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Equipes Notre Dame Settore di Milano

MINISESSIONE DI SERVIZIO
RESPONSABILI DI EQUIPE
Relazione tenuta dalla coppia responsabile Equipe Italia
Carlo e Maria Carla Volpini

Inviati per servire


“Siamo infatti collaboratori di Dio e voi siete
il campo di Dio” (Cor.'3,9)
Quando siamo chiamati a tenere una relazione per diversi giorni, prima di metterci al lavoro,
sfogliamo senza un obiettivo preciso le pagine della Bibbia perché vogliamo che sia la Parola
di Dio ad esprimersi attraverso le nostre riflessioni. Non pensiamo infatti, come semplici
persone, di poter dire qualcosa di significativo ad alcuno di voi, se non raccontare la nostra
vita ed offrirla come occasione di confronto e riflessione per chi ci ascolta. La Parola di Dio
invece ha sempre qualcosa da dire al cuore degli uomini e noi andiamo proprio cercando que-
sto "qualcosa" che parla al nostro cuore. Tuttavia non sempre i versetti biblici che attirano
la nostra attenzione ci appaiono immediatamente chiari nel loro significato e in linea coeren -
te con quanto è oggetto della nostra relazione, ma poi piano piano le riflessioni si snodano e i
pensieri prendono vita. Questa volta, forse più di sempre, il versetto che ci ha "catturato"
ci è sembrato in un primo tempo oscuro e lontano dal tema che andavamo a trattare; inoltre
era anche diverso da quello che avevamo scelto per il titolo di questa relazione, ma tornava -
mo sempre là, a quei versetti di cui ora vi diremo e solo alla fine abbiamo visto che ciò che ci
appariva oscuro e lontano si era fatto più chiaro e comprensibile e quelle che ci sembravano
"stranezze" erano chiavi per una lettura diversa.
Ma perché per parlare di servizio abbiamo bisogno di una riflessione sulla Parola? Semplice-
mente perché il nostro servire ha un senso solo se fondato su questa Parola, solo se vissuto
nello Spirito della Sua Parola, altrimenti resta un impegno del tutto umano: comunque lode-
vole se riusciamo a svolgerlo privi di ogni secondo fine, liberi da ogni ambiguità, meno valido
se invece dietro l'offerta del servire spira un sentimento, più o meno malcelato, di voglia di
esibizionismo, di opportunità da cogliere, di sopraffazione. Il servizio nello Spirito del Si-
gnore ci aiuta a liberarci da queste tentazioni e permette che attraverso di noi sia compiuta
l'opera del Padre.
Sebbene abbiamo dato come titolo a questa nostra relazione una frase presa dalla lettera
di Paolo ai Corinti, a questa arriveremo alla fine del nostro percorso di riflessione che inve-
ce prende lo spunto dal Vangelo di Giovanni (Gv. 21,20-22): "Pietro voltosi vide che li segui-
va il discepolo che Gesù amava (.... ) dunque vedutolo, chiese a Gesù: - Signore e a lui cosa
succederà? Gesù rispose. -Se anche volessi che egli rimanesse fino al mio ritorno, a te che
importa " Tu seguimi!"..
Cerchiamo prima di tutto di comprendere la situazione contestuale: Gesù, dopo essere ri-
sorto, è già apparso ai discepoli ed ora, dopo aver mangiato con loro, ha appena chiesto a
Pietro per ben tre volte se lo amava e solo dopo le ripetute affermazioni del discepolo sul-
l'intensità del suo amore per Lui, gli conferma l'incarico pastorale per eccellenza 'pasci le

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mie pecore".
E’ a questo punto che Pietro, accortosi della presenza tra loro del discepolo che Gesù amava,
gli domanda cosa sarebbe accaduto di lui e la risposta di Gesù, piuttosto aspra e dura, ci la-
scia un po' interdetti: “A te che importa? Tu seguimi!" Sulla scena tre personaggi: Pietro,
Gesù e il discepolo che Lui amava; un dialogo breve, una domanda di Pietro che ai nostri oc-
chi non appare tanto sbagliata, una risposta di Gesù che non ammette repliche, il silenzio
pieno dell'altro discepolo che sembra vivere da spettatore questa situazione mentre è al
centro dell'attenzione sia di Pietro che di Gesù.
Pietro è stato appena prescelto tra tutti gli apostoli da Gesù per pascere le sue pecore, per
essere pastore come Lui, per assumere l'impegno più importante che si potesse immaginare
e il clima dovrebbe essere tra i più distesi e festosi..... invece Pietro, già triste perché Gesù
gli ha domandato tre volte se lo amava quasi non si fidasse del suo amore, ora viene anche
ripreso e rimproverato. Tra loro il discepolo che Gesù amava, ma nessun incarico, nessun
compito è dato a lui, Gesù non l' ha scelto per pascere le sue pecore, non gli rivolge neanche
la parola e quello rimane in silenzio
Gesù poi ha ritrovato i suoi apostoli, ha mangiato con i suoi amici, perché tanta asprezza nel
rispondere? Il dialogo è fonte di incomprensione, il clima è teso….proprio come accade tante
volte a noi quando sentimenti diversi non creano un incontro sereno.

