale autonomia di tali immagini rispetto
all’inconscio personale (IP) poiché appartenenti ad un ambito psichico radicalmente
diverso (l’inconscio collettivo, appunto).

Ne consegue che, in ordine all’ipotesi proposta, dovremmo pensare che ciò che abbiamo
chiamato il motore intelligente che crea e muove i sogni possa, di norma, invocare una
certa classe al fine di creare un grande oggetto onirico ma che, quando lo fa, in realtà
compia un’operazione sempre potenzialmente pericolosa (stante proprio la potenza della
classe invocata). Tanto che, in alcuni casi, tale misterioso motore sembra perdere il
controllo sulle forze che ha messo in gioco con effetto dirompente sulla coscienza (che, da
quel preciso istante, va letteralmente in pezzi 5 ).

In altre parole ed in omaggio al dinamismo delle classi, se l’invocazione di una classe


“Animale” può generare un oggetto “Cane” questo si caratterizzerà diversamente oltre che
per razza, dimensioni e atteggiamento anche per la specifica forza che sarà in grado di
veicolare. Di talché, il medesimo barboncino sarà in grado, a seconda del grado di forza
espressa, di caratterizzarsi o meno come archetipo. Questo è un punto interessante
perché suggerisce l’idea che, in realtà, potrebbe non esistere affatto una superclasse
destinata a contenere i c.d. archetipi e che, piuttosto, sembrerebbe più aderente
pensare ad un unico insieme di classi che possono tutte, senza eccezione, generare
sia oggetti numinosi, sia oggetti ordinari. Tutto dipende dal modo con il quale il motore
intelligente, che per brevità d’ora in avanti chiameremo “K” 6 , le ha invocate.

In dipendenza di una tale meccanismo, quindi, lo stesso sognatore potrà in un sogno


giocare con il proprio cane, in un altro parlare con esso, scoprendolo un pozzo di
saggezza e di sapienza. Nel primo caso, avremo un contenuto onirico ordinario (ancorché
coerente e vero relativamente all’economia del sogno), nel secondo avremo ciò che Jung
chiama un archetipo. Nel primo caso e in un’ipotetica scala da 1 a 10, K avrà invocato la
classe “Animale” conferendo alla proprietà “Hybris” il valore 1, nel secondo caso il valore
9.

5
Se questo è senz’altro vero per le psicosi, sembra esserlo anche per l’evento onirico quando, ad esempio, esso diviene
incubo ponendo il sognatore in una situazione di estrema angoscia e sofferenza.
6
La scelta della lettera K ha tre spiegazioni concorrenti: la prima deriva dal fatto che è usata, sia nelle carte da gioco, sia
negli scacchi per indicare il re, la seconda è un omaggio a Johann Martin Schleyer, un sacerdote cattolico del Baden, in
Germania che, tra il 1879 e il 1880, realizzò Il Volapük (volappa K), una lingua artificiale ausiliaria (non conosco per
niente il volappa K, ho solo simpatia per gli idealisti). La terza deriva dall’intento di slegare definitivamente, anche in
modo formale, l’attività di questo motore intelligente dalla mente del singolo individuo.
Restando in ipotesi, quindi, K decide autonomamente quando e come invocare le classi
oniriche. E lo fa perché evidentemente ha uno scopo preciso da conseguire.

Nei termini della Piscologia del Profondo (la branca junghiana della psicanalisi) i processi
inconsci sono visti tutti all'interno di un "super processo" chiamato "processo
d'individuazione".

Tale processo inizia, a mio avviso, già nella fase prenatale e dura per l'intera esistenza. Il
motore di questo processo è la paura dell'indifferenziato (ossia il luogo dal quale
proveniamo) che spinge la coscienza a crescere il più possibile (rispetto alle possibilità
individuali) al fine di fuggire dal riassorbimento.

Ora, tale processo esiste per ciascuno di noi (anche per coloro i quali non ne avranno mai
reale consapevolezza perché, per costoro e semplicemente, svilupperà sotto la soglia
della coscienza) e si manifesta in fasi abbastanza ben identificabili, giacché ciascuna fase
è dominata dal manifestarsi di un determinato archetipo.

