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Emilio Sereni Scienza marxismo cultura

Prefazione
Gli scritti i discorsi, che qui presentiamo al lettore raccolti in volume, sono stati redatti pronunciati in occasioni con proponimenti diversi. Si tratta, di volta in volta di articoli di rivista, destinati d un pubblico pi ristretto di studiosi, del testo di conferenze, rivolte d un pi largo pubblico di lavoratori. Quel che accomuna questi saggi che d ci auguriamo una intrinseca unit al volume, l'orientamento verso una cultura concepita come attivit produttivit culturale, profondamente radicata nella tradizione, m liberata dal peso di ogni sterile sedimento, d ogni frammentariet he ne mortifichi lo slancio creatore. In un periodo come l'attuale, in cui la cultura italiana di nuovo si trova dover dissipare le cortine fumogene dell'oscurantismo clericale, questi motivi illuministici di una scienza liberatrice ci si rivelano come attuali permanenti, non solo nella pratica dell'organizzazione della diffusione della cultura, nell'elaborazione teorica stessa dei problemi filosofici gnoseologici. Ci si presentano, certo, in un quadro tutto nuovo, illuminate dalla esperienza storica del rondo moderno, dalla lotta della classe operaia; n potrebbero non essere vivificati sostanzialmente rielaborati d quel conseguente storicismo al quale questa esperienza questa lotto si informano. Ma resta pur vero che, nella lotto contro l'oscurantismo clericale, oggi di nuovo dominante nel nostro paese, non si potrebbe vedere un fatto n compito solo contingente; va bens rilevato un motivo intrinseco d ogni cultura che sia concepita come attivit creativa di contro alla forza di quel che sempre stato, come unit di contro quanto inerte frammento, come intima coerenza di contro quanto incoerente Caput mortuum, passivo sedimento del passato semplice dato folcloristico, secondo la efficace espressione di Antonio Gramsci. Ed Gramsci non sapremmo oggi non riferirci, in questa lotta urgente ed attuale, antica e sempre nuova, per la nostra cultura nazionale. Anche l, dove del suo nome non si fa esplicita menzione, sono motivi e spunti gramsciani quelli che pi sovente abbiamo cercato di sviluppare e di approfondire, ai fini di una concreta impostazione dei problemi ideologici e istituzionali della cultura italiana, ai fini del loro inquadramento in una cornice che non resti geograficamente e culturalmente Provinciale. Gi prima di una pi larga pubblicazione dei suoi scritti, certo, l'insegnamento di Gramsci aveva profondamente operato nella cultura italiana, attraverso le. impostazioni e la lotta del suo Partito, attraverso la sua opera di formatore di quadri nuovi della classe operaia. Ma per ogni uomo della nostra cultura, ormai, l'opera di Gramsci divenuta una pietra miliare ed una pietra di paragone, al cui saggio non Pu sottrarsi chi intende affrontare le prove del rinnovamento italiano. Il saggio quello dei fermenti Progressivi che operano nella nostra cultura nazionale, omogenei pur nella loro originalit ai valori che si son venuti elaborando nel crogiuolo ardente del movimento operaio internazionale. un saggio che Gramsci ha genialmente avviato, in un indissolubile legame fra la sua teoria e la sua pratica rivoluzionaria; e che, proprio Per questo, noi non sapremmo oggi allargare ed approfondire senza inserirci con la nostra teoria e con la nostra pratica nelle esperienze nuove del movimento operaio internazionale, della vittoriosa costruzione del socialismo, dell'avviato passaggio di un sesto del mondo dalla societ socialista alla societ comunista. Proprio per questo non si saprebbe intendere a fondo il pensiero e l'opera di Gramsci senza un approfondimento critico - filologico, vorremmo dire dei suoi scritti, che indissolubilmente associ al pensiero di Gramsci la sua azione di fondatore e di organizzatore del Partito della classe operaia, di combattente antifascista, di 1

militante e di dirigente del movimento operaio internazionale. Chi lasciandosi fuorviare da singole affermazioni distaccate dal loro contesto, o da scorie Puramente formali che si possono ritrovare in un linguaggio, nei limiti di una cella e del regolamento carcerario non intendesse questa sostanza dell'opera di Gramsci, si precluderebbe la via alla comprensione dell'apporto che egli ha dato, nonch all'elaborazione del pensiero marxista, allo sviluppo di tutti i germi progressivi nella vita culturale del nostro paese. Quel che meraviglia, piuttosto, la genialit anticipatrice con la quale Gramsci, dal chiuso della sua cella, tutto proteso nello sforzo di una viva comunione con la lotta della classe operaia, ha saputo accennare alcuni motivi fondamentali che solo pi tardi, in condizioni nuove, hanno trovato la loro esplicita accentuazione e sono divenuti correnti movimento operaio internazionale. Qui ancora, una volta, davvero come per i Bruno e per i Campanella, uno spirito appassionato, un genio italiano, ha saputo dare alle sue meditazioni ed ai suoi fantasmi carcerari quella corpulenza e quella vita e quel moto che gli uomini comuni sanno ritrovare solo attraverso la loro pratica pi concreta e immediata. Eppure, dei fantasmi, queste creazioni di Gramsci, come quelle di Bruno e di Campanella, sembrano serbare la possanza di passar monti e forar muri ed, armi, di correre incontro ai tempi avvenire, come sciolti da ogni condizione umana: sicch Hegel Primo ci ha fatto intendere a fondo il pensiero di quei due grandi italiani, e non si saprebbe intendere a fondo Gramsci senza Stalin e senza Zhdanov. Basti ricordare alcuni motivi sempre ricorrenti, se pur sovente solo accennati, nell'opera di Gramsci: quello della cultura e della direzione culturale, intesa come lotta contro la spontaneit; quello pedagogico e morale della filosofia; intesa come intima, coerenza fra teoria e pratica, come superamento dell' uomo del Guicciardini; quello del marxismo come filosofia di massa, come assoluta novit, come salto qualitativo nella storia del Pensiero untano; quello, infine, del valore gnoseologico della costruzione socialista. Attorno a questi motivi, cos presenti e vitali nella polemica culturale del nostro paese e del nostro tempo, si muovono, sul piano ideologico come su quello istituzionale e organizzativo della cultura, gli scritti e i discorsi raccolti in questo volume. Abbiamo preferito lasciare, ad ognuno dei testi, la sua forma originari, salvo Pochi ritocchi stilistici agli stenogrammi dei discorsi. Se ci contribuir, senza dubbio, a rendere il volume meno omogeneo nell'apparenza, una tale presentazione ci sembrata,, nella sostanza, quella pi adatta a sottolineare il carattere di questi lavori che sono stati concepiti come un'arma per la nostra lotta, chiamata a svilupparsi negli ambienti pi diversi e con gli obiettivi pi differenziati. Abbiamo cercato di non dimenticar mai esser disgiunta da quella che essa attraverso il suo Par-classe operaia per la trasformazione del mondo non saprebbe mai esser disgiunta da quella che essa, attraverso il suo partito, combatte per trasformar se stessa, per maturare la propria coscienza di classe dirigente; (cos nel testo originale) n, d'altronde, la polemica culturale della classe operaia saprebbe oggi snodarsi fra noi in trattazioni sistematiche, avulse dal vivo contesto della sua lotta. Tutti gli scritti e i discorsi che qui presentiamo al lettore sono, pertanto, l'abbiamo gi avvertito, scritti e discorsi d'occasione; e l'occasione , appunto, la polemica coi luoghi comuni dominanti. Pure non sfuggir, ci auguriamo, al lettore piu attento, il filo logico e pratico che lega queste pagine. Abbiamo creduto necessario, nel discorso su Cultura e scienza nuova dell'umanit socialista chiarire alcuni motivi fondamentali, relativi al valore gnoseologico della costruzione socialista' ed alla funzione dirigente, liberatrice ed illuminatrice che anche fra noi spetta alla nuova cultura socialista. Anche qui, l'analogia con la funzione storica dell'illuminismo francese nell'epoca della Grande Rivoluzione una realt presente ed attiva, nella nostra battaglia contro l'oscurantismo. Nell'altro discorso, su La crisi della scienza e il marxismo , i motivi medesimi di questa battaglia per la scienza non sono pi dal punto di

vista della funzione illuminatrice della coscienza socialista, bens da quello della crisi organizzativa e gnoseologica della scienza nel nostro mondo borghese. Da questa impostazione di alcuni fondamentali problemi ideologici ed istituzionali della cultura contemporanea, negli scritti e nei discorsi seguenti, il dibattito si allarga, e al tempo stesso si precisa, attorno ai problemi che pi immediatamente ed acutamente si pongono nella battaglia culturale del nostro paese: vogliamo dire attorno ai problemi della libert della cultura, della sua capacit di organizzazione autonoma, del suo impegno nelle lotte per il rinnovamento sociale e culturale del paese. Non si meraviglier, pertanto,il lettore, di veder raccolti, nella seconda parte di questo volume, scritti e discorsi, che solo nell'apparenza presentano una disparit di temi e di motivi. Nella lotta per un'alleanza della cultura italiana, nella lotta per l'impegno degli intellettuali italiani al Congresso di Wroclaw, nella lotta per un rinnovamento della tecnica agraria del nostro Mezzogiorno, i motivi pratici che ricorrono sono quelli stessi, ideologicamente approfonditi negli scritti precedenti. E la variet degli impegni culturali ed organizzativi, che questi scritti e questi discorsi comportano, il lettore benevolo vorr imputarla, ci auguriamo, non a un dilettantismo (dal quale abbiamo cercato di rifuggire ori Ire nello sforzo di popolarizzazione del nostro linguaggio), bens ai doveri di direzione di una lotta culturale della classe, operaia, che non pu non spiegarsi oggi, anche in Italia, sui fronti pi diversi. Abbiamo accennato or ora allo sforzo per una semplicit e popolarit del linguaggio, non disgiunta da quella precisione terminologica che Indispensabile nella trattazione di temi ideologici ardui e nuovi. In questo sforzo ci ha aiutato il pubblico di lavoratori che ha assistito numeroso, e sovente ha attivamente partecipato, alle conferenze e ai dibattiti dei quali questo volume frutto. Fra i testi che qui presentiamo, solo il secondo presenta, in alcuni punti, una esemplificazione scientifica, la cui comprensione richiede qualche cognizione tecnica e scientifica pi specializzata. Si tratta tuttavia, anche in questo caso, di una semplice esemplificazione e ci auguriamo che il filo generale del discorso e dell'argomentazione possa essere seguito anche da coloro che non dispongono di tali cognizioni; da quel pubblico pi largo di lavoratori al quale la maggior parte di questi discorsi sono stati rivolti a voce ed al quale essi sono dedicati qui per iscritto. EMILIO SERENI

Cultura e scienza nuova dellumanit socialista

Conferenza tenuta il 13 novembre 1948 alla Sala farnese, in Bologna, a conclusione del Mese per lamicizia italo sovietica. Il resoconto stenografico stato in varie parti rielaborato e sviluppato per la pubblic azione a stampa.

Della filosofia stato detto che, come la civetta, come l'uccello di Minerva, essa fa la sua apparizione sulla sera, quando compiute e cessate sono le opere industri del giorno. Se questa similitudine dovesse significare come ha significato per le classi oppressive e sfruttatrici che si sono succedute nel dominio della societ umana una separazione della teoria dalla pratica, del pensiero e del libro dalla vita, essa non varrebbe, certo, a sottolineare il rapporto che, nella lotta della classe operaia per il socialismo, si stabilisce tra la sua teoria e la sua pratica rivoluzionaria. Per la classe operaia, per i figli del bisogno e della lotta, filosofia, scienza, cultura, non son gi pi, e non possono essere, teoria astratta dalla pratica rivoluzionaria, pensiero che non s'incarni in azione, libro che non esprima esigenze di vita: ch anzi la cultura della classe operaia non pu nascere e svilupparsi che da queste vitali esigenze di lotta, le chiarisce e le orienta, in un legame indissolubile tra la teoria e la pratica rivoluzionaria. Ma resta pur sempre vero che la cultura e la scienza nuova dell'umanit socialista rappresentano come il coronamento della lotta della classe operaia, la forma pi compiuta in cui di questa lotta si esprime e si realizza l'obiettivo storico, che quello della creazione di un uomo e di un'umanit nuova, di un nuovo umanesimo. A ragione, dunque, gli iniziatori di questo ciclo di conferenze hanno prescelto tale argomento per questa conversazione conclusiva del Mese dell'amicizia italo-sovietica ; e l'affollarsi in queste sale di un pubblico cos vario per la sua composizione sociale e culturale, mostra quanto largo ed attento, ormai, sia l'interesse che anche tra noi suscitano i problemi non solo economici e pi strettamente politici, ma culturali, della costruzione socialista. Possiamo ben dire che per la prima volta, quest'anno, nel corso di questo Mese dell'amicizia italosovietica , un pi largo pubblico italiano ha avuto la possibilit di prendere un pi vivo contatto con tali problemi. Con ci non vogliamo dire, certo, che sinora la nuova civilt e la nuova cultura sovietica non a abbiamo fatto sentire la loro enorme efficacia anche tra noi, anche nella cultura italiana. Da trenta anni malgrado gli sforzi del fascismo per nascondere o falsare agli occhi degli italiani la realt del paese del socialismo -- il fatto stesso dell'esistenza dell'Unione sovietica ha rappresentato, anche per l'Italia, il pi potente fattore di organizzazione e di orientamento della classe operaia e delle masse popolari nella loro lotta contro il fascismo, per l'indipendenza nazionale, per la pace, per la democrazia, per il socialismo, che anche nel nostro paese lotta per la cultura, per la sua difesa e per il suo rinnovamento. Siedono qui accanto a me, al tavolo della presidenza di questa riunione, uomini come il prof. Volterra, come Betti, come Tarozzi, come il vostro sindaco, l'amico e compagno Dozza, militanti della lotta antifascista clandestina, che con me e con cento altri in questa sala possono darvi testimonianza di quanto or ora ho affermato. Ciascuno di noi sa bene, ha potuto sperimentare nelle organizzazioni clandestine democratiche e nelle galere fasciste, cosa abbia significato per il successo della nostra lotta questo grandioso fatto storico dell'esistenza del paese del socialismo, della sua forza, delle sue vittorie. Negli anni pi duri della tirannide fascista, ogni qual volta un militante antifascista riusciva a tessere qualche filo della grande congiura della libert, ogni qual volta -- a prezzo di sacrifici e di eroismi indicibili si riusciva a stabilire un contatto con altri combattenti o gruppi di 4

combattenti della democrazia, si ritrovava che lo stimolo alla conquista di una coscienza, la spinta ad una prima organizzazione democratica, la fiducia in una possibilit d lotta e di vittoria, nasceva sempre di l: dalla coscienza, sia pur vaga e confusa, dell'esistenza del paese del socialismo, di un paese ove gli operai, i contadini, gli intellettuali d'avanguardia avevano conquistato la libert, costruivano una societ senza sfruttati n sfruttatori.

L'URSS nella lotta per la cultura.

Dopo di allora, in cento altri modi, e finalmente con la vittoria nella grande guerra di liberazione, i popoli dell'Unione sovietica hanno confermato e sviluppato questa loro decisiva funzione di avanguardia nella lotta per la cultura. Centinaia di milioni di uomini semplici, dall'Italia alla Cina, dalla Francia alle Americhe,decine di migliaia di intellettuali della Resistenza hanno potuto intendere ed hanno inteso, alla lezione di grandiosi fatti storici, che salvando il mondo dalla barbarie nazista e fascista sui campi di Leningrado e di Stalin-grado i popoli sovietici hanno salvato, per l'umanit tutta, la civilt, la cultura, la possibilit stessa di una civilt e di una cultura. Eppure, questo apporto grandioso che i popoli dell'Unione sovietica, la cultura e la civilt nuova del socialismo hanno dato e dnno alla causa mondiale della pace, della civilt, della cultura, non che un elemento, un momento, un aspetto di un apporto ancor pi decisivo e universale; ed su tale apporto che mi sembra particolarmente necessario attirare la vostra attenzione. Si consideri cosa significhi, nel nostro paese e per ogni dove, cultura e lotta per la cultura. Non v' cultura e non v' certo, senza la conservazione di quei valori che le generazioni passate hanno creato col loro sforzo millenario, senza una tradizione culturale, nella quale ogni nuova generazione trova la materia delle sue elaborazioni. Ma non men vero che non v' cultura e non v' civilt l dove una tradizione, passivamente accolta od imposta, col suo immobile peso schiacci e soffochi quello che di ogni cultura il momento decisivo, il momento dell'attivit, della creativit culturale. Per questo, in ogni epoca della storia dell'umanit, quel paese, quel popolo, che di volta in volta ha espresso primo dal suo seno nuovi rapporti di produzione, nuove classi, che di contro all'opera, alle tradizioni del passato affermavano un'attivit ed una produtttivit nuova, ha sempre esercitato una funzione d'avanguardia e d'irradiazione culturale. Cos avvenuto per la Grecia e per l'Italia antica, ove una nuova societ e nuove classi cittadine si sono affermate contro le immobili tradizioni della societ, gentiIizia cos avvenuto per la cultura dei nostri Comuni e per quella nostro Rinascimento; cos avvenuto per la cultura francese nell'epoca dell'illuminismo e della Grande rivoluzione. Nelle epoche passate, tuttavia, e per ciascuna delle rivoluzioni culturali or ora ricordate, l'efficacia liberatrice, la produttivit di una cultura e della sua irradiazione per quanto grandiose esse ci possano apparire restavano necessariamente limitate dal carattere stesso della civilt di cui esse erano l'espressione. Ciascuna di queste rivoluzioni, certo, pur innestandosi su di una data tradizione culturale, la spezzava e la rinnovava, produceva nuovi valori. All'alba della nuova ra cos, la letteratura cristiana ci dice, per bocca di San Paolo, che non vi pi n Giudeo n Gentile , ci esprime la avvenuta venuta rottura del vecchio quadro di una cultura limitatamente cittadina o particolaristica, quale era stata quella della polis greca o delle trib d'Israele; e all'alba dell'et contemporanea, del pari, la cultura illuministica del Terzo stato ci esprimer, nell'accezione nuova di termini quali nation o citoyen , la rottura del quadro 5

tradizionale di una societ, dilacerata in caste ereditarie. Ma sempre, di nuovo, in ciascuna di queste rivoluzioni culturali, la produttivit e la creativit della cultura nuova limitata dal fatto che la rottura con la tradizione del passato (il suo superamento) resta sempre relativa. Nuove classi si avvicendano alla testa della societ, affermano in essa la loro egemonia economica, politica, culturale; ma son sempre classi oppressive e sfruttatrici, e la loro cultura, la cultura dominante, non pu esprimere appunto che le condizioni e le esigenze ideologiche del loro dominio. Da una tradizione servile si libera, l'umanit; ma quella nuova che le si impone ancora una tradizione servile nuova, che esprime la realt e le esigenze del dominio di una nuova classe, anch'essa oppressiva e sfruttatrice, che non pu affermare il suo dominio senza perpetuare la divisione della societ in classi. In ciascuna delle rivoluzioni culturali del passato, cos, di contro a quel che di nuovo, di pi umano quella data rivoluzione afferma e produce, resta preponderante il peso di una millenaria tradizione servile, il peso di quel che sempre stato , della divisione della societ in oppressi e in oppressori, in sfruttatori e in sfruttati; sicch il giudizio che la nuova cultura d del mondo, e dell'uomo, e dei suoi destini, e della condizione umana per quanto nuovo e rivoluzionario esso possa apparire resta in fatto tutto dominato e materiato da questo pregiudizio, da una tradizione millenaria, che nata sulla base dell'intima dilacerazione di una societ divisa in classi.

L'URSS contro la forza di " quel che sempre stato"

Quale e quanto sia il peso soffocante di questo pregiudizio, di questa tradizione, ciascuno di noi lo sperimenta ogni giorno nella sua lotta per il rinnovamento della cultura e della civilt italiana. A chi consideri il travaglio della nostra societ, non pu sfuggire che proprio questo il pi formidabile tra i nemici che ci troviamo a dover combattere. Non saranno n i Truman n i De Gasperi, n gli Scelba n i Gonella, i poveri untorelli che spianteranno Milano o Bologna o l'Italia, che potranno fermare la marcia della civilt nuova; e quel che ancor oggi essi possono, per ritardare questa marcia, non tanto opera loro, attiva e cosciente, quanto l'opera di una forza possente e tremenda che ancora agisce nelle nostre file, in noi stessi, negli istituti che reggono la nostra societ come nell'intimo della nostra coscienza. quella forza contro la quale, nel dramma di Schiller, persino Wallenstein, l'ardito condottiero, si confessava impotente a combattere, ma che pur l'umanit deve battere, per costruire il mondo e la cultura nuova: la forza di quel che sempre stato. L'apporto decisivo, che i popoli dell'Unione sovietica hanno recato e recano alla vittoria della cultura e della civilt nuova, proprio questo. Caste sacerdotali antiche o antiche classi di proprietari di schiavi, imperatori cristiani e signori feudali, re assoluti e borghesi liberali o repubblicani, di volta in volta nella storia hanno affermato il loro dominio, ed hanno elaborato civilt nuove, splendide di templi e d opere d'arte meravigliose, di pensamenti nuovi e profondi o di conquiste ardimentose della tecnica; eppure di volta in volta essi hanno ribadito le catene di un'antica tradizione, di un pregiudizio che sembrava eterno, secondo il quale la ricchezza, la libert, la cultura dei pochi, avrebbero per presupposto inevitabile la miseria, la servit, l'ignoranza dei pi. Cos sempre stato, cos sempre sar , ci dicono ancor oggi Trii man e il Papa, Benedetto Croce e l'editorialista del Corriere della Sera o del Reader's Digest, quando non sanno additarci, come via d'ascesa dell'umanit, altro che quella dell' iniziativa privata del fattorino che diventa miliardario dall'ago al milione trasformandosi egli stesso in sfruttatore, o del Santo o del

Saggio che conquistano la loro personale saggezza o santit di contro aIla turba profana dei peccatori e dei poveri di spirito. Cos sempre stato, cos sempre sar . L'enorme importa nza storica della Rivoluzione d'Ottobre, la sua portata culturale senza precedenti, sta nel fatto che essa ha per sempre spezzato questa tradizione e questo pregiudizio servile che l'umanit si era trascinato appresso attraverso tutte le sue rivoluzioni. Quando, nelle conversazioni che in questo ciclo di conferenze hanno preceduto questa mia, vi si parlato della Rivoluzione socialista e del paese del socialismo, quando vi si mostrato come, in Unione sovietica, sia stato abolito ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo, come siano state liquidate le classi sfruttatrici, come si sia costruita una societ in cui gi pi non esistono classi antagonistiche e in cui la libert degli uni non pi negazione e limite, ma anzi condizione e potenziamento della libert degli altri; quando vi si mostrato come, in Unione sovietica, il vertiginoso progresso dell'agricoltura e dell'industria sia condizionato dall'elevamento generale del livello tecnico e culturale delle masse, e non pi solo di pochi privilegiati, vi si mostrato, nei fatti, che se cos sempre era stato nel passato non vero che cos anche debba sempre essere per l'avvenire: vi si mostrato che possibile rompere, che gi sulla sesta parte del globo son rotte le catene di quel pregiudizio, di quella tradizione servile. O si consideri, ancora, quel che Truman e il Papa, Benedetto Croce e l'editorialista del Corriere della Sera o del Reader's Digest ogni giorno in varia forma ci ripetono, a proposito di nazione o di guerra. E' difficile, certo, per la borghesia imperialista e per i suoi ideologi, venirci a parlare oggi della bellezza della guerra, come faceva Mussolini. Troppo recente, ancora, lo spettacolo dei suoi orrori, perch una tale predicazione possa sperare di attecchire. E allora si cerca di persuadere i milioni degli uomini semplici, e magari gli intellettuali d'avanguardia, che la guerra, s, una cosa orrenda e mostruosa, ma che dobbiamo acconciarci a combatterne una nuova, al servizio dei magnati di Wall Street come ieri al servizio dei tedeschi perch cos sempre stato, e cos sempre sar ; perch dal pantano di fango e di sangue dell'imperialismo, per ributtante e mortale che sia. non c' via d'uscita. E forse che, dai secoli dei secoli, popoli e nazioni non si son battuti per il loro predominio, per imporre il loro suggello su altri popoli, su altre nazioni? E forse che non questa un'eterna legge di vita e di morte degli uomini? Cos sempre stato, cos sempre sar . L'enorme importanza storica della Rivoluzione d'Ottobre, la sua portata culturale senza precedenti, sta nel fatto che essa ha per sempre spezzato questa tradizione e questo pregiudizio servile che l'umanit si era trascinato appresso attraverso tutte le sue rivoluzioni. Poco pi di cento anni sono trascorsi da -che, in Russia stessa, in una poesia famosa, Alessandro Puschkin che pure era un veggente annunciatore di tempi nuovi cantava, a proposito delle lotte tra i popoli dell'antico Impero zarista:

Dai tempi dei tempi tra loro si battono Queste stirpi; g sovente, alla tempesta, Si piegata ora l'una, ora l'altra parte.

Non pi di quarant'anni sono trascorsi da che, nella Russia zarista, russi ed ebrei, turchi ed armeni, georgiani e tartari, si affrontavano in orrendi pogrom, restavano schiacciati sotto il duplice giogo di un'oppressione sociale e nazionale. Quando, nelle conversazioni che hanno preceduto questa mia, vi si 7

mostrato come la Rivoluzione d'Ottobre abbia risolto la questione nazionale, come, in Unione sovietica, cento popoli diversi vivano affratellati da un comune patriottismo, come essi creino, ciascuno secondo il proprio genio, una civilt che socialista per il suo contenuto, nazionale quanto alla sua forma; quando vi si mostrato di che unit monolitica questi cento popoli diversi abbiano dato prova nella difesa della patria comune, vi si mostrato che, anche per quanto riguarda i problemi della oppressione nazionale e della guerra, se vero che cos era sempre stato nel passato, non vero che cos anche sempre debba essere per l'avvenire; vi si mostrato che possibile rompere, che gi sulla sesta parte del globo son rotte le catene di quel pregiudizio, di quella tradizione servile, in fede della quale ancora una volta si cerca di trascinare gli uomini al macello. Ma di tutto questo, di tutto quanto in Unione sovietica si realizzato e si realizza sul piano politico, sociale, economico, tecnico, di quel che significhi la creazione di un'industria e di un'agricoltura socialiste, vi stato gi parlato nelle precedenti conversazioni di questo ciclo. Cos pure vi stato chiarito, senza dubbio, quale sia il significato che queste conquiste dei popoli sovietici hanno per noi, nella nostra lotta per la pace, per l'indipendenza nazionale, per la democrazia, per il socialismo. Quel che m'importava di sottolineare, era per il fatto che queste conquiste hanno per noi un significato, appunto, che non solo economico o sociale o politico, ma culturale, in quanto ci documentano la possibilit di una lotta e di una vittoria anche nostra contro una millenaria tradizione servile, in quanto maturano in centinaia di milioni di uomini semplici l'idea dell'assalto contro la cittadella del pregiudizio, che ancora inalbera il nero gagliardetto dell' sempre stato cos, e sempre cos sar .

Scuola e " socializzazione della cultura " nel paese del socialismo.

Ma parlare di cultura e di scienza nuova dell'umanit socialista non potrebbe significare, beninteso, solo parlare di questo suo generico, se pur universale e decisivo, apporto alla nostra lotta per una cultura nuova. E nemmeno basterebbe, a chiarire la portata storica della rivoluzione culturale che oggi celebra le sue vittorie in Unione sovietica, parlarvi solo di quel che la Rivoluzione socialista ha gi realizzato, nel senso della diffusione della cultura, nel senso dell'elevamento del livello culturale delle masse. Certo come giustamente rilevava Gramsci nei suoi Quaderni del carcere creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte originali , significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verit gi scoperte, socializzarle , per cos dire, e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente un fatto filosofico ben pi importante e originale che non sia il ritrovamento da parte di un genio filosofico di una nuova verit che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali (I) In questo senso, senza dubbio, lo sforzo ed

nota(I) Antonio Gramsci: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce. - Einaudi, Torino 1948, pag. 5.

i successi realizzati nel paese del socialismo sono senza precedenti nella storia. Non vogliamo appesantire questa nostra esposizione con dati statistici troppo particolareggiati che non mai facile seguire in una trattazione orale e che si possono d'altronde ritrovare in pubblicazioni a stampa. Ci limiteremo a citare alcune cifre caratteristiche. Nella Russia zarista, alla vigilia della prima guerra mondiale, gli Istituti di educazione prescolastica (asili infantili e simili), non erano pi di 275, ed erano tutti ad eccezione di una quindicina riservati ai bambini delle classi privilegiate. Nel 1941, il numero di tali Istituti era salito a 16.251, senza contare le colonie estive; nel 1947, oltre quattro milioni di bambini venivano accolti in Istituti di educazione prescolastica. Per quanto riguarda l'istruzione elementare, ognuno sa come il vecchio Impero zarista fosse il paese d'elezione di un analfabetismo di massa, che toccava punte del 98 e del 99 per cento tra le decine di milioni di uomini e di donne delle nazionalit oppresse. Ben quaranta tra queste nazionalit non disponevano nemmeno di un alfabeto per la loro lingua, e perci di una lingua e di una letteratura scritta; tanto meno potevano disporre, pertanto, di una scuola e di istituzioni culturali. Nel complesso delle popolazioni dell'Impero zarista, la percentuale degli analfabeti, alla vigilia della Rivoluzione di Ottobre, era di oltre il 65%; oggi l'analfabetismo stato praticamente liquidato. Dal 1930 stata introdotta l'istruzione elementare obbligatoria fino alla settima classe nelle citt e villaggi, fino alla quarta classe nelle localit rurali. Da 10.300.000 nel 1928-'29, il numero degli alunni delle scuole elementari salito a 17.700.000 nel 1932-'33, a 21.200.000 nel 1938-'39. Particolarmente degno di nota il fatto che il numero degli alunni nei corsi dal quinto al settimo, che nelle localit rurali era solo di 533.000 nel 1929-'30, era gi salito a ben 5.576.000 nel 1938-'39. Non meno impressionante lo sviluppo dell'istruzione media. Nel 1914, in tutto l'Impero zarista non esistevano che 1.953 Istituti d'istruzione media; nel 1938-'39, il numero di tali Istituti saliva in Unione sovietica a ben 12.469. Gli alunni delle scuole medie, che erano poche decine di migliaia prima della Rivoluzione, e non pi di 138.000 nel 1933, erano gi 1.408.000 nel 1938, senza contare quelli delle scuole medie kolkhoziane. Intere Repubbliche,come quella del Kazakhstan e dell'Uzbekistan, che erano prive di scuole medie prima della Rivoluzione, ne avevano gi rispettivamente 439 e 232 nel 1938; e per preparare nuove centinaia di migliaia di maestri, il numero delle Scuole normali, che era solo di 19 nel 1914, era stato portato a 196 nel 1946. Non parliamo delle scuole per adulti, alle quali accorrevano nel 1939 ben 751.00o persone, n delle scuole tecnico-professionali specializzate. Per quanto riguarda l'istruzione superiore, di tipo universitario, nel 1914 non esistevano nell'Impero zarista che 91 centri d'istruzione di questo grado, anche se si comprendono sotto questa voce corsi privati speciali di lingue, ecc. Nel, 1946, gli Istituti superiori pubblici di tipo universitario salivano in Unione sovietica a ben 792, ed erano frequentati da 653.000 studenti: un numero superiore a quello della popolazione universitaria di tutta l'Europa capitalistica. Ma vi di pi: nel 1914, fra gli studenti di otto universit russe, il 38,3% apparteneva, per la sua origine sociale, alla nobilt e all'alta burocrazia, il 43,2% alla borghesia e al clero, il 14% alla borghesia rurale; solo il 4,5% proveniva da famiglie di operai, di contadini o di intellettuali poveri. Oggi ancora, negli Stati Uniti d'America, secondo i dati raccolti da una Commissione dell'Universit di Harvard, solo il 5% di figli di lavoratori trova accesso agli Istituti d'istruzione superiore. In Unione sovietica, per contro, l'istruzione superiore effettivamente duecentomila nominalmente, aperta a tutti, e tutta la popolazione universitaria risulta composta di lavoratori e di figli di lavoratori. 9

L'elevamento del livello culturale della massa dei lavoratori al livello dei tecnici e degli ingegneri.

Il compito grandioso che oggi si pone di fronte ai popoli dell'URSS, e che gi si viene realizzando, nel campo dell'istruzione, quello dell'elevamento del livello culturale della massa dei lavoratori al livello dei tecnici e degli ingegneri. N si creda che ci voglia significare semplicemente tino sviluppo della cultura tecnica e scientifica; di pari passo con la diffusione e l'approfondimento di questa, va la diffusione della cultura cosiddetta umanistica. Basti accennare al moltiplicarsi dei Musei e delle Accademie di belle arti, delle Istituzioni teatrali e musicali; basti ricordare che le tirature e la diffusione dei classici russi e stranieri da Tolstoi a Rabelais, da Balzac a Shakespeare, dal Palladio al Goldoni superano sovente gi, in Unione sovietica, quelle che si ritrovano nei paesi d'origine dei singoli autori. A mostrare quali passi, sulla via gi accennata dell'elevamento del livello culturale della massa dei lavoratori al livello dei tecnici e degli ingegneri, siano ormai stati compiuti nel paese del socialismo, voglio citarvi ancora. solo una cifra, che mi si presenta qui sottomano. Voi sapete che nel corso di questa estate si svolta, presso l'Accademia delle scienze dell'URSS, una discussione sui problemi della genetica, di quella parte della biologia, cio, che studia le leggi della trasmissione dei caratteri ereditari degli esseri viventi. Di questa discussione sono stati dati, per oltre un mese, larghi resoconti, non solo nella stampa specializzata, ma nelle prime pagine dei quotidiani. Milioni di lettori hanno potuto seguirne gli sviluppi nelle linee generali. Ebbene: pochi giorni or sono, il resoconto stenografico completo dei dibattiti stato pubblicato in questo grosso volume che ho qui dinnanzi a me. E un volume che in qualsiasi paese del mondo capitalistico, anche dei pi avanzati, sarebbe accessibile solo a poche centinaia, o al massimo ad alcune migliaia di specialisti o di scienziati. In Unione sovietica, questo volume stato tirato in una prima edizione di duecentomila esemplari; e il compagno, che in questi giorni me ne ha portato questa copia da Mosca, mi diceva che gli era stato assai difficile trovarmela perch, gi pochi giorni dopo la sua pubblicazione, questa prima edizione era esaurita in quasi tutte le librerie della capitale sovietica. L'interesse dei dati sommari che ho qui citato mi ha gi indotto ad appesantire, pi di quanto non fosse nelle mie intenzioni, di cifre la mia esposizione; e non vorrei peccare ancora per questo verso. Mi basti solo citare ancora un dato significativo, che valga a riassumere tutto quanto siamo venuti rilevando. Mentre negli Stati Uniti d'America, ai fini dell'educazione e dell'istruzione, si spende poco pi dell' 1,5 % del reddito nazionale; mentre, in Inghilterra, tale percentuale si eleva appena al 3%, in Unione sovietica ben il 13% del bilancio economico nazionale destinato alle spese per l'istruzione e per l'educazione: con una percentuale che, nei paesi capitalistici, si ritrova solo quando si calcolano non gi le spese per la costruzione culturale, bens quelle per le opere distruttive degli armamenti e della guerra. Abbiamo gi avvertito, tuttavia, che neanche l'imponenza dei risultati che il paese del socialismo ha realizzato e sta realizzando su questo piano della diffusione della cultura e dell'elevamento del livello culturale delle masse, potrebbe esaurire il senso e la portata della rivoluzione culturale che oggi si sviluppa in Unione sovietica. Si pu dire, anzi, in un certo senso, che di questa rivoluzione culturale tali grandiose realizzazioni rappresentano solo la premessa, mentre la rivoluzione stessa si sviluppa e si manifesta su di un piano ancor pi largo ed elevato.

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La liquidazione dei residui ideologici della societ di classi nella coscienza degli uomini.

La realt che la costruzione vittoriosa del socialismo venuta e vien costruendo in URSS un'umanit, un uomo nuovo. L'eliminazione di ogni forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la liquidazione dell'inferiorit economica, sociale, politica, intellettuale della donna, la soluzione della questione nazionale, assicurano gi all'umanit sovietica condizioni di sviluppo che non hanno precedenti nella storia. Abbiamo gi detto come la Rivoluzione socialista abbia conquistato e distrutto la cittadella del pregiudizio, la cittadella dell' sempre stato cos, e sempre cos sar . Ma quel che vero per i rapporti e per gl'istituti sociali, non men vero per l'uomo stesso, per la sua coscienza sociale, politica e morale. Fenomeni grandiosi come quello dell'emulazione socialista e dello stakhanovismo, o come quello dell'eroismo di massa che ha meravigliato il mondo nel corso della guerra patriottica contro l'aggressore nazista, gi rivelano la nascita di questo uomo nuovo, che sta in rapporti nuovi con gli altri uomini e con la societ di cui parte, che con occhi nuovi guarda al mondo, e alle sue lotte, e al suo avvenire. un'umanit che gi coscientemente si posto sotto la guida del Partito bolscevico il compito di liquidare i residui ideologici del capitalismo e della societ di classi nella coscienza degli uomini. E gi su questa via che la via del passaggio dalla societ socialista alla societ comunista dei passi decisivi si compiono, mentre di questo passaggio si pongono le premesse sul piano dei rapporti di produzione. Marx ed Engels avevano gi mostrato come un pi alto grado di sviluppo delle forze produttive, che assicuri all'umanit un'abbondanza di prodotti, sia una condizione essenziale per il passaggio dalla societ socialista -- in cui vige il principio di distribuzione: a ciascuno secondo il suo lavoro al suo stadio superiore, alla societ comunista, in cui vige il principio: da ciascuno secondo le sue capacit, a ciascuno secondo i suoi bisogni . Lo sviluppo ininterrotto delle forze produttive del paese del socialismo che si verificato come legge fondamentale dell'economia socialista persino negli anni pi duri della guerra e dell'invasione nazista, di contro alla stagnazione e al marasma economico del mondo capitalista assicura che la fondamentale condizione per il passaggio alla societ comunista in via di realizzazione. Ma ancora pi importanti, ai fini che qui particolarmente ci interessano, sono altre due condizioni che debbono essere soddisfatte perch divenga possibile il pieno sviluppo di una societ comunista. Gi oggi, nel paese del socialismo, liquidate le classi oppressive e sfruttatrici, la societ non pi divisa in classi antagonistiche, che abbiano cio tra di loro interessi contrastanti. Operai, kolkhoziani, intellettuali sovietici sono classi amiche, con caratteristiche profondamente diverse, ormai, da quelle che le classi corrispondenti hanno nella societ capitalistica. Tra queste classi amiche, tuttavia, se pur non sussistono antagonismi che le separino, sussistono ancora diversit che le distinguono, per la loro posizione nel processo produttivo, come per le condizioni ambientali della loro esistenza, come per il loro grado di sviluppo intellettuale. La separazione tra citt e campagne questa fondamentale caratteristica della societ di classi non ancora superata nella societ socialista: nella quale, se essa gi superata in quanto contrasto, non ancora, appunto, in tutto superata in quanto distinzione, per quanto riguarda condizioni di vita e possibilit di sviluppo culturale. Fin d'oggi, tuttavia, lo sviluppo del regime kolkhoziano viene rapidamente liquidando l'arretratezza tecnica dell'agricoltura rispetto all'industria; la meccanizzazione e l'elettrificazione delle campagne - che non hanno confronto nel mondo capitalistico - ,la combinazione del lavoro industriale col lavoro agricolo nei kolkhoz, lo sviluppo grandioso delle istituzioni scolastiche e culturali nei centri kolkhoziani, modificano profondamente le condizioni di lavoro e di vita delle popolazioni rurali; mentre una cosciente e pianificata politica urbanistica moltiplica fin nelle regioni 11

pi remote i nuovi centri cittadini, che una politica delle comunicazioni e dei trasporti avvicina ed irradia sulle campagne circostanti. Mentre cos, con la progressiva liquidazione del contrasto tra citt e campagne, si pone un'altra fondamentale premessa per il passaggio alla societ comunista, non meno importanti sono i passi che si vengono compiendo per la liquidazione dell'altro fondamentale contrasto, caratteristico per la societ di classi: il contrasto fra il lavoro manuale e il lavoro intellettuale. Non vi pu sfuggire, evidentemente, la particolare importanza che il progressivo superamento di questo contrasto assume ai fini di una effettiva e radicale rivoluzione culturale. Nella societ di classi, se dal contrasto fra citt e campagne la maggior parte dell'umanit condannata a quello che Marx ha chiamato l'idiotismo contadino, il contrasto fra lavoro manuale e lavoro intellettuale condanna l'umanit intera ad una vera e propria mutilazione, la cultura ad una relativa impotenza che nasce dalla separazione della teoria dalla pratica, del libro dal lavoro e dalla vita. Mentre le grandi masse dei lavoratori manuali restano cos, di fatto, escluse da ogni possibilit di superiore e pi umano sviluppo culturale, la cultura degli intellettuali si sviluppa fuori del contatto vivo col mondo della produzione sociale, si frammenta in specializzazioni e in circoli chiusi, si evapora in astrazioni quintessenziali. Nel paese del socialismo, questa che Lenin chiama una delle pi tremende maledizioni che pesano sulla societ capitalistica, il contrasto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra il libro e la vita, anch'essa in via di superamento. La via non , beninteso, quella della realizzazione di una sorta di media culturale, attraverso l'abbassamento del livello culturale degli intellettuali, bens quella alla quale abbiamo gi accennato, dell'elevamento del livello culturale delle masse al livello dei tecnici e degli ingegneri. La ristrettezza del tempo ci vieta di soffermarci ad illustrare i passi concreti che gi nel paese del socialismo si son compiuti in questa direzione. Basti ricordare, d'altronde, che per la loro origine sociale e per la loro formazione stessa, fin d'oggi, gli intellettuali sovietici sono profondamente diversi dagli intellettuali dei paesi capitalistici, per il loro organico legame con le masse degli operai e dei kolkhoziani, ai cui problemi essi restano quotidianamente legati nell'opera comune della costruzione socialista. Lo sviluppo numerico e qualitativo dell'intellettualit sovietica si realizza cos, a differenza di quel che avviene nella societ capitalistica, sulla base di un generale e rapido elevamento del livello culturale delle masse: l'estensione dell'istruzione obbligatoria sino alla settima classe, la progressiva generalizzazione dell'istruzione media e superiore, gi segnano un passo importante sulla via del superamento del contrasto fra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Ma non meno importante il cambiamento della natura e del significato delle occupazioni manuali stesse. Gi nella societ socialista, il lavoro non pi un'attivit servile e coatta, ma tende a divenire una libera esplicazione delle facolt e dell'attivit umana; il movimento stakhanovista di massa nasce gi sulla base di questa nuova caratteristica del lavoro, comporta un impiego e una mobilitazione non solo e non tanto delle capacit e della forza fisica, quanto quello delle capacit tecniche, intellettuali, organizzative del lavoratore. La partecipazione attiva alla responsabilit e alla direzione della produzione, il sollievo crescente dai lavori pi pesanti attraverso l'automatizzazione, il gusto alla creazione del prodotto, al perfezionamento dei metodi produttivi, gi sono elementi che, nella societ socialista, tendono a ravvicinare sempre pi il lavoro manuale al lavoro intellettuale. Mentre sia l'uno che l'altro, d'altra parte, si vengono ulteriormente specializzando, la diffusione di un'istruzione generale fondata sul lavoro e l'attiva partecipazione di ogni lavoratore intellettuale o manuale alla direzione della cosa pubblica ed alla vita sociale, attraverso il sistema sovietico, accomuna tutti i lavoratori nella superiore attivit intellettuale, nella cultura della societ socialista.