"Sono tornato a casa con la voglia di vederti, è un desiderio nuovo che fa nuovi i gesti di ogni
giorno. - mentre ero in macchina pensavo alla possibilità di una tranquilla serata insieme. Se
i figli sono fuori per i loro impegni magari possiamo cenare in modo più sbrigativo e poi se-
derci in salotto a chiacchierare, se il telefono non squillerà troppo avremo modo di ripren -
dere e approfondire quel discorso lasciato a metà, se poi c'è un dolce nel frigo possiamo gu -
starcelo a televisione spenta, godendo della nostra reciproca presenza.. Se… se.. quanti se..
ma non avevo previsto quella che poi è stata la realtà.- ti ho trovato nervosa e irascibile
forse una stanchezza maggiore o qualcosa che non è andato al meglio durante il giorno ha
creato in te uno stato d'animo inquieto e poco accogliente, il clima di casa non è proprio co -
me l'avevo pensato.... tu non hai voglia di parlare, ceniamo in silenzio e la televisione viene
accesa per creare una voce di compagnia. Quel discorso rimasto a metà non è neanche ri-
pers, e se il telefono non squilla tu ne approfitti per fare delle telefonate rimaste in sospe-
so. Peccato questa non sintonia di sentimenti che rende banale una serata che poteva donar-
ci qualcosa in più in amicizia, in condivisione, in profondità!
E quanto è facile che ciò avvenga! Quante volle ci poniamo l'uno verso l'altro o insieme verso
gli altri con un atteggiamento di festa e ci scontriamo invece con una realtà diversa, rima -
nendo delusi e perplessi: come, io che avevo pensato a questo e a quest'altro…. a dire quelle
parole, a proporre quelle iniziative…. tutto nella certezza di fare la miglior cosa... che ingra -
titudine, che delusione.. Questa sera però capisco la tua stanchezza, accetto la tua durezza
perché il mio volerti bene contiene anche le tue debolezze e rimango al tuo fianco... come
Pietro che accetta il rimprovero di Gesù, come il discepolo amato da Cristo, che in silenzio
continua a stargli vicino, come Gesù stesso, forse irritato perché i discepoli continuano a
non capire e ciononostante affida ad uno di loro la missione più grande. "

Il servizio è spesso occasione di incomprensione: a volte spendiamo il nostro tempo e le no-


stre energie per progettare cose che andiamo ad offrire con l'entusiasmo e con la certezza
che la risposta di quanti accoglieranno le nostre proposte ci ripagherà di ogni fatica.. Ma
non è detto che così avvenga, anzi a volte le risposte sono fredde, indifferenti, tendono a
rimandare e a far cadere l'iniziativa e la nostra tentazione è quella di lasciar perdere ogni

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cosa, considerando che non vale la pena impegnarsi per gli altri, tanto poi nessuno ti viene
incontro e ti sostiene...
Non è questo però l'autentico spirito di servizio che deve invece essere accompagnato dalla
consapevolezza che in quel momento siamo noi a dover comprendere, a dover sdrammatizza -
re cercando dì capire i veri bisogni e i reali stati d'animo di chi ci sta accanto, a dover ricu-
cire piccoli e più grandi strappi verificatisi nell'ambito di comunicazioni non riuscite. La pri-
ma necessità del servizio è proprio la consapevolezza che non stiamo servendo noi stessi, il
nostro modo di essere, i nostri progetti; siamo stati chiamati al servizio degli altri ed è ver-
so loro che deve orientarsi il nostro impegno di comprensione e di azione.
Capire e comprendere sono verbi che ci spingono al di fuori di noi e questo dobbiamo avere
come primo obiettivo, sforzarci sempre di capire anche quando le cose ci sembrano difficili
o forse anche dubitare se al contrario tutto appare troppo evidente, capire cosa c'è dietro
una risposta, un atteggiamento, capire proprio come stiamo cercando di fare insieme ora ri-
spetto ai tre personaggi di questo quadro evangelico per trovare la chiave di lettura di ciò
che ci appare poco chiaro, per cercare il senso di ciò che soggettivamente risulta a volte
privo di logica o fonte di perplessità.
Proviamo a capire di più Pietro: egli è triste perché Gesù per tre volte gli ha posto la stessa
domanda: mi ami tu? E lui non sa più cosa dire o fare per convincere il suo Signore .. Ma Pie-
tro ha forse dimenticato che non molto tempo è passato da quando per tre volte egli ha rin-
negato l'amore per Gesù, negando persino di conoscerlo.
O forse Pietro se lo ricorda bene quel suo tradimento e infatti il suo atteggiamento non e-
sprime più la sicurezza e la presunzione di quando, dopo l'ultima cena, aveva chiesto con in-
sistenza: "Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!" Ma poi lo aveva
tradito e rinnegato tre volte. Ora quella sicurezza ha lasciato il posto alla tristezza e ad un
atteggiamento di minor baldanzosità: in mezzo c'è la consapevolezza della sua debolezza;
allora la paura gli aveva fatto dimenticare l'amore ed ora non sa più come riconquistare la
fiducia dei suo Dio.
Non abbiamo dubbi sulla sincerità dell'affetto di Pietro, così come crediamo alla sua tri-
stezza nel ricordo del tradimento, ciò nonostante Pietro, che pure segue Gesù un po' mogio
e un po' perplesso, non può fare a meno di domandargli ancora qualcosa, ma "non" chiede
spiegazioni maggiori sull'impegno che gli è stato appena dato, né esprime un ringraziamento
per tanta fiducia dimostratagli, ma piuttosto domanda cosa ne sarà del discepolo che Gesù
amava e che è con loro, provocando poi in Gesù la risposta che tutti conosciamo.
Che cosa ha spinto Pietro a formulare quella domanda? Forse un recondito sentimento di ge-
losia: per lui che ami e che non ti ha mai tradito cosa riservi? Quale sarà il suo compito?
O forse la paura di dover affrontare da solo un servizio così impegnativo e allora il deside-
rio è quello dì avere qualcuno di sostegno, di poter dividere la responsabilità ricevuta.
O ancora possiamo pensare ad un senti mento di preoccupazione da parte di Pietro per il suo
amico, per quel discepolo che Gesù amava e che non aveva ricevuto alcun incarico, un senti-
mento di cura a favore di un altro…. "Signore se non hai pensato tu a lui, ci penso io!"
Infine possiamo interpretare la domanda di Pietro come una tentazione di voler sapere di
più, di volere in qualche modo controllare ciò che stava avvenendo, di voler gestire la situa-
zione: "so quel che è stato richiesto a me ma voglio sapere anche dell'altro.."
Nessuna delle quattro ipotesi in ogni caso incontra il favore di Gesù che risponde a Pietro
piuttosto duramente; e se fosse così anche per noi quando riceviamo la richiesta di un impe-
gno? Non potremmo avere la stessa tentazione di Pietro cercando di svicolare da una re-
sponsabilità diretta, di trovare qualcuno con cui dividere a metà l'inevitabile fatica, oppure
la stessa tentazione di desiderare di sapere ciò che in realtà non ci riguarda personalmen -

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te.. E non potremmo allora ricevere la stessa risposta di Gesù: 'a te che importa?"

