TORINO 2006
INDICE
1. Che cos oggi la filosofia? p. 3 2. Chi sono io? Il senso e lassurdo p. 6 3. Lamicizia e lamore .. p. 10 4. Il problema dellanima p. 12 5. La libert . p. 15 6. Il fondamento della morale . p. 18 7. La paura e langoscia .. p. 21 8. La ricerca della felicit p. 23 9. Le ragioni della fede p. 25 10. Le ragioni dellateismo .. p. 28 11. Omicidio e suicidio . p. 32 12. Luomo e gli animali . p. 35 13. Il dolore e il male p. 38 14. Siamo soli nelluniverso? ... p. 40 15. E dopo la morte? . p. 42 Conclusione che va bene anche come prefazione p. 46
1. CHE COSE OGGI LA FILOSOFIA? Oggi vi dovrei parlare di "filosofia", un termine ed una materia che pu incutere forse rispetto ma anche un po' di paura o sospetto o diffidenza per chi non l'ha mai affrontata prima, e dunque da tenere a debita distanza. Perch una simile reazione? Perch ognuno di noi ha paura di ci che non conosce e quindi sta all'erta ed pronto a difendere le cose che ritiene pi importanti, per la sua vita e per la vita degli altri. Una delle principali caratteristiche della filosofia quella per cui essa cerca di far superare all'uomo le sue paure e di condurlo per una strada che lo porti alla libert, in modo che possa giungere alla meta pi ambita della filosofia stessa: la verit. Possiamo quindi definire la filosofia, gi da subito, come la ricerca disinteressata della verit. Sottolineerei l'aggettivo "disinteressata". Non esiste nessun'altra attivit o forma di sapere che sia altrettanto "disinteressata" come la filosofia, giacch essa non ha alcun altro scopo se non la conoscenza per "amore della conoscenza stessa". Non per nulla, la parola "filosofia" - come probabilmente saprete vuol dire in greco "amore per il sapere". Il filosofo dunque colui che ama e desidera conoscere la verit per amore della verit stessa, nel senso pi alto e disinteressato del termine. A lui non interessa la verit per strumentalizzarla ad un fine qualunque (denaro, potere, felicit, immortalit ecc.) bens per la sola ed esclusiva esigenza di verit e sete di conoscenza. Con ci intendo ribadire che essa non tanto la ricerca dellultimo o del primo fondamento, non tanto la ricerca della essenza profonda delle cose, non tanto la ricerca del mistero dellessere o della conoscenza assoluta e simili. Essa pu anche riguardare quelle cose se nel suo cammino si imbatte in esse ma non affatto detto che essa debba per forza scoprire chiss che o tendere ad una scienza esoterica. La ricerca della verit nello stesso tempo pi ampia e pi umile : non pretende nulla e non inizia il suo cammino sapendo gi dove vuole arrivare; al contrario, non sa proprio dove la porter la sua ricerca . La filosofia, essendo una ricerca disinteressata, potrebbe fare, come dicevo all'inizio, paura a molti. In primo luogo, a tutte quelle persone che hanno o seguono ideologie o credenze assolutistiche o totalitaristiche, perch esse vogliono imporre la loro visione del mondo a scapito di tutte le altre. Mentre la ricerca libera e disinteressata non esclude le altre prospettive ma si confronta con esse nel cammino comune verso il valore ideale della verit. In secondo luogo, la filosofia pu fare paura ed essere rifiutata da tutti coloro che si ostinano nelle loro credenze ritenendo di avere la verit in tasca e non ammettendo di potersi sbagliare. La filosofia pu invece insegnare loro che il cammino verso la verit lungo e difficile, che bisogna avere il coraggio e la forza di decentrarci, di uscire da noi stessi, di porci in ascolto degli altri (la filosofia una scuola di tolleranza), in modo di non considerarci l'Assoluto ma di ritenere la propria prospettiva una delle tante e non l'unica completa e vera. La filosofia, in altri termini, implica il riconoscimento dei propri limiti, l'accettazione del nostro essere uomini e dunque soggetti a sbagliare, ma anche l'accettazione che lo sforzo comune nella ricerca della libert e della verit fondamentale per la sua realizzazione. In terzo luogo, la filosofia pu far paura a tutti coloro i quali rifiutano di "conoscere se stessi", di porsi i problemi fondamentali e di dare loro una risposta (chiedersi: che cos' l'uomo? c' Dio? c' qualcosa dopo la morte? cos' il bene e il male? ecc.) per adagiarsi in un menefreghismo superficiale facendo finta di nulla. Purtroppo, per, nelle situazioni-limite dell'esistenza, che toccano prima o poi ogni essere umano, quelle domande ritornano incessanti e non riusciamo a sfuggirle. Quando si soli, quando si tristi, quando muore qualche persona cara ci dobbiamo necessariamente confrontare col nostro io pi profondo, ed allora sar quasi con terrore che riconosceremo di aver sprecato molto del nostro tempo, cercando di imbottirci la testa con pregiudizi e teorie gi confezionate, risposte pronte ma che non abbiamo mai realmente sottoposte ad esame e fatte realmente nostre poich non le abbiamo praticamente mai vissute. La filosofia pu 3
aiutare a liberarci dal modo inautentico in cui abbiamo fino a quel momento vissuto per farci cominciare da capo, per farci voltare pagina, per iniziare una vita nuova, pi sincera, per cominciare l'avventura della conoscenza verso la nostra pi autentica e vissuta verit. Essa ci chieder, per prima cosa, di fare piazza pulita di tutto quello che credevamo di sapere. Ci libera dallo stupido orgoglio di crederci chiss chi, - una strada che ci condurr verso la realizzazione della nostra essenza pi profonda, verso quell'esigenza - presente nel cuore di ogni uomo - di felicit, bont, bellezza, verit, insomma di ogni valore positivo. Vi certo nel mondo la presenza del negativo, del male, ma la filosofia pu contribuire a sconfiggerlo, affinch esso non prevalga nell'animo umano e l'ultima parola sia data comunque al Bene. La storia della filosofia la storia affascinante delle risposte che l'uomo ha dato, nel corso di pi di due millenni di storia, a tutti gli interrogativi che la mente umana si posta ed a cui ha tentato di rispondere. Ma non ci deve colpire tanto la diversit fra le tante teorie quanto piuttosto il fatto che siamo riusciti ad elaborare sistemi di pensiero cos diversificati. Ma vi rendete conto? Non bello riconoscere la variet delle alternative? Ammettere la molteplicit delle risposte ad uno stesso problema non forse un arricchimento? Ci non rivela forse che le mille e pi prospettive elaborate dagli uomini non riusciranno comunque mai a colmare l'abisso della Verit, che rimarr il valore ideale a cui tendere sempre? Non dovremmo dunque essere n scoraggiati n dimostrare scetticismo nei confronti della variet delle filosofie umane ma anzi considerarla una ricchezza enorme. Il fatto che il nostro bisogno della Risposta assoluta sia destinato a non essere mai del tutto soddisfatto, non rivela paradossalmente il fallimento della ricerca ma al contrario la vita stessa della filosofia: se infatti si potesse raggiungere il fondamento ultimo, la ricerca cesserebbe e la nostra conoscenza finirebbe. Ma ci non appunto possibile ed questo il bello della filosofia: continuare incessantemente a porsi domande, ricercare instancabilmente, liberamente, senza paura di affrontare questioni difficili o assurde o proibite, per quanto possano apparire tali. Non aver paura di pensare, osare conoscere, partendo dalla accettazione dei nostri limiti umani. Ad alcuni potr sembrare inutile questo continuo interrogarsi senza accontentarsi di quello che gi stato ottenuto, dei risultati gi raggiunti ma, direi, solo grazie a quel non accontentarsi mai che l'uomo ha potuto progredire e non si fermato all'et della pietra. Si dir che il sapere ha prodotto cose molto brutte come la bomba atomica. Per non la ricerca e la conoscenza della verit in s ma stato l'uso sbagliato che ne ha fatto a volte l'uomo che ha provocato degli effetti disastrosi. La conoscenza pu essere usata per il bene e per il male: spetta all'uomo, alla sua terribile libert, decidere quale strada intraprendere. Filosofare vuol dire, ancora, assumere un atteggiamento di meraviglia nei confronti di quello che c' e ci dato. In altre parole, la filosofia vuole cogliere l'esistenza come tale. Si meraviglia, si stupisce che le cose esistano: insomma, meravigliarsi perch qualcosa c' mentre potrebbe non esserci nulla. E' un rapporto dunque sui generis, fatto di stupore e di gratuit, nei confronti dell'essere delle cose e del mondo. La realt "meravigliosa", le cose hanno bisogno di una spiegazione e ci spinge l'uomo alla ricerca e stimola la sua riflessione. In fondo, la filosofia solo questo: ragionare correttamente su quello che esiste. La filosofia comincia quindi dall'esperienza della meraviglia, dal chiedersi perch le cose esistono, e procede, con l'astrazione, fino ad arrivare a formulare delle risposte a quei perch. La filosofia e la scienza (o meglio le scienze) hanno entrambe come scopo la conoscenza, per la filosofia si distingue dalla scienza perch vuole essere lo studio della realt nella sua totalit mentre le scienze studiano ambiti particolari della realt. il che ci porta a dire che la filosofia essenzialmente metafisica , cio ricerca del senso profondo delle cose e del significato della nostra stessa esistenza. Infatti nella totalit - oggetto di studio della filosofia - ci sono dentro anch'io e perci risolvere il problema del Tutto vuol dire risolvere anche il problema dell'uomo, del valore della vita, della mia vita. Ecco perch inevitabile porsi, in quanto esseri umani, i problemi metafisici fondamentali: perch esistiamo? per quale fine noi e il mondo esistiamo? ecc. Il problema del senso della vita ognuno di noi deve risolverlo. Lo risolve gi per il fatto di vivere in un determinato modo piuttosto che in un altro. Anche chi vive, in apparenza, al di fuori di 4
ogni interesse filosofico e pensa soltanto al quotidiano e sensibile nel senso pi gretto del termine (oppure al lavoro o alla carriera o al piacere o al sesso o allo sport o al divertimento o al potere ecc.), ha implicitamente una filosofia perch considera la vita sensibile o il potere ecc. come l'assoluto, la cosa per lui pi importante, che viene prima di ogni altra e dunque ha risposto, seppure in modo superficiale, ai problemi metafisici che citavo prima. Mi avvio a concludere chiedendovi di riflettere su questo: pensate agli ideali della vita e provate a chiedervi: qual il modo migliore di vivere? Come posso essere felice? Non posso sapere gi adesso, in questa vita, al di l di conoscere astrattamente la verit, qual il modo di vivere pienamente un'esistenza felice nonostante i momenti di sofferenza? Certo non una cosa facile e certe domande esigono risposte scomode, mentre forse pi comodo far finta di nulla. Ma il filosofo quel "rompiscatole" che vuole andare a fondo, a tutti i costi, e non si accontenta di mezze risposte, di ovviet, di banalit. La filosofia, oggi come sempre, pu mantenere vivo un clima di libert intellettuale, di discussione, di apertura verso il nuovo. Essa pu favorire la creativit, la fantasia, la riflessione, sviluppare una maggiore intelligenza critica ed autonoma; in una parola, pu insegnare ad essere un po' pi liberi e felici. Ecco che cos, oggi, come sempre, la filosofia.
BIBLIOGRAFIA Indico qui solo alcuni testi da cui prendere spunto per iniziare una propria ricerca RUSSELL, I problemi della filosofia , Feltrinelli WEISCHEDEL, La filosofia dalla scala di servizio, Cortina
2. CHI SONO IO ? IL SENSO E LASSURDO Quando si riflette sulla vita umana in generale difficile non essere presi, prima o poi, da un senso di sgomento, il quale riunisce in s contrastanti sentimenti di paura, delusione, mistero, inquietudine. Questo capita soprattutto quando pensiamo che la nostra vita finir con la morte e ci pu capitare dopo un minuto dalla nostra nascita oppure dopo cento anni ma - ed questo che terribile ! - comunque lo stesso, giacch la sorte identica : chi inizia a vivere destinato a morire, a concludere questa esistenza terrena; e che ci avvenga subito o dopo molti anni, non cambia in apparenza la sorte, che rimane identica. La nostra vita finita e tutto ci che abbiamo fatto di bene e di male viene livellato dalla realt della morte. Del resto - si dice - la stessa specie umana non immortale ed un giorno la vita su questo pianeta finir, per cui tutto ci che per noi, oggi, importante, non sar pi nulla. Pensiamo infatti alle civilt del passato : che ne sappiamo dei nostri progenitori ? Ben poco, e poi... non ci interessa granch (a meno di non essere storici o archeologi) ... quello che conta, per noi, eventualmente sapere il significato di questo nostro passaggio, alquanto effimero (settanta, ottanta anni di media) su un pianeta di uno sperduto sistema solare (cos dicono gli astronomi) in una delle tantissime galassie. Insomma, l'importante per noi riuscire a sapere : chi sono io ? A questa domanda nessuno si accontenta di rispondere con un semplice "sono un insegnante", "sono un impiegato", "sono un uomo", "sono una donna" ecc. Ovviamente sono risposte giuste per non sono certo esaurienti e ci lasciano insoddisfatti. Quando infatti ci domandiamo "chi sono io?" non intendiamo tanto sapere qual la nostra professione e neppure quali caratteristiche mi distinguono esteriormente dagli altri. La questione molto pi profonda .Vogliamo sapere che cosa significa essere "uomini", vogliamo sapere quale sar il nostro "destino", e ci vuol dire chiederci in fondo questo : riusciremo a fare qualcosa che ci distinguer da ogni altro essere che vissuto su questa terra ? In altre parole, quando ci chiediamo "chi sono io?", scopriamo l'unicit della nostra persona e cio acquisiamo progressivamente la consapevolezza di essere persone singolari, uniche, diverse da qualunque altra vi sia stata o vi sar mai non solo su questo pianeta ma in tutto l'universo. Ci avete mai riflettuto ? E' sconvolgente! Io sono io e cio una persona unica, che non ha uguali in tutto il resto del mondo! Quando ce ne rendiamo conto, sentiamo subito un peso enorme su di noi : la terribile consapevolezza della nostra responsabilit nei confronti di noi stessi e di tutti gli altri. Perch responsabilit ? Perch essere unici vuol dire che nessun altro far mai quello che io ho fatto o potr fare. Dunque a me spetta fare delle cose che non potranno mai essere fatte da nessun'altra persona al posto mio (e non c'entra zappare l'orto o dirigere una azienda : la fatica quotidiana del vivere che qualitativamente importante) . Ci che far o ci che non far contribuir a formare il mio "io", a definire sempre meglio chi sono, a distinguermi dagli altri. Non solo : ogni nostro atto influisce su tutto il resto, cos che l'universo non pi lo stesso da quando ci sono io perch le conseguenze delle mie scelte si ripercuotono dovunque, anche se non ne siamo affatto consapevoli. Da quanto detto finora, scopriamo che non poi cos importante sapere veramente che cosa sia questo "io", ma quel che pi conta riconoscere la nostra unicit . Cos, alla domanda "chi sono io?" non risponderemo pi definendoci in qualche modo (semmai lasceremo che gli altri ci definiscano). Acquisiremo invece consapevolezza delle nostre scelte : impareremo che ogni scelta gravida di responsabilit e contribuisce ad edificare, momento per momento, quello che potremmo chiamare "il nostro destino"(ci ritorneremo). In altri termini, ad una tale domanda, io posso solo rispondere con tutte le mie scelte, con tutta la mia vita e vi rispondo in un modo unico, specifico, diverso da ogni altro essere umano. E non potrebbe essere diversamente : alla domanda "chi sono io?" nessuno pu rispondere al posto degli altri, dando una risposta che possa soddisfare tutti oltre me stesso. In breve, io sono il risultato di tutte le mie scelte, dei miei desideri, delle mie
speranze, delle mie sconfitte e delle mie vittorie, dell'ambiente in cui vivo e delle influenze degli altri su di me ecco chi potrei essere. Ho tralasciato apposta finora di disquisire su quella parolina che in italiano suona "io". Perch? Perch se nella domanda "chi sono io?" riveste un posto importante, ritengo che non dobbiamo lasciarci fuorviare dalla sua presunta importanza . In altre parole, credo che sapere che cosa voglia dire "io", non ci faccia avanzare di molto nella scoperta di noi stessi. Anche se indichiamo col termine "io" la nostra anima o il nostro spirito o la nostra pi profonda essenza , abbiamo forse chiarito di pi la questione ? Non credo proprio. Comunque, da secoli sappiamo che non dobbiamo perdere tempo nella ricerca del famigerato "io" : da Buddha a Ges, da Pascal a Hume, da Kant a Freud, per non citare che alcuni nomi, tutti costoro hanno ritenuto fuorviante la ricerca, la definizione, l'attaccamento all'io. Che esso esista o no, la risposta che stata data in questi millenni comunque deludente : dell'io sappiamo poco o nulla. Ma questo ci fa capire che dobbiamo forse cercare altrove, e cio dobbiamo prendere atto che le grandi questioni esistenziali non sono risolvibili a parole, con i discorsi, con una logica o una razionalit, bens vivendole nel quotidiano. Insomma, la risposta la vita, la mia vita ! Per concludere, vorrei ancora dire qualcosa sul rapporto fra il cosiddetto "io" ed il "destino". Forse io non so chi sono nel pi profondo di me stesso ("noi siamo a noi stessi i pi lontani", diceva Nietzsche; "io un altro", diceva il poeta). Per sento di "dover fare qualcosa", di "dover adempiere" un determinato compito, e di sentirmi insoddisfatto se non lo faccio. Posso anche oppormi a questo mio "destino", posso cercare di rimandarlo, di evitarlo, di negarlo, eppure, prima o poi, dovr fare i conti con esso, e dovr, alla fin fine, riconoscerlo e accettarlo, e solo cos scoprir di essere veramente libero, felice, realizzato "me stesso". Sembrer paradossale, tuttavia quando ne avremo la consapevolezza, avremo forse fatto il primo passo verso la scoperta dello stretto rapporto che lega me stesso, il mio "io" (e che solo rarissimamente vissuto come tale) al mio "destino". Gli antichi Greci avevano un detto bellissimo per esprimere tale conquista : "diventa ci che sei", cos essi esortavano. Questa profonda verit ci invita in primo luogo a riconoscere che noi esistiamo, che siamo vivi, che ci siamo. Dopo aver preso atto di questo, devo cercare di diventare quello che sono, devo cercare di vivere la mia vita in prima persona, devo identificarmi col mio destino. Anche perch, se non lo faccio, e finch non lo faccio, rester insoddisfatto, non potr mai realizzarmi pienamente, non potr mai essere libero e felice. E tutto ci ci apparir forse pi chiaro verso la fine di questa vita terrena : tornando indietro a ripensare quello che abbiamo fatto - o non fatto - ci accorgeremo che una sorta di filo sottile ha legato tutte le nostre vicende e guarderemo meravigliati (fors'anche un po' timorosi) la trama della nostra vita. Allora, forse, potremo finalmente intravedere ci che siamo stati e potremo rispondere serenamente a quella terribile domanda : "chi sono io?".
