Sei sulla pagina 1di 13

IL DONO CHE CI RENDE CHIESA

Riflessioni sulla Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia

Pubblicato in Forma Sororum, 41 (2004) 3-16.

P. CARLO SERRI ofm.

C’è, nell’evento pasquale e nell’Eucaristia che lo attualizza nei


secoli, una “capienza” davvero enorme, nella quale l’intera storia
è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione.
Questo stupore deve invadere sempre la Chiesa raccolta nella
Celebrazione eucaristica (EdE 5).

Introduzione: la grazia dello stupore

“Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Queste parole, pronunciate da


Gesù nell‟ultima cena, hanno attraversato i secoli, forgiando la fede e la vita dei
credenti. Celebrando la sua Eucaristia Gesù rivelò ai suoi discepoli il segreto più
profondo della sua comunione con il Padre, e li aprì all‟attesa del Paraclito, che
avrebbe preso la sua vita per donarla al mondo. Quella sera gli apostoli,
inconsapevoli protagonisti, furono immersi in un mistero troppo grande per la
loro comprensione. Solo al compimento del Triduo pasquale le parole del
Maestro avrebbero manifestato la pienezza del loro significato (cf. EdE 2). Lo
Spirito li avrebbe guidati alla “verità tutta intera” (Gv 16,13), custodendoli nel
loro ministero di testimonianza e d‟autorità.
Gli apostoli si scoprirono destinatari e protagonisti di un dono indicibile,
in cui una fede ancora tremante doveva congiungersi ad un amore stupefatto.
Avevano ricevuto dal Signore la grazia di perpetuare la sua presenza nel mondo
tramite la celebrazione eucaristica. Il cenacolo resta per sempre scuola d‟intimità
divina, e il colloquio di Gesù con i suoi discepoli ha tracciato piste perenni di
spiritualità sacerdotale. Per questo Giovanni Paolo II, da quando ha iniziato il
suo ministero di successore di Pietro, ha inviato ogni anno, il Giovedì Santo, una
lettera ai sacerdoti per ravvivare in essi il dono ricevuto (cf. 2Tm 1,6).
Nel venticinquesimo del suo ministero petrino, ha voluto allargare la sua

1
riflessione eucaristica a tutta la Chiesa, inviando a tutti i fedeli l‟enciclica
Ecclesia de Eucharistia. Il Papa, quasi prolungando la meditazione del cenacolo,
ci ricorda che la Chiesa nutre la profonda coscienza di nascere dall‟Eucaristia. In
questa celebrazione, infatti, è espressa e realizzata l‟unità dei credenti in Cristo.
Un sacramento non è riducibile alla banalità del rito formale o della cerimonia
suggestiva. Quando celebra la Chiesa tocca il mistero e ne resta feconda, non
solo con l‟incanto di un ricordo nostalgico, ma con la concretezza di una
partecipazione corporea. Nell‟Eucaristia infatti viviamo la perenne efficacia del
mistero pasquale e scopriamo la “contemporaneità” del sacramento con la
salvezza realizzata storicamente da Cristo.
La Chiesa non è un prodotto terreno, costituito secondo le dinamiche
sociali dei raggruppamenti umani. Popolo di peccatori e Corpo mistico di Cristo,
essa vive della vita di Dio. Nella sua liturgia la Chiesa esalta la gratuità di un
dono di grazia che la rinnova continuamente, trasformandola, per il mondo, in
perenne offerta di salvezza.

1. Il cuore colmo di gratitudine: fede e teologia

Per entrare nella comprensione profonda della riflessione del Papa


dobbiamo collocarci sul suo stesso orizzonte espressivo, e immergerci nella fede
della Chiesa. Quando preghiamo non ci limitiamo a rievocare un passato
concluso. La memoria liturgica, nel soffio dello Spirito, vibra per la comunione
di fede con il Cristo vivente in eterno, che riempie la storia della sua Persona.
Come il Cristo glorioso, così le sue azioni salvifiche non sono
condizionate dal tempo e dallo spazio, ma partecipano dell‟eternità di Dio e
sono contemporanee a tutta la storia.
Cristo risorto, salendo al Padre, si è sottratto allo sguardo, ma non certo
alla vita dei suoi discepoli. Egli rimane per sempre presente alla vita della
Chiesa, visibile solo agli occhi della fede, unico mediatore tra Dio e gli uomini
(cf. 1Tm 2,5). Il Figlio di Dio, “divenuto sommo sacerdote per sempre” (Eb
6,20), celebra nella Chiesa il suo sacrificio, e per mezzo dell‟Eucaristia, ci dà il
modo di partecipare al sacrificio della croce come se vi fossimo stati presenti
(cf. EdE 11). Il cristianesimo non è una visione filosofica del mondo, ma si
fonda su un evento, sull‟incontro con la persona di Cristo, che avviene nella
nostra storia.
La celebrazione eucaristica coinvolge inevitabilmente tutto quello che la
Chiesa confessa di Cristo e della sua opera di salvezza. Non esprime una verità