"Sei tornata a casa contrariata alla fine del tuo pomeriggio trascorso nella casa di prima ac-
coglienza dove fai volontariato con le ragazze che non hanno un altro luogo di riferimento.
Mi dici che hai avuto una discussione vivace con la responsabile. Mi racconti di una ragazza
in particolare che stai seguendo: Yoceline ha 19 anni, è una giovanissima sudamericana fer-
ma ta dalla polizia appena scesa dall'aereo perché trovata in possesso di una grossa quantità
di droga; è stata subito trasferita in carcere ma lì ha subito la bruttissima esperienza della
violenza ed ora è qui in questa casa di accoglienza frastornata, impaurita, minacciata dai
suoi "protettori", lontana da ogni riferimento familiare, tradita da sua madre che l' ha coin-
volta in questa storia e poi, per paura, ha detto di non conoscerla e l' ha abbandonata a se
stessa. Sento che vuoi bene in modo particolare a questa ragazza perché nonostante le sue
vicissitudini in realtà ti appare fragile, sola, una bambina quasi, e fai il paragone con quanto
hanno di sicurezza, di protezione, di affetto i nostri figli che hanno la sua stessa età. Hai
instaurato con lei un rapporto diverso che con le altre ragazze, hai parlato a lungo con lei e
forse la conosci meglio, hai fatto per lei dei progetti che non rispondono però a quelli della
responsabile della casa. Mi dici che fare quello che quest'ultima ti ha chiesto ti sembra i-
nopportuno e soprattutto inutile, mentre a tuo parere si potrebbe fare di più e di meglio..
Sei molto arrabbiata per il contrasto che hai vissuto e mi stai dicendo che forse è inutile
sprecare del tempo così.. io non so dove sia la ragione, anche se spontaneamente mi viene di
schierarmi dalla tua parte, ma ti invito a calmarti, e riflettere, a non prendere decisioni che
comunque provocherebbero delle rotture. E' facile per te fare progetti, prendere iniziati-
ve, tutto ti sembra possibile, fattibile, realizzabile ... a volte però non capisci che questo
può anche voler dire sostituirti a qualcun altro che ha i suoi progetti, le sue ragioni, le sue
iniziative e le sue responsabilità. Forse Yoceline in questo momento non ha bisogno delle co -
se che tu le proponi, forse ha solo bisogno di una persona che le stia accanto, che accompa -
gni i suoi giorni in attesa del processo, che condivida la sua solitudine, forse ha bisogno di
silenzio e non di parole, di sosta e non di azione, forse questo significa fare quello che ti ha
chiesto la responsabile: passare il tempo con lei a vedere le telenovelas che le piacciono tan-
to anche se a te sembra una cosa inutile, anche se tu in veste di insegnante a scuola cerchi
di far comprendere ai tuoi alunni quanto questo sia un tempo sprecato, anche se a te, lo so,
fa una fatica terribile trascorrere tante ore davanti la televisione... Beh, non fare come Pie-
tro che vuole vedere più lontano, che vuole preoccuparsi e occuparsi di altro e di oltre, che
vuole quasi sostituirsi al suo Maestro per fare progetti e programmi.. forse il discepolo che
segue in silenzio è una sicurezza più forte per Gesù e un esempio per te... "

C'è poi questa figura emblematica che però non ha nome, una figura reale ma indefinita,
sembra essere il centro della questione tra Pietro e Gesù, eppure resta in silenzio: è il di-
scepolo che Gesù amava, è colui che così, senza identità, è presente anche in altri episodi
evangelici. Senza nome è con Gesù nell'ultima cena (Gv. 13,23-24) e siede a mensa accanto a
Lui; senza nome è ancora nel palazzo del sommo sacerdote (Gv. 18, 15- 16) poco prima dei
tradimento di Pietro; senza nome lo troviamo infine ai piedi della croce (Gv. 19,25-27) ac-
canto alla madre di Gesù...
Senza nome, ma sempre presente accanto a Lui in spirito di grande amore, di grande amici-
zia, di grande disponibilità.
Quest'uomo non è stato mai chiamato per nome, tutti gli studiosi biblici sono concordi nel-
l'identificarlo con Giovanni ma nei Vangeli è sempre e solo definito come "il discepolo che
Gesù amava": è solo un caso questa non-definizione o dobbiamo pensare ad una ragione pre-