IL SENSO E L'ASSURDO Qual il significato della nostra vita e della vita in generale ? Essa ha un senso o non ne ha alcuno ? E' forse assurda o che altro ? Le difficolt cominciano subito, appena tentiamo di definire un po' meglio che cosa intendiamo con l'espressione "senso della vita" o simili. Per cercare di superare l'impasse, potremmo partire da una constatazione : potremmo dire che, indipendentemente dal fatto di porci o no il problema del senso della vita, l'umanit nel suo complesso ha scelto la vita, ha scelto di continuare a vivere. Non sappiamo bene perch, per gli esseri umani continuano a scegliere la vita piuttosto che la morte (sempre parlando in generale). S, certo, ci sono le guerre, i morti ammazzati e i suicidi, la violenza ecc., per l'uomo continua ad esistere su questo pianeta, nonostante tutto . Oggi c' , per la prima volta nella storia umana, la possibilit concreta di provocare la distruzione pressoch totale della vita su questo pianeta, eppure gli uomini sembrano comportarsi 7
come se nulla fosse e, inoltre, come se dovessero vivere per sempre. Dunque in questi esseri che si sono definiti "uomini" sembra prevalere il desiderio di vivere piuttosto che quello di morire (molti di quelli che desiderano farla finita, in realt desiderano superare una situazione spiacevole e non certo annullarsi, anche perch non sappiamo neppure che cosa sia il nulla). L'espressione "senso della vita" potrebbe essere cos trasformata dicendo che l'uomo, scegliendo di continuare a vivere, ha scelto di ritenere la vita "sensata", ha deciso che meglio vivere che morire. Anche perch non abbiamo alcuna esperienza della morte ma solo di quel che vuol dire vivere, e visto che sappiamo che cosa implica vivere, abbiamo "deciso" che meglio affidarci a qualcosa che conosciamo piuttosto che farci attrarre da qualcosa che ci del tutto sconosciuto. Cos non rispondiamo alla domanda "la vita ha senso?" con un semplice s o con un no, ma diciamo, intanto, che preferiamo vivere, che continuiamo a vivere, che, visto che siamo qui, proseguiamo il nostro cammino. Che questo voglia dire "dare un senso alla vita" o considerarla "sensata" , in fondo, secondario. Ci sembra per di capire che i cosiddetti "problemi esistenziali" - sui quali possiamo disquisire per ore e ore - non possono essere risolti o chiariti solo a parole, bens con una scelta concreta nel comportamento quotidiano. Il "senso" dunque il termine astratto e generico che noi usiamo per indicare l'insieme dei nostri comportamenti atti a promuovere la vita e il suo proseguimento. Tutto ci che in contrasto con esso, lo chiameremo "non senso" ed in genere non riscuote molto la nostra simpatia, visto che lo riferiamo ad atti malvagi del tutto contrari alle norme della convivenza pacifica. Noi saremmo dunque degli esseri che vogliono un "senso", che non ne possono fare a meno. Ma poi veramente cos ? Chi ci dice che la verit sia proprio questa e non un'altra ? Infatti alcuni potrebbero dire : "S, forse la vita umana "sensata", per evidente che un giorno essa finir e quindi che "senso" ha ? Come pu avere "senso" una esistenza destinata a finire? Il "senso" non pretende forse di superare la stessa morte o addirittura di attribuire un "senso" alla morte stessa? Non sarebbe allora pi corretto, anzi pi vero, parlare di assurdo per quanto riguarda la vita umana? La vita vale forse la pena di viverla? E' tanto importante continuare a vivere?". A tutti questi interrogativi potrei rispondere con tutta una serie di contro-domande : "Perch la vita deve valere per forza qualcosa per viverla? Perch dobbiamo viverla solo se vale qualcosa? E' proprio cos necessario valere qualcosa per poter vivere ? perch la vita dovrebbe avere un valore o un prezzo? Non riduciamo la vita ad una visione grettamente utilitaristica e poi, di fatto, non continuiamo semplicemente a viverla, senza curarci tanto di porci il problema se valga o non valga qualcosa ?". Distinguerei inoltre tra l'affermazione della assurdit della vita dall'altra che ritiene che la vita non valga nulla. Nel primo caso infatti, anche se posso ritenere la vita "assurda", non affatto detto che la consideri insensata e trovi indifferente vivere o morire. Che la vita sia definita "assurda" da parte mia, vuol dire che le attribuisco una caratteristica specifica, che quella appunto della assurdit ; ma , dopo averla riconosciuta come "assurda", non per questo me ne voglio separare e voglio ad esempio esaltare il suicidio o l'omicidio o la strage; insomma, prendo atto che la vita per me "assurda" e poi continuo a viverla, con la consapevolezza che e rimane "assurda" (si vedano le bellissime pagine di Albert Camus, ne Il mito di Sisifo, a questo riguardo). Diversa invece la posizione di coloro i quali ritengono che "non vale la pena di vivere". Questi ultimi pensano forse che la vita, per essere vissuta, dovrebbe essere diversa da quella che , che dovrebbe "valere di pi", ma ci lascia intendere che, in fondo, la vita dovrebbe essere vissuta secondo i parametri che loro stessi pretendono di attribuirle ("Una vita senza questo o senza quello non degna di essere vissuta", cos la pensano quei tali). A ben vedere, cos facendo, non si riduce la vita per a schemi prefissati, ad ideali o a nostre visioni parziali, ad astrazioni intellettualistiche che vorrebbero imprigionare o dominare la vita nei suoi molteplici aspetti ? Non dico altro : inviterei solo a rifletterci un po'. Altra cosa ancora rispondere a quelli che si domandano: "E' cos importante continuare a vivere?". La mia personalissima risposta la seguente : non so affatto se sia importante continuare a
vivere, ma io preferisco vivere anche se non importante, anche se non ha senso, anche se la vita assurda. E perch preferisco vivere? Oh bella : perch ho tante cose da fare e poi sono curioso di vedere come andr a finire. Potrei inoltre aggiungere che mi sembrerebbe una occasione mancata. Intendo dire : su, sei vivo, prova dunque a continuare a vivere; ti stata data questa occasione, non buttarla via. S, so perfettamente che alcuni potrebbero obiettare : "Ma che vita quella di un malato terminale? Che senso ha continuare a soffrire sapendo che non c' nulla da fare?". Eppure secondo me, la vita una occasione, anche se non piena di successo, soldi, salute, amore ecc. E' un'occasione, appunto, perch dunque troncarla o volerle fare a meno ? E, soprattutto, con che diritto osereste negare una occasione anche agli altri? Ogni vita a s, ed il suo valore dipende semmai da noi che la stiamo vivendo - malati o sani, giovani o vecchi - e non da qualcun altro che pretende di imporsi, in qualche modo, su di noi. Con questo non voglio dire che non vi siano dei comportamenti preferibili rispetto ad altri e neppure che ciascuno siano "libero" di agire come pi gli aggrada. Al contrario, ogni nostra scelta implica necessariamente delle conseguenze, e questo un dato di fatto che viene, spesso e volentieri, dimenticato. Insomma, pensala come vuoi, ma ogni tua azione ha delle conseguenze. Anche se "te ne freghi", le conseguenze del tuo menefreghismo si vedranno comunque. Forse sono uscito un po' fuori dal seminato, ma vi ritorno subito e concludo. Immaginando di osservare da un punto fuori dell'universo la vita sul pianeta Terra, potrei dire che non la considererei forse molto importante nell'economia del tutto (non parlerei comunque n di senso n di assurdo : ha senso per noi la vita delle formiche?) per, visto che c' e finch c', la riterrei se non altro un fenomeno interessante e starei a vedere fin dove saranno in grado di arrivare quei minuscoli terrestri !
BIBLIOGRAFIA CAMUS, Il mito di Sisifo e L'uomo in rivolta, entrambi nelle edizioni Bompiani. FRANK, Alla ricerca di un significato della vita, GUM Mursia. GUITTON, Storia e destino, Piemme. HESCHEL, L'uomo non solo, Rusconi. MORAVIA, L'enigma dell'esistenza, Feltrinelli.
3. LAMICIZIA E LAMORE L'amicizia e l'amore sono importantissimi per la vita umana. possiamo dire che nessun essere umano pu farne a meno e d'altra parte tutti ne conosciamo - chi pi chi meno, direttamente o indirettamente - l'influenza sulla nostra vita. Certo, vi sono persone pi "fortunate" perch sembrano essere amate da tutti e circondate da amici, mentre altre, "sfortunate", sono sole, senza amicizie e amori; eppure, oserei dire che non tanto importante essere amati, sentirsi circondati dall'affetto altrui, quanto piuttosto amare ed essere amici nei confronti degli altri. Se infatti aspettiamo di incontrare l'amore, se andiamo alla ricerca dell'amicizia, difficilmente o mai riusciremo a realizzare la nostra naturale esigenza; se invece non ce lo poniamo come mete ma cerchiamo di viverle entrambe in prima persona, cominciando noi ad amare ed a dimostrarci amici, molto probabile che saremo ricambiati e quindi la nostra vita sar ulteriormente arricchita da quelle esperienze Tralascerei come al solito di definire in qualche modo l'amore e l'amicizia: mi interessa di pi viverle concretamente. Fanno parte della vita umana e, come tutte le esperienze, non sono mai comunicabili interamente a parole ma soltanto partecipabili da chi li vive. Non dobbiamo dimenticarlo, visto che stiamo occupandoci di tutte quelle realt - l'io, l'amicizia, l'amore, la paura, l'angoscia, il male, la felicit, la morte - che fanno parte integrante della vita umana e dunque riguardano tutti molto da vicino. Possiamo perci discuterne fin che vogliamo, ma poi, per affrontarle nel modo migliore, con un po' di "saggezza", consigliabile poterle vivere. Come si pu allora vivere l'amicizia e l'amore? Beh, credo che una risposta molto concreta possa essere: con fedelt e libert. Si amici e si ama restando fedeli alla persona amata e/o amica. Dunque l'amicizia e l'amore implicano non solo una passione o un sentimento ma sono frutto di una scelta continua: io ti sono amico o ti amo perch voglio continuare ad esserti amico, ad amarti, nonostante le inevitabili difficolt che il cammino della vita ci porr di fronte. Anzi, nella misura in cui sapremo superare le crisi, la nostra amicizia e/o il nostro amore diventeranno sempre pi profondi e migliori. La fedelt dunque un atto voluto, una scelta che devo confermare giorno dopo giorno e di cui sono perfettamente consapevole. Ecco quindi che viene tirata in ballo anche la nostra libert: l'amicizia e l'amore sono atti liberi altrimenti non si tratta di amicizia o di amore. Infatti, se sono amico di qualcuno, se amo qualcuno, lo rispetto, non gli impongo nulla, gli voglio bene in maniera disinteressata, non pretendo nulla in contraccambio. Se cos non fosse, non si tratterebbe di vera amicizia o amore. Insomma, si tratta della relazione fra due persone e, con le persone, non si pu tirare in ballo la fedelt e la libert. Anzi, a questo riguardo, direi che l'amicizia e l'amore sono possibili e autentici solo tra persone: anche nel caso dell'amore verso Dio o verso gli animali si deve parlare di rapporti fra "persone", poich Dio viene appunto considerato una persona a cui ci rivolgiamo per adorarlo, supplicarlo ecc. e cos pure i nostri rapporti con gli animali quando li coccoliamo, parliamo a loro come se ci capissero ecc. Non vengono dunque considerati da noi delle "persone" anche se particolari? Se l'amore e l'amicizia ti fanno considerare l'altro come una persona (dunque un essere libero, autonomo, degno di rispetto e con una sua dignit), vuol dire che, se io considero l'altro come un oggetto, non gli sono veramente amico n lo amo. Si badi che questa una situazione purtroppo diffusissima, che capita anche tra coniugi, innamorati e amici, per non parlare poi dei casi di omicidio - quando l'altro viene tolto di mezzo perch scomodo (la delinquenza insegna) - quando si completamente dimenticato che chi mi sta di fronte una persona come lo sono io, e dunque un soggetto non potr mai trasformarsi in oggetto. Eppure, la nostra ricorrente tentazione proprio questa: rendere gli altri delle cose, trasformarli o considerarli come oggetti, che possono essere usati e di cui possiamo liberarci quando "l'uso" finito e non ci servono pi. Una cosa ben diversa la fine di un'amicizia o un amore. Finire un rapporto non implica affatto una rottura violenta, anche se una relazione non mai senza screzi, crisi, difficolt varie. A volte, appunto, un amore o un amicizia finiscono: da un momento all'altro pu capitare che ... puff ... i miei sentimenti nei confronti di qualcuno cambino ed io non mi senta pi innamorato o amico di 10
quella persona. I motivi sono tantissimi e non ci aiutano pi di tanto a scoprire il vero perch possa accadere una cosa simile. Io credo che il vero motivo sia da ricercare nella natura dell'amicizia e dell'amore. Essi sono liberi e responsabili e dunque, finch posso dire di poterti amare o di esserti amico liberamente, fedelmente, disinteressatamente, lo sono e mi impegno a continuare ad esserlo; ma quando ci non fosse pi possibile (per i motivi pi disparati) da parte mia o da parte di entrambi, allora si pu parlare della fine di un amore o di un amicizia. Con ci non intendo dire - mi si capisca bene - che "finch va, va", oppure che ci lecito od bene fare tutto quel che ci passa per la testa, ma solo prendere atto, molto concretamente, che l'amore e l'amicizia sono relazioni umane e quindi passibili di finire, di non continuare eternamente (anche nel matrimonio il nostro legame valido ... finch morte non ci separi) ma non per questo sono meno belle o valide o importanti o necessarie. L'amore e l'amicizia valgono insomma di per s, anche se non dovessero durare eternamente. Come dice l'Antologia di Spoon River, "Non ci sono matrimoni in cielo, ma c' l'amore". Ma c' forse differenza tra l'amore e l'amicizia? Finora li ho sempre usati insieme e tuttavia, se i termini sono diversi, avranno pur qualche sfumatura che li differenzia, no? Parlando in generale, si dice che l'amore implica anche l'attrazione fisica verso l'altro, implica passione, tenerezza, desiderio di unione completa con l'altra persona, per ... per ... io ci andrei un po' cauto ... perch la variet e la complessit delle relazioni umane rifuggono da catalogazioni nette. Infatti, tanto per obiettare a quanto appena detto sull'amore, se per esempio marito e moglie decidessero di comune accordo di non avere pi rapporti sessuali (e casi nella storia ce ne sono: dai proverbiali Maria e Giuseppe a Gandhi e signora, ecc.) ne seguirebbe forse che non vi pi amore fra loro ma solo una affettuosa amicizia? Insomma, non saprei proprio cosa dire. Forse alcuni potrebbero dire che l'amore implica la diversit sessuale mentre l'amicizia in genere tra persone dello stesso sesso ma anche in questo caso, poi realmente cos? La vita concreta ci fa incontrare amori tra persone dello stesso sesso ed amicizie tra uomini e donne, per cui, ripeto, certe domande - per me - sono destinate a rimanere senza risposta, almeno per ora. Per concludere, vorrei ancora soffermarmi un attimo sul fatto che l'amore e l'amicizia non sono sempre ricambiati. Certo, il "massimo" quando noi proviamo amore e amicizia e ne siamo ricambiati, ma la vita reale non quasi mai perfetta (solo in alcuni momenti pu capitare). Forse potrei dire, l'amicizia esige la reciprocit - ecco, forse ho trovato la sfumatura di differenza tra l'amore e l'amicizia! - mentre, nel caso dell'amore, si pu anche amare senza essere riamati. E ci si pu intendere sia in senso negativo (come quando una persona ama un'altra che per non prova nulla per lei od una semplice simpatia ma manca quel certo non so che), ed in questo caso il rapporto sterile ed destinato a finire, sia in senso positivo, ma in questo caso ... si tratta della forma pi alta dell'amore poich l'amore che ama senza essere ricambiato e senza aspettarsi nulla in contraccambio, l'amore pi sublime al mondo! Che vi siano o vi siano state delle persone giunte a tal punto, beh, ci deve far riflettere ... senza dimenticare naturalmente la fatica quotidiana di dire serenamente e ancora sempre : "ti amo!"
BIBLIOGRAFIA PLATONE, Simposio (o Convito), ed. varie (Mondadori, Rizzoli, Laterza ecc.) LEWIS , I quattro amori: Affetto amicizia eros e carit, Jaca Book WEIL, L'amore di Dio e l'infelicit, ed. Borla BUSCAGLIA, Vivere, amare, capirsi, Mondadori ALBERONI, Innamoramento e amore, Garzanti ALBERONI, L'amicizia, Garzanti
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4. IL PROBLEMA DELL'ANIMA La parola "anima" oggi forse passata un po' di moda. La si usa, certo, ma in termini metaforici e, quando si vuole approfondire la questione - che cosa si intenda per "anima", se esista o no, se sia immortale ecc. - o si alzano le spalle ritenendolo un problema passato di moda se non addirittura privo di senso, buono solo per le speculazioni religiose e metafisiche ormai anacronistiche, oppure non si sa che pesci pigliare e ci si rif allora alle concezioni tradizionali, risalendolo indietro nel tempo. Insomma, oggi ci vergogniamo un po' a parlare di anima : allora preferiamo parlare di psiche, psichismo, io (spirito un po' troppo "religioso"), mente e cos cerchiamo di nascondere la nostra immensa ignoranza a riguardo. Diciamocelo pure : riguardo all'anima, ne sappiamo di pi dei Greci o degli Ebrei o degli Induisti? Non credo proprio, e ci indica che oggi non vogliamo riflettere a sufficienza, risolviamo molti problemi semplicemente negandoli perch abbiamo paura di essere messi in crisi dagli interrogativi pi profondi che l'umanit si posta. A parte questo preambolo, cosa potrei dire io riguardo al problema dell'anima ? beh, potrei iniziare facendo un breve excursus storico sulle principali concezioni dell'anima che, volenti o nolenti, ci hanno in qualche modo influenzato per cui noi, oggi, dipendiamo ancora da esse. Vediamo meglio. Comincer dalle concezioni dell' Orfismo del 6 sec. a.C. Secondo quelle credenze, l'anima stata confinata in un corpo per espiare una colpa commessa in una vita anteriore. Per cui l'esistenza terrena una sorta di castigo e la salvezza consister nel liberarsi dai legami del corpo, ove l'anima rinchiusa come in una prigione. Quando l'anima, mediante l'iniziazione orfica ed una dura ascesi, si sar purificata da ogni attaccamento al corpo, sar pure liberata dalla necessit di entrare di nuovo, dopo la morte, in un corpo, dunque sar liberata dalla reincarnazione. Come s' appena visto, questa concezione antichissima sostenuta ,pi o meno, anche da molte persone d'oggi, affascinate dai miti antichi e orientali. L'unico difetto, a mio modesto modo di vedere, che ... manca di prove! Che ne sappiamo infatti di una vita precedente o della mia anima rinchiusa dentro il mio corpo? E se anche fossi stato, che so, una strega nell'Inghilterra medioevale, che influenza pu avere nella mia vita attuale? Comunque sia, viviamo pur sempre una sola vita alla volta, no? Come favoletta pu anche essere interessante, ma come poter non dico dimostrare ma almeno giustificare che le cose stanno realmente cos ? Aristotele (384-322 a.C.) adott invece un approccio completamente diverso per affrontare la questione dell'anima. Egli adott un metodo che oggi chiameremmo "sperimentale" e si trov quindi costretto a criticare e poi ad eliminare i miti orfici della divinit originaria dell'anima, della preesistenza e della caduta delle anime nei corpi ritenuti cattivi. Da questo punto di vista, la concezione aristotelica di una modernit sconvolgente e la sua critica al presunto dualismo animacorpo sar valida pure contro Cartesio. Secondo Aristotele, la teoria dualista dell'anima e del corpo non pu spiegare perch l'anima unita al corpo. Il mito della caduta dell'anima nel corpo comporta una "assurdit" intrinseca perch presuppone che qualsiasi anima possa discendere in qualsiasi corpo (cfr. De anima , 407 b). ora, ogni corpo appartiene ad una determinata specie vivente ed ha una struttura, una forma particolare; non si pu immaginare che una qualsiasi anima discenda in un qualsiasi corpo (come invece pretenderebbero ancora oggi certe persone interessate all'esoterismo e simili). E ci dipende dal fatto che, per A., l'anima, la psych , il principio attivo che organizza un corpo vivente mentre il corpo ci che riceve, diremmo noi, l'informazione. In altre parole, per A. l'anima e il corpo sono strettamente uniti perch ogni individui vivente un sinolo ,una unione di anima e di corpo e non pu sussistere un'anima senza un corpo e viceversa. In questa prospettiva, non vi pi dualismo tra anima e corpo, non vi pi distacco fra anima e corpo perch il corpo vivente, organizzato, un'anima che informa la materia. Alla morte, quando l'anima se ne va, non resta pi un corpo ma un cadavere. Insomma, quando un uomo o un animale sono morti, non c' pi corpo ! Rimane solo la "materia" che conserva per qualche tempo le apparenze corporee, ma in 12
realt non pi un corpo, bens solo un ammasso di materiali che si decompongono. Dunque per A. non vi neppure sussistenza dell'anima fuori o separata dalla materia che informava. E questo sar un grossissimo problema per i filosofi posteriori : l'anima o no immortale? A. non ci dice molto : egli sostiene che solo il nous (intelletto) immortale. Passiamo ad un altro orizzonte culturale. Nel pensiero ebraico-cristiano l'anima creata da Dio, non divina di per s. Essa non preesiste al corpo : nella prospettiva ebraico-cristiana (tranne in alcune correnti cabbalistiche) non vi alcuna idea di reincarnazione o meglio di metempsicosi. Inoltre l'idea che l'esistenza dell'anima nel corpo sia la conseguenza di una colpa le totalmente estranea : l'esistenza non mai colpevole o vergognosa o impura in s. Si badi : nella lingua ebraica non vi neppure la parola per designare il corpo come una sostanza distinta dall'anima. In altri termini, l'uomo inteso come una unit psicosomatica indissolubile. L'uomo un'anima vivente : un corpo vivo un'anima che posso toccare! Il corpo insomma (il corpo vivo, non ne esiste altro perch un cadavere non un corpo) l'anima che informa la materia. Dopo la morte, l'anima non pi un corpo, non costituisce pi un corpo. Il problema sar allora quello di sapere se sussiste ancora oppure no. Nella prospettiva ebraico-cristiana l'immortalit dell'anima un dono di Dio : anzi, per la precisione non si dovrebbe parlare di immortalit dell'anima bens di resurrezione dei morti, nel senso che la "salvezza soprannaturale" offerta non solo alla mia parte "spirituale" ma a tutto me stesso, alla mia persona integrale, che sar trasformata nel cosiddetto "corpo glorioso". Mi fermerei qui in questo brevissimo panorama storico. E mi fermo qui perch, come accennavo all'inizio, oggi non ne sappiamo molto di pi. Per cui le alternative fondamentali, per quanto riguarda la concezione dell'anima, rimangono appunto due : o la visione greco-orientale o la visione ebraico-cristiana. Sta a noi scegliere quella che pi conforme ai nostri gusti e ci soddisfa di pi. Se mi chiedessero quale delle due concezioni preferisco, direi di propendere per quella ebraicocristiana ma non potrei giustificarla con una teoria pi o meno originale, bens ripeterei le concezioni che ho studiato e che espongo tutti i giorni a causa del mio mestiere. Ma cosa potrei ancora dire, se proprio fossi costretto ad aggiungere qualcosa? Beh, ad esempio, che io mi sento vivo, che sono cosciente del fatto di esistere, per non so se so cosa vuol dire "essere vivo", "esistere". Mentre sto dicendo "sono vivo" cpitano in me migliaia di processi biochimici di cui non ho la minima idea e che non sono io a controllare. Lo sar forse la mia anima ? Pu darsi ma non ne so nulla o per lo meno non vedo come potrei giustificarlo. Io so solo di esistere, di essere qui. Il mio corpo cambia continuamente (il metabolismo somatico cio il continuo ricambio delle molecole che costituiscono il corpo vivente un dato "scientifico" ben provato) ,per io mi sento un tutt'uno, mi sento "me stesso", mi sento qualcosa che permane al di l dell'et cronologica (pensate quando si sfoglia un album di fotografie e si esclama :"Quello ero io!"). Che questa esperienza possa essere presa come una prova per lo meno indiretta dell'esistenza di quella che chiamiamo "anima", identificandola col mio "io", non mi soddisfa pi di tanto. Anche perch : che cosa si intende per "io"? Forse il mio "io cosciente"? Ma allora ben poca cosa, come ci ha insegnato Freud : infatti, che dire di tutta la parte inconscia? Insomma, non vorrei apparire superficiale ma mi sembra che non sia affatto facile dimostrare l'esistenza dell'anima. E poi, detto francamente, proprio cos importante ? Se infatti l'anima esiste, se io sono un'anima vivente, beh, questo non dipeso da me, no? Come potrei dunque dimostrarlo? Non mi sono creato io, ed in me, come accennavo prima, avvengono tantissime cose che non controllo. Se l'anima c', me l'ha data qualcun altro ed allora io che ci potrei fare ? Non potrei fare altro che accettare un tale stato di cose e riconoscere :"Mi dicono che sono un'anima vivente. Mi fa piacere. A chi devo dire grazie?". Lo stesso per quanto riguarda l'immortalit della mia anima : io non so neppure se vivr dopo la morte (posso solo crederlo o sperarlo) e dunque non posso darmi l'immortalit. Se accetto la prospettiva religiosa che mi dice che io sar immortale, anche in questo caso non potrei fare altro che ringraziare il buon Dio per quel che mi ha donato.