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Ci siamo soffermati ad illustrare questi fondamentali processi che si realizzano nella struttura stessa della societ socialista e che avviano la sua trasformazione, il suo passaggio allo stadio superiore della societ comunista. Ma l'abbiam gi detto tutti questi processi, per quanto, grandiosi essi possano apparire, ed effettivamente siano, non costituiscono in un certo senso ancora altro che una premessa di quella vera e propria rivoluzione culturale che si manifesta su di un piano ancor pi largo e pi elevato.

Rivoluzione culturale.

Ma quali sono, dunque, le forme in cui 'questa rivoluzione culturale pi propriamente si manifesta? A chi, dal vecchio mondo dell'oppressione e dello sfruttamento, dal vecchio mondo della cultura borghese, si volga a rimirare le manifestazioni di questa rivoluzione, esse si presentano e come potrebbero non presentarsi? nelle forme di un vero e proprio scandalo.Non sembri paradossale quanto ora qui io affermo. E forse che, all'epoca del primo Cristianesimo, non si parl e giustamente si parl dello scandalo della Croce , di questo strumento di tortura e segno d'obbrobrio, eretto a simbolo di salvazione e di fede?Ogni rivoluzione, sociale o politica o culturale che sia, tale appunto perch rivolge e capovolge valori sostanziali e fondamentali di una data societ, d scandalo, pietra di scandalo per usare l'espressione biblica agli uomini del vecchio secolo, del vecchio mondo. E tanto pi questo vero per ogni manifestazione della rivoluzione proletaria che sommuove e rinnova e capovolge valori che da tutte le societ di classi, da tutte le classi dominanti che si sono avvicendate nella storia, erano considerati come stabili e eterni: quel che sempre stato, e quel che sempre sar . Una tale pietra di scandalo ha rappresentato, per il vecchio mondo dell'oppressione e dello sfruttamento capitalistico, per il vecchio mondo della cultura borghese, l'inizio della pubblicazione, da parte del Comitato centrale del Partito comunista (bolscevico) dell'Unione sovietica, di una serie di risoluzioni sui problemi della cultura: della storiografia, e della letteratura, della filosofia e del cinema, della musica e delle arti figurative, della biologia e della critica. Mi sembra che il modo migliore d'intendere il senso e la portata della rivoluzione culturale che oggi si va sviluppando nel paese del socialismo, sia proprio quello di prender di petto gli eroici furori di questi scandalizzati rappresentanti del vecchio mondo e della vecchia cultura. Oportet ut scandala eveniant parola di Vangelo; e la rivoluzione proletaria non davvero meno profondamente rinnovatrice di quella cristiana da non dovere e potere apertamente e superbamente proclamare lo scandalo che la sua civilt nuova solleva tra i figli del secolo. E tra i figli del secolo , oggi come ai tempi del primo Cristianesimo vi son pure gli uomini di buona volont e di buona fede, che proprio dalla pietra dello scandalo non restano impacciati e travolti, ma anzi indirizzati e orientati sul nuovo cammino.

Partito e cultura.

A questi uomini di buona volont e di buona fede sono indirizzate queste parole; e non saprei muovere, nel mio discorso,da altri motivi che non siano proprio quelli del loro scandalo. 13

E che mai ci dicono questi uomini di buona fede e che mai: ora un Partito politico si deve mettere, in Unione sovietica, a discutere e ad approvare risoluzioni sui problemi della filosofia, della scienza, dell'arte? E che mai questo pu avere a che fare coi compiti di un Partito politico? Che il Partito bolscevico e il suo Comitato centrale discutano ed approvino, putacaso, una risoluzione sul problema dell'organizzazione industriale o su quello della politica estera o su quello del cambio della moneta, non , di per se stesso, fatto che susciti scandalo fra gli uomini di buona fede; e neanche, d'altronde, ne suscita fra gli avversari dichiarati dell'Unione sovietica e del socialismo. Forse che anche da noi il Partito comunista, o il Partito della democrazia cristiana, non discutono e non approvano, nei loro Congressi o nei loro Consigli nazionali, risoluzioni e mozioni su problemi del genere? Anche nel mondo capitalistico, problemi come quello della politica estera o. come quello dell'organizzazione industriale o del cambio della moneta, sono problemi che toccano da vicino gli interessi di ogni cittadino; e un Partito politico, che pretenda dirigere ed orientare la vita di una nazione qualsiasi, non saprebbe assolvere questa sua funzione senza prender posizione sui problemi che interessano ed appassionano gli uomini di quel paese. Perch, dunque, questo scandalo di fronte alla pubblicazione delle risoluzioni del Comitato centrale del Partito bolscevico sui problemi della filosofia, della scienza, dell'arte? Certo, su problemi del genere, i Partiti politici dei paesi capitalistici non discutono e non approvano, in generale, delle, risoluzioni. Vero che, anche nel mondo capitalistico, l dove dei problemi culturali hanno davvero appassionato la massa dei cittadini, si son visti i Partiti politici pi diversi prender posizione su questi temi. Basti ricordare, a questo proposito, le lotte che in Germania, al tempo di Bismarck, fra i Partiti politici furono combattute nel cosiddetto Kulturkampf; o quelle combattute in Francia attorno all'affare Dreyfuss o attorno alle leggi Combes; o, per prendere un esempio pi vicino a noi nello spazio e nel tempo, le discussioni attorno alla libert della scuola , nell'altro dopoguerra. In ciascuna di queste, occasioni, e in molte altre che qui tralasciamo di ricordare, di fronte a problemi culturali che appassionavano milioni di uomini, si son visti, nei diversi paesi del mondo capitalistico, i Partiti pi diversi non solo prender posizione, ma addirittura modificare il loro schieramento ed il loro raggruppamento politico in base al loro atteggiamento d fronte a tali problemi. Non un caso, tuttavia, che tutti gli esempi che abbiamo citato, e la maggior parte degli altri che potremmo citare, si riferiscano a lotte che fra i Partiti politici si sono sviluppate attorno a problemi della cultura e dell'educazione religiosa: o che, comunque, con tali problemi avevano una stretta attinenza. La realt che, anche nel mondo capitalistico, quando un problema culturale tocca l'interesse e appassiona milioni di uomini, i pi diversi Partiti politici, laici o confessionali che siano, sono portati e obbligati, anzi, a prender posizione di fronte a tali problemi. Ma nei paesi capitalistici, i problemi culturali che appassionano milioni di uomini sono quasi esclusivamente quelli della cultura religiosa tradizionale o quelli della lotta delle masse per la loro emancipazione da tale cultura, passivamente accolta o addirittura imposta dallo Stato. Il fatto non ci pu meravigliare quando si avverta che, in ogni societ di classi, la grande maggioranza della popolazione condannata all'incoltura, che significa appunto una mancanza di attivit culturale, l'accettazione passiva di una cultura gi ferma e cristallizzata, ereditata tradizionalmente dalle precedenti generazioni, imposta, diffusa, consolidata attraverso l'apparato statale e culturale delle classi dominanti. E ciascuno sa, ciascuno pu facilmente constatare come la forma principale che questa cultura passiva, questa incoltura delle masse assume, sia proprio quella della cultura , della tradizione religiosa, della superstizione. Gi Montaigne rilevava efficace mente, nei suoi Saggi famosi, questo carattere passivo della cultura religiosa delle masse, quando egli scriveva che nous sommes chrtiens mme titre que nous 14

sommes prigourdins ou allemands, quando accomunava la tradizione cattolica del suo paese ad ogni altra tradizione religiosa, osservando che essa viene passivamente accolta non autrement que corame les autres rligions se reVoivent , solo per il fatto que nous nous sommes rencontrs au pays o elle etait en usage ; o nous regardons son anciennet o l'autorit des hommes qui l'ont maintenue; o craignons les menaces qu'elle attache aux mcrants, o suivons ses promesses (*). Non pu meravigliarci, pertanto, che l dove milioni di uomini semplici si risvegliano ad una vita culturale, ad una cultura attiva, le prime grandi lotte culturali che toccano e interessano le masse siano proprio quelle che si sviluppano attorno al problema della cultura e dell'educazione religiosa. Cos era gi avvenuto nel Medio Evo, quando ancora e sempre di nuovo ogni rivoluzione culturale di massa addirittura trovava la sua espressione in forme religiose; cos avvenuto e avviene nella societ borghese, dove, prima ancora che il proletariato elabori le sue pi caratteristiche forme di lotta per la conquista della cultura, delle frazioni stesse della borghesia e della piccola borghesia sono portate ad esprimere la loro attivit culturale nella lotta per l'emancipazione dalla cultura religiosa tradizionale. Il fatto, dunque, che, nei paesi capitalistici, i Partiti politici siano portati a pronunciarsi quasi esclusivamente su quei temi culturali che pi da vicino sono attinenti alla cultura e all'educazione religiosa, in stretto rapporto con la caratteristica prevalentemente passiva della cultura delle masse, abbandonate e costrette all'incoltura di una tradizione religiosa passivamente accolta: sicch, l dove esse si risvegliano ad una prima attivit culturale, questa volta necessariamente alla lotta per la emancipazione da questa tradizione, ed su questo terreno, appunto, che si combattono fra i Partiti le grandi battaglie culturali di massa. Profondamente diverse sono le condizioni nelle quali le battaglie per la cultura si combattono nella societ socialista, in Unione sovietica. Qui l'apparato oppressivo del vecchio Stato feudale o borghese stato distrutto da decenni ; l'apparato culturale delle vecchie classi dominanti non pi l a trasmettere e a radicar tra le masse l'analfabetismo e la superstizione, il pregiudizio del cos sempre stato, e cos sempre sar . La Chiesa non pi appoggiata e finanziata dallo Stato che non mette pi a disposizione del clero il suo braccio secolare. Le tradizioni e le superstizioni religiose non sono pi diffuse dall'apparato scolastico e dalla stampa, dal cinema e dalle radio, per i mille tramiti capillari di cui le vecchie classi dominanti disponevano. L'esercizio dei culti libero, ma nessuna imposizione interviene a perpetuarlo. L'educazione e l'istruzione delle masse non pi fondata, nella scuola socialista, sull'imbottimento dei crani con formule, dogmi e catechismi passivamente imposti ed accolti; bens sul lavoro, sulla attivit culturale, su di un atteggiamento critico, scientifico, storicistico, di fronte alle tradizioni del passato: che attivamente, criticamente, appunto, vengono accolte, trasmesse, valorizzate, e che perci della nuova cultura divengono non pi limite e peso morto, ma materia di elaborazione e fermento. Se si aggiunge a tutto questo il fatto decisivo che nella societ socialista, cio, la cosciente padronanza dell'umanit associata sui propri destini recide le radici sociali delle credenze religiose, non pu pi meravigliare il fatto che in Unione sovietica i problemi culturali attorno ai quali si afferma il pi appassionato interesse delle masse siano ben pi larghi e si sviluppino su di un piano ben pi elevato, di quel che non possa avvenire nei paesi capitalistici. L'enorme maggioranza degli uomini e delle donne sovietiche si ormai emancipata, nei nuovi rapporti della societ socialista, da una cultura di tipo religioso, tradizionale e passivo; l'educazione e l'istruzione socialista, la partecipazione attiva e cosciente alla costruzione della societ nuova, alla sua direzione, le ha impresso la caratteristica di un'attivit Nota (*) Montaigne: Essais. I,ivre II, eh. XII. 15

culturale, che da ogni parte e ad ogni istante viene sollecitata, promossa, sostenuta dall'esercizio della critica e dell'autocritica, nella scuola come nell'officina o negli istituti scientifici o nel Partito o nel soviet o nella redazione della rivista letteraria. Ho citato, poco fa, il dibattito recente sulla genetica che si allargato per mesi sulle prime pagine dei quotidiani, oltre che nelle colonne delle riviste specializzate; e del pari avrei potuto citare i dibattiti sulla filosofia o sulle belle arti o sulla letteratura. Alla domanda, pertanto: Perch il Partito bolscevico, un Partito politico, pubblica delle risoluzioni sui problemi della filosofia e dell'arte, della biologia e della storiografia? la risposta assai semplice. Il Partito bolscevico fa quello che ogni Partito politico, che pretenda di dirigere e orientare la vita di una nazione, fa anche nei paesi capitalistici. Il Partito bolscevico, proprio come fa in Italia il Partito comunista o quello della Democrazia cristiana, o come faceva il Partito liberale, quando ancora tra Benedetto Croce e Leone Cattani esso non si era ridotto all'impotenza; il Partito bolscevico, dicevamo, proprio come fanno tutti i Partiti nel mondo capitalistico, prende posizione e d un orientamento per tutti quei problemi che suscitano interesse, ed eventualmente contrasto di interessi, tra milioni di uomini, che si tratti di problemi della costruzione economica o di quelli della politica estera o di quelli della cultura. Quel che diverso, in Unione sovietica, il fatto che i problemi della cultura, che nella societ socialista sollevano l'interesse appassionato delle masse, non sono pi solo quelli della cultura religiosa o quelli della emancipazione dalla sua passiva tradizione, bens tutti i problemi di una cultura di massa, che attivit, che critica nell'arte, nella filosofia, nella scienza. Il primo scandalo, dunque, della cultura nuova dell'umanit socialista, in realt ben pi grave di quel che a prima vista non possa apparire. Non si tratta di una stranezza, di una eccentrica particolarit di un Partito politico che va ad occuparsi di cose che non lo riguardano; si tratta di qualcosa di ben pi profondo e sostanziale. Si tratta del fatto che, in Unione sovietica, il Partito bolscevico si occupa di arte e di scienza, di filosofia e di letteratura, perch di queste cose si occupano milioni e milioni di cittadini sovietici, con la stessa passione e con la stessa attivit con cui essi si occupano della costruzione dell'industria o dell'organizzazione kolkhoziana, o con cui, nei paesi capitalistici, milioni di uomini si appassionano ai problemi del cambio della moneta o del sussidio di disoccupazione. E per questo avevamo ragione quando affermavamo che proprio nello scandalo delle risoluzioni del Comitato centrale del Partito bolscevico sui problemi della cultura si esprime il senso pi profondo della rivoluzione culturale che si va compiendo in Unione sovietica. Ma, obietter ora l'uomo di buona volont e di buona fede, ammettiamo pure che in questo scandalo si esprima, in realt, questa prodigiosa rivoluzione culturale, senza precedenti nella Storia, che ha portato decine di milioni di uomini semplici a non appassionarsi pi di Santa Fede e di Madonne che muovono gli occhi, ma di arte, di scienza, di filosofia. Ammettiamo pure tutto questo: ma resta pur sempre il fatto che in Unione sovietica, insomma, la cultura non libera, perch il Partito dominante imprime una sua direzione persino in materia di pittura o di musica o di biologia. A parte il fatto, dunque, che in Unione sovietica il Partito bolscevico opera nel senso di un effettivo e progressivo elevamento del livello culturale delle masse, invece che in senso retrivo e oscurantistico, i metodi che esso segue sono pur sempre quelli della dittatura, praticati anche in questo campo dal fascismo e dal nazismo.

Spontaneit e direzione culturale.

Eccoci dunque dinnanzi al secondo scandalo che la cultura nuova dell'umanit socialista solleva tra i figli del secolo, ed anche, senza dubbio, tra uomini di buona volont e di buona fede; ed eccoci, ancora una volta, a 16

cercare di chiarirne il senso e la portata effettiva, perch i figli del secolo, di buona o di mala fede che siano, sappiano almeno di che, effettivamente, debbano scandalizzarsi. E permettetemi, a questo punto, ch'io ricorra ad un esempio, tratto dalla mia esperienza parlamentare. Quando, dopo la liberazione del Nord, s'inaugur la Consulta nazionale, a presiederla fu prescelto, come ricorderete, non so bene per che ragione, l'on. Sforza. Nell'assumere la presidenza, l'on. Sforza, additando teatralmente la tribuna dell'oratore, rilev che da quella tribuna, proprio Mussolini aveva pronunciato parole e annunziato atti liberticidi; propose pertanto che, nelle nuove e libere assemblee della democrazia italiana, gli oratori non parlassero da quella tribuna insozzata, bens dal proprio banco. Ora bisogna riconoscere che se anche Mussolini us questa espressione in tutt'altro senso, politico e liberticida l'aula di Montecitorio, nella quale si tenevano le riunioni della Consulta, effettivamente, materialmente sorda e grigia . Il risultato dell'accettazione della proposta dell'on. Sforza fu perci questo: che gli oratori, alla Consulta, parlarono dal loro banco, invece che dalla tribuna, e che nessuno riusciva a sentire e a seguire quel che dicevano; finch, provvidenzialmente, non si ebbe ricorso all'uso di microfoni, che a tutt'oggi si adoperano alla Camera. Se ho fatto ricorso a questo esempio, tratto dalla mia esperienza parlamentare, per illustrare una verit che non ci dovrebbe esser bisogno di dimostrare: che determinate esigenze sono evidentemente comuni, cio, a qualsiasi tipo di organizzazione sociale o di assemblee o di governo o di cultura, o di vita, pi in generale. Mussolini e Hitler, cos, avranno anch'essi dovuto, ogni giorno, pi o meno, mangiare e bere; e per quanto grande possa e debba essere la nostra esecrazione per i loro delitti contro l'umanit, noi non ci sogniamo certo di rinunciare a mangiare e a bere, o a soddisfare altri nostri bisogni corporali, perch anche Mussolini e Hitler facevano cos . Cos del pari in ogni assemblea, fascista o nazista o democratica che sia, si sente l'esigenza di poter seguire il discorso dell'oratore, e possibilmente il gesto: che anch'esso, almeno tra noi meridionali, parte integrante e sottolineatura del discorso. Per questo in tutte le assemblee, fin dai tempi pi antichi, e specie l dove la disposizione dell'ambiente rendeva difficile l'ascolto, si ricorso all'uso della tribuna per l'oratore: sicch gi nel Foro di Roma antica si parlava dai Rostri, e ci parsa bizzarra la proposta dell'on. Sforza: il cui antifascismo, anche in quella occasione, si rivel piuttosto come inconcludente abito settario che come costruttiva coscienza democratica. Quel che vale per le esigenze dell'oratoria in una qualsiasi assemblea, o per quella di una direzione in qualsiasi dibattito, non meno valido per l'esigenza e per l'effettiva realt di una organizzazione e di una direzione culturale in qualsiasi forma (li societ, in qualsiasi forma di organizzazione politica e statale. Non vi esempio, non dato nemmeno di immaginare una cultura l dove non si realizzi una organizzazione ed una direzione culturale. un fatto, questo, di cui ciascuno di noi pu facilmente rendersi conto, pur che guardi attorno a s e alla propria stessa formazione culturale. Forse che ciascuno di noi non si culturalmente formato e ogni giorno non si sviluppa nell'ambito di una data organizzazione culturale? Forse che non una sia pur embrionale organizzazione culturale la famiglia stessa, nel cui seno abbiamo imparato a parlare e a ragionare, e poi la scuola, o il sagrato dinnanzi alla chiesa del nostro villaggio, o l'officina, o l'universit, e il sindacato, e la confraternita religiosa, e la cellula del Partito o la Sezione delle ACLI: e poi tutta la societ in cu viviamo, con la sua stampa e coi suoi cinema, coi suoi musei e con i suoi teatri? E forse che, in ciascuna di queste pi o meno larghe, pi o meno esplicite organizzazioni culturali, la nostra cultura non si sviluppa sotto la costellazione di una determinata direzione culturale? E sar la mamma che ci dirige non solo nei primi passi e nei primi gesti, ma nell'uso del nostro dialetto o della nostra lingua, che significa poi un dato modo di ragionare e di esprimerci, ed la nostra prima cultura; e sar il maestro che ci dirige 17

nei primi studi, con un metodo suo particolare, che orienta la nostra curiosit in un dato senso; e sar il sacerdote che ci dirige nell'assimilazione di una dottrina tradizionale, o addirittura come confessore o come padre spirituale ci detta sin le minuzie della nostra pratica morale; e poi l'assemblea del Sindacato o del Partito, alla quale noi portiamo il contributo di una nostra personale attivit culturale, ma che pur ci dirige attraverso l'elaborazione di un orientamento collettivo, che frutto di un'esperienza non solo nostra. E sar infine la pi larga societ nella quale noi viviamo e della quale siamo partecipi, che ad ogni istante, si pu dire, afferma nei nostri confronti la sua direzione culturale: una societ che noi ci troviamo dinnanzi come qualcosa di dato storicamente; di precostituito, e che ad ogni istante culturalmente ci forma e ci dirige con la sua scuola e col suo cinema, coi suoi giornali e col suo teatro, con la sua chiesa e con la sua opinione pubblica e con la sua morale dominante e coi suoi luoghi comuni.

Quel che contraddistingue, dunque, la vita e l'attivit culturale dell'Unione sovietica o quella dell'Italia di Mussolini o di De Gasperi o di Giolitti non e non pu essere il fatto che in questo o in quel paese l'attivit e la vita culturale si sviluppino sotto il segno, sotto la costellazione di una data direzione culturale. Non vi cultura od organizzazione culturale che si sviluppi senza l'impronta di una determinata direzione: quel che si tratta di ricercare, se si vuole intendere quale sia 1' effettiva diversit tra la cultura nuova dell' umanit socialista e la vecchia cultura, chi, nell'una e nell'altra societ, esercita una direzione culturale, e come questa direzione culturale differentemente si esercita. Abbiamo visto e vediamo ogni giorno, d'altronde, chi e come, nei paesi capitalistici, eserciti la sua direzione culturale sul complesso della societ. Sono le classi dominanti e le loro diverse frazioni che, secondo le mutevoli esigenze del loro dominio politico e culturale, di volta in volta scatenano un Kulturkampf o ristabiliscono l'insegnamento religioso obbligatorio nelle scuole, finanziano la stampa massonica o quella clericale, perpetuano tra le masse l'analfabetismo o lo moderano ai fini di un minimo necessario di cultura, indispensabile per lo sviluppo di un'industria moderna. Dalla stampa al cinema, dalla scuola ai laboratori di ricerca scientifica, dalle Case editrici all'apparato statale, dal regolamento carcerario alla Chiesa, al regolamento militare, tutto il formidabile apparato di direzione culturale dei paesi capitalistici nelle mani delle classi dominanti borghesi. E quel che ancora pi importa, di fronte alla massa degli oppressi e degli sfruttati, mantenuti nell'incoltura, o in una cultura puramente tradizionale e passiva, le classi dominanti della societ borghese dispongono esse sole di una cultura attiva, produttiva, di una cultura effettivamente superiore a quella delle masse, che assicura loro, pi ancora che una egemonia, un vero e proprio monopolio della cultura. Grazie a questo regime di monopolio, l'effettiva direzione culturale nei paesi capitalistici si concentra, pi ancora che in appositi organismi dell'apparato statale quali sarebbero il Ministero o le Commissioni parlamentari per la pubblica istruzione in ristretti circoli degli strati superiori delle classi dominanti: negli uffici-studi di Donegani o attorno alla Galleria d'arte di Gualino, nello studio di Giovanni Gentile o nel salotto di Benedetto Croce, attorno al Gran Maestro della Massoneria o nella Congregazione dell'Indice. La direzione culturale delle classi dominanti borghesi non e non pu essere, beninteso, una direzione culturale pienamente omogenea ed uniforme. Essa risente, necessariamente, della varia composizione e differenziazione, dei vari raggruppamenti delle diverse frazioni delle classi dominanti stesse che ovunque, nel mondo capitalistico, esprimono un compromesso o una storica interpenetrazione coi resti delle classi dominanti della vecchia societ feudale e chiesastica. Assistiamo cosi, di volta in volta, all'avvicendarsi, alla direzione culturale di un dato paese, di frazioni e gruppi e circoli diversi degli strati superiori delle classi dominanti; e vediamo la direzione culturale stessa mutare nel suo senso, come quando, ad esempio, 18

all'indomani dell'Unit, di contro alle vecchie classi dominanti, si afferma, in seno alla nuova borghesia, una direzione culturale orientata in senso liberale e laico; mentre, pi tardi, di fronte allo sviluppo del movimento operaio e democratico delle masse, riaffiorano e dominano di nuovo le tendenze ad una direzione culturale fondata sul compromesso confessionale e poi addirittura quelle apertamente antiliberali e fasciste. N si pu dire che, anche per quanto riguarda le forme ed i modi esteriori nei quali la direzione culturale delle classi dominanti si esercita nella societ capitalistica, non si possano e non si debbano riscontrare notevoli diversit. Sintantoch il predominio sociale e politico delle classi dominanti e il loro effettivo monopolio della cultura resta praticamente indiscusso e incontrastato, la loro direzione culturale tende ad esercitarsi nelle forme, diciamo cosi, liberali, e magari democratiche. Quella che predomina, semmai, la preoccupazione della lotta contro i resti della cultura e dell'influenza culturale delle vecchie classi dominanti ecclesiastiche e feudali, in quanto esse possano costituire un pericolo politico per il nuovo Stato; e in questa lotta, ai fini di questa lotta, le frazioni pi avanzate della borghesia non rifuggono, all'occasione, dal mobilitare anche certi strati delle masse, dall'orientarli e dirigerli culturalmente in senso laico e progressivo. In seno alle classi dominanti stesse, d'altronde, l'assenza di un pericolo imminente che urga dal basso, e che seriamente minacci il loro dominio, permette una certa libert di giuoco alle varie tendenze ed ai vari orientamenti della direzione culturale. Il presupposto di questa relativa libert culturale delle classi dominanti resta tuttavia, beninteso, proprio la passivit culturale delle masse, la loro incoltura, la loro assenza dall'agone della cultura stessa. La storia recente ed antica c'insegna, tuttavia, che questi metodi e queste forme esteriori della direzione culturale delle classi dominanti borghesi mutano rapidamente, non appena, col risveglio di pi larghi strati di massa ad un'autonoma attivit politica e culturale, qualche valore sostanziale della cultura e del dominio borghese sia messo in questione. Sul piano della direzione culturale, come su quello della direzione pi propriamente politica, vediamo allora i gruppi decisivi della borghesia in Italia come in altri paesi abbandonare sin le forme di una direzione culturale liberale o democratica, passare ai metodi dell'aperta repressione anticulturale, non solo nei confronti delle masse, ma anche nei confronti di quelle frazioni o di quegli esponenti delle classi dominanti che mostrano di non intendere la gravit del pericolo che minaccia il comune dominio e la necessit di un saldo blocco culturale: che, di contro a una nuova cultura che urge dal basso, releghi al secondo piano i secondari contrasti interni che si manifestano nella cultura dominante. A un fenomeno di questo genere abbiamo dovuto assistere, nel corso del ventennio fascista, nel nostro paese stesso, come in non pochi altri paesi del mondo capitalistico; a tentativi analoghi assistiamo oggi di nuovo, in Italia, anche se il blocco culturale delle vecchie classi dominanti tende oggi ad organizzarsi pi ancora attorno alla Chiesa ed al suo apparato che non attorno all'apparato dello Stato, esso stesso soggetto oggi, d'altronde, ad un rapido processo di clericalizzazione. Di nuovo, come nel ventennio fascista, le classi dominanti italiane tendono a passare a metodi di direzione culturale apertamente repressivi, non solo nei confronti delle masse popolari, ma anche contro gli esponenti culturali delle classi dominanti stesse che assumono un atteggiamento di dissidenza dal blocco clericale. Pure, per impressionanti e importanti che possano essere le forme esteriori che la direzione culturale della societ nei paesi capitalistici, e il modo, il senso fondamentale di tale direzione, resta sostanzialmente lo stesso. Chi di fatto esercita la direzione culturale sul complesso della societ nei paesi capitalistici, quale che sia la loro struttura politica e culturale, sempre la borghesia, e particolarmente la grande borghesia, sempre pi organicamente interpenetrata e fusa coi resti delle vecchie classi dominanti ecclesiastiche e feudali. Il modo fondamentale in cui questa direzione culturale della borghesia si esercita nei paesi 19

capitalistici, quello del monopolio della cultura attiva, produttiva, da parte delle classi dominanti, quello della condanna delle masse popolari all'incoltura, a una cultura solo tradizionale e passiva: sicch, pi ancora che dall'imponenza di un apparato culturale o repressivo, la direzione culturale della borghesia sul complesso della societ resta assicurato da una sua effettiva e storica superiorit culturale; e persino quei singoli individui che, dalle classi oppresse e sfruttate, assurgono alla conquista della cultura , conquistano una cultura che quella delle classi dominanti, che esprime le condizioni storiche del loro dominio, e vengono perci spontaneamente assorbiti e inquadrati nell'ambito della cultura dominante. A chi anche voglia considerare, d'altronde, la diversa importanza che una politica di diretta repressione anticulturale abbia nelle varie forme di direzione culturale della borghesia, non sempre riuscir facile precisare tale diversit tra l'Italia di Mussolini, ad esempio, e l'America di Truman. Negli Stati Uniti d'oggi, certo, la strapotenza economica dei trust e la relativa arretratezza di sviluppo di un'autonoma coscienza ed attivit culturale delle masse popolari avevano reso meno urgente, fino a pochi anni or sono, il ricorso alle forme di una diretta repressione anticulturale, del tipo di quella che abbiamo conosciuto nell'Italia fascista; ma pur senza tener conto della pi recente politica di direzione culturale della borghesia imperialista americana, che oggi giunta a processare degli scrittori non per una loro attivit politica, ma per il semplice fatto che essi professano le dottrine del marxismo-leninismo; anche senza tener conto di questa pi recente evoluzione, dicevamo, basti ricordare che da sempre nella democratica America una direzione culturale apertamente razzista esclude una parte importante della popolazione i negri, e sovente gli italiani e gli ebrei da istituti scolastici e da istituti culturali, da attivit giornalistiche, editoriali ed altre; da sempre i metodi della pura e semplice repressione culturale si sono combinati con quelli della lusinga e della corruzione, li hanno appoggiati e rafforzati ai fini del mantenimento della direzione culturale sotto il tallone di ferro della borghesia americana. Una tale combinazione delle forme della direzione con quelle della pura e semplice repressione culturale si pu ritrovare e si ritrova necessariamente, d'altronde se pure in varia misura ovunque una classe dominante detenga, di fatto, il monopolio della cultura e mantenga le masse della popolazione in uno stato di incoltura, di passivit culturale. In tali condizioni, inevitabile che la cultura delle classi dominanti si imponga come cultura dominante; ma altrettanto inevitabile che questa cultura dominante non possa esprimere appieno, e senza contraddizioni, le aspirazioni e i sentimenti delle grandi masse, che questa cultura passivamente accolgono e subiscono; sicch sempre di nuovo, tra le masse, fermentano i germi di vere e proprie ribellioni culturali, contro le quali la classe dominante portata ad adoperare i metodi del soffocamento, dell'ostracismo, della repressione. Con tutto questo non vogliamo dire, naturalmente, che non si debba fare una differenza tra le forme della direzione culturale adottate dall'Inquisizione o da Mussolini, tra quelle che oggi De Gasperi, Andreotti e Gonella vorrebbero riimpiantare in Italia, e le forme consuete nei paesi di una pi libera democrazia borghese. Ma quel che era qui necessario sottolineare era il fatto che, in tutte queste varie forme di direzione culturale, quel che importa sempre ricercare chi esercita la direzione culturale sul complesso della societ, in che modo la esercita. E in tutti i casi citati, chi esercita la direzione culturale sono le classi dominanti che detengono il monopolio della cultura come quello della propriet; il modo col quale tale direzione esercitata (qualunque sia la forma che essa assume) quello dell'esclusione delle grandi masse della popolazione da ogni forma di cultura che non sia passiva e tradizionale incoltura. Profondamente e sostanzialmente diversi sono invece il soggetto, il modo e le forme che la direzione culturale assume oggi in Unione sovietica, in una societ socialista che gi compie dei passi importanti sulla via di sviluppo verso la sua fase superiore, verso la societ comunista. In Unione sovietica, liquidate le classi dominanti oppressive e sfruttatrici, liquidata la dilacerazione della societ in classi antagonistiche, non si 20

potrebbe neppure immaginare una direzione culturale affidata ad un gruppo sociale che avesse interessi materiali, economici o culturali, diversi o contrastanti rispetto a quelli della maggioranza del popolo. A differenza di quel che avviene nei paesi capitalistici o, pi generalmente, nella societ di classi un tale tipo di direzione culturale non potrebbe nemmeno essere immaginato in Unione sovietica, per il semplice fatto che nel paese del socialismo gi non esistono pi classi che abbiano interessi antagonistici, ma solo le classi amiche degli operai, dei kolkhoziani, degli intellettuali sovietici, che insieme e concordemente avviano la costruzione della societ comunista. Questo non significa, lo abbiamo gi avvertito, che fra queste classi amiche, e all'interno di ciascuna di queste classi stesse, non esistano ancora delle diversit (non dei contrasti) nelle condizioni ambientali di lavoro e di vita, nel grado di sviluppo della coscienza socialista; proprio per questo, anche nella societ socialista, l'avanguardia della classe operaia e di tutti i popoli sovietici continua ad organizzarsi nel grande Partito bolscevico; nel Partito che, dopo aver guidato i popoli dell'URSS alla lotta e alla vittoria contro lo zarismo, contro il capitalismo e l'imperialismo, nella costruzione del socialismo, li guida oggi alla costruzione di una societ comunista. Alla domanda, pertanto: chi, in Unione sovietica, esercita la direzione 'Culturale sul complesso della societ?, si pu rispondere e si risponde apertamente: il Partito bolscevico, il Partito di Lenin e Stalin, il Partito che raggruppa e organizza l'avanguardia della classe operaia e di tutti i popoli sovietici, gli uomini e le donne pi coscienti e pi provati, che hanno dimostrato e dimostrano con fatti e con sacrifici inauditi il loro legame con le grandi masse del popolo, la loro capacit di guidarle alla lotta e alla vittoria del socialismo, la loro devozione alla causa del popolo; un Partito che non ha e non pu avere altri interessi politici, sociali, culturali che quelli di tutto il popolo. Per questa diversit del suo soggetto, il tipo di direzione culturale che oggi si esercita nella societ sovietica qualitativamente, sostanzialmente diverso da quello che si esercita nella societ borghese, o da quello che sinora si era esercitato in ogni societ di classi. In ogni societ di classi, infatti, il gruppo sociale che esercitava la direzione culturale aveva interessi economici, sociali, politici, culturali contrastanti rispetto a quelli dell'enorme maggioranza della popolazione; la direzione culturale era perci eterogenea nei confronti della societ stessa, sulla quale essa si esercitava. Nella societ socialista, in Unione sovietica, per contro, gl'interessi economici, sociali, politici, culturali del Partito bolscevico, del gruppo sociale che esercita la direzione culturale, sono quelli stessi di tutto il popolo, quelli della costruzione di una societ comunista; il gruppo sociale che esercita la direzione culturale si distingue dal resto del popolo non gi per una diversit di interessi, ma anzi per una pi chiara ed avanzata coscienza, per una pi matura esperienza di lotta, per un pi devoto spirito di sacrificio agli interessi di tutto il popolo; la direzione culturale che il Partito bolscevico esercita nella societ sovietica perci non pi eterogenea, ma omogenea nei confronti della societ stessa. Questa sostanziale diversit nel soggetto e nel tipo di direzione culturale, che differenzia la societ socialista da ogni precedente societ di classi, si riflette necessariamente in una non meno sostanziale diversit nel modo in cui il Partito bolscevico esercita questa sua direzione culturale. Abbiamo gi visto come, nella societ borghese, ed in ogni societ di classi, il modo di direzione culturale delle classi dominanti sia caratteristicamente esclusivo, restrittivo: tutto lo sforzo delle classi dominanti volto ad imporre la loro direzione culturale attraverso un effettivo monopolio della cultura, escludendo le masse da ogni forma di cultura che non sia passiva, ricettiva, tradizionale; incoltura, insomma. In una societ di classi, una classe dominante che non usasse proprio questo modo di direzione culturale sarebbe condannata, d'altronde, a veder presto tramontare la sua egemonia culturale; la sua direzione culturale, infatti, , come 21

abbiamo visto, eterogenea rispetto al complesso della societ su cui si esercita; presuppone perci, se non altro, una passivit culturale delle masse. Tutt' altre sono le condizioni, e pertanto il modo, in cui solo pu esercitarsi la direzione culturale del Partito bolscevico nella societ socialista. La direzione culturale qui omogenea, e non pi eterogenea, rispetto al complesso della societ; i suoi obiettivi sono quelli della costruzione comunista, che non possono essere raggiunti senza lo sviluppo di una coscienza superiore, di un'attivit socialista in tutto il popolo. Per le classi dominanti delle passate societ il carattere restrittivo, esclusivo della direzione culturale era una condizione del suo effettivo esercizio, e questo presupponeva un monopolio della cultura. Il Partito bolscevico, un Partito comunista, non pu esercitare la sua funzione di direzione politica e culturale se non sollecitando e attraendo sempre nuovi strati di masse alla conquista di una superiore ed autonoma coscienza ed attivit culturale. Cos vediamo il Partito bolscevico dibattere i grandi problemi della direzione culturale del paese non pi nel salotto di Benedetto Croce o nella Congregazione dell'Indice o solo nelle riviste specializzate, ma di fronte a tutto il popolo, in migliaia e migliaia di assemblee, col metodo della critica e dell'autocritica, sulle prime pagine dei quotidiani e nella corrispondenza coi loro lettori, sollecitando in mille forme l'iniziativa e la critica e l'attivit e la produttivit culturale di tutto il popolo: realizzando un modo di direzione culturale che non pi restrittivo ed esclusivo, bens estensivo e propulsivo. Se, per concludere su questo punto, vogliamo tirar le somme di quanto siamo venuti chiarendo, possiamo dire che anche il secondo scandalo che la cultura nuova dell'umanit socialista solleva tra i figli del secolo , in realt, assai pi grave di quel che non appaia a prima vista. Non si tratta, invero, semplicemente del fatto che in Unione sovietica vi sarebbe una direzione culturale, come nei regimi fascisti, mentre tale direzione non esisterebbe nei regimi della democrazia borghese. Al contrario: quanto a questo, abbiamo mostrato, anzi, che una direzione culturale esiste in ogni forma di societ, e che, semmai, una sostanziale conformit del tipo di direzione culturale esiste proprio tra i regimi fascisti e i regimi della democrazia borghese: giacch, negli uni e negli altri, pur sempre la borghesia che esercita la direzione culturale e la esercita sempre col monopolio della cultura, escludendo le masse da ogni autonoma e produttiva attivit culturale. Non dunque in superficiali e fallaci analogie alla Sforza che va proclamato lo scandalo della cultura socialista, bens in qualcosa di ben pi nuovo e di pi profondo: proprio nel fatto, cio, che per la prima volta nella Storia il Partito bolscevico d l'esempio e la prova di una direzione culturale omogenea alla societ su cui essa si esercita; di una direzione culturale estensiva e non restrittiva, propulsiva e non esclusiva; fondata sull'attivit e non sulla passivit culturale delle masse; di una direzione culturale, insomma, che per la prima volta nella Storia apre non pi solo ad una minoranza di privilegiati, ma all'umanit tutta, le vie di una cultura che non sia pi solo inerte e passiva tradizione, ma cosciente conquista e creazione. E per questo, ancora una volta, avevamo ragione quando affermavamo che proprio nello scandalo delle risoluzioni del Comitato centrale del Partito bolscevico sui problemi della cultura si esprime il senso pi profondo della rivoluzione culturale che si va compiendo in Unione sovietica.