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cisa, ad un motivo che deve farci comprendere qualcosa di più. In realtà tra tutti gli altri
apostoli è lui il vero discepolo di Gesù: lo segue senza esitazione fino in fondo, fino davanti il
sommo sacerdote, fino ai piedi della croce, è l'unico che non tradisce, che non abbandona; è
lui il vero credente che segue e ama il Cristo senza porsi domande, è lui che incarna la fe-
deltà.
Allora è forse senza nome perché è il simbolo di tutti coloro che fedelmente amano e fedel-
mente seguono Gesù, è senza nome perché è ognuno di noi quando diciamo "si" senza farci
troppe riserve, senza domandarci troppe cose, senza mettere davanti tanti “se”.. è ognuno
di noi quando diciamo sì perché spinti dall'amore per Cristo che passa attraverso l'amore
per gli uomini.
Il Vangelo poi con chiarezza mette in risalto un altro aspetto non meno significativo: chiama
quest'uomo "il discepolo che Gesù amava". Non sarebbe stato più semplice il contrario e cioè
dire di lui che era il discepolo che amava Gesù? Perché questa inversione di termini? Perché
questo far risaltare l'amore di Gesù e non viceversa? Probabilmente perché ancora una vol-
ta ci sia chiaro che tutto quello che costituisce la nostra vita, i pensieri, le scelte, i gesti, le
parole.., trovano la loro pienezza, assumono il loro significato solo perché sono già contenute
nell'amore che Dio nutre per ognuno di noi.
Questo discepolo segue Gesù, vede quello che sta accadendo, ha ascoltato quello che è stato
detto a Pietro ma non domanda spiegazioni, non chiede qualcosa per sè, non si allontana, egli
in silenzio, pienamente fiducioso dell'amore di Gesù, continua a stargli accanto... Sono così
liberi da ogni condizionamento i nostri "si"? da ogni pregiudizio, da ogni riserva" E non solo i
nostri "si" al servizio ma anche i nostri si all'amore, i nostri si all'impepo, i nostri si alla vi-
ta..
E' vero, a volte la vita ci pone di fronte a piccole o grandi richieste che ci mettono in crisi,
che ci disorientano.. vorremmo evitare le scelte, in fondo ogni volta che si destabilizza la
routine quotidiana siamo sulla difensiva e l’incognita ci fa paura.. Il servizio piccolo o grande
che ci viene richiesto assume forse questo aspetto perché siamo consapevoli che se si vuole
vivere questa esperienza in modo serio, in modo adulto, coinvolgendoci e spendendo per esso
il nostro tempo e le nostre energie, inevitabilmente dovremo modificare qualcosa del nostro
vivere quotidiano, avremo un po' meno tempo per noi, avremo serate e domeniche meno libe-
re, avremo meno.., avremo più.,
In realtà quello che si cela dietro le frasi di rito " ma saremo capaci?" "ma non potete chie-
dere a nessun altro" "ma ora non è il momento” è forse solo la paura di crescere ancora un
po' perché poi sappiamo che, dopo aver detto sì e dopo aver svolto quanto ci è stato richie-
sto, il bilancio risulterà comunque in attivo: avremo imparato di più ad ascoltare, a compren -
dere, a metterci nei panni degli altri, a pensare per le loro esigenze, ad andare incontro alle
loro attese.
Certo il rischio è che i nostri servizi abbiano valenze distorte, molte comprensioni sul piano
umano, che però non ci condurranno ad alcun risultato.
C'è il rischio di inseguire un ideale di servizio che non tiene conto della realtà delle cose e
delle persone, si progettano e si organizzano cose bellissime ma forse lontane dalla domanda
e dalla necessità di coloro per i quali ci siamo resi disponibili: stiamo inseguendo un ideale di
servizio o meglio forse il "nostro" ideale?
C'è il rischio di un perfezionismo che ci vuole sempre pienamente rispondenti alle esigenze
del servizio, lavoriamo al massimo ma esigiamo al massimo, senza lasciare spazio a compren -
sione per i limiti nostri o altrui e a condivisione…:il nostro “io” è così desideroso di gratifica-
zione personale che non ha occhi, né orecchi, né testa per dimenticarsi e mettersi davvero
al servizio di ?

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C'è ancora il rischio di vivere il servizio come una totale offerta del proprio tempo e del
proprio cuore fino a sostituirsi al tempo e al cuore degli altri ... : tu non pensare a nulla, tu
non occuparti di nulla, tu non fare nulla, faccio tutto io, ci penso io, vivo io al posto tuo e
penso per te, decido per te, faccio per te..
Pietro e il discepolo che Gesù amava, Pietro col suo domandare, col suo affannarsi a sapere,
Pietro con la sua paura.., l'altro con il suo silenzio, con la sua presenza costante, col suo af-
fidarsi all'amico e maestro Gesù: chi siamo noi: Pietro o l'altro?

Anche noi come Pietro abbiamo avuto paura quando ci siamo sentiti interpellati e richiesti di
un "si" che sapevamo avrebbe in poco o in tanto, modificato la nostra vita.
Abbiamo paura: quest'oggi abbiamo dato inizio alle pratiche dell'adozione; lo desideriamo
immensamente un figlio, ma dove ci condurrà questa scelta? Chi dovremo amare? Come cam-
bierà la nostra vita? saremo riconosciuti e amati come genitori? Le pratiche burocratiche
sono lunghe e spesso sembrano fatte appositamente per scoraggiare ma non temiamo la bu-
rocrazia, abbiamo paura piuttosto di una scelta così forte a scatola chiusa solo in nome del-
l'amore…. se un figlio nasce da te in parte un po’ lo conosci, ha i tuoi occhi, ha il tuo caratte-
re, ha il tuo modo di fare e di dire…. ma un figlio adottivo ha solo i connotati dell'amore e su
quelli chiede di essere scelto, voluto, amato.
Abbiamo paura anche oggi che Giuliano e Gabriele hanno più di vent'anni e dopo che tanti
giorni, tante ore, tanti anni, tanta vita ci hanno unito inscindibilmente…. abbiamo paura an-
che oggi. siamo riusciti ad amarli in pienezza? Siamo riusciti a farli sentire oggetto d'amo -
re? Siamo riusciti a far loro comprendere che la nostra scelta di loro è passata anche at-
traverso la fiducia in Dio Padre? Abbiamo paura perché a volte certi gesti, certe scelte,
certe incomprensione tra noi sconfermano le nostre attese, oscurano i nostri progetti, an-
nullano i nostri bilanci di vita. Come Pietro vorremmo chiedere "che sarà di lui? che sarà di
loro? noi li amiamo e ci preoccupiamo per loro, dicci Signore cosa hai riservato per loro". Ma
poi come il discepolo che Gesù amava cerchiamo semplicemente di mettere nelle sue mani la
nostra vita e la loro vita, cerchiamo di non chiedere più di tanto ma di rimanere agganciati a
Lui cercando nella Sua Parola risposta alle nostre attese e fiducia per le nostre speranze.
Abbiamo paura: oggi ci hanno chiesto il servizio di responsabili END a livello italiano; questo
Movimento ha accompagnato la nostra vita di coppia da subito, è stato il sottofondo silen-
zioso e forte di tutte le nostre scelte, amiamo tutte le persone che dentro il Movimento e
grazie ad esso abbiamo conosciuto perché ci hanno fatto crescere in fede e in umanità, sen -
tiamo che per tanto che abbiamo ricevuto molto poco sapremo restituire…. abbiamo paura di
dire "si" e come Pietro cerchiamo qualcuno con cui condividere il peso della scelta, come Pie-
tro vogliamo sapere qualcosa di più interroghiamo gli amici più vicini, cerchiamo conforto per
una decisione che sappiamo inciderà profondamente nel nostro quotidiano…. abbiamo paura
ma poi qualcuno ci dice che nelle decisioni più importanti bisogna lasciare andare leggero lo
Spirito affinché voli alto, qualcuno ci dice che la cosa più giusta è fare come il discepolo che
Gesù amava ." restare in silenzio e imparare ad ascoltare, restare in silenzio ed esercitarsi
sempre di più ad amare….