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Vorrei accennare ora brevemente anche ad altri problemi connessi con l'esistenza dell'anima. Prendiamo ad esempio il rapporto tra l'anima e il cervello. Vi sono racconti e film che narrano di trapianti di cervello da un uomo ad un altro col conseguente scambio di personalit. Per me sono solo fantasie! Quando il cervello tolto dal corpo, se- condo me, diventa solo buono come frattaglie e nient'altro. Ritengo, in altre parole, che il cervello abbia bisogno del resto del corpo per poter funzionare e quindi, se lo si "stacca" dal corpo, non pu avvenire nulla e tanto meno un fantomatico scambio di personalit. Si noti : ho parlato di cervello e non di pensiero. Per quel che posso presumere, se il cervello ha in qualche modo bisogno del corpo, non per detto che il pensiero abbia necessariamente bisogno del cervello o di un corpo per funzionare (e questo indipendentemente dalle credenze religiose di ciascuno). In altri termini, voglio dire che i processi di pensiero non si identificano con i processi biochimici che vengono ad esso correlati (l'elettroencefalogramma di Beethoven mentre esegue la Nona Sinfonia non ci direbbe proprio nulla a riguardo) ma sono immateriali (qualcuno pu forse vedere o toccare i miei sogni, le mie sensazioni, i miei pensieri in generale?) . Per cui, tornando alla questione dello scambio dei cervelli, ritengo che il mio pensiero e la mia personalit siano indipendenti dal mio cervello e quindi sarebbe impossibile un ipotetico scambio, ma sarebbe un fallimento e ci ritroveremmo solo con due cadaveri e nient'altro. Altra questione, venuta ultimamente alla ribalta delle cronache, la clonazione. Anche in questo caso, ritengo che sia soltanto una fantasia poter dare origine ad un altro me stesso. Per definizione, ogni essere unico, diverso da qualunque altro, per quanto simile possa sembrare (si pensi ai gemelli monozigoti). Anche se un giorno un qualche scienziato pazzo potesse fare dei cloni di Hitler , ebbene, nessuno di questi cloni sar perfettamente identico agli altri n sar totalmente condizionabile e per fortuna! Ultimo problema che vorrei affrontare brevemente la ricerca dell'immortalit da parte di alcune persone. Con l'ibernazione, con la ricerca di un "farmaco che doni l'immortalit" (pensate alla ricerca della pietra filosofale e all'elisir di lunga vita nel Medioevo), alcune persone credono di potersi rendere immortali. Io trovo questi tentativi del tutto stupidi e illusori. Perch ? Perch se l'immortalit esiste , un dono soprannaturale e non qualcosa che l'uomo pu darsi. Non esiste nulla in tutto l'universo che sia immortale di per s (anche le stelle si spengono, l'universo ha avuto un inizio e ci implica che prima o poi abbia una fine) per cui, se l'immortalit esiste, ripeto, una caratteristica soprannaturale, un dono gratuito del buon Dio , e non ha nessun senso affannarsi per procurarselo. Anche perch, per chi credente, pu gi essere certo di una vita oltre la morte : nel cristianesimo, ad esempio, ci garantito dalla resurrezione di Cristo, e dunque che vogliamo di pi? Potrei concludere dicendo che il problema dell'anima uno di quei problemi che esula dalle capacit umane. Una saggezza molto spicciola ci pu suggerire di vivere la nostra vita senza preoccuparci troppo del fatto di essere o no immortali, di avere o no un'anima ,visto che viviamo comunque una sola vita alla volta! . Quel che importante semmai "usare" bene il nostro corpo e la nostra anima seguendo la morale che ci pare pi vera (anche se tutte le morali ci invitano comunque alla moderazione e al rispetto di s e degli altri) perch, se non altro, saremo pi felici noi e potremo anche fare un po' felici gli altri. Viviamo sereni : tutto ci resto ci verr dato.
BIBLIOGRAFIA ARRIGHETTI, Frammenti orfici, ed. TEA . RODHE, Psiche , edizioni Laterza. JAYNES, Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza , ediz. Adelphi TRESMONTANT, Il problema dell'anima , ediz. Paoline TRESMONTANT, Cristianesimo,filosofia ,scienze , ediz. Jaca Book.
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5. LA LIBERTA' La libert un classico problema filosofico, un bellissimo problema, squisitamente metafisico ed etico, a riguardo del quale tutti i filosofi hanno detto la loro. Per alcuni pensatori l'uomo libero, per altri non lo affatto; per alcuni la libert umana assoluta, incondizionata, totale, mentre per altri essa relativa, condizionata, parziale, limitata; per alcuni poi la libert umana esclude l'onnipotenza di Dio, per altri invece la manifesta e la garantisce ulteriormente. Come si pu vedere, le teorie che sono state elaborate nel corso dei secoli sono talmente tante e giustificate con fior fiori di argomentazioni, che non c' che l'imbarazzo della scelta. E' quasi una questione di gusti: "Quale teoria preferisci? Mah, a me ispira pi questa S, per questa ha in pi". Siamo quasi al supermercato delle idee, tra i cui banchi si pu scegliere e trovare di tutto. Cosa potrei allora dire io su questo problema, visto che i pi grandi ingegni di questo pianeta hanno gi espresso la loro prospettiva motivandola approfonditamente ? Non sar certo originale illustrando la mia opinione ma abbiate pazienza. Ad una prima domanda che mi venisse posta, quale ad esempio : "Per te l'uomo libero?", devo dire che risponderei subito di s. Se per mi chiedessero di motivare la mia affermazione, mi troverei ovviamente nei pasticci perch non affatto facile illustrare le ragioni per cui ritengo che l'uomo sia libero. Tuttavia, visto che ormai sono in ballo e devo trovare una risposta, comincerei a riflettere partendo da quella che mi sembra la realt concreta, dalla osservazione della vita quotidiana, da ci che mi circonda. In questo modo, ritengo di poter arrivare a dire che s, mi sembra proprio che l'uomo possa essere definito libero. Nella vita di tutti i giorni, mi sembra , gli esseri umani si comportano da persone libere, vivono per lo meno come se lo fossero e d'altronde vengono considerati liberi e responsabili in ambito sociale, politico, legale, morale, religioso, e questo mi basta. Non siete stati forse liberi di venire qui ad ascoltare il sottoscritto? Non siete forse liberi di andarvene quando vi aggrada ? Non siete forse liberi di entrare in un supermercato e di rubare, che so, una radiolina, per poi essere presi e punti perch considerati "liberi e responsabili" della vostra cattiva azione ? insomma, non c' bisogno di nessuna dimostrazione filosofica pi o meno astrusa per mostrare (io mostro, non dimostro) che ci riteniamo liberi e agiamo di conseguenza. D'altra parte, mi sembrerebbe contraddittorio sostenere che l'uomo non libero. Infatti come potrei dire: "Io non sono libero e adesso te lo dimostro" se non fossi invece libero? Se io sostenessi che l'uomo non libero, lo dovrei appunto motivare, e come potrei farlo se non volendolo fare, agendo deliberatamente e dunque liberamente ? A parte queste sottigliezze, che cosa vuol dire essere libero? Beh, in primo luogo e tanto per sgombrare il campo da possibili equivoci, per me essere libero non vuol dire poter fare tutto ci che si vuole. Anche in questo caso, partendo dall'osservazione della vita quotidiana, come si pu sostenere una teoria simile? Ma quando mai si pu ritenere che l'uomo possa fare tutto ci che vuole? E' un'illusione molto superficiale anche solo credere che si liberi quando si pu fare tutto : aspetteremo invano quel momento, che non arriver mai, del resto, perch noi, esseri umani, siamo per natura finiti, limitati, e dunque l'unico tipo di libert alla nostra portata sar una libert s autentica ma sempre nell'ambito della condizione umana, che terr cio conto dei limiti fisici, psicologici, culturali, ambientali ecc. di ciascuno di noi. Premesso questo, per me, "essere libero" significa tante cose : significa avere la possibilit di scegliere; significa decidere da soli, cio riconoscere l'unicit delle nostre scelte; significa essere responsabili di noi stessi e di ci che facciamo nei confronti degli altri. In una prima sintesi, potrei dire che io manifesto appieno la mia libert quando, avendo la possibilit di scegliere responsabilmente una alternativa, agisco di conseguenza. Da quanto ho appena detto ne viene che non tutti le mie cosiddette scelte mettono in campo la mia libert. Molte azioni, in altre parole, sono fatte senza scomodare per forza la libert ma sono dovute ad esempio ad una banale reazione, ad una abitudine, ad un ordine ecc. Il che non vuol dire che noi siamo sempre condizionati ma, piuttosto, che il nostro comportamento qualcosa di molto 15
complesso, che non pu essere spiegato riduttivamente solo con un s o con un no, riconducendo tutte le nostre azioni e volizioni ad un unico fattore. Insomma, ritengo che la libert sia qualcosa di pi della capacit di alzare o abbassare un braccio oppure di scegliere tra il pistacchio e la crema. Come la vedo io, la libert implica la responsabilit e quindi si riferisce soprattutto a quei comportamenti che tengono conto delle conseguenze di ci che stato o non stato fatto(anche l'omissione una scelta libera). Si ricordi infatti che, volenti o nolenti, noi siamo ritenuti, per lo meno dagli altri, come liberi e responsabili delle nostre azioni, e quindi non possiamo non tenere conto del giudizio altrui (che sia la famiglia o lo Stato o Dio ecc.). Anzi, anche se non ce lo ricordassimo, ci penserebbero gli altri a ricordarcelo! Quando sono consapevole della libert e della responsabilit delle mie azioni, sono altres consapevole della unicit delle mie scelte (lo accennavo gi prima). Il che pu sembrare bellissimo o nello stesso tempo bruttissimo : infatti non c' nessun altro, in tutto l'universo, che possa o potr fare la scelta che faccio io e come la faccio io. Questo ci dovrebbe per lo meno far riflettere su quanto sia comunque gravosa la responsabilit che ha ciascuno di noi : io sono responsabile di ogni mio atto libero e ne sono di conseguenza giudicato! Se ce lo ricordassimo pi spesso forse faremmo qualche danno in meno. Un altro problema delicatissimo quello gi citato tra la libert umana e l'onnipotenza di Dio. Qui si entra inoltre in ambito teologico e dunque le difficolt sono ulteriormente accresciute. La mia opinione personale per molto sbrigativa (anche se spero non superficiale) ed la seguente : la realt concreta ti fa vedere o considerare gli uomini liberi; se dunque Dio c' (o anche se non ci fosse), la prima evidenza quella di constatare comunque che gli uomini sono liberi. Se poi ammettiamo che Dio ci sia e che sia onnipotente, beh, anche in questo caso non vedo delle difficolt nell'ammettere comunque la libert umana. Anche perch, con un ragionamento che mi pare semplice, solo se Dio Dio, e cio solo se Dio onnipotente, pu aver creato qualcosa e in particolare pu aver creato degli uomini liberi, che lo possono contestare o rifiutare (il peccato non implica forse la libert?) , altrimenti avrebbe potuto creare solo degli automi, delle macchine, dei robot, pi o meno ben fatti ma pur sempre automi. Se poi volessimo entrare in ambito teologico, se Dio ci ha creati "a sua immagine e somiglianza" come dice la Bibbia (cfr. Genesi ,1,26-27), ci non implica forse da un lato l'onnipotenza divina e dall'altra la libert umana? Di quale altra citazione avremmo bisogno per affermare che siamo stati creati liberi e destinati ad un destino soprannaturale? Questo mi fa venire in mente che un'altra definizione ovvero caratteristica della libert consiste nell'essere in grado di compiere degli atti virtuosi gratuiti (di amore, generosit, compassione, altruismo e simili). Ecco, in altre parole, come si pu ulteriormente manifestare (non oso dire dimostrare ) la nostra libert : quando agisco secondo parametri del tutto nuovi, originali, imprevisti che non solo sono inaspettati ma hanno anche un altissimo valore morale, ebbene, allora io sono veramente libero! Non mi sento forse pi leggero, gioioso, soddisfatto interiormente ? Non mi sento forse liberato da una sorta di peso? Sono tutti indizi che implicano l'autentica libert della nostra azione. In conclusione, se siamo gi liberi, possiamo per diventarlo sempre pi. La libert, a quanto pare, non qualcosa che ci data una volta per tutte ma qualcosa che possiamo aumentare o diminuire. "Diventa sempre pi libero!": ecco quello che ci pu suggerire una morale molto spicciola. Si basi : tutt'altro che facile perch siamo troppo attaccati alle nostre opinioni (mentre molte volte le opinioni personali non sono altro che le opinioni altrui che abbiamo fatto nostre per pigrizia), alle nostre convinzioni, alle nostre manie, alle nostre abitudini. Il primo passo del cammino filosofico (lo diceva gi Socrate) consiste nello sbarazzarci da tutti i nostri pregiudizi, da tutte le opinioni non motivate, da tutte le idee non vere, da tutte le nostre paure (sono cos tante!). Eppure molti preferiscono non essere liberi perch pi comodo crogiolarsi nelle superficiali certezze in cui viviamo piuttosto che scoprire la verit Per si continua a non vivere bene, e dunque ? Quando avremo il coraggio di buttare la maschera (quello il vero coraggio!), di
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vincere le paure fatte di nulla, allora potremo finalmente cominciare la nostra liberazione interiore : quella s sar l'avventura senza fine, la vera storia infinita !
BIBLIOGRAFIA Sul problema della libert bisognerebbe citare tutte le opere dei filosofi presenti e passati, poich uno di quei temi eterni che stato affrontato da molteplici prospettive. Mi limiter dunque a citare alcuni libri che possono favorire una riflessione personale. PAREYSON, Ontologia della libert, edizioni Einaudi . AA.VV., Libert , Piccola Biblioteca Millelire/Stampa Alternativa. JONAS, Il principio responsabilit , edizioni Einaudi. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz , ediz. Il Melangolo.
