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2011 SALVATORE VECA LIDEA DI INCOMPLETEZZA1

FILIPPO PERRINI. Quali sono i motivi di questa sintonia tra la Cooperativa e il professor Veca, che gi stato invitato, con questa, ben sette volte, cosa rarissima in trentacinque anni dincontri? Penso che uno riguardi proprio lapproccio alla filosofia. Nellidea fondante della CCDC che si trova nellhome page del sito c la frase di Socrate una vita senza lesame del pro e del contro non degna per luomo di essere vissuta, che sta ad indicare la necessit di porsi domande, interrogativi come il primo dovere della ragione, la capacit di congiungere obbedienza alle leggi e obiezione di coscienza, linterrogazione sul destino delluomo. A questo riguardo, mi piace riportare un brano tratto dal libro Dellidea di incompletezza che presentiamo oggi: Una vita senza lesame non degna di essere vissuta, come sostiene Socrate nellApologia di Platone, e cosa vuol dire alla fin fine lesame socratico? Vuol dire impegnarsi nellesercizio del domandare, del cercare connessioni, del rintracciare senso e significato nella trama altrimenti sconnessa della nostra vicenda e nellavventura delle nostre vite finite. Questo il primo motivo di sintonia. In secondo luogo, il pensiero del professor Veca un pensiero pluralista, aperto alle possibilit, alle alternative, come ha ben scritto oggi Ilario Bertoletti nellarticolo pubblicato oggi sul Giornale di Brescia, che non esclude la dimensione spirituale. Lincompletezza, che costitutiva del pensiero umano, ci induce a esplorare lo spazio delle alternative e delle possibilit. Tutto lopposto del pensiero monistico e del pensiero assoluto, che esclude ogni altro tipo di conoscenza al di fuori di quella espressa dai propri canoni, condannandola allirrilevanza. Le pagine di Veca sul politicismo assoluto, sullo storicismo, sullo scientismo, sono particolarmente penetranti in questo senso. Infine, nella ragione sociale della nostra Cooperativa, c laggettivo democratica. Noi siamo nati in un periodo difficile per la democrazia, con la convinzione che il sistema democratico, pur con tutti i suoi limiti, sia il sistema migliore per regolare la convivenza civile. Salvatore Veca ha impegnato una parte considerevole della sua ricerca sui temi della democrazia, delleguaglianza e della giustizia, considerandoli questioni centrati nella riflessione filosofica. Noi siamo grati al professore per questa attenzione a questioni centrali per la persona umana e la convivenza, che il filosofo deve prendere in considerazione con il taglio che gli proprio. Queste sono le ragioni profonde, oltre al tratto umano squisito, per cui accogliamo ancora a Brescia Salvatore Veca come un maestro e come un amico. ILARIO BERTOLETTI. Come diceva Filippo Perrini, ci troviamo di fronte a un libro di filosofia vera e propria. Il professor Veca nel panorama intellettuale italiano e non solo italiano si caratterizza per una triplice attivit scientifico-intellettuale. Una pi propriamente da filosofo della politica: grazie a lui che le teorie della giustizia di John Rawls a partire dalla fine degli anni Settanta sono entrate nel dibattito pubblico italiano e non solo italiano ed grazie a lui che, di fatto, buona parte del linguaggio politico italiano, non solo della sinistra, mutato allinterno di temi come quelli della equa distribuzione,
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Incontro promosso dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura di Brescia.