L'ultima figura da guardare più da vicino è proprio quella di Gesù: un Gesù diverso da come
lo conosciamo in tanti episodi evangelici, un Gesù che ci lascia disorientati, è duro con Pie-
tro, non rivolge la parola all'amico che amava. Chiede tre volte a Pietro se lo ama: perché?
Come interpretare questa triplice richiesta? Forse Gesù vuole proprio che per tre volte sia
riaffermato l'amore di Pietro prima di affidargli il servizio più grande, quasi ad annullare in
questo modo le tre volte in cui Pietro lo ha rinnegato? Si tratterebbe in questo caso di una

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semplice reintegrazione di Pietro nell'apostolato, un ridargli la fiducia che Pietro aveva per-
duto vinto dalla paura. Non ci sembra sia solo questo. Il perdono di Dio è immediato se siamo
consapevoli dei male commesso.

Forse Gesù ha voluto intenzionalmente e con forza rimarcare il contrasto tra la debolezza
di Pietro, espressa con il suo tradimento, e il compito che gli viene affidato sulla base del-
l'amore. Pietro diviene pastore per grazia e non per merito, la sua solidità gli viene unica-
mente dal Signore, ciò che gli viene richiesto è un atteggiamento di umiltà e di fede. Pietro
a questo punto ne è consapevole e infatti nella sua risposta non c'è più la sicurezza, la pre-
sunzione di quando proclamava di amare il suo Signore più degli altri apostoli, dì quando sfo-
derava la spada per difendere il Maestro, di quando affermava "Darò la mia vita per
te!" (Gv. 13,37).
La domanda ripetuta per tre volte "mi ami?" posta da Gesù a Pietro ha quindi uno stretto
legarne con il compito successivo che pone Pietro in una dimensione di servizio totale, ci in-
dica infatti le condizioni indispensabili per svolgere ogni servizio:
- l'amore per Cristo e per gli uomini
- il disinteresse e la disponibilità piena di se stessi agli altri
- il lasciare posto alla chiaroveggenza dell'amore piuttosto che alla tentazione di af-
fermare se stessi e i propri progetti.
Questo è quanto ognuno di noi dovrebbe chiedersi nell'assumere un servizio piccolo o gran-
de che ci viene richiesto, questa domanda di Gesù, ripetuta tre volte dovrebbe risuonare
nelle nostre orecchie al posto di tante altre: "mi ami tu?”
La dimensione dell'amore cambia infatti la prospettiva di ogni riflessione: perché infatti
chiedersi "ho tempo per questo che mi viene richiesto?" oppure "sarò all'altezza delle a -
spettative?" o ancora “come dare un'impronta più forte a quello che sto per fare?" Non so -
no domande del tutto sbagliate, anzi è giusto e corretto interrogarsi per assumere poi ogni
servizio con senso di responsabilità, ma impariamo tutti a porci la domanda principale, quella
che Gesù ha rivolto a Pietro, perché è quella risposta che cambia l'orientamento della scelta
e l'atteggiamento dell'agire: la disponibilità piuttosto che l'affermatività, la generosità
contro l'egoismo, il lasciare spazio invece che occupare spazio…
In altre occasioni abbiamo avuto modo di riflettere sul significato etimologico della parola
servizio e forse vale ancora una volta ricordarlo perché ci sembra che bene completi la ri-
flessione che stiamo portando avanti.
A noi in genere piace andare a vedere l'origine delle cose, anche se si tratta semplicemente
dell'origine di una parola, perché pensiamo che proprio all'origine,.alla radice di ogni cosa ci
sta il significato più profondo, la vita stessa, il senso per cui quella cosa, o quella parola è
nata.
La parola servizio è una letterale traduzione della parola latina servitium che ha la sua radi-
ce in servus
Tutti sappiamo che la parola servo ha avuto per molto tempo il significato di schiavo, ma
questo è stato solo un valore successivo dato alla parola per le situazioni storiche-sociali e
non è il reale significato della parola servus e certamente non è questo che vogliamo essere
quando scegliamo di fare servizio...
Questa parola servus ha in realtà un'esatta corrispondenza formale con la parola iranica
haurvo che ha il significato di “guardiano" (certamente riferito al bestiame o al villaggio).
A sua volta la radice della parola haurvo è costituita da swer (presente in modo diverso sia
nella lingua greca che in quella latina) che significa esattamente osservo.
Abbiamo così ricostituito la nascita di questa parola che ci si rivela in una dimensione dei