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6. IL FONDAMENTO DELLA MORALE C un fondamento della morale ? La morale ha un fondamento? La questione, espressa in questi termini, potrebbe non dirci nulla ma in realt importantissima sia per la nostra vita quotidiana sia per lavvenire della stessa umanit. Potremmo anche esporla in questo modo : il bene e il male sono valori assoluti o relativi? Perch devo fare il bene piuttosto che il male? Che cosa sono il bene e il male? Forse cos le domande sono un po pi comprensibili e indicano subito limportanza della questione. Facciamo tutti esperienza della difficolt di decidere come agire, soprattutto in circostanze particolari, quando, da ci che faremo, dipenderanno conseguenze rilevanti per noi e per gli altri. Facciamo tutti esperienza dellindecisione o della vera e propria crisi di cui siamo preda quando il nostro animo tentenna tra diverse possibilit di azione, perch sentiamo la responsabilit di ci che accadr in seguito alla nostra decisione. Un bivio si presenta ad ogni momento dinanzi alluomo : difficile che sappia esattamente dove vuole o dove deve andare. In pi, non possiamo rimanere indecisi per molto e ogni nostra scelta radicalmente nostra, ci impegna totalmente. In questi casi cerchiamo di legare le nostre scelte a qualcosa che ci dia una indicazione : possiamo ad esempio seguire i dettami di una religione; possiamo affidarci alla societ e/o alla cultura di cui siamo parte per seguire quello che fanno gli altri; possiamo seguire la nostra coscienza. Insomma, siamo comunque sempre alla ricerca di un fondamento che valga il pi possibile per tutti. Ma dove trovarlo ? Cominciamo col dire che nella realt quotidiana, concretamente, noi compiamo moltissime scelte e moltissime azioni. Nella stragrande maggioranza dei casi, quel che facciamo non dovuto ad una riflessione ponderata bens a tantissimi altri moventi : abitudini, desideri, ordini eccetera. In tutti questi casi, parlare di moralit sembrerebbe ridicolo e forse lo veramente per, se teniamo conto delle conseguenze, per quanto banali possano sembrare, delle nostre azioni, vedremo subito che tutti o quasi i nostri comportamenti implicano una dimensione che possiamo definire morale. Prendete ad esempio lattraversare la strada : il semplice fatto di fare attenzione (o di non farla) per passare da una parte allaltra della via, ha come conseguenza levitare di finire allospedale o di mandarci qualcuno. Altri esempio : svegliarci (o non svegliarci) per tempo ogni mattina implica la puntualit sul lavoro, il rispetto degli altri famigliari, il prendere la coincidenza in orario eccetera. Sono due esempi, se si vuole banali, ma che indicano come sia inevitabile seguire un principio etico piuttosto che un altro. Non so se questo implichi il fatto che come sostengono alcuni vi sono delle leggi a priori, dei valori assoluti. Molto concretamente, noi ci comportiamo come se seguissimo delle regole, ed quello che conta : che poi esse siano storicamente determinate o relative alla situazione in cui mi trovo o che, allopposto, dipendano da qualcosaltro considerato assoluto, io so soltanto che mi trovo nella impellente necessit di agire e, spesso e volentieri, nulla mi parla, per cui devo comunque e sempre decidere io e nessun altro al posto mio. Insomma, che lo voglia o no, io seguo delle regole di un gioco che la vita stessa. Nessun essere umano (e nessuna societ) potrebbe sopravvivere senza regole (gi Platone diceva che anche una banda di briganti deve reggersi in base a norme, se vuole fare qualcosa). Detto in altri termini, nessun essere umano potrebbe venire alla luce, sopravvivere e crescere se non gli altri e con gli altri (Nessun uomo un isola, diceva il poeta John Donne). Ogni tipo di attivit e di comportamento implica sempre una relazione con gli altri. Questa relazione , di fatto, disciplinata da norme, le quali valgono per me come per gli altri. Chi non le seguisse fuori dal gioco. In questultimo caso per non vale recalcitrare : vale il principio della reciprocit e cio Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Insomma, ci implica una parola molto importante e cio la responsabilit, responsabilit nei confronti di me stesso e degli altri. Ed una questione oziosa chiedersi: Ma esiste veramente la responsabilit?, perch, di fatto, anche se si potesse dimostrare inconfutabilmente che non esiste o non ha senso, tutti (io, gli altri, la societ) si comportano come se esistesse e questo mi basta per riconoscerla alla base della morale e del diritto. In altre parole, che lo si voglia o no (ripeto : 18
inutile recalcitrare, reclamare leccezione o la propria superiorit o indifferenza o rifiuto o disprezzo nei confronti di un simile discorso), siamo comunque considerati dagli altri responsabili di quello che facciamo o non facciamo e quindi dobbiamo tenere conto delle scelte che facciamo e delle conseguenze delle nostre azioni. Per me quindi non si tratta tanto di porsi delle domande pi o meno insidiose come ad esempio :Ma perch dovrei essere morale? Perch dovrei obbedire alle regole? Perch dovrei essere buono o fare bene quel che faccio?, che vorrebbero mettere in difficolt che colui che sostiene che le regole ci saranno sempre perch anche quando diciamo di non seguirle abbiamo in realt scelto la regola di non seguire nessuna regola ! No, per me si tratta di partire dal riconoscimento di quello che , e la realt concreta in cui viviamo ci dice ripeto per lennesima volta che noi esistiamo in mezzo agli altri, che agiamo secondo regole, che alcune cose sono ammesse ed altre proibite e chi trasgredisce ne subisce le conseguenze. ( Questo non vuol dire, si badi, che le stesse regole non possano essere criticate, modificate, corrette : anche in questo caso non si pu non riconoscere che sempre stato cos, visto che in ogni gruppo, dopo aver assunto delle regole, esse sono state in parte modificate nel corso del tempo). Allora il chiedere con aria di sfida: Ma perch dovrei seguire delle regole? Perch dovrei fare il bene? non mi sconvolge pi di tanto perch chi facesse simili domande si porrebbe subito al di fuori del gruppo a cui appartiene, il quale, per la propria sopravvivenza , costretto ad emarginare chi non si adegua alle sue regole. Quindi una prima risposta, molto brusca e cattiva ad una simile questione, potrebbe essere : Devi seguire delle regole, volente o nolente, perch altrimenti ti reprimo, ti escludo dal gruppo in cui sei vissuto finora, ti emargino dalla societ, ti chiudo in prigione. Fai un po tu!. Vi potrebbe per essere una seconda risposta allo stesso interrogativo, che molto importante per il nostro problema iniziale ed la seguente : Devi fare il bene perch cos facendo vivrai meglio, sarai pi felice e realizzato e lo saranno gli altri. E solo unapparenza credere che chi fa il male viva pi felice degli altri : in realt il piacere della trasgressione (intendo proprio il delinquente, non le ragazzate) effimero; la vita di chi malvagio non affatto tranquilla, c poi il rischio continuo di essere comunque preso dalla polizia, la scocciatura dei processi, della prigione, della eventualit di non morire di morte naturale no, no, troppe grane, troppe seccature a fare il delinquente, meglio una banale vita qualunque A parte il tono scherzoso, quel che voglio dire che la vera felicit, lautentica realizzazione di noi stessi solo possibile insieme agli altri e tenendo conto degli altri. E cos : dobbiamo riconoscerlo, ci piaccia o no ! Insomma, nonostante le apparenze, i veri falliti, in tutti i sensi, sono proprio i delinquenti e non la gente comune, la quale non far mai grandi cose, non sar ricordata nelle enciclopedie ma permette comunque lesistenza stessa dei delinquenti (che sono sempre e comunque la minoranza) poich, per definizione, una societ di delinquenti, malvagi e simili non resisterebbe una sola giornata! E solo perch la maggior parte rispetta le regole, anche controvoglia, che vi possono essere alcuni trasgressori, e dunque la societ ha tutte le ragioni, quando si sente minacciata nella propria sopravvivenza, a porre un freno nei confronti di chi delinque e non rispetta certe regole. Ma allora la morale dipende dallo Stato? Si dovrebbe forse chiedere allo Stato di farsi paladino della morale? Io credo e spero di no. Mi spiego. Se lo Stato fosse il garante della morale, ogni azione o intenzione diversa dal comune sentimento morale (difficilissimo per altro da stabilire) dovrebbe essere considerata reato. Non dobbiamo confondere lambito del diritto con quello della morale. Nel primo caso lo Stato ha certo il dovere di legiferare e di comminare sanzioni; nel secondo caso, si tratta invece di salvaguardare e di riconoscere la sfera specifica della moralit, che quella della scelta libera e responsabile, di ci, in pratica, che tradizionalmente viene chiamata coscienza. Ad esempio i vizi capitali (lavarizia, lira ecc.) non sono dei reati che lo Stato possa punire di per s; ma diventano reati le azioni a cui essi possono condurre ai danni di altre persone, ed in questo caso che lo Stato pu e deve intervenire. Ma allora, c o non c un fondamento della morale? Ritorniamo cos alla nostra domanda iniziale. A questo punto potrei cercare di rispondere. Secondo me non si tratta tanto di cercare o trovare un 19
fondamento pi o meno astratto della morale quanto piuttosto di riconoscere se c gi qualcosa che potremmo considerare il fondamento morale di ogni nostra azione. Ebbene, io ritengo che questo fondamento ci sia e sia anche immediatamente riconoscibile : si tratta della salvaguardia dellessere. Questa la constatazione da cui parto, questo quanto non posso non riconoscere : lumanit c, presente su questo pianeta da parecchio tempo. Il fatto che noi ci siamo implica che lumanit nel suo complesso ha scelto di vivere e di continuare a farlo; gli uomini, in altre parole, hanno preferito lessere al non-essere, la vita (per quanto grama possa essere) alla morte. Forse non sappiamo bene perch ma sappiamo che gli esseri umani continuano a scegliere la vita alla distruzione, al nulla. Dunque in questi esseri che si sono autodefiniti uomini sembra prevalere il desiderio di vivere. A questo riguardo, permettetemi di dire che io non me la sento di definire luomo, filosoficamente, come egoista o altruista per natura, oppure che tenda per natura alla felicit o al bene o allutile o a Dio eccetera. Ritengo che tutti o alcuni di quegli aspetti possano essere presenti nei nostri comportamenti e che quindi nessuno in particolare possa essere considerato pi esclusivo o assoluto o esaustivo degli altri. Io mi sono imposto come regola metodologica di partire dallosservazione di quanto mi circonda e ci mi porta a dire che ogni persona su questo pianeta persegue, in fondo, la pace e la tranquillit del vivere. Anche in questo caso, pensate ai cosiddetti delinquenti : non mi direte che vogliono continuare a fare del male 24 ore su 24 per 80 anni di seguito, no? Ogni tanto dormiranno anche loro, no? Per cui, anche conquistassero luniverso, che farebbero, dopo ? Si riposerebbero, si darebbero una calmata perch capirebbero, finalmente, che, oltre al piacere del fare e del non fare, c un piacere ancora pi grande, che il puro piacere dellesistere, del gioire del fatto di essere vivi. In conclusione, il fondamento della morale, il valore a cui ci riferiamo costantemente, che ne siamo o no consapevoli, , secondo me, la salvaguardia dellessere, cio la sopravvivenza della specie umana e della vita in generale. Il che implica e oggi ne siamo tragicamente consapevoli il rispetto dellambiente ed in generale il rispetto dellaltro perch noi siamo laltro. Si badi : al di l di unetica della reciprocit, , auspicherei unetica della dignit e della responsabilit verso ogni essere umano e vivente in genere, secondo un principio che potrei chiamare della intersoggettivit perch non solo io devo riconoscere di essere responsabile ma voglio esserlo nei confronti di me stesso e degli altri. Da questo punto di vista, la massima che potrebbe essere la guida nei miei comportamenti potrebbe essere cos formulata :Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di unautentica vita umana sulla terra. In altri termini, noi potremmo anche mettere a repentaglio la nostra vita ma non possiamo mettere a repentaglio la vita degli altri. Noi non abbiamo il diritto di scegliere o di rischiare il non-essere delle generazioni future in vista dellessere di quelle attuali. Dunque il fondamento della morale quello di esistere e di continuare ad esserci. Si badi : primario il fatto che gli uomini gi ci sono e gi agiscono : nelluomo il dover-essere deriva dal suo esserci-gi ! Noi dobbiamo semplicemente riconoscerlo e trarne le conseguenze : ecco il nostro compito per loggi e per il futuro. In altri termini, io creo ed ho sempre creato (almeno finora) il diritto di poter venire allessere e di continuare ad esistere. Io mi voglio responsabile della vita futura anche degli altri, visto che, chi non esiste, non ha alcun diritto. Visto che gli altri mi hanno dato lesistenza e mi hanno fatto vivere, con quale criterio, se non del tutto arbitrario, potrei dire che gli altri non possono e non debbono vivere o continuare a farlo ? Gli esseri devono vivere e continuare a vivere : questo potrebbe essere il comandamento fondamentale. Che poi cerchino di vivere bene beh, potrebbe essere il secondo. Il che potrebbe gi bastare per una morale che si volesse universale, no ? BIBLIOGRAFIA Cito solo un paio di titoli (altrimenti dovrei riempire pagine su pagine) che mi hanno offerto degli spunti : ABBAGNANO, Fra il tutto e il nulla, Rizzoli JONAS, Il principio responsabilit , Einaudi 20
7. LA PAURA E LANGOSCIA
Noi viviamo molto spesso di paure: nei confronti del domani, dell'ignoto, di un fatto che temiamo. Tali paure a volte possono essere collettive: la paura della fine del mondo, di una catastrofe nucleare o ecologica ecc. Per non parlare della paura vissuta proprio come clima che si respira giorno per giorno, ad es. in una societ totalitaria (si pensi alle condizioni di vita durante il periodo nazista o stalinista o fascista) oppure nel mondo della delinquenza (la paura fa da padrona nel mondo del crimine giacch si diventa dei boss solo incutendo terrore agli altri e minacciando di violenza ...). come si vede, la paura un'emozione molto comune, anzi tipica non solo degli uomini ma anche degli animali, per cui ... non si vede che cosa ci sia da dire per suscitare una qualche riflessione. Eppure ... proprio da un punto di vista filosofico la paura e l'angoscia sono state esaminate fin dall'antichit. Ricorder solo due nomi: Epicuro e Kierkegaard. Il primo fond anzi buona parte della sua filosofia proprio sul tentativo di far superare all'uomo le sue paure (specialmente quella verso gli di e quella della morte) affinch potesse vivere libero e felice. Il secondo ci ha lasciato stupende riflessioni sul concetto dell'angoscia che sono state riprese persino a livello psichiatrico. A parte ci, cosa possiamo dirne in generale? Innanzitutto si potrebbe sottolineare il fatto che la paura una emozione di difesa, ed provocata da un pericolo reale o immaginato. Tale definizione (tratta dal Dizionario di psicologia di U. Galimberti, ed. Utet 1992) ci dice che la paura sempre paura di qualche cosa, di un "oggetto" particolare, ed comunque una reazione naturale di difesa, e quindi ... guai se non ci fosse, guai se non provassimo mai paura (saremmo temerari, degli imprudenti e anche degli sciocchi ... perch non terremmo conto del pericolo che ci sovrasta ... e dunque rischieremmo stupidamente la vita!). insomma, un po' di paura salutare e ci d anche ... la giusta carica (pensate ai momenti prima di un esame) per affrontare una situazione delicata; inoltre ci d delle indicazioni morali non di poco conto: ci dice di essere prudenti e, come si sa, la prudenza una delle virt. Per dirla con una battuta, se vuoi essere felice, ogni tanto devi provare un po' di paura! L'angoscia invece non ha un oggetto specifico ma designa uno stato emotivo che tipico solo dell'uomo: io provo l'angoscia quando mi rendo conto che la mia vita una serie continua di possibilit diverse che - ed questo l'importante - possono in ogni istante cambiare e dunque trasformare radicalmente la mia esistenza. Chi mi vieta, infatti, in un qualunque momento, di modificare quanto ho appena fatto, di mutare drasticamente la mia vita? Chi mi pu vietare - per fare un esempio estremo - di fare una strage, di uccidere e uccidermi, di fare "pazzie" e simili? A volte solo la pigrizia, per, se volessimo e ci intestardissimo ... ecco, l'angoscia appunto prendere consapevolezza che, in ogni istante della nostra vita, noi possiamo negare la scelta appena fatta e ci ... ci provoca appunto l'angoscia. Ma se cos, l'angoscia non dobbiamo cercare di superarla o negarla, al contrario, dobbiamo farla nostra, accettarla e viverla come condizione esistenziale inevitabile della nostra vita. Anzi, oserei dire che se non vivessimo l'angoscia, se non l'avessimo mai provata, ci vorrebbe dire che forse non abbiamo ancora riflettuto abbastanza sulla condizione umana. Ma c' di pi: le ansie, gli spaventi, le fobie che possiamo provare non sono altro che i sintomi della paura o della angoscia, mascherati da malesseri medici. In altri termini, tutte le nostre paure (usando il termine in senso generale) non sono altro che sintomi del nostro disagio esistenziale, della nostra paura di vivere. E la nostra paura di vivere tale perch ... finora siamo sempre fuggiti da noi stessi, non abbiamo avuto tempo per fermarci un po' a riflettere, a venire in chiaro di quello che siamo, e ci siamo storditi in mille attivit pur di non pensare ( il divertissement di cui parla Pascal nei Pensieri). Noi abbiamo grandi paure, come la paura della morte e la paura di non riuscire a dare un senso alla nostra vita. Nel primo caso la paura della morte non si riferisce tanto alla morte in s (di cui non abbiamo esperienza) ma in realt la paura dell'aldil, la paura di essere giudicati e di conseguenza 21
puniti. Il secondo caso la paura di ... aver sprecato la propria vita, la paura di non aver fatto nulla di valido o di aver fatto troppo poco. Comunque sia, tutto ci indice di quel disagio esistenziale di cui dicevo prima. Insomma, la cosa pi importante per l'uomo, quella da farsi prima di tutte le altre, la cosa da non rimandare ... la conoscenza di se stesso. Solo nella misura in cui riusciremo a riflettere un po' su noi stessi, riusciremo a vivere meglio. L'origine di tanti malesseri, depressioni, stress, fobie ecc. proprio l, nella mancata conoscenza di noi stessi. Abbiamo tutti sotto gli occhi i casi di persone ricche, di successo, indaffaratissime eppure infelicissime e piene di paure ... perch rifuggono da loro stesse; sono debolissime interiormente perch non conoscono chi sono e non sanno che cosa vale veramente ... sono da compatire, non da invidiare! E invece i mass media ce li additano come modelli di vita da imitare. Che stupidaggine! Del resto la nostra non forse una societ malata, alienata e infelice? Ma lo solamente perch ... ha dimenticato di ricercare la saggezza ed ha capovolto i veri valori, mettendo al primo posto quelli illusori e temporanei invece di quelli che sono essenziali e che tutti possiamo perseguire (ricchi o poveri, giovani o vecchi) quali la libert, la verit, l'amore, la pace, la tolleranza, il rispetto ecc. ecc. ecc. Una societ sana e i cui membri non hanno paura quella ricca ... di spirito e non di cose!
BIBLIOGRAFIA EPICURO, Lettera sulla felicit (a Meneceo), Stampa Alternativa o BUR ecc. KIERKEGAARD, Il concetto dell'angoscia, BIT o Sansoni PASCAL, Pensieri, BIT o Newton Compton o Mondadori o Einaudi ecc.
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8. LA RICERCA DELLA FELICITA La parola felicit indica in generale uno stato di pienezza di vita che luomo vorrebbe sperimentale speso e volentieri. Ho detto apposta pienezza di vita perch la cosiddette felicit implica diversi aspetti. Gi Aristotele diceva che, per essere felici, non dobbiamo avere n preoccupazioni fisiche, n spirituali, n materiali dato che anche una piccolezza pu contribuire a renderci felici o infelici (cfr. Etica nicomachea , A, 8, 1099 b). pensate ad una piccola spina in un dito : potremmo essere gli uomini pi ricchi e potenti del mondo, ma in quel momento lunica nostra preoccupazione liberarci al pi presto da quel fastidio, no ? Non dobbiamo dunque confondere la felicit con i diversi stati danimo che proviamo in una qualunque giornata. La felicit qualcosa di diverso dalla allegria, dalla gioia, dal piacere (come pure dalla tristezza, dalla malinconia, dalle arrabbiature e simili). Diciamo per subito che il tipo di felicit a cui luomo pu aspirare su questa Terra una felicit parziale, temporanea, limitata. Ogni altro tipo di felicit che ci venisse prospettata un inganno ! Se ci rendessimo conto che non ci vuole molto per essere felici e che tale condizione naturalmente temporanea, da un lato la smetteremmo di cercarla ad esempio in esperienze che tentano di superare i limiti delluomo, e dallaltro la vivremmo in un modo pi soddisfacente perch la apprezzeremmo per quello che e non la confonderemmo con altro. In breve, noi possiamo essere certamente felici ma senza illudersi che possa durare per sempre. Approfondiamo un po di pi la questione. Io ritengo, molto concretamente, che la felicit come pienezza di vita possa esistere ma essa data alluomo solo per breve tempo. Il che non mi sembra n scandaloso n inaccettabile e non mi fa neppure esclamare ma allora non vera felicit!. Si tratta piuttosto di riconoscere e di accettare quello che noi uomini siamo, e cio degli esseri finiti che rifuggono naturalmente, fisiologicamente dagli eccessi . troppa gioia o troppo dolore, troppo cibo o troppo piacere, troppa fatica o troppo ozio ecc. ci sono comunque insopportabili. Ecco perch, da che mondo mondo, tutte le morali hanno sempre messo in guardia luomo da ogni tipo di eccesso. In altri termini, la morale ti dice :Se vuoi essere felice devi in primo luogo conoscere quello che sei. Visto che sei un uomo e non Dio, devi accettare di avere dei limiti, dunque la tua felicit non potr essere n quella di un Dio n quella di un animale; la felicit a cui puoi aspirare perci solo parziale, temporanea, limitata, condizionata ma non per questo meno bella o soddisfacente. Insomma - sembra dirci la morale se ti va, bene, ed allora potrai goderti le occasioni di felicit che ti capiteranno; se non ti va, e cio non vuoi accettare quel che ti consiglio, fatti tuoi, vivrai insoddisfatto e molto peggio di altri che hanno invece saputo fruire completamente delle occasioni di felicit che si sono presentate. E si badi bene : non si tratta neppure di sapersi accontentare nel senso di cercare di sopportare pi o meno con malanimo le vicende della vita. Direi anzi che luomo tale proprio perch non si mai accontentato di quello che era ma ha sempre cercato di modificare la propria condizione, perennemente proteso come verso il futuro, in tensione continua e alla ricerca di qualcosaltro. Si tratta invece dalla contentezza che deriva dalla conoscenza di noi stessi, come dicevo prima. Per essere felici bisogna anzitutto sapere chi siamo e cosa possiamo fare per esserlo pienamente. La prima evidenza appunto questa : tu sei un uomo e quindi non devi confonderti con altro e non devi cercare di diventare qualcosa di diverso. La vecchia massima Diventa ci che sei pur sempre valida. Perci la felicit che ti spetta sar una felicit a misura duomo. Ed perfettamente inutile oltre che stupido recriminare. Contro chi poi? Se dici di avere il desiderio di una felicit perfetta, eterna, continua, completa, devi solo riflettere su che cosa significherebbe un tal modo di dire. Vorresti forse godere 24 ore su 24 di tutti i piaceri e di tutte le soddisfazioni della vita ? Prova a farlo, ma non resisteresti pi di qualche giorno e poi moriresti stanco ma felice? NO, stanco e comunque insoddisfatto ! Vorresti allora fare continuamente delle azioni eroiche e straordinarie ? Ma anche gli eroi, santi, i potenti ogni tanto riposano! Come si pu vedere, una felicit immaginata in questo modo non esiste ed comunque irrealizzabile da parte delluomo almeno in questa vita. Non per nulla, per chi credente, la piena felicit, la vita eterna, rimandata nellaldil. 23
Attenzione, per ! E inutile voler fantasticare come sar. O meglio, possiamo anche fantasticare quanto vogliamo per ritengo di poter affermare che essa sar diversissima dalla nostra condizione terrena perch, se ci sar, sar un dono soprannaturale e dunque tale che esula dalle nostre pi elevate capacit di comprensione. S. Paolo ci ha avvisato in tempo :Quelle cose che occhio non vide, n orecchio ud, n mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano(1 Corinti, 2, 9) . Ripeto ancora una volta : per me la felicit certo vivibile ma non per troppo tempo. Ed in effetti, come trascorriamo la maggior parte dei nostri giorni? Ritengo che non ci definiremmo, in generale, n felici n infelici. Siamo in una condizione in cui si alternano momenti di allegria ad altri di preoccupazioni varie, per, insomma, come si dice, tiriamo avanti. Dunque potremmo anche fare a meno di una felicit come pienezza di vita, anzi, a ben vedere, ne facciamo quasi sempre a meno, visto che a ben pochi dato di affermare :Ho avuto una bella vita, ho fatto tutto quello che volevo fare, non ho rimpianti n posso rimproverarmi nulla. Credo invece che lesperienza comune ci faccia dire proprio il contrario :Ho avuto una vita cos cos, avrei potuto far meglio, ho avuto qualche soddisfazione, avrei voluto fare altro . Insomma, la maggior parte delle vite umane (se non tutte, in fondo in fondo) devono riconoscere il profondo divario tra i desideri e la realt. Nonostante questo, per, io credo che non dovremmo rammaricarcene pi di tanto. Se la vita umana ci pare ben poca cosa, ebbene, potremmo cercare di vivere il meglio possibile il tempo che ci concesso. Visto che siamo qui, sfruttiamo questa occasione, no? E per quel che riguarda la felicit, forse il suo presunto segreto tutto qui : non cercarla apposta, e soprattutto non cercarla per pretendere di possederla. Saremo felici, invece, nella misura in cui avremo fatto un po felici non tanto noi stessi ma gli altri. Se sareo riusciti, qualche volta, a rendere un po felice qualcun altro, beh, ci accorgeremo di essere felici anche noi ed avremo forse risolto lannoso mistero della felicit.