della giustizia come equit. Ma accanto a questo il professor Veca - ricordo allievo di Enzo Paci ha sempre fatto in questi anni una sua riflessione pi propriamente teoretica che fa da sfondo come condizione di possibilit alla sua attivit di filosofo della politica. Penso ad esempio a un libro importante come Dellincertezza. Accanto a queste due attivit di filosofo della politica e filosofo teoretico, Veca negli anni sui quotidiani, specie negli anni passati, ma in altri libri, tipo quelli pubblicati da Rizzoli o anche da Frassinelli, ha fatto attivit di divulgazione. Per torniamo a questo libro: Lidea di incompletezza. Una cosa che di primo acchito sconcerta la definizione di filosofia proposta da Veca in questo libro, che io trovo molto suggestiva: la filosofia coltivazione della memoria ed esplorazione delle connessioni, il filosofo colui che rintraccia un promemoria comune al mondo e analizza possibili connessioni. Bene, con lidea di incompletezza in questo libro il professor Veca parte da grande figure intellettuali, un logico come Gdel e un filosofo della politica e un filosofo morale come Isaiah Berlin, e da l inizia a fare la sua riflessione molto particolare sullidea di incompletezza. un libro di filosofia quindi, qua ci si addentra in un deserto di ghiaccio dellastrazione ma appunto per questo parla pi che mai della vita. Partirei quindi nel dialogo con il professor Veca da questa domanda: perch giunto ora, dopo Dellincertezza, a riflettere sul concetto di incompletezza come centrale della sua filosofia ma non solo della sua filosofia ma, a ben guardare, nella filosofia contemporanea. SALVATORE VECA. Grazie, grazie di cuore per linvito, il settimo, straordinario. Ho svolto tre tipi di ricerca nellambito della filosofia politica, morale e sociale, di cui uno di carattere pi propriamente teoretico, nel senso che una esplorazione pi ampia rispetto allambito della vera e propria filosofia sulle tematiche politiche, istituzionali e giuridiche. Il tentativo di fare divulgazione io lo trovo una sorta di dovere intellettuale, per consentire a chi non interno alla cerchia degli addetti ai lavori di avere in qualche modo la possibilit per imparare e riflettere, di avere accesso a qualcosa da cui altrimenti resterebbe fuori. In questo caso devo dire con molta onest che questo libro Lidea di incompletezza un libro di filosofia molto astratto. La filosofia se ben fatta inevitabilmente astratta: chiunque si occupi di questioni relative alla verit piuttosto che alla identit o alla giustizia, chiaro che ha bisogno di elaborare un quadro concettuale. In genere tende a costruire una teoria di qualcosa, e per farlo - come nellambito dellimpresa scientifica - devi muoverti a livelli astratti. Per riuscire ad acchiappare qualcosa, una preda filosofica importante come la verit oppure la risposta alla domanda su che cosa giusto fare, su che cosa veramente importante per le nostre vite, si deve tentare di raggiungere un livello di altissima generalit e astrazione in cui tendi a unificare pi di un dominio, a generare una matrice di intelligibilit che permetta di acchiappare pi pesci possibili. Si costruiscono delle reti, una teoria scientifica una teoria che, naturalmente fino a prova contraria, cerca di gettare reti sul mondo, sperando che i pesci non scappino: quando ne scappano troppi bisogna cambiare teoria perch non funziona. Questo quello che io chiamo in questo libro il mestiere di chi esplora connessioni. Qualcuno potrebbe dire: io che faccio algebra o fisica teorica, pi o meno faccio la stessa roba. Quello che specifico della riflessione degli ultimi anni della ricerca filosofica, per come la intendo, il fatto che tu non puoi sfuggire alla storia del repertorio filosofico, della tradizione filosofica che hai alle spalle. E questo il coltivare memoria. Faccio un esempio banalissimo per chiunque si occupi di chimica: fino a Lavoisier cera questa idea che perch degli elementi dessero luogo a combustione, bisognava che ci fosse una sostanza che chiamavano flogisto, che generava la combustione. Dopo Lavoisier questa teoria viene buttata nel cestino della carta straccia,

come giusto che sia. Allora, giriamo la cosa, immaginiamo che io cerchi di occuparmi del problema del principio della contraddizione, del problema dellamore. La soluzione di Platone a proposito dellEros nel Simposio piuttosto della soluzione di Aristotele nel famoso incipit del quarto libro della Metafisica , rilevante solo storicamente, come il flogisto per il chimico, o rilevante, nel senso che importante, che conta per chi fa filosofia? Leibniz ci interessa o meno filosoficamente? Penso proprio di s, e questo a me sembra caratterizzare lindagine filosofica, mentre i teorici del flogisto interessano solo chi fa storia delle idee. Perch lidea di incompletezza? Ho dedicato una delle mie ricerche che mi costata pi fatica, pi tempo, allidea dellincertezza in un libro che ormai del 