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tutto opposta a quella che siamo abituati a pensare e a conoscere: servo e servizio per nulla
affatto come schiavo e sottomissione ma come osservatore e guardiano.
Se ci viene richiesto di fare un servizio, ci viene chiesto di essere osservatori e guardiani,
osservatori e custodi. Osservare e custodire: che cosa meglio di questi due verbi per com-
prendere il significato e il valore del servizio?
Osservare e custodire implicano due diversi atteggiamenti, due diverse dimensioni:
quella della soggettività e quella dell'oggettività
che devono essere contemporaneamente attuate pur mantenendo la loro specificità.
Osservare significa prima di tutto essere attenti a ciò che ci accade intorno e soprattutto
a chi abbiamo intorno. Le cose e ancora di più le persone per le quali ci siamo resi disponibili
nell'accettare il servizio esigono tutta la nostra attenzione e la nostra vera disponibilità per
essere comprese e aiutate a realizzarsi al meglio.
Il servizio è un tempo di osservazione per capire le esigenze e i problemi, per intervenire se
possibile, per essere comunque presenti e questo è possibile solo se diventa anche un tempo
dello spazio degli altri, restringendo cioè lo spazio dei nostri problemi e delle nostre esigen -
ze per fare maggiore spazio agli altri.
Osservare non d solo guardare: a volte il guardare è semplicemente un far scivolare i nostri
occhi sulle cose e sulle persone senza realmente vederle, senza penetrarle, senza assumerle
dentro il nostro spazio di vi ta.
Stranamente osservare esige anche il silenzio, un silenzio che naturalmente è soprattutto
un silenzio interiore: se prestiamo ascolto alle nostre esigenze, se parliamo continuamente
con noi stessi per risolvere quello o quell'altro nostro problema, se insomma continuiamo ad
occuparci di noi come possiamo realmente fare spazio all'altro? Come possiamo osservarlo
nei suoi bisogni se lo spazio è tutto occupato da noi stessi?

Essere guardiani nel senso di custodire, implica un atteggiamento che è insieme di responsa -
bilità ma anche di affettività.
Si può essere guardiani per senso del dovere e si può anche svolgere bene il compito di
guardiani con freddezza, senza una reale compartecipazione affettiva ed emotiva.
Ma essere custodi è un'altra cosa, implica tenerezza, compartecipazione, protezione quasi,
verso ciò che ci è affidato….implica amore per gli uomini.
Cristo si è presentato come guardiano o come custode nelle vesti di pastore delle sue peco -
re..?
E se Caino si fosse sentito custode invece che guardiano di suo fratello?...
E se noi ci sentissimo davvero custodi degli altri per il tempo dei nostro servizio non cam-
bierebbero forse i nostri atteggiamenti? Non ci occuperemo più di loro che di noi? Non cer-
cheremmo di trovare tempo per loro? Non ci sentiremmo responsabili per affetto di ciò che
accade loro?..
Fare servizio è osservare e custodire gli altri, fare servizio è amare gli altri.
C'è un altro interrogativo che sorge spontaneo riflettendo su questo quadro evangelico e in
particolare sull'atteggiamento di Gesù: perché, dopo aver chiaramente fatto a comprendere
a Pietro quanto fosse sbagliata la sua domanda e quanto fosse lontano ancora il suo atteg -
giamento interiore da quello che gli veniva richiesto, e dopo ancora aver in qualche modo
messo in risalto il valore dell'altro discepolo, quello che lo seguiva in silenzio, quello che Lui
amava, perché dopo tutto questo Gesù affida proprio a Pietro e non all'altro il compito di
pascere, di nutrire, di amare le sue pecore?
Noi vogliamo credere che questa scelta, così apparentemente contraddittoria, abbia un solo
significato: Pietro che ha vissuto la paura, che è diventato consapevole del suo limite, che ha

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pianto dopo il suo tradimento, che ha affermato il suo amore prima con grande spavalderia e
poi con grande umiltà, Pietro può amare meglio di altri perché può comprendere degli altri i
timori e le infedeltà le debolezze e le possibilità, i dolori e gli entusiasmi, le stanchezze e i
sogni…
Gesù sceglie Pietro perché ognuno di noi possa ritrovarsi in quest'uomo così forte e così
fragile, così credente e così infedele, così idealista e così semplice; Gesù sceglie Pietro per-
ché a lui come a noi è richiesto solo di amare gli altri confidando non sulle nostre capacità
ma su quanto il Signore saprà fare attraverso di noi se ci renderemo disponibili ad aprirci
pienamente a Lui…
La scelta di Pietro allora non ci disorienta ma ci rassicura, non ci intimorisce ma ci dà fidu-
cia, non ci frena ma ci dà slancio e speranza.

"Conosciamo lo smarrimento che avvolge quando quel gesto, quella parola, quella scelta è un
venir meno all'impegno di amore profondo che ci siamo promessi. Non valgono le ragioni e i
diritti se la tristezza scende nel cuore e il cielo perde il suo colore quando la rottura, anche
momentanea, avviene nel nostro rapporto... ..stasera andiamo a dormire senza aver ritrovato
l'armonia tra di noi, la discussione di oggi è stata forte, aspra, i toni erano duri, forse esa-
gerati, e inevitabilmente via via ci ha portato sempre più su posizioni contrastanti, così che
invece di cercare le motivazioni per ricreare un incontro, ognuno di noi ha cercato solo le
ragioni per avvalorare le sue tesi. Ma ora non è più tanto l'amarezza per le cose che ci siamo
dette quanto questo chiudere la giornata in modo così negativo, questo essere incapaci di
ritrovare lo spiraglio giusto per dirci buonanotte, questo rimanere soli nel proprio arrocca-
mento, questo essere infermi alla promessa che ci eravamo scambiati "qualunque discussione
durante il giorno ma non dobbiamo mai andare a dormire se non abbiamo la pace nel cuore "
Ed ora invece siamo solo capaci di rinviare e di aspettare con fiducia che il giorno nuovo por-
vi una rinnovata forza di ritrovarci...
Conosciamo la sensazione strana che ti prende quando sai che si è venuti meno all'impegno di
amicizia o di servizio che si era preso ... la stanchezza di oggi , l'impazienza o l'intolleranza
hanno preso il sopravvento e non abbiamo ascoltato, non abbiamo condiviso, non abbiamo di-
mostrato disponibilità... "è passato il nostro amico che si sta separando, ha voglia di parlare,
parlare ancora della sua situazione come ormai sta facendo da settimane e settimane ma noi
stasera non avevamo voglia di ascoltarlo e con una scusa abbiamo rinviato l'incontro, gli ab-
biamo negato la nostra disponibilità, gli abbiamo negato in questo momento la nostra amici-
zia" ed ora però sentiamo di aver mancato verso di lui ma anche verso di noi, verso il nostro
impegno ad una casa aperta, ad un essere sempre pronti all'accoglienza e alla condivisione..
ed ora è questo che ci fa male.. perché il tradimento anche piccolo, è l'arresto della cresci-
ta umana e spirituale "