BIBLIOGRAFIA EPICURO, Lettera a Meneceo o Lettera sulla felicit, ed. Stampa Alternativa/Millelire RUSSELL, La conquista della felicit, Biblioteca Longanesi SCHOPENHAUER, Larte di essere felici, Adelphi
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Per illustrare le ragioni che motivano l'adesione di una persona ad una particolare religione, mi limiter all'ebraismo e al cristianesimo visto che noi viviamo in un contesto occidentale. Esporr tre tesi che vengono ritenute, in ambito ebraico-cristiano, particolarmente fondate per giustificare l'adesione a tali religioni.(cfr.TRESMONTANT,L'intelligenza di fronte a Dio, e anche Cristianesimo filosofia scienze, entrambi nelle edizioni Jaca Book). 1. L'esistenza del mondo o almeno di noi stessi esige l'esistenza di Dio Nella nostra esperienza quotidiana un'erba che spunta, una creatura che concepita e che nasce, la vita che appare ad un certo momento, tutto questo costituisce la manifestazione di una continua creazione, dove qualcosa di nuovo appare continuamente, cio qualcosa che prima non esisteva. Quando poi riflettiamo su noi stessi, dobbiamo riconoscere che non siamo noi gli autori della nostra esistenza e tanto meno della nostra condizione mortale. La nostra esistenza, il nostro corpo, la nostra "anima" sono per noi una sorpresa e un oggetto inesauribile di stupore. Noi siamo mistero a noi stessi. L'universo, come noi stessi, incapace di rendere ragione della propria esistenza. Esiste, un fatto, ma un fatto che non ha una giustificazione in s. Ma un essere che non vive se non grazie ad un altro essere, dipendente. Un altro dunque la sorgente della mia vita. La mia vita ha dunque il proprio fondamento fuori di se stessa, e cio ha il suo fondamento in Dio. Non solo : non solamente si deve dar ragione dell'universo in quanto oggetto esistente, ma bisogna anche dar ragione dell'universo in quanto diversificazione, struttura, qualit, natura . L'universo attuale infatti diverso dall'universo di milioni di anni fa. Inoltre il mondo non si evolve verso un senso qualunque, ma verso una struttura complessa, verso la vita, verso la coscienza e chiss verso che altro ancora. Anche in questo caso, la direzione verso cui va l'universo e l'ordine in esso presente non possono essere casuali e implicano dunque l'esistenza di chi chiamiamo Dio. E, a proposito del caso, la formazione dell'universo non pu essere stata casuale : le scienze ci dicono che il Big Bang risale a 15-20 miliardi di anni fa e in questo periodo di tempo, statisticamente, se fosse stato il caso a produrre il mondo, una struttura come il corpo umano si sarebbe realizzata , a caso, molto meno di una volta ogni 10 308670 miliardi di anni! Quella struttura durerebbe poi un solo secondo! (G.BLANDINO, I massimi problemi dell'essere, edizioni Paoline, 209). Non si dimentichi inoltre che il fenomeno causale ideale sarebbe caratterizzato dalle equiprobabilit delle singole possibilit : il che significa che la formazione casuale graduale non sarebbe stata pi probabile della formazione casuale improvvisa ed in pi, nella ipotesi casuale, il fenomeno della selezione naturale non avrebbe avuto alcun influsso! Insomma, l'estrema improbabilit se non impossibilit della formazione casuale della vita fa appunto scartare l'ipotesi del caso e permette di introdurre l'ipotesi di Dio. 2. La presenza del popolo ebraico nella storia ci porta a riconoscere l'esistenza di Dio Il 43% della popolazione mondiale si proclama "figlia di Abramo"! Ebrei, cristiani, musulmani sono tutti discendenti da un nomade che 4000 anni fa lasci tutto per seguire la voce del suo Dio! La Bibbia ,che racconta le sue vicende e tanto altro ancora il libro sacro di miliardi di persone ed il best-seller in assoluto nella storia del libro! Sono due dati che ci possono far per lo meno riflettere. Il popolo ebraico infatti un paradosso storico : Israele il solo popolo che abbia superato il dissolvimento del mondo antico, conservando intatta la sua identit. Dove sono infatti assiri e babilonesi, etruschi e fenici, gli stessi greci e romani? Israele proprio un mistero per lo storico. Da dove viene il suo rigoroso monoteismo, mentre tutte le religioni antiche sono politeiste? Da dove viene il primato di Israele nella religione e la sua palese inferiorit in tutti gli altri campi ? Israele si distingue da tutti gli altri popoli antichi per questa esperienza : l'Assoluto un essere personale che intrattiene con Israele relazioni di tipo personale. E' un Dio unico, universale e non locale, morale perch vuole santit e giustizia. Israele acquista consapevolezza di essere stato creato specificamente per realizzare un compito : essere segno della presenza di Dio nel mondo! Il Dio che 25
si rivela a Israele , come abbiamo gi detto, personale e creatore; un Dio libero che amore, ma non di un amore sentimentale bens molto esigente : Egli esige che l'uomo faccia propria la Sua carit creatrice, che divenga cio cooperatore di Dio nel mondo e nella storia. L'amore esigente di Dio non tollera che l'uomo scenda al di sotto della sua vocazione. E' ci che vuol dire la Bibbia quando ci dice che Dio un Dio geloso : Dio non vuole che ci accontentiamo delle piccole briciole di un destino da larva! A ci si potrebbe obiettare : troppo bello per essere vero! La fede invece afferma : proprio cos, per una volta troppo bello ed vero! E' vero, ed bello sapere che Dio esiste, che noi siamo destinati alla vita eterna, che il bene vincitore e che l'amore lo scopo pi alto della vita ! Chi non volesse accettare questo destino soprannaturale perch ne ha paura e gli sembra talmente inconcepibile che non se la sente di abbandonare le sue certezze terrene (ma vi sono certezze terrene?) per abbandonarsi con fiducia ad un Dio che amore, che va alla ricerca dell'uomo ma che viene molto spesso rifiutato. Dio , come dice Andr Frossard, "un amore escluso dalla propria creazione"! (cfr. C' un altro mondo ,ed. SEI, p. 89). 3. La figura di Ges ci porta a riconoscere che l'Assoluto si manifestato pienamente nell'uomo Ges di Nazaret. Il cristianesimo un messaggio religioso che si basa su una affermazione storica ben precisa : noi testimoniamo che Ges risorto dai morti ! (come storica la fede ebraica : Dio ha parlato per mezzo dei profeti). Tale dichiarazione lo scandalo assoluto : nessun altro uomo, in tutta la storia dell'umanit , detto essere risorto dai morti ed essere identificato con Dio! Ed allora i casi sono purtroppo solo due : o la pi colossale menzogna della storia umana oppure dobbiamo riconoscere che successo per una volta qualcosa di talmente eccezionale che ci fa dire : perch no? Perch non potrebbe essere veramente successo? A questo riguardo, vi possono essere soltanto tre spiegazioni : 1) l'ipotesi critica, per cui Ges stato divinizzato dai suoi discepoli; 2) l'ipotesi mitica, per cui Ges non mai esistito, una leggenda, un mito appunto; 3) l'ipotesi della fede, per cui dobbiamo ammettere che Ges sia vero uomo e vero Dio.(cfr. MESSORI, Ipotesi su Ges, ed. SEI ). Obiezioni alla prima ipotesi : Come poteva Ges essere divinizzato dai suoi discepoli se l'ebraismo, di fronte alla adorazione di un uomo, grida allo scandalo? Eppure tutti i discepoli erano ebrei. Come poteva essere divinizzato se, nei 4000 anni di storia dell'ebraismo, non solo non mai avvenuto l'inspiegabile processo di divinizzazione operato per Ges, ma non neppure mai avvenuto che qualcuno dei discepoli dei tanti Messia che vi sono stati abbia mai pensato di equiparare il suo "Cristo" al Dio sommo! Quegli ebrei avrebbero immaginato ci che neppure il pi fanatico adulatore dell'imperatore arriv mai a dire : che cio questo Cristo era Dio "ancor prima della nascita" e che questa incarnazione giungeva dal ventre di una donna! Vi insomma una impossibilit culturale nella divinizzazione di un uomo in una societ come quella ebraica: mentre quegli ebrei proclamarono subito che Ges il Signore, equiparandolo quindi subito a YHWH ! Obiezioni alla seconda ipotesi : Come mai gli episodi narrati nei vangeli sarebbero leggendari mentre la cornice di quella "leggenda" si rivelata sempre pi esatta e storicamente documentata? Se all'inizio non c' una persona reale, dove sarebbe la scintilla che d origine al grande incendio cristiano? Un "mito" come quello evangelico avrebbe bisogno, per precisarsi, di una lunga serie di generazioni. Invece la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi fu composta verso l'anno 50, vicinissima dunque alla data della morte stessa di Ges (tra il 30 e il 36 d.C.) ! Tutto il contenuto fondamentale del cristianesimo gi "codificato" cos come noi lo conosciamo. Si noti che i manoscritti del Nuovo Tstamento sono i testi antichi meglio conservati ! Per fare un 26
paragone, si pensi che per Platone si lavora su manoscritti distanti 13 secoli dall'originale e per Eschilo si risale a 1500 anni! Si potrebbe obiettare che vi sono diverse discordanze che fanno dubitare della autenticit dei racconti evangelici. E' per una obiezione che non regge perch sono proprio le varianti presenti nei quattro racconti ufficiali che fanno pensare che all'origine ci sia una storia realmente accaduta e non inventata. La comunit cristiana primitiva fu "costretta" ad accettare quei quattro testi, e quelli soltanto, anche se imbarazzanti e scomodi. Un obbligo che poteva discendere solo dalla convinzione motivata che in quei testi erano conservati i ricordi dei testimoni pi attendibili. Ricordi talvolta contrastanti, persino confusi in alcuni punti ma, tra tutti, i pi aderenti ad una vicenda di cui molti erano stati testimoni. Cogliamo qui lo scrupolo della comunit primitiva di accordare fiducia solo a quei testimoni che giudica attendibili. I soli credibili perch (nel giudizio della comunit stessa) hanno visto o sentito di persona o hanno raccolto le deposizioni di testimoni diretti. E quanto ricordato e raccontato da questi supertestimoni considerato appunto come immodificabile, bloccato una volta per sempre. Si noti che nei Vangeli vi sempre il tono distaccato del cronista : soltanto i fatti, nudi e crudi. Manca ogni esaltazione. Anche i miracoli pi strepitosi sono raccontati senza nessuna enfasi, con la consueta semplicit. Allora, o li si accetta in blocco o si rifiuta tutto quanto! La terza ipotesi, quella della fede. Visto tutto quello che precede, si ritiene che sia tutto sommato pi ragionevole ammettere una misteriosa irruzione del divino in un punto della storia umana. E' l'ipotesi che, per quanto imbarazzante possa sembrare, spiega chi questo Ges di Nazaret, vissuto duemila anni fa in Israele! Infatti quel Ges fa delle cose che nessun altro uomo pu fare (guarisce i malati, calma le tempeste, resuscita i morti), insegna come uno che ha autorit ("vi stato detto, ma io vi dico"), rimette i peccati (cosa che solo Dio pu fare!); si dichiara "padrone del Sabato"(che per gli ebrei sacro!); infine si identifica con Dio stesso ("Prima che Abramo fosse, Io sono",Gv.,8,58; "Io e il Padre siamo una cosa sola",Gv.,10,30 e 10,38;"Allora il sommo sacerdote gli disse: 'Ti scongiuro, per il Dio vivente, perch ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio'. 'Tu l'hai detto', gli rispose Ges",Mt.,26,63-64). Vogliamo scandalizzarci? Facciamo pure. Ognuno di noi deve per rispondere, prima o poi, a questa tremenda domanda:"Voi, chi dite che io sia?"(Mt.,16,15). Ultima osservazione : di fronte alla croce di Ges, l'uomo che soffre capisce che anche il dolore ha un senso. Il Figlio di dio che soffre e muore ci d la sicurezza che, al di l del dolore, c' la gioia, al di l della morte c' la resurrezione. Cos solo nel cristianesimo il male trasformato nel mistero di una Onnipotenza che vicina alle sue creature. Potrei concludere con Andr Frossard :"Ma che ci posso fare, se il cristianesimo vero, se c' una verit, dr questa verit una persona che non vuole essere inconoscibile? "(Dio esiste,io L'ho incontrato, SEI,p.148).
BIBLIOGRAFIA GUITTON-BOGDANOV, Dio e la scienza, Saggi Tascabili 29 Bompiani MESSORI-BRAMBILLA, Qualche ragione per credere, Oscar Mondadori Bestsellers 934
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Il problema di Dio un problema specificamente umano. E' per l'uomo che Dio un problema, un mistero, una certezza, un dubbio, una negazione, una esperienza. E' solo l'uomo che si pone il problema di Dio, che tenta di risolverlo con le pi diverse soluzioni. Cos il problema di Dio inevitabile e, direi, squisitamente "esistenziale" nel senso che in esso ne va anche della vita umana, ne va anche del significato da dare alla nostra esistenza, implica anche una morale conseguente che determina il nostro atteggiamento nei confronti di noi stessi e degli altri. Ritengo che il problema di Dio sia uno di quelli appunto inevitabili perch prima o poi, direttamente o indirettamente, tutti gli uomini devono confrontarsi con esso. Anche coloro i quali dicono che, per essi, Dio non mai stato un problema (o perch il problema non sussiste, uno pseudo-problema perci privo di qualsiasi significato, o perch non hanno mai avuto dubbi o questioni a riguardo, non se lo sono mai posto), l'hanno comunque risolto, almeno indirettamente, e l'hanno risolto in modo negativo. Negare infatti che esista il problema - o un problema - gi aver dato una risposta allo stesso, affermando implicitamente che lo si risolto con la sua negazione. Direi anche che il problema di Dio uno di quelli ineliminabili perch se esso si pone alla mente umana, rester per ci stesso presente almeno finch vi sar una mente umana ,e quindi l'uomo non potr mai evitare di porselo almeno in quanto problema, come non potr evitare di affrontare tutti gli altri problemi, finch vi sar. Fatto questo preambolo, veniamo all'ateismo. Vi sono delle persone - vi sono sempre state - che ritengono che Dio non esista e che dicono di non fare riferimento, nella loro vita, ad un Essere personale, trascendente, creatore (questa potrebbe una definizione approssimativa di Dio ). Debbo precisare, a questo riguardo, che per me l'ateo colui che afferma che Dio non esiste e che motiva la sua posizione con varie argomentazioni. In altre parole, nelle pagine seguenti mi riferir ad atei dichiarati e quindi non prender in esame posizioni come il panteismo (Dio si identifica col mondo), lo scetticismo (dubito che ci sia un Dio) , l' agnosticismo (non conosco se Dio c' o non c') , il deismo (esiste un qualche essere supremo ma si rifiutano religioni rivelate, dogmi, culti) , e non mi occuper neppure delle concezioni orientali della divinit presenti nel Buddhismo, nellInduismo, nel Confucianesimo, nel Taoismo ecc. perch, in quest'ultimo caso, sono modi diversi di affrontare il problema di Dio, molto complessi e comunque "distanti" dalla nostra comune mentalit. Limitato cos il campo della mia indagine, comincer con l'illustrare sinteticamente lo sviluppo dell'ateismo in occidente. I primi "atei" li possiamo gi trovare nella Grecia antica (si noti, en passant , che l'ateismo in generale non pu essere legato alla sola concezione ebraico-cristiana di Dio per cui chi non avesse il concetto di Dio tipico di questa tradizione sarebbe un ateo!) . Diagora di Melo (5 sec. a.C.) e Teodoro di Cirene (4-3sec. a. C.) sono i primi nomi che incontriamo. Teodoro ad es. esortava tutti a rubare e a compiere sacrilegi giacch pensava che non vi fosse nessuna divinit che lo potesse fermare o punire che quello che avrebbe fatto. Nel caso di Diagora, si dice che fosse stato spinto all'ateismo nel vedere che gli di permettevano che fosse felice un uomo colpevole, a quanto pare, di avergli rubato un poema. Da queste poche righe, si pu gi vedere qual una delle cause pi profonde che portano all'ateismo : il vedere che la divinit non interviene quando viene commessa una ingiustizia ! Dunque si tratta dell'eterno problema del male. Infatti perch si viene portati , in generale, alla miscredenza ? Io ritengo essenzialmente ,oggi (e dico oggi perch non pretendo di estendere il mio parere su tutta la storia), per tre motivi, che vedremo comunque nelle pagine seguenti : lo scandalo e il non senso della morte o di certi tipi di morte, lo scandalo del male e della sofferenza, ed infine, in ambito pi specificamente cristiano-occidentale, a causa della incoerenza di certi uomini appartenenti alla Chiesa o della stessa istituzione ecclesiastica (quanti dicono : Cristo s ,Chiesa no!) . Direi che ce n' a sufficienza per mettere in questione la presenza di Dio nel mondo e i suoi rapporti con l'uomo. 28
Torniamo subito a quello che stavo dicendo prima : se Dio c', perch permette il male e la sofferenza? Si noti per che una tale questione se la potrebbe porre solo un credente e non un ateo. Un vero ateo non potrebbe ovviamente tirare in ballo Dio ma dovrebbe solamente prendere atto che Dio non c' e c' invece il male, spiegando quest'ultimo con, ad esempio, la malvagit umana o simili, senza far ricorso ad una divinit. A parte questo, si potrebbe anche dire che, visto che c' il male, non pu esserci Dio, ritenendo che l'esistenza di un Dio buono sia in contraddizione con la presenza del male nel mondo. Questa potrebbe essere una prova indiretta della non esistenza di Dio che, a proposito, molti pensatori atei hanno sostenuto (ad es. Schopenhauer). Eppure altri potrebbero dare una risposta esattamente opposta, e cio sostenere che Dio esiste proprio perch c' il male o, addirittura, arrivare alla posizione estremistica di chi sostiene che Dio c' ed il male! Non stupitevi! Questa concezione stata formulata nel Settecento dal "divin marchese" de Sade(1740-1814), il quale, nel romanzo Juliette (cfr. de Sade, Opere scelte,ed.Feltrinelli,oppure Opere complete, ed.Newton Compton) mette in bocca ad un personaggio, un certo Saint-Fond,l'idea che Dio esiste ma il male! "Giro gli occhi sull'universo e vedo il male, il disordine, il delitto regnarvi dovunque dispoticamente Convinto di tale premessa, io mi dico : esiste un Dio, una mano qualsiasi ha necessariamente creato tutto quanto vedo, ma essa l'ha creato soltanto per il male, essa si compiace soltanto del male; il male la sua essenza Ora, se il male, o almeno ci che chiamiamo tale, l'essenza del Dio che ha creato tutto, sia degli individui formati a sua immagine, come non esser certi che le conseguenze del male debbano essere eterne?". Nessun altro pensatore fino ad oggi si spinto a sostenere una tesi tanto radicale quanto quella descritta da Sade! Egli rappresenta il limite estremo di un pensiero che definirei per anti-teistico (cio contro Dio) pi che puramente ateistico. In effetti si potrebbe diventare atei per odio contro Dio o contro l'immagine che ci siamo fatti o che ci hanno trasmesso di Dio. Se infatti in Dio fosse sintetizzato tutto ci che vi di negativo, di malvagio, di brutto, non sarebbe naturale respingere tale idea? Dipende infatti dal concetto che abbiamo di Dio : se Dio fosse invece il bene supremo, la felicit somma, l'amore puro e assoluto, che ragioni avremmo di rifiutarlo? La summa dell'ateismo settecentesco la troviamo per in un'opera di Paul Henri Dietrich d'HOLBACH (1723-1789), il Sistema della natura (trad.it. UTET). In essa egli vi fa professione di un radicale materialismo (tutto materia, che esiste dall'eternit), di meccanicismo (tutti i fenomeni avvengono per cause necessarie, come negli ingranaggi di una macchina), di determinismo (la libert un'illusione, tutto dipende da cause precedenti, necessarie e immutabili), di razionalismo (esiste solo ci che spiegabile con la ragione, il resto sono favolette). D'Holbach sostiene inoltre che, se non esistesse il male nel mondo, l'uomo non avrebbe mai immaginato una divinit. "Fu quindi nella fabbrica della tristezza che l'uomo infelice form il fantasma di cui fece il suo Dio" ( Op.cit.,p.374). L'ignoranza dei fenomeni naturali ha fatto nascere gli di : il concetto di Dio non serve che a corrompere gli uomini. Dio un essere superfluo : il caso ha prodotto l'universo, che esiste da sempre. Bisogna aspettare l'Ottocento per trovare le grandi figure dell'ateismo moderno : citer tra loro solo Feuerbach, Marx, Nietzsche. Ludwig FEUERBACH (1804-1872) afferma che l'essere divino non altro che l'essere umano liberato dai limiti dell'individuo ed oggettivato. "L'uomo - questo il mistero della religione - proietta il proprio essere fuori di s e poi si fa oggetto di questo essere metamorfosato in soggetto, in persona"(cfr. L'essenza del cristianesimo, tr.it. Feltrinelli,p.50). Il sentimento di dipendenza dell'uomo il fondamento della religione: l'oggetto di questo sentimento di dipendenza per la natura e non un Dio. La credenza che Dio abbia un'esistenza indipendente da quella dell'uomo ha la sua radice nel fatto che in origine considerato come Dio l'ente che esiste fuori dell'uomo, cio il mondo, la natura. Tutte le propriet di Dio non sono altro che propriet astratte della natura. Nel volere, nel desiderare, nel rappresentare, l'uomo illimitato, onnipotente, Dio; ma nel potere, nell'ottenere, nella realt, l'uomo condizionato, dipendente, limitato. Il fine della religione togliere tale contrasto : e l'ente in cui le contraddizioni sono tolte Dio. Si trova Dio solo nella fede perch Dio non altro che l'essenza della fantasia e del cuore umano (cfr l'altra grande opera di F: che riassume il suo ateismo, L'essenza della religione ,tr.it. Laterza o Newton 29
