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di Massimo Vignola
Facoltà di Filosofia
Indice:
1 - Introduzione .................................................................................................................. 2
ragionamento normativo................................................................................................... 53
Necessità..................................................................................................................... 112
Bibliografia..................................................................................................................... 121
1
1 - Introduzione
A partire dalle opere giovanili, fino alle ultime conferenze, nel pensiero di Heidegger
La questione di un ordine o di una regolarità si attesta con continuità, sia in modo diretto
come nell’analisi del λόγος, sia implicitamente nell’architettura delle argomentazioni, nelle
scelte lessicali e negli ambiti semantici richiamati. Viene delineato un ordine determinante,
la cui stringenza però non risulta facilmente riconoscibile, e, comunque, non nella modalità
più consueta di una causa efficiente: a suo riguardo una estensione generale può essere
fraintesa con una sostanziale indifferenza, la sua preminenza e non deducibilità può evocare
Questa tesi si assume il compito di individuare ciò che è proprio di tale ordine, il suo tratto
caratterizzante e il senso del suo manifestarsi. Il tema della nostra analisi sarà dunque la
cogenza. L’attenzione verrà così rivolta alle dinamiche insite in quella nozione di
partire dall’idealismo, non viene più indicata la mera coincidenza dell’uguale ma si apre la
strada all’interpretazione di una “coappartenenza“, cui non sono estranee una contesa ed un
accordo.
2
In virtù del livello originario del tema, il significato di parole quali legge, ordine o regola
non può essere semplicemente applicato a ciò che esse devono descrivere. Di pari passo
con la chiarificazione della logica di Heidegger, infatti, i termini impiegati per definire il
tema saranno a loro volta pensati e parzialmente ridefiniti in base al loro “oggetto“. Già a
livello procedurale si ha quindi a che fare con una petitio principi che segna
Lo stesso argomento che si intende affrontare, sebbene ad esso siano dedicati molti scritti,
e, in particolare, l’illuminante corso del ’44 sulla dottrina eraclitea del λόγος, non è
preliminarmente del tutto acquisito. Infatti, uno studio che, come il presente, approfondisca
un aspetto all’interno di un’ampia impostazione di pensiero, e che quindi debba isolare una
questione nei limiti necessari ad un’analisi critica, ha bisogno di ribadire in modo esplicito i
completa alla prospettiva del filosofo. Pertanto, prima di considerare il senso della logica
il “regolare” che rende il valore attivo del λόγος – nel quale si verifica un ambiguo contatto
3
tra senso e alterità. Il “luogo teoretico“ della regola, in cui si dispiega l’originarietà, si
rivelerà quindi essere la nozione di limite, intesa al modo greco come πέρας.
rappresentabile, nonostante Heidegger abbia scelto di percorrere con una drasticità ben nota
le vie rischiose dell’impensato, dove le etimologie alludono e danno segni incerti, e dove
frecce e grafici, che saprebbero dar conto perfino dell’autorevole parola di Kant, si
dimostrano del tutto inutili. Nel pensiero del filosofo, infatti, l’approfondimento del λόγος
si rapporta alla riflessione sullo spazio, colto però a partire dal concetto di luogo che si
dischiude al soggiornare umano presso le cose. Per quanto concerne il λόγος, quindi,
avviene una localizzazione già a livello antepredicativo, nel colpo d’occhio della
comprensione che pone l’uomo in un mondo oltre la geografia dello spazio oggettivo,
Il dispiegamento del senso nella comprensione risulta tuttavia possibile solo in virtù di una
disposizione strutturante che sia orientata dalla trasparenza della verità che si delinea nel
destino dell’essere. Il λόγος viene quindi pensato come l’ordine originario dell’essere stesso
e, di conseguenza, del modo in cui l’essere si dona storicamente nelle varie epoche e del
rapporto tra uomo ed essere. In breve, il proprium del λόγος si raccoglie intorno al senso
4
del destino: la Moira, rispetto al Λόγος , esprime un condizionamento simile a
quell’obbligo, a quel dover-essere, senza il quale una regola non sarebbe tale.
Nella logica originaria si radica così un carattere di comando, nonostante valga una
reciprocità nel rapporto tra uomo ed essere nell’Ereignis, e nonostante l’essere si dia.
Nelle stesse parole impiegate da Heidegger nell’analisi del λόγος si registra un’insistenza
concetti quali «legge», «ordine» e «misura». La premessa allo studio sui pensatori aurorali,
modo rigoroso, a partire dal progetto di un’ermeneutica della fatticità, quando, sulle orme
di Husserl, ha tentato di sviluppare un pensiero che fosse cogente senza essere incluso nel
Nella ricostruzione della storia del pensiero occidentale la legittimazione di una stringenza,
di un obbligo, che si distingua da quello inessenziale che vige nel paradigma onto-teo-
della tecnica sia di «portar fuori» l’essenziale al modo della poiesis greca. Nel modo più
chiaro questo obbligo necessario – cioè radicato nella necessità dell’essere – viene
5
tematizzato nelle ultime pagine di Introduzione alla metafisica, laddove la parabola della
In conclusione, ciò che si oppone alla logica tradizionale, ossia il pensiero definito dalla
logica originaria, risulterà più stringente in quanto orientato dal destino. Ed il tipo di
cogenza che si impone sarà più determinante poiché, al contrario di un obbligo generico,
Tale pensiero, pur rimanendo ad uno stadio preparatorio, può essere presentato, in concreto,
attraverso i propri tratti fondamentali: in primo luogo esso non deve essere separato o
indifferente rispetto a ciò che pensa, e la sua essenza deve essere poietica anziché tecnica;
viene così ricercato un pensiero che sia rigoroso ma non oggettivo, che sia riflettente ma
non deduttivo e che sia in grado di affrontare il negativo senza superarlo, senza essere
dialettico. Un tale pensiero deve seguire un cammino senza per questo andare “avanti” e,
6
2 - Il λόγος nella filosofia di Heidegger
si lascerà che il nostro tema dispieghi il proprio senso in base all’intima necessità con la
nostra tesi.
Il confronto con i termini chiave della filosofia presocratica, in primis la φύσις, il νοε̃ιν, il
del λόγος con il fondamento e la comprensione non verrà meno neanche di fronte agli
In realtà l’inizio di un’analisi del λόγος possiede quella stessa componente di arbitrarietà
insita nel voler accedere a un tutto strutturato, poiché è a tutto che il λόγος si collega –porre
in rapporto, collegare, riferire sono infatti le sue accezioni originarie. In tale essere sotteso
7
ad ogni relazione, il collegare autentico arretra sbiadendo – apparentemente indifferente
alle differenze – e si afferma un collegare a cui sono riconducibili sia il punto di vista
filologico che lo traduce “discorso” sia l’interpretazione, che la logica formale ne fa,
intendendolo come l’origine ininfluente di un ramo della scienza che mira alla correttezza
formale.
A partire da queste premesse viene posta ora la domanda: “cos’è il λόγος per Heidegger”?
Come viene indicato nella conferenza omonima, in Saggi e discorsi, non si può dire cosa
esso sia, è giusto solo affermare che “o λόγος λέγει”, per parlarne bisogna riferirsi alla sua
attività e non a delle eventuali proprietà. Non ci si riferisce, infatti, ad una “cosa”, fosse
«Lego, λέγειν, in latino legere, corrisponde, come parola, al nostro «cogliere» (lesen), cogliere delle spighe,
della legna, dell’uva, o anche «scernere» (auslese) […] Questa parola significa: porre una cosa vicino
all’altra, metterle insieme, in breve: «raccogliere» (sammeln); con ciò le cose vengono contemporaneamente
distinte l’una dall’altra». 1
1
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
133
8
L’impiego possibile, l’adattabilità a più contesti delle diverse –eppure strettamente
collegate – accezioni è ampia. Nella lingua greca antica il termine compare in situazioni
relativamente eterogenee, se si tiene presente il significato specifico che oggi viene ad esso
attribuito. Nonostante ciò si tende, in generale, ad associare alla grecità l’uso che della
parola si è fatto nella teologia e nella filosofia successive, dando per scontata una
In realtà, piuttosto che con una coincidenza, si ha a che fare con uno sviluppo problematico,
che suscita il bisogno di capire come l’antico significato abbia una continuità rispetto al
nuovo o, inversamente, in che modo sia giusto riconoscere nell’inizio la premessa di quel
nell’impostazione invalsa, il senso dalla sua prima, decisiva manifestazione nella “chiarità
del mattino”.
9
«Il λόγος raccoglie ogni cosa in ciò che è generalmente fondato [gründed] e raccoglie ogni cosa a partire da
ciò che è unico giustificando la fondazione [begründend]». 2
metafisica”, si può guardare alla prima determinazione del problema, in “Essere e Tempo”:
qui il λόγος viene preso a tema nel suo rapporto con le nozioni, sopra presentate, di
giustificazione e fondazione.
Ciò che riceve giustificazione, in questo modo, è la verità intesa come adequatio
Contestando il presupposto della conoscenza tradizionale, vale a dire della verità come
dell’asserzione:
2
Identità e differenza, trad. di U.M. Ugazio, in «aut aut», 1982, nn. 187-188, pp. 2-37, p. 34
10
«Ciò che viene giustificato è l’essere scoprente dell’asserzione». 3
particolarmente sentita in essere e tempo, un dualismo del tipo body/mind, cui il concetto di
verità come copia richiama. A garantire la conoscenza di qualcosa non può essere una
processo psichico.
Il discorso del filosofo si trova già in partenza al di qua di un dualismo, presso l’ente, e
nella giustificazione si deve mostrare il mostrarsi dell’ente, ossia l’ente nel come della sua
manifestazione, l’ente in quanto tale, l’ente come lo stesso di sé, il medesimo. Tale
metafisico.
«Essa [l’asserzione] trova la sua verifica nel fatto che l’asserito, cioè l’ente stesso, si manifesta come il
medesimo. Verifica significa: manifestarsi dell’ente nella sua identità. La verifica ha luogo sul «fondamento»
dell’automanifestarsi dell’ente». 4
3
Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970 (XIV ristampa), p. 269
4
Ibidem
11
Il fondamento si collega alla manifestazione dell’ente, fonda perché dà l’appartenenza
dipendenza, già al livello pre-predicativo dell’in quanto apofantico –non “fonda” nel senso
Non è possibile un “fuori” del λόγος: la sua totalità coincide con l’orizzonte umano;
conoscenza. Nella misura in cui fondare e giustificare fanno parte del modo involontario di
Si può indicare la necessità di appartenere alla struttura del λόγος con il Wittgenstein delle
Ricerche filosofiche, riconoscendo che “il meccanismo che cerca un ordine è, per così dire,
sempre acceso”. Sarebbe tuttavia un errore pensare che l’involontarietà del λόγος ed il suo
essere una totalità includente definiscano o dicano molto a suo proposito: un’ampia
limite mai esperito, ma il fatto è che l’appartenere al λόγος non è inteso come un essere
incluso in un insieme geometrico, designa bensì il modo più decisivo in cui l’essere-nel-
mondo è articolato.
12
«L’asserzione, la sua struttura, l’in-quanto apofantico, sono fondati nell’interpretazione e nella struttura, cioè
nell’«in-quanto» ermeneutico e, più originariamente ancora, nella comprensione e nell’apertura
dell’Esserci». 5
Il fondare appartiene all’interpretazione delle cose, al vederle come ciò che sono e quindi,
primariamente a chi rende possibile questo processo: l’uomo. Vale a dire che l’apertura
Un’apertura può già dare l’idea di quale diverso significato di fondamento si abbia in vista,
Ciò che nella gerarchia dei rimandi delle giustificazioni si trova al punto originario, non è
sfondato fosse raggiunto. L’aspetto più rassicurante nella logica, il poter contare su una
certezza infrangibile, che può sopravvivere agli uomini e che è ha ricevuto una
legittimazione dai propri risultati quando è stata usata dal sapere scientifico, qui affronta un
abisso. Cosa può allora assicurare la verità, quando il modo di raggiungerla non è più un
5
Ivi, p. 274 (Corsivo mio)
13
In realtà niente può fornirla a buon mercato ed assicurarla, nel senso della certitudo propria
base alla propria esistenza, nello strano modo in cui un’apertura può essere un fondamento
«Questo coraggio dell’errore […] è cioè quello dell’intimo sacrificio del proprio se stesso nella capacità di
ascoltare e di imparare». 6
Il fatto che l’uomo, che non può estraniarsi dal λόγος, possa perdersi nell’errore indica che
Nel momento in cui il tradizionale “luogo della verità” appare tanto vero quanto falso, si
impone, prima di tutto, l’urgenza di chiarire come bisogna intendere l’esser vero e l’esser
falso.
«I nostri termini «vero» e «falso», «verità» e «falsità» non coincidono con il senso che i Greci davano alle
loro espressioni ̉αληθές - ψευ̃δος. Con queste espressioni i Greci intendono piuttosto qualcosa come: verità
uguale scoprimento o essere scoperto, e ψευ̃δος, falsità, uguale coprimento o simulazione». 7
6
Logica, il problema della verità, trad. di U.M. Ugazio, Mursia, Milano 1986, p. 82
14
La verità è presupposta. L’esserci è già nella verità perché è aperto e interpreta, non deve
sostrato, in un senso che non esclude paradossalmente la falsità di ciò che vi si manifesta.
Il modo di essere vero degli enti è in partenza anche falso, perché la verità, in cui ci si
completamente, rendendola del tutto separata, e la mostra nella maniera contraffatta della
parvenza.
Dunque la verità c’è, ma in modo travisato. Primariamente gli enti con cui si ha a che fare
si mostrano nel modo del coprimento. Ciò che è disponibile a “portata di mano” nasconde
tenacemente il proprio senso autentico e, di conseguenza, anche se si vive già sempre nella
verità, per poterla raggiungere si impone uno sforzo, che si traduce in un sovvertimento
aggressivo del modo di interpretare ciò che è dato, l’azione con cui ci si volge al
raggiungimento del senso autentico può essere associata ad un furto, come Heidegger
7
Ivi, p. 109
8
Fink mostra questa idea radicalizzandola nella lettura del il frammento 26 di Eraclito («L’uomo si accende
una luce nella notte, quando è spento nelle sue possibilità di vedere…»): “Il frammento allude all’instabile
posto dell’uomo fra notte e luce. E questo si rivela quando è capace di schiarire [lichten] la notte. L’uomo è
15
L’interpretazione degli enti non può quindi fare a meno di un continuo scavo che
nell’interpretare traccia un percorso completamente legato all’io che lo compie (può essere
un uomo come anche un popolo) e che nel fare questo conquista comunque un senso per la
prima volta, al modo di una creazione. La ricerca profonda, diretta “alle cose stesse”,
C’è coprimento, invece, nel momento in cui il legame diretto con il senso si allontana, fino
a perdersi del tutto. Nell’ovvietà generata dalla sicurezza, dal non bisogno di interrogare,
origine.
uno schema che si rivela –come egli ammette – ancora inadatto a cogliere la complessa
una sorta di prometeico ladro del fuoco”. Dialogo intorno ad Eraclito, trad. di M. Nobile, a cura di M.