1997. In questo libro sono presenti tre meditazioni che sono basate alla fin fine su unidea molto semplice, che questa: lincertezza chiede a noi teoria, teoria alla grande o teoria terra terra? Pi precisamente, non tanto lesservi lincertezza che domanda una risposta in teoria, quanto il variare, loscillare del confine fra quanto stipato nel capitale di certezza che ciascuno di noi ha e quanto, invece, esposto alle possibilit, allincertezza, alla probabilit. Non vuol dire nulla affermare che siamo societ incerte. Il problema semmai quello del rapporto di quanto sta da una parte e quanto sta dallaltra. Quando un bel p di capitale accumulato di certezza viene eroso, viene scompaginato, viene svalutato dal vento dellincertezza, allora noi ci dobbiamo rimettere in moto e dobbiamo cercare semplicemente di capire, di vedere come rimettere in ordine le cose. Noi siamo essenzialmente animali umani, i quali sono creature di abitudini e quando questo capitale di abitudini viene messo sotto pressione dal mondo dellincessante trasformazione allora che noi abbiamo bisogno di rimettere in ordine il mondo che cambia, in cui noi cambiamo. Pensate a tutte le questioni bioetiche, l il capitale di certezze che noi abbiamo viene sfidato da possibilit prima inedite. Bene, per noi che siamo creatori di abitudini cosa vuol dire fare un bambino, cosa vuol dire scegliere come farlo nascere? Scegliere come nascere, come far nascere, una cosa che possibile solo alla luce di innovazioni tecnologiche e teoriche che scompaginano per il quadro abituale delle nostre certezze e ci pongono il problema, per esempio, se tutto ci che possiamo fare causalmente, con tutti gli effetti che possiamo avere, sia giusto o no, se le responsabilit causali che abbiamo non generino forse nuovi oneri nelle responsabilit morali. Allora, questo tema dellincertezza, della partizione instabile fra certo e incerto, io lho esaminato, lho immerso in tre grande campi. Nel campo, nello spazio di ci che vi , lo spazio in cui il nostro interesse a dire come stanno le cose nel mondo, noi inclusi, lo spazio in cui gioca un ruolo cruciale la nozione di verit, di validit. Laltro ambito che ho cercato di esplorare quello di ci che per noi vale religiosamente, eticamente, culturalmente, ci che conta per noi, che diverso da come stanno le cose. Questo secondo ambito riguarda quindi lo spazio di ci che vale, lo spazio dei valori in una molteplicit di sensi, etici, politici, giuridici, delle istituzioni, delle pratiche sociali, eccetera. Infine, lultimo spazio, lultimo ambito in cui esplorare lidea dincertezza era quello che riguarda le risposte che siamo in grado di dare non su che cosa siamo noi, questo ce lo dice il primo tipo di ricerca, ma su chi siamo noi, questioni di identit. Nel libro Sullincertezza il problema : quella incertezza genera la domanda di teoria. Il problema che affronto qui, invece, come il collegamento di quello, cio qual la natura delle nostre risposte allincertezza, cio qual la natura delle nostre teorie nellambito del valore, quando ci misuriamo con il problema della giustificazione, dellapologia, della difesa dei valori che riteniamo di dover difendere e per delle ragioni. Quando ci mettiamo alla prova con

linterpretazione di qualcosa, testi, opere, evento, fatti, quando infine ci mettiamo alla prova con metodi di dimostrazione entro sistema formali. Allora, le teorie che si apprestano, che si dispongono, che si discutono entro questi campi sono tutte caratterizzate in modo differente dallavere una certa propriet dincompletezza: la prima lectio sullincompletezza quanto al valore, al dominio dei valori, lo spazio di ci che vale per noi; la seconda sullincompletezza quanto ai nostri metodi di giustificazione dei valori; la terza sullincompletezza quanto ai nostri tentativi ermeneutici, cio dinterpretazione di una gran variet di cose; la quarta sullincompletezza in omaggio a Kurt Goedel dei sistema formali, quando i sistema formali avanzano la pretesa di, in qualche modo, render conto, fondare o spiegare, contenere i diversi campi del sapere. ILARIO BERTOLETTI. Il professor Veca ha fatto larchitettonica del libro e appunto seguiamo passo passo lanalisi di questa architettonica. La cosa interessante che in questo libro il primo dominio in cui si incappa in questioni di incompletezza lambito dei valori, che dovrebbero essere ci che di pi certo nella vita di ciascuno di noi, i valori che movimentano le decisione nellabitare il mondo. La cosa interessante che per fare questa riflessione Veca parte da delle riflessioni di Isaiah Berlin (di cui il professor Veca ha curato per la Morcelliana il saggio per eccellenza di Berlin Sulla Ricerca dellIdeale ), e afferma che quando si ha a che fare con valori non solo di diritto impossibile aver a che fare con una gerarchia ordinata di valori ma che il valore in quanto tale vale. un paradosso, proprio perch si frammenta il valore invita alla