Il carattere di Partito della cultura.

Ma a questo punto, certo, anche il pi volenteroso e ben disposto tra i figli del secolo rifiuter di seguirci al di l di questa seconda pietra di scandalo. Ammettiamo pure, ci dir, che effettivamente in Unione sovietica sia realizzato un tipo di direzione culturale ben superiore a quello che noi purtroppo abbiamo conosciuto e 22

conosciamo in Italia e nella societ borghese in generale. Nessuno pu in buona fede negare che la societ socialista, una societ in cui sono state liquidate le classi oppressive e sfruttatrici, assicuri una libert ed una attivit culturale delle masse che certo sarebbe stata inconcepibile non solo nell'Italia di Gonella o in quella di Bottai, ma anche in quella di Giolitti o di Bonghi. Fin qui si trattato di condizioni sociali dello sviluppo della cultura e i vostri ragionamenti son comprensibili e magari convincenti. Ma quando nelle risoluzioni del Partito bolscevico ci si viene a parlare di arte e di scienza e di filosofia di Partito o di classe, non si tratta pi di condizioni sociali dello sviluppo della cultura, si tratta del Vero e del Bello, che coi Partiti, bolscevichi o no che siano, non hanno proprio nulla a che fare. O che pretenderete, dunque, che l'acqua non bolla pi a 100, in Unione sovietica? Oppure che la velocit di propagazione della luce non sia la stessa per i capitalisti e per proletari? Questa poi davvero che troppo grossa! Ed eccoci dunque dinnanzi al terzo scandalo il pi grosso, forse -- che la cultura nuova dell'umanit socialista solleva tra i figli del secolo. Ma, per una volta, vogliamo subito rassicurare quelli tra i nostri ascoltatori che, da veri buongustai bolognesi, fossero preoccupati per un eventuale abbassamento del punto di ebollizione dell'acqua che potrebbe seriamente compromettere, nella societ socialista, il giusto grado di cottura delle famose tagliatelle. Non sono meno sensibile di loro a tali preoccupazioni legittime, ma posso garantire, per esperienza personale e diretta, compiuta nella casa ospitale del compagno Marabini, a Mosca, che anche in Unione sovietica l'acqua bolle a 100, purch siano rispettate le note condizioni di pressione atmosferica e di purezza chimica; e consente, in ogni caso, una perfetta cottura della famosa specialit bolognese. Eppure... Eppure, lasciando da parte le celie, lo scandalo c'; ed proprio vero che, in Unione sovietica, il Partito bolscevico ha molto da dire non solo sui problemi dell'industria o dell'agricoltura o della finanza o della scuola, ma anche e proprio in materia di arte e di scienza, di Bello e di Vero con la lettera maiuscola. Eccoci dunque, ancora una volta, a cercar di chiarire il senso e la portata effettiva di questo scandalo, sicch i figli del secolo, di buona o di mala fede che siano, sappiano almeno di che, effettivamente, debbano scandalizzarsi. E giacch pi di una volta, e non a caso, in tutto il corso della nostra esposizione, ci venuto fatto di parlar a di pietre di scandalo e di figli del secolo, con una terminologia tratta dai documenti della rivoluzione culturale del primo Cristianesimo, vogliamo affrontare anche questo terzo scandalo della cultura nuova dell'umanit socialista con la domanda che Pilato, secondo il Quarto Vangelo, pose a Ges nel Pretorio: quid est veritas? Che la verit? . La domanda grossa, certo, e pu apparire persino presuntuosa; ma pure, non v' stata, nella storia dell'umanit, rivoluzione culturale che abbia potuto sfuggire alla necessit di riproporsela, in una forma o nell'altra; cos come non v' stata, dai tempi dei primi graffiti rupestri dell'et della pietra, rivoluzione culturale che non abbia dovuto riproporsi, in una forma o nell'altra, il problema del Bello e del Giusto. Per noi, che siamo dei marxisti, e non dei metafisici creatori di sistemi filosofici, proprio questo storico riproporsi di tali domande in ogni rivoluzione culturale .dell'umanit, addita la via per ricercare a tali domande una risposta adeguata al grado di sviluppo pi avanzato oggi raggiunto dalla coscienza dell'umanit stessa. La via , come sempre, per noi, non quella della considerazione di questi massimi problemi da un punto di vista e con un metodo metafisico, bens quella della considerazione storica del loro significato. Ed alla luce di una tale considerazione, ci appare fin d'ora che quella veritas, quel Vero, di cui Pilato, in nome del vecchio mondo greco-romano, domandava l'essenza a Ges, non era certo quello stesso Vero, che il Cristianesimo additava agli uomini del nuovo secolo dal Golgota; cos come quel Bello, scarno e 23

tormentato, che si affermava nella primitiva iconografia cristiana, non era quello stesso Bello che ancora rifulgeva nelle opere di Fidia e di Prassitele. Abbiamo scelto a bella posta, tra gli esempi che avremmo potuto citare, quello di un caso famoso, universalmente noto, e lontano oramai da noi nel tempo; lo abbiamo addotto a mostrare che il carattere di classe, di Partito, del Vero e del Bello non poi poi una maligna invenzione dei bolscevichi. Gi e sin dai tempi di Ges, la classe degli schiavi, il Partito di Ges il Nazareno, il Partito dei cristiani, aveva qualcosa da dire non soltanto a proposito del Giusto e del Santo, ma anche a proposito del Vero e del Bello; qualcosa che era profondamente diverso e nuovo rispetto a quanto del Vero e del Bello diceva Pilato, la classe dei Romani dominatori e proprietari di schiavi, il Partito romano dominante. E anche allora questo nuovo .Vero e questo nuovo Bello, fiammeggianti sugli Apostoli, suscitarono lo scandalo non solo fra le classi dominanti e fra gli uomini della vecchia cultura, ma fra le turbe stesse degli umiliati e degli offesi ai quali si annunciava la Buona Novella: perch anche allora la cultura dominante era la cultura della classe dominante. All'epoca del cristianesimo primitivo, cos ed in ogni epoca, da che esiste una societ di classi la coscienza sociale del Vero e del Bello (come quella, d'altronde, del Giusto e del Buono) non ci appare come una coscienza unitaria e uniforme; essa ci rivela ed esprime, necessariamente, l'intima dilacerazione di un'umanit, divisa in classi contrastanti, in oppressi ed in oppressori, in sfruttatori e sfruttati. In ogni epoca storica, certo, la cultura dominante quella della classe dominante che riesce ad imprimere il suo suggello anche sulla concezione che del Giusto, del Buono, del Vero, del Bello si fanno le masse degli oppressi e degli sfruttati. Ma abbiamo gi detto come questa egemonia, questa direzione culturale di una classe oppressiva e sfruttatrice sul complesso della societ, possa essere assicurata solo da una relativa passivit culturale delle masse: sicch inevitabilmente passivo e superficiale resta il suggello stesso che su di esse imprime la cultura dominante. Questa frammentariet e contraddittoriet, questa intima dilacerazione della societ di classi e della sua cultura, si rivela perci necessariamente nei momenti di crisi storica e culturale, quando una nuova classe, una nuova cultura, si affaccia prepotente alla ribalta della Storia. Salta allora il superficiale suggello di uniformit e di conformismo, che la cultura dominante aveva impresso sull'insieme della societ; e la cultura il Vero, il Bello, il Buono, il Giusto appare per quel ch'essa effettivamente : come una cultura un Vero, un Bello, un Buono, un Giusto di classe, di Partito. Allora milioni di uomini, che finora avevano passivamente fatto propri i giudizi ed i luoghi comuni della vecchia classe dominante a proposito del Diritto, della Morale, della Scienza, dell'Arte, non convengono pi in questo giudizio, non accettano pi questi luoghi comuni: il Vero, il. Bello, il Buono, il Giusto divengono apertamente, agli occhi di tutti, una questione di classe, una questione di Partito. Non dunque qui, nella sua caratteristica di classe e di Partito, che va ricercata la terza pietra di scandalo della cultura dell'umanit socialista; non di questa caratteristica, che i figli del secolo hanno ragione di scandalizzarsi: giacch, da quando esiste una societ di classi dai tempi di Pitagora a quelli di Socrate a quelli di Ges e di San Tommaso e di Lutero e di Galileo e di Diderot fino ai giorni nostri ogni cultura stata una cultura di classe; e sempre, da allora, nei momenti di crisi storica, il Vero ed il Bello, non meno del Buono e del Giusto, si son rivelati, agli occhi di tutti, come una questione di classe, come una questione di Partito, che non unisce gli uomini in un giudizio comune, ma anzi li divide e li contrappone. Non dunque qui, nella sua caratteristica di classe e di Partito, la effettiva novit e ragione di scandalo della nuova cultura socialista, bens nel fatto, semmai, che questa sua caratteristica a differenza di quel che ogni altra precedente cultura non abbia fatto la cultura dell'umanit socialista apertamente la proclama e la sottolinea.

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Rivedete la scena grandiosa di Ges e di Pilato nel Pretorio che il Vangelo di San Giovanni tratteggia come in un grande affresco. Nel Pretorio, in una decisiva crisi storica, nella persona del romano Procuratore di Giudea e in quella del fabbro di Nazareth, due classi, due civilt, due culture si affrontano. Tanto chiaro e spiccato, in quest'ora, il carattere di classe, di Partito, di ciascuna di queste due culture, che il rapido dialogo fra Ges e Pilato si esaurisce in un susseguirsi di domande che restano senza una risposta che sia per l'altro intelleggibile. Le due culture gi parlano due linguaggi che risultano intraducibili l'uno nell'altro; hanno ciascuna la sua verit che gli altri non possono intendere. Lo dice Ges stesso, in quel suo dialogo, che sembra un monologo di chi parli a chi ha orecchie, e non ode: Qui est ex veritate, audit vocem meam chi dalla verit , solo chi dalla verit, ode la mia voce . Il dialogo si conclude con la domanda di Pilato: Quid est veritas? Nel procuratore di Giudea, disincantato rappresentante delle vecchie classi dominanti e della vecchia cultura, gi travagliata da una crisi profonda, si oscura gi quella fiducia incrollabile nella propria verit, che caratteristica delle classi che ascendono alla ribalta della Storia. Questa sua incertezza si esprime nell'intonazione quasi scettica della sua domanda: ma vi ancora abbastanza certezza, in lui, nella sua verit, nella ferrea verit delle classi dominanti romane, per mandare impassibile al supplizio il Nazareno. E in Ges, ben pi ancora che in Pilato, appare la certezza che la sua verit, la verit di classe degli umiliati ed offesi, la verit del Partito dei cristiani, sia la Verit senza aggettivi: Io per ci sono nato, e proprio a ci son venuto al mondo, per render testimonianza alla Verit . Cos, di volta in volta, le classi che si sono avvicendate al proscenio della Storia hanno affermato di contro alle vecchie classi dominanti come di contro alle nuovissime che dal basso urgevano il valore assoluto della loro cultura, delle loro concezioni del Giusto, del Buono, del Bello, del Vero. Cosi la borghesia, di contro al vecchio mondo della feudalit e dell'assolutismo, ha affermato le sue ragioni la sua ragione come la Ragione; le sue libert la sua libert come la Libert; la sua scienza economica o la sua scienza della Natura, come la Scienza. Essa ha dichiarato nulle le ragioni delle vecchie classi dominanti schiavistiche e feudali ed ha loro contrapposto la Ragione; ha annientato per i proprietari di schiavi e per i signori feudali la libert di possedere schiavi o servi della gleba, la libert di amministrare la giustizia o di non pagare le imposte o di far bastonare dai servi i non nobili, e a queste libert ha contrapposto la Libert: la libert per la borghesia di sfruttare gli operai salariati e la libert per gli operai disoccupati di morire di fame. La cultura nuova della borghesia ha negato il valore scientifico di una secolare teoria economica, che condannava l'usura ed il prestito a interesse del denaro; ha considerato come puerili vaneggiamenti quelli della scienza di Aristotele o della scolastica medievale. Quando miche, dopo la Rivoluzione francese, e poi sempre pi, man mano che la pressione pi urgente delle nuove classi proletarie attenuava il suo slancio rivoluzionario; quando anche, dicevamo, la cultura borghese ha cominciato a guardare con nostalgia al passato, ed a considerarne le ragioni, le libert, la scienza, l'arte, la filosofia in maniera non pi astrattamente razionalistica, ma storica; anche allora, il vantato storicismo della cultura borghese restato sempre solo rivolto al passato, alla giustificazione e magari alla riesumazione dei valori di antiche culture e di antichi diritti. Di contro all'avvenire, di contro ai valori culturali della nuova classe che batte alle porte, lo storicismo della cultura borghese cieco e sordo, si sforza invano di ignorarli, di soffocarli, nel folle tentativo di fermare la Storia, di fermare la Scienza, di fermare la Libert, di fissare per l'eternit il Diritto nelle immobili forme in cui essa lo ha conquistato. E non ammoniva gi forse Mefistofele, nel Faust goethiano: Es erben sich Gesetz' und Rechte Wie eine ew'ge Krankheit fort; Sie schleppen von Geschlecht sich zum Geschlechte Und riicken sacht von Ort zu Ort.

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Vernunft wird Unsinri, Wohltat Plage; Weh dir, dass du ein Enkel bist! Vom Rechte, das mit uns geboren ist, Von dem ist, leider! nie die Frage (*). (Si ereditano man mano leggi e diritti come un'eterna malattia si trascinano di generazione in generazione e di luogo in luogo. La ragione diviene non-senso, il beneficio divien malanno. Guai a te, che sei un nipote! Del diritto, che nato con noi di quello, ahim!, non mai questione!). Non a caso che del diritto della morale, della scienza, dell'arte nuova che son nati con noi, dalla lotta della classe operaia, non sia mai questione nella cultura borghese. Non senza motivo che la borghesia come ognuna delle classi dominanti che sinora si sono avvicendate nella Storia si sforza di nascondere a tutti i costi il carattere di classe e storicamente limitato della sua cultura, delle sue concezioni del Giusto, del Buono, del Vero, del Bello. Non senza ragione che la borghesia si sforza di presentare la sua cultura come la Cultura, la sua morale, il suo diritto, la sua scienza, la sua arte come la Morale, il Diritto, la Scienza, l'Arte, negando addirittura alla cultura nuova della classe operaia e dell'umanit socialista, nonch un'universale validit, il carattere' e la dignit stessa di cultura. Tutto ci non avviene a caso e non senza una profonda ragione storica. Ciascuna delle classi dominanti oppressive e sfruttatrici, che si sono avvicendate nella Storia, ha potuto consolidare il suo predominio politico nella data societ solo nella misura in cui riuscita e riesce ad affermare la sua egemonia, la sua 'direzione culturale sul complesso della societ stessa; e ci possibile solo nella misura in cui la classe dominante riesce a presentarsi, di fronte alle masse oppresse e sfruttate stesse, come portatrice ed interprete degli interessi generali. Ma in una societ di classi, profondamente dilacerata dai suoi interni contrasti, gli interessi di una classe dominante oppressiva e sfruttatrice -- anche quando essa, per avventura, sia ancora una classe rivoluzionaria e progressiva, effettivamente portatrice del progresso storico della societ sono necessariamente in contrasto con gli interessi attuali della grande maggioranza del popolo; e la cultura della classe dominante il diritto, la morale, la scienza, l'arte che del suo dominio esprimono le condizioni storiche, non potrebbero esprimere appieno e senza contraddizioni i sentimenti, le aspirazioni, le esigenze di vita della maggioranza degli oppressi e degli sfruttati. Perch la cultura della classe dominante possa affermarsi come cultura dominante in quella data societ, pertanto necessario l'abbiam gi detto che le masse siano confinate in una relativa passivit culturale; necessario ch'esse siano indotte o costrette a rinunziare ad una propria, autonoma elaborazione culturale, per accogliere ed accettare, invece, come un dato che non si discute, la cultura della classe dominante il suo diritto, la sua morale, la sua scienza, la sua arte che deve a tal uopo, appunto, presentarsi non gi come una cultura di classe, socialmente frammentaria e storicamente limitata, bens come la Cultura, il Diritto, la Morale, la Scienza, l'Arte: valori eterni, che sempre son stati e sempre saranno; o che, comunque, dopo gli infantili vaneggiamenti del passato, la classe dominante ha per sempre fissato nella loro immutabile sostanza. Profondamente diverse, anzi diametralmente opposte, sono le condizioni obiettive nelle quali la classe operaia prima e dopo la conquista del potere politico conduce la lotta per l'affermazione della sua cultura. Per le vecchie classi dominanti oppressive e sfruttatrici, che si sono avvicendate nella Storia, condizione dell'affermazione e del consolidamento della loro egemonia culturale era ed quella di mantenere accuratamente celato di fronte alle masse, e persino di fronte a se stesse, il carattere di classe, socialmente frammentario e storicamente limitato, della loro cultura. Tra le masse degli oppressi e degli

(*) Goethe: Faust, I Th.

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sfruttati, in effetti, la dichiarazione aperta del carattere di classe della cultura dominante avrebbe come inevitabile conseguenza lo scoppio di una vera e propria rivolta culturale, una loro immediata attivazione sul terreno di una autonoma elaborazione culturale che entrerebbe necessariamente in aperto contrasto con quella delle classi sfruttatrici. Ma di fronte alle classi sfruttatrici ed oppressive stesse, un'aperta dichiarazione del carattere di classe della loro cultura rappresenterebbe un pericolo mortale: essa rivelerebbe loro il carattere socialmente frammentario e storicamente limitato della loro cultura, mostrerebbe loro che il loro dominio, se ha un passato di storica ascesa e un presente magari ancor saldo, non ha un avvenire se non di decadenza e di disfacimento. Per la classe operaia, per contro, la constatazione e l'aperta dichiarazione del carattere di classe di ogni cultura in una societ di classi costituisce una vitale necessit di lotta, fin dal momento in cui essa si vien costituendo come classe, e si pone il problema della conquista del potere. All'apparire sulla scena politica della classe operaia, per la prima volta nella Storia, la classe che storicamente si pone il problema della conquista del potere non pi una classe che se pur magari impedita e taglieggiata, come avveniva per la borghesia nel regime feudale essa stessa oppressiva e sfruttatrice. La classe operaia anzi, nella societ contemporanea, la classe pi oppressa e pi sfruttata, la sola che in alcun modo non partecipi allo sfruttamento e all'oppressione di altre classi. Essa non ha nulla da temere dall'ascesa politica e culturale delle altre classi o nazionalit oppresse e sfruttate; anzi sa che non pu liberar se stessa senza liberare tutti gli altri oppressi e sfruttati, senza liberar tutta la societ da ogni forma di oppressione politica, nazionale, sociale, religiosa, culturale, -senza costruire una societ senza classi, ove sia abolito ogni sfruttamento ed ogni oppressione dell'uomo sull'uomo. Per questo, a se stessa per conquistare la propria coscienza socialista la classe operaia ha bisogno di dichiarare apertamente il carattere di classe, socialmente frammentario e storicamente limitato, di ogni cultura nella societ di classi. Ne ha bisogno per acquistar la fiducia e la certezza scientifica nella possibilit storica di battere la forza poderosa di quel che , quel che sempre stato , il monopolio della cultura da parte delle classi dominanti oppressive e sfruttatrici. Ne ha bisogno per arrivare a liberar se stessa dal soffocante suggello della cultura del diritto, della morale, della scienza, dell'arte borghese, che tende a mortificarne lo slancio rivoluzionario; ne ha bisogno, ha bisogno di proclamarlo apertamente di fronte a tutti gli oppressi, a tutti gli sfruttati, per liberar le loro inesauribili energie rivoluzionarie nella lotta comune. A differenza di quel che avveniva per le vecchie classi dominanti oppressive e sfruttatrici, anche dopo la conquista del potere politico, la classe operaia non ha ragione di temere di proclamare apertamente il carattere di classe, di Partito, di ogni cultura nella societ di classi. Al contrario: pi che mai, dopo la conquista del potere, nella lotta per la costruzione socialista, nella lotta per il passaggio alla fase superiore della costruzione di una societ comunista, quando si tratta di liquidare i residui ideologici della societ di classi nella coscienza di milioni di uomini, la classe operaia ha ragione e bisogno di proclamare questo carattere di classe, di Partito, della cultura in ogni societ di classi. Tutte le classi oppressive e sfruttatrici che sinora si erano avvicendate nella Storia si erano sempre proposte come obiettivo quello della sostituzione di un sistema di oppressione e di sfruttamento con un altro sistema di oppressione e di sfruttamento; di una societ di classi con un'altra societ di classi. Esse avevano ed hanno, perci, buone ragioni per voler nascondere a se stesse e alle masse il carattere di classe, socialmente frammentario e storicamente limitato, del loro dominio e della loro cultura. Il solo obiettivo storico che la classe operaia, per contro, pu porsi sulla, via della propria emancipazione, sulla via dell'affermazione, della propria egemonia, quello della costruzione di una societ senza classi. Il suo obiettivo di classe non pu esser che quello dell'abolizione del proprio dominio di classe e di ogni classe in generale, della costruzione di una umanit liberamente associata e non pi intimamente dilacerata. Per questo, la classe operaia non ha nessuna ragione di nascondere a se stessa e a tutto il popolo il carattere temporaneo, storicamente 27

limitato, del suo dominio di classe; il carattere ancora frammentario, di classe, storicamente limitato, della sua cultura, del suo diritto, della sua morale, della sua scienza, della sua arte. Al contrario: la classe operaia sa e dichiara apertamente che, anche dopo la conquista del potere, anche dopo la costruzione del socialismo in un solo paese, la sua cultura il suo diritto, la sua morale, la sua scienza, la sua arte non pu essere ancora una cultura universalmente umana, perch l'umanit ancora, su scala mondiale, obiettivamente dilacerata in classi; perch, all'interno della societ socialista stessa, se pure gi "pi non 'esistono classi antagonistiche, i residui ideologici, culturali della societ di classi debbono essere liquidati nella coscienza degli uomini. E proprio per questo non solo nei paesi capitalistici, ma nel paese stesso del socialismo, la classe operaia ed il suo Partito particolarmente insistono sul carattere di classe di ogni cultura: perch solo dalla chiara coscienza della persistente frammentariet ed intima dilacerazione della cultura sorgono le forze necessarie al compimento della costruzione di una cultura umana, universalmente valida: capace, certo, di un infinito approfondimento, perch inesauribile ed infinitamente conoscibile la realt di cui l'umanit associata prende coscienza, ma non pi frammentaria e dilacerata dalla obiettiva dilacerazione della societ in classi Ancora una volta, cos, anche il terzo scandalo che la cultura nuova dell'umanit socialista solleva tra i figli del secolo, ci si rivela ben pi grave e pi profondo di quel che esso non possa apparire a prima vista. Non si tratta semplicemente del fatto che le risoluzioni del Partito bolscevico proclamano apertamente quel che le classi dominanti oppressive e sfruttatrici accuratamente si sforzano di nascondere, cio il carattere di classe di ogni cultura, in una societ di classi. Si tratta di qualcosa di ancora ben pi nuovo e pi profondo: si tratta del fatto che, proprio proclamando apertamente il carattere di classe, di Partito, di ogni cultura nella societ di classi, per la prima volta nella Storia, i popoli del paese del socialismo, sotto la guida del Partito bolscevico, concretamente si pongono il compito della costruzione di una cultura che da una societ non pi dilacerata in classi sorga non pi come frammentaria cultura di classe, ma come cultura umana, universalmente valida. Avevamo dunque ragione, ancora una volta, quando affermavamo che proprio nello scandalo delle risoluzioni del Comitato centrale del Partito bolscevico sui problemi della cultura si esprime il senso pi profondo della rivoluzione culturale che si va compiendo in Unione sovietica. Ma qui, a dire il vero, non si tratta pi soltanto di una rivoluzione culturale, nel senso corrente della parola; si tratta di una vera e propria rivoluzione gnoseologica senza precedenti nella Storia dell'umanit. Si tratta del fatto che, con la costruzione di una societ senza classi, delle possibilit non solo quantitativamente, ma qualitativamente nuove, si aprono dinnanzi alla capacit dell'umanit associata di prender coscienza del mondo. Questo significa, in altri termini, che per l'umanit tutta la costruzione di una societ socialista gi rappresenta non solo una conquista politica, economica, sociale, culturale di immensa portata storica, ma anche una poderosa conquista gnoseologica.E le considerazioni che qui appresso verremo svolgendo varranno, ci auguriamo, a dare un'idea pi precisa dei passi che gi, su questa via, si van compiendo in Unione sovietica.

La costruzione del socialismo come conquista gnoseologica


Abbiamo parlato della costruzione di una societ socialista come di una conquista non solo economica, sociale, politica, culturale, ma gnoseologica dell'umanit; cerchiamo di approfondire e di chiarire ora il senso di questa affermazione.Costruire una societ socialista significa creare una nuova civilt, dei nuovi rapporti tra gli uomini, e per ci stesso una cultura nuova. Ogni cultura la forma nella quale una data societ prende coscienza di se stessa e del mondo: una coscienza, beninteso, che non significa passiva 28

registrazione, ma sempre e necessariamente pratica sociale, attivo intervento nella realt di cui si prende coscienza. Per questo, della cultura, della coscienza sociale di una societ data, non saprebbero esser considerate parte integrante solo la filosofia, la scienza, l'arte, ma a pari diritto la tecnica, la morale, il diritto, la politica. Un esame pi attento ci mostra, anzi, che una cultura, nel senso proprio della parola, non nasce e non pu nascere se non l dove, di fronte al momento della passiva registrazione, questo momento dell'attivit, della pratica umana prende tutto il suo necessario rilievo. Per la societ presa nel suo complesso, in effetti, come per ciascuno di noi individualmente preso, cultura, coscienza, non sono qualcosa di immediato, di istantaneo. Per ciascuno di noi, come per la societ presa nel suo complesso, coscienza, cultura, significano tutto un processo storico, nel quale quelli che si vengono elaborando non sono solo i dati immediati della nostra esperienza, ma materiali accumulati e trasmessi dalle precedenti generazioni. Da questi materiali, d'altronde, la nostra pi immediata esperienza stessa ad ogni istante condizionata. Il paesaggio, cos, di cui l'uomo di Milano o di Londra, o anche quello della Lucania o della Valle del Tennessee, fa l'esperienza fin dalla sua, nascita, non una tabula rasa, ma un paesaggio umano, nel quale gi profondamente iscritta l'opera, a pratica delle passate generazioni; e cos pure la lingua che egli apprende sin da bambino, la foggia del vestire che gli si impone, i luoghi comuni sociali, morali, scientifici, religiosi, politici che lo dominano, i libri ch'egli legge, son qualcosa che gli si presenta come un dato, come una immane congerie di dati storici che sono un prodotto non suo, ma di una serie innumere di generazioni passate. Per ciascuno di noi, come per la societ presa nel suo complesso, una coscienza, una cultura nuova, nel senso proprio della parola, nasce solo l dove, di fronte a questi dati, a questi materiali che la storia offre ed impone alla nostra esperienza, noi assumiamo un atteggiamento non pi semplicemente contemplativo e ricettivo, ma pratico ed attivo. Quel mondo dato, in effetti, che si presenta alla nostra pi immediata esperienza, sempre, intorno a noi, ed in noi stessi, un mondo incoerente ed incongruo, nel quale stratificazioni recenti e remote, antiche e nuove sedimentazioni culturali come in certe bizzarre formazioni geologiche arbitrariamente e casualmente, sembra, s'intrecciano. Guardatevi attorno qui, a Bologna: accanto ai resti dell'antico abitato dell'epoca villanoviana ed etrusca e poi di quella dell'invasione gallica, ritrovate ancora chiese e palazzi sulle cui fondamenta latine si innestato un edificio medievale; e poi, accanto, la trattoria' ottocentesca e il moderno negozio di apparecchi radio, e la sede della Camera del lavoro o della lega dei braccianti, e poi la voce di questo microfono dal quale io vi parlo. E se dal mondo che vi circonda voi rivolgete il vostro sguardo in voi stessi, ritrovate sempre un simile intreccio, un'analoga sovrapposizione e intersecazione di storiche sedimentazioni: e il linguaggio, nel quale formulate i vostri pensieri, su di un fondo latino e finanche prelatino ha accolto e conserva accenti celtici e vocaboli germanici; e le nozioni che vi si affollano alla mente vi vengono dalla famiglia e dalla scuola e dall'officina, e son giudizi e pregiudizi che, senza rendervene conto, avete accolto dalla famiglia e dalla scuola e dall'officina, e sovente come avviene per le vostre nozioni e previsioni meteorologiche da antichissime tradizioni dei vostri avi contadini. Una coscienza, una cultura nel senso proprio della parola nasce per ciascuno di noi, e per la societ presa nel suo complesso, quando, in questo apparente caos che il mondo della nostra pi immediata esperienza, il mondo che si offre alla nostra contemplazione, noi ritroviamo, attraverso la nostra attivit pratica, individuale o associata, un filo conduttore, un ordine, una coerenza, una unit. E conoscere Bologna significher, per l'archeologo o per il turista, imparare ad orientarsi nell'intrico delle sue vie e delle sue piazze, imparare a trovare un senso nel succedersi e nel sovrapporsi dei suoi monumenti e del loro vario stile.; significher per il piazzista imparare che importanza la vostra citt abbia come centro di traffici, e in che senso egli debba orientare lo smercio di una determinata partita di vini, o magari la sua ricerca 29

della miglior trattoria; e significher per l'organizzatore sindacale intendere la struttura e le caratteristiche della massa dei lavoratori bolognesi. Saranno vari modi di conoscere Bologna, tutti unilaterali e parziali, certo; e a questi vari modi, legati ad una diversa pratica individuale, corrisponde una diversa cultura; ma a ciascuna di queste parziali e individuali culture, Bologna non si presenta gi pi come un'informe e incoerente congerie di dati, ma come un'unit, come qualcosa in cui ogni parte ha una sua ragion d'essere, un suo nesso con le altre, un suo sviluppo, una sua storia: sicch non solo l'archeologo non potrebbe intender nulla dei vostri monumenti senza studiare le vicende della vostra citt, ma neppure il piazzista o l'organizzatore sindacale conoscerebbe la Bologna dei traffici e del lavoro se non imparasse a considerare usi commerciali stabiliti o tradizionali tendenze delle organizzazioni dei lavoratori. Se poi di nuovo, dalla citt e dal mondo che ci circonda, rivolgiamo lo sguardo in noi stessi, nel mondo dei nostri pensieri e delle nostre nozioni, e da questo punto di vista, ora, consideriamo come una coscienza e una cultura, nel senso proprio della parola, si vengano maturando, di nuovo ritroviamo che una cultura, una coscienza scientifica, superiore, nasce solo cos e l, dove nella congerie dei dati, delle nozioni passivamente acquistate, una nostra attivit ritrovi e stabilisca una coerenza, inquadrandole in quella che i tedeschi chiamano una Weltanschauung, una pi o meno elaborata concezione del mondo. Anche nel mondo delle nostre nozioni, dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti, in effetti, quel che noi spontaneamente ritroviamo una congerie incoerente di dati, di stratificazioni e di sedimentazioni della pi varia provenienza, che bizzarramente s'intrecciano e s'intersecano, proprio come avviene delle vie e delle piazze e delle successive strutture edilizie in un'antica citt: del cui intrico nessuno, a prima vista, potrebbe darsi una ragione, senza considerarne, appunto, la storia. E cos pure dell'incoerenza di quella congerie di dati e di nozioni tradizionali, che noi spontaneamente ritroviamo in noi, possiamo darci ragione e superarla, conquistandoci una cultura, una pi o meno elaborata concezione del mondo, solo quando, di quei singoli dati incoerenti, storicamente consideriamo e critichiamo l'origine e la validit. Non vi cultura, non vi scienza, in particolare, l dove una nozione, le nozioni che abbiamo in noi, restino semplici dati, tradizionalmente e passivamente acquisiti, senza essere inquadrati in una coerente se pur elementare, magari concezione del mondo. Soffermiamoci a considerare, proprio, come, in un caso concreto, si effettui questo passaggio dall'accettazione passiva di dati tradizionali folcloristici, come efficacemente scriveva Gramsci ad una conoscenza scientifica di fatti della nostra pi corrente esperienza. Ciascuno di noi ha appreso, a scuola, alcune nozioni scientifiche elementari sull'avvicendarsi delle stagioni, su equinozi e solstizi, e altre interessanti cose del genere. Pu darsi che parecchi tra noi, con un certo sforzo di memoria, sappiano anche ripetere queste nozioni elementari di astronomia. Ma la maniera in cui queste materie si studiano nelle nostre scuole ha fatto s che queste nozioni siano state da quasi tutti noi passivamente accettate ed accolte, come qualcosa, appunto, di dato, di tradizionale, senza una nostra attiva partecipazione. Ecco dunque in noi un dato, accolto da una determinata tradizione, che , diciamo cos, la nostra tradizione scolastica: nella quale, malgrado le manchevolezze delle nostre scuole, abbiamo generalmente una fiducia abbastanza sicura, almeno per quanto riguarda l'insegnamento scientifico. Ma accanto a queste nozioni elementari di astronomia, che ritroviamo in noi come dato della nostra tradizione scolastica, ne ritroviamo delle altre, di tutt'altra origine. Se, ad esempio, alla maggioranza dei presenti, si domandasse qual la giornata pi corta dell'anno? , la risposta sarebbe data, probabilmente, con un detto passato in proverbio, che non so come suoni in bolognese, ma che corrente in tutta Italia, e che io stesso ho imparato da mia nonna nella sua forma toscana: Santa Lucia, il pi corto d che sia .

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Orbene: questi dati di due tradizioni diverse, una scolastica, l'altra popolaresca e contadina, si ritrovano l'uno accanto all'altro, e, probabilmente, pacificamente convivono in quasi tutti noi. Eppure, questi due dati sono contraddittori tra loro. Il giorno di Santa Lucia cade oggi, infatti, se non erro, il 13 dicembre, mentre le nostre nozioni di astronomia, apprese a scuola, c'insegnano che il giorno pi corto dell'anno attorno ai solstizio d'inverno, il 20 dicembre. L'esperienza, evidentemente, potrebbe abbastanza facilmente risolvere la contraddizione a vantaggio della nostra tradizione scolastica, che in questo caso la giusta, la scientifica, rispetto a quella popolaresca. Ma anche una semplice considerazione storica della questione ci d qui il modo di darci ragione di questi due dati contraddittori, che ritroviamo nella nostra tradizione. certo, infatti, che il proverbio citato ha origini assai antiche, in un'epoca anteriore alla riforma gregoriana del calendario che fu attuata nel 1582. Nel calendario giuliano, vigente a quell'epoca, la data dei solstizi e degli equinozi non risultava fissa, come invece appunto avviene dopo la riforma gregoriana. Questo spiega, pertanto, come per un certo numero di anni il giorno pi corto dell'anno potesse effettivamente cadere attorno alla data in cui si festeggiava Santa Lucia, e come sia Potuta nascere una tradizione che si poi perpetuata sino a noi: e che con quella fissit che caratteristica delle tradizioni popolari ha seguitato e seguita a trovar credito anche dopo che, con la riforma del calendario, essa non corrisponde pi alla realt dei fatti. In un caso cosi semplice ed elementare, come si vede, un semplice confronto tra due dati della nostra tradizione culturale passiva ci ha permesso, in primo luogo, di rilevarne la contraddittoriet, sulla quale probabilmente non avevano mai. fermato la loro attenzione nemmeno molti tra noi, che sanno cosa sia un solstizio e che, pur sovente, avranno citato il proverbio; in secondo luogo, il confronto ci induce a confermarci nell'idea che doveva essere il nostro maestro di scienze ad aver ragione, perch quel che egli ci ha insegnato sulla giornata pi corta s'inserisce coerentemente in tutto un sistema di nozioni astronomiche, mentre l'insegnamento del proverbio popolare resta isolato e non coerente con altre nostre nozioni; in terzo luogo, una considerazione storica viene non solo a confermarci la coerenza della nozione appresa a scuola, ma a darci ragione dell'altro dato tradizionale, di cui essa ci spiega l'origine, inquadrandolo in un pi vasto sistema di conoscenze. A prescindere dalla possibilit di una verifica sperimentale, che sarebbe facile in questo caso, noi vediamo, cos, che il passaggio da una passiva e incoerente e contraddittoria cultura tradizionale alla scienza avviene attraverso un confronto dei dati e delle nozioni che ritroviamo in noi stessi, una loro critica, che ha sempre, un carattere storico. Degli esperimenti e delle osservazioni stesse, del resto, sulle quali le nostre nozioni d'astronomia sono fondate, noi siamo edotti attraverso un processo storico, appunto, n potremmo pretendere di ripeterle tutte personalmente. Ma quel che particolarmente qui c'importa ancora di sottolineare il fatto che una coscienza scientifica del reale si distingue da una coscienza semplicemente folcloristica, tradizionale, non solo per la sua interna coerenza cui fa contrasto l'incoerenza e la contraddittoriet delle nozioni passivamente accolte ma per la sua universale validit. Quel che noi pretendiamo da una nozione, per considerarla come una nozione scientifica, infatti, non solo che essa sia inquadrata in un sistema coerente di nozioni, ma anche che essa sia universalmente valida. Di un'esperienza, cos, noi diremo che un'esperienza scientifica solo se un'esperienza ripetibile: se cio, date quelle determinate condizioni, essa confermi i suoi risultati, quale che sia lo sperimentatore. E quando, allo scienziato ed alla scienza, noi richiediamo una conoscenza obiettiva del mondo, noi chiediamo, appunto, una coerente sistemazione di 'un'esperienza che non sia quella del visionario o neppur solo di quella sua o nostra individuale, ma quella di tutta l'umanit associata, nel suo concreto processo storico: di un'esperienza, pertanto, universalmente valida. 31

E qui ci riavviciniamo dopo questa lunga digressione, che era pur necessaria per chiarire il nostro assunto all'oggetto pi specifico della nostra conversazione. Quanto or ora abbiam detto ci mostra, in realt, che il processo della conoscenza, della coscienza, della cultura, anche quando si parta, nella considerazione di esso, dalla nostra esperienza individuale, sempre un processo sociale e storico. Dell'obiettivit, della realt stessa del mondo che ci circonda, noi possiamo aver la certezza solo e proprio nei nostri rapporti e nel nostro discorso con gli altri uomini, nella societ umana: sicch giustamente stato detto che solo un impossibile uomo nato e cresciuto fuori di ogni societ umana potrebbe a buon diritto (come a torto fanno i filosofi idealisti) immaginarsi che terra e mare e cielo siano realt solo del suo e nel suo pensiero. Ma questo significa che il processo attraverso il quale una societ, presa nel suo complesso, conquista una sua coscienza scientifica del reale, una sua cultura, sostanzialmente analogo se pur naturalmente ancor pi vario e complesso a quello che sinora siam venuti disaminando. E di una societ data, come di un dato individuo, diremo che essa ha conquistato una cultura, e in particolare una coscienza scientifica del reale, tanto pi elevata, quanto pi questa sua coscienza avr superato l'incoerenza di dati puramente folcloristici e tradizionali, e avr saputo elaborare una concezione del mondo coerente e storicamente critica, e perci stesso pi universalmente valida. Non a caso, dunque, i nomi nei quali si suol riassumere la cultura di una data societ, i nomi che segnano le tappe decisive nello sviluppo della cultura, della filosofia, della scienza, sono i nomi di coloro che, in una data epoca, con maggior vigore hanno saputo sottoporre ad una critica rinnovatrice quelle che erano divenute incoerenti e passive tradizioni di pensiero e di costume delle epoche precedenti; o di coloro che, di una data epoca, pi coerentemente hanno saputo esprimere la coscienza maturata. Cos nel nome di Socrate o di San Paolo O di Averros o di Galileo o di Mendeleev o di Einstein o di Marx, segnaliamo il momento di storiche rivoluzioni scientifiche o culturali; e nel nome di Aristotele o di Linneo o di Maxwell, la pi completa e coerente elaborazione della coscienza scientifica e culturale di una data epoca.

Limitatezza gnoseologia della societ di classi.