16
Il filosofo riassume quindi tre opposizioni: sintetico-diairetico, scoprente-coprente,
affermativo-negativo.
La capacità denotativa delle distinzioni si rivela limitata perché esse non sono esclusive e
quindi non permettono di spiegare in base ad una suddivisione quello a cui sono riferite.
nostro tema nella sua generalità. I tratti della prima opposizione, in particolare,
soggiacciono alla base di tutte le altre e possono essere riscontrati tanto nella negazione e
nell’affermazione quanto nello scoprimento e nel coprimento. Viene infatti alla luce che la
Il mettere insieme del λέγειν viene pensato attraverso il raccogliere della σύνθεσις e
attraverso il separare del suo opposto, la διαίρεσις, nel modo in cui Sammeln ed auslese
apparente anomalia che si incontra nel riconoscere che c’è λόγος anche nella maniera del
coprimento:
17
«Il coprimento infatti è (in quanto tale) sempre un «mettere insieme» (De anima, 6, 430 b 1)». 9
«Il coprimento altrettanto quanto lo scoprimento avviene (sempre) nell’ambito del mettere insieme e del
separare (De interpretazione,1, 16a 12)». 10
Si è già notato che la pienezza del mostrare nel λέγειν è consentita dalla contestualizzazione
Nel comprendere siamo già sempre oltre le cose circostanti, il coglierle è quindi un
retrocedere che mette in rapporto con enti determinati nell’in-quanto di ciò che sono.
fondamentale dell’esserci, definito come “un retrocedere verso quel che viene in contro
9
Logica, il problema della verità, trad. di U.M. Ugazio, Mursia, Milano 1986, p. 91
10
Ibidem
18
«Ciò da cui proviene il significato dev’essere condotto al che-cosa della significazione e collegato con esso
(σύνθεσις), condurre e collegare in cui è nel contempo incluso che la provenienza del significare e la cosa da
significare siano presi separatamente e debbano restare separati nel compimento della significazione. Questo
collegare [Zusammensetzen] e questo condurre [Zusammenbringen] sono possibili solo nel tener-separati
[Auseinanderhalten], e, all’inverso, il tener-separati stesso è a sua volta possibile solo come questo
determinato tener-separati in un inafferrabile tener-insieme [Zusammenhalten]. Si vede quindi come il
significare di fatto si possa cogliere grazie alla struttura di in-quanto con l’aiuto delle determinazioni formali
della σύνθεσις e della διαίρεσις ». 11
Gli enti possono non essere interpretati nel modo giusto quando si contravviene all’ordine
di aggregazione in cui compaiono, in base alla loro natura, è un modo, questo, di chiudersi,
11
Ivi, p. 100
12
(Met. Θ 10, 1051 b 2-5) «Questo però, ossia lo scoprimento e il coprimento, consiste in riferimento alle
cose essenti nel fatto che tali cose giacciano (già) insieme o che siano prese nella loro contrapposizione,
cosicché scopre chi prende le cose contrapposte nel loro essere contrapposte e le cose che giacciono insieme
nel loro giacere insieme; mentre copre chi nel considerare qualcosa in quanto qualcosa, nel farla cioè vedere
parlandone, si comporta in modo opposto rispetto all’ente». Tradotto da Heidegger in Logica, il problema
19
L’avventura dell’interpretazione allora, il “salto”, non è del tutto disorientato, si deve
strutturare altresì come una scelta, nel “raccogliere”, diretta verso l’essere e la difesa
dall’apparenza.
Il problema si configura in una dicotomia, una scelta esclusiva tra le due possibili vie
colloca la scelta obbligata tra la via dell’essere, scoprimento, e quella del non essere,
nascondimento.
«La via dello scoprire è raggiunta solo nel κρίνειν λόγω, nella distinzione consapevole delle due possibilità e
nella decisione per la prima». 13
Il decidersi per l’una o per l’altra appare come una scelta riguardo al λόγος (κρίνειν λόγω),
scegliere stesso si avvicina qui alla determinazione del λόγος che distingue dando un ordine
gerarchico.
«E affatto non deve l’abitudine assai cattivante costringerti in questa direzione,/ sicché tu ti perda in un
guardare a bocca aperta, senza vedere, e in un ascoltare frastornante,/ in un parlare facondo; ma tu risolviti
13
Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970 (XIV ristampa), p. 274
20
distinguendo, raccogliendo insieme, e prospettandoti la rappresentazione del molteplice conflitto da me
offerta». 14
Questa è la via aperta sulla precarietà dell’essenza umana, la via cioè che si fonda
nell’apertura, e che diventa un percorso e non solamente uno spazio, solo nel momento in
cui raggiunge chiarezza, nella scelta, appunto, del modo fondamentale di essere dello
svelamento. Per poter dire tale chiarezza si deve essere giunti a vedere il rischio della
precarietà da così vicino che solo i più arrischiati possono essere dicenti, ciò spetta pertanto
ai poeti che hanno saputo cogliere il velamento dell’essere nella sua forma più radicale e lo
hanno riconosciuto come il senso profondo della nostra epoca: Heidegger risponde alla
domanda che Hölderlin pone nell’elegia Pane e vino (“perché i poeti nel tempo della
povertà?”) investendo chi pensa essenzialmente, in poesia, del compito di trasmettere agli
uomini un monito di salvezza che sorge dal fondo stesso del pericolo.
Heidegger lascia perciò che siano i versi di un poeta, Rilke, ad esprimere l’insicurezza
dell’esistenza dell’uomo:
«Come la natura abbandona gli esseri/ al rischio della loro sorda brama, e nessuno/ particolarmente protegge
nei solchi e sui rami,/ così anche noi siamo, nel fondamento primo del nostro essere,/ non particolarmente
14
(Traduzione heideggeriana di Parmenide) Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi,
21
diletti. Siamo arrischiati. Soltanto che noi,/ più ancora che pianta o animale/ su questo rischio andiamo, lo
vogliamo talvolta anche/ siamo più arrischiati (non per nostro vantaggio)/ della vita stessa;…
ciò che, infine, ci custodisce/ è il nostro essere senza protezione, e che noi/ ci siamo rivoltati
nell’Aperto,…». 15
L’uomo si trova di fronte ad un ente che si rifiuta, si ritrae. Egli si mantiene, in quanto
esser-ci, innanzi alla “rinuncia” all’ente ed esperisce, nel rifiutarsi dell’ente in mezzo alla
l’ente che è, per tanto la scelta tra la via dell’essere e quella del non essere ha il carattere di
una de-cisione, della quale abbiamo evidenziato il modo non procedurale del suo
Possiamo adesso, considerando la poesia di Rilke, determinare più a fondo il passaggio che
prendere.
15
Sentieri interrotti, a cura di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze 1997, p. 255
16
«L’accesso all’essenza ha sempre qualcosa di immediato e ricorda sempre il momento creativo, liberamente
scaturito. Per questa ragione parliamo di un balzo, anzi di un balzo preliminare nel farsi-essenza della verità».
Domande fondamentali della filosofia, Selezione di «problemi» della «logica», Mursia, Milano 2003, p. 144
22
Tale movimento si svolge tra due inizi. Il primo, da cui trae lo slancio, è quello in cui
l’accesso originario alla verità è stato concepito come correttezza. L’ομοίωσις, la verità -
già presente presso i Greci, sebbene nell’antichità essa fosse ancora ambiguamente
affiancata al suo fenomeno più originario, come si riscontra, ad esempio, nel libro Θ 10
completamente nella forza dell’inizio, che ha inteso la verità come correttezza, limitandosi
a portare alle estreme conseguenze quel primo fondamentale passo: non c’è stato alcun
radicale della profonda appartenenza metafisica dell’età delle macchine alla propria antica
origine. La mancanza dell’essere, nel “tempo della povertà”, è legata infatti a quell’oblio
iniziale che avvenne già – necessariamente – in Platone ed Aristotele. Di più: solo adesso
che dell’essere “non ne è più niente”, che è stata cioè dimenticata la mancanza dell’essere
in quanto mancanza, si può cogliere, nella risonanza di ciò che nell’inizio è rimasto
La nostra epoca storica ha il compito di porre la domanda sull’essere perché, nell’oblio che
guadagnato il punto più perspicuo sulla perdita. Allo stesso tempo, però, questa postazione
23
è anche la più “necessaria” nel porre la Seinsfrage: poiché il negarsi dell’essere si presenta
pensare l’essere in base alla necessità del suo abbandonare, senza riconoscere
storia della metafisica, bensì cogliendo il bisogno nell’essere, in sé, di andare via da sé.
dirige verso quello stesso momento in cui l’essere ha fatto la sua più fulgida comparsa
nascondendosi; si volge al primo inizio, eppure ciò a cui tende non potrebbe in alcun modo
essere una semplice ripetizione di quanto è già stato. Ciò che si ha di mira è, infatti, il non-
La meta è dunque un “altro inizio”, il quale coincide con l’appartenenza all’aperto cantato
da Rilke.
conseguenza, avere nella meta il principio autentico fa sì che si prenda fondo in qualcosa
che ancora non c’è, che può essere in qualche modo individuata sebbene manchi. Il
movimento assume così un sviluppo circolare mostrando una dinamica sottesa al passaggio
24
tra i due inizi, insita tanto nel fondare quanto, primariamente, nel modo in cui il nostro “ci”
conformità alla natura, all’ordine intrinseco, alla necessità, in base alla quale si lascia che la
filosofia sia fondante. Obbedire al destino rende il fondare, nel suo dispiegarsi,
l’aperto, pur essendo compiuto nella distanza rispetto a ciò che è primo, in questa distanza è
È stato già riconosciuto il fondamento ultimo nell’ apertura dell’esser-ci, l’aperto che viene
ora nominato, come suggerisce facilmente la parola, è da un lato ciò che viene dischiuso
all’apertura ma al contempo aggiunge qualcosa di non implicito nella forma verbale del
con la parola il non oggetivizzabile per eccellenza nonché l’appartenere all’evento del
25
dileguare indugiante dell’essere. L’insieme che prima si poteva cogliere nell’ordine di un
dall’oscurità che ne segue. Heidegger si orienta infatti verso l’evento come parola chiave
dell’entelechia, “aversi nella fine”. Eignung, per il filosofo tedesco, dice la dynamis
aristotelica, “attitudine” come “un modo di venire alla presenza”, quindi Er-eignis/Er-
eignung è “rendere possibile” che è solo in virtù del proprio divenire, solo in quanto “non
ancora” è “già”.
possibilità suprema.
delineato il contesto problematico a partire dal quale il λόγος viene pensato: «Il λόγος
raccoglie ogni cosa in ciò che è generalmente fondato [gründed] e raccoglie ogni cosa a
26
3 - Ordine e dovere
Al sorgere del significare noi ci troviamo per così dire a casa nel mondo: nell’insieme dei
collegamenti, dei rimandi che si mostrano già nel vedere senza guardare, viene affermato il
senso come sfondo, si cammina in esso come in un luogo, il mondo, appunto. Cogliendo il
solo ammettendo una differenza, tra le stesse cose, tale che la loro molteplicità non possa
Chiarificando la dinamica del λόγος Heidegger delinea un ordine. Ciò non avviene
di comporre una questione nella purezza di schemi teorici, ma ha una valenza ulteriore, non
scontata. Si tratta anzi di ordine nel modo più estremo, la cui costituzione implica forse la
distanza del filosofo rispetto agli scritti giovanili di Nietzsche e al suo Dioniso.
Nel comprendere emerge la mondità, cioè l’assetto del mondo, la comprensibilità è quindi
27
movimento, diventa ciò che è perché viene compreso in quanto ciò che è, ha una forma ed
del λόγος , sia quella originaria Heideggeriana potrebbero infatti essere espresse tramite
regola?
Viene colta generalmente una distinzione tra un regolatore ed un regolato, rispetto ai quali
si può intendere come “regola” tanto l’insieme di entrambi, considerati come esempio,
modello, quindi “norma” e perciò regola, quanto il rapporto che tra i due poli intercorre,
descrizione di tale comando, cioè una formula; oppure lo scaturire, l’essere in atto,
Del λόγος, come abbiamo precedentemente accennato, Heidegger non dice cosa
28
Alla domanda che chiede che cosa sia il λόγος , c’è solo una risposta adeguata. Per noi essa suona: o λόγος
λέγει. 17
Similmente, per una regola che fosse al punto estesa da coincidere con il tutto (al pari del
λέγειv) non sarebbe giusto dire cosa essa sia ma, per coglierne l’essenza, bisognerebbe dire
17
Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 150
18
Useremo, dopo le dovute spiegazioni, regola e legge come sinonimi. Heidegger, nel rivolgersi ad un ordine
originario, impiega in genere la parola “legge” (Gesetz), mentre con “regola” (Regel) si riferisce ad un ordine
positivo, come, ad esempio, quello scientifico. («L’inizio viene raggiunto solo quando noi facciamo
esperienza della sua legge, che non può diventare una regola, ma rimane unicamente di volta in volta l’unicità
del necessario». [Domande fondamentali della filosofia, Selezione di «problemi» della «logica», Mursia,
Milano 2003, p 38] o «la disciplina ha il sopravvento sulla «cosa» di cui la disciplina tratta. Ciò che è proprio
della «cosa» non lo stabilisce più la cosa stessa, la sua legge essenziale o il suo fondamento essenziale ancora
nascosto». [Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 154]). Della legge il filosofo parla anche a
proposito del principi del pensiero (Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 151) dove
In Italiano, tuttavia, non è possibile una traduzione della forma verbale di legge: essa suonerebbe “legiferare”
o “legalizzare”. Pertanto, quando – spesso –si vorrà significare il movimento ordinante, si userà il verbo
“regolare” o “ordinare”.