2
marginale, ma ordina e struttura il complesso della fede della Chiesa.
L‟Eucaristia è innanzitutto un mistero da adorare, rivelandoci l‟oceano senza
misura dell‟amore di Cristo, che si dona per noi “fino all‟estremo” (cf. Gv 13,1).
“Pochi anni or sono ho celebrato il cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio.
Sperimento oggi la grazia di offrire alla Chiesa questa Enciclica sull‟Eucaristia, nel
Giovedì Santo che cade nel mio venticinquesimo anno di ministero petrino. Lo faccio
con il cuore colmo di gratitudine” (EdE 59).

La gratitudine del dono evoca ed esige una restituzione devota e


obbediente, che non offende né mortifica la bellezza della grazia ricevuta. Per
questo il Papa non manca di sottolineare certi atteggiamenti, certamente
minoritari, ma che possono ferire la fede eucaristica della Chiesa:
“vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di
adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell‟uno o nell‟altro contesto ecclesiale, abusi
che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile
Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico.
Spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il
valore di un incontro conviviale fraterno. Come non manifestare, per tutto questo,
profondo dolore? […] L‟Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e
diminuzioni” (EdE 10).

Ci troviamo dinanzi ad un duplice pericolo. Il primo è costituito dalla


vanificazione dell‟Eucaristia, ridotta a pura cifra simbolica, metafora del
sentimento religioso che aspira ad una comunione con il divino.
Quest‟impostazione, apparentemente religiosa, dissolve la dimensione storica
concreta dell‟evento di salvezza, respingendo il sacramento nelle nebbie del
soggettivismo emotivo. L‟incarnazione del Cristo e la realtà della sua presenza
nella storia possono venire pericolosamente sottovalutate, banalizzando
l‟Eucaristia fino a farne un semplice accadimento umano. L‟altro pericolo,
corrispondente al primo, è l‟offuscamento della natura sacramentale della Chiesa
che, privata della sua identità teologica di Corpo di Cristo, viene ricondotta alle
leggi della sociologia. Una retta comprensione del mistero eucaristico esige il
previo riconoscimento della natura sacramentale della Chiesa stessa.

2. Il sacrificio che ci dà la vita

“„Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito‟ (1Cor 11,23), istituì il Sacrificio
eucaristico del suo corpo e del suo sangue. Le parole dell‟apostolo Paolo ci riportano

3
alla circostanza drammatica in cui nacque l‟Eucaristia. Essa porta indelebilmente
inscritto l‟evento della passione e della morte del Signore. Non ne è solo l‟evocazione,
ma la ri-presentazione sacramentale. È il sacrificio della Croce che si perpetua nei
secoli” (EdE 11).