Tali manifestazioni avvengono solitamente (ma non solo) a livello onirico con l'avvento dei
c.d. grandi sogni. L'Ombra, L'Anima/Animus, il Vecchio Saggio, il Bambino Divino segnano
un percorso psichico, a volte gioioso, altre decisamente drammatico, inteso a portare
l'individuo al Sé, ossia all'archetipo che simboleggia una coscienza completamente
sviluppata, compensata e potente.

Jung è stato il primo a rilevare la straordinaria affinità che lega il processo suddetto con
quanto descritto nei testi alchemici (in qualsiasi epoca questi siano stati scritti). In
sostanza, l'intero processo d'individuazione può essere letto in termini strettamente
alchemici, dove la Trasmutazione (la creazione della Pietra) equivale al raggiungimento
del Sé.

Ebbene, tale affermazione potrebbe per alcuni risultare oscura giacché il concetto stesso
di “Sé” è un’astrazione e, infine, nemmeno troppo soddisfacente. Se il Sé disegna uno
stato psichico compiuto 7 , perché l’uomo avverte la necessità di conseguirlo? Meglio,
perché K spinge in modo così universale per il suo conseguimento? E’ possibile ipotizzare
che K non limiti la propria attività all’ambito onirico ma la estenda all’intera vita cosciente
dell’individuo?

Abbiamo visto come il processo d’individuazione muova dalla paura del riassorbimento (in
sostanza, dalla paura della morte). Ipotizziamo, allora, che Dio abbia creato l’uomo e che
lo abbia fatto a propria immagine e somiglianza. Se questo è il presupposto, potremmo
pensare che i nostri bisogni più profondi siano i medesimi del nostro creatore. Ossia, che
lo stesso terrore che spinge ciascuno di noi a fuggire dalla morte, muova anche chi ci ha
creato verso il medesimo obbiettivo. Se questo fosse vero, allora ogni cosa potrebbe
acquistare un senso.

In questa accezione, Dio, ossia ciò che abbiamo chiamato Multiverso 8 , è un essere
cosciente, fantasticamente grande e complesso che, tuttavia, è destinato a morire. Così,
per sfuggire alla propria morte, Egli attua una strategia precisa cercando di aumentare

7
Ci sarebbe da discutere un bel po’ sul reale significato di una tale compiutezza. In particolare, tale compiutezza è la
medesima per tutti? Oppure, al contrario, in ciascuno può assumere aspetti diversi? Perché, in questo secondo caso,
essendo priva del requisito dell’universalità, chi ci assicura che si tratti realmente di uno stato psichico compiuto?
8
Vedi IM-TEORIA
sempre più la propria consapevolezza. Solo che non potendolo fare direttamente
giacché non ha alcun soggetto diverso da Sé con il quale confrontarsi, Egli delega
questo atto fondamentale a parti di se stesso. Stiamo parlando di consapevolezze
separate, esistenti a diversi livelli, che lavorano tutte indistintamente per incrementare
sempre più la consapevolezza del tutto. Ed una di queste è l’uomo 9 .

Toglie il fiato, ma proseguiamo. Se tutto questo ha un senso, allora K è la funzione


multiversale che si preoccupa di assicurare che ciascuna consapevolezza separata svolga
il proprio compito nel modo migliore. Sotto questo profilo, ogni consapevolezza separata è
trattata da K come “sacro favo” destinato a produrre la consapevolezza, il “nettare degli
dei”.

Ora, K svolge il proprio compito interagendo continuamente con la singola


consapevolezza. Ossia, per K non vi sarebbe alcuna differenza fra stato di sogno e stato
di veglia, giacché entrambi sarebbero meri stati dell’essere, all’interno dei quali la
produzione di consapevolezza resterebbe l’unico fine e, siccome sottostanti a leggi
diverse, usati dalla funzione multiversale sempre nel modo più opportuno. Ma sempre in
termini strettamente simbolici.

Per questo sembra possibile trattare indifferentemente il sogno, il sogno lucido, il falso
risveglio, l’oobe, la normale esistenza cosciente e il delirio psicotico 10 come manifestazioni
dell’interazione fra ciò che abbiamo chiamato K e la singola consapevolezza. Perché,
nell’ipotesi prospettata, K interagisce in modo costante con questa a prescindere
dall’ambito all’interno del quale la stessa si muove.