29
Non si vuole banalmente sancire l’insufficienza di ogni possibile descrizione riguardo ad un
infatti una struttura operazionale vuota riferibile ad un contenuto: tra la formula ed il suo
possibile materiale è presente una distanza perché si presuppone uno scarto tra un soggetto
È chiaro che lo stile di pensiero che qui gioca è quello della scienza moderna, e della logica
altrettanto ovvio che il problema della legge così intesa, a seguito dalla separazione
rispetto all’oggetto, non è sostanzialmente quello di una eventuale arbitrarietà nel compiere
il regolare nella sua vicinanza semantica al λόγος perché il “che cosa”, anziché essere
colto, viene appunto attribuito. In atri termini, attraverso la manipolazione operata dal
linguaggio della scienza la cosa viene resa comprensibile e quindi piegata all’uomo, o
30
meglio alla volontà dell’uomo – la stessa volontà che, ad un livello più profondo, per
Il legame tra il senso di regola che abbiamo menzionato per secondo e quello che si mostra
Infatti cifre, quantità nel loro rapporto, valori possono apparire come uno scheletro da
ma ciò che garantisce la funzionalità del processo è una necessità attiva "per costruzione".
Rivolgersi invece a ciò che nella regola è il puro regolare esclude in partenza un ruolo per
questa via, se cioè in un certo modo l’ordinare sia impensabile senza una costruzione che lo
sostenga. Una risposta può essere trovata nella trattazione heideggeriana del fondamento e
della giustificazione, i quali, in un certo senso liberano il λόγος per il suo raccogliere. La
19
«La tecnica è al tempo stesso l’organizzazione e l’organo che vuole il volere per il volere [Willen zum
Willen]. Le stirpi umane, i popoli e le nazioni, i gruppi e i singoli sono dappertutto soltanto voluti da questa
volontà e non certo di loro iniziativa, vale a dire non traggono da se stessi l’origine e il centro di questo
volere, bensì sono solo i suoi esecutori spesso perfino riluttanti». Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano
1993, p. 127
31
possibilità della terza accezione di regola è però sancita, ancora prima di ricorrere al
paragone con il λόγος –che non vogliamo presupporre –, se ad essere in questione è una
regola totale: l’ordine articolato non deve ricercare la propria origine in un soggetto
osservatore che istituisce un dovere poiché la legge è così estesa che cade essa stessa sotto
il proprio governare.
rispetto alla definizione aristotelica di uomo, da «άνθρωπος = ζω̃ον λόγος έχον» a «φύσις =
anticipatamente ogni possesso umano. La legge è il mondo stesso colto nel proprio
automovimento "vincolato".
Interpretando la regola nel suo vigere non si aggiunge nulla che non sia già parte del
qualcosa che unifica, o -per così dire- attraverso un filtro negativo, come l’essere unificato
di ciò che è unificato: il regolare avviene nel margine di ciò che è qualcosa. Il limite che
20
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
181
32
così viene costituito non è un semplice irrigidimento nella immobilità della sicurezza, ma
«il «fisso» ha qui il significato del delimitare, del lasciar essere nei propri limiti (πέρας), del tracciare un
contorno. Nel senso greco, il limite non imprigiona, ma, nel suo esser-prodotto, immette l’esser presente nella
sua apparizione». 21
Il regolare è dunque ciò che è nella differenza tra le cose che regola, originando allo stesso
cose, senza lasciare traccia, oppure, il che è paradossalmente lo stesso, sembra che siano le
cose a sparire, lasciando emergere solo il loro senso –ossia la coerenza, la regolarità che la
legge esprime. Se, dunque, per “limite” si intende una separazione, essa non può essere
situata tra la regola e le cose: la regola è in un certo senso sola, essendo le cose già regola
poiché il loro essere è posto dal senso che essa determina. Il significato di una legge,
21
Sentieri interrotti, a cura di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze 1997, p. 66
22
Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 151
33
quindi, non va inteso come il limite nel modo di un confine esterno, un contenimento, ma
al senso della regola. Questa totale alterità non è esperibile in sé, altrimenti sarebbe
percorso graduale, ma c’è un primo momento in cui il senso si da, per così dire, dal nulla.
ordine. Capire cosa sia l’Altro è pertanto precluso, ma il fatto che l’ordine e l’Altro
condividano il proprio margine permette di cogliere l’alterità dal punto di vista del per noi.
Ciò che è quindi misterioso e Fragwürdigste, nell’origine, riguardo alla legge, è proprio la
necessità che la fa essere tale legge. Questa costrizione è per noi il darsi dell’alterità e, al
Nell’analisi del λόγος, il dovere in questione sarà, allora, il criterio selettivo con cui leggere
la ricostruzione della storia della logica, e quindi della filosofia in toto, operata da
Heidegger.
34
Non ignoriamo che, nel raggiungere questo punto di vista, venga compiuta una
chiarito, infatti, a partire da una delle diverse accezioni del regolare. Tale scelta, tuttavia,
non è dettata dal bisogno di cercare un sinonimo che sostituisca la nostra parola guida,
sebbene anche una traduzione – qualora possibile – potrebbe essere utile a spiegarne il
significato; ma si fonda sulla convinzione che la restrizione del campo semantico compiuta
Non ignoriamo neanche che il filosofo rifiuta l’interpretazione del λόγος come “legge
universale”, ma non è a tale concezione che ci si riallaccia. Riferendoci al regolare nella sua
purezza, il concetto di legge viene inteso tramite una precisazione, una correzione: (1) la
legge non è costruita, non è positiva; (2) è l’apparire del suo ordinare “dal nulla”, senza un
appiglio a qualcosa che la preceda; (3) non è usata, perché non è applicabile né nel senso di
νομός, né nel senso strumentale del paradigma scientifico, che la impiega per penetrare
normativo, quanto quello originario; per mezzo di essa il λόγος viene posto in prossimità
dell’ambigua origine da cui si è sviluppato, nella storia della filosofia, anche l’orientamento
35
3.2 La mancanza dell’essenza del regolare nella filosofia occidentale
Il λόγος nell’antica Grecia aveva una gamma di significati molto vasta, alla cui radice
Ma è di primaria importanza anche il suo valore di linguaggio (per cui non esiste alcuna
“enunciato”.
Insieme, poi, alla designazione di questo o quel singolo significato, nell’uso del termine si
prevede un riferimento a qualcosa rispetto a cui il termine agisca, in virtù della costruzione
“λόγος τινός”. Viene così richiamato il carattere ostensivo legato all’ispirazione profonda
del λέγειv.
All’interno della filosofia, il λόγος indica specificamente uno dei tre ambiti in cui si
struttura la conoscenza: επιστήμη λογική, accanto alla επιστήμη φυσική ed επιστήμη ηθική.
La tripartizione, secondo Sesto Empirico (Adv. Mathematicos VII, §16), fu esplicitata per
la prima volta da Senocrate, sebbene, di fatto, essa veniva rispettata già a partire da
Platone. 24
23
Cfr tesi, II.
24
Logica, il problema della verità, trad. di U.M. Ugazio, Mursia, Milano 1986, p. 5
36
Fino ad oggi questa suddivisione rimane generalmente valida, tuttavia l’ampiezza e la
profondità che si dischiudono alle attuali dottrine della fisica, dell’etica e del λόγος
(φύσις, η̃θος, λόγος) sono state oggetto nel corso della storia.
Allo scarto generato dalla differente interpretazione dei nomi delle varie “scienze”, va poi
aggiunto l’ulteriore mutamento di prospettiva che investe anche il loro stesso essere
«Che cosa significa επιστήμη? Il verbo corrispondente è επίστασθαι, vale a dire porsi qualcosa di fronte,
trattenersi presso di esso e stargli davanti affinché si possa mostrare. […] Traduciamo quindi επιστήμη con
«avere un sapere di qualcosa» [Sich-auf-etwas-verstehen] ». 25
differenza fondamentale rispetto alla conoscenza antica, nonostante tra le due concezioni ci
In un modo che bisogna approfondire c’è infatti ancora un nucleo di επιστήμη nella
25
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, pp. 126-7
37
Nell’etimo di τέχνη risuona il verbo τίκτω (generare), il quale pone in risalto l’aspetto del
“portare fuori” proprio di una generazione (ciò si rileva, ad esempio, nella parola
progetto» 26 ).
A differenza del generare naturale, però, τίκτω è usato in Greco per indicare un’attività
creatrice tipicamente umana, per mezzo della quale qualcosa viene posta nel non
nascondimento, e non scaturisce unicamente da sé, nella maniera della natura. Essendo
τίκτω questo immettere, la tecnica è l’orientamento che lo dispone e che, come proprio
una capacità, simile ad una astuzia, che non ha nulla a che vedere con la moderna
26
Ivi, p. 133
27
Nel “sapere” della τέχνη rientrano contemporaneamente arte, mestiere, abilità e furbizia, come avviene, ad
Nell’attuale comprensione della tecnica, sono ancora mantenute alcune di queste sfumature, tuttavia si può
cogliere una opposizione totale tra antico e moderno laddove nel primo si indica una manualità, mentre nel
38
Come si è posta allora, alla luce del senso greco di scienza, l’επιστήμη λογική?
La filosofia ha elevato a sistema una dinamica già presente nell’esperienza generale del
In base alla struttura del λόγος-τινός, nello stabilire, nel contrapporre, nel misurare
l’ente con ragionevolezza è al contempo far vedere ciò a cui ci si riferisce, nel suo essere
compreso.
In egual modo, nella scienza logica, si manifesta una necessità di fornire ragione, λόγον
διδόναι.
Il corrispettivo filosofico del comune bisogno di giustificazione però, è molto di più di una
semplice versione teorica di un uso della lingua. Piuttosto l’impostazione data dal pensiero
La tecnica alla greca è anche, più in generale, uno dei tratti dello stile di pensiero heideggeriano, riconosciuto
da Derrida nell’ “artigianalità”, del tutto particolare, con cui si dispiega. (Confronta La mano di Heidegger, J.
39
fine della filosofia greca e l’inizio della metafisica. Il senso del dare ragione è dunque
dipeso da tale determinazione, e più in particolare dal modo in cui è stata posta la domanda
metafisica fondamentale sulla verità: non è stata interrogata l’essenza della verità, bensì
«il vero sul quale sono posti il nostro agire ed il nostro essere». 28
In questo contesto la verità come adeguatio prende forma, ma non viene però fondata, non
dimostrare l’esser vero dell’ ομοίωσις, poiché egli viveva dentro alla verità in cui tale
dell’essenza.
rispetto alla cosa è precedente e ciò che le soggiace in quanto fondamunto; ma la risposta
28
Domande fondamentali della filosofia, Selezione di «problemi» della «logica», Mursia, Milano 2003, p. 35
40
più propria al “cos’è”, nonché la formulazione più carica di conseguenze per la storia della
«L’essenza è quel qualcosa che è. E quel che il caso di volta in volta singolo è lo incontriamo come quel che,
nel rapportarci a questo singolo caso, di volta in volta abbiamo nello sguardo. […] Una cosa è vista quando si
vede cosa essa sia, il che cos’è, l’essenza. L’essenza di una cosa è quindi l’«idea», e inversamente: «l’idea»,
ossia la cosa quando è vista in questo determinato senso, l’aspetto offerto dalla cosa in quel che essa è, è
l’essenza della cosa». 29
È chiaro che, in conseguenza di queste premesse, una fondazione nel senso consolidato non
esiste:
«Fornire […] la prova, mostrando nella sua essenza la cosa stessa nominata, è ovviamente il modo più sicuro
ed immediato di procurare all’enunciazione il fondamento su cui poggia quel che essa dice, coincidendo quel
che essa dice con quel che si è anticipatamente mostrato». 30
Per provare ciò che ai Greci era già chiaro, si ricorre quindi all’idea, cercando in essa una
base per il fondare che è originariamente volto all’aperto, ma il dare fondo consisteva
29
Ivi, p. 52
30
Ivi, p. 59
41
appunto, in quanto idea, nel condurre anticipatamente allo sguardo l’essenza, portandola
Si può ora cogliere come il τίκτω a cui Heidegger collega l’ επιστήμη abbia, nel processo
dal velamento.
A causa della propria particolare posizione nel-mezzo dell’ente, come il custode del non-
nascondimento, l’uomo non si può adeguare alla misura della φύσις con l’essere
presuppone un distacco nei suoi confronti, sebbene, attraverso di esso, sia alla natura stessa
che ci si volge.
La tecnica quindi è il sapere che comprende la cosa nel suo manifestarsi a partire dal
velamento, vale a dire, il sapere che coglie l’aspetto, l’ει̃δος, l’idea, tramite un produrre ed
Il modo di procedere di questo sapere però può non dirigersi solo verso la comprensione
della φύσις:
31
Heidegger riassume in una sentenza il proprium dell’approccio greco: «Gli antichi greci pensano con gli
occhi, ossia con gli sguardi». Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, pp. 141-2
42
«Nell’essenza della τέχνη come l’avanzante ed allestente lasciar-imporsi il non-nascondimento dell’ente,
essenza richiesta dalla φύσις stessa, c’è la possibilità dell’autonomia, della posizione di fini diversi e quindi
dell’uscita della svolta necessaria della necessità iniziale». 32
criterio e con l’oblio della verità come Ά-λήθεια, della quale si perde sia la tonalità emotiva
fondamentale sia la sua traccia nel linguaggio (si pensi alla veritas latina e alla Wahrheit
tedesca).
L’autonomia della tecnica, rispetto a ciò a partire da cui, in precedenza, riceveva la misura,
investe l’idea del compito di fornire la misura a sua volta e di essere quindi un modello, un
metro. Ma assumendo preliminarmente che sia ora un criterio in quanto tale a dare
all’evidenza prodotta da un altro criterio; ed il canone dei canoni, l’idea delle idee a cui in
tradizionale:
32
Domande fondamentali della filosofia, Selezione di «problemi» della «logica», Mursia, Milano 2003, p.
127
43
«Il significato autentico di αγαθόν: ciò che è idoneo a qualcosa e rende idoneo qualcos’altro con cui si possa
iniziare qualcosa […] non ha niente a che vedere con il significato del bene morale». 33
«L’αγαθόν è il normativo come tale, ciò che conferisce all’essere la potenza di essere (wesen) come idea
come modello». 34
Nel criterio, che ha così perduto il legame rispetto alla necessità iniziale, non si verifica
però un’assenza di necessità, ma una diversa disposizione di essa: il modello impone infatti
fatta esperienza dell’ Ά-λήθεια: l’idea non è più la suprema ostensione dell’essere, nella cui
verità l’uomo si trova preliminarmente, ma è il criterio a cui l’essere deve ognora innalzarsi
per ottenere una legittimità che, invece, non gli è più riconosciuta.