transazione, alla tolleranza e allaccoglienza. Chiederei allora al professor Veca se brevemente ci delinea qual il profilo di questa teoria dei valori intrinsecamente pluralisti, dei valori intrinsecamente frammentari che allontanano dal rischio del fanatismo del valore assoluto. SALVATORE VECA. Nella prima lezione in realt ci sono due tesi. La premessa che uno accetti lessere i valori ci che per noi conta e che noi riteniamo debba contare per chiunque. Quindi quando dico valori, intendo valori etici o politici, che siano dettati da credenze religiose o meno, che riguardano i modi in cui noi siamo tenuti a trattarci gli uni con gli altri, quale che sia il nostro ruolo, che valgono per me come per chiunque altro, per il fatto che dovrebbero valere per chiunque. C un grandissimo economista, Kenneth Arrow, premio Nobel per leconomia, che ha inventato la teoria assiomatica della scelta, il famoso paradosso della scelta democratica. Arrow dice che in fondo i gusti stanno a una polarit e i valori stanno a unaltra polarit e possiamo slittare tra gusti e valori, perch se cominciamo a fare una discussione intorno al vostro film preferito e se prendete sul serio lidea di darmi la ragione per cui preferite quel film, vedrete che ci sono molte pi cose che non il semplice fatto che a me piaccia Mahler piuttosto che Michael Jakson, per esempio. Ora, se uno accetta la tesi sul pluralismo dei valori vuol dire semplicemente che le cose buone, importanti della vita sono pi duna, sono plurali. Non una tesi relativistica, questo fa parte della natura di ci che per noi vale. Per, se uno accetta questo, si rende conto di due cose. Primo che se vero che ci che per noi vale frammentato, cio ci sono pi cose buone della vita e seguirne una implica un costo dellaltra, cio nessuna scelta gratis. Vuol dire che sar raccomandabile muoversi in quel modo piuttosto che in un altro con la consapevolezza che perdi qualcosa. Questo il punto. Tutti noi amiamo essere pi liberi possibile, essere sicuri. Quindi, in realt, qualsiasi soluzione sar una soluzione di equilibrio relativamente stabile o instabile fra quanto ci dettano valori diversi e che possono fra loro confliggere. Tutti amiamo lefficienza, quale che sia la definizione che ne diamo e

non siamo insensibili a una qualche forma di equit, quale che sia linterpretazione che ne diamo. Se spingiamo troppo su una parte, perdiamo qualcosa dallaltra. Allora, proiettatelo sul nostro mondo, noi e altri. Il tema del noi centrale in questo libro, chi siamo noi, questo il problema. Vi renderete conto che se le cose stanno cos, allora non c e non pu darsi una forma di vita collettiva, un assetto delle istituzioni fondamentali, anche il pi degno di onore da parte nostra che non implichi una qualche perdita in valore. Detto cos molto astratto ma vuol dire semplicemente questo, che esiste un dominio di valori, quel grappolo di valori fondamentali della convivenza, che noi difendiamo e onoriamo, che spesso vengono violati e offesi, ma in cui noi e altri ci riconosciamo e identifichiamo, mentre altri si riconoscono e si identificano in altri valori. Allora, se non accettiamo il pluralismo c guerra, se accettiamo il pluralismo dei valori ci rendiamo conto che vi sono dei valori che non sono giustificabili come risorse di cui disponiamo entro il nostro dominio, e tuttavia non sono per questo meno valori, sono valori per altri. Facciamo un esempio semplicissimo. Tutti parlano del problema islamico ma pensate al modello confuciano, che peraltro ha una rilevanza e avr una rilevanza molto ampia nella vita dei nostri nipoti. Ora, il modello confuciano basato sulle corde della deferenza, la deferenza della donna verso il maschio, la deferenza dei figli verso i genitori, la deferenza del suddito verso limperatore. La deferenza stabilizza larmonia e larmonia e la coesione della societ sono i beni supremi. Questa idea delle corde della deferenza tipico di societ gerarchiche, questa la grande tradizione confuciana, quella che ha resistito nonostante i centottanta, centonovanta anni di tentativi di modernizzazione, chiusi da poco (e adesso gli istituti Confucio proliferano per il mondo). Ora, chiaro che noi non possiamo accettare, dallinterno del nostro dominio di valori, un modello che si basa su valori per cui la gerarchia il valore prioritario, ma vogliamo dire per questo che lideale dellarmonia e della coesione, dello stare insieme in equilibrio vecchio termine del maestro Confucio non un valore? Allora, vuol dire che i valori che noi onoriamo implicano una qualche perdita, che non c forma di vita che non sia insatura rispetto al valore, e questo fonte di tragedia ma anche di bellezza, perch vuol dire che nel confronto tra modelli e modi alternativi, differenti, di pensare noi stessi e gli altri, vi spazio per negoziati, per ascoltare. C una vecchia massima di saggezza confuciana che dice: noi dobbiamo essere le ali a noi stessi e perci attenti