Compton). Come si pu vedere da questi brevi cenni, la critica di F. pacata, priva di ogni antiteismo e anticlericalismo tipici di molti pensatori o di certi atteggiamenti anche odierni, ma radicale, va in profondit e vuole cogliere il "vero" motivo per cui un uomo crede in Dio. L'ateismo moderno, secondo F., vuole "solo riconoscere il senso e il motivo vero, il testo originale non falsificato della divinit e dell'immortalit o, che tutt'uno, della fede in esse - un riconoscimento attraverso cui la questione della loro esistenza si risolve da s"(cfr. Spiritualismo e materialismo tr.it. Laterza, p. 44). Karl MARX (1818-1883) ritiene l'ateismo un punto di partenza, non un punto di arrivo. Il comunismo naturalmente ateismo perch l'uomo deriva solo dall'uomo. "Per l'uomo socialista tutta la cosiddetta storia del mondo non altro che la generazione dell'uomo mediante il lavoro umano, null'altro che il divenire della natura per l'uomo, egli ha la prova evidente, irresistibile, della sua nascita mediante se stesso, del processo della sua origine (cfr. Manoscritti economico-filosofici del 1844, tr.it. Einaudi, p. 125). La religione quindi legata ad un particolare momento storico e sociale, una sovrastruttura che dipende dalla struttura economica della societ. La religione "il sospiro della creatura oppressa, il cuore di un mondo spietato l'oppio del popolo"(cfr. Per la critica della filosofia del diritto di Hegel.Introduzione,cfr. tr.it. in Kamenka, Il meglio di Marx, Oscar Mondadori p. 232). Dunque la religione per M. il prodotto di una umanit alienata e sofferente che cerca illusoriamente nell'aldil ci che le negato nell'aldiqua. Ma se la religione il sintomo di una condizione umana e sociale alienata, l'unico modo di eliminarla sar non la critica semplicemente filosofica (come M. rimprovera a Feuerbach) ma l'azione rivoluzionaria che instaurer il comunismo. In altre parole, se la religione "il frutto malato di una societ malata", l'unico modo di sradicarla sar quello di distruggere le strutture sociali che la producono, e cio il capitalismo e la propriet privata dei mezzi di produzione. Nella futura societ comunistica non vi sar neppure pi il bisogno religioso (giacch le condizioni di vita saranno diverse) e non avr pi senso parlare n di religione n di ateismo inteso come critica alla religione stessa. Anche per Friedrich NIETZSCHE (1844-1900) l'ateismo un punto di partenza, una cosa ovvia. "In me l'ateismo non n una conseguenza, n tanto meno un fatto nuovo : esiste in me per istinto. Sono troppo curioso, troppo incredulo, troppo insolente per accontentarmi di una risposta cos grossolana. Dio una risposta grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori; anzi, addirittura, non altro che un grossolano divieto contro di noi : non dovete pensare"(cfr. Ecce homo,tr.it. Adelphi, p. 35). Ogni religione - ed in particolare il cristianesimo - nata per N. dalla paura e dal bisogno e si fondata sugli errori della ragione. Il cristianesimo visto da N. come la forma pi pericolosa di una "volont di distruzione" ed il segno di stanchezza e di impoverimento della vita. "Dio morto!" ed l'uomo stesso che lo ha ucciso (cfr. La Gaia scienza, aforisma 125) perch in Dio era sintetizzato tutto ci che era contro la vita. N. confessa infatti di aver dichiarato guerra "all'anemico ideale cristiano" per "por fine alla sua tirannia e sgombrare il campo per nuovi ideali, per ideali pi robusti"(cfr. Frammenti postumi 1887). Abbiamo dunque in N. diverse motivazioni per giustificare il suo ateismo : dalla critica al concetto stesso di Dio visto come alienante e repressivo, alla proclamazione di un ateismo istintivo, naturale, direi "terapeutico" e "salutare", visto che Dio non pu mai essere la risposta definitiva. L'ateismo ha cos storicamente raggiunto la sua piena "maturit" poich pretende di essere l'unica posizione degna di una persona adulta e responsabile che vuole aiutare gli altri a liberarsi dalla illusione religiosa. Una posizione simile la troviamo in Sigmund FREUD(1856-1939) ,il quale, ne L'avvenire di un'illusione (cfr. Opere ,ediz. Boringhieri), sostiene che le rappresentazioni religiose sono delle illusioni ,appagamenti dei desideri pi antichi, pi forti, pi pressanti dell'umanit. La vita - dice F. - dura da sopportare con le privazioni derivanti dalla civilt e dalla natura. L'uomo, per proteggersi dalle forze naturali, le umanizza e d loro il carattere di padre, ne fa degli di. Tuttavia, con ci "non intendo dire che la religione sia necessariamente falsa". "Piuttosto, significa che tutte le credenze religiose sono indimostrabili e nessuno pu essere costretto a crederci; del resto, come sono indimostrabili, sono anche inconfutabili, e sappiamo ancora troppo poco a loro riguardo". Comunque F. non intende aderire a nessuna religione per lo meno perch "non riuscita a rendere 30
felici la maggioranza degli uomini". L'uomo adulto pu dunque fare a meno della religione. Distogliendo dall'aldil le sue speranze e concentrando sulla vita terrena tutte le sue forze, l'uomo riuscir probabilmente a rendere sopportabile la vita per tutti e la civilt non sar pi oppressiva per nessuno. Vorrei concludere questo panorama dell'ateismo occidentale citando un ultimo pensatore, il quale non un filosofo di professione bens un antropologo, il quale sostiene un ateismo di tipo particolare, che vale la pena di ricordare. Si tratta del famoso studioso francese Claude LEVISTRAUSS (1908-viv.), creatore della antropologia strutturale, che spiega nel modo seguente il problema di Dio :"Si tratta di un problema che non mi pongo, che non mi sono mai posto Per me, non vi mai stato problema". A parte la sua posizione, egli sostiene che il fenomeno religioso perfettamente spiegabile "nel senso che possediamo meccanismi intellettuali, cerebrali, imperfetti rispetto al compito cui devono assolvere Il sentimento religioso, e tutto il complesso di idee che si raccolgono attorno alla nozione di una divinit, mi sembra rappresentino quella specie di virtuale crogiolo nel quale si compirebbe la sintesi ultima : quella di cui proviamo il bisogno, ma che non riusciamo mai a portare a termine": Il problema di Dio un problema tra gli altri che sparir quando l'uomo non ci sar pi. "L' uomo non sempre esistito sulla faccia della terra verosimile che esso non esister per sempre. Quindi tutti i problemi che noi poniamo, un giorno non esisteranno pi perch non esister pi coscienza per porli". "Quel che noi chiamiamo uomo, quel che chiamo io sono solo fantasmi illusori di qualcosa che accade in un certo momento, in un certo luogo, e che domani non accadr pi : tutto ci non ha maggiore importanza del resto". Come si pu vedere, l'ateismo di Levi-Strauss non ha nulla di critico, non una posizione contraria alla religione in s : piuttosto , da un lato, la semplice assenza di interrogativi riguardanti il problema di Dio ("l'ateismo l'assenza di certi problemi, di certe domande, di certi interrogativi i credenti si pongono problemi che io non mi pongo"). Ma dall'altro indubbiamente qualcosa di molto pi radicale : non sussiste il problema del senso, del significato perch solo un problema posto dalla coscienza umana che un giorno non esister pi. Mai forse la negazione del problema di Dio stata cos estrema! Non si pu infatti neppure impostare il problema del senso perch esso solo "umano, troppo umano"(direbbe Nietzsche) ed negata alla radice la stessa individualit in cui poteva essere posto il problema di Dio. L'unica obiezione che gli si potrebbe fare : ma sar poi vero? Chi ci dice che l'uomo finir, che non esister pi coscienza per porre dei problemi? Ma cos dicendo entriamo gi in una prospettiva diversa, che implica una opzione o di fede o altro. Ultima annotazione: oggi sembra che non si parli volentieri di ateismo. Anche coloro che ritengono di definirsi non credenti, sono portati a chiamarsi laici perch il termine ateo sembra forse riduttivo o inesatto. Parlando in generale, ritengo che la maggior parte degli uomini d'oggi non siano n miscredenti convinti n credenti coerenti bens purtroppo indifferenti al problema religioso. Mi spiego meglio: credo che la maggior parte di noi si porti dietro qualche ricordo dell'educazione religiosa ricevuta da bambini e che dimostri la sua "religiosit" nelle tappe fondamentali della vita (nascite, matrimoni, morti);per il resto sono molto pochi coloro che si pongono il problema religioso indagando pi o meno approfonditamente il problema, il quale accantonato salvo in alcuni momenti critici (come malattie, disgrazie ecc.). Questo naturalmente non dimostra nulla n pro n contro la religione ed indica, per quanto riguarda l'ateismo vero e proprio, che ben pochi possono essere definiti veri atei, come ci ha fatto notare la storia, in cui le posizioni radicalmente atee sono in minoranza rispetto alla grande maggioranza dei pensatori che hanno affermato l'esistenza di una divinit, concepita comunque nei modi pi diversi.
BIBLIOGRAFIA Per le citazioni da Levi-Strauss, si veda CHABANIS, Dio esiste?No, rispondono, Mondadori TORNO, Senza Dio ?, ed. Mondadori.
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Quando sentiamo parlare di "omicidio" e di "suicidio" la nostra prima reazione forse di netto rifiuto: lungi da noi anche solo l'idea di poter commettere simili abomini! Eppure, se riflettiamo un poco, potremmo subito constatare che, in determinate circostanze, non ci apparirebbero affatto delle azioni cos aberranti. In primo luogo perch ... noi stessi non siamo affatto immuni da siffatte eventualit. Come gi dicevo due lezioni fa, fino all'ultimo istante di vita, purtroppo, ciascuno di noi rischia di commettere qualche "brutta" azione e dunque prudente non escludere mai, dalle nostre potenzialit, anche e soprattutto le "cattive" azioni. Chi di noi infatti non ha mai pensato di poter "far fuori" qualcuno che ci dava fastidio? Certo, si dir che una cosa l'idea di voler ammazzare qualcuno per liberarsene, ed una cosa ben diversa il farlo realmente, in maniera premeditata; come pure ben diverso il caso di pensare al suicidio dal farlo, poi, effettivamente. Per ci dimostra come tali idee siano per lo meno pensate per la nostra testolina, e come potremmo quindi giudicarle "immorali" riferite ad altri? In secondo luogo perch la stessa legge morale e giuridica ha stabilito dei casi ben precisi in cui l'omicidio potrebbe essere giustificabile mentre, nel caso del suicidio, la questione e rimane controversa. Pur rimanendo valido il divieto di uccidere - nel senso che una persona non deve mai decidere di togliere la vita ad un'altra - vi sono per le eccezioni della legittima difesa, della guerra e, ultimo ma non meno importante, della stessa giustizia che, in alcuni Stati ammette la punibilit dell'omicidio e di altri crimini efferati con la pena di morte. La legittima difesa dunque un caso particolare in cui l'omicidio di un'altra persona sarebbe giustificato moralmente e non vi sarebbe pena giuridica. Se ad esempio si viene aggrediti e noi ci difendiamo dalla violenza che stiamo subendo opponendo resistenza e, involontariamente, provochiamo la morte dell'aggressore, non siamo imputabili di omicidio appunto perch stato un atto, da parte nostra, non intenzionale. Insomma, si tratta della volontariet o meno dell'atto che stabilisce la sua punibilit: solo "se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto illecito" (diceva gi San Tommaso, cfr. Summa theologiae, II, 64, 79). Sar indubbiamente un'esperienza terribile, ma non moralmente condannabile. Come si vede, perci, anche una parola cos tremenda quale "omicidio" pu veder stemperato il suo significato per antonomasia negativo. Del resto, pur valendo il divieto in generale di uccidere per tutte le epoche e per tutte le civilt, la stessa Bibbia si riferisce specificamente alla proibizione dell'uccisione "dell'innocente e del giusto" (cfr. Esodo, 23, 7). E' soprattutto nei loro confronti, infatti, che l'omicidio pu dare scandalo mentre, nel caso dei malfattori, la loro uccisione un fatto di giustizia; anzi nell'antichit era ammessa in genere la pena di morte (eseguita da parte dell'autorit costituita e non certo dal singolo), mentre sar con l'avvento del Cristianesimo e, storicamente dell'Illuminismo in poi ( si ricordi il celebre libello di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, del 1764) che comincer a portare in discussione la legittimit della pena di morte e delle torture fino a considerarla del tutto inaccettabile, come lo oggi in quasi la met dei Paesi del mondo. In molti Stati invece la societ stessa che si ritiene in diritto di poter privare della vita un uomo se questi ha compiuto delle azioni cos tremende che non vi altro rimedio che toglierlo definitivamente di mezzo per la salvaguardia della societ. I pareri sulla liceit o meno della pena di morte sono discordanti ed io non posso fare altro che esprimere la mia opinione: per dirla subito come la penso, io sono contrario alla pena di morte. Credo che essa sia inutile perch non serve come deterrente, cio non fa diminuire la delinquenza, e ci si pu vedere negli Stati Uniti dove, pur avendo molti Stati la pena capitale, la percentuale di criminalit rimane altissima. Inoltre vi sempre il caso limite: e se uccidessimo un innocente? Insomma, io opterei comunque per l'ergastolo e i lavori forzati ( e terrei in carcere solo i colpevoli dei crimini pi gravi, mentre cercherei delle pene alternative per gli altri). Vi poi il caso della guerra. E' ovvio che essa sia moralmente inaccettabile, per la posizione 32
pi concreta, secondo me, escludere la necessit e la naturalit della guerra (come pensavano ad esempio Hobbes, Hegel, Proudhon) ma anche escludere il pacifismo ad oltranza. Secondo me bisogna prender atto che le guerre ci sono state, ci sono e molto probabilmente ci saranno ancora in futuro. E allora come la mettiamo? Ma il riconoscere che vi saranno molto probabilmente delle guerre nel prossimo futuro non implica ammettere che l'uomo sia una sorta di bestia feroce per natura (homo homini lupus diceva Hobbes e ancor prima Plauto, Asinaria, 475). Io ritengo al contrario che la guerra non sia lo stato naturale dell'uomo, bens che ogni uomo persegua la pace e la tranquillit del vivere. Pensate infatti agli stessi killer, criminali e compagnia bella: non mi direte mica che vorrebbero continuare ad ammazzare 24 ore su 24 per 80 anni di seguito? Anche coloro che hanno manie di grandezza, dopo aver conquistato l'universo, che faranno? Se ne staranno tranquilli al caldo dei Tropici, per esempio, e dunque, dopo aver esaurito la furia omicida o la smania di potere giungeranno alla stessa situazione in cui si trovava il saggio Diogene, che se ne stava tranquillo a prendere il sole e giunse Alessandro Magno. Il sovrano gli disse: "Chiedimi quello che vuoi". E Diogene: "Lasciami il mio sole" (cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 38). Tornando alla guerra, come nel caso della singola persona valeva il principio della legittima difesa, cos per gli Stati: se una nazione attaccata ingiustamente, ha il diritto di difendersi: in altri termini, una guerra pu essere moralmente giustificabile quando per una causa giusta e per difesa e non di offesa. Sia per ben chiaro che, anche se una guerra dovesse malauguratamente scoppiare ( e dovrebbe essere l'eccezione e non la regola), non diventa automaticamente tutto lecito o permesso perch "tanto, si in guerra". Ci che moralmente lecito o illecito continua ad essere tale anche nelle situazioni estreme: mi riferisco, ad esempio, al dovere di obbedire nell'eseguire gli ordini; ebbene, l'obbedienza non deve mai essere una obbedienza cieca. Anzi vero il contrario: si moralmente in obbligo di rifiutare l'obbedienza in certi casi se ripugnano alla coscienza morale, e non c' codice militare o legge che tenga, perch la legge morale ad essi superiore ( il caso successo di recente del processo a Priebke per l'eccidio delle Fosse Ardeatine). Passiamo ora al suicidio. Anche in questo caso, i pareri sulla liceit o meno del suicidio sono diversi, fin dalla pi remota antichit. E' interessante notare per che, da un lato, la stragrande maggioranza dei pensatori sono contrari mentre, dall'altro, anche coloro che non vedono obiezioni a commettere suicidio (Seneca, Hume, Montesquieu, Nietzsche, Sartre), hanno comunque concluso la loro vita di morte naturale con l'unica eccezione di Seneca, il quale, a ben vedere, fu indotto a uccidersi per ordine di Nerone e dunque non dipese da lui la decisione di por fine alla propria vita; forse, pi avanti negli anni l'avrebbe fatto, ma chiss ? ... Inoltre il suicidio di Seneca fu un gesto "filosofico" che egli comp come ultimo insegnamento da dare ai posteri, e non certo un gesto superficiale come quello di certi giovani d'oggi che sprecano stupidamente la loro vita ... (cfr. per la vita di Seneca, Tacito, Annali, XV, 62-64, Opere complete, Newton Compton). Forse proprio qui (e anche nel caso dei giovani) possiamo scorgere uno dei motivi che possono spingere una persona al suicidio: vuole essere un atto di affermazione della propria vita, un ultimo atto che le dia importanza, che le dia un senso. Beninteso, solo uno dei tanti possibili motivi: altre persone si uccidono per ... smettere di soffrire, oppure per disperazione o ancora per una delusione ecc. ecc. Comunque sia, mi chiedo se - soprattutto nei casi dei giovani che sembrano averlo fatto con noncuranza - tutti costoro abbiano tenuto conto delle conseguenze del loro gesto. Hanno riflettuto sul fatto che i loro parenti e conoscenti ne avrebbero sofferto? E poi - questione per nulla secondaria - hanno riflettuto che, dopo la morte, potrebbe esserci ancora qualcosa ... ed in questo caso si sarebbero amaramente resi conto dello sbaglio compiuto? Non credo che ci sia molto da sorridere a riguardo, visto che non siamo affatto certi che non vi sia nulla dopo la vita terrena. Da parte mia provo molta compassione per i suicidi ma non lo considero un gesto "opportuno": so soltanto che ... domani un altro giorno, che ammazzarmi vorrebbe dire privarmi della possibilit di vedere quello che succeder in futuro, che potrei far soffrire coloro che mi vogliono bene. In certi casi, come ad es. nelle malattie, si pu certo desiderare di morire, ma ritengo che si invochi la morte come liberazione dalla sofferenza e non per odio nei confronti della propria vita 33
(en passant, la questione dell'eutanasia, a cui comunque io sono contrario), per cui non c' il desiderio di uccidersi ma, appunto quello di non soffrire troppo. In conclusione, ritengo e spero che la vita sia sempre pi forte della morte. Pensate anche al caso di chi ... d la vita per salvare un altro. Anche in questo caso pur sempre la vita che vuole dimostrare di essere pi forte della morte.