Finalmente il ribaltamento compiuto dall’ επιστήμη λογική ci pone di fronte alla comparsa
di quel “dovere” –tratto originario del regolare – che abbiamo posto come criterio selettivo
33
L’essenza della verità, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1997, p. 133
34
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
201
44
La limitazione dell’essere rispetto al dovere, per il filosofo, “appartiene interamente all’età
solo una lontana prefigurazione. A differenza delle altre tre limitazioni 37 , che furono
riconoscibili già a partire dall’aurora del pensiero occidentale, questa prese piede
storicamente più tardi, eppure anch’essa, come le altre, appartiene in modo insolito
all’essere:
«Avvertiamo in queste formule qualcosa di pertinente in certo modo all’essere, proprio in quanto da lui
differente, perlomeno come suo «altro»». 38
«è l’essere stesso che, proprio per via della sua specifica interpretazione come idea implica il riferimento a
qualcosa di esemplare, di dovuto». 39
35
Cfr. tesi, III, § 1, p. 33.
36
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
105
37
Essere e divenire, essere e apparenza, essere e pensiero.
38
Ivi, p. 103
45
L’obbligo percepito dall’uomo viene giustamente esperito, per la prima volta, solo quando
la verità non è più presupposto ma risultato, e ciò avviene perché quello che si esperisce
Ciò nondimeno una coniugazione di obbligo va ammessa come “pertinente in certo modo
all’essere”, fin dall’inizio, in quanto possibilità della propria estraneità, nello stesso modo
supporre che fosse egualmente efficace – ma non emergeva, poiché era inevitabilità, stato
di cose. Il vincolo di ciò che semplicemente si dà non può essere percepito come dovere:
una opposizione, una resistenza, un “no” insomma, solo a seguito del quale diviene
possibile interrogarsi sul senso della negazione ricevuta, e quindi sulla necessità del suo
prodursi.
39
Ivi, p. 201
46
«Quando qui parliamo della necessità come di quel che rende necessario quel che è dotato, nella sua necessità,
della struttura più alta, non intendiamo parlare di miseria e di carenza. Tuttavia pensiamo a un non, a qualcosa
che contiene una negazione». 40
necessità).
alla ricerca di un carattere di dovere, che appartiene all’essere del λόγος . Come risultato,
però, il carattere in questione è apparso, fin dall’inizio, in una forma derivata, positiva,
La prima conseguente considerazione è che “dovere” non è la parola con cui il filosofo
designa quello che cerchiamo –ammesso che egli dia a ciò una parola, e che quindi essa
non diventi necessaria solo in una tesi su Heidegger (una interpretazione potrebbe infatti
40
Domande fondamentali della filosofia, Selezione di «problemi» della «logica», Mursia, Milano 2003, p.
108
47
scuotere, 41 per comprendere, il linguaggio heideggeriano, il quale si riassesterebbe, per
Non è infatti nostra intenzione ignorare le diverse prospettive, i diversi interessi alla base
intendiamo pertanto scegliere l’una strada anziché l’altra. Ciò non sarebbe neanche
possibile, poiché tali diversi punti di vista non sono contraddittori ma coesistono
corrispondendosi.
Per di più, oltre a non poter trovare una formulazione originaria della cogenza
Kant. L’impronta del XVIII secolo incide infatti profondamente tanto sul percorso della
filosofia in generale, quanto sulla logica nel suo rapporto con la metafisica. 42 Così il
41
Cfr. Gesamtausgabe LXV, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), Klostermann, Frankfurt am Main,
1989
42
«La «rivoluzione» del modo di pensare operata da Kant in filosofia, ha trovato il suo compimento proprio
nell’ambito della logica». «Il passo decisivo […] è il passaggio dalla logica tradizionale ad una nuova
48
dovere, sebbene non sempre esplicitamente, risulta definito nel sistema della conoscenza ed
Rivolgiamo dunque l’attenzione al modo in cui Heidegger situa Kant all’interno del
L’interprete parte dal “respectus logicus”, l’”è” posta tra soggetto e oggetto, e osserva un
iniziale appiattimento della copula sul senso di relazione. Successivamente, però, individua
nella la prima critica, in risposta alla problematicità delle proposizioni assolute (del tipo
“Dio è”), una nuova determinazione dell’essere, riferita significativamente ad una unità
logica:
«la particella copulativa “è” mira appunto a distinguere l’unità oggettiva di rappresentazioni date, dall’unità
soggettiva». 43
«logica», a cui Kant assegna il nome di «logica trascendentale»». «Esplicitamente o implicitamente essa [la
logica] è soprattutto la via e la dimensione del pensiero metafisico». Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia,
43
Segnavia, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, p. 407.
49
[L’appercezione] «contiene il fondamento stesso dell’unità di diversi concetti in giudizi, e perciò [il
fondamento] della possibilità dell’intelletto, persino nel suo uso logico». 44 (Critica della ragion pura)
Nel a priori, a cui si allude nel punto 1, sentiamo risuonare il vedere-di-vedere proprio
dell’ιδει̃ν greco, nel quale si è arroccato il senso di criterio, mentre nel punto 2 viene
“la x che è solo pensato come ciò che sta a fondamento dell’oggetto fenomenico”. L’essere
è così separato dalla ragione e per essere esperito, conoscibile, per avere alcun valore, deve-
«L’essere e le sue modalità devono potere essere determinati a partire dal loro rapporto con l’intelletto». 46
44
Ivi, p. 408
45
Ivi, p. 409
46
Ibidem (corsivo mio)
50
Più in generale, tuttavia, questa determinazione dell’essere si verifica sullo sfondo di quella
comprensione metafisica che oppone un essere degradato, visto come natura appetitiva, al
Heidegger, analizza “i postulati del pensiero empirico in generale” di Kant per spiegare
“propriamente le modalità dell’essere” nel pensiero critico. Egli considera tali postulati
«Tralasciando il chiarimento del titolo «postulati», ricordando però che questo titolo si ritrova nel punto più
alto della metafisica kantiana vera e propria, là dove si tratta dei postulati della ragione pratica». 48
Ossia nel punto in cui viene posto al vertice della filosofia una nozione di libertà
inseparabile dalla stretta necessità di attenersi ad una legge. Vedremo in seguito che questa
idea si rivelerà utile a fare chiarezza sulle nozioni heideggeriane di necessità e di libertà.
Il passo successivo, ed ultimo, viene compiuto nel XIX secolo: l’essere inteso al modo della
filosofia critica, ossia l’oggetto sperimentabile per le scienze, viene interpretato come
valore.
47
Ivi, p. 412
48
Ivi, p. 413
51
Si ribadisce quindi più direttamente il ruolo del dovere in quanto criterio base :
«Il dovere deve sostenere la sua pretesa. Deve tentare di fondarsi in se stesso. […] Qualcosa come un dovere
non può che emanare da ciò che in se stesso è in grado di avanzare una tale pretesa, da ciò che ha in sé un
valore, che è esso stesso un valore». 49
tuttavia si finisce proprio con l’identificare i due opposti. Platone intese l’essere come idea,
l’idea come modello ed il modello come ciò che dà la misura; il valore così, dal momento
che dà una misura, viene equiparato all’essere. In realtà però esso esprime solo una vaga
confusione ontologica è ormai radicata –già il sottotitolo del suo progettato opus magnus,
tutti i valori”.
49
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
202
50
Ivi, p. 203
52
4 - Il progetto di una ridefinizione del pensiero rigoroso ed il confronto con il ragionamento
normativo
Nel primo paragrafo abbiamo equiparato il mettere insieme ad un ordinare, la cui necessità
si è mostrata degna di essere domandata. Nel secondo abbiamo osservato che la necessità
del λέγειv viene posta in modo autonomo dalla componente tecnica del sapere filosofico.
Esaminiamo ora le conseguenze concrete di questa posizione nel tipo di ragionamento che
ne risulta determinato.
occidentale ha rivelato una specificità, che la ha distinta rispetto allo stile di pensiero delle
altre civiltà, nonché rispetto agli stessi pensatori greci dell’origine; e ha avuto anche
un’unità, che ha accomunato tutte le sue tappe interne, mostrandosi in pensatori e stili di
a Nietzsche. Heidegger riconosce –o “pone”, a seconda dei punti di vista – questo carattere
L’impiego ampliato del nome della “filosofia prima” lascia già intendere che il filosofo
53
considerare il modo essenziale in cui essa determina il dispiegarsi del pensiero occidentale,
ci rivolgiamo quindi al suo essere fondativa –vale a dire, al suo rapporto con il λόγος.
In quella che si può interpretare come una semplice fuga dall’arbitrio, o come la più folle
Abbiamo visto, nel paragrafo precedente, come l’interpretazione del λόγος subisca un
giustificazione (λόγον διδόναι) si adegua infatti all’idea secondo il dovere che da essa
per eccellenza, ossia la logica, una costruzione formale perfetta che serve ad ottenere la
54
È proprio a tale disciplina che la metafisica è legata indissolubilmente fin dall’inizio, 51 ed è
contrario, la dottrina del corretto pensare segna, a suo parere, una decadenza rispetto al
λόγος originario.
Anch'egli afferma (1) il bisogno di un pensiero opposto nel modo più netto all'arbitrio, e (2)
che questo pensiero per essere tale debba essere necessario, dovuto, sia soggetto quindi a
una coazione rispetto ad una legge inaggirabile. L’ambito a cui si volge è però un punto di
confine, che può dialogare ma non si identifica propriamente con la metafisica: il λόγος di
Eraclito.
Ci chiediamo dunque: in cosa viene alla luce l’insufficienza della logica? E quindi quali
La questione non si riduce ad un discorso sul metodo ma gli esiti di tali domande
coinvolgono la filosofia nel suo insieme. D’altronde stabilire concretamente il modo in cui
51
«Si può dire che cos’è la metafisica solo chiarificando l’essenza della «logica». Ma nello stesso tempo è
vero anche l’opposto: che cos’è la «logica» si chiarisce solo a partire dall’essenza della metafisica». Eraclito,
55
margini rispetto alla metafisica, è un tema fortemente sentito da Heidegger, come
«Comment sauver l’élément d’aventure que comporte toute recherche sans faire de la philosophie une simple
aventurière?». 52
compiuto, nei semestri estivi ’43 – ‘44, di giungere ad una logica originaria attraverso
«Il semplice intento di questo corso di lezioni è quello di raggiungere la «logica» originaria. La «logica» è
però originariamente il pensiero «del» Λόγος, se ad essere pensato è il Λόγος originario e se quest’ultimo nel
pensiero è presente per il pensiero stesso». 53
52
Domanda rivolta ad Heidegger da J. Beaufret, riportata in Lettera sull’«umanismo», M. Heidegger,
53
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 122
56
Prima di poter entrare nel merito dei frammenti eraclitei è necessario presentare la
distinzione tra le due dottrine, ma spingeremo l’esame solo fin dove ciò è richiesto dal
Prenderemo quindi le distanze dalla logica usando il suo stesso stile: formalizzando in una
pensiero del filosofo e “lo studio dei metodi e dei principi per distinguere il ragionamento
corretto da quello scorretto”. 54 Solo a partire da questa analisi sarà possibile, nei capitoli
corretto pensiero, prima ed indifferentemente da una sua eventuale applicazione alle cose.
Una premessa dell’approccio logico è dunque il distacco di ciò che è pensato da ciò che è.
54
(Manuale di logica): Introduzione alla logica, Irving M. Copi e Carl Cohen, Il Mulino, Bologna, 1999, p.
19
57
«La logica, come enucleazione delle leggi del pensare e come istituzione delle sue regole, non ha potuto
nascere se non dopo che la separazione fra essere e pensare si era già compiuta» 55
Tale distacco a livello storico, si può far risalire all’organizzazione del sapere nella scuole
ragionamento.
Heidegger, che ha spesso insistito sulla necessità di imparare a pensare, nel corso del
Per raggiungere il senso autentico della logica e criticare la concezione invalsa, egli
riconduce la dottrina del λόγος al λόγος stesso e quindi allo stadio del pensiero occidentale
in cui
55
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
130
56
Logica, il problema della verità, trad. di U.M. Ugazio, Mursia, Milano 1986, p. 10
58
La fenomenologia si è candidata a diventare una strada percorribile per fornire una visione
in grado di dare conto della compenetrazione dei due livelli ontologici, mostrando tanto i
contenuti noematici e le oggettualità in cui questi ultimi vengono costituiti, quanto gli atti
noetici costituenti.
Per allontanarsi dall’arbitrio che appartiene tanto ad una normatività positiva quanto ad una
semplice descrittività –che presuppone delle norme anche quando si vuole attenere al dato
oggettivo – Heidegger progetta negli anni venti di portare la fenomenologia alla vita. Il
motivo di una “ermeneutica della fatticità” è la persuasione che il rigore del pensare sia
La maggiore prossimità tra i due piani ontologici viene riscontrata nella grecità: allora la
57
Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 189
58
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
132
59
Φύσις è, per Heidegger, la parola con cui i Greci dicono l’essere. Per gli antichi l’essere ed
il λόγος sono il medesimo, come Parmenide afferma nel frammento V (τò γάρ αυτò νοει̃ν
La coappartenenza dei termini nel medesimo, però, non si esaurisce nella mera uniformità
«La logica nomina in questo caso il luogo in cui di volta in volta si accende la contesa originaria tra pensiero
ed essere». 59
de-cisione che nel λόγος deve dare, in qualche modo, prova di sé.
« Λόγος non può qui ora significare l’insieme raccolto (die Gesammeltheit), come connessione dell’essere,
ma, in quanto tutt’uno con l’apprensione, deve indicare quell’atto di violenza (umano) in forza del quale
l’essere viene raccolto nel suo insieme». 60
59
Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 189
60
Introduzione alla metafisica, traduzione di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mursia, Milano 2000, p.