Se vogliamo caratterizzare, cos, quel dato periodo della cultura italiana, che va dagli ultimi anni del secolo XIX sino alla prima guerra mondiale, si suole ricorrere, sovente, e non senza ragione, al nome di Benedetto Croce. E certo non si pu negare che, nella cultura delle classi dominanti italiane, Benedetto Croce non sia riuscito ad indurre una certa intima coerenza. Ancora negli ultimi decenni del secolo scorso, come noto, la cultura delle classi dominanti italiane appariva pro fondamente divisa fra le pi antiche correnti tradizionali, rinfocolate dalla proclamazione del Sillabo, e le nuove tendenze di pensiero a carattere positivistico che la borghesia era venuta elaborando nel corso del Risorgimento e nei primi decenni successivi all'Unit; senza contare altre minori tendenze e suddivisioni, sulle quali non ora necessario soffermarci. vecchia cultura delle classi dominanti italiane, che pi di due secoli prima aveva trovato la sua sistemazione nelle tesi e nei decreti del Concilio tridentino, seguitava, s, a dar prova di un suo tradizionale vigore, radicata co n L'era, ormai, sin nei pregiudizi popolari; ma era divenuta, appunto, pregiudizio; non si mostrava pi atta a contenere e ad esprimere le esigenze di vita e di dominio e di relativo progresso delle nuove classi dominanti borghesi che si venivano mescolando e innestando sulle antiche e che erano venute elaborando, nel corso del Risorgimento, un'ideologia cd una cultura laica pi adeguate alla loro natura ed ai loro storici obiettivi. Di qui, all'interno delle classi dominanti stesse, un contrasto ed una dilacerazione, che non era solo politica, ma anche ideologica e culturale; di qui la necessit, per le classi dominanti del nuovo Regno unito, di superare e d i sanare questa dilacerazione, tanto pi pericolosa nella misura in cui dal, 32

basso le nuove classi proletarie urgevano con la minaccia delle loro lotte sociali, della loro politica, della loro cultura. Benedetto Croce ha egregiamente assolto, non v' dubbio, il difficile compito di rimarginare, per le classi dominanti italiane, questa dilacerazione culturale, costruendo una elaborata concezione del mondo nella quale gli elementi tradizionali di una concezione religiosa venivano riassorbiti e conciliati con quali della tradizione idealistica e positivistica pi recente, non scevra di forme e di contenuti scientifici. La caratteristica del sistema, della Weltanschauung crociana, data anzi dal fatto che essa cerca di tener conto, nonch delle tradizioni delle classi dominanti italiane, persino della esperienza pi recente del movimento operaio internazionale: che come sul piano politico avviene col riformismo si cerca di riassorbire e di subordinare alla cultura delle classi dominanti. Non si pu dire, l'abbiamo gi avvertito, che lo sforzo di Benedetto Croce e della sua scuola non abbia sortito un effetto importante, con la elaborazione di una concezione del fondo che ha avuto, per la cultura delle classi dominanti italiane, mia notevole efficacia unificatrice e che non manca di ima sua certa intima coerenza. Questo spiega la grande autorit di cui durante lunghi anni e persino durante il fascismo Benedetto Croce ha goduto fra i pi larghi strati della borghesia e della piccola borghesia intellettuale italiana. Ma proprio questa efficacia dell'opera di Benedetto Croce ne sottolinea pi chiaramente i limiti. Quella concezione del inondo, cos sapientemente elaborata; quella Weltanschauung, nella quale cos opportunamente, ai fini del consolidamento del dominio della borghesia imperialista ormai conciliata con le vecchie caste feudali, si conciliavano il diavolo e l'acqua santa che divengono naturalmente, nel sistema crociano, non pi contrari, ma solo distinti quella concezione del mondo, dicevamo, pur cos conciliantemente elaborata, restava una concezione di classe, elaborata dal punto di vista di una determinata classe (o di un determinato aggruppamento di classi); non poteva e non pu esprimere coerentemente una realt che in se stessa, obiettivamente dilacerata e frammentaria. Il sistema di Croce ha pertanto scientificamente fatto fallimento l dove non poteva non far fallimento; l dove esso cercava di riassorbire la nuova cultura, la nuova ideologia della classe operaia, proclamandone la storica caducit, affermando che il marxismo era morto (cos come Giolitti aveva creduto che il Capitale potesse relegarsi ormai in soffitta). Non poteva non fallire, su questo punto, il sistema, la Weltanschauung di Croce, perch la sua coscienza e la sua scienza, per quanto intimamente coerenti potessero essere, restavano una coscienza, una scienza di classe, parziali, frammentarie, incapaci d'intendere e di esprimere proprio la contraddizione ed il momento essenziale, decisivo, della realt contemporanea: il momento della lotta, dell'ideologia, della cultura nuova della classe operaia. E col fascismo e poi con De Gasperi, persino quella temporanea conciliazione che il sistema di Croce aveva raggiunto tra le tradizionali ideologie delle varie frazioni delle classi dominanti, si rivelata inadeguata per le classi dominanti stesse, sicch queste son ricorse di volta in volta ad altri sistemi: se condo esigenze che non erano astrattamente logiche o filosofiche, ma secondo il mutevole configurarsi dei rapporti di forze e della varia loro disposizione nella societ italiana ed internazionale. La pratica, cos, la dialettica della Storia, si incaricata di dimostrare la storica limitatezza, e parzialit di classe della concezione del mondo crociana; e ci non solo per noi, per la classe che la portatrice della nuova cultura, ma persino per quelle classi dominanti, dal cui seno la cultura crociana era stata espressa: sicch quelle stesse classi malgrado la solenne sentenza di Croce, indubbiamente coerente con la sua concezione del mondo han dovuto pi che mai continuare a preoccuparsi non solo politicamente, ma ideologicamente, di quel marxismo che, in fede di Croce, esse avevano creduto morto e sepolto; e a tal

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uopo, anzi, proprio dopo la famosa sentenza, han dovuto promuovere e organizzare fascismi e patti antikomintern, crociate ideologiche e piani Marshall, encicliche e micrfoni di Dio . Oggi come ieri, d'altronde, la storica limitatezza e parzialit di classe della cultura, della concezione del mondo delle classi dominanti, impedisce loro di cogliere nella sua dialettica unit il processo del reale, vieta loro di intenderne un momento cos decisivo, qual quello della negazione, che proprio il momento dell'attivit, della produttivit umana. La parzialit di classe, insomma, della coscienza, della cultura, della concezione del mondo, della scienza delle classi dominanti, costituisce un limite obiettivo alla sua obiettivit, alla sua universale validit. E questo vale, si badi bene, non solo in un senso, diciamo cos, statistico, che non sarebbe di per s probante. Non si tratta del fatto che le concezioni del mondo del Papa o di Croce, o magari quella di Einstein o di Planck, per quanto intimamente coerenti esse possano essere, non potrebbero essere universalmente valide, perch i braccianti pugliesi non sanno di latino, o perch gli operai di Torino non sanno di calcolo tensoriale. Non si tratta di questo: ch anzi, finch i braccianti non san di latino e sinch gli operai non si occupano di fisica, essi possono pure essere indotti a subire il suggello, sia pure passivo, della cultura delle classi dominanti; e resta pur valida per essi, a modo loro, la religione del Papa o la scienza ,di Einstein e di Planck. Il senso della nostra affermazione, invece, ben pi profondo e radicale di quel che non possa essere una constatazione statistica della diffusione o meno di una data concezione; si tratta del fatto che non pu esservi concezione del mondo universalmente valida l dove non esiste una universale e comune umanit, l dove la societ umana intimamente, obiettivamente dilacerata in classi antagonistiche che necessariamente sviluppano antagonistiche coscienze e concezioni del mondo: sicch quanto pi braccianti o operai sanno di latino sviluppano una propria, autonoma attivit culturale ed escono da una posizione di pura ricettivit tanto meno valida diviene per essi non solo la religione del Papa, ma persino la scienza della borghesia. Questo significa, insomma, che la divisione della societ in classi non ha solo delle conseguenze economiche, politiche, sociali, culturali che sono quelle in cui tale divisione pi immediatamente si esprime. Questo significa che tale intima dilacerazione dell'umanit pone dei limiti obiettivi alla capacit che l'umanit associata ha di prender coscienza del reale in una forma scientifica, coerente, obiettiva, universalmente valida. Questo significa che la divisione della societ in classi pone all'umanit delle limitazioni che non sono solo economiche, politiche, sociali, culturali, ma addirittura gnoseologiche. Questo non vuol dire, beninteso, che anche in una societ di classi non si sia manifestata e non si manifesti l'infinita capacit dell'umanit associata di approfondire, con la sua teoria e con la sua pratica, la coscienza e la conoscenza del mondo; n potrebbe esser inteso nel senso che, con la realizzazione di una societ senza classi, l'umanit d'un tratto raggiunga una coscienza e una conoscenza del mondo che non sia pi infinitamente approfondibile. L'acqua, l'abbiam gi detto, in quelle determinate condizioni, bolle a 1000 per il capitalista come per il proletario, e per il lavoratore dell'umanit socialista; e di questo dato scientifico, la scienza borghese ha saputo da tempo registrare l'obiettivit. Cos pure la data di quella certa eclissi o la data della scoperta dell'America sono egualmente registrate in un trattato di astronomia o di storia borghese come in un trattato sovietico. Ma si tratta, appunto, di d ti che possono avere un valore scientifico quando siano debitamente controllati (e non deformati, come sempre pi largamente avviene nella scienza borghese), ma che non costituiscono ancora, di per se stessi, la scienza nel senso proprio della parola: che non significa, appunto, un dato o una congerie di dati, ma un loro coerente sistema, in cui ogni dato sperimentale o storico diviene elemento di una concezione del mondo. E questa concezione del mondo potr essere infinitamente allargata ed arricchita ed approfondita, ma per essere scienza nel senso proprio della parola dovr essere intimamente coerente ed universalmente valida, obiettiva.

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La rivoluzione culturale socialista come " salto " qualitativo.


In questo senso si pu dire che, anche su questo piano, la costruzione di una societ senza classi rappresenta, nella storia dell'umanit, un vero e proprio salto qualitativo. Il salto pi immediatamente rilevabile per quanto riguarda i rapporti economici, sociali, politici, o la morale che solo in una societ senza classi, appunto, pu superare la sua frammentariet e limitatezza di classe, e divenire una morale umana ma non meno effettivo per quanto riguarda la scienza stessa, che ora soltanto pu vincere la sua parzialit di classe e divenir scienza nel senso proprio della parola, scienza umana, obiettiva nella sua universale validit. Proprio questo, l'abbiamo gi rilevato, il significato pi profondo della rivoluzione culturale e gnoseologica che oggi si viene avviando nel paese del socialismo ; proprio qui sta il valore eccezionale delle prime manifestazioni di una cultura e di una scienza nuova dell'umanit socialista che tanto scandalo hanno sollevato tra i figli del secolo. E gi a chi faccia attenzione al modo nuovo in cui la cultura e la scienza nuova crescono e si affermano nella societ socialista, questo valore balena in una luce vivida e chiara. Basti riflettere che, per la prima volta nella storia dell'umanit, in Unione sovietica, tutto il sistema dell'educazione e dell'istruzione, e della direzione culturale in genere, fondato sulla scienza, su di un sistema e su di un metodo coerente del conoscere. Non vogliamo ora entrare in un giudizio di merito su tale sistema o su tale metodo; non questo che qui ci interessa. Ma nessuno pu negare che per la prima volta nella storia decine di milioni di uomini si educano a liberarsi da una cultura e da una coscienza tradizionale, passiva, incoerente, contraddittoria folcloristica , direbbe Gramsci per conquistare del mondo una coscienza coerente, attiva, scientifica, unitaria. Nel mondo borghese, nella societ di classi, anche la pi avanzata, se alle classi colte , entro certi limiti, si assicura una tale educazione, la grande maggioranza degli uomini abbandonata e mantenuta in uno stato di passivit, di tradizionalismo, di incoerenza culturale nel folclore piuttosto che in un'attiva coscienza sociale. Sarebbe difficile sopravvalutare l'importanza che questa diversit assume nella cultura e nella scienza nuova dell'umanit socialista. Si consideri, ad esempio, come si svolta in Unione sovietica la recente discussione sui problemi della genetica. In un qualsiasi paese del mondo capitalistico, una tale discussione si sarebbe svolta nel chiuso dei gabinetti scientifici, delle Accademie e delle riviste specializzate. E non si tratta solo, badate bene, di una scarsa diffusione della cultura biologica in tali paesi. Ma come si potrebbe discutere dei problemi della genetica di fronte ad un pubblico di milioni di uomini semplici, ai quali si seguita ad insegnare che il mondo stato creato in sei giorni e che Eva nata dalla costola di Adamo? N vale dire che anche certi Padri Gesuiti, sulle loro riviste, dichiarano oggi di accettar le teorie dell'evoluzione delle specie: ch queste sono affermazioni che essi riservano, semmai, per il pubblico colto , mentre dai pulpiti si seguita a predicare l'obbrobrio ai comunisti 'che proclamano l'uomo non creatura di Dio, ma progenie di scimmie . Una discussione scientifica di massa presuppone, per contro, una cultura di massa che, quale che sia il suo attuale livello, sia fondata su di un orientamento verso una coerente concezione del mondo: coerente in quanto confronti e critichi e superi i dati incoerenti e contraddittori di una tradizione folcloristica passivamente accolta per il passato, e coerente in quanto non sia qualitativamente diversa e contraddittoria negli specialisti , negli uomini della cultura da un lato, e nei profani , negli uomini semplici dall'altro. Ma tali condizioni si ritrovano e si possono ritrovare, appunto, solo in un mondo che, come quello sovietico, abbia gi liquidato la divisione della societ in classi antagonistiche. Per questo la cultura, la scienza sovietica, possono svilupparsi e gi effettivamente si sviluppano, in un modo, in forme, che sono 35

qualitativamente diverse da quelle in cui la cultura e la scienza si sviluppano e progrediscono in una societ di classi, come cultura e come scienza di tutto il popolo, attraverso dibattiti di massa. Le conseguenze di un cos diverso modo di sviluppo sono, si badi bene, ancora una volta, non solo sociali o politiche o culturali, ma gnoseologiche: toccano la natura e il valore stesso della scienza, cio. Cosa significa, ad esempio, da questo punto di vista, il fatto che la discussione sulla nuova biologia sovietica si sia sviluppata in un dibattito di milioni di uomini, invece che di pochi specialisti, come suole avvenire nel mondo capitalistico? fuor di dubbio che questa diversit ha delle conseguenza importantissime che sono, appunto, di carattere gnoseologico e che sono facilmente rilevabili da chi abbia avuto cura di seguire i termini del dibattito e di approfondirne il senso. noto, ad esempio, che una parte molto importante delle esperienze e delle ricerche che vengono interpretate nella teoria morganiana dell'ereditariet stata e viene eseguita sulla Drosophila, un comune moscerino che vi sar spesso capitato sott'occhio attorno all'uva o ad altre frutta in fermentazione. Non vi nessuna ragione obiettiva per cui questo piccolo dittero debba esser preferito a tutti gli altri esseri viventi, animali e vegetali, nelle nostre ricerche di genetica. La fama mondiale che questo insetto ha conseguito attraverso le ricerche della scuola morganiana non dovuta al fatto che il genere Drosophila eserciti una funzione od occupi un posto preminente nella natura, o abbia una importanza particolare o una speciale utilit per l'uomo. Quel che ha fatto la fortuna scientifica della Drosophila semplicemente il fatto che essa rapidamente e facilmente riproducibile in allevamento di laboratorio e che i suoi cromosomi presentano particolarit che ne rendono particolarmente comodo lo studio ai ricercatori. Ecco dunque che, nella societ capitalistica, la disposizione e l'organizzazione della ricerca scientifica esercitano una precisa influenza limitativa, restrittiva, sulla ricerca scientifica stessa e addirittura ne deformano la materia e l'indirizzo sperimentale. Allo stadio attuale delle nostre conoscenze, nulla ci dice che le leggi dell'ereditariet siano identiche per tutta la gamma delle specie animali e vegetali; al contrario, dalla genetica morganiana stessa risulterebbe che anche specie tra loro abbastanza vicine presentano caratteristiche differenziali importanti per quanto riguarda, ad esempio, l'ereditariet del sesso. Ma intanto, il distacco che la societ capitalistica accentua tra scienza e popolo, tra specialisti e profani , fra teoria e pratica , induce i ricercatori a concentrare i loro studi attorno alla Drosophila; limita, di fatto, il campo delle ricerche, non solo in quanto queste si concentrano solo attorno ad una o poche fra le centinaia di migliaia di specie del mondo vegetale e animale, ma in quanto la ricerca resta quasi esclusivamente confinata nei laboratori e affidata alla pratica di poche migliaia di specialisti in tutto il mondo borghese, anzich allargarsi su milioni di ettari di culture agricole e di allevamenti e beneficiare della pratica, scientificamente controllata, di milioni di uomini.

Il dibattito sulla nuova biologia sovietica.


La biologia nuova che oggi si afferma in Unione sovietica, per contro, non una biologia degli scienziati per gli scienziati che scelga il suo materiale di esperienza secondo il comodo dei ricercatori. A una biologia, una scienza degli uomini per gli uomini, che coscientemente si pone il compito di accrescere e perfezionare la padronanza dell'uomo sulla natura attraverso una approfondita conoscenza della natura stessa e delle sue leggi; una scienza che considera la pratica dell'umanit associata, l'esperienza di massa,

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non solo criterio decisivo della propria obiettivit, della propria universale validit, ma momento essenziale del processo stesso della conoscenza scientifica. Perci la nuova biologia sovietica, se pur solo agli inizi del suo cammino glorioso, seppur ha ancora dovuto combattere, sinora, in Unione sovietica stessa, contro le incomprensioni e le resistenze della tradizione reazionaria e borghese della scuola morganiana, non si rinchiusa solo nei laboratori, non si ristretta fra pochi specialisti, non si infatuata solo attorno alla Drosophila, ma ha allargato le sue esperienze su milioni di ettari di culture ed in migliaia di allevamenti kolkhoziani; ha arricchito la pratica dei ricercatori specializzati con quella di milioni di kolkhoziani, di orticultori, di frutticultori, di allevatori, di selezionatori, scientificamente controllata; ha esteso immensamente il campo delle sue ricerche e della sua sperimentazione nella jarovizzazione dei cereali e nell'acclimatazione della patata, nella pratica di massa degli ibridi vegetativi e in quella della semina a nidi, in quella della cultura industriale della pianta da gomma e negli allevamenti kolkhoziani. Legandosi ai compiti pratici della costruzione socialista, la nuova biologia sovietica non solo ha, sin d'ora, recato un apporto decisivo al successo di questa, non solo ha accresciuto la padronanza dell'umanit socialista sulla natura, ma ha beneficiato e beneficer di un decisivo allargamento della propria base metodologica e gnoseologica; gi tende a sfatare la maledizione del distacco fra teoria e pratica, tra scienza e popolo, che nella societ di classi soffoca o costringe entro limiti ristretti la capacit dell'umanit associata di conquistare del mondo una conoscenza obiettiva, universalmente valida. Non potremmo, e non intendiamo qui, beninteso, entrar nel merito del dibattito sulla genetica morganiana e mitschuriniana; abbiamo solo voluto illustrare, sulla base di questo esempio, una delle caratteristiche fondamentali della nuova cultura, della nuova scienza sovietica; e non un caso che, persino nel mondo capitalistico, molti selezionatori ed allevatori fra i pi seri, legati ad una esperienza pratica di massa, sostengano da tempo tesi che si avvicinano, sotto vari aspetti, a quelle che sono allo base dell'indirizzo di ricerche oggi affermatosi vittoriosamente in Unione sovietica col trionfo della scuola di Mitschurin. Il trionfo della scuola di Mitschurin e di Lyssenko il trionfo della scienza degli uomini, della scienza del popolo per il popolo sulla scienza degli specialisti per gli specialisti, sulla cosiddetta scienza pura : che, come l' u arte per l'arte , esprime nella societ di classi non gi un'impossibile indipendenza della coscienza sociale dai concreti rapporti esistenti in quella data societ, ma solo l'intima dilacerazione della societ stessa, maledetta dalla separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, fra teoria e pratica, tra libro e vita; frammentata, nel suo mondo culturale stesso, in circoli chiusi senza comunicazioni e senza finestre l'uno sull'altro. 'Quanto qui abbiamo rilevato a proposito-del dibattito sulla nuova biologia, in effetti, avremmo potuto rilevarlo a proposito di ogni altro settore della cultura sovietica: a proposito dell'arte o della critica letteraria, come a proposito della storiografia o della filosofia. In ciascuno di questi campi, per ciascuna di queste forme della coscienza sociale della nuova umanit socialista, avremmo potuto constatare come la profonda rivoluzione che oggi in corso in Unione sovietica esprima un salto senza precedenti nella storia dell'umanit e della sua cultura, della sua capacit di prender coscienza del mondo e di trasformarlo. Con l'apparizione del marxismo ha detto il comp. Zhdanov nel suo decisivo intervento sui problemi della filosofia come concezione scientifica del mondo del proletariato, chiuso il vecchio periodo della storia della filosofia, nel corso del quale la filosofia era cura di singoli, patrimonio di scuole filosofiche, costituite da un piccolo numero di filosofi e di loro discepoli, chiusi, staccati dalla vita, dal popolo, estranei al popolo. Il marxismo non una scuola filosofica di questo genere. Al contrario: il marxismo rappresenta il superamento della vecchia filosofia, del tempo in cui la filosofia era il patrimonio d pochi eletti, aristocrazia 37

dello spirito; segna l'inizio di un periodo assolutamente nuovo della storia della filosofia, di un periodo in cui essa divenuta un'arma nella lotta delle masse proletarie che lottano per la loro liberazione dal capitalismo . Il trionfo della concezione marxista del mondo in Unione sovietica esprime cos appieno la nuova coscienza di un'umanit non pi dilacerata da aristocrazie della ricchezza o del pensiero contrapposte al popolo; il trionfo, come scriveva Gramsci, di una concezione di massa, una cultura di massa e di massa che opera unitariamente cio che ha norme di condotta non solo universali in idea, ma generalizzate nella realt sociale (*) . In questo passo di Gramsci, come nell'altro di Zhdanov che ho or ora citato, giustamente posta in rilievo l'assoluta novit del marxismo, che rappresenta, in quanto filosofia di massa, un vero e proprio salto senza precedenti nella storia del pensiero umano; che stabilisce un rapporto assolutamente nuovo fra teoria, tra 'coscienza e pratica dell'umanit associata. Gi Marx aveva scritto, nelle sue famose Glosse a Feuerbach , che i filosofi hanno solo variamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo ; aveva affermato che la pratica umana associata non soltanto criterio, ma momento decisivo del processo della conoscenza. Col trionfo della concezione marxista del mondo nell'umanit socialista, questa superiore coscienza della natura e del processo della conoscenza diviene per l'umanit associata un'arma decisiva per la conquista di una cultura umana, di una scienza, di un'arte, di una morale universalmente valide; impronta di s ogni attivit culturale della societ socialista.

Coscienza e pratica sociale nell'estetica e nell'arte nuova.


Si consideri, ad esempio, l'atteggiamento che nella societ socialista si viene affermando nei confronti dei problemi dell'arte e si metta a paragone con quello che caratteristico dei teorici dell'estetica nella societ di classi in generale e nel mondo borghese in particolare. Si veda, cos, quel che Benedetto Croce, o magari Aristotele o Lessing, ci hanno detto del Bello,o dell'Arte. Croce, ad esempio, non ci parla, vero, del Bello o nota (*) Antonio Gramsci: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce. Torino, Einaudi, 1948, pag. 232. dell'Arte come di qualcosa che sia fuori del nostro mondo umano e della storia; da buon filosofo idealista, del resto, una tale considerazione dell'Arte e del Bello non potrebbe aver alcun senso per lui. A prima vista, pertanto, il suo atteggiamento di fronte a questo problema potrebbe sembrare avesse evitato lo scoglio della metafisica, della considerazione di una data realt fuori del suo nesso con la storia e con la pratica dell'umanit associata. Ma in realt, a chi pi attentamente consideri la parte e la posizione che all'estetica Croce fa nel quadro del suo sistema di filosofia idealistica, non pu sfuggire il fatto che dell'Arte, del Bello nelle forme caratteristiche, appunto, del suo sistema idealistico Croce fa proprio un concetto dato, anzi una categoria assoluta dello spirito umano, una entit extra e super-storica, astratta dalla pratica dell'umanit associata; una entit, insomma, di quelle che nella terminologia marxista noi qualifichiamo di metafisiche; sicch, anche se non ci parlano di un Bello e di un'arte assoluti, Croce ed i suoi discepoli ci parlano per di un concetto assoluto del Bello e dell'Arte. Cos come per Aristotele o per Lessing, dunque se pure nelle forme pi scaltrite dell'idealismo contemporaneo il Bello e l'Arte (per Croce il loro concetto) vengon considerati come qualcosa di dato, e l'estetica come un'attivit puramente teoretica, speculativa, contemplativa, attraverso la quale il filosofo si limita a scoprire una verit che gi c', bella e fatta, e che sarebbe appunto il concetto (ci verrebbe quasi voglia di dire l'idea platonica) del Bello e dell'Arte. 38

In realt, ciascuno di noi sa, ed ha potuto sperimentare, che questa pretesa di Croce e di quanti altri filosofi prima di lui, nella societ di classi, hanno voluto scoprirci il Bello e l'Arte la pretesa ad una falsa obiettivit. La realt che non c' nessun concetto di Bello e di Arte che sia l, bello e fatto in un mondo ideale, e che non si tratti che di scoprire con un'attivit puramente teoretica e speculativa. La realt che Croce, come tutti i filosofi e critici e artisti che prima di lui, con maggiore o minore efficacia culturale, si sono occupati di estetica, non hanno niente affatto semplicemente scoperto o approfondito un concetto del Bello e dell'Arte che fosse l, bell'e pronto, in un superno mondo di idee platoniche ; n la loro attivit stata una attivit puramente teoretica e contemplativa, ch anzi sempre stata, coscientemente o incoscientemente, un'attivit teorica e pratica, volta non gi a scoprire un concetto del Bello, ma a crearlo; e a crearlo non semplicemente in un senso filosofico-speculativo, di elaborazione concettuale, bens nel senso tutto pratico e concreto di concetto che vivesse e operasse nella coscienza degli uomini, nel senso della creazione di un nuovo gusto artistico e di una nuova poetica: e a tal fine, del resto, filosofi e critici e artisti si son preoccupati di apparecchiare tutta un'attrezzatura materiale e organizzativa di riviste e di accademie e di cattedre e di camarille universitarie. Nella nuova estetica sovietica, per contro, l'arte in quanto forma della coscienza sociale non viene punto considerata o presentata come qualcosa di dato, come un'idea platonica eterna e sottratta alle vicende di questo nostro basso mondo, come un concetto puramente teorico e speculativo, astratto dalla concreta pratica storica dell'umanit associata. Si pone cos continuamente in rilievo, ad esempio, come le teorie estetiche e il gusto dell' arte per l'arte siano un prodotto non casuale e arbitrario, ma anzi necessario, della societ di classi in una data fase del suo sviluppo storico; si mostra come il predominio di queste teorie e di questo gusto artistico non solo esprima la profonda dilacerazione della societ borghese contemporanea, la maledizione che su di essa pesa in conseguenza del monopolio borghese sulla cultura, in conseguenza della separazione tra arte e popolo; ma giustamente si sottolinea come il predominio di queste teorie e di questo gusto abbia una pratica efficacia, tutta rivolta nell'interesse delle classi dominanti proprio al consolidamento del loro dominio, del loro monopolio sulle ricchezze e sulla cultura. Non a caso, cos, al gusto di ristretti gruppi delle classi dominanti per la poesia ermetica o per la pittura astrattista, fa necessario riscontro nella societ capitalistica contemporanea un persistente gusto di massa per la oleografia ecclesiastica o per la poesia alla Parzanese, mentre restan soffocati e repressi i germi del canto e della pittura popolare: nel che appunto si esprime la costrizione delle masse popolari in quello stato di relativa passivit culturale che l'abbiamo visto condizione essenziale per il dominio di ogni classe oppressiva e sfruttatrice. N per questo in quanto ne sottolinea la pratica efficacia di classe l'estetica sovietica nega un valore, diciamo cos, documentario all' arte per l'arte , in quanto forma caratteristica della coscienza e della pratica sociale artistica dell'umanit in una data fase del suo sviluppo storico; ma a questa forma di una coscienza e di una pratica sociale artistica frammentaria, parziale, negativa, l'estetica sovietica apertamente ne contrappone un'altra, superiore, totale, positiva: che non pi quella frammentaria, appunto, e parziale di ristretti circoli delle classi dominanti, bens quella di un'umanit intera, in lotta contro il vecchio mondo dell'oppressione, dello sfruttamento, del monopolio della cultura, di un'umanit gi volta a rimarginare le ferite della sua intima dilacerazione. E di questa lotta, l'estetica, l'arte nuova della societ socialista e come potrebbe non essere? parte integrante: sicch l'estetica sovietica apertamente si dichiara non solo come teoria volta ad approfondire un concetto del Bello, ma come una pratica tendente a liquidare nella coscienza degli uomini i residui ideologici del capitalismo e della divisione della societ in classi, come una pratica volta alla creazione di una nuova poetica e di un nuovo gusto artistico, che esprimano i rapporti nuovi di una societ umana e rispondano alle esigenze storiche della sua costruzione. 39

La diversit tra l'estetica dell' arte per l'arte di Benedetto Croce, putacaso, e quella sovietica, pertanto, non sta nel fatto che questa subordinerebbe la creazione artistica a determinate condizioni e finalit sociali, mentre quella la abbandonerebbe all'ispirazione che, come lo Spirito santo, soffia dove vuole , a quanto ci si dice. In realt, l'una e l'altra estetica esprimono come ogni ideologia i rapporti di una societ determinata, con la sua realt e con le sue storiche esigenze. La diversit sta nel fatto che l'estetica, l'arte, il gusto dominanti nella societ borghese esprimono la realt di questa societ in una forma parziale, frammentaria, contraddittoria, perch parziale, frammentaria, contraddittoria resta la nostra stessa umanit, finch essa non abbia spezzato il quadro della societ di classi; mentre l'estetica sovietica esprime la realt di una societ che ha gi spezzato questo quadro per quanto concerne i rapporti di produzione e che coscientemente e solidalmente lavora a spezzarlo per quanto riguarda la conquista di una superiore coscienza umana. Per questo mentre l'estetica borghese accuratamente nasconde e non pu non nascondere il legame indissolubile che in ogni societ stringe la coscienza artistica alla pratica sociale, mentre di questo legame essa non pu, nella sua limitazione di classe, conquistare che una coscienza oscura e confusa; l'estetica sovietica, per contro, non solo non ha ragione di nascondere tale legame, ma apertamente lo proclama e pu cos conquistare una nozione chiara, adeguata, del rapporto che per questa, come per ogni altra forma della coscienza, sussiste fra teoria e pratica sociale. Da questa chiara e adeguata coscienza dei rapporti fra teoria e pratica, proprio, nasce la superiorit scientifica e la superiore efficacia storica dell'estetica sovietica: il cui storicismo, a differenza di quel che avviene per quella borghese, rivolto non solo verso il passato, ma verso l'avvenire: che c'illumina non solo l'arte e il gusto delle classi dominanti e dei loro artisti, ma il gusto degli uomini, l'arte per gli uomini. E per questo l'estetica e la critica sovietica, che coscientemente collaborano alla costruzione dell'uomo nuovo, conducono la loro lotta su due fronti. Esse sanno che la fioritura dell'arte nuova dell'umanit socialista, e il loro proprio sviluppo ulteriore, non possono essere il frutto di un processo spontaneo, puramente teorico, mosso dall'ispirazione che soffia dove vuole e avulso dai compiti pratici della costruzione socialista; esse sanno che l'arte e l'estetica nuova stessa non possono giungere ad una piena maturazione senza il superamento dei residui ideologici della societ di classi nella coscienza di milioni di uomini: ci che presuppone non solo una teoria estetica astrattamente vera , ma un suo pratico legame con i compiti concreti della costruzione socialista nel campo materiale e culturale. La superiorit scientifica e la superiore efficacia storica dell'estetica sovietica stanno proprio in ci: che non solo teoricamente, ma praticamente, essa si pone il compito della lotta per il realismo socialista. Per questo l'estetica sovietica conduce la sua lotta su due fronti; lavora, teoricamente e praticamente, a liberare l'umanit socialista dai residui di una coscienza e di una pratica artistica formale, parziale, frammentaria che sono caratteristici della societ di classi in generale, e della societ borghese nella fase della sua decomposizione in particolare. Per questo l'estetica sovietica, mentre combatte, da un lato, il formalismo astratto caratteristico, nella societ borghese in decomposizione, per le elucubrazioni artistiche di ristretti gruppi delle classi dominanti esercita non meno vigorosamente la sua critica, dall'altro, nei confronti delle residue tendenze alla spontaneit, al formalismo naturalistico e fotografico: espressione, nella societ di classi, di una relativa passivit culturale delle masse popolari. La via per il superamento di questa frammentariet della coscienza e della pratica artistica sociale, l'estetica sovietica la addita non solo per i popoli sovietici, ma per l'umanit lavoratrice del mondo intero nello sviluppo conseguente di quegli elementi di una attivit culturale artistica che, dai secoli dei secoli, le masse dell'umanit lavoratrice son venute elaborando, in stretto legame con la loro attivit produttiva e con la loro lotta contro l'oppressione e lo sfruttamento, per la conquista di una loro condizione e cultura umana. E in questo senso, ancora una volta, l'estetica sovietica ci si presenta come una dottrina scientifica superiore, capace di una superiore efficienza gnoseologica e pratica, proprio per la sua chiarita coscienza dei legami che intercorrono fra teoria e pratica sociale. Proprio 40

per questo, a differenza di quel che avviene per le estetiche della societ di classi in generale, e per quelle borghesi in particolare, lo storicismo dell'estetica sovietica non solo parziale, rivolto verso il passato, contemplativo; non solo teorico, non si limita a registrare ed a giudicare un concetto del Bello e dell'Arte che sia gi dato e conquistato; ma totale, rivolto verso l'avvenire, attivo; radica l'arte nuova dell'umanit socialista nella tradizione dell'umanit lavoratrice, ma coscientemente, scientificamente le addita vie nuove e con la sua pratica rivoluzionaria interviene ad aprirle.

La pratica sociale come momento intrinseco del processo della conoscenza nella nuova biologia.
Quel che siamo venuti sommariamente esemplificando a proposito dell'estetica sovietica, avremmo potuto illustrarlo lo abbiamo gi avvertito con una caratteristica di ogni altro settore della nuova cultura socialista: per la biologia o per la fisica, per la storiografia o per la morale; anche se, beninteso, non in tutti i campi questa rivoluzione si vien compiendo con pari ritmo, ma anzi variamente avanzata, secondo le varie, concrete e successive esigenze del processo di costruzione dell'uomo nuovo. Ma in tutti i settori, proprio nella dottrina di avanguardia del marxismo-leninismo, del materialismo dialettico, proprio nella chiarita coscienza della pratica umana associata come momento intrinseco decisivo del processo della conoscenza, la nuova cultura socialista trova l'arma ideologica per il superamento della frammentariet, dell'inadeguatezza della coscienza sociale nella societ di classi. Si veda, ad esempio, quel che oggi avviene nel campo della biologia sovietica. Anche qui, se andiamo a ricercare il senso pi profondo delle nuove impostazioni scientifiche che, con la scuola di Mitschurin e di Lyssenko, oggi si affermano nel paese del socialismo, ritroviamo la chiarita coscienza del fatto che non si conosce il mondo senza trasformarlo; che la pratica umana associata non solo il criterio, bens un momento intrinseco e decisivo del processo della conoscenza. Nella genetica weissmanniana, mendeliana, morganiana, cos, l'esperimento, la pratica umana (concepita ancora, per di pi, in una fornii limitata, parziale, individuale, artigianesca) vengono considerati, proprio, come semplice criterio della verit. Io sperimentatore, dedicato alla scienza pura (cio astratta, se pur solo nell'immaginazione dei suoi teorici, dal vivo contesto dei rapporti umani), dovrebbe limitarsi a contemplare quanto avviene nella natura, procurando di eliminare, anzi, gli effetti di ogni nostro involontario intervento nel processo della natura stessa che turberebbe l'obiettivit della nostra conoscenza. Nella genetica morganiana, come in tutta la scienza reazionaria borghese, la funzione dell'esperimento dovrebbe restar limitata ad una funzione di semplice verifica; la pratica umana dovrebbe restare semplice criterio della verit, mentre ogni suo intervento volto a dare alla ricerca un orientamento ed un obiettivo vien considerato come una intrusione antiscientifica. Per i Weissmann, per i Mendel, per i Morgan, insomma, lo scienziato deve essere puro : deve stare a vedere cosa accade delle specie animali e vegetali, cosa accade nelle cellule, nei nuclei, nei cromosomi; cosa accade, al massimo, quando delle cellule si bombardano con dei raggi gamma o quando si trattano con la colchicina, guardandosi bene, Dio ne liberi!, dal proporsi degli impuri obiettivi, quali potrebbero essere quelli di una trasformazione di specie animali o vegetali, che risponda alle necessit pratiche dell'uomo. L'albero della vita e della conoscenza, per fortuna, pi verde di ogni grigia teoria; e nessuno scienziato, cos, anche nel mondo borghese, ha potuto seguire appieno i dettami di questa concezione della scienza pura , che nella societ capitalistica castra la produttivit inesauribile del metodo sperimentale, precludendogli le vie di un intervento nella realt che non sia casuale, ma cosciente, sistematico ed 41

orientato, subordinato ad un piano, che solo pu dargli tutta la sua efficacia ai fini della conoscenza e della padronanza dell'uomo sulla natura. Malgrado le dottrine idealistiche e reazionarie della scienza pura , per fortuna, gli scienziati non hanno potuto esimersi, anche nel mondo capitalistico, da un intervento nella realt che fosse, di fatto, orientato dalle esigenze della pratica umana associata, sia pur ancora limitata e frammntaria come essa solo pu essere in una societ di classi. Malgrado le impostazioni reazionarie della genetica mendeliana o morganiana, cos, nessuno scienziato ha potuto ridursi davvero a semplice osservatore di quanto accadeva nelle specie o nelle cellule; cos come, molto prima che Bacone o Galileo avessero chiarito l'efficacia del metodo sperimentale, per centinaia di secoli gli uomini non avevano potuto esimersi dal far degli esperimenti, senza di che non avrebbero potuto vivere e progredire. Malgrado quelle impostazioni idealistiche e reazionarie, insomma, la scienza ha potuto accumulare, anche nel mondo borghese, una messe ingente di dati sperimentali, che restano pur validi, ed elaborare particolari dottrine biologiche che possono essere integrate nella nuova biologia; ma fuor di dubbio che la mancanza, nella biologia borghese contemporanea, di una chiara coscienza, di una nozione adeguata del significato della pratica umana associata in quanto momento decisivo del processo della conoscenza, le ha impresso una caratteristica metafisica, scolastica; cos come, prima che Bacone e Galileo avessero chiarito per la scienza nuova della borghesia il senso del metodo sperimentale in quanto criterio della verit, la scienza della societ feudale che pur non aveva potuto fare a meno di ricorrere, di fatto, all'esperimento ed aveva raccolto numerosi dati sperimentali si era venuta impigliando in una sterile metafisica ed in una scolastica medievale. Per la scienza nuova della borghesia, in quella sua epoca rivoluzionaria, la conquista di una chiara nozione del metodo sperimentale come criterio decisivo della verit scientifica rappresent un vero e proprio salto in avanti che le permise di districarsi da quella metafisica e da quella scolastica medievale, di sottoporre ad una elaborazione scientifica coerente non solo i nuovi dati che l'impiego sistematico del metodo sperimentale ormai veniva raccogliendo, ma quegli stessi dati che la scienza medievale era venuta accumulando. La rivoluzione scientifica, che oggi si vien compiendo in Unione sovietica, ha nei confronti della scienza borghese contemporanea -- una portata analoga a quella, in quanto essa fondata sulla conquista marxista di una nozione chiara della pratica umana non solo come criterio, ma come momento decisivo del processo della conoscenza. Ma l'efficacia gnoseologica e pratica di questa nuova rivoluzione scientifica gi si manifesta come assai pi profonda, come quantitativamente e qualitativamente diversa da quella della rivoluzione baconiana e galileiana. Questa, in effetti, restava, per il momento, una rivoluzione ideologica, metodologica, teorica: la sua efficacia pratica restava individuale e artigianesca, affidata allo spontaneo futuro sviluppo dell'agricoltura e dell'industria capitalistica e limitata dalla persistente divisione della societ in classi, dalla ignoranza scientifica di massa che ne il necessario complemento. Tutt'altra , fin d'oggi, l'efficacia della rivoluzione scientifica che si vien compiendo in Unione sovietica, ad esempio, nel campo della biologia. Qui la conquista di una nuova, chiara ed adeguata nozione del valore della pratica umana associata in quanto momento intrinseco decisivo del processo della conoscenza, non resta patrimonio individuale di ristretti gruppi di ricercatori specializzati, non ha solo un valore ideologico, metodologico, teorico. Non a caso l'abbiamo gi ricordato il volume col resoconto stenografico dei recenti dibattiti sulla nuova genetica ha avuto immediatamente una prima tiratura in duecentomila copie: ci significa che, nella societ socialista, nella societ senza classi antagonistiche, ogni rivoluzione metodologica nella scienza acquista subito un carattere non pi solo teorico, individuale e artigianesco, ma pratico, sociale, organizzato: diviene elemento di una vera e propria mobilitazione scientifica di massa, che allarga a tutta l'umanit la partecipazione attiva alla lotta per la conquista della scienza, per la conoscenza e per la padronanza dell'uomo sulla natura.