BIBLIOGRAFIA PLATONE, Fedone, Laterza o Mondadori o altre HUME, Saggio sul suicidio in Opere, Laterza o UTET
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12. LUOMO E GLI ANIMALI Oggi luomo non ha pi molta dimestichezza con gli animali. Vive in genere nelle grandi citt, dove gli animali sono confinati negli zoo, nei circhi o tenuti nei salotti di casa. Solo in campagna possiamo ancora credere che gli animali aiutino luomo nel suo lavoro e siano per lui fonte di alimentazione, compagni di lavoro, amici. Quello che interessa alluomo doggi soprattutto la macchina (dallautomobile al computer, ai telefonini alla televisione ecc.), cio qualcosa che egli stesso ha costruito. Forse perch si rende conto che il suo rapporto con gli animali , comunque, in generale, un rapporto sui generis : riesci a far fare allanimale tutto quello che vuoi? riesci veramente a comunicare con lui? lo capisci o ti illudi soltanto di poterlo conoscere? Come diceva Montaigne, un pensatore del Cinquecento, Come pu egli [cio luomo ] conoscere, con la forza della sua intelligenza, i moti interni e segreti degli animali?; Quando mi trastullo con la mia gatta, chi sa se essa non faccia di me il proprio passatempo pi di quanto io faccia con lei? (cfr. Saggi, Mondadori, Milano, 1970, vol. 1, p. 584). Mentre luomo pu usare la macchina a suo piacimento (quando non lo lascia in panne), la conosce fin nelle sue pi piccole parti, sa cosa aspettarsi da essa (per ora i robot che si ribellano sono fantascienza). Paradossalmente per, pi luomo sembra allontanarsi dallanimale, pi cerca di avvicinarselo : ed ecco allora linvenzione di teorie che sostengono la completa - o quasi identit tra luomo e lanimale, come la sociobiologia, e il sorgere, su un altro versante, dei movimenti ecologisti, le societ protettrici degli animali, le lotte contro la vivisezione ecc. Sembra quasi che luomo cerchi di riparare meglio tardi che mai quello che ha fatto agli animali nei secoli precedenti, distruggendo intere specie e alterando lequilibrio naturale di molte zone del nostro pianeta. E forse con questa malafede, con una sorta di coscienza sporca che luomo si accinge oggi a studiare, finalmente, gli animali cos come sono e, se possibile, nel loro ambiente (letologia una scienza recentissima). Non credo comunque che si possa guardare al futuro ancora con ottimismo. Se da un lato c una maggiore attenzione nei confronti degli animali, anche vero che molte volte sono tuttora maltrattati, sfruttati, uccisi, per non parlare, pi in generale, delle violenze su coloro che sono i pi deboli - animali o uomini che siano come i bambini, i vecchi, gli emarginati. I malati, le donne, insomma laltro : lantichissima paura di riconoscere che anchio sono laltro ! Tornando agli animali, la prima domanda che sorge spontanea , direi, di definizione : che cos un animale? In che cosa si distingue un animale - se si distingue - da un essere umano ? Per rispondere a tale domanda interessante vedere quel che ci indica, brevemente, la storia. Facendo un rapidissimo e sintetico panorama, la conclusione che, fin dallantichit, chiara laffermazione della differenza tra luomo e lanimale. Nel mondo greco importante ricordare ARISTOTELE (384-322 a.C.), il quale, tra le moltissime opere che scrisse, ne dedic diverse agli animali ed esse sono il primo grandioso tentativo sistematico e scientifico, nel senso moderno del termine, di dire qualcosa di valido oggettivamente su di essi e sulluomo. Si pensi che le teorie aristoteliche resteranno immutate fino al 1700 e bisogner aspettare Linneo (1707-1778) e Cuvier (1769-1832) per avere una revisione globale della classificazione aristotelica ! Aristotele divise gli animali in due grandi gruppi : i sanguigni (che corrispondono pi o meno ai nostri vertebrati) e i non sanguigni (i nostri invertebrati). I sanguigni si dividono a loro volta in vivipari (= mammiferi), ovipari (= rettili e uccelli) e ovovivipari (= pesci), mentre i non sanguigni si dividono in cefalopodi, crostacei, insetti e gasteropodi. Mi fermo qui ma si pu notare la precisione della sua classificazione, tenendo conto dei tempi ! In quanto poi alla distinzione tra luomo e lanimale, Aristotele ritiene che vi siano parecchie differenze : ad esempio luomo lunico ad avere posizione eretta, luomo lunico che ride, che ha la capacit di deliberare, che ha il linguaggio, che ha, in ultimo, la capacit di essere felice. Non mi soffermo sulle giustificazioni che Aristotele d per sostenere le sue tesi, mentre vorrei sottolineare il fatto che gi molti secoli fa un pensatore ha saputo cogliere le differenze
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specifiche tra luomo e lanimale e che oggi, forse, si possa dire ben poco di diverso o di originale rispetto ad allora. Dopo i Greci, nel pensiero ebraico-cristiano ulteriormente ribadita la distinzione tra uomo e animale. Comunque per la Bibbia il destino degli animali e delluomo strettamente legato. Gli animali hanno una propria dignit che la Scrittura sottolinea pi volte (ad es. il sabato tutti gli animali hanno diritto di riposare). Pur essendo solo luomo ad immagine e somiglianza di Dio, luomo non deve trattare gli animali con disprezzo : anzi responsabile di ogni malvagit commessa nei confronti degli animali e del mondo che lo circonda. Abbiamo qui, come si pu vedere, forse il primo messaggio ecologista della storia ! Tutto ci che seguito, nella storia dellOccidente, stato influenzato, direttamente o indirettamente, da queste concezioni. NellOttocento, con Darwin, viene avanzato lipotesi dellorigine delluomo da forme di vita pi semplici. Per alcuni poi tra luomo e lanimale vi solo una differenza di quantit e non di qualit. Fino a quasi tutto lOttocento si comunque cercato di spiegare lanimale e luomo guardando allindietro, cercando qualcosa di pi semplice a cui luomo potesse essere ricondotto o addirittura ridotto. Verso la fine dellOttocento si fa invece strada unipotesi del tutto diversa, e cio che luomo e lanimale siano degli abbozzi di essere, cio che essi siano soltanto una tappa verso una forma diversa di essere a cui tendono in futuro (cfr. Bergson, Blondel ecc.). Oggi siamo a questo punto della riflessione. Se volete conoscere la mia personalissima opinione, dovrei dire che essa in linea con la tradizione : per me luomo non un animale, cos come un cavallo non una pulce o una orchidea. Inoltre direi che luomo una specie unica. Tra luomo e lanimale vi comunque diversit dal punto di vista culturale (lanimale rimane sempre allo stesso livello e non pu creare libri, poesie, filosofie ecc.) e costituzionale : lanimale privo del linguaggio simbolico, non modifica se stesso e il suo ambiente ecc. Insomma tutte queste differenze fanno s che luomo debba riconoscersi come qualcosa di unico e sarebbe assurdo, credo, negarlo, a parte le convinzioni etico-religiose di ciascuno di noi. Da questo punto di vista, mi sembra strano voler parlare delluomo come di un animale razionale o di un animale qualcosaltro. Se luomo unico, allora luomo luomo e lanimale lanimale. Se introduciamo il termine di animale nella definizione di uomo, facciamo una sorta di gioco degli specchi tra la societ umana e gli animali (cfr. a questo riguardo M.VEGETTI, Il coltello e lo stilo, Il Saggiatore, Milano, 1979, p. 45). Del resto, non definiamo mica lanimale come, che so, vegetal movens, no ? Luomo, per me, un essere particolare, con caratteristiche sue proprie che lo distinguono dagli altri esseri, come ripeto una pulce diversa da un cavallo : lo psichismo di un insetto non certo quello di un vertebrato, no ? Ritengo insomma che sia una vera e propria mania (ed anche un grossolano errore) voler ridurre ogni cosa a pochi elementi, tralasciando le differenze enormi che vi sono tra luomo e gli animali. Come diceva uno studioso fautore dellevoluzionismo (e dunque al di l di ogni sospetto), Se noi discendiamo da primati antropoidi, non che consegue che noi non siamo altro che scimmie pi evolute un organismo sempre qualcosa di pi che la semplice somma dei suoi elementi(cfr. J.HUXLEY, Il sistema umanistico in AA.VV., Idee per un nuovo umanesimo, Feltrinelli, Milano 1973,pp.41-42). In altre parole, non penso che tornare indietro, alla ricerca delle origini delluomo, alla ricerca del cosiddetto anello mancante, possa spiegare luomo quale diventato o possa farci scoprire il momento preciso in cui nato lessere umano (potremmo scoprire al massimo delle emergenze, ma non illuderci che corrispondano al momento esatto dellorigine) diverso dallanimale. E forse una illusione ritenere che scoprire le origini possa risolvere il problema della nostra umanit per distinguerla dalla animalit. Sono pi propenso a ritenere che, come diceva Teilhard de Chardin, gli esseri non manifestano le loro propriet nei germi, bens nella loro definitiva espansione se vogliamo comprendere la natura specifica delluomo e indovinarne il segreto, lunico metodo quello di osservare ci che la riflessione ha gi dato e ci che essa preannuncia, in avanti (cfr. Il fenomeno umano , Il Saggiatore, Milano 1973, p. 253). Che poi il
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normale procedimento scientifico (risalente ad Aristotele : si pensi alla priorit dellessere in atto rispetto allessere in potenza) : una teoria confermata nel futuro. Continuando a citare de Chardin, si pu dire che gli spiritualisti hanno ragione nel difendere cos tenacemente una certa trascendenza delluomo sul resto della natura. E neppure hanno torto i materialisti quando sostengono che luomo soltanto un termine nuovo nella serie delle forme animali. In questo caso, come in tanti altri, le due evidenze antitetiche si risolvono in un movimento, purch in tale movimento venga data la parte essenziale al fenomeno, cos altamente naturale, di cambiamento di stato dalla cellula allanimale pensante uno stesso processo si svolge senza interruzione, sempre nella medesima direzione. Ma, per la stessa continuit del processo, inevitabile, dal punto di vista della fisica, che certi salti trasformino bruscamente il soggetto sottoposto alloperazione. Discontinuit nella continuit. Tale si definisce e si presenta a noi, nella teoria del suo meccanismo, esattamente come la prima apparizione della vita, la nascita del pensiero(op.cit, pp. 223-224). A chi obiettasse che la natura potrebbe essere giunta gradualmente al pensiero, alla riflessione, allautocoscienza, si potrebbe rispondere come ha fatto de Chardin (o come esige la logica pi elementare) : a parte il tempo quasi infinito che ci vorrebbe per creare casualmente il pensiero, o lessere ancora al di qua - oppure gi al di l del cambiamento di stato (op.cit,p. 227). Insomma anchio ritengo che la posizione meno erronea sia quella di ammettere che in natura, a volte, vi possono essere dei salti di qualit, che qualcosa pu essere successo dun sol colpo, come nel caso del passaggio fatidico dalla cosiddetta animalit alla cosiddetta umanit. Vorrei concludere con due brevi considerazioni. La prima : cos ovvio considerare luomo come disceso dallanimale? Non si potrebbe pensare al contrario, e cio non potremmo pensare allanimale come un uomo, diciamo cos, imperfetto, non riuscito, in bozze? Non sembri troppo paradossale quanto ho appena detto : intanto abbiamo degli antecedenti illustri che sostenevano una teoria simile (si vedano Platone e Comte), in pi essa stata ultimamente ripresa da un filosofo come Karl Jaspers, il quale cita le ipotesi di un certo Edgard Dacque (paleontologo tedesco, 1878-1945, autore tra laltro del libro Mensch und Tier del 1931), il quale sosteneva che luomo esistito da sempre, che vissuto sotto varie forme del mondo animale, come pesce, rettile ecc. Luomo sarebbe da sempre lautentica forma di vita, rispetto a cui le altre forme ne rappresentano la caduta, per cui non sarebbe luomo che deriva dalla scimmia ma la scimmia a derivare dalluomo (cfr. K.JASPERS, La fede filosofica, Marietti, Torino 1973, p. 96). Si badi : non voglio sostenere certo una simile idea per teorie simili possono contribuire a non ritenere mai nulla dato per scontato e ridimensionano cos tutto quello che presumiamo di sapere. La seconda : come mai tutti gli uomini sono esteriormente tutti uguali, a parte il colore della pelle ed i tratti del viso, mentre tra i vari tipi di animali c a volte moltissima differenza? Che somiglianza c fra un lombrico, un cane e una balena ? Ritengo che, nel caso delluomo, ci troviamo appunto di fronte a qualcosa di unico, come ho detto a pi riprese. Luomo lo stesso sotto le diverse latitudini perch, forse, ha la stessa caratteristica in comune, e cio la riflessivit, il linguaggio, la razionalit e simili.
BIBLIOGRAFIA Cito solo tre opere : CASTIGNONE, Povere bestie, Marsilio MORRIS, Noi e gli animali, Oscar Mondadori MORUS, Gli animali nella storia della civilt, Einaudi
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13. LESPERIENZA DEL DOLORE E DEL MALE Tema eterno di riflessione la presenza nel mondo del dolore e del male. Non solo ogni essere umano ma ogni creatura vivente - animale e forse pianta - lo ha provato: chi in modo acuto e atroce, chi meno, per tutti ne sappiamo qualcosa. Comincerei dunque con il notare la loro inevitabilit: il dolore e il male ci sono sempre stati, a memoria d'uomo. Ma il fatto che ce li porteremo sempre dietro non di per s qualcosa di negativo, almeno per quel che riguarda il dolore o la sofferenza. Infatti, se io non provassi dolore - parlo fisiologicamente - non potrei neanche accorgermi che ad es. sto sanguinando perch mi sono tagliato e quindi non penseremmo a curarci, tanto ... non sentiamo nulla! Dunque non il problema del dolore in generale che ci tormenta quanto il significato che noi uomini cerchiamo di dare a questo dolore. Perch infatti, ci chiediamo, dobbiamo soffrire? Perch deve soffrire, soprattutto, l'innocente? Perch, se c' un Dio, permette tanto dolore e la sofferenza dei giusti? Queste sono le domande-chiave che vengono sempre poste in relazione alla sofferenza. A queste domande sono state date le risposte pi disparate nel corso dei secoli. Cosa potrei dire io di diverso o di particolarmente originale? Ecco comunque le "mie" risposte. Alla domanda: "Perch dobbiamo soffrire?" risponderei dicendo che non affatto obbligatorio soffrire a volte tutti vorremmo farne a meno. Per ... inevitabile ... nel senso sia fisiologico che accennavo prima e sia tenendo conto che siamo esseri finiti, limitati, imperfetti e dunque, prima o poi, la nostra condizione umana incontrer la sofferenza; inoltre la nostra libert si scontra o si incontra con quella altrui per cui in ogni tipo di relazione bisogna mettere in conto una certa dose di dispiacere. Alla domanda: "Perch deve soffrire l'innocente?" risponderei forse banalmente: perch un altro essere umano lo ha fatto soffrire. Se un bimbo piange perch un altro individuo lo ha fatto piangere: colpa nostra, solo nostra, se un innocente soffre. Alla domanda: "Se Dio c', perch permette la sofferenza in genere e in particolare la sofferenza del giusto?" risponderei dicendo che, se Dio esiste, ci ha creati liberi e responsabili delle nostre azioni; il che significa che dobbiamo tenere conto delle conseguenze dei nostri atti, altrimenti non saremmo persone ma solo delle marionette guidate da un Dio crudele. In altre parole, Dio ci ha voluto creare liberi ed ha tenuto conto che avremmo fatto anche del male, per non c'era alternativa: o liberi col dolore o marionette senza responsabilit. Se ha preferito la prima alternativa perch ci ha voluti considerare delle persone come Lui (siamo "immagine e somiglianza" di Dio secondo la Bibbia, Genesi, 1, 26), cio ha voluto essere amato od odiato da essere liberi e responsabili e non da marionette. Certo, la domanda di cui sopra terribile e forse non c' nessuna risposta umanamente e razionalmente soddisfacente. Ma siamo cos limitati, che forse ci sfugge il senso stesso della domanda. Ritengo che non vi siano che due possibilit: per chi credente non c' che da abbandonarsi al mistero, accettare di non capire tutto, affidarsi con fiducia nelle mani di Dio sapendo che Lui ci Padre e Lui sa qual il nostro bene; tremendo sapere che Dio c' ma non parla, non sembra intervenire, ma rimane in silenzio. Forse per questo ci indica che Egli richiede da noi una fede vera e non una credenza facile e tranquillizzante in un Dio tappabuchi o macchinetta automatica. Il silenzio di Dio ci fa intuire che dobbiamo cercare altrove la risposta: cercarla nella volont umana che ha fatto soffrire l'innocente. Anche per chi non credente questa pu essere una risposta: permane certo lo scandalo della sofferenza perch "compatiamo" chi soffre, ma le cause saranno cercate nella volont malvagia di certi uomini e solo in essa. Finora ho parlato soprattutto del dolore e della sofferenza e non tanto del male. Sono infatti due cose distinte: dolore e sofferenza diventano male quando sono provocati apposta, quando insomma vogliamo - come si dice in italiano - far del male agli altri (o a noi stessi). Ed allora sorge la domanda: "Perch il male? Perch alcuni scelgono il male?". Lo vediamo tutti: azioni malvagie sono compiute ad ogni secondo su questa Terra. Se chiediamo, a chi le ha fatte, per quale motivo le ha appunto commesse, le risposte sono svariatissime: "Perch dovevo
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farlo", "perch la/lo odiavo", "perch mi dava fastidio", "perch la/lo amavo", "non lo so, stata questione di un attimo", "non so, mi andava di farlo e cos l'ho fatto", ecc. Ritengo che il male non sia la semplice trasgressione, il piacere del proibito, il gusto di sfidare le regole per sentirsi "forte" o " superiore" o "libero". Il male proprio la volont di compiere una azione malvagia, il capovolgimento dei valori, la menzogna, il disprezzo nei confronti della verit, del bene, della legge, la pretesa orgogliosa di essere l'unico arbitro delle proprie scelte, volere il male per il male. E' dunque una volont perversa, che non ha pi la nozione del bene e del male, che indurita nella sua abiezione e non riesce pi a rendersene conto. E' terribile, eppure ci sono degli uomini che sono giunti a tal punto! Ci sono degli uomini che sono talmente invischiati nel male da non poter pi tornare indietro e anzi non fanno altro che discendere sempre pi l'abisso! Attenti per: non crediamo mai, noi esseri umani "normali", di non poter arrivare ad imitare simili nostri! Fino all'ultimo istante di vita potremmo anche noi combinarne di cotte e di crude. Come diceva Sofocle, "Mai nessuno giudichi felice un uomo / prima del giorno della sua morte / prima che la sua vita sia trascorsa priva di dolore" (cfr. Edipo re, v.v. 1528-1530). Dunque andiamoci cauti a pensare che ... certe cose capitano solo agli altri ... e non sfidiamo troppo la sorte! A parte questo, si pu notare che il male, portato all'estremo, reca sempre con s la distruzione e la morte e mai la vita. Il malvagio tende ad imporre se stesso sugli altri, vuole distruggere tutto e tutti per realizzare i suoi fini, giungendo, in taluni casi, alla sua stessa autodistruzione. Vengono in mente, a questo proposito, molti casi di cronaca nera di persone che ammazzano altra gente e poi si uccidono. Eventi terribili, che ci lasciano sgomenti. Eppure cos semplice: il male si distingue dal bene perch e distruttivo, perch preferisce la morte alla vita. Se io scelgo il male sono destinato alla distruzione e ci dimostrato proprio da quelle persone di cui ho appena parlato: esse sono spinte ad uccidere ma desiderano anche uccidere loro stesse per ... finire per sempre la loro situazione! Anelano alla loro stessa morte e chiedono implicitamente di essere fermate: continuano cio ad ammazzare per giungere ad una situazione insostenibile che esige un unico sbocco, cio la morte! E' forse con un senso di liberazione che salutano la loro cattura o la loro morte, che la fine di un incubo che li vedeva protagoniste! Come avete potuto notare, parlando del male non ho voluto apposta far intervenire n Dio n il diavolo. Sar forse troppo severo, tuttavia ritengo che si tratti sempre e comunque di una colpa "umana, troppo umana", che non ha nulla a che vedere con la possessione diabolica o simili. All'origine, secondo me, vi sempre una scelta - terribile ed orribile - da parte di un uomo che crede forse di attuare meglio la sua libert preferendo il male. Invece dalla trasgressione passa alla perversione e ne diventa sempre pi schiavo. A questo riguardo, ecco forse un modo "pratico" di distinguere tra ci che ci porta bene e ci che ci porta male: se quello che fai ti rende libero e felice, allora la scelta giusta; se quello che fai, dopo il primo momento di piacevolezza, ti rende triste e schiavo, allora c' da stare attenti... a noi tutti, come al solito, la decisione.