agli altri, cio a nessuno si pu chiedere di revocare la propria lealt, ma proprio per il fatto di essere leali, essere fedeli a quanto ci detta ci che ci identifica, proprio per questo possiamo essere attenti e, se volete, aperti. Allora, in questo modo si pone molto laccento su ci che ci distingue, cio lumanit, la virt della deferenza verso la gerarchia, la virt del principio della libert delle persone e della nozione di persona, quale che sia il significato per questa elusiva e preziosa nozione. Se andiamo a vedere ci che ci differenzia, possiamo ritenere le differenze in qualche modo pi un valore di quanto non sia una specie di monolite. Allora, la seconda tesi della prima lezione quella che dice: daccordo, guardiamo alle differenze, al vasto mondo delle differenze, ai mutevoli confini del noi, dei vari noi, sulla scorta dellincompletezza di ciascuno dei valori, ma non dimentichiamo il semplice promemoria umano della comune umanit, e in questo caso quello che diventa importante non tanto quello che ci differenzia ma quello che ci accomuna. Noi dobbiamo poter pensare che valori anche alternativi e diversi dai nostri sono valori per qualcuno, e intanto quello che potremmo riconoscere che essere umani, quale che sia il posto dove accaduto di essere gettati nel mondo, di nascere, un elemento che connette, che crea i ponti o pu crearli. E di qui unindagine del libro, dove in ciascuno dei capitoli c un tentativo di applicazione di questa idea. La prima applicazione la faccio sul

Libro della Sapienza, sullidea delleguaglianza umana. Laltro tipo di uguaglianza umana viene inseguito in due grandi passi di Shakspeare dal Macbeth e dal Re Lear. ILARIO BERTOLETTI. Non possiamo non essere portatori di valori, ma i nostri valori non sono gli unici n gli ultimi ma siamo costretti a traslarli. Il primo capitolo potrebbe essere cos sintetizzato: elogio e necessit del compromesso. Il secondo capitolo, la seconda lezione, dedicato al problema di come giustificare le nostre credenze etiche, che significa qual il confine che Veca chiama dellidentit non dellio ma del noi, del nostro gruppo, e qui Veca fa un bellissimo riferimento a Matteo Ricci, questo grande gesuita che va in Cina e che costruisce un modello teorico in cui incorpora gli elementi essenziali del pensiero cinese, o meglio ancora confuciano, allinterno del suo cristianesimo. Qui chiederei al professor Veca in che senso giustificare per avere a che fare con i limiti di ci che noi chiamiamo il nostro noi? La necessit di essere accoglienti anche di altri valori, di altre memorie, proprio nel momento in cui traccio il limite del nostro noi. SALVATORE VECA. La vicenda del grande gesuita di Macerata, di Matteo Ricci, mi ha sempre affascinato. stato ripubblicato da Adelphi da un anno un libro bellissimo, che Il palazzo della memoria, che io avevo fatto pubblicare molti anni fa da Il Saggiatore. Prima di affrontare Matteo Ricci, volevo solo fare una piccolissima premessa. Se la prima lezione sostiene la tesi centrale dellincompletezza di qualsivoglia dominio di valori, nella seconda lezione il problema diventa: come possiamo comportarci noi, come possibile giustificare? La nozione di giustificazione quella che tipica proprio della ricerca condotta dalla filosofia politica, della teoria conoscitiva dove si tratta di dare ragione di qualcosa, e se devo dare ragione, devo difendere qualcosa, ci vuol dire che qualcuno vuole laccordo. Se voi pensate alla grande tradizione apologetica, essa una tradizione di difesa di qualcosa che viene criticato da altri. Quindi, dobbiamo assumere che vi sia conflitto, disaccordo, e la nozione di giustificazione mira a generare le ragioni della condivisione e dellaccordo stessi. Questo quello che si chiamato per tanto tempo il problema del fondare i valori, i diritti; per esempio quale fondamento per i diritti umani? ( dalla Dichiarazione dei diritti umani che ci si pone questo problema). Allora, la grande questione consiste in questo, che se noi siamo disposti a riconoscere che i valori che noi onoriamo o quelli che potremmo onorare, o quelli che altri onorano, hanno una storia, cio non sono sempre stati quei medesimi valori, se allora contingente il fatto che a noi sia accaduto di essere eredi di certi fatti che si sono convertiti in valori, come possiamo giustificarli? Come si dice in gergo, come si fa a tenere assieme il riconoscimento della contingenza, della storia, e la normativit, le ragioni a favore di qualcosa? questo il tema tecnico che ha generato nella ricerca filosofica, nel paesaggio intellettuale contemporaneo, molte tesi scettiche, le tesi dellironia liberale di Richard Rorty, per esempio: su cosa possiamo basare la preferibilit del comunicare ad altri dei valori su cui noi ci appoggiamo? Sul fatto che andata bene cos, non abbiamo altro da dire, afferma, non ragionare, guarda, racconta delle belle canzoni, per altri saranno invece canzoni tristi. Vuol dire che se riconosciamo la contingenza, non ha senso mettersi al lavoro per giustificare certi valori. Io sono convinto invece che Rorty sbagli, ma su questo in atto una lunga discussione con Vera Ruydens, che mi sembra essere uno dei maggiori filosofi contemporanei, sfortunatamente scomparso qualche anno fa e che era anche una persona di grande fascino individuale e intellettuale. Ma veniamo allora a Matteo Ricci (ne Il palazzo della memoria di Spencer trovate tutta lampia trattazione). Quando Matteo Ricci viene mandato in Cina, fa questo famoso,