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Nella nuova biologia sovietica, cos, a differenza di quel che avviene nella biologia borghese contemporanea, non ci si limita a stare a vedere quel che avviene delle specie animali o vegetali, o nelle cellule e nei cromosomi; non ci si limita a stare a vedere cosa accade quando si incrociano due specie di moscerini, o quando si bombardano delle cellule con questa o quella particella; non si considera come un' inammissibile intrusione della pratica nella scienza pura il fatto di proporsi di trasformare una data specie animale o vegetale in un dato senso, ad un fine di pratica utilit per l'uomo. Al contrario: Mitschurin e Lyssenko hanno chiaramente riconosciuto che la natura non largisce favori; bisogna prenderseli ; hanno inteso che non si pu davvero conoscere la natura senza trasformarla, senza intervenire sistematicamente colla pratica umana associata nel suo processo, senza partecipare attivamente e coscientemente a questo processo stesso secondo un piano: nel quale, per la nuova biologia sovietica, l'esperimento, l'intervento pratico nella realt, non pi solo casuale, individuale, artigianesco criterio della verit scientifica, ma diviene un momento decisivo del processo stesso attraverso il quale luomo approfondisce la sua conoscenza teorica e la sua padronanza pratica sulla natura; diviene esperimento collettivo, orientato, sociale, che crea un rapporto nuovo tra teoria e pratica scientifica. Per questo la nuova biologia sovietica pu rigettare ed efficacemente confutare tutte le concezioni idealistiche e misticheggianti della biologia borghese contemporanea che tendono a porre dei limiti insuperabili alla conoscibilit della realt biologica, che tendono a negare il determinismo biologico per sostituirgli una casualit, perseguibile dallo scienziato solo con mezzi statistici; per questo, di contro alla scolastica impotenza della biologia borghese contemporanea, la nuova biologia sovietica tutta pervasa dalla sua fiducia scientifica nella possibilit dell'uomo di approfondire indefinitamente la sua conoscenza teorica e la sua padronanza pratica sulla natura. Non vi dubbio che, come per le scienze biologiche, anche per le scienze fisiche e matematiche un'analoga rivoluzione in corso, in Unione sovietica: anche se, in questo campo, il processo di elaborazione e di impostazione nuova appare in una fase pi arretrata. Anche qui, la scienza borghese venuta accumulando materiali .sperimentali immensi che essa si dimostra sempre pi, tuttavia, incapace di dominare e di organizzare, impigliata com'essa nelle impostazioni e nelle deduzioni idealistiche, scolastiche, formalistiche, o addirittura misticheggianti. Contro queste impostazioni e deduzioni, gi da tempo la scienza sovietica ha esercitato la sua critica; ma, come abbiamo gi avvertito, non si pu dire che, in questo campo, la nuova scienza sovietica si sia completamente liberata dalle impostazioni dominanti nel mondo borghese e sia venuta enucleando un nuovo indirizzo delle sue ricerche, compiutamente adeguato come gi avvenuto per la biologia alla realt nuova della societ socialista. Proprio perch la rivoluzione scientifica che si vien realizzando in Unione sovietica una rivoluzione non solo teorica, ideologica, ma pratica, inevitabile che essa si venga affermando secondo una successione di tappe e di settori, che non casuale, che non deriva semplicemente dalla genialit di questo o di quel singolo ricercatore, ma risponde alle concrete condizioni ed esigenze di sviluppo della costruzione socialista. Ma fuor di dubbio che fin d'ora, anche per il campo delle scienze fisiche un campo nel quale le esigenze atomiche della borghesia imperialista hanno indotto una deformazione e un disorientamento particolarmente grave della ricerca la rivoluzione di cui gi si possono rilevare i primi segni in Unione sovietica si sviluppa su di una direttrice analoga a quella che gi si affermata per le scienze biologiche: antiidealistica, antiformalistica, anticasualistica, antimistica, nel senso di una nuova e pi chiara nozione del rapporto fra teoria e pratica nel processo della conoscenza.

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La via di sviluppo della scienza sovietica: la storiografia.


Ma non potremmo concludere questa nostra disamina di alcune caratteristiche, che ci son sembrate particolarmente importanti, della rivoluzione culturale e gnoseologica che si vien compiendo nel paese del socialismo, se non accennassimo ancora al modo, alla via per la quale la cultura e la scienza sovietica si sviluppa. Anche in questo senso, la cultura e la scienza sovietica si differenziano profondamente, qualitativamente, dalla cultura e dalla scienza della societ di classi. E vogliamo questa volta, per illustrare questa nostra affermazione, scegliere il nostro esempio nel campo della ricerca storiografica. Il modo, la via per la quale la storiografia ha affermato i suoi successivi progressi, le sue tappe di sviluppo successive, nella societ di classi, quella di grandi opere storiografiche, dovute al genio individuale di singoli scrittori. Erodoto, Tucidide, Polibio, nella storiografia del mondo greco-romano, hanno potuto segnare col loro nome delle tappe decisive, grazie ad un generale sviluppo, certo, della societ di cui essi erano parte; ma queste tappe son pur sempre state segnate dal loro nome e da opere poderose, la cui efficacia era riservata, dapprima, ad un pubblico ristretto di specialisti, uomini di governo o scienziati delle classi dominanti. In rispondenza alla struttura della societ di classi, insomma, l'efficacia teorica e pratica di una rivoluzione storiografica se non restava addirittura limitata alle classi dominanti si diffondeva, per cos dire, dall'alto in basso; veniva, semmai, passivamente accolta dalla coscienza delle masse, per le quali la nuova storiografia restava sempre un'arma del consolidamento del dominio di classi oppressive e sfruttatrici. Profondamente diverso il modo, la via dello sviluppo della scienza storiografica in Unione sovietica. noto cos, ad esempio, che, fino al 1934, sono state largamente diffuse, in URSS, le impostazioni e le elaborazioni storiografiche della scuola di Pokrovski che criticava la storiografia borghese non da un punto di vista materialista, proletario, bens da quello di un positivismo schematico, piccolo borghese. Non si vuol dire, con questo, che la scuola di Pokrovski che si ricollegava, d'altronde, con certe tradizioni relativamente progressive di storiografia della vecchia Russia zarista non avesse raccolto ed elaborato una larga messe di materiali, sulla quale ancor oggi criticamente si lavora. Ma fuor di dubbio che, nel 1934, le impostazioni e gli orientamenti della scuola di Pokrovski apparivano gi assolutamente inadeguati al superiore grado di coscienza materialista, marxista, raggiunto dai popoli dell'URSS, ed ai compiti che si ponevano di fronte alla storiografia sovietica. Anche allora, fu l'intervento critico del Partito bolscevico e quello personale di Stalin, di Kirov, di Zhdanov a porre in rilievo questa inadeguatezza ed a suscitare una larghissima discussione che appassion il pubblico sovietico. Questa discussione si concret, ad un certo momento, nel bando di un concorso per una Storia dei popoli dell'URSS. Ma quel che caratteristico questo: a differenza di quel che sarebbe avvenuto in qualsiasi paese del mondo capitalistico, il volume che doveva segnare la vittoria del nuovo indirizzo storiografico non era un grosso tomo, riservato a pochi specialisti, irto di note e di citazioni erudite; bens un testo per le scuole elementari. Il testo stesso che fu premiato, del resto, fu sottoposto ad una larghissima discussione e non fu esente da gravi critiche; se ben ricordo, anzi, a sottolineare le sue deficienze, il primo premio del concorso non fu assegnato, ma al vincitore fu solo assegnato il secondo. Si rilevarono fin da allora, nell'opera, deficienze residue per quanto riguardava l'impostazione metodologica e ancor pi gravi deficienze per quanto concerneva l'elaborazione critica dei materiali. E come avrebbe potuto essere altrimenti, per un'opera che doveva avviare la storiografia sovietica per vie nuove, se pur potentemente illuminate dalla luce delle geniali impostazioni storiografiche di Marx, di Engels, di Lenin, di Stalin? la scuola di Pokrovski, proprio per le sue residue impostazioni ed orientamenti borghesi, aveva potuto e poteva ancora beneficiare di tutta una tradizione, di tutto un apparato tecnico, erudito, organizzativo, personale, ben superiore, ancora, a 44

quello della scuola conseguentemente marxista. E non manc, allora (come oggi avviene a non pochi scienziati, anche progressivi, per la scuola biologica di Lyssenko) chi rilev degli elementi di improvvisazione e di mancanza di documentazione erudita che avrebbero reso l'opera premiata meno persuasiva di quelle, ben altrimenti elaborate, di Pokrovski e della sua scuola, che tra l'altro avevano ottenuto non di rado un riconoscimento fin dai maggiori storiografi del mondo capitalistico! E certo, anche fra noi, se un gruppo di studiosi marxisti imprendesse e auguriamoci che lo facciano al pi presto!l'elaborazione di un testo elementare di Storia d'Italia, non potrebbero mancare, nella loro opera, deficienze ancor pi gravi e difetti d'improvvisazione ben pi pesanti di quelli che si potevano riscontrare nell'opera che fu allora premiata in Unione sovietica. Essi si troverebbero a dover affrontare non solo la rielaborazione critica di quella immensa mole di materiali storiografici che la storiografia borghese venuta elaborando a suo modo, dal punto di vista e nell'interesse delle classi dominanti; ma addirittura la ricerca e la raccolta di un altro larghissimo materiale, specie per quanto riguarda la civilt materiale ed i rapporti di produzione nel nostro paese che la storiografia borghese ha generalmente trascurato di prendere in considerazione. fuor di dubbio che, in queste condizioni, il testo elementare elaborato dai nostri bravi studiosi marxisti apparirebbe a molti, di primo acchito, meno documentato e meno persuasivo della Storia d'Italia, putacaso, di Benedetto Croce, che si fonda su di una tradizione e su di un apparato scientifico, erudito, personale, organizzativo gi costituito e consolidato, cristallizzato magari, nella pi accurata ricerca della precisa data di nascita di quella cantante napoletana del '600: di cui non vogliamo punto contestare l'utilit, ma che non esaurisce certo, oggi, i compiti della nuova storiografia. Eppure... Eppure, proprio l'esperienza dei dibattiti storiografici che si svolsero allora e dopo in Unione sovietica ci dimostra che quella scelta nel 1934 la sola via adeguata allo sviluppo della nuova storiografia dell'umanit socialista. E non a caso, pochi anni dopo, il Breve corso di storia del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS anch'esso un libro elementare, se pur di tanto superiore all'altro per la sua precisione scientifica e per la sua genialit rinnovatrice ci veniva a confermare che la via dello sviluppo della storiografia nuova quello della educazione storiografica di massa nello' spirito del marxismo-leninismo, nello spirito di una concezione scientifica coerente, di avanguardia; una via che va dal basso in alto, che assicura all'elaborazione dei problemi storiografici la partecipazione attiva e cosciente di milioni di uomini. E gi oggi si pu dire che libri come quelli citati e particolarmente la Storia del Partito bolscevico hanno educato tutta una generazione dei popoli sovietici e creato una tradizione, un apparato, un personale storiografico di massa: sicch, fin d'oggi, la nuova storiografia sovietica si afferma non solo superiore a quella borghese per le sue impostazioni ed orientamenti metodologici, ma gi sovente pi ricca, pi precisa, pi elaborata per il suo apparato erudito. E siamo giunti al termine della nostra esposizione, nella quale ci siamo sforzati di chiarire il senso pi generale della rivoluzione culturale che oggi si vien compiendo nel paese del socialismo: un senso che, in quanto nasce da nuovi rapporti umani gi conquistati, di per se stesso evidente agli uomini dell'umanit nuova, socialista; ma necessariamente si presenta dapprima come scandalo ai figli del secolo a noi, umanit ancora impigliata e irretita e dilacerata dai rapporti della societ capitalistica. Ma non sar stato inutile il nostro dibattito, se quella che, per gli uomini del vecchio secolo, resta solo pietra di scandalo , per noi tutti, figli del bisogno e della lotta, diverr pietra miliare: che ci indirizzi e ci guidi alla lotta per la conquista di un'umanit anche nostra, che c'insegni ad intendere, nella lotta e per la lotta, i valori nuovi e superiori che l'umanit socialista gi elabora per tutti gli uomini.

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La crisi della scienza e il marxismo


Rapporto di apertura al dibattito svoltosi alla Casa della Cultura di Roma, il 25 maggio 1948 resoconto stenografico.

A mezzo il '700, Alessandro Pope, il poeta del deismo razionalista inglese, accennando superbamente, in un suo famoso epigramma, alla scienza del suo tempo, scriveva: Nature and nature's laws lay hid in night: Let Newton be said God; and all was light.

(La natura e le leggi della natura giacevano celate nella notte; Sia fatto Newton disse Iddio e tutto fu luce).

Lo scienziato, ordinatore e illuminazione di una Natura, che Iddio stesso non era riuscito a trarre dal Caos, ci appare in questo epigramma in una luce caratteristica; una luce che, un secolo e mezzo dopo, appariva un po' offuscata, quando un minore epigrammista, compaesano del Pope, completava scherzosamente la sentenza del poeta con altri due versi: It did not last: the Devil, hoaling ho! Let Einstein be restored the status quo. (L'affare non dur: il Diavolo, urlando ohib! , Sia fatto Einstein , disse, e restaur lo status quo). Nell'un caso come nell'altro, dalla forma: epigrammaticanon si deve pretendere pi di quel che essa non possa dare; ma in un caso come nell'altro, mi sembra, tale forma esprime e compendia efficacemente Io stato della scienza e, pi ancora, l o stato d'animo degli scienziati nella data epoca di sviluppo della scienza stessa.Certo che se, dopo Newton, e fin verso la fine del secolo scorso, la scienza si sviluppava nel senso di un sistema sempre pi organizzato e coerente, coronato in ultimo dalla grande sintesi maxwelliana; certo , dicevamo, che oggi tale sistema e tale coerente organicit appaiono sconvolti e disgregati non gi da un cataclisma che abbia annullato le possibilit e le capacit di ricerca scientifica, ma proprio dai nuovi travolgenti sviluppi, dai progressi vertiginosi che la scienza stessa ha compiuto nei singoli campi, e particolarmente in alcuni suoi principali settori.Mentre possiamo constatare, cos, un enorme accrescimento dell'efficacia pratica della scienza, che incide sempre pi il largamente e profondamente sulla nostra vita quotidiana come sui grandi avvenimenti della storia contemporanea, possiamo constatare, al tempo stesso, come il valore conoscitivo della scienza sia, nel mondo capitalistico, assai pi che per il pas sato, discusso e revocato in dubbio, non solo da parte di profani o da parte di filosofi, ma anche e proprio da parte di quegli scienziati stessi che dei vertiginosi progressi della ricerca scientifica sono i pi diretti agenti.

Le condizioni materiali della ricerca scientifica.


In Italia, in particolare, dapprima sotto l'influenza del Croce e della sua filosofia, noi abbiamo assistito ed assistiamo ancora all'affermarsi di teorie e di stati d'animo che portano ad una vera e propria negazione del valore conoscitivo delle scienze fisiche e naturali. Non sto qui a ripetere le impostazioni che il Croce, e gran 46

parte della scuola idealistica italiana, hanno dato al problema del valore gnoseologico delle scienze fisiche e naturali, confinate nel regno degli pseudoconcetti. Vorrei solo sottolineare come tali impostazioni non siano rimaste senza pratiche conseguenze, per quanto riguarda le possibilit materiali stesse di sviluppo della ricerca scientifica nel nostro paese. Certo che, quando si consideri questo predominio delle teoriche tendenti a negare il valore conoscitivo delle scienze fisiche e naturali, non pu meravigliare lo stato di abbandono delle dotazioni, la miseria materiale in cui si dibattono i nostri gabinetti ed i nostri istituti di ricerca scientifica. Non che le nostre Universit, le nostre Biblioteche, i nostri Istituti di ricerche storiche o umanistiche si trovino in condizioni di florida abbondanza di mezzi: su tutte le nostre istituzioni culturali pesano, oltre e ancor pi che le generali difficolt economiche, quelle generali condizioni che, nella societ italiana contemporanea, costringono al secondo piano le attivit ed i valori culturali. Ma certo che, anche in confronto con altri rami della ricerca scientifica, storica o umanistica, la situazione materiale dei nostri. Istituti di ricerca scientifica appare particolarmente grave; e a chi concretamente, minutamente, nelle moti vazioni dei provvedimenti legislativi e delle impostazioni di bilancio, vada a ricercare le ragioni di questa inferiorit, non pu sfuggire come, a determinarla, abbia potentemente indulto cd influisca il predominio di teorie e di dottrine, che alle scienze fisiche e naturali negano ogni valore conoscitivo. Come tutti i senatori e deputati, guardate, ho or ora ricevuto questo santino, raffigurante la Madonna di Rimini, che mosse gli occhi il 12 maggio 1850 . Accluso al santino, ho ricevuto un modulo di sottoscrizione. Sono cose che accadono abbastanza frequentemente., specie dopo le elezioni del 18 aprile; ed possibile che molti deputati e senatori, eletti proprio grazie a queste Madonnine che muovono gli occhi al ritmo dei decreti di convocazione dei comizi, sentano il dovere di rispondere all'appello e di sottoscrivere per la costruzione (li qualche cappella, o altra istituzione culturale , eretta in onore della Madonna di Rimini. Ma certo che, a parte le Madonnine che muovono gli occhi, mi accade sovente di ricevere appelli e moduli di sottoscrizione per la creazione o lo sviluppo delle pi varie istituzioni sociali, politiche, culturali; ben di rado avviene che, tra questi appelli, se ne oda uno in favore di un. Istituto di ricerca scientifica. Da parte dei ricercatori e dei dirigenti di Istituti di ricerca nel campo delle scienze fisiche e naturali, si soggiace ad una sorta di complesso di inferiorit, si rileva una specie di timidezza e di vergogna; che si pu intendere solo quando si consideri la stima effettiva che, nel mondo stesso della cultura italiana, oggi si fa del valore conoscitivo della scienza. Si prenda, ad esempio, il volume recentemente pubblicato dal Laterza sui Limiti e possibilit della scienza . Scelgo con intenzione questo esempio dall'opera di uno dei pi valorosi nostri ricercatori nel campo delle scienze fisiche, l'amico Carrelli. Non si tratta qui, certo, di un discorso in Parlamento per la richiesta di stanziamenti in favore di un Istituto di fisica; ma certo anche che, quando un valorosi) ricercatore ci viene a ripetere, secondo i canoni crociani, che le scienze fisiche e naturali hanno un valore esclusivamente pratico, e non conoscitivo, facile immaginare la scena che poi si svolger in Parlamento quando, nella discussione sui bilanci, noi porremo al ministro Gonella il problema dell'aumento delle dotazioni dei gabinetti scientifici. Ci sentiremo ripetere, dal ministro competente, ma magari con l'autorit di citazioni dal volume dell'amico Carrelli, che la fisica una scienza tutta pratica e materialista che, priva com' di ogni valore gnoseologico, non accresce il patrimonio spirituale del nostro popolo; sicch, ai fini di tale necessario accrescimento, assai pi efficace apparir lo stanziamento di fondi per la costruzione della sullodata cappella; che ha, evidentemente, per l'on. Gonella e per molti dei suoi colleghi, un valore di conoscenza oltre che di riconoscenza, permettetemi il bisticcio nettamente superiore. Non voglio dire che la responsabilit di queste probabili e gi sperimentate deduzioni finanziarie dell'on. Gonella ricada tutta sull'amico Carrelli e su quegli scienziati che, come lui, pur votati con tutto l'animo alla ricerca scientifica, finiscono per svalutarne l'oggetto e il metodo. Ma certo che, anche da questo punto di 47

vista, non possiamo assistere senza preoccupazione al diffondersi di nuove teorie che, di rincalzo a quelle del Croce, tendono anch'esse, se pure in forme e con motivazioni diverse, ad una negazione dell'obiettivo valore di conoscenza alla ricerca scientifica. Ancora una volta, per citare degli esempi concreti, avr ricorso non g a figure di secondo piano, ma a ricercatori fra i pi valorosi. Si consideri, cos, l'altro volume di recente pubblicazione sui Fondamenti logici della scienza , una raccolta di scritti di Geymonat, Persico, Frola ed altri. La impostazione qui rappresentata non pi quella del Croce che va, nel coni-plesso, nettamente perdendo terreno nella cultura italiana o almeno in questo settore delle discussioni sul valore della scienza. La negazione di tale valore si fa, qui, pi raffinata, si ammanta di una pi recente modernit. A motivarla, non si parte da generali impostazioni filosofiche, bens dall'interno della scienza stessa, della sua evoluzione e della sua grammatica , del suo linguaggio , come scrivono i nostri neo-empiriocriticisti. Perch, in sostanza, di empiriocriticismo si tratta, anche se non sempre questi ricercatori accettano la qualifica e la denominazione. Ma senza entrare qui nel merito della discussione, certo che, a chi legga scritti come quelli raccolti nel volume citato, appare chiaro come, ancora una volta, ci si trovi di fronte ad una dottrina che non solo nega validit obiettiva alla conoscenza scientifica, ma addirittura nega la possibilit e il senso di un'obiettivit della conoscenza, che vien concepita come autonoma costruzione della realt -come giuoco, diremmo noi pi semplicemente. E per i giuochi o per le case da giuoco il governo di uno Stato bien polic non stanzia fondi... Se volessimo completare il quadro e la qualifica delle teorie e degli stati (l'animo che oggi, nella cultura italiana e tra gli scienziati stessi, dominano, per quanto riguarda il valore conoscitivo della scienza, dovremmo ancora accennare alla dottrina e agli stati d'animo cattolici. Ma qui, pi frequentemente -- a parte un'azione coerente da parte dei Gesuiti che va prendendo un notevole rilievo e che meriterebbe un discorso a parte ci troviamo di fronte, appunto, piuttosto che a dottrine sul valore della scienza, a stati d'animo che abbandonano molti scienziati italiani -- certo la maggioranza, da un punto di vista quantitativo -- ad un pratico agnosticismo nei confronti del valore conoscitivo della loro ricerca. In questo settore che, a parte la pattuglia di punta dei Gesuiti, in complesso il pi inerte e ripete press'a poco quell'aspetto grigio che, alla Camera, offre la palude democristiana, in questo settore, dicevamo, il riflesso della crisi della scienza appare, semmai, in forme che non sono particolarmente caratteristiche dell'attuale periodo. Gi per il passato, infatti, in Galileo come in Pasteur, certi motivi di una crisi della scienza si potevano ritrovare nel rapporto della scienza stessa e dello scienziato con qualcosa, con una realt sostanzialmente estranea al mondo in cui essi si muovono: ad esempio, in un contrasto fra la coscienza scientifica del ricercatore e la sua coscienza religiosa. Crisi di questo genere si sono manifestate e si manifestano in tutti i periodi di sviluppo della scienza, e fin dalle epoche pi lontane: ma chiaro che, in tali casi, piuttosto che di una crisi della scienza o dello scienziato, giusto parlare di una crisi della religione e della coscienza religiosa o filosofica. Quel che invece caratterizza la pi recente ed effettiva crisi della scienza il fatto che essa non si determina nella coscienza filosofica o religiosa. dello scienziato, bens si manifesta e si approfondisce nell'intimo del suo pensiero scientifico stesso, ne intacca l'interna coerenza, scossa, turbata, disgregata da nuovi dati, non gi religiosi o filosofici, ma scientifici. Oggi come ieri, tuttavia, se vogliamo scoprire le ragioni pi profonde di questo pi grave disagio, dobbiamo considerare lo scienziato e la scienza non nel loro isolamento, non nel loro astratto distacco da quella concreta realt sociale e storica di cui sono parte integrante, ma proprio nel contesto vivo di tale realt: se vero che nella scienza come nella filosofia, come nella morale, come nell'arte quel che c'importa un'umanit non parziale, e quasi dissecata, ma un'umanit intera, totale, umana. 48

Per questo non deve meravigliarvi se, a impostare un tenia di discussione cos elevato e teorico , come quello da voi prescelto, io ho cominciato coll'accennare, sia pure in forma scherzosa, a fatti assai tristi e prosaici, quali son quelli delle discussioni parlamentari sulle dotazioni degli Istituti di ricerca. Per questo, il metodo col quale noi affrontiamo il problema della crisi della scienza non sar il metodo ideologico che ci porta a domandare chi ha ragione e chi ha torto , non il metodo astratto della logica formale, bens il metodo storico, il metodo dialettico che ci porta in primo luogo a domandare: cosa significa, cosa esprime questa crisi della scienza?

La scienza come forza produttiva e come forma della coscienza sociale.


A chi, da questo punto di vista, si faccia a considerare la scienza e la sua crisi, appare subito che la scienza, nella sua concreta realt storica, ci si presenta sotto un duplice aspetto. Da un lato, in effetti, la scienza ci si presenta come un aspetto della pratica umana associata, come una forza produttiva della societ in cui viviamo: una forza che fatta di strumenti e di uomini i quali, grazie ad una data esperienza produttiva e grazie a determinate abitudini di lavoro, hanno una efficacia sempre pi decisiva nella creazione delle condizioni di vita materiali e morali della nostra umanit. D'altra parte, e al tempo stesso, tuttavia, la scienza ci si presenta sotto un altro aspetto, non solo pratico, ma teorico, ideologico: cio come forma particolare di coscienza di una determinata societ o di un determinato gruppo sociale. E' chiaro che questi due aspetti, sotto i quali la scienza ci si presenta, sono indissolubilmente legati e reciprocamente condizionati: la scienza in quanto ideologia non pu svilupparsi che sulla base del suo sviluppo come forza produttiva, mentre il suo sviluppo come forza produttiva condizionato dal grado di sviluppo e di coerenza e di obiettivit di questa forma di coscienza sociale. Ma queste considerazioni che ci sembrano troppo spesso trascurate quando si parla di scienza, di crisi e di valori della scienza vengono a sottolineare il fatto che la conoscenza, e quella forma particolare di coscienza che la conoscenza scientifica, -- come d'altronde ogni forma di coscienza, artistica, o filosofica o religiosa che sia un'attivit non semplicemente teorica e contemplativa o speculativa, ma teorica e pratica ad un tempo: non solo in quanto la pratica, l'esperimento, criterio di verit, ma in quanto la pratica, l'esperimento momento intrinseco al processo stesso della conoscenza scientifica. Questo non significa, tuttavia, che la scienza cos come ancor oggi, nel suo complesso, essa storicamente, concretamente ci si presenta non subisca anch'essa, in quanto forma della coscienza sociale, quelle deformazioni e quelle distorsioni che sono pi largamente caratteristiche di altre forme della coscienza sociale, come quella filosofica o religiosa. La scienza stessa ci si presenta, in altri termini, ancor oggi, nel suo complesso -- per usare l'espressione marxista -- come un'ideologia, come un processo ideologico; come un processo, cio, che, secondo l'espressione di Engels, si compie, s, da parte del cosiddetto pensatore, coscientemente, ma con una coscienza falsa; (sicch) le effettive forze motrici di tale processo gli restano sconosciute... Egli lavora su di un materiale di pensieri ch'egli inavvertitamente assume come prodotto dal pensiero, senza riferirlo ad un ulteriore processo, indipendente dal pensiero stesso . Non difficile rilevare come questa caratterizzazione engelsiana ancor oggi possa applicarsi alla coscienza scientifica contemporanea che nel mondo capitalistico resta, nel suo complesso, una coscienza di tipo ideologico: e questo non solo per quanto riguarda il grande pubblico dei profani, o quegli scienziati che si 49

rifugiano nell'agnosticismo filosofico, o quelli idealisteggianti; ma anche per quanto riguarda quegli altri ricercatori pi smaliziati che credono di risolvere il problema del fondamento della loro scienza rinchiudendosi in quella che essi chiamano la interna grammatica o l'interno linguaggio della loro particolare scienza stessa. Nell'un caso come nell'altro, la portata e l'efficacia gnoseologica della scienza vengono, di fatto, limitate e ridotte alla portata e all'efficacia di un processo ideologico, senza raggiungere il livello di una conoscenza scientifica nel senso proprio della parola. Nell'un caso come nell'altro, in effetti, il singolo ricercatore vien realizzando, s, un concreto processo conoscitivo; porter, si, con la sua ricerca particolare, un effettivo contributo all'approfondimento della conoscenza del reale. Ma questo non basta, evidentemente, perch si possa parlare di scienza nel senso proprio della parola. Un particolare approfondimento della conoscenza del reale pu esser caratteristico anche di forme di coscienza sociale, che non siano quella scientifica. Forse che ciascuno di noi, nella sua vita quotidiana, con la sua pratica esperienza personale, non approfondisce anch'egli la conoscenza di questa o quella particolare realt? E forse che la intuizione artistica, o persino la coscienza religiosa, non possono significare l'approfondimento della conoscenza (sia pur ideologica e distorta) di una particolare e parziale realt? Ma perch si possa parlare di conoscenza scientifica nel senso proprio della parola occorre, evidentemente, ben altro. Occorre che il processo conoscitivo si sviluppi con una chiara ed esplicita coscienza del suo carattere sociale: sicch il singolo ricercatore sappia sempre che la sua particolare, personale esperienza acquista una validit solo se s inserisce in quell'infinito e coerente processo che il processo, appunto, della coscienza scientifica dell'umanit associata. Solo quando essa s'inserisca -- e coscientemente si inserisca in questo processo, la nostra personale esperienza, la particolare esperienza del ricercatore, pu pretendere a quella universale validit, a quella obiettivit, che appunto quel che contraddistingue la coscienza scientifica dalle altre forme, dalle forme ideologiche della coscienza sociale. Questa esigenza, questa aspirazione alla scienza si ritrova, certo, in ogni ricercatore degno di questo nome. Quando i nostri fisici o i nostri chimici, ad esempio, ci dicono che, perch un'esperienza abbia un valore scientifico, deve essere un'esperienza ripetibile, essi ci rivelano, senza dubbio, la loro aspirazione alla scienza, ad una conoscenza che abbia una sua obiettivit, che si esprime nella sua universale validit. Ma quando lo stesso fisico, idealisteggiante o misticheggiante, ci parla del mondo della esperienza fisica come di un mondo chiuso, dal quale non si pu passare a quello della esperienza biologica o psicologica o storica come fa, ad esempio, Heisenberg; quando, come fanno Carrelli e non pochi ricercatori di obbedienza crociana, in altra forma (attraverso la distinzione fra concetti e pseudoconcetti) egualmente si contrappone il mondo dell'esperienza fisico-biologica a quello dell'esperienza storica; o quando, come avviene per i ricercatori di obbedienza cattolica, un abisso non valicabile si scava fra il mondo della coscienza razionale e sperimentale e quello della coscienza religiosa in tutti questi casi, ci troviamo di fronte ad una effettiva rinuncia del ricercatore alla sua aspirazione alla conoscenza scientifica: che tale solo in quanto, appunto, la nostra singola esperienza coerentemente si inserisca in un determinato stadio di quel processo sociale che, attraverso l'esperienza storica dell'umanit, viene approfondendo la conoscenza obiettiva (universalmente valida, e perci unitaria) della realt. In tutti questi casi, chiaro come -- alla luce della caratteristica che Engels d dei processi ideologici -- la ricerca scientifica resti confinata e limitata, appunto, a processo ideologico, e non scientifico nel senso proprio della parola. La singola ricerca potr, s, avere secondo le qualit personali del ricercatore anche il carattere pi rigorosamente scientifico; ma essa a priori rinuncia ad inserirsi in una concezione coerente ed unitaria del mondo; a priori, pertanto, rinuncia ad una sua universale validit, alla sua 50

obiettivit. Sicch, se pure il singolo ricercatore lavora sulla base di una concreta esperienza materiale, scientifica, la scienza, nel suo complesso, inavvertitamente finisce per considerare il suo materiale come prodotto dal pensiero, senza riferirlo ad un ulteriore processo, indipendente dal pensiero stesso (Engels): il che appunto caratteristico di ogni forma di coscienza ideologica e non scientifica. N meno effettiva la rinuncia all'aspirazione ad una conoscenza scientifica della realt da parte di quei ricercatori che, tutti presi dalla loro particolare ricerca, si rifugiano in un preteso agnosticismo filosofico o in un limitato positivismo che oggi pi frequentemente si presenta sotto forma di impostazioni neoempiriocriticiste. A parte il fatto che anche lo agnosticismo filosofico del ricercatore esso stesso una concezione filosofica, sia pure ingenua e incoerente, chiaro che il predominio di un tale agnosticismo non pu che consolidare e cristallizzare la limitazione della scienza a mero processo ideologico. Il ricercatore che afferma sdegnosamente di attenersi ai fatti, e solo ai fatti ; il ricercatore che si limita alla considerazione ed al confronto dei protocolli di esperimento o degli osservabili ed alla ricerca di una loro coerenza puramente formale, se anche non svaluta la sua ricerca a semplice giuoco, la limita pur sempre al livello di un mero processo ideologico: finisce, mentre pretende di attenersi ai fatti , proprio col lavorare su di un materiale di pensieri, ch'egli inavvertitamente assume come prodotto dal pensiero, senza riferirlo a un ulteriore processo, indipendente dal pensiero stesso (Engels); e le medesime considerazioni valgono per i nostri pi smaliziati neoempiriocriticisti che addirittura teorizzano la rinuncia ad una conoscenza scientifica obiettiva e la frammentazione del processo unitario della conoscenza in grammatiche e linguaggi intraducibili e incomunicabili.

Scienza e ideologia.
La realt che il passaggio della scienza dal livello di un processo che conserva una caratteristica ideologica (nel senso engelsiano della parola) a quello in cui essa acquista il carattere di scienza nel senso proprio della parola; la realt , dicevamo, che questo passaggio non pu avvenire che sulla base della conquista, da parte dei ricercatori, di una chiara ed esplicita coscienza materialista. E ci in un duplice senso. In primo luogo, perch solo una tale coscienza sempre presente pu liberare il ricercatore dal pericolo della deformazione e distorsione ideologica, dall'illusione consistente nel trattare il suo materiale come un prodotto dal pensiero, senza riferirlo ad un ulteriore processo, indipendente dal pensiero stesso (Engels). In secondo luogo, perch solo una chiara ed esplicita coscienza materialista pu liberare il singolo ricercatore (e la ricerca scientifica nel suo complesso) dal suo isolamento atomistico, dalla sua frammentariet, dalla sua particolare limitatezza. Di ogni processo ideologico, invero, la frammentariet, la limitatezza particolaristica, l'atomismo, sono momenti caratteristici ed insuperabili: e questo vero per le ideologie di tipo scientifico, come per quelle di tipo giuridico o artistico o morale. Cos la morale, il diritto, l'arte di una societ di classi, in quanto ideologie, ci si presentano come forme irrimediabilmente frammentarie di una coscienza sociale che non riesce a superare una struttura a circoli chiusi per raggiungere una sua effettiva unit ed universale validit. Ma morale, diritto, arte, anche in quanto non superino il livello della coscienza ideologica, hanno un significato ed una concreta efficacia storica, che conserva un valore assoluto, di fatto , anche se resta frammentaria e parziale. La morale schiavistica o feudale o borghese, in quanto forme della coscienza sociale, possono raggiungere un valore ed una efficacia storica assoluta, anche se parziale, in quanto fatti ed agenti del processo storico. Ma nel campo della ricerca scientifica (della ricerca e dell'approfondimento di una verit obiettiva, universalmente valida) la limitazione che deriva dal carattere ideologico che il processo mantiene, ha conseguenze assai pi gravi: perch l'obiettivit, l'universale validit l'obiettivo specifico, l'aspirazione caratteristica della coscienza 51

scientifica; e l dove a priori si rinunci a tale aspirazione, al raggiungimento di tale obiettivo, si rinuncia alla scienza stessa. Una morale, un diritto di classe, in quanto ideologie, rappresenteranno una coscienza sociale parziale, non umana ancora, appunto, ma di classe: in quanto tali, tuttavia, hanno l'assoluta efficacia di una morale, di un diritto storicamente determinati. La ricerca scientifica, per contro, non pu raggiungere il livello di scienza nel senso proprio della parola se non pretende alla obiettivit, alla universale validit, che significa anche unit della concezione del mondo: ed una tale unit (che essa stessa non un fatto ma un infinito processo storico dell'umanit associata) presuppone il superamento delle forme di coscienza di tipo ideologico, presuppone una chiara e sempre presente coscienza del fatto che l'unit del mondo sta nella sua materialit (Engels): che cio la obiettivit, la universale validit della conoscenza scientifica, la sua capacit di approfondire all'infinito una nostra conoscenza e concezione unitaria del mondo, non sono astratta elucubrazione del nostro pensiero, ma sono radicate e condizionate dalla realt materiale del mondo stesso, coi suoi nessi infiniti che ne esprimono l'obiettiva unit. E chiaro per ogni marxista che quello che qui abbiamo considerato come il presupposto di una conoscenza, scientifica nel pieno senso della parola la conquista, cio, di una chiara ed esplicita coscienza materialista ; chiaro, dicevamo, per ogni marxista, che tale conquista non va essa stessa considerata come un presupposto dogmatico, acquisito attraverso un processo, astratto da quello concreto della ricerca e della conoscenza scientifica. Di questo processo, al contrario, gi per il passato, la conquista di una coscienza materialista ha rappresentato un momento essenziale ed intrinseco di cui possibile storicamente seguire le fasi. Ma proprio questa analisi storica ci mostra come la conquista della superiore coscienza scientifica, che quella del materialismo dialettico, si realizzi non attraverso un'esperienza particolare e frammentaria, di questa o di quella scienza, di questo o di quel singolo settore della realt, ma attraverso un'esperienza unitaria, che quella del, proletariato moderno in lotta per la sua liberazione e per la costruzione di una societ umana, senza classi: un'esperienza che gi supera con l'avviato superamento della divisione sociale del lavoro manuale da quello intellettuale l'illusione ideologica del pensatore di professione ; un'esperienza che nasce dal vivo contesto dell'umanit lavoratrice e produttrice della propria vita materiale e spirituale; un'esperienza che, dai centri nevralgici della produzione e della societ moderna, si allarga alla storia e alla politica, e alle singole tecniche e scienze ed arti, e al diritto e alla morale. Per questo il materialismo dialettico, il marxismo, se pure la conquista di esso e i suoi sviluppi non possono esser neppure concepiti all'infuori di un processo intrinseco allo sviluppo delle singole scienze, rappresenta nella storia della filosofia e della ricerca scientifica stessa qualcosa di assolutamente nuovo; segna un salto qualitativo, la possibilit del passaggio della scienza da forma ancora ideologica e frammentaria di coscienza del reale a forma scientifica nel senso proprio della parola: capace di infinito approfondimento di una conoscenza obiettiva, universalmente valida, unitaria del. reale. Per questo il marxismo-leninismo afferma che lo sviluppo della lotta di classe del proletariato, la conquista delle masse al materialismo dialettico, la critica teorica e pratica che il proletariato in lotta fa delle ideologie borghesi e di ogni forma di coscienza di tipo ideologico, hanno un valore ed un significato non solo economico, sociale, politico, ma gnoseologico: in quanto creano non solo le condizioni per il passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza, alla pratica realizzazione, bens quelle del superamento di tutte le forme di coscienza di tipo ideologico, incoerente, frammentario (folcloristico, come efficacemente ha scritto Gramsci), criticate e unificate in una superiore coscienza scientifica, nella quale si esprime la infinita capacit di conoscenza obiettiva dell'umanit associata.

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La crisi della scienza.