Le parole del Papa a proposito della natura sacrificale dell‟Eucaristia


rilevano un aspetto fondamentale della dottrina cattolica, già esposta dal
Concilio di Trento, dal Concilio Vaticano II e, più recentemente, dal Catechismo
della Chiesa cattolica.
Le parole dell‟istituzione eucaristica, così come sono riportate dai vangeli,
non ci attestano soltanto che il cibo e la bevanda dell‟ultima cena sono il corpo e
il sangue di Cristo. Ci rivelano anche che l‟offerta del corpo e del sangue, fatta
nell‟ultima cena, ebbe valore sacrificale, perché rese presente, in modo
sacramentale, il sacrificio che si sarebbe compiuto sulla croce per la salvezza del
mondo (cf. EdE 12).
La liturgia non consiste nella duplicazione del sacrificio della croce o
nella sua imitazione simbolica. La Messa rende presente l‟unico sacrificio della
croce, non lo moltiplica né lo replica. Si tratta sempre dell‟unico sacrificio
offerto da Cristo, che ritorna presente per noi nella celebrazione eucaristica.
Come ha ribadito il Catechismo della Chiesa cattolica, “il sacrificio di Cristo e il
sacrificio dell‟Eucaristia sono un unico sacrificio” (CCC 1367).
La fede cattolica, già sapientemente meditata dai padri della Chiesa, ha
trovato la sua formulazione definitiva nel Concilio di Trento. Questo Concilio
insegna, a proposito del sacrificio della Messa, che in essa non avviene la
ripetizione dell‟offerta, ma che ci troviamo dinanzi ad una sola e identica
vittima. Lo stesso Gesù, che offrì se stesso sulla croce, si offre adesso per mezzo
del ministero dei sacerdoti. Quello che cambia è solo il modo di offrirsi, ma la
vittima e il Sacerdote sono identici1. L‟enciclica di Giovanni Paolo II ricorda
che si tratta di un sacrificio in senso proprio, e non solo metaforico:
“In forza del suo intimo rapporto con il sacrificio del Golgota, l‟Eucaristia è sacrificio
in senso proprio, e non solo in senso generico, come se si trattasse del semplice
offrirsi di Cristo quale cibo spirituale ai fedeli. Il dono infatti del suo amore e della sua
obbedienza fino all‟estremo della vita (cf. Gv 10,17-18) è in primo luogo un dono al
Padre suo. Certamente, è dono in favore nostro, anzi di tutta l‟umanità (cf. Mt 26,28;
Mc 14,24; Lc 22,20; Gv 10,15), ma dono innanzitutto al Padre: sacrificio che il Padre
accettò, ricambiando questa totale donazione di suo Figlio, che si fece „obbediente fino

1
CONCILIO ECUMENICO TRIDENTINO, Sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio,
cap. 2: DENZINGER, 1743.

4
alla morte‟ (Fil 2,8), con la sua paterna donazione, cioè col dono della nuova vita
immortale nella risurrezione” (EdE 13).

L‟Eucaristia dunque non può essere concepita solo come la proclamazione


di una parola di perdono e filantropia tra gli uomini. Quando celebriamo
l‟Eucaristia applichiamo agli uomini di oggi la riconciliazione ottenuta da
Cristo, con il suo sacrificio sulla croce, una volta per tutte e per gli uomini
d‟ogni tempo.
Certamente, in un‟epoca contrassegnata dal pensiero debole e dal
relativismo culturale esasperato, può apparire molto scomodo un annuncio che
pretenda di affermarsi come via di salvezza eterna e universale. Qui tocchiamo il
cuore della nostra professione di fede. Si evidenzia il carattere provocatorio del
kerigma cristiano, che lega la salvezza all‟annuncio di Cristo crocifisso,
“scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23).
Nella fede eucaristica si gioca la questione dell‟identità della Chiesa, che
non si propone solo come un‟agenzia culturale tra le altre possibili; ma si
concepisce, in Cristo, come “sacramento universale di salvezza” (LG 1).
Il cardinale Kasper, in una recente intervista, ha rilevato che “tutta
l‟enciclica è attraversata dal riconoscimento che la Chiesa non si dà la vita da
sola, non si edifica da se stessa, non si autoproduce”2. La Chiesa nasce e vive del
dono ricevuto dall‟alto, dal sacrificio di un amore che va fino “all‟estremo” (cf.
Gv 13,1). Questo dono ci rende Chiesa e sostiene il nostro cammino verso la
pienezza dell‟amore.

3. Presenza reale, non suggestione emotiva

La dottrina teologica della ripresentazione sacramentale del sacrificio di


Cristo nella santa Messa allarga immediatamente la riflessione sulla fede nella
presenza reale. Su questo punto Ecclesia de Eucharistia, al n. 15, riprende
espressamente l‟insegnamento già offerto da Paolo VI nell‟enciclica Mysterium
Fidei del 1965. Non affermiamo che la presenza del Signore nell‟Eucaristia è
reale per suggerire che le sue altre maniere di presenza nel mondo siano
immaginarie. Si vuole intendere che nell‟Eucaristia c‟è la presenza reale per
antonomasia, perché in essa il Signore è presente sostanzialmente, nella sua
pienezza umana e divina.
L‟enciclica richiama esplicitamente la dottrina del Concilio di Trento,