175 (“qui ora” si riferisce al primo verso del sesto frammento di Parmenide)
60
diventa palese quando un atto umano si procura l’ordine, sebbene esso non faccia altro che
approfittare della possibilità insita, fin dall’inizio, nella libertà di riconoscere e scoprire il
senso, ossia di ubbidirgli. L’atto umano che si rappresenta “una logica” ha il fondamento
Per “violenza” intende solo la forza del distacco, il modo autentico di praticarla consiste
In conclusione
«Il pensiero non è mai anzitutto «logico» perché segue le leggi del pensiero, bensì queste leggi esistono come
principi perché il pensiero è per natura «logico», cioè ponente fondamento (Grund-setzend), ed è così rinviato
al fondamento, vale a dire al λόγος inteso come l’essere dell’ente». 61
Per il pensare, dunque, l’essere logico non è l’istituzione di una struttura migliorativa, ma è,
in realtà, l’osservanza del Λόγος, vale a dire il riscontro della medesimezza di essere e
61
Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 189
61
2 - Un pensiero riflettente, non deduttivo
Il riflettere appartiene al pensiero in quanto tale, ed è quindi comune tanto alla filosofia
intorno a se stesso, ora in senso alto ora basso. 62 Egli ricorre all’immagine di un rilucere
Nello specifico, per il ragionamento dell’età moderna, che si preannuncia nell’ ιδέα e che
all’indietro”:
«Da un lato ciò [la riflessione] significa ripiegamento (Rüchbeugung) su se stesso. Nella misura in cui il
pensiero, in quanto rappresentare, rappresenta qualcosa, in un certo modo appare a se stesso in ciò che è da
esso rappresentato e vi trova l’occasione per ripiegarsi all’indietro (sich zurüchbeugungen), cioè riflettersi sul
suo stesso rappresentare». 63
diverso senso di riflessione che immette il pensiero nella relazione al proprio riflettere
(ripiegarsi):
62
Ivi, p. 178
63
Ivi, p. 176
62
«Viceversa, nella misura in cui il pensiero è esperito in quanto rappresentare che pone innanzi a sé e porta
verso di sé ciò che è presente, al pensiero appartiene la relazione riflessiva (Rückbeziehung) con se stesso,
vale a dire la riflessione». 64
della profondità stessa come suo elemento. Die Tiefe infatti non viene pensata in
«Se però esiste qualcosa come un «superamento» della forma moderna della riflessione, ossia della riflessione
della soggettività, questo superamento diventa possibile solo mediante un’altra riflessione». 65
Questa riflessione si dirige a ciò per cui l’uomo ha una inclinazione e da cui egli è amato ed
attratto. Ciò rivolge all’uomo un appello che lo richiama all’amore per la propria essenza
(nel senso che chiede che essa sia mantenuta). L’origine del richiamo è tenuta e tiene
nell’essenza solo se l’uomo la ri-tiene, non la lascia cadere dalla propria memoria.
Quello che nel più profondo si ama è quello che deve essere considerato (das zu-
64
Ivi, p. 177
65
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993. p. 139
63
Il pensiero rammemorante (Andenken) schiude l’accesso al pensiero profondo.
«Se però pensiamo agli oggetti nominati in quanto cose, cioè li esperiamo rammemorando, essi non ci
rinviano alle nostre prospettive e rappresentazioni, bensì accennano a un mondo in base al quale sono ciò che
sono». 66
cioè l’inferenza, conduce efficacemente alla verità solo se quanto conclude è già implicito
nelle sue premesse. La verità suprema è così l’autocoincidenza di una tautologia in senso
«Solo nella dimensione della dialettica vengono completamente alla luce il perché e il modo in cui il pensiero
è riflessione». 67
66
Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 177
67
Ivi, p. 116
64
La dialettica si è affiancata alla logica fin dall’inizio, in modo tale che anche a livello
linguistico, come ricorda il filosofo, “il greco λέγειv rimane presente nel nome
«dialettica»” 68 . Alla luce di questa presenza, il senso di διαλέγεσθαι viene indicato come:
««Percorrere qualcosa mettendo insieme». Questo legen che percorre tutto, si dice in tedesco überlegen, che
significa: «meditare su qualcosa e in tal modo attestare (belegen) ciò che è pensato»». 69
un ambito in cui il pensiero raggiunge se stesso: è il cogito ergo sum, con il quale, secondo
«Ogni dialettica è il tentativo di integrare questa limitatezza del pensiero […], vale a dire di determinare il
pensiero in base a un intero della sua essenza razionalmente intesa. Tuttavia tale intero rimane pur sempre in
ultima analisi la luce senz’ombra della ragione e della soggettività assolutamente certa di se stessa». 70
Il merito più grande della dialettica, riscontrabile in un certo senso già in Platone, quando
68
Ivi, p. 138
69
Ibidem
70
Ivi, p. 175
65
negativo. È alla “forza del negativo” che Hegel imputa il movimento del proprio pensiero,
Come già emerge in Essere e tempo, la negazione non si radica al livello di un rapporto
difettivo tra gli enti, ma è il “no” che arriva all’esserci dal proprio silenzioso e angosciato
«Essere fondamento di un essere che è determinato da un «non», cioè essere fondamento di una nullità». 71
C’è dunque una negazione, la più fondamentale e spaesante, nello stesso abbandono
dell’essere.
Ciò segna la lontananza di Heidegger dal superamento del negativo che si verifica quando,
della tragedia in Nietzsche, la critica mossa dal maestro dell’eterno ritorno alla catarsi
71
Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970 (XIV ristampa), p. 343
72
Cfr. punto 6
66
aristotelica: in essa manca un avvicendamento delle passioni volto alla soluzione finale, ma,
al contrario, viene affermata l’appartenenza del terribile al bello. 73 Il pensiero tragico viene
del pensiero non si radica per Nietzsche nella pace della chiarezza ma nella massima
inquietudine, è sotteso alla differenza tra le forze. 74 Similmente per Heidegger il pensiero
ha il suo elemento nella έρις 75 , e non tende a una possibile conciliazione ma mantiene il suo
insuperabile legame al negativo. L’ultima citazione che chiude il discorso di rettorato può
«Tutto ciò che è grande… è nella tempesta». 76 (Platone, Politeia 497 d,9)
73
Nietzsche, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2000, p. 237
74
«Sappiamo già che la vita psichica non è la trasparenza del senso né l’opacità della forza, ma la differenza
nel lavoro delle forze. Nietzsche diceva questo». J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Venezia
1999, p. 260
75
«La lotta è il cangiante e consapevole auto-esporsi dell’essenziale […]». L’autoaffermazione dell’università
76
L’autoaffermazione dell’università tedesca, il melangolo, Genova 2001, p. 45
67
La logica e la dialettica componendo l’opposizione, l’instabilità, la contraddizione,
loro attenzione dall’esperienza autentica del “non”. In questo modo alla razionalità è
dell’eterno sorgere tramontante della φύσις. La mancanza del bisogno di superamento viene
dunque sancita con la massima decisione, come testimonia anche il paradosso che vede la
circolarità logica diventare addirittura, per il filosofo, il segno che si è raggiunto il punto in
Questa antitesi ripropone la differenza tra tecnica moderna e poesia: da una parte si è soliti
vedere l’affidabilità dello strumento e dell’altra l’azzardo del “soggettivo”. In realtà però
una simile impostazione nasconde, secondo Heidegger, il rischio insito nella tecnica, il
pericolo per eccellenza, che consiste nel fraintenderne il significato essenziale. L’essenza
suo ordine al mondo e all’uomo, invertendo i ruoli di comando. Attraverso di essa tutto
viene incontrato come un “fondo”, 77 e l’uomo stesso diventa una “risorsa umana” 78 .
77
Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 12
68
Per quanto riguarda il significato della poesia, invece, non ci si rifà all’accezione letteraria
(Poesie) della parola, ma al poetare (dichten) che intende quel modo in cui per un popolo si
«La Poesia [Dichtung] qui è pensata in un senso così ampio e, ad un tempo, in così intima ed essenziale unità
col linguaggio e la parola, da lasciare aperta la questione se l’arte, in tutte le sue maniere, dall’architettura alla
poesia [Poesie], esaurisca veramente l’essenza della Poesia [Dichtung]». 79
senso dell’ethos. L’uomo è già sempre legato immediatamente alla poesia, ma rimane da
individuare cosa essa nomini a livello originario. Heidegger lo indica citando Platone:
«Ogni far avvenire di ciò che –qualunque cosa sia – dalla non-presenza passa e si avanza nella presenza è
ποίησις, produzione (Her-vor-bringen)». 80
78
A tal proposito viene detto: «L’uomo è l’impiegato (der Angestelle) dell’ordinare […] L’uomo è ora colui
che è ordinato nell’ordinare in base a esso e per esso». Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano
2002, p. 53
79
Sentieri interrotti, a cura di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze 1997, p. 58
80
Platone, Simposio (205 b), tradotto da Heidegger in: Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano
1976, p. 9
69
Abbiamo già incontrato il pro-durre a proposito della τέχνη greca. Tentiamo quindi di
«Il disvelamento che governa la tecnica moderna […] non si dispiega in un produrre nel senso della ποίησις.
Il disvelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione (Herausfordern)». 81
Lo scarto presente tra la tecnica quale la esperiamo noi oggi e la sua versione antica può
apparire incolmabile, ma per il filosofo, stante il cambiamento, in entrambi i casi ciò che
«Ora, quell’appello provocante che riunisce l’uomo nell’impiegare come «fondo» ciò che si disvela noi lo
chiameremo il Ge-stell». 82
«Il Ge-stell come essenza della tecnica moderna deriva dal lasciare lì dinnanzi (λόγος) come lo intesero i
Greci, dalla ποίησις a dalla θέσις greche. Nel porre [stellen] di questo secondo Ge-stell, cioè, ora, nella
richiesta di porre ogni cosa in uno stato di sicurezza, si annuncia l’esigenza della ratio reddenda, cioè del
λόγον διδόναι; di modo che tale richiesta assume, nel Gestell, la potenza dell’incondizionato e il rappresentare
81
Ivi, p. 11
82
Ivi, p. 14
70
[Vor-stellen = porre-innanzi] trapassa dal percepire in senso greco, al porre-innanzi in modo sicuro e
garantito». 83
Dunque un pensiero, un linguaggio, tecnico non viene rifiutato perché lo si voglia sostituire
del modo in cui si è compresi al suo interno: riconoscendo l’inessenzialità che lo interpreta
come strumento ed orientandosi verso il suo fondamento originario nella ποίησις, appunto.
Dal punto di vista della scienza, in tutte le sue “-logie” particolari, l’oggettivo è il dato, la
indipendente da pregiudizi, ciò che è separato dal soggetto, un stato di cose, ma anche ciò
che è unito indissolubilmente al soggetto per mezzo di un stile di pensiero “adeguato” (il
A partire dall’epoca moderna quello oggettivo è stato uno “stile” con delle caratteristiche
ben precise: quantitativo – in quanto legato a valori –, legittimato dal ricorso a delle sue
83
Sentieri interrotti, a cura di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze 1997, p. 67
71
proprie leggi fondamentali, consequenziale e metodico, nonché dimostrabile,
Contro questo paradigma teorico Heidegger rivolge le stesse critiche che dirige alla pretesa
del calcolo di applicare un metodo che conduca alla verità: abbiamo già visto che non un
questione, poi, è la correttezza del riferimento tra l’intelletto e la cosa, e non dice nulla
Il pensiero che ora domina si è imposto come l’unico strumento valido per la conoscenza.
La visione che ha di sé dipende dal proprio modo oggettivo di vedersi, così come il proprio
Tale prospettiva viene messa in discussione, prima di tutto, partendo dal punto di vista della
scienza storica, la quale, secondo il filosofo, non permette di accedere a quel significato
proprio delle epoche che, solo, può configurare un ordine. In essa c’è già, infatti, un criterio
ordinatore che consiste nella successione cronologica, e nella “traduzione” unilaterale del
passato nella comprensione della modernità. Heidegger chiama la storia intesa in questo
modo Historie, storiografia, e da essa distingue la storia (Geshichte) nella quale egli
84
Cfr. punto 4
72
sottolinea il peso della dipendenza etimologica da “destino” (Geshick). Una traduzione in
destinazione. Ciò che viene destinato, il senso proprio di ogni epoca, è la donazione -
privazione dell’essere.
L’oggettività viene criticata partendo dalla sua storia, incontrata però in base alla
dall’osservanza dei suoi stessi principi, ma esposto in base all’affermazione dei suoi
momenti decisivi –così come, senza garanzie, con il rischio dell’errore, sono stati
di un fallimento.
meta: il rigore.
È questo un tema molto presente nelle opere heideggeriane, talvolta sotto forma di
La nascita di un problema del rigore ha, inoltre, anche una attestazione molto precoce e
determinante che risale ai primi passi compiuti verso la rielaborazione della fenomenologia.
73
Si pensi, in particolare, al rifiuto husserliano di attribuire alla filosofia la funzione di fornire
soggetti di fare i loro calcoli. L’oggettivo si esperisce, infatti, in base al modo di incontrare
l’ente come oggetto, il che presuppone l’attività di un soggetto, che lo ponga dinnanzi –ma
«L’oggetto (Gegenstand) nel senso di ob-ietto si dà solo quando l’uomo diventa soggetto, quando il soggetto
diventa io e l’io diventa ego cogito, solo quando questo cogitare viene concepito nella sua essenza come
«unità originariamente sintetica dell’appercezione trascendentale», solo quando il punto supremo della
«logica» è raggiunto (nella verità come certezza dell’«io penso»)». 86
soggetto.
«L’ente in quanto ente è un sub-jectum (υπο-κείμενον), qualcosa che pre-stà in base a se stesso, qualcosa che
come tale sta anche alla base delle sue proprietà costanti e dei suoi stati mutevoli. Il predominio di un
particolare sub-jectum (come fondamento di ciò che è fondamentale), la cui particolarità sta nell’essere sub-
85
Cfr. E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, laterza, Bari 2000, pp. 71-106
86
Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 55
74
jectum in modo essenzialmente incondizionato, deriva dalla pretesa umana ad un fondamentum inconcussum
veritatis (di un fondamento autonomo e indubitabile della verità intesa come certezza) ». 87
Per mezzo della rappresentazione, dunque, l’uomo calcolatore diviene sicuro dell’ente e,
rapporto soggetto-oggetto.
non segue o ricerca la verità (Άλήθεια) e la sua legge, bensì attribuisce indiscriminatamente
perché sordo all’essere dell’ente che si manifesta nella storia (si tratta, d'altronde, di un
pensiero storiografico).
Pertanto, sebbene nella filosofia della differenza non sia contemplata la possibilità di
87
Sentieri interrotti, a cura di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze 1997, p. 94
75
6 - Un pensiero che segua un cammino, ma non vada “avanti”.
Alla logica vengono estese alcune caratteristiche fondamentali della scienza moderna:
nell’ottica di un’evoluzione, non solo per quanto concerne il ramo induttivo (al quale il
metodo scientifico appartiene), ma anche rispetto alla totalità del suo impianto. Viene
infatti riconosciuta una linea storica di cambiamento composta da teorie sempre più efficaci
La logica del filosofo, al contrario, non procedere ma si muove, per così dire, spinta da una
forza centripeta.