Quel che caratterizza, pertanto, l'atteggiamento del marxismo di fronte alla ricerca scientifica ed alle scienze, un atteggiamento critico, e non semplicemente ideologico. Cos pure di fronte al problema della cosiddetta crisi della scienza, di fronte al problema del suo valore conoscitivo, il marxismo non si limita ad una impostazione ideologica, non si limita a domandare chi ha ragione e chi ha torto , bens si domanda, anzitutto, cosa significhi, cosa esprima questa crisi della scienza . Ed anche tale problema, il marxismo non se lo pone in forma metafisica, considerando la scienza (la ricerca scientifica, lo scienziato) nel loro astratto isolamento; bens in forma storica, col metodo dialettico, considerandoli nel loro nesso col vivo contesto della realt, ove la scienza si riconosce come forza produttiva e come ideologia, che concretamente s'inseriscono nel generale processo della storia. In questa luce, non ci pu sfuggire il profondo mutamento intervenuto nella scienza dalla met del secolo XVIII, diciamo, ad oggi, attraverso l'epoca che abbraccia il periodo dell'ascesa e quello del definitivo declino storico della borghesia. Se risaliamo a mezzo il '700, ed ancor oltre, facile ritrovare, nella cultura e nella scienza borghese, le tracce di un a agnosticismo, che ha tuttavia generalmente una radice ben diversa da quella dell'attuale. In quell'epoca, una timidezza ed un agnosticismo scientifico nascono, semmai, dalla scarsit dei materiali ancora accumulati dai ricercatori, dalla imperfezione artigianesca dei loro strumenti di cui, proprio grazie ai primi moderni progressi della ricerca e del metodo scientifico, i ricercatori cominciavano ad acquistar coscienza. In quest'epoca, insomma, l'agnosticismo scientifico trova la sua radice nella limitatezza dello sviluppo della scienza come forza produttiva e come ideologia; e non per caso questo relativo agnosticismo passa decisamente in secondo piano, cede il passo ad una baldanzosa certezza dogmatica dello scienziato, nel periodo dello slancio rivoluzionario della borghesia, che il periodo di un vertiginoso sviluppo della scienza moderna, in quanto forza produttiva ed in quanto ideologia. un periodo di rivoluzione tecnica e sociale nell'agricoltura e nell'industria dei paesi decisivi d'Europa; un periodo che culmina nella rivoluzione politica in Francia. Ed in Francia appunto, poco dopo il volger del secolo, un grande scienziato esprimer la baldanza tutt'altro che agnostica della nuova scienza, parlando di Dio come di qualcosa che era impossibile ritrovare nell'esplorazione dei cieli, scientificamente intrapresa dai ricercatori. Nel corso del secolo XIX, assistiamo ad uno sviluppo senza precedenti della scienza, che, sulla base dell'accumulazione progressiva di materiali di ricerca sempre pi ricchi e raffinati, si afferma come forza produttiva decisiva della societ moderna, e si viene elaborando in una ideologia sempre pi ricca e precisa, affinata dal punto di vista metodologico, arricchita da una sua sempre pi intima coerenza, almeno per quanto riguarda il campo delle scienze fisiche e naturali. Alla fine del secolo, con la sintesi maxwelliana, l'edificio della scienza ottocentesca pu sembrar quasi compiuto e coronato; il progresso ulteriore della scienza pu apparire affidato ad un processo, ormai rettilineo e senza svolte pericolose, di semplice approfondimento ed estensione della ricerca. A chi, tuttavia, paragoni lo sviluppo della scienza in questo periodo con quello caratteristico del periodo di primo slancio rivoluzionario della borghesia, non pu sfuggire come, sotto la superficie della scienza borghese del secondo Ottocento, gi comincino ad operare germi di stagnazione. Quantitativamente considerato, certo, lo sviluppo della scienza borghese come quello della produzione di beni materiali nel mondo capitalistico , nella seconda met dell'Ottocento, ancora pi rapido che non nella prima. Nello sviluppo della scienza come in quello della produzione di beni materiali l'accumulazione dei materiali e degli strumenti, l'elaborazione delle tecniche e la diffusione di pi moderne abitudini di lavoro, hanno un'efficacia quasi automatica, che si sviluppa in una progressione geometrica, finch non trovi il limite di 53

ostacoli esterni. Per la produzione di beni materiali nel mondo capitalistico, questo limite dato dalla capacit di consumo solvibile e dalle leggi del profitto: e sempre pi gravemente, nella seconda met dell'Ottocento, con le crisi periodiche di sovrapproduzione, lo sviluppo della produzione capitalistica comincer ad urtare contro questo limite. Nel campo della. scienza ottocentesca, certo, di crisi ancora non si pu parlare; ma dopo le rivoluzioni del '48, in ispecie, lo slancio rivoluzionario di una classe che non ha paura della verit, lo slancio della scienza borghese del secondo Settecento, non si ritrova pi. La paura della classe e della verit nuova del proletariato, che ormai si affaccia alla ribalta della storia, gi comincia ad operare come limite alla scienza borghese, ne frena gli slanci pi profondamente rinnovatori. Il fenomeno pi evidente per le scienze economiche e sociali, dove dagli slanci rivoluzionari di un Ricardo si passa alle piattitudini di un Bastiat e degli economisti volgari ; ma gi si manifesta anche nel campo delle scienze fisiche e naturali, ove la stessa geniale sintesi maxwelliana esprime piuttosto una tendenza al coronamento ed all'assestamento che non una rivoluzionaria apertura su un mondo nuovo. Pur nella floridezza e nello slancio, ormai quasi automatico, della scienza nella seconda met dell'Ottocento, cos, quest'apertura rivoluzionaria degli orizzonti di un mondo nuovo resta gi affidata non gi alla scienza delle classi dominanti, alla scienza borghese, bens alla scienza nuova cd alla pratica rivoluzionaria del proletariato, che nel 1848, col Manifesto dei comunisti, ha lanciato il suo primo possente squillo di guerra.

L'imperialismo e la crisi.
Ma intorno al volger del secolo - e vedremo che non si tratta di un caso che quel sistema, compiuto e coerente e coronato nel nome di Maxwell, subisce quasi improvvisamente, non dall'esterno, ma dall'interno stesso della scienza, una serie di colpi violenti, che dapprima ne scuotono l'edificio, poi addirittura lo sconvolgono, mettendo a nudo la relativa superficialit delle sue fondamenta. Questo non significa, beninteso, che la costruzione che seguiteremo a chiamare, tanto per intenderci, maxwelliana, perda il suo valore; il progresso della scienza non si realizza mai con un semplice annullamento delle conquiste gi realizzate, bens si esprime nel loro superamento, che implica la conservazione dei risultati acquisiti ed il loro potenziamento in un quadro pi ampio. Ma certo che, nella crisi del principio del secolo XX, quel che di assestato e di definitivamente compiuto poteva apparire nella sistemazione maxwelliana, resta compromesso e sconvolto: nell'edificio della scienza ottocentesca, nelle sue fondamenta stesse, si sono aperte delle brecce, che appaiono ben presto incolmabili. Non un caso, dicevamo, che questa crisi della scienza si apra proprio al volger del secolo. Nel campo della scienza e della sistemazione del pensiero scientifico avviene in realt, attorno al '900, qualcosa di analogo a quanto, in quest'epoca, avviene in tutta la societ capitalistica presa nel suo complesso. Il volger del secolo segna, in effetti, il passaggio del capitalismo, della borghesia, dall'epoca del suo sviluppo storico ascensionale, progressivo, all'epoca della sua involuzione, all'epoca del suo definitivo declino storico, all'epoca dell'imperialismo e delle guerre imperialiste: e ci induce nella borghesia stessa profonde modifiche strutturali e di atteggiamenti che Lenin e Stalin hanno acutamente analizzate nei loro vari aspetti economici, sociali, politici, ideologici. Sul terreno economico e sociale, in particolare, nell'epoca dell'imperialismo, quel contrasto fondamentale che, gi nell'epoca precedente, si esprimeva nelle crisi periodiche di sovrapproduzione, assume ora una portata storica catastrofica e decisiva. Non pi solo nelle crisi economiche che divengono crisi mondiali ed assumono un carattere di sempre maggiore gravit ma in forma drammatica, nelle guerre imperialiste, il problema dell'inadeguatezza dei rapporti di produzione capitalistici al grado di sviluppo raggiunto dalle forze produttive della societ umana, si pone oramai di fronte al mondo intero : e l'epoca nuova , cos, non solo l'epoca dell'imperialismo e delle guerre imperialiste, ma come Lenin 54

profondamente intende - l'epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie che lo storico contrasto insito nel sistema di produzione capitalistico sono chiamate a superare. Per la scienza che anch'essa, non lo dimentichiamo,una decisiva forza produttiva della societ contemporanea avviene, sul volgere stesso del secolo, qualcosa di analogo a quanto si veri fica nel complesso della societ capitalistica; o pi esattamente si pu dire che quanto avviene nel campo della scienza non che un aspetto particolare della crisi del capitalismo. Anche qui, in forma violenta e brutale, i rapporti produttivi ed il quadro ideologico, entro i quali la scienza si sviluppa, si rivelano assolutamente inadeguati alle forze produttive cd alla produzione della scienza, ai materiali che essa ha accumulato, alla scienza come forza produttiva. E si badi bene, non in un senso puramente simbolico o metaforico che noi consideriamo qui questa inadeguatezza dei rapporti di produzione al grado di sviluppo raggiunto dalla scienza come forza produttiva: questo contrasto fra forma e contenuto, tra rapporti di produzione e sviluppo delle forze produttive nel campo della scienza, assume degli aspetti tutt'altro che simbolici e metaforici, bens estremamente concreti ed obiettivamente constatabili. Gi ad un esame superficiale, cos, appare come, nell'epoca dell'imperialismo, motivi economici, sociali e sempre pi marcatamente politici, contribuiscano ad aggravare all'estremo il contrasto che nasce dalla accumulazione di ricchezza. e di miseria scientifica ai due poli della societ: Si pu sorridere, di primo acchito, di fronte a fenomeni come quello della diffusione delle immagini della Madonna che muove gli occhi nell'ra dell'energia atomica; ma fenomeni del genere esprimono un contrasto che ha un'immensa portata non solo dal punto di vista economico, sociale e politico, bens anche dal punto di vista gnoseologico e da quello delle possibilit effettive di sviluppo della scienza. chiaro che l'ignoranza scientifica di massa, non soltanto mantenuta, ma favorita e promossa dalle classi dominanti nell'epoca dell'imperialismo, rappresenta una limitazione decisiva per le possibilit di sviluppo della scienza come forza produttiva. Tale limitazione appare con maggiore evidenza in quei campi della ricerca scientifica che pi immediatamente sono legati con la tecnica; ma non meno effettiva negli altri settori. Nelle scienze legate all'agricoltura e all'industria o alla vita sociale (medicina, igiene ecc.), cos, appare subito come l'ignoranza scientifica di massa, favorita e promossa dalle classi dominanti nell'epoca dell'imperialismo, limiti enormemente non soltanto la loro pratica efficacia, ma anche le possibilit di un loro ulteriore sviluppo, privandole dell'inestimabile apporto di una esperienza di massa: sicch lo sviluppo della scienza resta affidato all'iniziativa, all'attivit, al criterio di gruppi ristretti di specialisti, tagliati fuori dal contatto e dall'esperienza della grande maggioranza degli uomini; che, mentre gli specialisti della fisica si muovono negli spazi ideali della moderna fisica nucleare, seguitano a muoversi ed a compiere la loro esperienza in un mondo regolato, nonch dalla fisica maxwelliana o newtoniana o galileiana, addirittura da quella.... prearistotelica. Ma non basta. Una conseguenza inevitabile di questa crescente accumulazione di ricchezza e di miseria scientifica ai due poli della societ capitalistica nell'epoca dell'imperialismo data dall'aggravarsi della separazione ,tra teoria e pratica della scienza, tra scienza e tecnica, che pure, da un punto di vista obiettivo, risultano sempre pi strettamente e reciprocamente condizionate. L'ignoranza scientifica di massa, relativamente (e spesso anche assolutamente) aggravata nell'epoca dell'imperialismo, restringe in effetti le possibilit di un contatto fra teoria e pratica scientifica, tra scienza e tecnica, entro le mura dei gabinetti di ricerca scientifica dei grandi trusts o delle citt atomiche : sicch, come sopra rilevavamo, non soltanto la scienza viene privata, nel suo sviluppo, dell'inestimabile apporto di un'esperienza di massa, ma si aggravano all'estremo le manifestazioni di un'involuzione della scienza in un senso ideologico. Cos pure inevitabile, in queste condizioni, che l'organizzazione stessa della ricerca scientifica conservi, nel mondo capitalistico, 55

un carattere preminentemente artigiano e atomistico. Mentre l'enorme accumulazione stessa dei materiali, degli strumenti e dei metodi di ricerca scientifica pone con urgenza all'ordine del giorno il problema della collaborazione scientifica e di un'organizzazione collettiva del lavoro di ricerca, questo resta praticamente affidato ad iniziative disperse, a carattere individuale e artigianesco: ed anche quando come avviene nei maggiori istituti di ricerca dei grandi trusts, o addirittura nelle citt atomiche una organizzazione collettiva interna del lavoro scientifico si realizza, questa resta volutamente priva di ogni capacit espansiva, limitata dai motivi stessi che le dnno vita. Questa volontaria sterilizzazione della scienza in quanto forza produttiva, che riscontriamo negl'istituti di ricerca scientifica dei trust e nelle citt atomiche , appare d'altronde come uno dei limiti fondamentali che i rapporti di produzione della societ capitalistica nell'epoca dell'imperialismo pongono allo sviluppo della scienza. Non v' bisogno di ricordare come, nei paesi capitalistici, migliaia e decine di migliaia di brevetti la cui utilizzazione condizione di sviluppo non della tecnica soltanto, ma della scienza stessa vengano normalmente sterilizzati dai grandi aggruppamenti monopolistici. Com' noto, i grandi trusts acquistano sovente tali brevetti non tanto per utilizzarli, quanto per impedire che altri li utilizzi, introducendo nuovi processi tecnici pi efficaci, che verrebbero a svalutare gl'impianti che il trust stesso gi possiede. In casi di questo genere, il contrasto tra i rapporti di produzione capitalistici nell'epoca dell'imperialismo e il grado di sviluppo della scienza in quanto forza produttiva della nostra societ, appare in forma particolarmente chiara ed evidente. Ma non meno gravi sono le conseguenze che, per un altro verso, si manifestano nel fatto di una vera e propria limitazione, deformazione e deviazione, imposta all'orientamento della ricerca scientifica nell'epoca dell'imperialismo. Basta considerare le fasi di un pi tumultuoso sviluppo della scienza nell'ultimo trentennio, per constatare come esse coincidano con le fasi di sviluppo dei pi gravi conflitti imperialistici. La realt che, nel mondo capitalistico, nell'epoca dell'imperialismo, lo sviluppo della ricerca scientifica si realizza sotto l'impulso prevalente della ricerca di nuovi mezzi di offesa e di difesa bellica: e questo vero non solo per le ricerche atomiche o per quelle che si sviluppano nel campo della chimica, della batteriologia ecc., ma anche per quelle che si sviluppano in sfere apparentemente pi astratte e lontane dal mondo della guerra. N vi bisogno di ricordare come tutta la storiografia, l'antropologia, la filosofia borghese nell'epoca dell'imperialismo si sia venuta e si venga orientando nel senso dell'apologia nazionalistica, o addirittura razzistica, oltre che nel senso dell'apologetica anticomunista. Ci troviamo, comunque, in tutti i campi della ricerca scientifica, di fronte a questa prevalente influenza deformante degli scopi bellici che le classi dominanti imperialiste si prefiggono: ed in ogni caso anche quando, come avviene nel campo delle ricerche a carattere scientifico-tecnico-militare, la singola ricerca pu portare e porta un contributo all'approfondimento della coscienza scientifica per la scienza nel suo complesso, questo orientamento unilaterale ed obbligato della ricerca rappresenta una limitazione ed una deformazione di estrema gravit. Basti ricordare, in proposito, quanto avviene per le utilizzazioni civili dell'energia atomica, e per la pratica impossibilit di avviare le ricerche in questa direzione, pur evidentemente suscettibile di grandiosi sviluppi in senso non solo tecnico, ma scientifico.

Limitazioni alla scienza come forma della coscienza sociale.


Se, da queste sommarie considerazioni sulla scienza in quanto forza produttiva, passiamo a quella della scienza in quanto forma di coscienza e di conoscenza, facile constatare come ciascuna delle limitazioni che, nell'epoca dell'imperialismo, ostacolano lo sviluppo della scienza in quanto forza produttiva, rappresenti anche un limite allo sviluppo della scienza in quanto ideologici, in quanto forma della coscienza sociale. N ci ci pu meravigliare: perch, come abbiamo gi avvertito, se vero che la scienza pu e deve 56

essere considerata sotto il duplice aspetto di forza produttiva di una data societ e di forma della coscienza della societ stessa, anche vero che questi due aspetti sono gli aspetti di un'unica realt, e sono tra di loro non solo strettamente legati, ma reciprocamente condizionati. Per quanto riguarda, cos, i limiti alla possibilit di sviluppo della scienza in quanto forma della coscienza sociale e della conoscenza, che il mondo capitalistico nell'epoca dell'imperialismo impone alla scienza stessa, non mi soffermer qui a sottolineare quelli che pi immediatamente si rivelano all'osservatore. Che il fideismo e l'oscurantismo, deliberatamente propagandati e diffusi dalle classi dominanti nell'epoca dell'imperialismo, rappresentino un decisivo ostacolo alla diffusione della scienza in quanto forma della coscienza sociale, un fatto indiscutibile e che trova un largo riconoscimento persino in certi settori della cultura borghese e, comunque, da parte di ogni scienziato degno di questo nome. Ma meno generalmente rilevato e riconosciuto l'altro aspetto della questione: la limitazione, cio, che l'esclusione delle masse dalla scienza e dalla cultura scientifica impone allo sviluppo della scienza stessa; non solo alla sua diffusione, ma al suo approfondimento in quanto forma della conoscenza e della coscienza sociale. Il fatto dell'accumulazione di ricchezza e di miseria scientifica ai due poli della societ contemporanea, il fatto della separazione fra teoria e pratica scientifica, tra scienza e tecnica, non ha solo delle conseguenze economiche, sociali o politiche, ma -- lo abbiamo gi rilevato conseguenze non meno gravi di ordine gnoseologico. Un approfondimento della coscienza sociale, della conoscenza del reale, che abbia un valore scientifico nel pieno senso della parola -- che raggiunga cio una sua obiettivit, una universale validit non pu essere il prodotto di un'esperienza parziale ed unilaterale, quale quella che caratterizza la scienza degli scienziati nella societ contemporanea. Un'esperienza cos unilaterale, parziale e frammentaria, un'esperienza teorica, che l'esclusione delle grandi masse dalla scienza mantiene separata dalla pratica, imprime inevitabilmente alla ricerca scientifica ed alla scienza stessa. un orientamento di tipo ideologico, nel senso engelsiano della parola; preclude alla scienza la via del raggiungimento di un suo superiore stadio di sviluppo, quello della scienza nel senso pi proprio della parola, quello dell'approfondimento di una concezione del mondo infinitamente perfettibile certo, ma gi in ogni suo grado di sviluppo dotata di una sua unit, di una sua intima coerenza, di una sua. universale validit, di un'effettiva obbiettivit. Nella societ capitalistica contemporanea, per contro, una tale superiore ed unitaria, obiettiva coscienza scientifica non pu essere raggiunta: non solo da parte delle masse, escluse dalla scienza e dalla cultura scientifica, ma nemmeno da parte degli scienziati, chiusi nella loro parziale ed unilaterale esperienza, prigionieri essi stessi di una forma di coscienza ideologica: che, se non quella rudimentale dei santini e delle Madonne che muovono gli occhi, pur sempre una forma di coscienza unilaterale, parziale e distorta. Tutto quanto siamo venuti dicendo, a proposito dei limiti che la societ capitalistica nell'epoca dell'imperialismo pone allo sviluppo della scienza, in quanto forza produttiva ed in quanto forma della coscienza sociale, si esprime e si riassume nella constatazione del fatto che il quadro dei rapporti, Produttivi e ideologici, dominanti nella societ capitalistica contemporanea, risulta assolutamente inadeguato al grado di sviluppo raggiunto dalla scienza stessa. Cos come, per quanto riguarda l'inadeguatezza dei rapporti al grado di sviluppo delle forze produttive, il contrasto esplode nelle crisi economiche e nelle guerre imperialiste, cos l'inadeguatezza dei rapporti ideologici dominanti al grado di sviluppo raggiunto dalla scienza trova la sua espressione in una crisi della scienza medesima; e non un caso, come l'abbiam gi rilevato, che questa crisi, o questa successione di crisi della scienza, coincidano, nel loro sviluppo, con lo sviluppo della crisi generale della societ capitalistica nell'epoca dell'imperialismo: che , appunto, una crisi non solo economica e sociale, ma politica e ideologica.

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Necessit di un quadro nuovo.


Non la prima volta, d'altronde, che la scienza, nel corso del suo sviluppo, si trova di fronte ad una crisi del genere: anche se, senza dubbio, la sua crisi attuale presenta una gravit ed una profondit senza precedenti, come senza precedenti la gravit e la profondit della crisi sociale di cui essa l'espressione. Gi al tempo di Socrate e dei sofisti per non ricordare che alcuni esempi tra i pi caratteristici la scienza greca, pur mo' nata, subisce una di queste crisi, nel corso della quale sembra che le sue fondamenta stesse siano scosse e in cui le nozioni che sembravano pi stabili e indiscutibili vengono messe in forse. Molti secoli dopo (non intendiamo qui, si badi bene, altro che esemplificare, senza certo pretendere di esaurire l'enumerazione delle principali crisi della scienza), molti secoli dopo, dicevamo, nell'epoca del preumanesimo, una crisi non meno profonda, ed ancor pi complessa, della scienza, trova la sua espressione nel secolare dibattito tra scientia e sapientia che si prolunga per tutta l'epoca dei Comuni ed esplode poi nella scienza nuova del Rinascimento. Da Bacone a Galileo, da Keplero a Newton, si potrebbe facilmente seguire il filone di altre storiche crisi, dalle quali nata la scienza moderna. Ma senza diffondersi in un'esemplificazione, che pur non sarebbe priva d'interesse, facile rilevare come in tutti i periodi di crisi della scienza tradizionale si possano riscontrare alcune caratteristiche comuni che derivano dal modo stesso in cui una crisi della scienza si determina. Lo sviluppo della ricerca scientifica, l'accumulazione dei materiali e degli strumenti della scienza, in effetti, sono processi che necessariamente si svolgono con una certa continuit e gradualit; ma il quadro dei rapporti ideologici, entro il quale la ricerca scientifica si sviluppa, il metodo e la logica della scienza, hanno una loro unit, una loro intima coerenza, che non consente un loro graduale adeguamento allo sviluppo della ricerca scientifica e dei materiali che essa viene accumulando. Cos come, nel complesso della societ, l'adeguamento dei rapporti di produzione allo sviluppo delle forze produttive avviene per salti, attraverso vere e proprie rivoluzioni scientifiche, il quadro ideologico, il metodo della scienza, debbono adeguarsi al suo nuovo grado di sviluppo, quando questo ha superato certi limiti, oltre i quali il vecchio quadro si dimostra incapace di contenerlo e di esprimerlo. In ciascuna delle tappe di sviluppo della scienza, che sopra abbiamo ricordate, era necessario, perch la scienza potesse superare la sua crisi e potesse riprendere la sua marcia in avanti, che la sua forza ideologica, il suo metodo, la sua logica (la sua interna grammatica , direbbero i nostri neoempiriocriticisti) si adeguassero al nuovo grado di sviluppo che la ricerca scientifica aveva raggiunto, alla massa dei nuovi materiali che essa era venuta accumulando. Questo adeguamento si , di volta in volta, realizzato non in una forma graduale, continua, bens attraverso un salto, attraverso una rivoluzione scientifica. Di fronte all'urgenza di una tale rivoluzione ben pi profonda e decisiva, come vedremo si trova oggi la scienza e solo una tale rivoluzione pu risolvere la sua crisi, pu permetterle di riprendere in un nuovo, ben pi largo quadro, la sua marcia in avanti. Pretendere di contenere le enormi forze produttive, le immense accumulazioni di materiali della scienza contemporanea, nel quadro dei rapporti di produzione e delle ideologie ereditale dal vecchio mondo sia pure alla meglio rammodernate sarebbe fare come chi avesse preteso, al tempo di Aristotele, contenere negli scarni, se pur profondi, schemi degli Eleati o degli Jonici primi, i nuovi materiali che una ricerca scientifica ormai gi sistematica aveva cominciato a raccogliere; o come chi, al tempo di Newton, avesse preteso di elaborare i materiali di Copernico e di Keplero negli schemi della scolastica. Era necessario, allora, un nuovo quadro ideologico, un nuovo metodo, una nuova logica; e il quadro, il metodo, la logica nuova s'imposero attraverso rivoluzioni scientifiche le quali trassero la loro forma e la loro efficacia da un'elaborazione che si badi bene non restava limitata all'ambito della scienza e degli scienziati, ma si allargava ed affondava le sue radici per tutta la societ: sicch, di volta in volta, vi presero parte non solo Platone o Giovanni da Salishury o Keplero, ma 58

Pericle e i mercanti di lana fiorentini e Cromwell. E di volta in volta, alla nuova scienza di avanguardia, al nuovo slancio delle forze produttive della scienza, solo la classe d'avanguardia ha potuto fornire, con la sua ideologia, con il suo metodo, con la sua logica, con la sua grammatica nuova, il quadro adeguato. Cos ieri la borghesia, cos oggi il proletariato. Cos oggi solo il materialismo dialettico, solo la dottrina d'avanguardia della classe d'avanguardia della societ contemporanea, pu fornire il quadro teorico adeguato ad una moderna ricerca scientifica, pu risolvere in un nuovo slancio la crisi della scienza, Questo non significa, beninteso, che il materialismo dialettico sia una chiave che apre tutte le porte. Di chiavi che aprano tutte le porte non ve ne sono, nella scienza; se ve ne offrono come amano fare certi nostri idealisti costruttori dell'universo ope rationis state pur sicuri che si tratta di chiavi false: quelle che aprono tutte le porte non sono chiavi, lo sapete, ma grimaldelli. Il marxismo non offre chiavi false e non ritiene punto di offrirvi il metodo per aprir facilmente tutte le porte. In questo il metodo marxista si distingue anche, ad esempio, da quello di un Bacone nel Novum organum: noi sappiamo che il nostro non solo non un sistema, ma anche come metodo continuamente si arricchisce nella concreta esperienza del contenuto sempre nuovo della ricerca. Per questo il marxismo, il materialismo dialettico, non pretende mai sostituirsi alla concreta ricerca scientifica, non le contrappone mai un suo sistema; il quadro teorico stesso, il metodo, la logica che esso le offre non sono neanch'essi qualcosa di cristallizzato e d'immobile, ma continuamente si arricchiscono dei concreti risultati della ricerca scientifica e ad essi si adeguano. Proprio questo nuovo rapporto tra forma e contenuto, fra oggetto e metodo della ricerca scientifica, anzi caratteristico per il materialismo dialettico: che per la prima volta in quanto forma e quadro teorico entro il quale la ricerca scientifica si sviluppa ad essa non si contrappone come qualche cosa di estraneo o di superiore, ma ne rappresenta piuttosto il momento universale ed unitario, che dall'interno la anima. Ai nostri tempi, i grandi Maestri del materialismo dialettico, Lenin e Stalin, hanno dato con la loro opera geniale la conferma della rivoluzionaria fecondit del metodo marxista, della sua capacit non solo di offrire il quadro teorico adeguato ai pi nuovi e vari contenuti, ma di svilupparsi, affinarsi ed approfondirsi, in quanto metodo, che del suo nuovo contenuto, delle nuove conquiste della scienza, delle nuove esperienze della pratica umana associata continuamente si arricchisce. Leggi come quella di immensa portata scientifica dell'ineguale ritmo di sviluppo del capitalismo nell'epoca dell'imperialismo o come quella della critica e dell'autocritica come forma dialettica dello sviluppo della societ socialista (per non riferirsi che ad alcuni apporti tra i pi noti allo sviluppo del marxismo), hanno non soltanto un'enorme importanza teorica e pratica, rappresentano non solo un arricchimento della dottrina del materialismo dialettico, bens rappresentano un decisivo arricchimento del metodo marxista; hanno una portata gnoseologica che gi comincia a rivelare la sua entit nelle impostazioni, negli orientamenti, nella capacit di sviluppi nuovi della scienza e della cultura sovietica. E il segreto di questa rivoluzionaria fecondit del metodo marxista va ricercato, appunto, in questo rapporto nuovo che la classe operaia nella sua lotta per la costruzione di una societ senza classi pone tra forma e contenuto, tra metodo e materiali, tra teoria e pratica della scienza: he gi esce, cos, dalla sua fase di sviluppo di tipo meramente ideologico, per divenire scienza nel pieno senso della parola, forma adeguata di una coscienza sociale non pi frammentaria, ma unitaria, e cosi dotata di una sua universale validit, di una pi profonda obiettivit.

Osservatore e oggetto.
Per quanto riguarda gli aspetti che la crisi della scienza assume nei singoli settori della scienza stessa, dovremo necessariamente limitarci, in questo rapporto di apertura dei dibattiti, ad alcuni riferimenti di interesse pi generale. Perch essa possa risultare pi proficua ed approfondita, mi pare che la discussione, 59

dopo esser stata sviluppata stilla base di questa impostazione a carattere generale, debba necessariamente essere organizzata in almeno tre dibattiti distinti: uno attorno ai problemi delle scienze storiche, il secondo attorno a quelli delle scienze fisico-matematiche, il terzo sui problemi delle scienze biologiche. Pu essere utile, tuttavia, gi in questo rapporto di apertura del dibattito, accennare al modo in cui la crisi della scienza venuta a manifestarsi in uno di quei settori della ricerca scientifica, nei quali lo sviluppo apparso negli ultimi decenni particolarmente rapido e tumultuoso: vogliamo dire nel settore della nuova fisica. I due colpi di ariete che hanno scosso l'edificio della fisica ottocentesca e che hanno rivelato la relativa superficialit delle sue fondamenta, sono, come noto, la teoria einsteiniana della relativit e quella dei quanta. In proposito, tuttavia, si pu rilevare come la maggioranza dei fisici sia portata ad attribuire la parte prevalente nella crisi della vecchia fisica proprio alla teoria dei quanta; mentre, secondo questi fisici stessi, la teoria della relativit; pur rappresentando un elemento disgregatore del sistema maxwelliano, resterebbe ancora, sostanzialmente, nel quadro della vecchia fisica. Pensiamo che un giudizio del genere sia il risultato di una considerazione unilateralmente tecnica delle rispettive conseguenze delle due teorie. Di questi aspetti tecnici, evidentemente, nessuno pu esser miglior giudice dei fisici; n si vuoi certo negare che, nello sviluppo delle moderne ricerche di fisica atomica e nucleare, la teoria dei quanta abbia sortito una efficacia pratica ancor superiore a quella della teoria della relativit. Ma, dal punto di vista pi generale che qui ci interessa, mi sembra che e la teoria della relativit e quella dei quanta possano e debbano essere considerate sullo stesso piano, alla stessa stregua, in quanto e l'una e l'altra esprimono l'esigenza maturata dal seno della scienza fisica stessa di un approfondimento del dibattito attorno al problema fondamentale della filosofia, quello cio del carattere e della obiettivit della conoscenza. Ognuno sa come, di fronte a questo problema fondamentale, si contrappongano le impostazioni del materialismo che riconosce l'esistenza di una realt materiale, cio esistente all'infuori della coscienza e del pensiero a quelle dell'idealismo che, solo alla coscienza e nella coscienza, nel pensiero riconosce una realt. chiaro che l'opposizione di tali impostazioni ha per conseguenza una necessaria opposizione nella valutazione che materialismo e idealismo dnno della scienza in generale, e delle scienze sperimentali in ispecie, dei rapporti tra osservatore ed oggetto e del valore gnoseologico della scienza. L'idealismo, beninteso, per quanto riguarda il rapporto tra osservatore ed oggetto nel processo della conoscenza scientifica, portato necessariamente a sottolineare il momento dell'attivit, della creativit, anzi, del soggetto. Poich una realt obiettiva, esterna al pensiero,, non esiste per l'idealismo, ogni oggetto non pu per esso essere che un prodotto dell'attivit del soggetto, una sua creazione. Ma questa pretesa attivit del soggetto resta inevitabilmente, nell'idealismo, tutta ideale ed arbitraria, metafisica: essa esclude necessariamente la possibilit di una conoscenza, e dell'esistenza stessa, di leggi che abbiano obiettivo vigore come forme di sviluppo e di movimento del reale. La pretesa attivit del soggetto nel processo conoscitivo, cos come essa vien considerata dagl'idealisti, si risolve pertanto nella negazione del valore conoscitivo della scienza, nella riduzione della scienza e della realt di cui essa approfondisce la conoscenza a pura costruzione arbitraria. Per il materialismo ingenuo, come per quello meccanicistico e metafisico, per contro, il rapporto tra osservatore ed oggetto, il processo conoscitivo, si risolvono in una pura ricettivit del soggetto. Questo materialismo riconosce, s, l'esistenza di una realt materiale, obiettiva, all'infuori della nostra coscienza ; riconosce che questa realt retta da leggi che possibile conoscere, cos come possibile conoscere la 60

realt stessa. Ma del processo, attraverso il quale l'umanit associata capace di approfondire la conoscenza obiettiva del reale, il materialismo ingenuo, quello metafisico e meccanicistico non sanno dirci nulla. Essi ci dicono, s, che il nostro pensiero capace di riflettere la realt obiettiva: ma il guaio si come scriveva Lenin nelle sue Note sulla dialettica -- che la teoria della riflessione, il processo della conoscenza, essi lo concepiscono, appunto, non in modo dialettico, ma in modo metafisico: come un fatto meccanico, non come un processo nel quale dall'idea soggettiva l'uomo giunge alla verit oggettiva attraverso la pratica e la tecnica (Lenin, Quaderni filosofici, ediz. russa, pag. 193), attraverso una serie di astrazioni, di formulazioni, di formazione di concetti ecc. (id., pag. 176), e nel quale pertanto il soggetto interviene non in funzione semplicemente ricettiva e passiva, bens proprio in quanto soggetto attivo, pensante e operante. A buon diritto, pertanto, Marx, gi nelle Glosse a Feuerbach , rivolgeva la sua critica non solo contro l'impostazione che l'idealismo d al problema dei rapporti tra soggetto e oggetto nel processo della conoscenza, bens anche a quella che a tale problema d il materialismo volgare, metafisico, meccanicistico. Giustamente egli qualificava il vecchio materialismo di contemplativo , in quanto esso non intendeva e non intende il carattere dialettico, attivo, pratico del rapporto tra soggetto e oggetto nel processo conoscitivo; e nelle Glosse a Feuerbach stesse, con una frase scultorea e pregna di un profondo significato gnoseologico, il fondatore del materialismo dialettico poneva in particolare rilievo questa caratteristica attiva e pratica del soggetto nel processo della conoscenza, concludendo che i filosofi hanno soltanto variamente interpretato il mondo, si tratta di trasformarlo.

Teoria e pratica nel processo della conoscenza.


Qual , dal punto di vista delle considerazioni qui svolte, l'esigenza che, con la teoria della relativit e con la teoria dei quanta, appare maturata dal seno stesso della particolare ricerca scientifica? In che senso abbiamo potuto affermare, poco fa, che l'esigenza che le due teorie impongono al ricercatore preoccupato dell'intima coerenza della sua scienza sostanzialmente la medesima? In realt, e con la teoria dei quanta e con la teoria della relativit, grazie ad un affinamento degli strumenti e dei metodi di ricerca, quando ci si posto il problema di un approfondimento e di una precisazione della coscenza della realt fisica, quello che si imposto con acutezza agli stessi ricercatori stato proprio il problema del rapporto attivo, pratico (e non semplicemente ricettivo) tra osservatore ed oggetto; che poi, al tempo stesso, il problema della nostra capacit di approfondire all'infinito la nostra conoscenza della realt e delle sue leggi. noto come, sia dalla teoria della relativit che da quella dei quanta, filosofi idealisti e fisici idealisteggianti si siano affrettati a trarre deduzioni relative ad una pretesa soggettivit del reale che non sarebbe pi dominato da leggi e in cui protoni ed elettroni e fotoni sarebbero dotati, se non di una vera e propria fede religiosa, almeno di una forma... di libero arbitrio. chiaro che deduzioni, sul genere di queste, consuete nell'apologetica idealistica e fideistica, non hanno nulla in comune con la scienza. E non certo ponendosi su questo medesimo terreno apologetico che il materialismo dialettico affronta i risultati della pi recente ricerca scientifica. fuori discussione, per ogni marxista, che sulla struttura della materia, sulle leggi particolari che ne reggono le varie forme di movimento, solo la concreta ricerca scientifica, appunto, pu permetterci di approfondire le nostre conoscenze; in nessun modo, pertanto, il materialismo dialettico potrebbe pretendere di prefiggere un quadro, entro il quale poi man mano i particolari risultati della ricerca debbano essere a forza inseriti. N tampoco, dunque, un qualsiasi risultato di una concreta ricerca potrebbe venire a confutare il 61

materialismo dialettico, la cui validit assicurata non dalla conferma di questa o quella struttura della materia, bens proprio dalla validit di ogni concreta e particolare ricerca scientifica che fondata, attraverso l'esperienza della pratica umana associata, nell'esistenza di una realt obiettiva, materiale, all'infuori della nostra coscienza. Per questo, l'atteggiamento che il materialismo dialettico assume, di volta in volta, di fronte ai nuovi particolari risultati della ricerca scientifica, tutt'altro da quello apologetico ed antiscientifico dei filosofi idealisti o misticheggianti. La domanda che noi ci poniamo tutt'altra: in che misura, cio, il materialismo dialettico pu aiutarci ad intendere, a render coerenti i risultati ottenuti dai ricercatori nel campo della fisica? In che misura esso pu offrirci quella nuova logica, quella nuova grammatica che ci renda intelleggibile una realt, che spezza il quadro della logica e della grammatica tradizionale della vecchia scienza? Si consideri, ad esempio, quel che la teoria della relativit e la teoria dei quanta impongono con l'efficacia della concreta ricerca scientifica, confermata oramai in migliaia di esperienze --- al fisico o, in genere, allo scienziato che voglia conquistarsi una coerente visione del mondo, a proposito del rapporto tra osservatore ed oggetto. E l'una e l'altra teoria ci mostrano, in primo luogo, che quelli che potevano apparire, ora mezzo secolo, dei limiti obiettivi, insuperabili, alla conoscibilit del mondo fisico, erano in realt solo dei limiti momentanei, legati ad un dato grado di sviluppo della scienza e della tecnica. Nessuno scienziato pu oggi seriamente dubitare del fatto che, cos come la chimica dell'Ottocento e la teoria cinetica dei gas ci hanno chiarito, a l oro tempo, le leggi della Natura al livello molecolare ed atomico; cos come la teoria dei quanta ci permette di violare la barriera della molecola e dell'atomo, che sembrava inviolabile, e di approfondire la conoscenza delle leggi della Natura al livello endomolecolare, endoatomico ed endonucleare; cos l'ulteriore sviluppo della scienza ci permetter di approfondire ulteriormente la conoscenza delle leggi della Natura al livello particellare ed endoparticellare; anche se, beninteso, come gi avvenuto per il passato, ogni nuovo approfondimento della nostra ricerca ci riveler un tipo di leggi qualitativamente diverso da quello delle leggi che reggono i livelli superiori. Cos pure le teorie della relativit speciale e generale, approfondendo e precisando la nostra nozione di spazio e di tempo fisico, la nozione di contemporaneit, la nozione di legge della natura , hanno spostato alcuni dei limiti, che potevano apparire insuperabili, alla nostra conoscenza obiettiva della realt fisica. Nella teoria della relativit, come nella teoria dei quanta, il senso in cui la scienza si sviluppa man mano che dal mondo macroscopico della nostra pi immediata esperienza essa approfondisce la sua ricerca in quello microscopico dell'atomo ed in quello ultramicroscopico degli spazi stellari quello di una progressiva eliminazione di ogni nozione di tipo antropomorfico. Cos nella teoria della relativit, quando si introduce la nozione di una ds' su di una linea di universo, ci si libera da una corrente forma di antropomorfismo nella descrizione degli eventi del mondo fisico, si giunge ad affermare, tra questi eventi, un rapporto assoluto, obiettivo, indipendente dalla particolarit dell'osservatore e dell'osservazione: assoluto proprio nel senso della sua obiettivit, della sua universale validit per qualsiasi osservatore, legato a qualsiasi sistema di riferimento. Cos nella meccanica quantistica e ondulatoria, quando in varie forme si supera la concezione delle particelle elementari, che era legata alla nozione di corpo rigido o elastico o di carica elettrica tradizionale nella fisica classica, ci si libera da analoghe concezioni di tipo antropomorfico, legate alla nostra pi immediata esperienza macroscopica, si approfondisce la. obiettivit della nostra conoscenza del mondo fisico. E lo stesso si potrebbe dire per ogni settore della ricerca fisica contemporanea, ove gi, colla nozione