lunghissimo viaggio, poi rimane l (alla fine muore in questo Paese), si misura con il tipico problema di cui parlavamo prima, e che sottostante alla tesi circa la giustificazione contingente. Cio, deve misurarsi, avendo mire di conversione, con culture sideralmente remote dalla sua, perch si deve confrontare soprattutto con la cultura confuciana, in subordine con il taoismo e con il buddismo, che sono per minoritari, mentre il suo vero interlocutore, gli altri per lui (ecco i confini del noi), laltro noi, confuciano: cio sono i mandarini, gli esperti nellelaborazione dei discorsi sui fini, sulle condotte, ecc. La prima cosa che egli fa quella di scrivere un libro (nel frattempo si studia il cinese mandarino); c una bellissima prefazione del suo amico Xi-tai che in sostanza dice: questo il libro di uno che voleva essere nostro amico e che per divenire nostro amico ha fatto un viaggio molto lungo. E questo libro si chiama Dellamicizia. E come lo compone? Prende passi del nostro canone classico, dei testi greci, soprattutto testi latini, che vengono poi connessi con leredit cristiana. E poi assembla, fa un lavoro di negoziato inserzionistico con passi che derivano dalle scuole confuciane, e ne risulta questa specie di esito in cui egli riesce a far s che non si sentano estranei coloro che fanno parte di quellaltro noi e per altro possono vedere come quel loro modo di pensare, in questo caso la virt dellamicizia, non sia poi cos radicalmente alternativo rispetto a quello del noi da cui viene Matteo Ricci. Ma Matteo Ricci era anche uno straordinario mnemotecnica. La mnemotecnica ha una grandissima tradizione tra il Quattrocento (anche prima) e il Seicento (pensate a Lullo, allarte della memoria). Allora, cosa fa? Lui disegna e progetta il palazzo della memoria, il cui atrio dovrebbe essere aperto egualmente ai gesuiti, al noi dei gesuiti, a coloro che professano la fede cristiana cattolica, e devessere per ospitale, cio non estraneo nei confronti degli altri, diciamo i confuciani. Allora, che cosa fa? Nellatrio pone quattro icone alle quali ne affianca altre quattro; una icona deriva dalliconologia e iconografia cristiane, quindi c il Signore che cammina sulle acque (non viene mai nominato Ges Cristo) e soccorre coloro che sono sfiduciati; poi ci mette a fianco una icona che deriva dalla tradizione confuciana, e cos via, sempre con la stessa logica, fino allultima in cui c una donna con un bambino; questa Maria, e dallaltra parte ci sono delle grandi immagini di frutta. Qui c una cosa superba e molto ironica, perch il progetto dellicona della donna con il bambino, realizzato dallo scalpellino, che avrebbe dovuto recare la scritta Ave Maria gratia plena, per errore dello scalpellino recita invece Ave Maria gratia lena , cio salta la p. Allora, dato che Plena vuol dire piena, lespressione significa piena di grazia, mentre Lena denota una donna che seduce e attrae. Allora, Spencer dice: pu darsi che Matteo Ricci non si sia accorto dellerrore puramente materiale dello scalpellino, o forse, meglio, se ne accorto e abbia detto di lasciare le cose cos. Cosa che io trovo geniale. Occorre dire che, naturalmente, la Chiesa richiam lordine dei Gesuiti e poi invi i Domenicani. Per Ricci rest l con molti amici e, credo, fino a pochissimo tempo fa, se non ancora adesso, la statua di Matteo Ricci nel palazzo imperiale, nel palazzo del Partito Comunista Cinese. Pensate limpegno di Matteo Ricci nel ridurre le distanza tra una cultura e laltra, nel negoziare, nel cercare un accordo onorevole per entrambe le parti. Questo il punto, ricordate la battuta di Confucio: non ti chiedo di rinunciare alle tue credenze, come non chiederesti tu a me di rinunciare alle mie, ma possiamo trovare un terreno comune, alla fine i confini di questi noi si fanno porosi; soltanto in questo modo, sia pure cos difficile, quello del cambiamento dei confini del noi, che si possono generare alternative degne di lode. Allora, concludo, la risposta che tutta questa fase in cui prendiamo sul serio noi e gli altri, il fatto di ridurre larea del disaccordo o variare la distanza tra culture, questa gi etica. una tesi cui tengo molto: il semplice fatto di mettersi alla prova gi etica, cio non