«Stando infatti [un pensatore] con le sue domande nel suo pensiero, questi è già da sempre più avanti di
quanto sappia […] Le espressioni avanti e non avanti… sono proprie dell’ambito della scienza e della tecnica,
nel quale il progresso è necessario e dove soltanto possono essere calcolati avanti e non avanti. In filosofia
non c’è progresso, quindi nemmeno regresso. Qui –come nell’arte – rimane da chiedersi solo se essa sia o non
sia se stessa. 88
dell’eterno ritorno come una incapacità di sviluppare una filosofia, risponde, in realtà,
anche all’insuperato legame del proprio pensiero rispetto alla domanda sull’essere. Come
88
Nietzsche, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2000, p. 269
76
ribadisce nel confronto con Hegel, il bisogno di “andare avanti” non attiene alla filosofia, e
direzione, andrebbe all’indietro, verso ciò che non è stato pensato in quello che è avvenuto.
«Per noi il carattere del colloquio con la storia del pensiero non è più il superamento [Aufhebung], ma il passo
indietro […] Il passo indietro indica nella direzione dell’ambito, trascurato fino ad oggi, a partire da cui
l’essenza della verità diventa, più di ogni altra cosa, degna di essere pensata [denkwürdig]». 90
Il passo indietro, come viene dichiarato nello stesso luogo, “non indica un passo isolato del
pensiero ma il modo di incamminarsi del pensiero [die Art der Bewegung] e un lungo
cammino [Weg]”.
Il passo indietro ci immette nella metafora viatica che accompagna tutta la sua filosofia da
“In cammino” verso il linguaggio, a Segnavia, a Sentieri interrotti. Il filosofo dà, dunque,
89
«Presentazione», in cui «udiamo nel contempo il senso greco del λέγειv come far «stare dinanzi ciò che
90
Identità e differenza, trad. di U.M. Ugazio, in «aut aut», 1982, nn. 187-188, p. 22
77
7 - Un pensiero che possa pensare la propria origine ed il proprio altro
La domanda circa l’origine delle leggi fondamentali della logica non segue i criteri in base
ai quali si può ottenere una risposta logicamente valida. E questo vige più in generale per
una diversità tra i due, l’uno è interno e l’altro esterno ad un ordine, eppure entrambi sono
oggetto dello stesso tipo di sguardo ordinatore (l’illogico, ad esempio, deve essere
anticipatamente stabilito il modo in cui qualcosa possa avere senso. Cogliere alcunché,
Tale maniera di incontrare le cose è una modalità della riflessione (chiamata da Heidegger
“ripiegamento” 91 ) che richiama, nella cosa di volta in volta rappresentata, l’atto con il quale
91
Cfr. punto 2
78
Nel considerare un determinato ragionamento non logico, lo si incontra per mezzo degli
stessi criteri di una “logia”, salvo poi considerarli, nel singolo caso, inapplicabili, riducendo
così il grado di certezza cui si ambisce. Il modo di rivolgersi a qualcosa non è posto in
questione, proprio perché è in esso che si riconosce l’unico elemento stabile e unificante.
Il pregiudizio che consente questo comportamento assume che tutto sia osservabile
razionalmente, anche l’assenza della razionalità, poiché lo stile di pensiero di oggi non solo
viene visto come uno tra i tanti che si sono succeduti e sviluppati ma è prima di tutto, esso
Una giustificazione per l’impiego generalizzato del punto di vista della ragione è la sua
neutralità dovuta all’essere una struttura vuota, uno strumento, dotato di una correttezza
Le aspirazioni del suo percorso filosofico sono, in un certo senso, più limitate e partono
79
dell’occidente, tanto nella violenza del suo inizio quanto nella forma estrema del suo
«che, in quanto cerchio, è sì chiuso, ma in quanto chiuso conserva tutt’intorno un rado ed un aperto entro cui,
forse, chiama un non detto, senza di per sé mostrarsi». 92
Heidegger assume quindi il pensiero metafisico ma con la ricchezza dell’impensato che gli
è propria. È a partire dalla sua storia che diventa praticabile il “passo indietro” 93 con il
metafisica, la volontà di volontà della tecnica, per poter sperare in un nuovo inizio.
92
Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 119
93
Cfr. punto 6
80
«Perciò per dire l’essenza dell’essere la lingua dovrebbe trovare un'unica parola, la parola unica». 94
Ciò nondimeno, il suo pensiero si raccoglie nel silenzio, ove unicamente è possibile
ascoltare, in Essere e tempo, il “no” del più proprio angosciato essere-colpevole, ed auto-
manifesti.
All’illuminazione totale dell’ υποκείμενον oppone una reciprocità tra l’uomo e l’essere, in
all’alterità.
La logica originaria, non essendo compresa in una totalità includente, può anche risalire
all’origine del λόγος, non interpretandola però come l’evidenza dell’assioma ma come la
fonte di un mistero, la cui conoscenza si traduce nella sua preservazione in quanto mistero.
94
Sentieri interrotti, a cura di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze 1997, p. 342
81
5 - Logica originaria
5.1 Apollineo
l’impostazione onto-logica porta il filosofo ad interrogarsi sul senso λόγος a partire dal
momento storico che offre l’angolo più ampio nell’osservazione della parabola della
metafisica.
La ricerca del λόγος originario si struttura attraverso il confronto con il filosofo del λόγος
incompletezza dovuta all’esiguità e frammentarietà dei brani eraclitei giunti fino a noi. Non
disporre di un’intera opera viene considerato, al contrario, come un occasione per dedicarsi
con maggior attenzione e più approfondimento allo studio delle frasi rimaste. Una
attenzione che possa salvare i frammenti dai giudizi semplicisti che hanno associato le
questioni dei pensatori iniziali ai problemi della metafisica e che li hanno ridotti a sentenze
82
L’intervento ermeneutico sul presocratico viene prefigurato dalla riflessione sugli stessi
aneddoti greci che lo riguardano: la sua importanza che si accorda ad una apparente
semplicità (aneddoto del forno); l’essenzialità, in virtù della quale disdegna le questioni
Soprattutto, però, Heidegger premette a tutto il suo studio il richiamo al forte legame del
pensatore antico, Efesino, al culto della dea Diana e quindi a suo fratello Apollo. Non si
tratta di una nota prettamente biografica ma, come viene fortemente ribadito, 95 di un
Nella pubblicazione del corso del 1943, 96 infatti, il richiamo al dio –quasi fosse una
rielaborazione del τόπος dell’invocazione – appare all’inizio e alla fine, nelle posizioni
chiave che raccolgono l’insieme del cammino interpretativo percorso. Il λόγος viene così
Il gesto fornisce un aiuto importante alla chiarificazione del λέγειν inteso come “regolare”:
l’analisi viene orientata più precisamente alla regola, alla legge e all’ordine attraverso
95
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 16
96
L’inizio del pensiero occidentale, in Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993.
83
La regola si applica infatti a ciò che ha misura, proporzione, nel dominio di ciò che è
consequenzialità e quindi una struttura e una parola rigorosa. Si delinea il mondo olimpico
della luce, che garantisce il rapporto tra gli uomini. La legge, come νομός, è legata al loro
«È in virtù del suo contorno che nella luce greca la montagna si staglia nella sua quiete. Il limite fissato è la
sorgente del riposo –e proprio nella pienezza della mobilità». 97
Sarebbe facile qui pensare che, ad essere introdotto, sia uno dei due principi dell’arte
«Il pensiero di Eraclito […] diventa un pensiero «apollineo». Noi usiamo questa denominazione in un senso
ancora da chiarire e che si distingue tanto dal concetto di apollineo elaborato da Nietzsche, quanto dai
rimanenti concetti in uso nella cerchia dell’«umanesimo» e di ogni forma di «classicità»». 98
97
Sentieri interrotti, a cura di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze 1997, (aggiunta apparsa nel 1961), p. 66
98
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 17
84
Il punto in cui viene chiarito il senso filosofico della devozione eraclitea ad Apollo è
«Il signore il cui luogo della profezia che dà indicazioni si trova a Delfi, non disvela (soltanto), né nasconde
(soltanto), bensì dà segni». 99
Il σημαίνειν è non pienezza, travaglio, differenza. La traccia che il dio lascia si protende
contrasto originario presente nella φύσις . Disvelando e nascondendo allo stesso tempo,
Dal punto di vista di Heidegger, la diversità del proprio apollineo rispetto al concetto
ritorno. Ma, proprio per questo, si può cogliere una singolare somiglianza tra i due
«Se con Schelling è necessario dire che “tutto non è che Dioniso”, è anche necessario sapere che come la
forza pura, Dioniso è travagliato dalla differenza». 100
99
Ibidem
100
J. Derrida, La scrittura e la differenza, trad. di G. Pozzi, Torino, Einaudi, 1971, p. 36
85
la figura di Dioniso per il francese rammemora la differenza nel suo essere in atto, non è la
originaria, il cui non detto increspando la parola dà una traccia di sé non solo in quello che
la parola dice ma anche nella parola stessa. È come se il linguaggio, di fronte alla propria
trasformarsi in quello che il detto vorrebbe – ma non può – dire. Non si ha a che fare con
un’adequatio ma, in un certo senso, con qualcosa di meno: un indicare della traccia che, a
differenza della “cifra” del calcolo, necessita di uno sforzo per essere compreso (anche
In breve, nell’interpretazione di Eraclito, l’apollineo significa molto di più di uno stile del
Nell’abissale distanza tra l’ordine ed il totalmente altro ciò che si mostra degno di essere
intrinseco, che però nella storia del pensiero si è sempre manifestato in forma derivata,
101
Cfr. tesi, III, §1
86
imposto dalla preponderante componente tecnica del λόγος. Ora, indipendentemente
muta opinione nel tempo –, la riflessione dell’”oscuro” fornisce il contesto nel quale
l’alterità.
Attraverso quattro parole guida: il λόγος, l’αρμονία, la φύσις ed il κόσμος, il senso del
«Il λόγος è una parola fondamentale di Eraclito, che per lui non significa dottrina, discorso o senso, bensì la
riunificazione che disvela, nel senso dell’unità armonica e dell’inappariscente accordo. Λόγος – αρμονία –
φύσις – κόσμος dicono la stessa cosa, ma ogni volta esprimono una diversa determinazione originaria
dell’essere». 102
Tra i quattro, il λόγος ha però un ruolo più importante: si trova affiancato agli altri termini,
«Il dire stesso deve essere compreso come un rapportarsi all’unità dell’accordo che dischiude però al tempo
stesso questa stessa unità». 103
102
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p., p. 118
103
Ivi, p 117
87
Dopo aver riconosciuto nelle parole chiave della filosofia di Eraclito l’espressione di una
“determinazione originaria dell’essere” è pertanto necessario ora chiarire in che modo essa
si configuri primariamente come ordine, e non ad esempio come una energia o una volontà
Il mutamento della logica voluto da Heidegger viene sviluppato in base alla concezione
La meditazione del filosofo inizia prendendo in esame la φύσις, è infatti a partire da essa
che si dispiega un’alternativa al pensiero della correttezza. Tuttavia questa stessa alternativa
contrasto con la logica tradizionale, tanto uno degli elementi di un’opposizione quanto
l’essenza del loro rapporto. Nel caso in cui si voglia prendere seriamente in considerazione
l’abbandono comunque non implica già l’acquisizione completa della logica originaria. 104
104
«Ci muoviamo quindi in un circolo: presupponiamo che il detto sia un detto del pensatore e sulla base di
questo presupposto mostriamo che il detto, pensato essenzialmente, dice qualcosa di diverso da ciò che
88
L’indagine prende l’avvio da due frammenti (il numero 16 ed il numero 123) che per livello
«come potrebbe qualcuno nascondersi di fronte a ciò che non tramonta mai?» (n°16) e «il
Il non tramontare mai viene equiparato ad un eterno sorgere, e “ciò che sorge da se stesso e
Il participio tradotto “ciò che… tramonta…” (δυ̃νον) viene inteso in senso verbale, come “il
tramontare”, nello stesso modo in cui si intende la domanda sull’ente di Aristotele (τì τò
όν?), nel cui participio si lascia risuonare anche la domanda sull’essere (τì τò ει̃ναι τών
όντων?). Nel senso verbale viene pensato anche l’essere: verbale in tedesco è Zeit-wort è
«parola che esprime un tempo» 106 e quindi primariamente la parola “essere”, in virtù della
Nella φύσις però l’essere è pensato in modo più diretto di quanto avvenga per il semplice
impiego di una forma verbale, come viene affermato attraverso la domanda retorica:
intende il pensare comune. Se per questa via mostriamo che il presupposto è esatto, ciò avviene perché in
questo mostrare facciamo ricorso al presupposto stesso. L’intero procedimento è «illogico»». Ivi, pp. 80-81
105
Ivi, p. 42
106
Ivi, p. 42
89
«Il non tramontare mai è solo un modo dell’essere insieme ad altri, oppure l’essenza nascosta di ciò che viene
chiamato «essere» si trova forse racchiusa nel non tramontare mai?» 107
Nell’eterno sorgere, il senso della φύσις viene associato alla vita (ζωή)
«La radice ζα è in relazione a qualcosa di simile al dio che mostrandosi si manifesta, a qualcosa di simile alla
tempesta che si manifesta scoppiando improvvisamente, a qualcosa di simile al fuoco che accendendosi fa la
sua comparsa, a qualcosa di ben nutrito che nasce, si differenzia e si manifesta crescendo». 108
Detto questo si sono poste le premesse per riconoscere nel frammento 123 una
tramontare).
Il rapporto tra sorgere e tramontare è “il tratto fondamentale della έρις, della lotta” 109 , come
si evince chiaramente dalla loro opposizione, ma ciò nondimeno la parola con cui si nomina
il rapporto è φιλία, cioè amicizia, amore o favore. Il problema non si trova al livello di una
contesa viene determinato dal modo in cui il “sorgere dispiega in sé la propria essenza in
107
Ivi, p. 57
108
Ivi, p. 74
109
Ivi, p. 89
90
quanto nascondersi”. 110 Il φιλει̃ν è un modo di proteggere, che garantisce il sorgere
Come è facile notare, il discorso sulla φύσις corre parallelo a quello sull’αλήθεια anzi,
secondo Heidegger, nella natura greca, prima che il suo senso si esaurisse nell’idea
platonica, veniva pensata anche la verità. Questa osservazione può aiutare a capire come il
reciproca negazione. L’argomentazione viene riassunta tramite una similitudine con l’arte
«Che cosa infatti riuscirebbe a dipingere un pittore che non vede oltre e al di là di ciò che possono offrire
colori e linee? Tutto il visibile, senza l’invisibile che deve darlo a vedere, sarebbe una mera fantasia
visiva». 111
Pertanto:
«Nel sorgere, il sorgere stesso, proprio in quanto apertura, non si sottrae affatto al chiudersi, bensì lo esige per
sé come ciò che accorda il sorgere e dà sempre al sorgere la sola ed unica garanzia». 112
110
Ivi, p. 91
111
Ivi, p. 92
112
Ivi, p. 89
91
La descrizione delle dinamiche della natura ha trovato dei canali, delle limitazioni e una
nuova e diversa di ciò che viene pensato. Avvicinarsi alla sua essenza coincide con il suo
graduale riconoscimento, non primariamente come sorgere, come vita o come contrasto e
Fin qui nulla impedisce di ritenere che l’individuazione di un ordine sia assolutamente
rilevante, che qualcosa viene riconosciuto come quella cosa che è proprio per mezzo di una
forma di ordine che la determina. Per quanto concerne la natura, però, noi non abbiamo
colto un ordine ma è il tramontare ed il sorgere che hanno fatto un accordo. Questa non è
una semplice forma retorica volta ad umanizzare due processi non in grado, propriamente,
di agire (nel senso di regolare), perché tale punto di vista si fonda già sull’assunto non
posto in questione che ad agire ponendo un ordine sia solo l’uomo, e quindi presuppone la
cioè garantisce una certa preveggenza nell’analisi del mondo, corrisponda al reale e sia
l’unico modo in cui un ordine possa esistere – a tal proposito sarà successivamente
necessario capire che tipo di libertà l’uomo abbia nel riconoscere un ordine.