2
Cf. l‟intervista concessa dal card. Walter Kasper alla rivista Trenta Giorni, Anno

5
secondo la quale questa presenza del Signore implica la reale e totale
conversione di tutta la sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del
sangue del Signore3. Il richiamo alla dottrina e al linguaggio della
transustanziazione potrà forse apparire a qualcuno teologicamente datato.
Invece la sua evocazione è basilare, anche nella moderna situazione culturale,
per la corretta comprensione della comunione eucaristica, che non è figurativa,
ma personale.
Proprio perché il Signore è realmente e sostanzialmente presente
nell‟Eucaristia, noi possiamo accedere alla comunione personale con Lui.
Veramente la Messa è un banchetto in cui Cristo si offre a noi come nutrimento
(cf. EdE 16). Se così non fosse c‟incontreremmo solo con i nostri sentimenti.
La Chiesa ha sempre difeso questo linguaggio corporeo concreto nel
descrivere il mistero eucaristico. In questa consuetudine verbale ha sempre
percorso la via evangelica, ossia ha adottato il realismo del linguaggio
giovanneo: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda” (Gv
6,55).
Queste parole sono scandalose per l‟uomo moderno, come lo furono per
gli ebrei che le udirono la prima volta, nella sinagoga di Cafarnao. Anche oggi
qualcuno ripeterà: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” (Gv 6,60).
Sappiamo bene che queste parole costarono care a Gesù che, dopo averle
pronunciate, si vide abbandonato da molti dei suoi discepoli (cf. Gv 6,66).
Accogliere l‟Eucaristia vuol dire accogliere e confessare Cristo stesso: “Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto
che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
Un‟adesione di fede così profonda non sarebbe possibile senza l‟impulso
efficace della grazia. Il Papa ci ricorda che, attirandoci alla comunione di vita
con Lui, il Signore ci comunica il suo Spirito (cf. EdE 17). Proprio la
partecipazione al dono dello Spirito consente l‟edificazione del Corpo di Cristo
che è la Chiesa. L‟incorporazione a Cristo, che si è iniziata con il battesimo,
trova la sua conferma sacramentale nella partecipazione all‟Eucaristia.
Animata e guidata dallo Spirito, la Chiesa realizza il suo cammino di
santità e di servizio al mondo, camminando nella storia sempre protesa verso i
beni celesti. L‟indole escatologica dell‟Eucaristia fa sì che la Chiesa non fugga il
mondo, considerandolo realtà solo negativa. Al contrario, essendo presenza
storica del mistero del Regno, la Chiesa orienta efficacemente il mondo alla

XXI (2003) 5, 22-29.


3
DENZINGER, 1642.

6
comunione redentiva con Dio.
“Il Concilio Vaticano II ha ricordato che la Celebrazione eucaristica è al centro del
processo di crescita della Chiesa. Infatti, dopo aver detto che „la Chiesa, ossia il regno
di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo‟
(LG 3), quasi volendo rispondere alla domanda: „Come cresce?‟, aggiunge: Ogni volta
che il sacrificio della Croce „col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato‟
(1Cor 5,7) viene celebrato sull‟altare, si effettua l‟opera della nostra redenzione” (EdE
21).

È proprio dalla consolante certezza di questa presenza del Signore che


nasce il bisogno insopprimibile dell‟adorazione eucaristica (cf. EdE 25). Le
parole con cui il Papa commenta l‟importanza dell‟adorazione eucaristica
portano il timbro inconfondibile della sua esperienza personale, e vibrano di una
tensione spirituale profonda. È il momento in cui l‟esposizione dottrinale cede il
passo alla testimonianza confidenziale. Si può parlare efficacemente
dell‟Eucaristia senza svelare il segreto di una comunione personale?

“Spetta ai Pastori incoraggiare, anche con la testimonianza personale, il culto


eucaristico, particolarmente le esposizioni del Santissimo Sacramento, nonché la sosta
adorante davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche. È bello intrattenersi con
Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (cf. Gv 13,25), essere toccati
dall‟amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro
tempo, soprattutto per l‟„arte della preghiera‟, come non sentire un rinnovato bisogno
di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in
atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Quante
volte, miei cari fratelli e sorelle, ho fatto questa esperienza, e ne ho tratto forza,
consolazione, sostegno!” (EdE 25).