che etica sia solo il risultato di una applicazione delle procedure, bens di per s un valore il prendere sul serio se stessi e gli altri, quel non rinunciare allidea che sia possibile arrivare a un accordo onorevole, perch se poi le cose andranno bene, faranno s che dicendo noi cattureremo anche un p degli altri e gli altri, dicendo noi, cattureranno anche un po di noi stessi. Questa una formulazione che piace molto a Carlo Maria Martini: la difficile arte di imparare a convivere con la diversit, e Matteo Ricci era molto bravo in questo. ILARIO BERTOLETTI. Anche in considerazione dellora, farei due ultime domande al professor Veca, due domande che si intrecciano tra loro. La terza lezione dedicata a cosa significa interpretare il mondo in cui si tratta di vivere, interpretare un testo, e qui la sfida doppia, da un lato contro Nietzsche, il quale, secondo una certa vulgata, affermerebbe che tutto interpretazione, e dallaltro lato lo scettico che mette in dubbio ogni nostra pretesa di affermare qualcosa riguardo al mondo. La cosa interessante di Veca che qui introduce una sottile e secondo me molto affascinante distinzione tra oggetti saturi e oggetti insaturi, due metafore che stanno a dire che ogni nostra conoscenza, interpretazione, sia essa del mondo, di un testo, di un dialogo con altri, ha sempre a che fare con due cose, con qualcosa che devo dare per presupposto, che oggetto insaturo ma proprio a partire da questi limiti ( questo il secondo elemento) io mi apro a interpretare un mondo incompleto. Io chiederei al professor Veca che ci illustri brevemente questa sua teoria dellinterpretazione della tensione dialettica tra ci che certo e ci che incerto, incompleto. Dato che linterpretare comporta sempre questa tensione essenziale, non che alla fin fine il suo pensiero ruota attorno a che cosa significa possibile per noi, ai quali assegnata una vita finita? Che cosa significa possibile dal punto di vista propriamente umano? SALVATORE VECA. Prendete la celebre battuta, non pubblicata di Nietszche: non ci sono fatti, ci sono solo interpretazioni. Ebbene, questo cosa vuol dire? Vuol dire che qualsiasi cosa tu definisca un fatto, non sar altro che una interpretazione, non sar altro che una fra le possibili interpretazioni alternative, ciascuna delle quali vale quanto laltra. Questo il prospettivismo nietzschiano preso sul serio. Nietzsche assolutamente straordinario, ed terribilmente elusivo e contraddittorio, scrive forse il pi bel tedesco ma aforistico. Non ci sono fatti ma solo interpretazioni stato in fondo alla base del pensiero decostruzionista, post-moderno, argomenti di cui si anche discusso questa estate sul nuovo realismo e sul pensiero debole. Allora, quello che io faccio questo, prendo questa proposizione e la connetto a uno dei modi con cui si replica alla obiezione scettica che dice: su quale base affidabile tu mi dici che le cose stanno cos? Ti potresti ingannare. Lo scetticismo fondamentale, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, ma assolutamente importante trovare una replica. Ci sono due tipi di replica, la replica kantiana, diretta, quella che vuole tagliare le gambe alla obiezione scettica, e c la cosiddetta replica indiretta. Quello che io voglio fare applicando il modello di replica indiretta allo scetticismo, arrivare a riconoscere che qualsiasi fatto pu essere una interpretazione, ma non possibile che tutti i fatti lo siano congiuntamente. Per esempio, per poter mettere in dubbio qualcosa dobbiamo immunizzare rispetto al dubbio qualcosaltro. Conosciamo benissimo limmagine di Wittgenstein sulla certezza in cui egli dice: quando siamo nella ricerca come se certe proposizioni fossero messe fuori dalle rotaie, e altre proposizioni scorressero nelle rotaie. Cio per poter fare indagine, per poter dubitare di qualcosa, occorre che qualcosaltro venga sottratto al dubbio, altrimenti non avrebbe senso neanche dubitare (se

tutto acqua, perch mi chiedi un asciugamano?). Dunque, la tesi diventa questa: non c credenza che non possa essere messa in dubbio, ma non tutte le credenze lo possono essere congiuntamente. Vedete bene che ci isomorfico, simmetrico. Cosa ne risulta? Perch lalternativa alla tesi nietzschiana non fatti, solo interpretazioni, solo fatti e niente interpretazioni in cui consiste il positivismo, lo scientismo. Uno dei pi importanti tentativi odierni nel nostro paesaggio intellettuale sono i cosiddetti programmi di naturalizzazione. Quante volte si prende un termine, per esempio economia, e ci si mette prima neuro: neuroeconomia, neurotica; le neuroscienze cognitive sono oggi la punta delliceberg di un potente programma mirante alla naturalizzazione. Il termine ideale di un programma di naturalizzazione quello che finisce per dire: fatti e non interpretazioni, e favorisce latteggiamento riduzionistico. Non voglio per cedere tutto il campo, voglio raccogliere il meglio dellobiezione di Nietzsche. Nel mio libro ho introdotto la nozione di oggetto saturo e insaturo. Possiamo dire che ci sono oggetti saturi rispetto a qualsiasi interpretazione