92
«La φύσις stessa, che si dà a vedere nel dispiegamento essenziale nominato dal frammento 123, è l’accordo
[Fügung], in cui il sorgere si accorda [sich füght] col nascondersi e quest’ultimo col sorgere. La parola greca
per «accordo» è armonia». 113
L’essenzialità di questo accordo è sancita proprio dalla non separabilità tra la regola e
regolato, dalla loro unicità, che fa sì che l’ordine venga “assorbito” e scompaia quasi
nell’ordinato. Il senso dell’ordine, infatti, in questo modo non dilegua ma è ancora più
potente (κρείττων).
È infatti l’accordo che permette l’apparizione di ciò che viene in chiaro. Esso è simile alla
luminosità nella quale gli oggetti vengono visti, quella stessa luminosità che non viene
L’armonia della φύσις non diventa mai presente non a causa del coprimento originario che
le si oppone (esso, al contrario, la garantisce) ma perché il suo sorgere è più aperto di ogni
113
Ivi, p. 94
114
Ibidem
93
cosa manifesta, e cioè più di quanto l’uomo possa involontariamente ordinare con la
nei confronti di ogni ordine riscontrabile poiché “non è formato da ciò che è costruito
Ecco che allo scacco del pensiero logico tradizionale subentra la luce e l’armonia di Apollo.
interpretazione del segno: il σημαίνειν apollineo. In tal modo, per mezzo degli attributi di
Nell’arco, il contrasto tra le forze divergenti coincide con la loro collaborazione: esse non si
una riflessione sul “riunire” (λέγειν), da cui dipende almeno etimologicamente la logica.
115
«Essi non concordano su come ciò che è discorde, pur essendo discorde (nell’essere in se stesso discorde)
debba essere concorde; tenendosi all’indietro (distendendosi) (ciò che è discorde) dispiega l’accordo come si
94
««Riunire» [Sammeln] significa: rendere visibile l’unità, che dispiega già la propria essenza a partire da se
stessa; «riunire» significa infatti anche: mettersi insieme inserendosi in una determinata unione che non è stata
prodotta da noi e che si offre a noi anticipatamente». 116
συμφέρεσθαι.
La parola guida con cui viene pensata, infine, l’armonia della φύσις è il cosmo.
«Il termine κόσμος indica l’ornamento [die Zier], che si presenta in un «ordine»; il termine significa anche
«onore», «onorificenza», ossia pensato in modo greco: l’apparire nella luminosità, lo stare nell’aperto, in cui
riluce gloria e splendore.» 117
Il cosmo non intende l’essente nella sua totalità ma “l’accordo della compagine strutturata
dell’essente, l’ordinamento nel quale e a partire dal quale l’essente appare nel proprio
splendore”. La misura, la struttura la regolarità si offrono nel modo più estremo e più
elevato: all’invadenza della forma circoscritta si associa la rarefazione del senso della luce.
116
Ivi, p. 98
117
Ivi, p. 108
95
Il fuoco del carro del Sole, il fuoco delle stelle o delle torce rimanda all’illuminare, ma
anche all’accendersi, al consumarsi e allo spegnersi. Il fuoco, soprattutto in virtù del suo
divampare, se associato alla φύσις rende l’idea dell’eterna forza sorgente della vita –in tal
Il momento più significativo, da cui l’ordine dipende come la cenere rispetto alla fiamma, è
l’”ordinare”. Non esiste infatti un ordine nel senso indicato dalle parole guida eraclitee
distaccato da un’attività regolatrice, poiché esso è questa stessa attività. Il momento che
racchiude il senso profondo della luce del fuoco che misura limita e dispone, è il breve
«Questo «adornare» non è il risultato dell’aggiunta secondaria di un ornamento particolare, bensì – proprio in
quanto originario lasciar risplendere nello splendore del sorgere – è in modo unico e improvviso
quell’ordinamento che irrompe in un ambito privo di ordine simile all’abbattersi del bagliore di un
fulmine». 119
Il fulmine che governa, epiteto di “Zeus”, libera dal superfluo di ciò che riguarda
118
Cfr. Fr. 64: «Il fulmine governa l’essente nella sua totalità»; e Fr. 66: «Il fuoco, costantemente in attività,
mette in risalto ed allontana tutte le cose (congiungendosi ad esse)». Ivi, pp. 108-9
119
Ibidem, p. 109
96
Prima conseguenza è lo stupore, il senso di stranezza che si collega inevitabilmente
questo comando, questo ordine diretto (non costruito o riconosciuto da qualcuno 120 ), nella
totale differenza tra ordine e mancanza di ordine, riporta ad un confine assoluto: il mistero
della sua origine. Anche l’essere-fondante del pensiero, che abita la compagine strutturata
dell’essente – non la semplice dipendenza logica dal fondamento – orienta verso la propria
origine e da essa dipende in senso non meramente causativo, eppure l’origine dell’ordine
120
Frammento 30: «Questo ordinamento, che ora abbiamo appena nominato, e che è lo stesso in ogni cosa che
risulta ordinata, non lo ha prodotto nessuno degli dei o degli uomini (qualcuno), bensì esso fu sempre ed è
(sempre) e sarà (sempre): (cioè) il fuoco che sorge eternamente e che, accendendosi, [dispiega] le distese
(radure luminose), spegnendosi (chiudendosi) [ritrae] le distese (ritirandosi in ciò che è privo di radura
97
Seconda conseguenza è che del regolare fulmineo non rimane un ordine inerte che possa
Rimane quindi sconosciuta proprio l’originarietà del regolare, rispetto alla quale il pensiero
è una domanda posta, ma si è comunque potuta fare chiarezza in merito a tale originarietà
intesa nel senso della sua inizialità e della sua preminenza rispetto a tutti i tipi di formule e
spiegazioni. Ciò che tramite il cosmo viene detto riguarda infatti l’essere stesso:
«Il verbo «adornare» – κοσμοέω – e il termine «ornamento» – κόσμος – vanno intesi rispettivamente nel
significato di «mettersi in ordine» e di «ordinamento» e saranno detti dell’essere stesso». 121
Per l’ultima e più importante parola guida di questa analisi occorrono delle precisazioni
preliminari: il λόγος eracliteo può essere considerato un sinonimo del κόσμος, dell’armonia
e della φύσις nel pensare l’essere in modo conforme all’essere stesso, eppure esso non è
una parola semplicemente affiancata alle altre in modo sinonimico, ma è quell’unica parola
Con l’accenno finale al κόσμος si sono poste le premesse per affrontare la discussione sul
λόγος.
121
Ivi, p. 108
98
«Dobbiamo pensare il λόγος e l’essenza del λέγειν se non proprio come luce, perlomeno nella luce dell’essere
esperito grecamente in modo iniziale. Da questa comprensione del Λόγος inteso in questi termini si genera la
«logica» originaria, da cui possiamo apprendere nel modo più originario l’essenza del pensiero». 122
«Se non avete ascoltato soltanto me, ma avete prestato ascolto al λόγος (disposti verso di lui, a lui attenti), il
sapere (consiste in questo), nel dire – dicendo la stessa cosa che dice il λόγος – che tutto è uno». 123
Questa definizione, nella sua sintesi, è sia il punto di partenza che il punto di arrivo della
Nel detto, il “prestare ascolto” non viene colto come l’ascoltare sensibile, ma come il
fenomeno dal quale dipende la possibilità di udire; è un far anticipatamente parte di ciò
Per udire qualcosa in generale è infatti necessario essere coinvolti in un contesto che
permetta di ricondurre un suono a ciò che lo ha prodotto, e così sentire di volta in volta una
122
Ivi, p. 233
123
Ivi, p. 160
99
determinata cosa che produce il suono, e non “un suono” cui attribuire successivamente una
causa.
Affinché l’udire non passi inosservato, sullo sfondo, bisogna disporsi in modo recettivo
appartenere: “abbiamo udito (gehört) quando apparteniamo (gehören) a ciò che viene
detto” 124 . Se quindi ad essere ascoltato è il λόγος ciò avviene quando si diventa parte del
Il regolare che abbiamo precedentemente individuato, mostra nei frammenti una doppia
declinazione: da una parte si scorge l’uno unificante del tutto con il quale si pensa l’essere,
dall’altra emerge un λέγειν prettamente umano, che designa l’attività umana del parlare, del
dell’uno. Eraclito sostiene, infatti, che il λόγος appartiene all’anima umana (frammento 45)
in un senso apparentemente inconciliabile con il frammento 50, nel quale esso è l’ordine
124
Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 145
100
cosmico a cui bisogna rivolgere l’attenzione – e rivolgerla per di più inutilmente, dato che
esso, nello stesso frammento, viene dichiarato inconoscibile, poiché i suoi limiti, nella
«Per quanto tu percorra fino in fondo ogni via, non potresti mai trovare sulla tua via i confini estremi
dell’anima; tanto vasta è la sua raccolta (riunione)». 125
La questione centrale diventa allora il senso del rapporto tra λέγειν umano ed oltre-umano,
tenendo presente che entrambi sono a loro volta dei rapporti e che quindi ciò che si vuole
stabilire è un rapporto tra rapporti, cioè un “rapporto puro, che non è stato originato da
Il modo più immediato di vedere la questione, che deriva dall’approccio comune, è quello
di un’alternativa estrema tra una logica naturalizzata, e la logica come strumento di una
Il riconoscimento del λόγος originario come attività, in coerenza con il senso attivo del
regolare (λέγειν), non ci permette di escludere una o entrambe le possibilità presentate. Nel
125
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 185
126
Ivi, p. 215
101
primo caso infatti il fare sarebbe semplicemente inclusa nella naturalizzazione, anche se, ad
un livello più profondo, dipenderebbe comunque dal soggetto metafisico che ne avrebbe
anticipatamente definito il valore; nel secondo il λέγειν potrebbe arrivare a coincidere con il
Tuttavia, mentre il pensiero logico fa calcolando, misurando, per il λέγειν umano l’essere
attivo non implica manipolatività, è un ascoltare: sebbene sia un Tun è in gioco una forte
(αείζωον) della φύσις e del κόσμος: come è d’altronde possibile, che sia il pensiero, a
costruire, stabilire, distinguere se l’unica legge autentica dell’ente nel suo insieme precede e
determina le norme umane? Non sarebbe la legge stessa a dispiegarsi per mezzo del
pensiero?
127
«L’azione è la forma pura della volontà, è la semplice conversione della realtà essente in realtà agita: è la
conversione della mera modalità del sapere oggettivo nella modalità del sapere che sa la realtà come un
prodotto della coscienza» Hegel, Fenomenologia dello spirito, A cura di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano
2000, p. 845
102
In parte è così. Se, infatti, il λόγος viene inteso come l’uno – tutto allora “non può essere
qualcosa che sta «accanto» all’uno e «accanto» al tutto” 128 , ed il raccogliere umano non
potrebbe non essere definito dalla limitante luminosità cosmica. Se, però, il ragionamento
criticare la logica: anch’essa avrebbe lo stesso grado di rigore del pensiero della differenza.
In aggiunta, la semplice inclusione nel raccogliere rende superflua la presenza di una sua
versione umana.
Il problema, in realtà, è insito nella stessa idea di attività ricondotta al raccogliere, che può
tanto collegare dando origine ad una propria regola, quanto seguire il richiamo della legge
che già sempre la governa. Qui è in gioco quel carattere fondamentale della logica preso in
considerazione al punto 4 del precedente capitolo (un pensiero non tecnico ma poietico).
La ποίησις, al pari della τέχνη greca, non riguarda primariamente un ambito pratico ma
teoretico: denomina il sapere in grado di trattenere l’imporsi della φύσις nel non-
nascondimento.
Il fare, pensato come un comportamento umano è visto più facilmente come il contrario
della natura, dato che questa è il sorgere a partire da se stesso. Tuttavia, esplicitando il
128
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 187
103
senso della parola greca, quello che essa esprime – tanto nel designare il lavoro artigianale
«Il ποιείν non è un fare che produce effetti, ma è letteralmente un portar fuori, un produrre, un collocare e un
presentare, vale a dire è un riunire il non nascosto in quanto tale». 129
Per mezzo della vicinanza semantica tra il fare ed il raccogliere del λέγειν, si può capire
quale sia il tipo di attività della logica che si confà alla meditazione heideggeriana. Il
frammento 112 ne fornisce una sintesi chiarificatrice, che può valere da manifesto per la
«Il sapere autentico consiste nel dire e nel fare ciò che non è nascosto, a partire dal raccolto ascoltare
[Hinhorchen] che è conforme e commisurato a ciò che si mostra da se stesso». 130
I termini fondamentali di cui si è parlato nelle pagine precedenti compaiono insieme, nella
seconda parte del detto (Άλήθεια λέγειν καì ποιείν κατά φύσις), in una simmetria
esplicativa dell’agire logico: “λέγειν”, il custodire che riunisce dal non nascosto, e “ποιείν”,
il produrre e riunire il non nascosto in quanto tale. Le parole significano “la stessa cosa”,
129
Ivi, p. 240
130
Ivi, p. 164
104
Il riunire così non si dissolve nell’indeterminato dell’essere ma porta l’essere stesso nel non
nascondimento e così lo raccoglie nell’ente che di volta in volta sorge all’interno del suo
«il pensiero meditante è la cosa più nobile, e questo perché il sapere è riunire il non nascosto (a partire dal suo
nascondimento), portandolo fuori da se stesso in modo adeguato al sorgere; (tutto questo però) prestando
ascolto alla riunificazione originaria». 131
L’individuazione dell’unico tipo di attività confacente ad una dottrina della logica soddisfa
«logica»”, ma attraverso la meditazione sul λόγος ciò che si nomina è “qualcosa di meno
definito”, che si raccoglie nel pensiero mosso dalla propria legge essenziale.