Noi religiosi, che dell‟arte della preghiera dovremmo essere maestri,


dovremmo sentire più di chiunque altro il fascino della comunione divina, e
intrattenerci volentieri sul Tabor e nel cenacolo, avvinti dalla bellezza del
Signore. Per noi, più che per altri, vale il principio giovanneo per cui possiamo
annunciare il Verbo della vita solo se lo abbiamo udito, veduto, contemplato e
toccato con le nostre mani (cf. 1Gv 1,1-4).
Le comunità religiose dedicano sempre più tempo all‟uso degli strumenti
di comunicazione. La televisione, in alcune comunità, arriva a divorare tutto il
tempo della ricreazione comunitaria. Dovremmo avere il coraggio di raccogliere
quest‟appello del Papa, e dedicarci con rinnovata passione alla contemplazione
del volto di Cristo, che risplende nell‟Eucaristia. Potremmo così ridiventare
padroni del nostro tempo, e riconquistare quegli orizzonti di silenzio e

7
adorazione che immergono la nostra vita nel mistero di Dio.

4. Sacerdoti per l’Eucaristia e per la Chiesa

È evidente, per chiunque si ponga in ascolto dell‟insegnamento di


quest‟enciclica, che una tale dottrina eucaristica è inseparabile da una
corrispondente dottrina del sacerdozio. Giovanni Paolo II, nel suo magistero ha
più volte illustrato con sapienza veemente “il dono e il mistero” che il
sacerdozio rappresenta nella vita della Chiesa.
Concezioni teologicamente deboli rappresentano talvolta il ministero
sacerdotale solo in termini di annuncio della Parola o di animazione della vita
comunitaria. Questi aspetti, pur rilevanti nel ministero dei presbiteri, non ne
esauriscono tuttavia il ruolo teologico. L‟ecclesiologia si fonda sulla cristologia
e il servizio del presbitero verso i fratelli dipende dal suo rapporto con Cristo.
Coerentemente il Papa pone, al centro dell‟identità sacerdotale, il suo
rapporto col sacerdozio di Cristo e dunque con l‟offerta del sacrificio
eucaristico:
“come insegna il Concilio Vaticano II, „i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio,
concorrono all‟oblazione dell‟Eucaristia‟, ma è il sacerdote ministeriale che „compie il
Sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo‟. […
] Come ho avuto modo di chiarire in altra occasione, in persona Christi „vuol dire di più
che a nome oppure nelle veci di Cristo. In persona: cioè nella specifica, sacramentale
identificazione col sommo ed eterno Sacerdote, che è l‟autore e il principale soggetto di
questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno‟. Il
ministero dei sacerdoti che hanno ricevuto il sacramento dell‟Ordine, nell‟economia di
salvezza scelta da Cristo, manifesta che l‟Eucaristia, da loro celebrata, è un dono che
supera radicalmente il potere dell’assemblea ed è comunque insostituibile per collegare
validamente la consacrazione eucaristica al sacrificio della Croce e all‟Ultima Cena”
(EdE 28-29).

Queste parole rappresentano con chiarezza impetuosa il mistero del


sacerdote, uomo scagliato sull‟abisso di un‟espropriazione radicale. Un
sacerdote è un uomo per tutti, proprio perché non si appartiene. La sua vita,
totalmente immersa in un‟umanità consueta, è tuttavia sospesa al filo di un
legame divino che lo rende essenzialmente diverso da chiunque altro. Vive sulla
sua carne il mistero di una comunione che lo trasfigura nelle profondità del suo
essere. Anche per lui lo Spirito ha detto: “Riservate per me Barnaba e Saulo per
l‟opera alla quale li ho chiamati” (At 13,2).
È l‟appartenenza esclusiva a Dio che fa di quest‟uomo il ministro adatto ad

8
offrire il sacrificio eucaristico. Proprio nel momento in cui esegue l‟azione che
gli è più propria, quella che nessuno può compiere al suo posto e che lo rende
quello che egli è… proprio allora egli non è più se stesso.
L‟identificazione sacramentale con la persona di Cristo sacerdote fa sì che
il Signore stesso sia colui che celebra, nel suo ministro, il sacrificio della
salvezza. Quest‟identificazione personale è una realtà più alta di qualsiasi delega
o ufficio ecclesiastico. Tocca le radici stesse dell‟umanità e le unisce in modo
unico alla persona di Cristo. Lo scopo più alto e principale dell‟ordinazione
sacerdotale consiste proprio nell‟offerta del sacrificio eucaristico, che attualizza
la salvezza che il Cristo ha ottenuto per noi. Il rispetto per le confessioni
cristiane separate e il giusto impegno ecumenico non possono appannare il dono
di grazia che la Chiesa confessa di aver ricevuto dal Signore.