alternativa, quando viene stabilmente condivisa una singola interpretazione che in genere viene chiamata spiegazione. Lo vedete dal punto di vista del cambiamento dellimpresa scientifica: la fisica delle particelle ai tempi pionieristici aveva una descrizione dellinterpretazione dellatomo che era molto diversa da quella oggi dei fisici del Gran Sasso sui neutrini. Il fatto che un oggetto sia saturo non vuol dire che lo sar per sempre, perch lo fino a prova contraria. Pensate alla tensione fra i due grandi paradigmi in fisica teorica, ancora oggi fra tentativi di unificazione delle forze fondamentali: il paradigma della relativit generale e il paradigma quantistico. naturale che tutti gli sforzi che i fisici stanno facendo per una teoria del tutto, mirino a saturare perch noi facendo teorie cerchiamo di acchiappare pi pesci che possiamo. Ma la consapevolezza del fatto che ci che saturo non lo per sempre, lidea del limite, dellumilt di esseri finiti, goffi, anche se siamo riusciti a fare un mucchio di cose nel bene e nel male. Questo un libro sulla possibilit, il vero punto in cui si pone il problema di che cosa sia lalone delle possibilit singolarmente presentato in una delle parti pi tecniche del libro, quella che spiega in maniera non tecnica (non sono un logico matematico) i celebri teoremi di limitazioni di Gdel. Negli anni Trenta Gdel dimostr che qualsiasi sistema formale del tipo di Russel, Whitehead, Peano, ecc., assiomatico, che pretendesse di contenere laritmetica o buona parte dellaritmetica, cio il grande programma formalistico, era destinato a contenere proposizioni o enunciati indecidibili formalmente. Il che vuol dire che il sistema non era completo rispetto agli output della costruzione matematica e, in secondo luogo, che nessun sistema formale pu disporre di una dimostrazione della propria coerenza. Quindi se si toglie completezza e coerenza a un sistema formale che meramente formale, cio sintattico, restano dei segni che non significano nientaltro che il loro rapporto tra di loro. Questo risultato a cui Gdel perviene con una strategia intellettuale di una potenza impressionante straordinario, perch ha spazzato via la pi grande ricerca della filosofia della matematica e dei fondamenti della matematica, e ha aperto possibilit prima impensabili. Gdel e Turing consentono di concepire come possibile ci che prima era inconcepibile, e questo il paradosso dellinnovazione: il possibile per noi lospite inaspettato. Nel caso delle nostre vite, essendo animali di abitudini, abituati a convivere con il pilota automatico innestato, a un certo punto c qualcosa che non torna, (pu essere una persona, un incontro, un ricordo, una sciagura, un appagamento), qualcosa che scompagina il nostro quadro: non potevamo immaginare che quelle possibilit fossero l, luminose, perch cera una certa inaccessibilt. Questo il punto che io esamino solo nella conclusione dellultima lezione ed quello che ha a che vedere con la prospettiva non di

chi fa teoria su queste cose, cio dellosservatore, ma di chi cerca di renderci conto di che cosa si prova, che effetto fa, essere tipi come noi siamo. questa la grande ipotesi che io ho citato da un filosofo dal quale ho imparato molto, soprattutto lamore per la filosofia, che era Enzo Paci, e questa era la grande impresa della fenomenologia di Husserl pi di un secolo fa, cio lidea di uno sguardo che parte dal punto di vista soggettivo e personale, e non oggettivo e impersonale, per rendere conto di cosa si prova a vivere le vite che noi viviamo. Ora vi introduco la prospettiva dellosservatore e la prospettiva del partecipante e procedo a un esame riflessivo e socratico (onorando il primo punto della Cooperativa) di questioni di vite, in particolare del caso in cui noi stessi proviamo la nostra incompletezza, essendo esseri che aspettano qualcosa, cio che hanno desideri relativi ai propri stati futuri nel tempo. Ci sono due modi in cui noi possiamo rendere conto del nostro avere desideri di futuro: uno quello in cui noi desideriamo avere cose, quali che siano, perch sappiamo che ci saremo, cio dobbiamo riempire il senso delle nostre vite future perche ci saremo e questi sono desideri ipotetici, condizionati dal fatto che noi assumiamo che ci saremo, e daltra parte noi desideriamo delle cose perch sappiamo che ci saremo, noi desideriamo raggiungere certi scopi e abbiamo bisogno di futuro per questo: questi sono desideri categorici e non condizionati. Provate a riflettere sulle vostre vite e provate riflettere sul paesaggio sociale in cui siamo, in cui sappiamo che nascono sempre meno bambini e laspettativa di vita sempre pi lunga, e quindi avremo sempre pi persone anziane. Allora, pensate al rapporto tra lavere una voglia di cose, quali che siano, perch ci saremo, e aver voglia di esserci per fare queste cose, quali che siano. Questa una riflessione che vi affido. Grazie.

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