La chiamata di Pietro non è solo un fatto riservato, come nulla nel Vangelo è del tutto perso -
nale altrimenti sarebbe solo un bel racconto da leggere, tutti infatti nel corso della vita sia-
mo chiamati dal Signore a svolgere piccole e più grandi scelte, alcune segnano in modo signi-
ficativo la nostra esistenza, altre sono momentanee, contingenti e legate a specifiche situa-
zioni, come può essere la richiesta e la scelta di un servizio, ma la consapevolezza che dob-
biamo conseguire è questa: la chiamata fondamentale è quella di trasmettere "vita". Noi non
siamo al mondo per noi stessi e non siamo per 'fare' ma per 'divenire; noi siamo uomini vi-
venti in tanto che riusciamo ad offrire noi stessi agli altri, in tanto che ci poniamo comunque
al servizio della vita degli altri. Il momento che pensiamo di trattenere per noi quel che ab-
biamo ricevuto, in quel momento smettiamo di divenire perché interrompiamo il processo di-

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namico del ricevere e dare, dei progredire, del crescere per conseguire la pienezza della
nostra vita. La condizione dei servizio quindi, in senso lato, è una condizione irrinunciabile
per ogni uomo e in ogni momento; si tratta poi di compiere le diverse scelte per dare forma
concreta a questa condizione. Nello stesso tempo dobbiamo avere la consapevolezza dei no-
stri limiti e delle nostre inadeguatezze perché è proprio questa coscienza che, senza forme
sciocche di vittimismo, ci spinge a sempre di più a "divenire", a cercare e a fondare il nostro
operare sulla Parola: è per la Sua grazia che noi cambiamo, cresciamo, diveniamo, viviamo.
Per la Sua grazia e per la nostra disponibilità a renderci trasmettitori di vita.
Se non ci fosse questa consapevolezza della nostra imperfezione, saremmo certamente ten -
tati di affidarci non a Dio ma alla nostre capacità, alla nostra intelligenza, al nostro sapere,
saremmo tentati di essere noi creatori della Vita mentre questa la possiamo solo conseguire
per noi momento per momento e trasmetterla agli altri rendendoci trasparenti all’azione di
Dio che opera in noi.
E' possibile invece che un non corretto atteggiamento interiore renda meno autentico il no -
stro spirito di servizio, dando al nostro "fare per gli altri" un più profondo, anche se nasco -
sto, desiderio di "fare per noi", ecco perché diventa fondamentale che senza ipocrisie rivol-
giamo per primi a noi stessi le domande giuste e soprattutto, senza ipocrisie, siamo in grado
di dare le risposte giuste.
Ecco allora che forse riusciamo a comprendere la perentorietà di Gesù: "che importa a te?
Tu seguimi!"
La chiamata è comunque individuale, rivolta ad ognuno di noi e alla nostra coppia perché io,
noi, sappiamo se io, se noi, possiamo dare la risposta autentica che gli altri si attendono ma
che Gesù per primo attende da noi "mi ami ?" li servizio non è solo un fatto di oblatività, per
quanto sincera questa deve esser sostenuta "l'amore per Cristo e per gli uomini, e in qualche
modo non è neanche una opzione possibile perché solo mettendoci in comunione con gli altri,
nelle infinite possibilità che ci sono date, noi possiamo divenire e quindi vivere. Il servizio è
una realtà continua del nostro vivere, che assume in alcune situazioni connotati e forme par-
ticolari, ma è una condizione "necessaria" per conseguire la pienezza della nostra vita; ecco
perché Gesù appare così perentorio e imperativo "Tu, seguimi!"
Chi si pone al servizio, diviene responsabile di qualcuno che gli viene affidato ed anche qui ci
viene in aiuto la conoscenza etimologica della parola per meglio comprendere il valore e il
significato profondo della stessa.
Responsabile è un aggettivo che proviene da un presunto verbo latino 'responsare", che a
sua volta nasce dal sostantivo responsus che è una forma sostantivata dei verbo respondere
(rispondere). Questo del rispondere è il termine che ci è giunto a noi in modo più chiaro e
come tale è stato assimilato, ma nella radice dì questa parola troviamo due elementi: re--
sponsus.
Intanto è molto bello, a nostro parere, che nella parola responsabilità sia contenuto il ri-
chiamo allo sposo (e naturalmente alla sposa): niente di più particolare che ricordare il no-
stro impegno di sposi nell’assumere le nostre responsabilità…
Ma il discorso non si conclude qui perché sponsus è il sostantivo di spondere che significa
promettere e che a sua volta viene da un verbo usato nell'area ittita, spendo, che significa
libare. Libare è precisamente un "versare goccia a goccia" e allora così come la promessa
degli sposi nel matrimonio è una promessa che non si esaurisce in un'unica libagione ma si
versa e si spande reciprocamente goccia a goccia, giorno per giorno, allo stesso modo chi è
responsabile non può esaurire il suo impegno tutto in una volta o per niente o in modo di-
scontinuo, deve invece versare goccia a goccia il suo impegno mantenendo costante nel tem-
po la sua attenzione e la sua disponibilità così da far sentire all’altro tutto il valore di un im-