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di potenziale , ci si era andati liberando dalle associazioni di tipo antropomorfico legate alla nozione di forza . Questo significa che, ad intendere i concreti risultati della moderna ricerca nel campo delle scienze fisiche, a darci una immagine coerente del mondo fisico, ad orientare giustamente il nuovo lavoro di ricerca volto ad allargare e ad approfondire tale immagine, ci occorre una teoria (una logica, una grammatica , un linguaggio ) adeguata al grado di sviluppo raggiunto dalla ricerca stessa. Una teoria (una logica, una grammatica , un linguaggio ) che ponga dei limiti alla conoscibilit del reale, che non riconosca il carattere obiettivo (materiale) delle leggi della Natura, che faccia dello spirito umano, o dello Spirito pi o meno santo, il creatore e il legislatore dell'Universo, una tale teoria, una tale logica, un tale linguaggio potevano forse ancora rappresentare un quadro adeguato allo sviluppo della scienza al tempo di Epicuro o di Liebig, quando l'atomo appariva come l'ultima particella; al tempo di Galileo e di Laplace, quando appariva impensabile una descrizione dei rapporti e dell leggi del mondo fisico, indipendente da ogni particolare sistema di riferimento; al tempo di Tolomeo o magari di Maxwell, quando si pensava che la Terra fosse il centro dell'universo, o quando la fisica aveva appena cominciato il suo processo di liberazione dalle residue concezioni antropomorfe. Ma oggi, ai nostri giorni, chi non voglia rinunziare ad una immagine coerente del mondo fisico, chi non voglia chiudere le porte o sviare il cammino all'ulteriore sviluppo della ricerca scientifica, ha bisogno di un'altra teoria, di un'altra logica, di un altro linguaggio, capace di esprimere quel che la scienza ha gi conquistato, di orientarla a nuove conquiste. In secondo luogo, quando si consideri come la teoria della relativit e la teoria dei quanta siano pervenute ad assicurarci questo approfondimento dell'obiettivit della nostra conoscenza, e ad aprircene nuovi infiniti orizzonti, contribuendo in maniera decisiva a liberare la fisica da residue concezioni di tipo antropomorfico; quando si consideri, dicevamo, come le due teorie suddette siano pervenute a questo risultato, non pu sfuggirci che, ancora una volta, e la teoria della relativit e la teoria dei quanta hanno imposto alla nostra attenzione, con la forza dei fatti, una questione di metodo e di logica (di teoria, di grammatica , di linguaggio ) della scienza, che sostanzialmente identica nei due casi. Nell'un caso e nell'altro, in effetti, l'approfondimento della obiettivit della nostra conoscenza del mondo fisico si potuta realizzare e si realizza perch l'affinamento stesso degli strumenti e dei metodi di ricerca ha costretto i ricercatori a prender coscienza (una coscienza ancora non sempre chiara ed esplicita) del fatto che l'osservazione (e, pi in generale, il processo della conoscenza) un 'processo non semplicemente, teorico e contemplativo, ma sempre e necessariamente, al tempo stesso, pratico ed attivo. Dai tempi di Bacone e di Galileo, lo sviluppo della scienza ha mostrato come l'esperimento, la pratica sia il decisivo criterio della verit scientifica, dell'obiettivit della nostra conoscenza. La coscienza dell'esperimento, della pratica, come criterio decisivo della verit scientifica, si di fatto universalmente diffusa e sviluppata tra i ricercatori, specie dopo la met del '700. Ma la teoria della relativit e la teoria dei quanta impongono oggi, con la forza dei fatti, un passo in avanti, una coscienza pi avanzata; quella della pratica non solo in quanto criterio della verit scientifica, ma in quanto momento essenziale ed intrinseco al processo conoscitivo stesso. Si consideri, ad esempio, come nella teoria dei quanta s pervenuti alla formulazione del cosiddetto principio d'indeterminazione , sul quale tanto si sono sbizzarriti e si sbizzarriscono filosofi idealisti e fisici idealisteggianti o misticheggianti. Quando, dalla pi grossolana osservazione dei fenomeni del mondo macroscopico, si passati allo studio pi preciso del mondo fisico al livello atomico e nucleare, si stati costretti a prendere in considerazione il fatto che l'osservazione di un oggetto o di un fenomeno qualsiasi (ad esempio, di una particella elementare) non mai e non pu essere un processo, nel quale l'osservatore 63

assuma una parte puramente passiva, ricettiva, contemplativa; ma comporta sempre, e necessariamente, un intervento pratico, attivo, dell'osservatore: nel caso di una particella elementare, ad esempio, l'illuminazione della particella stessa a mezzo di un raggio a piccola lunghezza d'onda. Finch si operava su scala ed al livello macroscopico, con metodi di ricerca pi approssimativi e grossolani, di questa inevitabile azione dell'osservatore sull'oggetto si poteva non tener conto; ma al livello atomico e subatomico, di questo intervento pratico dell'osservatore sull'oggetto, intrinseco al processo stesso dell'osservazione, si stati costretti a tener conto, perch esso induce apprezzabili modifiche nell'oggetto medesimo. Dei pretesi limiti obiettivi, assoluti , che il cosiddetto principio d'indeterminazione porrebbe alla conoscibilit del mondo atomico e delle sue leggi, avremo occasione di parlare altrove; quanto gi sopra abbiamo detto della teoria, della logica, della grammatica , che sola pu permetterci di intendere la scienza nuova, fin d'ora comunque ci mostra quanto errino dal vero coloro che interpretano il cosiddetto principio d'indeterminazione come un limite insuperabile all'approfondimento della nostra conoscenza del mondo fisico oltre il livello atomico; e come proprio essi, con questa loro interpretazione, inadeguata ai nuovi risultati ed al nuovo metodo della scienza, si precludano la via a questo approfondimento della scienza stessa. Lungi dal prci dinnanzi a dei limiti obiettivi per la conoscenza del mondo fisico, il cosiddetto principio d'indeterminazione sposta enormemente in avanti quei limiti che tradizionalmente erano considerati come fissi ed insuperabili; precisa la nostra conoscenza obiettiva del reale, costringendo il ricercatore a prender coscienza del fatto che il processo di approfondimento della conoscenza del mondo fisico e di tutto il reale non un processo semplicemente ricettivo, contemplativo, teorico, bens un processo teorico e al tempo stesso attivo, pratico del soggetto. Proprio dal momento in cui egli prende coscienza di questo fatto, il ricercatore posto in condizione d'intendere che quella immagine della realt, che pi immediatamente gli risulta dall'esperimento, l'immagine di una realt impregnata e trasformata dal suo intervento pratico nella realt stessa. Il cosiddetto principio d'indeterminazione ci conferma, in sostanza, come, secondo la famosa espressione di Engels, il processo conoscitivo, attraverso il quale la cosa in s diviene una cosa per me , sia sempre e necessariamente un processo non solo teorico e contemplativo, ma anche pratico; ci pone in condizione di approfondire e di precisare la nostra conoscenza obiettiva del mondo fisico, precisando come e in che ordine di misura l'intervento pratico -- intrinseco al processo sperimentale e conoscitivo in genere modifichi l'oggetto stesso; e proprio attraverso tale precisazione, ci permette di stringer pi da vicino, per cos dire, la cosa in s . Considerazioni perfettamente analoghe valgono, d'altronde, per le conseguenze della teoria della relativit. Anche qui, quel che risulta da un approfondimento teorico e sperimentale delle nozioni di spazio e di tempo fisico, il fatto che non si pu prescindere, nelle operazioni di misura del continuo spaziotemporale, dall'influenza che la particolarit delle condizioni dello sperimentatore esercitano sul risultato delle operazioni stesse. Ed anche in questo campo, proprio la precisazione di questo fatto, ci permette di approfondire l'obiettivit delle nostre nozioni sul continuo spazio-temporale, liberandole da persistenti residui di concezioni antropomorfiche, risultanti dalla pi ingenua (frammentaria, soggettiva, parziale) considerazione della nostra pi immediata esperienza.

Osservazione e conoscenza.
L'errore delle deduzioni filosofiche di tipo indeterministico o scettico-relativistico, tratte dal principio d'indeterminazione o dalla teoria della relativit einsteiniana, consiste in ci che arbitrariamente il processo conoscitivo si confonde, si identifica, si esaurisce nell'osservazione sperimentale. fuori di dubbio, 64

cos, che e il principio d'indeterminazione e la teoria della relativit, precisano dei determinati limiti che, a un dato grado d sviluppo della scienza e della tecnica, si pongono alle nostre possibilit di osservazione e sperimentali. Nel secolo scorso, del pari, la ristrettezza della gamma delle lunghezze d'onda allora conosciute poneva dei determinati limiti obiettivi alla nostra possibilit di osservazione microscopica. Era vero (e resta vero ancor oggi) che, con radiazioni di quella lunghezza d'onda, era obiettivamente impossibile render visibili particelle inferiori, nel loro diametro, all'ordine di grandezza della lunghezza dell'onda impiegata ad illuminarle. Ma a parte il fatto che come ha dimostrato l'ulteriore sviluppo della scienza e della tecnica con l'invenzione del microscopio elettronico e con l'impiego dei raggi X questi limiti obiettivi posti alle nostre possibilit di osservazione non sono assoluti, ma sempre legati, appunto, ad un determinato grado di sviluppo della scienza e della tecnica; a parte questo fatto, dicevamo, sarebbe stato errato allora, ed altrettanto errato oggi, identificare e confondere i limiti posti alla nostra capacit di osservazione con quelli della nostra conoscenza. La conoscenza un processo non semplicemente individuale, ma sociale, dell 'umanit associata, che non si esaurisce affatto nell'osservazione e nell'esperimento, di cui bens l'osservazione individuale e l'esperimento costituiscono solo un momento. Il processo della conoscenza, come ricorda Lenin nel passo gi citato, non si esaurisce nella individuale contemplazione del reale e neanche nella pratica dell'intervento sperimentale, ma un processo nel quale l'uomo, l'umanit associata, dall'idea soggettiva giunge alla verit oggettiva attraverso la pratica e la tecnica (op. cit., pag. 193), attraverso una serie di astrazioni, di formulazioni, di formazione di concetti ecc. (id., pag. 176). Questo significa che i limiti che, a un dato grado di sviluppo della scienza e della tecnica, si pongono (temporaneamente, relativamente) alla nostra possibilit di conoscenza del reale, sono sempre assai pi larghi di quelli posti alla nostra capacit di osservazione e di esperimento: perch, appunto, la nostra conoscenza obiettiva del mondo non si esaurisce nell'osservazione e nell'esperimento individuale, ma il risultato di un processo sociale ben pi complesso. Cosi, ad esempio, nel secolo scorso, se vero che le nostre capacit di osservazione microscopica erano limitate ad un livello relativamente basso, le nostre capacit di conoscenza del mondo microscopico erano gi enormemente pi ampie. Delle strutture molecolari, ad esempio, che a quel grado di sviluppo della scienza e della tecnica era impossibile osservare direttamente, la conoscenza si era potuta gi allargare ed approfondire assai oltre i limiti dell'osservazione diretta, inquadrando le nostre osservazioni in proposito nel quadro pi generale dei risultati ottenuti dalla ricerca chimica, cristallografica, dalla teoria cinetica dei gas ecc. La conoscenza delle strutture molecolari superava dunque i limiti delle nostre capacit di osservazione; il fatto stesso di sapere, di prender coscienza del fatto che, con radiazioni di quella data lunghezza d'onda, impossibile osservare le strutture molecolari, rappresentava gi un allargamento ed un approfondimento della nostra conoscenza obiettiva delle strutture molecolari stesse. proprio questa conoscenza, anzi, che inquadrata nel pi generale sistema risultante dalle ricerche nel campo della cristallografia, della chimica, della teoria cinetica dei gas, dell'elettricit ecc. ci ha permesso di orientare in una direzione giusta le nostre ricerche volte a rendere possibile un'osservazione diretta delle strutture molecolari. Senza questa conoscenza se avessimo continuato, ad esempio, a perseguire un accrescimento del potere microscopico attraverso un semplice perfezionamento delle lenti, come si era fatto per il passato, noi non saremmo riusciti, come oggi chiaro per tutti, a spostare i limiti delle nostre capacit di osservazione: il che significa, appunto, che quella conoscenza aveva un valore obiettivo, accresceva effettivamente la nostra conoscenza del mondo fisico, anche se formalmente si esprimeva nell'affermazione di determinati limiti storici posti alla nostra capacit di osservazione. Questo significa, ancora una volta, che, ad intendere il metodo che lo sviluppo della scienza oggi impone alla scienza stessa, a rendere chiara ed esplicita quella nuova coscienza metodologica che necessaria ad orientare giustamente ed efficacemente le nostre ricerche, ci occorre una teoria (una logica, una 65

grammatica , un linguaggio ) adeguata al grado di sviluppo raggiunto dalla scienza. Anche nel passato, per il metodo sperimentale classico, ad esempio, avvenuto che per secoli, di fatto, i ricercatori lo abbiano applicato, senza raggiungere una esplicita coscienza della sua natura e della sua efficacia. Per millenni, certo, prima di Bacone o di Galileo, gli uomini hanno fatto degli esperimenti: ma l'efficacia piena del metodo sperimentale non ha potuto manifestarsi altro che quando i ricercatori hanno conquistato una coscienza chiara ed esplicita della sua natura. Cos avviene oggi per i nuovi problemi di metodo che lo sviluppo della scienza impone ai ricercatori. La loro piena efficacia non potrebbe manifestarsi e non si manifester, fintantoch i ricercatori non acquistino una chiara ed esplicita coscienza del fatto che non si conosce il mondo senza trasformarlo; che la pratica non solo il criterio della verit come gi il metodo sperimentale classico aveva compreso ma un momento intrinseco e necessario del processo della conoscenza, come il marxismo primo l'ha inteso; che il fatto, infine, che non si possa conoscere il mondo senza trasformarlo, non pone affatto dei limiti assoluti alla nostra possibilit di approfondimento della conoscenza obiettiva del reale, ma anzi la condizione della infinita conoscibilit della realt obiettiva da parte dell'umanit associata. Questa coscienza chiara ed esplicita del metodo, della logica, della grammatica , del linguaggio nuovo che il grado di sviluppo raggiunto dalla scienza impone alla scienza stessa, il proletariato in lotta per la sua liberazione l'ha cominciata a conquistare e ad elaborare da quando, nelle Glosse a Feuerbach , Marx scriveva che i filosofi hanno solo variamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo . Il materialismo dialettico l'ha elaborata e approfondita, non solo in base alle esigenze interne manifestatesi in questo o quel settore particolare della ricerca scientifica, ma esprimendola da tutto il complesso, dal vivo contesto dell'esperienza teorica e pratica dell'umanit in lotta. Basterebbe un documento scientifico, qual il Manifesto comunista del 1848, con la sua capacit, che appare quasi miracolosa, di percepire una realt obiettiva nelle sue prime e pi elementari manifestazioni, di precisarne gli sviluppi e le leggi di sviluppo; basterebbe un documento come il Manifesto, dicevamo, per mostrare cosa possa, oggi, una scienza che abbia conquistato, nella critica delle concezioni dell'idealismo e di quelle del materialismo metafisico, la chiara coscienza delle proprie moderne necessit metodologiche. Ma tutta la storia del movimento operaio nell'ultimo secolo, l'arricchimento grandioso della dottrina e del metodo del materialismo dialettico attraverso l'esperienza della rivoluzione proletaria e della costruzione del socialismo, compendiata e illuminata dall'apporto geniale di Lenin e di Stalin, ci confermano questa fecondit inesauribile di un metodo scientifico, adeguato al nuovo grado di sviluppo raggiunto dalla scienza e dalla lotta della classe d'avanguardia dell'umanit: e Lenin e Stalin, appunto, ci hanno presentato, in tutta la loro attivit teorica e pratica, nella loro capacit di unire strettamente teoria e pratica rivoluzionaria, nel loro metodo, nel loro stile di lavoro, il modello e l'esempio della scienza e dello scienziato nuovo, capace di spostare in avanti, di superare con l'umanit e per l'umanit tutti i limiti pesti alla conoscibilit del reale da una scienza , cristallizzata su posizioni ormai superate dal processo storico dell'umanit stessa.

Unit e differenza nel processo del reale e della conoscenza scientifica.


Abbiamo gi detto che non intendiamo qui, in questo rapporto di apertura del dibattito, entrare nel merito dei singoli problemi che lo sviluppo della ricerca scientifica pone nei vari settori particolari. Gli esempi concreti che abbiamo citato son valsi per noi a titolo di semplice esemplificazione tipica della cosiddetta crisi della scienza e del suo effettivo significato. N tanto meno potremmo qui pretendere di esaurire l'esposizione dell'apporto che il materialismo dialettico arreca alla scienza, dandole la coscienza chiara del metodo e della logica nuova, adeguata al suo nuovo grado di sviluppo. A tal fine sarebbe necessario, se non altro, procedere ad una esposizione sommaria delle leggi fondamentali del materialismo dialettico, ci che sarebbe evidentemente impossibile in questo scorcio del mio rapporto. Nei dibattiti sui singoli settori della 66

ricerca scientifica, avremo occasione di tornare pi ordinatamente e pi specificamente sull'argomento. Ma non vorrei chiudere questo mio rapporto di apertura dei dibattiti senza aver attirato la vostra attenzione su di un altro aspetto generale e fondamentale della cosiddetta crisi della scienza che la dottrina e il metodo del materialismo dialettico ci chiariscono, illuminandolo di una luce particolarmente viva. facile rilevare come, ai giorni nostri, la scienza borghese sia divisa in due campi contrastanti, per quanto riguarda le tendenze ed i tentativi nella elaborazione di un'immagine coerente del mondo. In un campo ritroviamo scienziati come Planck, ad esempio, che tendono a sottolineare come obiettivo della ricerca scientifica la elaborazione di un'immagine unitaria del mondo; e tutta la loro ricerca orientata nel senso della riduzione delle leggi di tipo statistico e irreversibile, ad esempio, a leggi di tipo meccanicistico e reversibile. Cos pure si manifesta, in questo campo, la tendenza a ridurre le leggi normative della realt ad un dato livello della ricerca (ad esempio al livello cellulare o molecolare), ad espressione di leggi che vigono ad un livello inferiore (ad esempio, rispettivamente, al livello molecolare o submolecolare). In questo campo si tende, insomma, a sottolineare il momento dell'unit del reale, offuscando il momento della differenza, esaurendo ogni differenza in una gradualit puramente quantitativa, scevra di distinzioni e di salti qualitativi. Nell'altro campo, di cui uno dei rappresentanti pi tipici Heisenberg, si nega per contro addirittura la possibilit di raggiungere un'immagine ed una concezione unitaria del reale. I vari livelli della nostra ricerca scientifica caratterizzerebbero, insomma, mondi frammentari e incomunicabili, retto ciascuno da proprie leggi, senza riscontro negli altri: sicch sarebbe vano ogni tentativo di passare, putacaso, dal mondo o dal livello della ricerca microfisica a quello della ricerca macrofisica, o da quello della chimica a quello della biologia, o da questo, ancora, a quello dell'esperienza psicologica. Le ricerche, in questo campo, sono semmai rivolte a ridurre ogni legge di tipo meccanico e reversibile a legge di tipo statistico e irreversibile; si tende, insomma, a sottolineare il momento della differenza del reale, offuscando quello della sua unit. Abbiamo gi mostrato, sul principio di questo rapporto, come una tale impostazione ed un tale orientamento della ricerca scientifica, con la sua rinuncia aprioristica alla elaborazione di una immagine unitaria del mondo, con l'adattamento passivo alla frammentariet della esperienza individuale, significhi di fatto una rinuncia alla scienza, intesa nel senso proprio della parola; che appunto quello di conoscenza coerente, unitaria, obiettiva (universalmente valida) del reale. Non a caso quegli scienziati e quei filosofi che militano in questo campo sono quelli stessi, appunto, che generalmente traggono, dalle aporie e dalla crisi della scienza contemporanea, deduzioni di tipo idealistico o misticheggiante, tendenti in una forma o nell'altra alla effettiva negazione del valore gnoseologico della scienza stessa. Ma quel che qui particolarmente ci interessa di sottolineare, la stretta correlazione che di fatto esiste fra queste tendenze idealisteggianti e misticheggianti, negatrici del valore conoscitivo della scienza, e della possibilit di una conoscenza unitaria e obiettiva del reale, e le tendenze positivisteggianti, empiriocriticistiche, materialistiche ingenue o metafisiche, che pur possono apparire, di primo acchito, esaltatrici del valore conoscitivo della scienza e pretendono condurci ad una conoscenza obiettiva e unitaria del reale. La realt che, nell'uno e nell'altro campo, non si giunti ad intendere quel che tutto lo sviluppo della scienza e della pratica umana associata ogni giorno ci conferma; non si giunti ad intendere e non pu essere inteso dalla scienza borghese che resta necessariamente una scienza di tipo ideologico tutto il valore e la pregnanza gnoseologica di quella fondamentale conquista della scienza moderna che Engels ha compendiato ed espresso nell'affermazione che l'unit del mondo nella sua materialit . La cosiddetta crisi della scienza contemporanea, tutte le sue aporie, hanno la loro radice logica pi profonda nell'incomprensione di questa fondamentale verit che esprime una precisa esigenza 67

metodologica della scienza moderna; e quando anche si voglia perseguire, nel singolo ricercatore, il processo psicologico attraverso il quale, dal materialismo ingenuo dello specialista , egli pi sovente vien trascinato, oggi, sulle posizioni dell'idealismo misticheggiante, facile constatare tutta l'importanza che, in questo processo, assume l'incapacit del materialismo ingenuo e meccanicistico a risolvere le aporie della scienza contemporanea: contro le quali e dalle quali la spontaneit del mondo borghese porta lo scienziato a rifugiarsi come il selvaggio o il primitivo, quando si trova di fronte a fenomeni inesplicabili nelle posizioni dell'idealismo misticheggiante, con una effettiva rinuncia alla scienza e ad una concezione unitaria del mondo. Cosa significa, dal punto di vista che qui pi immediatamente ci interessa, l'espressione di Engels che l'unit del mondo nella sua materialit ? Di contro alle tendenze idealisteggianti, tendenti a frammentare la immagine del reale in mondi incomunicabili ed a negare cos, di fatto, il valore conoscitivo della scienza e la sua stessa possibilit di ulteriore sviluppo, l'espressione di Engels ci dice con tutta la scienza moderna che la possibilit di una conoscenza scientifica, la possibilit di approfondire, ad ogni dato grado di sviluppo della scienza, una nostra concezione unitaria, coerente, obiettiva del mondo, ha il suo fondamento nella materialit di questo mondo, nel fatto cio che esso esiste all'infuori della nostra coscienza e della nostra Pratica, in una infinit di nessi, di cui la nostra coscienza e la nostra pratica stesse non sono che un elemento: sicch quella parte della realt, che di volta in volta presente alla nostra coscienza ed oggetto della nostra pratica (il pensato, il conosciuto, il fatto), la nostra coscienza e la nostra pratica stessa (il conoscente, l'agente, il soggetto), non possono essere concepiti come astratti o come separati da una muraglia cinese da quella parte del mondo che non presente alla nostra esperienza teorica e pratica (la cosa in s ), ma sono ad essa legati da quell'infinit di nessi in cui si esprime, appunto, la materiale unit del reale. E questo significa che nessuna momentanea, transitoria limitazione della nostra capacit di cogliere una data serie di tali nessi materiali, obiettivi, deve indurci a contrapporre metafisicamente un inconoscibile al conosciuto , una cosa in s al a fenomeno , o a frammentare la nostra immagine del reale in mondi incomunicabili.

Meccanicismo o dialettica.
Cos pure, di fronte alle impostazioni del materialismo ingenuo o metafisico o meccanicistico, tendenti a ridurre la infinita variet dei nessi del reale a una variet puramente quantitativa, senza differenze qualitative e senza salti , tendenti ad offuscare, in una grigia ed immobile unit del reale, il momento non meno essenziale della sua differenza, l'espressione di Engels ci dice che quella infinit di nessi, in cui la materiale unit del reale si risolve, inconcepibile in una grigia e indifferenziata immobilit, ma pu essere intesa solo come movimento, e come variet di movimenti, non riducibili al semplice movimento meccanico: sicch le differenze quantitative si traducono, per salti discontinui, in differenze qualitative, e secondo l'espressione famosa di Hegel, ripresa da Engels la quantit si trasforma in qualit . facile vedere come la concezione dialettica dei rapporti tra quantit e qualit, tra continuo e discontinuo, tra unit e differenza del reale, che la logica (la grammatica , il linguaggio ) nuova del marxismo, sia quella stessa che esprime la pi chiara ed esplicita coscienza delle esigenze metodologiche imposte dai pi recenti sviluppi della ricerca scientifica. Avremo occasione di mostrare, nei dibattiti speciali per i singoli settori, come solo una tale logica, un tale metodo dialettico, possa permettere oggi alla ricerca scientifica di intendere appieno il valore dei risultati gi da essa conseguiti e di orientare in una direzione giusta i propri ulteriori sviluppi. Ma prima di precisare, nei dibattiti speciali, questa efficacia risolutiva del materialismo dialettico nei confronti delle pretese aporie della scienza contemporanea, permettetemi ancora di chiarire, 68

in questo rapporto di apertura, un punto di fondamentale e generale importanza, sul quale mi sembra necessario attirare particolarmente la vostra attenzione. In che consiste l'errore, la limitatezza, la deficienza del Vecchio materialismo, ingenuo o meccanicistico? Che rapporto intercorre tra la sua caratteristica meccanicistica e la sua caratteristica metafisica, antidialettica? Anche a queste domande cercheremo di rispondere non in una forma semplicemente ideologica, per mostrare chi ha ragione e chi ha torto , ma in forma storica, per intendere che significhi, quale grado di sviluppo della conoscenza, cosa esprima la impostazione che il materialismo meccanicistico d ai problemi della ricerca scientifica. Il materialismo meccanicistico, in effetti, si affermato ed ha corrisposto ad una determinata fase di sviluppo della scienza, in cui -- attorno al XVII e XVIII secolo -- l'impetuoso sviluppo della scienza e poi dell'industria meccanica ha fatto di questa scienza e di questa industria i settori di punta pi avanzati ed i centri propulsori dello sviluppo della teoria e della pratica umana associata. La scienza della meccanica ha reso possibile, a suo tempo, questo balzo in avanti nella padronanza teorica e pratica dell'uomo sulla natura perch, in luogo di tendere a questa padronanza come avevano fatto la mistica e la magia medievale attraverso l'astratta aspirazione ad una intuizione immediata e globale della realt, pi modestamente tent di avvicinarsi alla realt attraverso un procedimento analitico, isolando cos ed astraendo, dagli infiniti nessi del reale, quei dati, limitati nessi, estremamente semplici, che pi direttamente interessavano a determinati fini pratici. proprio questa estrema limitatezza e semplicit dei nessi presi in considerazione, ad astrazione da tutti gli altri, che ha permesso alla meccanica, sin dall'inizio, un largo ed efficace impiego dello strumento matematico, e che le ha consentito, nei confronti delle altre scienze, i pi precoci e rapidi successi. Da un punto di vista storico, di contro alle pretese della mistica e delle magia medievale ad una intuizione immediata, globale della realt, lo sviluppo della meccanica classica ha segnato, pi ancora che un enorme balzo in avanti, la via a tutte le scienze. Esso ha dimostrato, con l'efficacia dei suoi successi, che la via alla padronanza teorica e pratica dell'uomo non quella delle immediate intuizioni mistiche o quella delle operazioni magiche, tendenti ad un globale dominio sulla natura, bens quella di un concreto processo conoscitivo, che osservazione e sperimento, analisi e sintesi, induzione e deduzione, che si sviluppa attraverso astrazioni e formulazioni di leggi ecc. Ma quelle stesse, che sono state le condizioni del precoce successo e dell'importanza storica che la meccanica classica ha assunto come antesignana della scienza moderna l'estrema semplicit e talora l'arbitrariet antropomorfica nella scelta dei nessi ch'essa prende in considerazione -- rappresentano anche la sua limitazione, esprimono appunto la relativa arbitrariet di quella particolare sezione del reale che la meccanica studia. Si consideri, ad esempio, la nozione di corpo rigido che una nozione fondamentale della meccanica classica. chiara l'origine, tutta e immediatamente antropomorfica, di tale nozione, corrente nella nostra pratica quotidiana. Abbiamo bisogno di panche che non si pieghino sotto il nostro peso, di spade che non si incurvino quando sferriamo il colpo, di bielle che non si torcano, e cos via. Gi la nozione, ancor pi semplice, di corpo solido ha, d'altronde, un'origine analoga. Ma cosa sono, appunto, il corpo solido o il corpo rigido, che la meccanica classica considera? Che sono questi oggetti, con limiti perfettamente definiti e staccati da tutto il contesto dei nessi universali, se non delle sezioni del reale, la cui estrema sottigliezza 69

ed arbitrariet sono in rapporto col loro carattere immediatamente antropomorfico? Che m'induce, nella cinematica, a considerare questa sfera rigida fuori di ogni suo altro nesso fisico, come un corpo ed una realt a s, se non il mio interesse tutto antropomorfico alla balistica? Nel materialismo meccanicistico, questa -limitatezza tutta antropomorfica della meccanica classica viene eretta a sistema e preconizzata come canone di una scienza che ha ormai cominciato a liberarsi decisamente dalle sue limitazioni antropomorfiche. Per questo il materialismo ingenuo ed il materialismo meccanicistico che non sanno andar oltre i limiti della nostra pi immediata esperienza quotidiana -sono incapaci d'intendere che il reale infinit di nessi, e che ogni oggetto particolare non pu essere inteso fuori del nesso concreto che lo lega agli altri oggetti, fuori del suo movimento. Per questo il materialismo meccanicistico ancor fermo alla nozione antropomorficamente arbitraria di corpo solido , impenetrabile, a contorni perfettamente definiti ecc. incapace di intendere come un oggetto possa essere se stesso e un altro, possa cio muoversi, trasformarsi, scambiare addirittura la sua individualit con quella di un altro. Nel nostro dibattito sulle scienze fisiche, avremo occasione di vedere come molte delle aporie della fisica quantistica derivino proprio da questa incapacit, persistente anche tra quei ricercatori che inclinano verso le impostazioni idealisteggianti, di liberarsi dalla logica caratteristica del materialismo meccanicistico, ancora dominante nella scienza borghese, per quanto riguarda almeno l'atteggiamento di fronte alla concreta e particolare ricerca scientifica. Al persistente dominio di questa logica legata, d'altronde, la tendenza di taluni scienziati a costruire un'immagine del mondo che trovi la sua unit e la sua coerenza nella pura e semplice riduzione di ogni forma di movimento e di legge della natura a movimento ed a legge di tipo meccanico. Per il materialismo meccanicistico che ignora la dialettica, che restato alla logica del corpo solido , la unit del mondo presuppone l'offuscamento della sua differenza. Unit e differenza, continuo e discontinuo, per il materialismo meccanicistico sono inconciliabili. La sua parola : o l'uno o l'altro. Tutta la scienza moderna, per contro, non pu essere intesa se non s'intende, con la logica del materialismo dialettico, che i contrari, unit e differenza, continuo e discontinuo, assoluto e relativo, sono inseparabili: che l'unit del mondo, in particolare, non concepibile se non nella sua differenza, nel suo movimento, nei salti qualitativi, discontinui, che interrompono lo sviluppo graduale, quantitativo, quando la quantit si trasforma in qualit. Non occorre qui ricordare gli esempi caratteristici che la teoria dei quanta in fisica, e la teoria delle mutazioni in biologia, dnno del valore obiettivo della logica del materialismo dialettico. L'esemplificazione potrebbe allargarsi a volont: o, pi esattamente, nulla dello sviluppo della scienza contemporanea pu essere inteso nel suo significato pi profondo se non grazie a questa logica, a questa grammatica , a questo linguaggio nuovo del marxismo. Cos anche per il rapporto che intercorre fra l'unit del reale ( l'unit del reale nella sua materialit ) e la differenza qualitativa delle leggi che esprimono la sua norma ai diversi livelli della ricerca scientifica.

Dialettica del pensiero e dialettica del reale.


In che consiste, che significa questa diversit dei livelli ai quali la ricerca scientifica si sviluppa? Qual il significato della diversit qualitativa delle leggi che ci appaiono come norma del reale e del suo sviluppo ai vari livelli della nostra ricerca? La diversit delle leggi che reggono lo sviluppo del reale al livello subatomico, atomico, molecolare, cellulare, psicologico, sociale, puramente soggettiva deriva cio semplicemente dal modo in cui l'uomo conosce la realt ovvero ha un valore obiettivo, risponde ad una diversit obiettiva, indipendente dal modo particolare in cui l'uomo prende coscienza della realt? In altri termini: i salti dialettici, la discontinuit, la quantit che si trasforma in qualit , l'unit dei contrari o 70

pi in generale la dialettica e lo sviluppo dialettico, sono una caratteristica obiettiva dello sviluppo del reale (ivi compresa la nostra coscienza), ovvero risultano solo dal modo particolare in cui noi prendiamo coscienza di questa realt, sono una caratteristica della sola coscienza, del solo pensiero? Abbiamo gi detto come, della realt obiettiva, l'uomo non possa prender coscienza, non possa conquistare una conoscenza obiettiva, attraverso un'intuizione immediata e globale, ma solo attraverso un concreto processo conoscitivo; che fatto di osservazioni e di sperimenti, di induzione e di deduzione, di astrazione e di formazione di concetti ecc. Ogni astrazione pu considerarsi come una particolare sezione (prendiamo questo concetto nel senso in cui esso viene usato nella geometria) del reale, in cui si astrae da tutta quella parte, da tutti quei nessi del reale che non si trovano sul piano, sul livello al quale si opera la sezione. Pu una tale sezione (una tale astrazione) darci una conoscenza obiettiva del reale? chiaro che una sola sezione, a s presa, non pu darci che una conoscenza parziale del reale, in rapporto con quel determinato piano secondo il quale la sezione vien fatta: cos come la sezione di un cilindro, ad esempio, fatta secondo un piano perpendicolare al suo asse, pu solo dirci qualcosa del contorno del cilindro stesso, ma non del suo volume. Altre sezioni sono necessarie, se vogliamo approfondire la nostra conoscenza obiettiva del cilindro, se vogliamo dar ragione di tutte le sue propriet: ed facile vedere (restando sul terreno della geometria elementare) che le sezioni, capaci di darci la conoscenza obiettiva e totale del cilindro nella forma pi semplice e col minor numero di dati, non sono quelle che si eseguono secondo piani arbitrariamente scelti, bens quelle operate secondo piani caratteristici, rispondenti alla natura (nel senso etimologico di generazione), alla storia del cilindro stesso. Quando si sappia, cos, che il cilindro generato dalla rotazione di un rettangolo attorno ad uno dei suoi assi, una sola sezione, operata secondo un piano contenente tale asse, sar sufficiente a darci ragione di tutti i dati geometrici relativi al cilindro stesso. Tutta la scienza moderna, nel suo sforzo di liberazione dai residui di tradizionali concezioni antropomorfiche, si sviluppa appunto nel senso di un'eliminazione progressiva dell'arbitrariet delle sezioni, delle astrazioni che essa opera ai fini dell'approfondimento della conoscenza del reale. Nelle sue origini, questa arbitrariet appariva chiaramente nella sua immediata dipendenza da concezioni antropomorfiche ed antropocentristiche: la classifica delle specie animali o vegetali veniva cos operata non in base a criteri intrinseci alle specie stesse ed alla loro evoluzione storica, bens in rapporto con la loro utilit o dannosit per l'uomo; e lo stesso si dica per gli elementi chimici, antropocentristicamente individuati nella terra, nell'acqua, nell'aria, nel fuoco. Ma ancora nella meccanica classica, nella chimica prima di Mendelejev, questa antropocentristica arbitrariet nella scelta delle sezioni, delle astrazioni secondo le quali si approfondiva la conoscenza del reale, appariva con notevole rilievo. La classifica e la ripartizione stessa dei compiti di ricerca fra le varie scienze appariva motivata non tanto da dati intrinseci alle scienze stesse, dalla genesi e dallo sviluppo storico dell'oggetto, quanto dal suo vario rapporto con la pi immediata ed ingenua pratica umana. Solo con la scoperta della cellula, con la teoria dell'evoluzione e col sistema periodico degli elementi, l'avvio decisivo dato alla possibilit di una classifica non pi antropocentristica ed arbitraria, ma genetica, storica, delle scienze. singole: le cui astrazioni non si operano pi secondo piani arbitrari, in rapporto solo con particolari obiettivi della pratica umana, bens lungo la linea dello sviluppo genetico e storico, intrinseco alla realt stessa. Il materialismo dialettico ha rappresentato, gi a mezzo il secolo scorso, la sintesi e il coronamento geniale di questo avvio nuovo della ricerca scientifica, il suo potenziamento, la sua estensione alle scienze economiche e sociali. Il materialismo dialettico c'insegna, appunto, a considerare la realt, ogni singolo oggetto non nella sua arbitraria immobilit e nel suo arbitrario isolamento, bens nel suo nesso, nel suo 71

movimento, nella sua genesi e nel suo sviluppo storico. Di contro all'idealismo hegeliano che, pur nelle sue geniali intuizioni, aveva fissato la natura nel quadro immobile delle categorie, riservando allo Spirito e all'Idea il privilegio del movimento e dello sviluppo storico, Marx ed Engels pongono in rilievo, chiariscono il senso della storicit della natura: illuminano cos la via ad una classifica non pi arbitraria ed antropocentristica, ma genetica e storica delle scienze; ad una scelta non pi arbitraria ed antropocentristica, ma genetica e storica del tipo di sezioni (di astrazioni) che esse operano nella realt ai fini dell'approfondimento della sua conoscenza obiettiva. Lenin ha particolarmente sottolineato, nei suoi Quaderni filosofici (pag. 93, ediz. citata) questo carattere non arbitrario, bens genetico, storico (intrinseco, coessenziale all'oggetto stesso) che l'astrazione scientifica deve avere, se deve portare ad un effettivo approfondimento della nostra conoscenza obiettiva del reale. E tutta la scienza moderna, nel suo sviluppo, decisamente (se pur non sempre ancora con una coscienza chiara ed esplicita) si orienta in questo senso. Quando la meccanica classica- studiava la realt fisica al livello macroscopico della nostra esperienza e della nostra pratica quotidiana, ad un tale livello non corrispondeva nessuna realt intrinseca all'oggetto stesso; l'oggetto della meccanica classica assumeva un significato solo in rapporto, appunto, con la pi immediata ed ingenua pratica umana, con le limitazioni percettive dei nostri sensi. La sezione della realt che essa operava era in gran parte arbitraria, ad essa non corrispondeva un aggruppamento storico di elementi, intrinseco alla realt stessa. Quando noi oggi, per contro, parliamo di uno sviluppo delle nostre ricerche a un livello nucleare o atomico o molecolare o cellulare o psicologico o sociale, e cos via, ci riferiamo non gi a sezioni arbitrarie della realt, non gi ad arbitrarie astrazioni che siano solo in rapporto con la nostra pratica e con la nostra esperienza umana, ma di astrazioni alle quali corrisponde un raggruppamento storico di elementi del reale, obiettivamente constatabile. Un nucleo atomico, un atomo, una molecola, una cellula, un organismo vivente, un uomo pensante e operante, una societ 'umana, sono a differenza dagli elementi dei filosofi greci o dalle specie di Linneo o anche, almeno in parte, dal solido della meccanica classica degli aggregati di elementi del reale che non sono tali solo per me, ma sono tali in s e per s, in quanto i nessi particolari che li uniscono presentano una continuit ed uno sviluppo storico. Questo non significa, beninteso, che l'uomo possa conoscere la realt all'infuori di un processo, di cui la pratica umana un momento essenziale; ma proprio il fatto di aver preso coscienza di questo carattere non solo teorico, ma teorico e pratico, del processo conoscitivo, ci permette oggi di approfondire la conoscenza dell'oggetto non quale esso si presenta in rapporto con una particolare pratica umana, ma cos come esso in s, nei suoi intrinseci nessi. Sicch, quando noi oggi parliamo di conoscenza e di leggi della realt, qualitativamente diverse ai differenti livelli ai quali la scienza approfondisce la conoscenza obiettiva della realt; quando parliamo di quantit che si trasforma in qualit , di salti dialettici che interrompono, ad un determinato grado, la continuit dello sviluppo puramente quantitativo; quando parliamo di unit dei contrari, e cos via, non ci riferiamo e non possiamo riferirci semplicemente a processi del nostro pensiero o a particolarit del modo, della forma in cui noi prendiamo coscienza del reale, ma possiamo e dobbiamo riferirci ad una dialettica obiettiva che non solo del nostro pensiero, ma di tutto il reale; che del nostro pensiero, anzi, perch di tutto il reale.

Il compito della scienza nuova.


Io penso che sia necessario, ai fini del nostro dibattito, impostare qui il problema dell'atteggiamento del marxismo di fronte alla cosiddetta crisi della scienza nella forma storica, da me prescelta, piuttosto che in quella della polemica di tipo ideologico. Alcuni spunti di una tale polemica non potevano, tuttavia, mancare nella mia esposizione, per le necessit stesse di una sua chiarezza. Questi spunti troveranno il loro sviluppo nel corso dei dibattiti particolari, nel corso dei quali, ne son certo, la fecondit scientifica del 72

metodo del materialismo dialettico vi apparir con evidenza ben maggiore, ad opera di specialisti ben pi valorosi di me. Ho cercato di mostrare, in questo mio rapporto introduttivo, come il materialismo dialettico rappresenti un salto qualitativo, una novit assoluta nello sviluppo della scienza e nel modo stesso d'intendere questo sviluppo e il valore della scienza. Ho cercato di mostrare per ora solo con considerazioni di carattere generale e storico e con una sommaria esemplificazione che ha valore puramente indicativo come il materialismo dialettico esprima il metodo, la logica (il linguaggio , la grammatica ) nuova, che nasce dallo sviluppo stesso della scienza moderna, e che solo pertanto adeguato come quadro del suo sviluppo ulteriore, come faro di orientamento per un giusto e pienamente efficace indirizzo delle nuove ricerche. Al di fuori di questo quadro, di questa logica, di questo linguaggio i soli capaci, oggi, di contenere e di esprimere l'enorme accumulazione di materiali e di forze produttive della scienza vi per la scienza solo la via delle insolubili aporie, la via della crisi, la via che conduce, di fatto, alla rinuncia alla scienza, al fideismo, ai santini con le Madonne che muovono gli occhi. Alla scienza, come teoria e come forza produttiva, il materialismo dialettico addita per contro una via non facile e piana, certo, una via di lotte e di battaglie; una via che si snoda non solo per i campi ardui della ricerca, ma per quelli sconvolti dalle lotte sociali del nostro tempo. Su questi campi, lo scienziato trova il popolo, quel popolo che le classi dominanti della nostra societ escludono dal privilegio e dall'esperienza della scienza; e questo legame, questa fusione nel popolo, nella sua lotta, significa per lo scienziato marxista non solo una conquista politica e morale, ma una conquista gnoseologica. una conquista, la conquista gnoseologica della scienza nuova, che da ideologia, appunto, vuol divenire scienza nel pieno senso della parola; non unilaterale e parziale, ma unitaria e coerente coscienza sociale: una scienza d'avanguardia che non si separa dal popolo, che apre largamente le sue porte al popolo, che al servizio del popolo; una scienza che valuta giustamente le proprie antiche e gloriose tradizioni, che le sa sviluppare, che sa rompere con esse quando esse divengono un ostacolo al suo progresso, per creare delle tradizioni nuove, d'avanguardia.