5. Memoria francescana e apostolato eucaristico

La meditazione di questa quattordicesima enciclica di Giovanni Paolo II


evoca spontaneamente assonanze ed atmosfere spirituali francescane.
Sappiamo che san Francesco, soprattutto alla fine della sua vita, fu un
appassionato divulgatore della fede e della devozione verso l‟Eucaristia. Lo
stimolo immediato all‟apostolato gli derivava dal magistero del Concilio
Lateranense IV e dalla bolla Sane cum olim, con cui papa Onorio III esortava i
cristiani ad una maggiore devozione eucaristica.
Francesco si dedicò anima e corpo a quest‟apostolato eucaristico. Egli,
che confessava di essere un illetterato, cominciò a diffondere lettere tra i frati e
tra i laici, incitando tutti, autorità civili e gente del popolo, alla devozione
eucaristica. Fu una vera e propria “campagna di sensibilizzazione”, poiché il
santo d‟Assisi esortava a copiare e diffondere le sue lettere con il massimo
impegno (2Lcu 4-6). Francesco si troverebbe in perfetta sintonia con Giovanni
Paolo II, condividendo il suo desiderio di ridestare lo “stupore eucaristico” nella
Chiesa, spesso distratta da impegni più prosaici (cf. EdE 6). I primi chiamati a
riscoprire lo stupore eucaristico erano i frati, e soprattutto i sacerdoti, ai quali
Francesco, nella Lettera a tutto l’Ordine, scriveva parole di trepidante
contemplazione:
“Tutta l‟umanità trepidi, l‟universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull‟altare, nella
mano del sacerdote, si rende presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. O ammirabile
altezza e degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore

9
dell‟universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza,
sotto poca apparenza di pane!” (LOrd 26-27).

L‟osservazione dell‟umiltà sconvolgente di Dio deve spingerci ad un


profondo processo di purificazione interiore, che mira ad unificare i nostri
sentimenti con quelli di Cristo. L‟offerta del sacrificio del corpo e sangue del
Signore diventa un mistero trasformante, che coinvolge il sacerdote celebrante e
lo unisce intimamente a Dio, generando un‟accoglienza totale e pura della
volontà divina. Nella Messa infatti solo il Signore opera come protagonista:
“Prego poi nel Signore tutti i miei frati sacerdoti […] che quando vorranno celebrare la
Messa puri, in purità offrano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e
sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda, non per motivi
terreni, né per timore o amore di alcun uomo, come se dovessero piacere agli uomini.
Ma ogni volontà, per quanto l‟aiuta la grazia divina, si orienti a Dio, desiderando con la
Messa di piacere soltanto allo stesso sommo Signore, poiché in essa egli solo opera
come a lui piace” (LOrd 14).

Questo radicale orientamento a compiere la volontà di Dio è requisito


indispensabile per la sequela delle orme di Gesù Cristo, secondo la vocazione
propria dei frati minori. Alla radice della salvezza cristiana Francesco vedeva
l‟obbedienza di Gesù che, pur sentendone tutto il peso, volle compiere la volontà
del Padre e affrontare il sacrificio per la nostra santificazione. Nella Lettera ai
fedeli, dopo aver commemorato l‟istituzione dell‟Eucaristia, Francesco passa a
meditare sul dramma del Getsemani:
“Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: „Padre, sia fatta la tua
volontà; non come voglio io, ma come vuoi tu‟. E la volontà di suo Padre fu questa, che
il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se
stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non
per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, ma in espiazione dei nostri
peccati, lasciando a noi l‟esempio perché ne seguiamo le orme” (2LFed 10-13).