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pegno che si fonda sull'amore nostro per Cristo e per i fratelli ma anche sulla garanzia del-
l'amore di Cristo per ognuno di noi.
L'amore è il fondamento di ogni relazione, di ogni possibile costruzione, di ogni concreto di-
venire. Cristo chiede a Pietro dì pascere le sue pecore, ma prima ancora gli chiede di fonda-
re il suo servizio sull'amore: "Pietro mi ami tu? Allora pasci le mie pecore" .
Anche la radice etimologica dei verbo pascere ci viene incontro per confermarci questa im-
postazione, infatti contiene la radice 'Pa' che significa "nutrire" ma a quale alimento, a qua-
le nutrimento poteva riferirsi il Signore dicendo a Pietro di pascere le sue pecore se non a
quello dell'amore?
Amare è quindi porsi nella disposizione del servire l'altro, servire è diventare custodi e re-
sponsabili del bene altrui.
"Tu dormi e io sono qui ancora alle prese con questa relazione che fa fatica a dipanarsi. E'
tardi, tutto è avvolto nel silenzio della notte e questo mio stare ancora alzata mi fa davvero
sentire custode e non guardiana. Custode del tuo sonno che nasconde la stanchezza degli
anni che passano e delle giornate lavorative che in alcuni periodi sono molto intense; custode
del sonno dei ragazzi ai quali abbiamo cercato di garantire la sicurezza del crescere in un
ambiente affettivo forte e significativo e che ora a tentoni, spesso barellando e rischiando
percorsi inutili o sbagliati, fanno il loro cammino dì vita, ormai forse senza più bisogno di no;
custode di questa casa nuova che abitiamo da così poco tempo ma già pienamente nostra
perché gli oggetti i mobili, i quadri, i libri hanno già ritrovato il loro posto e ci portano la si-
curezza dei ricordi che fanno riaffiorare, ci offrono la compagnia di ciò che è conosciuto ed
amato, ci parlano dei tanti a cui siamo legati, persone amiche che abitano questa nostra casa
attraverso quanto è stato vissuto insieme.. Custode e non guardiana perché è con tenerezza
che proteggo il tuo, il vostro sonno, stando attenta che i miei gesti non facciano rumore, che
la luce della scrivania non disturbi i tuoi occhi. Custode come lo sei stato tu per me cammi -
nandomi accanto in tutti questi anni, affiancando la mia giovinezza, sostenendo la mia matu -
rità. Custode dei miei ideali giovanili spesso sconfinati in fantasie, custode dei miei sogni
che hai condiviso e per ì quali ti sei battuto al mio fianco quando assumevano i contorni del-
l'utopia; custode dei miei dolori ai quali hai offerto la protezione di un gesto, di un sorriso,
di un abbraccio; custode delle mie debolezze e dei miei limiti e dei miei errori ai quali hai
dato il sostegno della tua comprensione e della tua accoglienza; custode delle mie speranze,
di quelle che anche grazie a te si sono trasformate in realtà e di quelle che invece, negli an-
ni, hanno perso la loro forza e il loro smalto trasformandosi in nostalgie...
Custodi, io e te, l'uno per l'altro, custodi del nostro amore che abbiamo cercato sempre di
far vivere forte e vitale, fin da quando, all'inizio della nostra storia, nessuno scommetteva
due lire sul nostro futuro, e poi sempre, anche quando le bufere parevano voler spazzare via
tutto o quando sembrava che la tentazione di lasciarsi andare alla routinarietà dei giorni
che passano a volte troppo uguali, potesse farei scivolare in una grigia abitudinarietà del vi-
vere insieme, e ancora oggi che più avanti negli anni ma sempre indomiti e ribelli come siamo,
continuiamo a discutere per piccole sciocchezze, sempre pronti a far esaltare le nostre in-
dividualità. Custodi io e te, l'uno per l'altro, dei nostri giorni, dei nostri anni, della nostra
vita che ancora oggi sentiamo così bella e piena di così grandi cose; custodi insieme della no-
stra realtà fatta dei figli che abbiamo così testardamente voluto, dei familiari e degli amici
ai quali, con piccoli balbettii di vita, cerchiamo di offrire tutta l'attenzione e la tenerezza
che siamo stati capaci di imparare tra di noi.
Custodi della nostra fede che abbiamo cercato di far crescere ne1 tempo, rinunciando alle
ricette preconfezionate e impegnandoci in una ricerca di Dio che spesso ha incontrato dubbi
e interrogativi ma anche slanci e certezze, mai paghi di quanto raggiunto ma sempre più con-

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sapevoli che Dio è l'oltre e ci chiama sempre a scovarlo più avanti di dove siamo."

L'amore, qualsiasi sia la sua forma e il suo volto, coniugale, filiale, amicale, si alimenta di o-
gni cosa condivisa e si nutre della sua stessa capacità di rigenerarsi e di essere offerto e
trasmesso ad altri. Anche il servire è una dimensione dell'amore e come tale va nutrito, ali-
mentato e protetto; anche nel servire dobbiamo essere custodi per poter pascere, nutrire,
alimentare quanti avviciniamo.
Pietro voltosi vide che li seguiva il discepolo che Gesù amava (..) dunque vedutolo, chiese a
Gesù: - Signore e a lui cosa succederà? Gesù rispose: -Se anche volessi che egli rimanesse
fino al mio ritorno, a te che importa " Tu seguimi!”
Se il discepolo che Gesù amava è colui che ci fa comprendere l'ideale di una sequela del Cri-
sto, Pietro è certamente colui che sentiamo più raggiungibile per i suoi errori e per i suoi
dubbi, per i suoi slanci e per i suoi limiti; Pietro è colui che arriva a servire quando diventa
consapevole che ciò che gli viene richiesto è solo un grande amore e una grande disponibili-
tà, Pietro è colui che è inviato per servire e insieme a tutti noi diviene 'collaboratore di Dio
perché noi siamo il campo di Dio " dove Dio stesso ci chiama a seminare e a far fruttare i
semi dei suo amore.

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