Tuttavia, se ci chiediamo in che modo il movimento sia possibile, cosa attivi l’attività che
viene descritta, troviamo, nelle argomentazioni del filosofo, delle prospettive che
131
Ivi, p. 243
105
È necessario vedere cosa di importante emerge nel rapporto λέγειν – λόγος, se e come il
regolare mostri la sua cogenza. Forse essa prima di emergere del tutto si annuncia nei toni
ed in alcune sfumature lessicali: Heidegger parla, da un lato, di una «ubbidiente docilità», 132
«L’udire, lo stare in ascolto, l’essere attenti ad una cosa alla quale noi già apparteniamo, alluderebbe ad una
concezione di soggezione [Hörigkeit] che non ha niente a che fare con la schiavitù, perché tale soggezione
originaria, che equivale all’essere aperti verso l’aperto, sarebbe la libertà stessa».
Il dare ordine è sicuramente il tratto più riconoscibile del pensiero normativo il quale
scandisce con le sue regole l’obbligo di essere preso a misura nella sua forma esemplare e
nei suoi fondamenti indubitabili. Ciononostante il governare è anche una possibilità propria
– forse la più propria – dello stesso Gefüge apollineo, nel quale l’armonia della luminosità
Nel rapporto tra uomo ed essere si riconosce l’equilibrio della reciprocità: l’essere si dà, e
l’uomo lo salvaguarda. Eppure la relazione viene anche connotata come una severa forma
132
Ivi, p. 172
133
Ivi, p. 212
106
di dominio, conciliabile con la libertà solo a patto che questa sia intesa come libertà per
L’uomo non è un semplice ente in mezzo agli enti ma e-siste, e quindi decide se e come
accettare di essere determinato da quella legge essenziale che in ogni caso, anche per suo
mezzo, già si estende su di lui. Ciò non influisce però sul senso della legge vigente che,
È quindi possibile, come viene riconosciuto nel frammento numero 72, 135 che il λόγος sia
134
«È la volontà trasfiguratrice di appartenere a ciò che dell’ente è massimamente ente. Il fatum è desolato e
intricato e opprimente per chi si limita a starsene lì e da esso si lascia sopraffare. Il fatum è invece sublime ed
è il sommo piacere per colui che sa e capisce di appartenervi in quanto è creativo, cioè, sempre deciso. Questo
sapere non è altro che il sapere che necessariamente palpita in quell’amore». Nietzsche, a cura di F. Volpi,
135
«Nei confronti di questo Λόγος, verso il quale sono sommamente ed ininterrottamente rivolti, proprio con
esso sono in disaccordo [e si allontanano] anche da ciò (dalle molte cose) che incontrano ogni giorno».
107
Il λόγος è l’inappariscente, l’armonia che sottende il presentarsi degli enti senza venire di
per sé individuata, poiché è troppo vicina e troppo luminosa per essere vista.
In tal senso capiamo perché nel detto 45 i confini dell’anima non possono venire conosciuti
a causa della vastità del suo raccogliere: l’anima che corrisponde al λόγος non può essere
conosciuta alla maniera di una cosa perché è ciò che dà i limiti e sebbene si possa
stato identificato con il λόγος – e che ha avuto una straordinaria fortuna dal Vangelo di
sbagliata secondo Heidegger – del «πάντων κεχωρισμένον» che appare nel frammento 108.
«Di tutti i molti λόγοι che io ho già ascoltato, nessuno arriva al punto di riconoscere che quel che veramente
va saputo dispiega la propria essenza in rapporto con ogni ente a partire dalla sua (propria) regione». 136
136
Ivi, p. 216
108
“Quello che va saputo”, ciò il cui sapere quindi si impone e domina in base ad un dovere,
dispiega l’essenza a partire da una regione. Nella “regione” come concetto per spiegare il
Χεχωρισμένον deriva da χωρίζω, che significa separare e distinguere. Nel verbo è presente
«L’aspetto strutturante e caratterizzante che si nasconde nella regione, senza che essa diventi propriamente un
oggetto». 137
Dal momento che la regione consente di localizzare e contenere in una coerenza ogni cosa,
potrebbe essere immaginata come l’in quanto della comprensione: nel principio della
una distinzione.
137
Ivi, p. 219
109
Tra i due, in realtà, si presenta una forte analogia, ed il Λόγος sarebbe comunque
forma della comprensione all’essenza di ciò da cui essa dipende. È infatti necessario, al
contrario, far dipendere il modo di pensare la σύνθεσις e la διαίρεσις dal modo di pensare la
χώρα.
Affinché questo avvenga il λέγειν deve essere condotto innanzi al suo perché: bisogna
trovare, all’interno della comprensione, ciò che permette di riconoscere la legge in quanto
tale, ossia il dovere che, attivandola, la mostri nel suo regolare, e non come una regola
positiva.
La necessità, riconosciuta come dovere all’interno del raccogliere, sarà il Λόγος stesso, a
L’individuazione della regione, nel κεχωρισμένον inteso in senso mediale, risponde alla
ricerca del governare, quindi, dal punto di vista del filosofo, non alla ricerca del senso del
«Qui [nella regione] domina (waltet) la differenza originaria tra l’ente e l’essere». 138
138
Ivi, p. 221
110
Il λόγος umano dipende quindi dal Λόγος inteso come dominio della differenza, che
Il senso della logica originaria, quindi, prima di essere il pensiero del Λόγος, è il pensiero
di questo destino.
«Che tipo di necessità determina qui il nostro pensiero in modo tale che senza questa determinazione da parte
della cosa il pensiero non sarebbe pensiero? […] Pensare è necessario per poter rispondere [entsprechen] ad
una destinazione ancora completamente nascosta dell’uomo autenticamente storico [geschichtlich]. […]
L’espressione «uomo storico» indica quell’umanità alla quale è assegnato un destino nella forma di ciò che è
da pensare». 139
139
Ivi, p. 125
111
6 – Conclusione
Necessità
Il fatto che in tale “τόπος λόγικος”, a cui si è giunti meditando sul λόγος eracliteo, domini
la differenza originaria tra essere ed ente chiarisce la dichiarazione secondo la quale φύσις,
λόγος, αρμονία e κόσμος «dicano la stessa cosa» 140 : tutte e quattro le parole guida
esprimono infatti diverse determinazioni di quello stesso contrasto nel medesimo con cui si
attesta il differire dell’essere dagli enti; tutte esprimono l’ordine dell’essere. Il genitivo, con
il quale i due termini si relazionano, non sta però a significare l’appartenere dell’ordine
La nozione di assoluto con cui alcuni filologi traducono il “πάντων κεχωρισμένον” del
frammento 108, è pertanto inadeguato a descrivere quel λόγος, che designa il suddetto
140
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 118
112
Nel pensiero della differenza l’essere non è assoluto. Non lo è al modo della
mutare del mondo, né al modo della coincidenza finale tra l’essere dell’oggetto e la
soggettività del soggetto in una completezza totalizzante che compendia il senso della
storia. Al pari dell’uomo che, coinvolto nel destino, ha la necessità di custodire la memoria
dell’essere assente e di attendere l’essere a venire, così anche l’essere, a sua volta, ha
L’essere della differenza si configura dunque come relazione, come apertura della
molteplicità degli enti, del gioco incalcolabile delle differenze, che si fa evento
nell’esistenza. Abbiamo già visto, però, attraverso l’analisi del λέγειν e dei frammenti di
Eraclito, che il nome per la relazione che regola il tutto altro non è che “Λόγος”, “ciò che
una cosa, delineandone cioè la forma, la struttura, si dovrebbe allora tracciare un limite che
mostri il senso dell’insieme dell’ente, che lo raffiguri nella mutevolezza dei suoi rapporti.
Ma una simile struttura intangibile, confinata al margine di tutto ciò che è qualcosa, e che,
141
cfr. tesi p. 32. da Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 151
113
nondimeno, dispone ogni cosa nella sua presenza è il regolare del Λόγος. Se il muoversi,
l’accadere che riguarda l’insieme strutturato dell’essere potesse venire posto su un enorme
Nell’idea stessa di regola è presupposta una cogenza, sarebbe lecito, quindi, ipotizzare che
il collegamento tra i due sia una coincidenza. Heidegger sostiene, invece, che
«Ζευ̃ς [il Λόγος] non è egli stesso l’Ev, benché, come folgore, egli governando compia i decreti del
destino». 142
Il governare del Λόγος è al contempo un eseguire. La sua attività, costringendo, lascia che
il necessario si compia.
Il senso di questo rapporto può essere inteso in più modi diversi: vi si può riconoscere il
compiersi nella realtà di un piano preordinato, o un’attività già racchiusa in una immobilità
142
Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 153
114
Heidegger la intende in modo inusuale. Nel pensatore, infatti, il senso filosofico di
necessità, cioè “obbligo assoluto”, “che è e non può non essere”, “inaggirabile” si
sovrappone al senso comune che la intende come “bisogno”, “povertà” (Not des Seins).
del senso della regola, poiché una regola necessaria, che contiene quindi in base al metro
heideggeriano una componente di mancanza, non può avere la stessa pienezza, la stessa
evidenza di una formula logica. Al contempo, però, questo suo carattere è il presupposto –
appare negandosi.
L’essere infatti
«è necessitante in questo senso doppiamente unitario: è ciò che non-lascia-perdere (das Un-ab-lässige) e ciò
che ha bisogno (das Brauchende) in riferimento all’occupazione (im Bezug) dell’asilo, e come tale asilo è
essenzialmente presente (west) l’essenza a cui l’uomo, come colui di cui c’è bisogno (der Gebrauchte),
appartiene». 143
anche il mostrarsi della cogenza, all’uomo moderno, come un “no”: 144 la stringenza
143
Nietzsche, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2000, p. 855
144
Cfr. tesi, p. 45
115
dell’ordine di cui si ha bisogno non consente un appagamento, poiché il bisogno fa parte di
quello stesso ordine, e quindi la mancanza che si prova è già un ”urto” contro l’imporsi
della necessità; l’unico modo per ignorarla, giacché non la si può annullare, consisterebbe
quindi nell’abbandono alla sicurezza che deriva dalla negazione di questa mancanza della
mancanza.
La necessità, che porta l’essere e l’uomo a relazionarsi nel destino, imponendosi in questo
duplice senso, è una nozione assai diversa dall’idea della giustificazione teleologica
Nel modo più impreciso e più evocativo la si può intuire nel fascino dell’apollineo.
L’armonia, il ritmo delle forme, l’aggressione strutturante del chiaro, estende le sue linee
pure definendo il κόσμος come un giudizio inappellabile. La regolarità che allora risalta
quasi con invadenza, l’”eccesso di donazione”, 145 richiama, con la sua stessa potenza, al
145
Domande fondamentali della filosofia, Selezione di «problemi» della «logica», Mursia, Milano 2003, p.
109
116
Se fosse lecito osservare con una semplificazione di tipo strutturale le dinamiche descritte
dalle parole fondamentali del pensiero di Heidegger potremmo scorgere un gioco calibrato
rapporto tra sorgere e tramontare; similmente il λόγος, che viene pensato come un
semplicemente annullato. Essa non ha, così, nessun ostacolo, ha, al massimo, chi la segue e
Tale potenza tuttavia non può essere conosciuta come una “qualità” del destino, poiché non
è possibile risalire alla sostanza cui essa debba essere eventualmente attribuita.
La possibilità più coerente prospettata da questa inconoscibilità è che la potenza non sia
una “veste” per qualcos’altro ma il modo più proprio in cui vada pensata l’origine
dell’ordine logico.
Il destino è incomprensibile, vale a dire che non è consentito, in base alla comprensibilità
che ha aperto, dirigere spiegazioni verso di esso nel tentativo di appropriarlo. Eppure è
117
proprio la forza del destino che delimita originariamente il senso ad essere primariamente
evidente.
Il destino determina storicamente il pensiero per mezzo di epoche a cui fa capo una diversa
semplicemente contro la perversa necessità con cui l’essere si dona, in virtù della quale
l’essere si rende bisognoso dell’uomo e, ciò nondimeno, rimane per l’uomo inaggirabile.
Quella stessa necessità è però anche l’origine e l’essenza del pensiero che, nel caso della
metafisica, cerca la sua via attraverso la certezza del fondamento e della giustificazione.
146
Protocollo di un seminario sulla conferenza «Tempo ed essere», in Tempo ed essere, trad. di E. Mazzarella,
118
«Ogni sapere intorno alle cose è innanzitutto alla mercé della tracotante ultra-potenza del destino, e votato a
fallire di fronte ad essa». 147
dottrina, ma egli non intende proporne una. Nella storia del pensiero, infatti, ogni momento,
venendone limitato in modo tale da veder compromessa la trasparenza del proprio senso
autentico; ed il filosofo sa che il tecnoevo non fa eccezione. Perfino Eraclito, i cui detti
questione del pensiero, ma non ha dato egli stesso una risposta ad essa, non ha saputo, per
La logica originaria, dunque, si deve muovere ancora in una dimensione preparatoria. Il suo
rigore però viene già dichiarato maggiore di quanto sia riscontrabile nel pensiero oggettivo.
Ciò che garantisce la superiore stringenza è proprio il modo in cui la logica originaria
prende fondo consapevolmente nel destino, il che si traduce in una tensione del pensiero
verso l’essenza della suo ordine e cioè verso la determinazione generata dalla semplice e
147
L’autoaffermazione dell’università tedesca, il melangolo, Genova 2001, p. 37
119
Viene così rifiutata ogni legge estrinseca, ogni modo di indirizzare la riflessione che non sia
metodologiche e sistematiche.
quindi il raccoglimento nell’arrecare che insieme libera e cela del tempo autentico: in ciò si
In base allo studio affrontato, pertanto, la dottrina heideggeriana del pensiero non trae
«Il semplice intento […] è quello di raggiungere la «logica» originaria. La «logica» è però originariamente il
pensiero «del» Λόγος, se ad essere pensato è il Λόγος originario e se quest’ultimo nel pensiero è presente per
il pensiero stesso». 148
La logica si caratterizza, invece, nel modo più proprio come il pensiero «del» destino.
148
Eraclito, trad. di F. Camera, Mursia, Milano 1993, p. 122
120
Bibliografia
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Altri testi consultati
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- www.klostermann.de (25/02/2005)
- www.heidegger.org (10/04/2005)
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