Questo è importante, perché permette di trattare in modo uniforme ogni singolo atto di K
alla luce di una comunicazione che, come detto, è strettamente simbolica. Ossia, vuol dire
che il linguaggio usato da K per interagire con la consapevolezza è sempre basato sul
simbolo.

Il lemma, dal greco súmbolon (σύμβολον ) e dalle radici sym-, "insieme" e bolḗ, "un
lancio", indica l’emissione di un’unione di più significati in un unico segno. Questo è
davvero il linguaggio di K.
K è diverso da Mente e, come detto più sopra, è privo di una logica binaria che è propria
solo di quest’ultima, che la usa per rendere manifesto il contenuto logico del simbolo. In
ciò, Mente è libera d’interpretare il simbolo che, per sua natura, è sempre duplice e
ambiguo. Così, K, padrone assoluto dell’ambito psichico, interagisce continuamente con la
singola consapevolezza invocando, ogni volta, le classi opportune (nel sogno così come
nella vita “reale”) e capaci di produrre i simboli necessari a quella specifica interazione al
fine di far evolvere quella stessa consapevolezza per lo scopo sopra detto.

Quando K fa questo, il risultato è sempre qualcosa di analogico, sottilmente ambivalente e


profondamente emozionale. Può essere l’oggetto di un sogno, oppure un segno che si
manifesta durante la veglia, ma il suo effetto, oltre che evocare un’emozione intensa, è
sempre quello di porre a Mente un enigma che, tuttavia e in base alle premesse fatte, è
sempre “coerente”, “vero” ed “autonomo”.

9
Il punto è talmente interessante che potrebbe far parte di uno studio ad hoc. La questione, infatti, è relativa alla
possibilità che l’uomo sia, in realtà, se non l’unico, il più alto momento di consapevolezza all’interno della Creatura. Ma è
argomento che tratteremo eventualmente in altra sede.
10
Per il delirio psicotico l’interazione sarebbe irrimediabilmente caotica e, quindi, infruttuosa ai fini della produzione di
consapevolezza.
Si tratta, in sostanza, di mutare prospettiva rapportandosi sia rispetto al sogno, sia
soprattutto rispetto alla realtà quotidiana in modo strettamente simbolico. Così
“recuperiamo” il rapporto con K, ossia con quello che in ogni tradizione sciamanica ha
preso il nome di Spirito. Con la differenza esiziale che noi, occidentali del terzo millennio,
ci troviamo, rispetto agli sciamani, in una posizione assolutamente privilegiata. Se quelli,
infatti, si muovevano (e si muovono) in un ambito esclusivamente magico e che, a motivo
di ciò, conosce limiti sistemici (nel senso di imposti dal sistema di riferimento), per noi che
abbiamo perso tutto grazie a secoli di razionalismo 11 , quei limiti non esistono affatto.

In altre parole, nulla impedisce all’occidentale di riappropriarsi del proprio retaggio magico
in modo perfettamente laico, ossia senza più i limiti che ogni tradizione magica impone ai
propri adepti. Se, infatti e come credo, l’atto magico altro non è che un atto percettivo (solo
più potente e specializzato) allora esso è frutto specifico della consapevolezza, meglio di
quella funzione specializzata della consapevolezza che abbiamo chiamato attenzione 12 .

Per mezzo dell’attenzione l’uomo interagisce con tutto quanto sta dentro e fuori di sé.
Questo significa che, ragionando in termini simbolici, l’attenzione è il mezzo con il quale
l’uomo interagisce con ciò che abbiamo chiamato K.

Da qui a portare la propria capacità attentiva a risolvere simbolicamente e in ogni


circostanza tale interazione il passo può essere lungo, oppure molto breve. Ma anche
questo è argomento per un altro lavoro.

eSQueL

BIBLIOGRAFIA MINIMA

- Carl Gustav Jung - “Gli Archetipi e l’Inconscio Collettivo” Ed. Boringhieri 1976
(consigliata la lettura dell’opera omnia pubblicata dal medesimo editore);
- eSQeuL - IM-TEORIA, Teoria dell’Inconscio Multiversale. Scaricabile qui:
o http://semiasse.altervista.org/portal/html/modules.php?op=modload&name=
News&file=index&catid=&topic=8
o http://www.paleoseti.it/e107_plugins/content/content.php?content.167

11
E’ un grazie detto molto sentitamente.
12
Vedi IM-TEORIA

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