L‟offerta di Cristo, che si fa sacrificio e vittima sull’altare della croce è in


realtà la sorgente segreta della chiamata alla povertà radicale. Non sarebbe
possibile “portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù
Cristo” (Amm V,8) se non ci fosse l‟ardente desiderio di condividere il suo
amore sofferente. Profondamente sconvolto dinanzi al sacrificio amoroso di
Cristo, Francesco soffriva nel vedere il grande mistero di Dio trascurato dagli
uomini. Nella Lettera ai chierici non esita a rivolgere parole di aspro rimprovero

10
a coloro che trattavano con poca venerazione il santo sacramento:
“Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all‟ignoranza che certuni
hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai
santissimi nomi e alle sue parole scritte, che santificano il corpo. Sappiamo che non ci
può essere il corpo se prima non è santificato dalla parola. Niente infatti possediamo e
vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il
sangue, i nomi e le parole mediante le quali siamo stati creati e redenti „da morte a
vita‟” (LCh 1-3).

Francesco non teme di correggere quelli che trascurano di rendere tutto


l‟onore, anche nei gesti esteriori, al corpo del Signore. Egli, che è stato esigente
sino all‟intolleranza sulla questione della povertà, non esita ad esigere le dovute
forme di rispetto formale per il sacramento.
“I calici, i corporali, gli ornamenti dell‟altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono
essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore
collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso,
secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e
amministrato agli altri con discrezione” (1LCu 3-4).

Evidentemente non ci troviamo dinanzi ad un formalismo di facciata. Per


Francesco la fede eucaristica ha la stessa struttura della fede cristologica. Il
sacramento dell‟Eucaristia, e il sacerdote che lo celebra, diventano sacramento
storico del Cristo celeste.
“Ecco ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo
della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno
discende dal seno del Padre sull‟altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi
apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato.
E come essi con gli occhi del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma,
contemplandolo con gli occhi dello spirito, credevano che egli era lo stesso Dio, così
anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere
fermamente che questo è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero” (Amm I,16-21).

La ben nota venerazione di Francesco verso i sacerdoti non aveva nulla di


convenzionale o ipocrita. Nasceva invece dal legame inscindibile, che lega il
sacerdote al Cristo e all‟offerta del sacrificio eucaristico. Proprio nel suo
Testamento, nell‟affidare ai suoi frati la memoria appassionata e inflessibile dei
valori originari della vita minoritica, Francesco non può fare a meno di
richiamarne il fondamento eucaristico:

11
“Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo
la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero
persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. […] E questi e tutti gli altri voglio temere,
amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché
in essi io riconosco il Figlio di Dio (Filium Dei discerno in ipsis) e sono miei signori. E
faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient‟altro vedo corporalmente
(video corporaliter), in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue
suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. E voglio che questi santissimi
misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi”
(TestF 6-11).

Francesco “riconosceva” il Signore nei suoi sacerdoti proprio perché, nella


profondità del suo sguardo di fede, lo poteva “vedere corporalmente” nel
sacramento da essi celebrato. Così il Signore Gesù continua ad offrire la sua
alleanza d‟amore ad ogni uomo e attualizza la sua salvezza in tutta la storia.
“E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli, come egli stesso dice:
„Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo‟” (Amm I,22).

Conclusione: dalla Chiesa all’umanità

Le consonanze tra l‟enciclica Ecclesia de Eucharistia e la dottrina


eucaristica di san Francesco ci spingono ad una rinnovata attenzione al tesoro di
fede che ci è affidato. Solo una Chiesa cosciente del mistero che la rende
sacramento di Cristo potrà operare efficacemente per l‟unità tra gli uomini. Non
siamo noi i salvatori del mondo.
“Mediante la comunione al corpo di Cristo la Chiesa raggiunge sempre più
profondamente quel suo essere „in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento
dell‟intima unione con Dio e dell‟unità di tutto il genere umano‟. Ai germi di
disgregazione tra gli uomini, che l‟esperienza quotidiana mostra tanto radicati
nell‟umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del corpo
di Cristo. L‟Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli
uomini” (EdE 24).

La vera forza della Chiesa non consiste nella potenza dei suoi ministri, ma
nell‟umile presenza del suo Signore, che si è fatto servo e continua a donarsi a
noi, perché possiamo vivere di Lui. La teologia sistematica, lo stupore
contemplativo e il coraggio pastorale dovranno armonizzarsi in una sintesi
superiore, in cui il sapere diventi sapienza e l‟esperienza di fede maturi nella
testimonianza di vita. Perché… “siano perfetti nell‟unità e il mondo sappia che

12
tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,23).

P. CARLO SERRI ofm.

Sacro Ritiro SS. Annunziata


66036 ORSOGNA CH

13

Potrebbero piacerti anche