BIBLIOGRAFIA RICOEUR, Il male, Morcelliana NATOLI, L'esperienza del dolore, Feltrinelli SCHELER, Il dolore, la morte, l'immortalit, LDC GORRES-RAHNER, Il male, Paoline KANT, Il male radicale nella natura umana, Oscar Mondadori SUBILIA, Il problema del male, Claudiana
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14. SIAMO SOLI NELLUNIVERSO? Siamo soli nelluniverso o esistono altre civilt extraterrestri ? La domanda vecchia quanto luomo : dai Greci a Lucrezio a Bruno a Kant (per non citare che alcuni nomi) fino ad oggi, lumanit ha sempre scrutato il cielo e si sempre chiesta se solo essa lunica specie vivente in tutto il cosmo. Se per nei tempi passati si potevano fare soltanto delle ipotesi o avanzare delle teorie pi o meno fondate, le cose sono cambiate in questi ultimi anni. Oggi possiamo finalmente fare qualcosa di concreto per poter rispondere a questo affascinante interrogativo. Vi per esempio il progetto di ricerca SETI (=ricerca di intelligenza extraterrestre) che, da circa trentanni a questa parte, cerca di sondare le profondit delluniverso alla ricerca di un segnale diverso dal solito che possa indicare una fonte di energia sconosciuta. A poco pi di un quarto di secolo fa risale poi il primo tentativo di inviare un messaggio umano nel cosmo: il 2 Marzo 1972 fu lanciata la sonda Pioneer 10. Fissata su una parte della sonda vi una placca dorata su cui sono incise due figure (un uomo e una donna) e, accanto a loro, le posizioni di 14 pulsar (un tipo di stelle a neutroni) che costituiscono una sorta di mappa per poter risalire al pianeta da cui la sonda partita. Per la prima volta un manufatto terrestre sta viaggiando oltre il sistema solare! Ma ci pensate ! Sono passati migliaia e migliaia di anni da quando i nostri progenitori scheggiavano selci nelle savane ! Questo vuol dire che bench molti ritengano lumanit ormai vecchia, bench alcuni parlino di una imminente fine del mondo, io ritengo, al contrario, che siamo ancora agli inizi della nostra avventura intellettuale, che la nostra conoscenza ancora molto limitata e che nessuno possa dire che cosa ci riserver lesplorazione dello spazio (luomo andato sulla Luna nel 1969 !). penso che il secolo appena iniziato e questo millennio saranno dedicati soprattutto alla ricerca spaziale perch i vari governi dovranno rendersi conto dellimportanza di spendere soldi in quella direzione : in altre parole, credo proprio che lesplorazione di altri mondi sar la principale avventura a cui luomo si dedicher negli anni a venire. Ma torniamo al quesito iniziale. Siamo veramente soli nelluniverso ? La risposta per adesso una sola : non lo sappiamo. E dico per adesso perch ovviamente nulla vieta che un domani potremo saperlo. Per ora possiamo soltanto dire :Non lo sappiamo, possiamo fare solo delle stime statistiche. A questo riguardo, il prof. Frank Drake (radioastronomo e presidente del progetto SETI) ha elaborato unequazione diventata ormai famosa per calcolare quante civilt potrebbero esistere nella nostra Via Lattea. Eccola : N=R x Fp x N1 x F1 x Fi x Fc x L Tradotta in termini comprensibili alla maggior parte delle persone, vorrebbe dire che nella nostra galassia potrebbero esistere ben 600 civilt extraterrestri! Una cosa per la statistica e unaltra la realt concreta. Infatti a noi interesserebbe venire in contatto con gli eventuali extraterrestri e non ci accontentiamo affatto di stare a calcolare se essi ci possono essere oppure no. In effetti, alcuni dicono che i contatti ci sono stati : molti avrebbero visto i cosiddetti UFO e molti sarebbero addirittura stati rapiti dagli extraterrestri e poi riportati sulla Terra! Se volete sapere la mia opinione beh, io non credo n agli uni n agli altri. Nel primo caso perch quello che alcuni ritengono di aver visto pu rivelarsi unillusione : ho letto ultimamente che la CIA, il servizio segreto statunitense, ha dichiarato di aver lasciato credere che molti avvistamenti di velivoli insoliti fossero degli UFO mentre erano dei prototipi o delle armi segrete per difendere appunto il segreto militare ! Nel secondo caso perch mi sembrano delle frottole belle buone, anche perch nessuno dei sedicenti rapiti,guarda caso, ha riportato a casa un qualunque oggetto alieno,un qualche ricordino dopo unesperienza del genere ! Beninteso, ci non esclude, a priori, che un giorno non potr avvenire qualcosa del genere (il film Incontri ravvicinati del terzo tipo un verosimile esempio di quello che potrebbe accadere) ma, per ora, ripeto, mi permetto di dubitarne. Si rifletta anche su tutte le condizioni che un ipotetico sistema solare simile al nostro dovrebbe soddisfare affinch vi si possa sviluppare la vita. Secondo il chimico Shapiro e il fisico Feinberg, vi 40
sono almeno tre condizioni essenziali : disponibilit di energia; un sistema di materia capace di interagire con lenergia e di usarla per diventare un sistema ordinato; infine abbastanza tempo a disposizione per costruire quella complessit che legata alla vita. Fra laltro, essi non escludono la possibilit di forme di vita in un liquido diverso dallacqua, come per esempio lammoniaca, ed una vita basata su minerali invece che sul carbonio. Ammesso per tutto questo, a noi non interessa dialogare n con organismi unicellulari n con mostri ma con esseri intelligenti almeno quanto noi e in grado di comunicare. Per i ricercatori della SETI, molto concretamente, intelligenza vuol dire saper costruire dei radiotelescopi ed essere in grado di trasmettere dei segnali radio ! Se non si arriver almeno a quel punto, ogni discorso rimane una bella favoletta ma non avr mai dei risultati effettivi. E per ora, tanto per ribadire il concetto, non ne sappiamo ancora nulla! Prima di concludere, vorrei ancora invitare a riflettere sulla seguente questione : ma sarebbe proprio cos brutto o incuterebbe cos tanta paura lammettere o lo scoprire (un giorno lontano) di essere soli nelluniverso ? E se lo fossimo veramente ? E se fossimo davvero lunica specie vivente nellintero universo ? E poi, come possiamo dire di soffrire di solitudine cosmica (se non vi fosse la vita extraterrestre), se gi su questo pianeta, in mezzo a cinque miliardi di nostri simili, ci sono un sacco di problemi per instaurare delle relazioni durevoli ? Non basta. Ammesso di incontrare gli extraterrestri, come ci comporteremmo ? Pensiamoci un attimo. O saranno per lo meno al nostro livello scientifico e tecnologico oppure saranno nettamente superiori. In questultimo caso, cosa potrebbe succedere? Noi potremmo diventare una sorta di colonia di questi extraterrestri e i film come Visitors e Indipendence Day ci hanno gi fatto intravedere la sorte che ci toccherebbe ! Direi dunque di essere realistici e smorzare il troppo entusiasmo che potrebbe suscitare, di primo acchito, una scoperta del genere. Comunque, se davvero siamo soli nelluniverso, questo mi farebbe sentire il peso di una enorme responsabilit nei confronti dellimmensit del cosmo. Spetterebbe solo a noi, e da soli , fare tutto il possibile per creare delle condizioni di vita migliori, e avremmo il dovere di non starcene con le mani in mano per continuare a vivere. In un certo senso, allora, gli extraterrestri potremmo essere noi stessi, nel senso che, nei prossimi secoli saremmo noi (e lo saremo comunque noi) ad andare alla scoperta degli altri mondi per eventualmente abitarli e far s che la vita continui ad essere presente in pi parti delluniverso.
BIBLIOGRAFIA P. ANGELA, Nel cosmo alla ricerca della vita, Garzanti ASIMOV, Civilt extraterrestri, Oscar Mondadori G. BERNARDI, La vita extraterrestre, Newton Compton P.DAVIES, Siamo soli? , Laterza M. HACK, Luniverso alle soglie del Duemila , BUR Rizzoli
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15. E DOPO LA MORTE ? Permettetemi di iniziare con una citazione tratta dal famoso monologo di Amleto (atto 3,scena 1^): chi sopporterebbe le sferzate e gli insulti del mondo, lingiustizia delloppressore gli scherni che il paziente merito riceve dagli indegni, quando egli stesso potrebbe fare la sua quietanza con un semplice pugnale? Chi vorrebbe portar fardelli, gemendo e sudando sotto una gravosa vita, se non per il timore di qualche cosa dopo la morte, il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun viaggiatore ritorna, confonde la volont, e ci fa piuttosto sopportare i mali che abbiamo, che non volare verso altri che non conosciamo? . That is the question, questo il problema: la morte o non la fine di tutto ? Se consideriamo la morte come un semplice decesso, come un puro accadimento biologico, allora non sussiste neppure un problema filosofico della morte. Se essa la fine naturale di tutti gli esseri cosiddetti viventi, non ha senso temerla e non dobbiamo neppure aspettarci qualcosa al di l di essa. Da questo punto di vista, vale ancora sempre quello che gi diceva Epicuro :Quando noi ci siamo, la morte non c; e quando essa sopravviene, noi non ci siamo pi(Lettera a Meneceo, 125).Dunque nessun problema o, meglio, tutti gli eventuali problemi e laver fatto del bene o del male con le loro conseguenze - finiscono appunto con la nostra morte. Per se le cose fossero davvero cos semplici, non si capisce come mai luomo continui ad interrogarsi sulla morte, perch continui, in pratica, a non volerla accettare come evento che segna, per lo meno, la conclusione di questa vita terrena, e continui invece a credere, a sperare, immaginare, desiderare, affermare che la morte non e non pu essere la fine di tutto bens linizio di una diversa esistenza in unaltra dimensione. A quanto ci dice lantropologia, non esistono culture che non abbiano dei riti per seppellire i morti e non abbiano elaborato delle risposte per spiegarsi come mai si muore e che cosa vi sia dopo la morte. Tuttavia qualcuno potrebbe sempre chiedere : ma perch ci deve per forza essere qualcosa dopo la morte ? Non invece lunica cosa assolutamente certa? Non negare levidenza, essere dei pazzi, degli illusi, affermare che luomo continua a vivere anche dopo la morte ? Levidenza dei sensi ci dice che, di fronte a noi, c un cadavere. Questo certo. Ma una cosa dire che questo essere davanti a me un morto, ed una cosa ben diversa affermare che questo cadavere non esista pi in alcun modo, che insomma la sua vita annullata. Questa seconda affermare del tutto gratuita e senza prove. Che ne sappiamo infatti di quello che succede ad un cadavere quando scompare dalla nostra esperienza sensibile? Negare lesistenza di qualcosa perch non la percepiamo non un po troppo superficiale? Non solo. Come ho gi accennato, non affatto cos pacifico che la morte sia la fine di tutto, almeno per la stragrande parte dellumanit (e non solo dei tempi antichi). Almeno statisticamente, coloro che sostengono che la morte la fine di tutto sono pochi e dunque questo un altro dato che ci pu far riflettere. Perch infatti, nonostante i sensi ci dicano che una persona morta, abbiamo difficolt ad ammetterlo? Sar forse la paura, sar forse una illusione, sar la non accettazione della nostra condizione di mortali, sar tutto quel che si vuole, ma appunto perch, perch luomo cos aggrappato alla vita al punto di negare la sua fine? Si badi : non una domanda bislacca, che lascia il tempo che trova. E invece volersi interrogare sul perch di questa reazione atavica nei confronti della morte : qui c un cadavere per rifiuto che sia tutto finito, la sua vita non pu essere annullata ! Io ritengo anzi che forse solo noi, uomini doggi, che ci crediamo smaliziati, possiamo sostenere con una relativa indifferenza che la morte la fine di tutto. Per altre culture e in altri tempi, non era affatto cos ovvio. A questo punto permettetemi unaltra citazione, questa volta da Carl G. Jung, il famoso fondatore della psicologia analitica (gi allievo e collaboratore di Freud, da cui si stacc per fondare un a propria psicologia del profondo): mentre colui che nega va incontro al nulla, colui che ha riposto 42
la sua fede nellarchetipo segue i sentieri della vita e vive realmente fino alla morte. Entrambi, naturalmente, restano nellincertezza; ma luno vive in contrasto con listinto, laltro in accordo con esso, e la differenza notevole ed a favore del secondo(da C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, trad. it. BUR Rizzoli, Milano 1978, pp. 361-62). Insomma, io mi chiedo se il sostenere che la morte la fine di tutto non sia che una razionalizzazione, un tentativo di mascherare il desiderio di voler continuare a vivere, perch a volte abbiamo paura di abbandonarci a quello che ci suggerisce linconscio, e linconscio non ci parla certo del nulla ma lascia la porta aperta ad una ulteriore riflessione. Mi si pu naturalmente obiettare: ma che ne sai tu che luomo continua a vivere ? Beh, io potrei intanto rispondere che non abbiamo nessuna conoscenza del nulla e del presunto annichilamento della materia. Le poche conoscenze che abbiamo sulluniverso e sulla materia ci dicono, ad esempio che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma(Lavoisier). In altre parole, le particelle di quella che chiamiamo materia si trasformano in energia, la materia si trasforma in luce. E dunque per lo meno possibile ammettere che ci che esiste continui ad esistere, anche se non in una forma o dimensione non percepibile dai nostri sensi o al di fuori della nostra esperienza. Al di l di questo, con la pura riflessione, non credo sia possibile andare. Se volessimo procedere oltre, dovremmo ricorrere ad una risposta di carattere religioso che, naturalmente, ci potrebbe dire parecchio di pi. Vogliamo provare ? Le religioni, parlando in generale, ammettono una qualche forma di sopravvivenza dopo la morte corporea. Io mi riferir in particolare a due religioni : da un lato il cristianesimo e dallaltro linduismo. Il primo perch, volenti o nolenti, ci portiamo sulle spalle duemila anni di influenza ebraico-cristiana e sarebbe alquanto stupido non volerne tener conto; il secondo perch una prospettiva diversa dalla precedente ma appartiene a milioni di uomini ed viva e vitale da millenni. Comincerei dallInduismo perch , fra le due, la religione pi antica. In esso, come noto, si parla di metempsicosi, trasmigrazione dellanima, anche se il termine sanscrito samsara, cio il ciclo continuo delle nascite e delle morti. LInduismo afferma che ogni momento della nostra vita condizionato dai precedenti (karma). Luomo che diciamo che oggi venuto al mondo era in realt in cammino dalleternit per quel giorno, e leternit di nuovo il cammino che deve percorrere. Egli in un certo senso sempre stato : dunque per lInduismo non solo luomo non muore ma, in verit, non mai nato (nel senso di essere spuntato dal nulla). Il che significa che lio profondo di ogni uomo, che gli induisti chiamano Atman, identico allassoluto, il Brahman. Come ora luomo emerso dal seno del Brahman in questo mondo, cos fluttuer per sempre tra le onde del grande oceano cosmico a meno che la grazia della liberazione non lo riporti in seno al brahman : in altre parole, finch luomo non attinger lAssoluto non riuscir a liberarsi del samsara. Dunque la cosiddetta reincarnazione non vista dallInduismo come qualcosa di positivo(come invece immaginata nelle dottrine spiritistiche e teosofiche occidentali : m andata male questa volta, mi rifar nella prossima vita), ma qualcosa da cui bisogna liberarsi. Per, come avvenga tutto ci, cosa significhi assumere diversi corpi, come sia possibile alluomo conservare la propria identit attraverso tutto questo, lInduismo non lo dice (a differenza dello spiritismo e di molte religioni pseudo-orientaleggianti) perch una questione di fede e richiede, inoltre, una conoscenza che non necessariamente coincide con quella che luomo riesce ad ottenere in questa vita. Per quanto riguarda il Cristianesimo, bisogna anzitutto dire che la morte la fine naturale dellessere umano : luomo una creatura e, in quanto tale, non pu essere eterno (eterno solo Dio); per cui la vita terrena, al momento opportuno, finir. Per Dio non ha voluto che la nostra vita finisse con la morte del corpo. Egli ci ha donato limmortalit. In altri termini, limmortalit un dono soprannaturale, non iscritta nel nostro DNA ma qualcosa di pi che Dio, ripeto, per bont sua, ha voluto donarci. Ma come possiamo essere certi di questo ? Lo possiamo grazie alla resurrezione di Ges! Questa la dichiarazione pi sconvolgente di tutta la storia: Ges di Nazaret lunico uomo che sia risorto ! (Cfr. Giovanni,20;Matteo, 28; Marco, 16; Luca, 24 ). Soprattutto
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la descrizione che si trova nel Vangelo di Giovanni particolarmente interessante. Il cuore della testimonianza il passaggio seguente: Usc allora Simon Pietro insieme allaltro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma laltro discepolo corse pi veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, scorge le fasce distese ma non entr. Giunge intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese e il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto in una posizione unica. Allora entr anche laltro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette(Vangelo di Giovanni, 20, 3-8). Le parole sconvolgenti, che solo nel testo greco originale ci lasciano stupefatti (mentre in traduzione non sono rese adeguatamente, bens con espressioni tipo in un luogo a parte), sono eis hna tpon , che possiamo tradurre con in una posizione unica. Che cosa vuole dire? Vuol dire che il sudario, invece di essersi afflosciato come le bende che avvolgevano prima il corpo di Cristo, era rimasto, diciamo cos, inamidato, a causa della forza sconvolgente dellevento della risurrezione. E questo fenomeno strano che si presenta di fronte agli occhi dei due discepoli, che hanno due reazione diverse : Pietro guarda ma non riesce a capire, mentre Giovanni vide e credette perch comprende che successo qualcosa di straordinario, unico, per cui, dora innanzi, la storia umana sar trasformata ! Come avvenuta quindi la resurrezione ? Beh, possiamo ipotizzare, per quanto lasciano dedurre i Vangeli, che se qualcuno fosse stato presente nellinterno del sepolcro, illuminato dai primi raggi del sole, avrebbe visto le tele risplendere intensamente e ,subito dopo, spegnersi; con somma meraviglia avrebbe assistito allistantaneo asciugarsi delle tele, reso evidente da un loro cambiamento di colore; e, nello stesso tempo, avrebbe osservato il volatilizzarsi di tutti i profumi e ne avrebbe percepito il fragrante odore; avrebbe constatato con trepidazione il lento abbassarsi, sulla pietra sepolcrale, delle fasce, che non avvolgevano pi il corpo di Ges; ed infine avrebbe ammirato, stupefatto, il rimanere in posizione rialzata del sudario, che non avvolgeva pi il capo di Ges, ma, come per incanto, non si abbassava con le fasce. Tutti questi fenomeni potevano essere provocati solo dalla risurrezione. Il corpo di Ges si trasfigur, producendo luce e calore, e, senza uscire dalle tele, entr nella dimensione dellinfinito e delleterno(cfr. ANTONIO PERSILI, Sulle tracce del Cristo risorto, Ed. Casa della Stampa, Tivoli, 1988,pp.187-188). Vi rendete conto dellenormit del fatto? Qui in gioco la parte pi intima di ogni nostra certezza e verit; qui non si sta scherzando ma si sta dicendo che, visto come sono andate le cose, molto probabile che Dio esista e che Ges sia il Figlio di Dio !!! Insomma, sono affermazioni che mettono paura e ci lasciano sconvolti perch, volenti o nolenti, dobbiamo prendere posizione a riguardo e noi uomini ne faremmo volentieri a meno, visto che non ci piace affatto impegnarci seriamente in qualcosa! Prima di concludere, vorrei accennare brevemente alla vita ultraterrena. In altri termini . se c un aldil, com fatto? Possiamo dire, in generale, che le religioni ritengono vi sia uno stato di felicit per i cosiddetti buoni ed una condizione di infelicit e sofferenza per i cattivi. Il che indica, per lo meno, che una esigenza profonda delluomo veder punito il malfattore e premiato il buono, se ci non potuto accadere in questa vita, e dunque le religioni rispondono a quanto la nostra coscienza esige. A parte questo, ritengo che, se vi un aldil, essendo qualcosa di soprannaturale, noi uomini non lo possiamo neppure immaginare (o meglio, labbiamo immaginato benissimo, ma con raffigurazioni a volte fin troppo umane, da non prendere alla lettera bens, al massimo, da attribuire loro un valore simbolico). Ricordiamoci del detto di San Paolo : Quelle cose che occhio non vide, n orecchio ud, n mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano(1 Corinti, 2,9) . E forse anche meglio cos. Credo che lessenziale sia appunto questo : che vi sia o no laldil, la saggezza umana e quella religiosa ci invitano entrambe a vivere bene in questa vita, visto che lunica di cui sappiamo qualcosa. Se poi vi sar un Paradiso, tanto meglio, altrimenti ci addormenteremo sereni, 44
consapevoli di non aver fatto troppo danno ai nostri simili e lasciandoli semmai con un po di bene. Per chi crede, un giorno egli sapr; per chi non crede, lultima domanda rester per sempre senza risposta poich non potr neppure dire :Visto, te lavevo detto che non cera nulla!. Mi auguro comunque - ed auguro a tutti di lasciare comunque un segno della nostra presenza su questo pianeta. Ma anche se un giorno lumanit intera dovesse perire, e quindi non esister neppure pi il ricordo (come gi diceva Virgilio, omnia fert aetas, animum quoque, il tempo porta via tutto, anche la memoria, cfr. Bucoliche, IX,51), beh, sar stato comunque bello aver avuto lopportunit di vivere e ringrazieremo il buon Dio o il caso per avercela offerta.
BIBLIOGRAFIA Bhagavad Gita, il capolavoro dellIndia, si trova nelle edizioni BUR o UTET o Adelphi ecc. MESSORI, Ipotesi su Ges , edizioni SEI o TEA MESSORI, Scommessa sulla morte, ed. SEI MOODY, La vita oltre la vita , ed. Mondadori
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In queste pagine non ho voluto dire tutto o dimostrare chiss quale originalit. Per affrontare alcuni problemi ho scelto una esposizione diciamo storica o cronologica, mentre altri li ho discussi in maniera diversa. Inoltre si badi: non detto che quello che ho scritto sia definitivo e non possa ancora cambiare idea. Quello che mi premeva era farvi leggere qualcosa di relativamente semplice per introdurre una qualunque persona alle tematiche filosofiche. Adesso che avete letto qualcosa a riguardo della filosofia, beh, potete procedere anche da soli, leggendo altro e soprattutto riflettendo e pensando su qualunque cosa. In fondo, c gioia nel pensare, no?
E.R.
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