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Gramsci e la scienza davanguardia


.perch conoscitor e fabbro io sia. (Campanella: La Cantina, I)

Dalla rivista Societ, genn.-febbr. 1948

La cultura delle classi dominanti si affaccia in Italia all'alba del nuovo secolo sotto il segno della critica. A La Critica s'intitoler non senza un'intenzione esplicitamente sottolineata nel suo manifesto programmatico la rivista che, sotto la direzione di Benedetto Croce, pi organicamente esprimer questo atteggiamento nuovo della borghesia italiana del periodo giolittiano di fronte ai problemi della cultura e della societ contemporanea, e che di questo atteggiamento diverr uno dei pi efficaci mezzi di diffusione e di affermazione nel paese. La societ italiana era appena uscita dalla crisi di fine secolo, nel corso della quale delle importanti frazioni della stessa borghesia non avevano potuto fare a meno di schierarsi accanto alle forze popolari per la difesa delle condizioni pi elementari di un moderno sviluppo della nostra societ. Dal punto di vista ideologico, cos, non meno che dal punto di vista politico, le classi dominanti vedevano ancora aggravata e complicata la scissione derivante dalla questione romana : e i pericoli di questa scissione apparivano particolarmente gravi, di fronte al grande sviluppo degli scioperi agrari, che sul principio del secolo avevano strappato alla loro passivit le masse contadine del Nord; e, poco dopo, di fronte al nuovo slancio del movimento proletario che culmina nello sciopero generale del 1904. Sul piano pi strettamente politico, l'uomo che si presenta come l'unificatore delle varie contrastanti frazioni delle classi dominanti Giovanni Giolitti; e alla sua opera fa caratteristico riscontro, sul piano ideologico, filosofico e culturale, quella di Benedetto Croce. Nell'uno e nell'altro, quello che domina il momento della conciliazione: altri esponenti, altri movimenti esprimeranno di volta in volta con maggior rilievo particolari esigenze economiche, politiche, ideologiche della borghesia, che apre ormai il ciclo della sua involuzione imperialistica: e saranno, sul terreno economico, le nuove grandi organizzazioni degli industriali e degli agrari, su quello politico i primi gruppi nazionalisti, sul piano culturale movimenti aggressivi, come quello del Regno di Corradini o come quello futurista. Cos pure, in un pi largo cerchio di interessi, nuovi aggruppamenti politici, nuove tendenze culturali, dal sindacalismo alla democrazia cristiana, dal modernismo ai movimenti della Voce e dell' Unit di Salvemini, esprimeranno in forme pi pronunciate questa o quella esigenza di una societ travagliata da nuovi profondi contrasti. In Croce sul piano ideologico, come in Giolitti sul piano politico, proprio questo contrasto che si cerca di superare e di conciliare. Per questo nell'uno, come nell'altro, raramente si potrebbe rilevare, in quel periodo, un atteggiamento aggressivo: Giolitti, come Croce, non combatte, ohib, il socialismo, ma lo supera , sia che si tratti di spuntarne gli aculei col revisionismo, sia che politicamente si irretisca nel sistema giolittiano74

riformista. La scaltrita dialettica dei distinti e lo storicismo crociano assolvono cos, sul piano ideologico, alla stessa funzione cui sul piano politico assolve la sapiente tecnica parlamentare e burocratica dello statista piemontese. E, grazie a Croce, l'unit ideologica delle classi dominanti italiane si ristabilisce non gi con una lotta, con una rivoluzione culturale, ma con una riforma lunica riforma possibile in Italia, non sul terreno della polemica, di una battaglia per la vita o per la morte di due mondi contrastanti, bens su quello ben pi tranquillante della critica . Non che, beninteso, questo sforzo di conciliazione e questa critica conciliante non siano guidati da una sempre vigile coscienza del preciso obiettivo di classe ch'esse si propongono. Quando apparir chiaro, cos, che il movimento proletario non si lascia punto convincere e castrare dal revisionismo, la conciliante ed erudita critica crociana non esiter a tramutarsi in una sentenza di morte non motivata contro il marxismo: e non colpa certo di Benedetto Croce se Giolitti prima, e il fascismo poi, non sono riusciti ad eseguire la sentenza ch'egli aveva pronunciata. Ma qui si trattava, appunto, del nemico di classe ed era inevitabile che gli accorgimenti critici dovessero cedere a un certo momento il passo ad altre pi violente forme di lotta. L dove invece la critica di Croce pu sviluppare tutta la sua efficacia, nel processo di revisione non gi del marxismo (che teoria ed arma di un'altra classe), bens della stessa ideologia borghese che deve essere unificata, riformata per adeguarsi alle nuove condizioni della societ italiana, e per poter allargare la sua influenza egemonica su pi larghi strati della popolazione. Sul terreno filosofico, in particolare, la critica crociana ottiene dei risultati notevoli nel senso di una riforma e di una unificazione dell'ideologia delle classi dominanti. Nel corso del Risorgimento e nei primi decenni dell'Unit, la parte pi avanzata della borghesia italiana era venuta elaborando un suo credo filosofico e pratico che si era contrapposto a quello religioso tradizionale che le vecchie classi dominanti erano riuscite ad affermare nel paese sin dall'epoca del Concilio tridentino. Non che la borghesia italiana sia mai giunta, anche nel periodo del suo maggiore slancio progressivo, a quel materialismo di cui la borghesia inglese, e pi quella francese, avevano saputo farsi un'arma potente nell'epoca del loro primo slancio rivoluzionario. Fin dall'inizio, in Italia, sul piano ideologico come su quello politico e sociale, anche gli strati pi attivi della borghesia si pongono sul terreno del compromesso con il vecchio mondo; e la loro pi congeniale filosofia il positivismo, una specie di abborracciato materialismo ad usum Delphini: dove il Delfino, l'erede al trono, una nuova classe, appunto, di uomini d'affari, non troppo esigenti in materia di rigore filosofico di un sistema, ma piuttosto attenti ai vantaggi pratici di un credo, che mentre consente gli sviluppi delle scienze e della tecnica, non mette in eccessivo pericolo le eterne verit , cos utili ai fini della conservazione sociale e dell'ordine pubblico. Contro il positivismo e contro la cultura positivista, pertanto, doveva appuntarsi in primo luogo la critica crociana. Non sarebbe stato possibile, invero, in un'Italia che nella lotta contro il potere temporale aveva appena compiuta la sua unit politica, realizzare una sia pur relativa unit ideologica delle classi dominanti sul terreno del papismo tridentino e del Sillabo; n, d'altronde, ideologie cos apertamente retrive avrebbero consentito, ormai, il necessario allargamento dell'egemonia borghese su pi larghi strati della popolazione. Ma tanto meno il positivismo, con quel suo credo bonario e popolaresco, poteva ormai pi soddisfare le classi dominanti: che, gi minacciate nel loro pur recente dominio e avviate ormai sul sentiero di guerra dell'imperialismo, cominciavano ad aver paura della scienza e della verit, di quella teoria positivistica del progresso che troppe porte lasciava ancora aperte alle aspirazioni rivoluzionarie delle masse. Quel che occorreva alle classi dominanti, per realizzare un minimo di unit ideologica, per adeguarsi alle nuove condizioni del loro dominio, era una critica, s, anche del cattolicesimo tridentino, una riaffermazione della laicit e dell'autonomia dello Stato unitario; ma era la critica, soprattutto, del positivismo e della sua teoria del progresso, una critica della scienza e della sua pretesa ad una verit che 75

non fosse solo quella della tecnica e dell'industria. Occorreva insomma, per la borghesia, un credo nuovo, riformato, che mentre un nipote degli Spaventa prendeva il posto del Papa consentisse alle persone colte di svaporare nell'Idea o nello Spirito assoluto il Dio personale del Concilio tridentino, proponendo loro dogmi critici e non troppo incredibili; ma che pur decentemente consentisse di conservare un buon gendarme a guardia dello Stato etico e un Dio per il popolo, al quale bisognava ben toglier dalla testa le fisime di un progresso storico, che non si arresti alle soglie della societ capitalistica. Contro il positivismo e la sua cultura, d'altronde, la critica crociana doveva avere un facile giuoco. Frettolosa filosofia di uomini d'affari, esso era ben lungi dall'aver elaborato in Italia la pi scaltrita metodologia di un Mach o di un Avenarius; non era mai andato, quanto a teoria filosofica, al di l delle pi elementari posizioni di un rozzo dogmatismo. Nel campo scientifico stesso, ove pure il positivismo aveva consentito, se non altro, l'affermarsi di una spontanea produzione di valori, il limitato sviluppo industriale ed agrario del paese aveva mantenuto la sua influenza in un ambito relativamente ristretto. Gl'intellettuali italiani restavano pur sempre, nella loro grande maggioranza, non gi del tipo tecnico, direttamente partecipi del processo produttivo, bens del tipo tradizionale, umanistico. Nelle cento citt italiane, ove questa piccola borghesia intellettuale, distaccata dal processo produttivo, solo nella sua formazione umanistica, appunto, trovava la ragione di una sua superiorit e di un suo prestigio sociale, Benedetto Croce doveva reclutare la fanteria leggera per la sua battaglia critica contro il positivismo; e nella tradizione umanistica stessa pi propriamente in quella idealistica della scuola napoletana per la sua critica egli trovava delle armi ben altrimenti affilate di quelle di cui non sapesse disporre la cultura positivistica. Di contro alla sciatta metodologia filosofica del positivismo, Croce inalberava la bandiera di una grande tradizione dialettica, quella degli Hegel, degli Spaventa, dei De Sanctis: che, se anche da lui accuratamente smussata di ogni punta rivoluzionaria, gli metteva pur sempre a disposizione, nel suo arsenale, le armi decisive del pensiero moderno. N alcuno vorr negare al Croce, d'altronde, la tenacia all'opera, e la capacit di organizzatore e sistematore di una cultura. Dalle cento citt d'Italia, un esercito di volontari collaborer con lui nella professione del nuovo credo: non solo con la meccanica ripetizione, ma con l'elaborazione e l'affinamento del suo simbolo, con la sua applicazione nei vari settori della cultura. Non qui il luogo di riandare tutte le fasi di questo processo storico che finisce per assicurare alla critica di Croce una posizione egemonica nella cultura italiana. Certo nella rinascita idealista , che un aspetto caratteristico della involuzione della cultura delle classi dominanti nell'epoca dell'imperialismo, l'Italia prende con Croce e poi con Gentile una posizione di punta nel campo internazionale. Basta scorrere, in una antologia di poesia italiana contemporanea, le note biografiche degli autori, per rilevare che guai l'estetica crociana abbia provocato negli Uffici del Catasto e nelle Segreterie comunali che han fornito alla nostra letteratura il maggior stuolo di poeti ermetici e calligrafi tutti, beninteso, anticontenutisti e in nessun paese come in Italia, certo, nei primi decenni del secolo, tanti pensionati e notai hanno discettato, in provincia, di dialettica dei distinti, e tanti professori di scuole medie e maestri mal pagati si sono onestamente affaticati, pur senza alcuna ambizione o speranza di cattedra universitaria, intorno ai misteri dello Spirito assoluto e dell'Atto puro. Senza parlare della storica responsabilit che sul crocianesimo ricade per la sua filiazione gentiliana, di cui Gramsci cos efficacemente illustrer la genealogia crociana, e che pi compiutamente gi esprimer le tendenze della borghesia italiana nel senso dell'imperialismo fascista.

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Critica ideologica e critica marxista.

In questo clima culturale, dominato dalla critica crociana, Antonio Gramsci si affaccia alla vita cosciente, vede porre attorno a s, nella sua stessa vita personale, i problemi caratteristici della nuova societ italiana. C' chi per questo ha creduto di riconoscere in Antonio Gramsci niente meno che un discepolo di Croce e, nella sua acuta critica della realt italiana, quasi uno sviluppo della critica crociana. Benedetto Croce stesso non sembra, in fondo, alieno da una tale situazione storica e genetica del pensiero di Gramsci. E certo che Gramsci, nella pi recente storia del movimento operaio e della cultura italiana, rappresenti anch'egli il momento della critica, nessuno vorr negare. N d'altronde nessuno vorr negare che Gramsci, cos profondamente radicato nella realt sociale e culturale del nostro paese, abbia sentito la necessit di fare i conti con quella che si presentava come l'ideologia decisiva per la cultura delle classi dominanti italiane. Proprio di qui sono stati tratti in errore quanti si son fermati a singole asserzioni di Gramsci, staccate dal loro vivo contesto; quanti non hanno saputo intendere il particolare atteggiamento che Gramsci assume nella critica di ogni ideologia, di cui egli si sforza di afferrare anzitutto l'intima dialettica nel suo significato storico; di quanti non hanno inteso che impossibile approfondire il senso dell'opera filosofica di Gramsci fuori del nesso vivo che la lega alla sua pratica di combattente proletario. ben chiaro per noi che, nell'epoca della sua involuzione imperialista, l'ideologia stessa delle classi dominanti incapace di ogni sua diretta efficacia progressiva. Ma ogni fatto culturale, beninteso, in quanto, sia pur inadeguatamente, esprime la coscienza di una data societ, capace di una sua efficacia, non foss'altro che per contraria: produce sedimenti e stratificazioni ideologiche che si presentano agli uomini nuovi come materiali della loro pratica rinnovatrice. In questo senso, nessuno sforzo mai vano, se si vuole: neppure quello dei poeti calligrafi, neppure quello di Benedetto Croce che ha offerto alla critica di Gramsci un materiale meno rozzo ed informe, seppur pi pertinacemente retrivo, di quel che non gli avrebbe potuto fornire la cultura di un Roberto Ardig, o magari di un Padre Bresciani. Gi Lenin rilevava, nelle sue note sulla dialettica, che l'idealismo , s, un fiore sterile, ma che ci non significa che esso non nasca da un nocciolo gnoseologico e che esso non cresca sull'albero, pur sempre vivo e fruttifero, della conoscenza umana, infinitamente possente e capace di oggettivit. Nessuna unilaterale deformazione o involuzione, idealistica o altra, saprebbe cos privare il pensiero umano di una sua produttivit, foss'anche negativa; n d'altronde, in una societ di classi, l'ideologia stessa di classi dominanti e retrive riesce a liberarsi dall'influsso dell'ideologia di classi nuove che prepotentemente si affacciano alla ribalta della storia. Quello che taluno ha voluto interpretare come un'eredit crociana di Gramsci, risulta, a uno studio pi serio e approfondito a parte alcune screziature nella terminologia e nel linguaggio gi facilmente comprensibili per chi tenga presente le condizioni in cui Gramsci pensava e scriveva fuori del vivo contatto con gli esempi nuovi del movimento operaio internazionale risulta, dicevamo, come la ricerca che Gramsci fa dell'influenza egemonica che il marxismo comincia ad esercitare fin sull'ideologia delle classi dominanti; e sulla deformazione, sulla castrazione che alcuni concetti fondamentali del marxismo subiscono nel tentativo di appropriazione del marxismo da parte di Croce, Gramsci ha scritto proprio alcune fra le sue pagine pi efficaci. Anche della critica crociana, cos, Gramsci ha, senza dubbio, potuto servirsi per affilare, contro di essa, le armi della sua critica: cos come gli eserciti sovietici hanno saputo affinare la loro tecnica offensiva e 77

dimostrarne la superiorit nella lotta contro la tecnica dei generali hitleriani. Ma si tratta, nell'un caso e nell'altro, di un semplice presupposto storico di una pratica rinnovatrice: che ben altro da un rapporto di eredit o di filiazione. A scuola, Gramsci non stato da Croce e dalla critica idealista, bens dalla classe operaia; alla scuola della sua esperienza e della sua pratica nazionale ed internazionale, elaborata nella critica materialista del marxismo-leninismo. Quel che distingue la critica crociana, idealistica ma, pi generalmente, la critica borghese, non esclusa quella del materialismo borghese da quella marxista, proletaria, il suo carattere ideologico. L'ideologia scriveva Engels a Mehring il 14 luglio 1893 un processo che si compie, s, coscientemente, nel cosiddetto pensatore; ma un processo che si compie con una coscienza falsa. Le forze, che effettivamente lo muovono, gli restano sconosciute, altrimenti non si tratterebbe, appunto, di un processo ideologico. Egli si figura, pertanto, forze motrici false o apparenti. Giacch si tratta di un processo del pensiero, del puro pensiero, dal proprio o da quello dei suoi predecessori egli fa derivare il suo contenuto come la sua forma. Egli lavora solo con un materiale di pensieri, che inavvertitamente egli assume come creati dal pensiero, senza riferirli a un processo pi lontano, indipendente dal pensiero stesso; e ci gli appare naturale, perch ogni operare, essendo mediato dal pensiero, nel pensiero gli appare in ultima istanza fondato . Anche la critica borghese resta, appunto, .una critica ideologica. Per il proletariato, come per la borghesia, un atteggiamento critico del pensiero nasce l dove un mutamento oggettivo intervenuto nei rapporti di produzione non consente pi alla data classe di adagiarsi negli schemi sociali e culturali del vecchio mondo. Ma le condizioni, nelle quali gli atteggiamenti critici della cultura borghese e quelli della cultura proletaria rispettivamente si sviluppano, sono profondamente diverse. Basti considerare, intanto, che, in tutte le fasi del suo sviluppo, la borghesia, ai fini stessi dell'affermazione del suo dominio di classe, non solo mantiene, ma approfondisce ed esaspera quella fondamentale divisione della societ in classi che deriva dalla separazione del lavoro intellettuale dal lavoro manuale. Ora l'illusione ideologica, la possibilit stessa di concepire il processo del pensiero come un processo astratto dall'attivit sensibile del soggetto, ha la sua prima radice, appunto, in questa fondamentale divisione del lavoro intellettuale dal lavoro manuale: che d vita ad un ceto particolare, per il quale il processo del pensiero non pi coscienza di una concreta, reale attivit sensibile, ma diviene, per cosi dire, una specializzazione professionale, con tutte le limitatezze che ogni specializzazione comporta. Sicch non solo il pensatore portato a considerare il pensiero, 'in generale, come preminente su ogni realt, ma addirittura il giurista, l'economista, il naturalista, il filosofo saranno portati ciascuno a considerare il diritto, l'economia, le scienze naturali, la filosofia come preminenti. Ma non basta. La borghesia, anche prima di divenir classe politicamente dominante, ha gi una posizione dominante nel campo dei rapporti di produzione. Pur nel suo primo slancio rivoluzionario, cos, la sua critica pone, s, il problema della conoscenza come un problema di intervento attivo, pratico, nella realt; ma essa non giunger mai a comprendere il carattere e la funzione rivoluzionaria che la pratica assume nel processo della conoscenza. Il rivoluzionarismo della borghesia sempre un rivoluzionarismo condizionato, limitato dalla sua qualit di classe sfruttatrice. Quando anche essa giunger a intravedere la funzione decisiva della pratica nel processo conoscitivo, non sapr considerare la pratica che nella sua sordida forma giudaica come scriveva Marx nelle Glosse a Feuerbach in un senso pragmatista e strettamente utilitario. Cos una sola cosa scriveva Bacone, pur in quel primo entusiastico slancio col quale la nascente borghesia veniva scoprendo la sua potenza sulla natura e sugli uomini cos una sola cosa , da questo punto di vista, 78

verit ed utilit; e molto si devono stimare le opere, pi che per il comodo ch'esse portano alla vita, perch sono la garanzia della verit. Anche per questo verso, cos, la critica della borghesia, persino nella sua pi rivoluzionaria espressione materialistica, non riesce a liberarsi dalle illusioni del processo ideologico. La pratica si concepisce, al pi, come criterio della verit. Le condizioni stesse dell'esistenza e del dominio di classe della borghesia le impediscono di cogliere il nesso reale dell'attivit pratica col processo della conoscenza. L'atomismo, caratteristico della societ mercantile, non consente alla critica borghese, anche alla pi avanzata, d'intendere come la pratica, che del processo della conoscenza il momento attivo e decisivo (e non solo il criterio), non sia la pratica, l'attivit sensibile nella sua astrattezza individuale, nella sua sordida forma giudaica , bens la pratica, l'attivit della societ umana, concepita nell'unit del suo processo storico. A consolidare ed a rendere inevitabile, infine, per la critica borghese, l'illusione ideologica, interviene quello che Marx ha cos efficacemente chiamato il feticismo mercantile. Marx ha particolarmente illustrato, nel Capitale, il caso del valore, attribuito alla merce, mentre esso esprime, in realt, un rapporto tra i produttori. Pi in generale, il feticismo caratteristico della societ mercantile capovolge, nella coscienza dei singoli, la realt dei rapporti sociali, fa apparire come oggetti reali o come rapporti tra gli oggetti quelli che sono, in realt, dei rapporti tra gli uomini. facile intendere, pertanto, quanto esso contribuisca a falsare ideologicamente, nella critica borghese, la coscienza dei nessi reali, particolarmente per quanto concerne i fenomeni storici e sociali: e non un caso che la critica borghese anche quando, nelle fasi del suo maggiore slancio rivoluzionario, giunta al materialismo si sia arrestata di fronte ad un'applicazione del metodo materialistico allo studio della societ umana, senza mai riuscire a liberarsi, in questo campo, dalle impostazioni idealistiche. Profondamente diverse sono le condizioni nelle quali sorge e matura, di contro alla ideologia, alla critica ideologica borghese, la critica proletaria, marxista. Nella realt stessa della sua esistenza e della sua lotta di classe, il proletariato viene estirpando la radice prima dell'illusione ideologica, la deformazione di un pensiero, astratto da una concreta attivit sensibile. Per la classe operaia in lotta, per i suoi pensatori sia che si tratti di pensatori espressi dal suo stesso seno, sia che si tratti di intellettuali assimilati alla sua lotta ed alla sua coscienza il processo del pensiero resta strettamente legato ad una attivit concreta, ad una lotta di ogni giorno per la conquista della condizione umana. L'intervento attivo, pratico nella realt, per ogni operaio preso singolarmente, e per la classe operaia nel suo complesso, non una questione di maggiori o minori profitti, ma una quotidiana condizione di vita. E per la classe operaia, che nelle sue condizioni di vita vede negata ogni umanit ed ogni cultura, conoscere il mondo non pu significare secondo la parola famosa di Marx che trasformarlo, non pu significare che intervenire nella realt con una prassi rivoluzionaria: che non , come per la borghesia, limitata a mutamenti di nessi giuridici o alla conquista di diritti formali, non condizionata dalla necessit del mantenimento di un dominio di classe; ma deve investire, anzi, i nessi pi profondi della realt sociale, per conquistare sulla societ di classi la propria umanit. La lotta della classe operaia diviene, attraverso un concreto processo storico, di cui si possono obiettivamente riconoscere le fasi, una lotta collettiva per la creazione di una societ umana, per la conquista di una umanit associata. nel corso di questa lotta collettiva cos diversa da quella della borghesia, caratterizzata dalla concorrenza tra i produttori che la classe operaia supera l'atomismo della societ mercantile, cos come ne supera il feticismo; e perci nel corso di questa lotta per una societ umana, per una umanit associata, la classe operaia giunge a cogliere il nesso reale del processo

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conoscitivo con la prassi umana: concepita ormai come prassi umana sociale, e non astrattamente individuale, come momento attivo e decisivo del processo stesso, e non pi solo come suo criterio. Per questo la critica marxista non pi una critica ideologica, che lavora solo sulle idee e sui fenomeni, ma una critica che oltre questi, dietro la loro cortina fumogena, ricerca i nessi reali e interviene praticamente a mutarli. Per questo noi diciamo che la critica marxista non pi una critica ideologica, ma una critica obiettiva e pratica.

Il marxismo come " salto ".

Abbiamo parlato della lotta della classe operaia per la conquista di un'umanit associata come di un concreto processo storico, di cui si possono obiettivamente seguire e riconoscere le fasi; e abbiamo accennato come, nel corso di questa lotta, la classe operaia giunga a cogliere il nesso reale del processo conoscitivo con la prassi umana, concepita oramai come prassi umana sociale, storica, e non astrattamente individuale; come momento attivo e decisivo del processo stesso, e non pi solo come suo criterio. La assoluta novit del marxismo, ci che lo contraddistingue da ogni altra forma ideologica, nella quale di volta in volta gli uomini (questi o quegli uomini, sempre) son venuti configurando la loro conoscenza del reale, sta proprio in questo nesso nuovo fra teoria e pratica associata, tra pensiero e prassi rivoluzionaria, che solo il marxismo riesce a cogliere nella sua intima dialettica. Questa novit del marxismo come filosofia di massa, come filosofia della prassi di un'umanit associata, e non pi solo come filosofia dei filosofi esplode improvvisa alla vigilia del '48, quando il proletariato sta per fare la sua prima apparizione in forza sulla scena politica europea, nelle Glosse a Feuerbach ( I filosofi hanno solo variamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo ); germoglia e si dirama per tutta l'opera dei due grandi Maestri del socialismo scientifico, si corona nella proclamazione del proletariato a erede della filosofia classica. Per questo il marxismo come giustamente ha sottolineato il comp. Zhdanov nel suo fondamentale intervento a proposito della Storia della filosofia di Aleksandrov rappresenta una assoluta novit, un salto nella storia della filosofia, e non semplicemente il prodotto di una evoluzione progressiva; ed interessante rilevare come gi Gramsci ritorni continuamente, nei suoi Quaderni del carcere, su questo medesimo concetto della assoluta novit del marxismo. Gli elementi di spinozismo, di feuerbachismo, di hegelismo, di materialismo francese ecc. scrive Gramsci non sono per nulla parti essenziali della filosofia della prassi, n questa si riduce a quelli; ma ci che pi interessa appunto il superamento delle vecchie filosofie, la nuova sintesi o gli elementi di una nuova sintesi, il nuovo modo di concepire la filosofia i cui elementi sono contenuti negli aforismi o dispersi negli scritti del fondatore della filosofia della prassi, e che appunto bisogna sceverare e sviluppare coerentemente. In sede teorica la filosofia della prassi non si confonde e non si riduce a nessuna altra filosofia; essa non solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, ma specialmente in quanto apre una strada completamente nuova, cio rinnova da cima a fondo il modo di concepire la filosofia stessa . (I) Il marxismo non si presenta, cos, come casuale elucubrazione, o come semplice elaborazione di un dato materiale ideologico da parte di uno specialista della filosofia, ma come elaborazione dell'esperienza e della pratica rivoluzionaria della classe operaia. Per questo essenziale, nel marxismo, il suo carattere di partito, 80

di dottrina non gi di questo o di quel singolo filosofo, bens del. Partito della classe operaia di questo intellettuale collettivo , come efficacemente scrive Gramsci che praticamente ne guida e teoricamente ne orienta la lotta; per questo il marxismo, come dottrina del proletariato, pone in modo assolutamente nuovo il problema dei rapporti tra filosofia e umanit. Cos come, sul terreno pi specificamente sociale e politico, il proletariato lotta per una societ senza classi, in cui sia abolito non solo ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma la fondamentale divisione tra lavoro fisico e lavoro intellettuale, cos sul terreno filosofico il marxismo lotta per una concezione del mondo che non sia pi ideologia parziale e unilaterale di specialisti del pensiero astratto, speculativo, bens per una concezione del mondo capace di divenire conquista comune dell'umanit associata, di tutta l'umanit: e la lotta del proletariato per la conquista di una societ senza classi, di una umanit associata, la sua lotta per una nuova concezione umana del mondo, per un umanesimo, per uno storicismo assoluto, non sono due lotte meccanicamente separabili: divengono, nel corso di un concreto processo storico, un'unica lotta, nella quale teoria e pratica, indissolubilmente legate, concorrono a trasformare il mondo e gli uomini, la loro concezione del inondo. Il marxismo, scrive Zhdanov, rappresenta il superamento della vecchia filosofia, privilegio di pochi eletti, di un'aristocrazia dello spirito, e l'inizio di un periodo assolutamente nuovo della storia della filosofia, che diviene arma scientifica delle masse proletarie in lotta per la loro liberazione dal capitalismo . Un'arma scientifica che sola pu assicurare una coerenza, un'unit di direzione cosciente, un'efficacia risolutiva, alla lotta del proletariato per la trasformazione del mondo, per la creazione di una umanit associata. E questa caratteristica pratica, rivoluzionaria, questa capacit espansiva del marxismo come filosofia di massa, non significano solo una conquista politica e culturale dell'umanit, segnano bens una sua fondamentale conquista gnoseologica, filosofica: politica e filosofia confluiscono, nel marxismo, in una pratica rivoluzionaria che apre la via ad una trasformazione e ad una concezione unitaria, umana del mondo: non pi frammentata nelle unilaterali elucubrazioni intellettualistiche di filosofi distaccati dalle masse, cui fa riscontro una tradizionale limitatezza particolaristica del folclore, dei singoli gruppi sociali e locali; bens unificata e coerente nella pratica di un'umanit associata. Anche per questo verso, cos, il marxismo segna una novit assoluta, un salto nella storia della filosofia: un passo decisivo in quello sviluppo storico per il quale l'umanit attraverso il superamento delle sue particolari, frammentarie esperienze acquista una coscienza sempre pi approfondita della obiettivit del reale, della sua universale validit, e sempre pi efficacemente, con la sua pratica, s'inserisce nel processo della natura.

La critica e l'autocritica nel marxismo.


Se la lotta della classe operaia contro il capitalismo, per la creazione del Partito e dello Stato proletario, per la conquista di un'umanit associata, un concreto processo storico, di cui si possono obiettivamente riconoscere e seguire le fasi, nulla sarebbe pi errato che concepire il marxismo come una dottrina o come un sistema conchiuso. Marx ed Engels, Lenin e Stalin, hanno sempre messo in guardia i loro discepoli contro ogni interpretazione dogmatica della loro dottrina: quel che contraddistingue il marxismo, anzi, proprio il suo assoluto storicismo, la sua negazione di una verit assoluta metafisicamente concepita fuori del suo nesso con la verit storica. Di contro al soggettivismo e alla sofistica scrive Lenin (II) per i quali il relativo solo relativo, ed esclude l'assoluto , per la dialettica oggettiva nel relativo vi l'assoluto . Questo significa che per il marxismo lo storicismo, la critica, non rappresentano come avviene per lo storicismo idealistico, borghese un atteggiamento momentaneo, transitorio, che tende sempre a 81

cristallizzarsi in un nuovo dogmatismo, in un nuovo sistema che si pretende definitivo (Hegel, Croce); di fronte allo storicismo relativo, momentaneo delle ideologie borghesi, rivolto solo verso il passato, lo storicismo marxista uno storicismo assoluto, rivolto verso il passato e verso l'avvenire, per il quale la critica e l'autocritica dell'esperienza delle masse rappresentano non un momentaneo atteggiamento polemico, ma la fondamentale forma di sviluppo. Il marxismo non si limita, cos, a situare e a criticare storicamente le altre, contrastanti ideologie, ma situa e critica storicamente se stesso; come filosofia assolutamente nuova, di massa, nel suo sviluppo s'identifica col processo di conquista delle masse al marxismo; non fermo alle geniali anticipazioni di Marx e di Engels, ma si arricchisce ogni giorno dell'esperienza e della critica pratica di milioni di uomini in lotta. L'apporto nuovo ed inestimabile che Lenin e Stalin hanno dato al marxismo, l'apporto di questa esperienza, genialmente elaborata. Nella critica e nell'autocritica, appunto, Lenin e Stalin hanno identificato la dialettica, la forma fondamentale di sviluppo non pi di un pensiero astratto dalle masse che pensano e lottano, ma del Partito stesso della classe operaia, del suo Stato, di un'azione e di un pensiero associato. Per questo la loro critica come gi quella di Marx e di Engels non mai una critica ideologica, che astrattamente contrapponga la ragione propria al torto dell'avversario; non si appunta mai contro un'ideologia in quanto tale, in quanto casuale e particolare elaborazione di un ideologo; ma sempre una critica storica, che storicamente situa la data ideologia, ne ricerca e ne addita il significato per la pratica della lotta di classe. Non qui il luogo di mostrare come gi Marx ed Engels, e poi Lenin e Stalin, abbiano costantemente applicato al marxismo stesso questo metodo fondamentale della critica e dell'autocritica, che , beninteso, proprio il contrario del revisionismo opportunista. Basti ricordare, fra gli esempi pi caratteristici, la lettera del 14 luglio 1893, nella quale Engels chiarisce a Mehring le condizioni obiettive che, nella lotta per la conquista delle masse al marxismo, portarono talora Marx ed Engels a lasciare un po' in secondo piano l'analisi formale del rapporto fra strutture e sovrastrutture, per sottolinearne il contenuto reale. Due caratteristiche ci sembrano particolarmente degne di rilievo? nel modo con cui, qui ed altrove, Marx ed Engels affrontano un problema di autocritica marxista. In primo luogo, essi si guardano bene dal trincerarsi dietro la propria personale chiarezza di idee sul problema in esame, anche se tale chiarezza certo non mancava in chi del marxismo era stato, per cos dire, l'autore. Al contrario: Marx ed Engels, in questo come in altri casi analoghi, appuntano la loro autocritica contro la loro dottrina cos come essa stata intesa e si diffusa tra le masse. E qui appunto appare il carattere nuovo del marxismo, il nuovo atteggiamento del filosofo, che non pi un ideologo separato dalle masse, ma che di quel che pensano e operano le masse sente tutta la responsabilit. In secondo luogo, la critica e l'autocritica di Engels non si limitano punto ad una registrazione passiva delle condizioni obiettive che hanno determinato una data deviazione ideologica, ma intervengono attivamente a mutare queste condizioni: sicch l'autocritica marxista non ha nulla in comune con una sterile confessione di peccati , ma diviene come proprio accade nella lettera di Engels elemento essenziale di un arricchimento e di un approfondimento del marxismo. facile riscontrare come queste caratteristiche della critica e dell'autocritica, gi chiaramente affermate in Marx e in Engels, si ritrovino in Lenin e in Stalin, ancora approfondite nella maturata esperienza del movimento proletario, e poi in quella della societ socialista. Si veda, ad esempio, quel che Lenin scriveva delle condizioni di sviluppo del marxismo, nel suo articolo del 1913 su I destini storici della dottrina di Carlo Marx . Nell'esame critico di quel periodo della storia del movimento operaio, che va dal 1872 82

all'inizio del nuovo secolo, Lenin non manca di sottolineare l'enorme importanza della vittoria che il marxismo ottiene con la sua estensione , con la creazione di un movimento di masse marxista nei principali paesi d'Europa. Nulla pi alieno dalla critica leninista dell'orrore intellettualistico che un Croce, ad esempio, manifesta di fronte alle semplificazioni, talora rozze e primitive, che il marxismo subisce in questa sua prima diffusione tra le masse. Al contrario: la disamina attenta di Lenin, come quella di Stalin, si rivolge sempre non ad un'astratta dottrina, cos come essa pu germogliare nella mente di un ideologo professionale, ma a quella dottrina che vive nella coscienza e nella pratica delle masse. E quando egli appunta gli strali della sua critica contro l'opportunismo nella II Internazionale, la sua critica non semplicemente una critica ideologica, sempre una critica storica e politica che scopre le radici obiettive di tale opportunismo ed interviene praticamente a sradicarlo: con una lotta che si sviluppa non solo sul piano ideologico, ma sempre e coerentemente si traduce sul piano politico, organizzativo, di massa. Ma si consideri, pi in generale, la lotta di Lenin e di Stalin contro la teoria della spontaneit, contro la sottovalutazione dell'elemento attivo e cosciente nello sviluppo storico. Si tratta, senza dubbio, di uno degli apporti filosofici fondamentali che essi hanno dato all'approfondimento ed allo sviluppo del marxismo. Anche qui, la critica delle basi ideologiche dell'opportunismo, dell'economismo, del meccanicismo all'incontro di quel che avviene nei volontaristi e negli idealisti menscevizzanti incrollabilmente fondata su di un approfondimento scientifico, su di un'analisi obiettiva delle leggi di sviluppo del capitalismo nell'epoca dell'imperialismo. Ma la realt e la validit obiettiva di queste leggi non mai concepita come qualcosa di metafisico, come un rapporto nel quale ad una realt obiettiva si contrapponga un soggetto in funzione puramente passiva e ricettiva. E che mai sarebbe, ad esempio, una considerazione obiettiva, scientifica del capitalismo contemporaneo, che prescindesse dall'efficacia raggiunta, nel dato grado di sviluppo, dalla lotta rivoluzionaria del proletariato? Al contrario: l'obiettivit della critica marxista consiste proprio nel fatto ch'essa acquista coscienza del proprio carattere di partito, nel fatto che il suo oggetto non pi un oggetto astratto, ma l'oggetto reale: una realt della quale l'uomo, il soggetto stesso, parte integrante ed attiva. Nel caso in esame, cos, la lotta di Lenin e di Stalin contro la teoria della spontaneit, per l'approfondimento scientifico delle leggi di sviluppo del capitalismo nell'epoca dell'imperialismo, per la teoria del Partito e dello Stato proletario, per lo sviluppo della teoria marxista della conoscenza, indissolubilmente legata alla loro attivit pratica: non saprebbe essere intesa nel suo stesso significato ideologico, gnoseologico, filosofico, da chi non considerasse in Lenin e in Stalin i due grandi rivoluzionari, lottatori instancabili per la organizzazione del Partito e dello Stato proletario, del movimento operaio e democratico internazionale.

Gramsci e la cultura italiana.

La pubblicazione del primo volume dei Quaderni del carcere di Gramsci viene offrendo in queste settimane, ad un pi largo pubblico nostrano ed internazionale, la possibilit di valutare l'apporto originale di questo grande italiano alla critica marxista, al rinnovamento della cultura nazionale, alla sua sprovincializzazione, ad un suo pi vivo ed attivo legame con le grandi correnti del pensiero mondiale. L'avvenimento di troppa importanza perch non ci si debba preoccupare di una esatta situazione dell'opera di Gramsci, che ne eviti le interpretazioni affrettate e le superficiali deformazioni. La verit che, gi dopo la pubblicazione delle Lettere dal carcere , accenni in questo senso non sono mancati, anche da parte di studiosi di cui nessuno vuol mettere in dubbio la buona fede. 83

!L'errore pi grave, nel quale si pu incorrere nella interpretazione dell'opera di Gramsci, senza dubbio quello di considerare i suoi Quaderni fuori del nesso vivo che li lega a tutta l'attivit di Gramsci organizzatore dei Consigli di fabbrica, fondatore del gruppo dell' Ordine Nuovo , e poi fondatore e capo del Partito Comunista Italiano. Sin lo stile delle Lettere e dei Quaderni riflette la drammaticit di questo nesso per un combattente che il nemico ha segregato per dieci anni, fino alla morte, dalla possibilit di una diretta partecipazione alla lotta: e chi non ricordasse ad ogni momento che questi Quaderni sono stati pensati, scritti, trasmessi tra le pi tragiche difficolt della vita carceraria come un'arma per questa lotta, si preclude ogni possibilit di intendere e di situare storicamente in maniera giusta l'opera di Gramsci. La realt che, per questa sua stessa scaturigine, l'opera di Gramsci rappresenta un fatto assolutamente nuovo, un salto della cultura italiana. Un definitivo salto oltre l'uomo del Guicciardini, che nemmeno quel grande pensatore che era Antonio Labriola era riuscito a compiere: sicch giustamente stato detto che Gramsci stato il primo marxista italiano, perch primo in Italia ha saputo intendere il marxismo non solo come una nuova e pi elaborata teoria, ma come una pratica viva ed esemplare. Proprio per questa novit dell'opera di Gramsci nei confronti di consuetudini profondamente radicate nella struttura stessa della cultura ufficiale italiana, ci sembrato particolarmente necessario insistere, nelle pagine che precedono, sulle caratteristiche che differenziano la critica marxista dalla critica di tipo ideologico. Prima ancora della pubblicazione dei Quaderni, certo, gi nei lunghi anni della lotta clandestina, per un'avanguardia di militanti, e poi per pi larghi strati di lavoratori, questa cultura nuova di Gramsci, del marxismo-leninismo, era divenuta un fermento vivo ed operante, attraverso l'organizzazione e la lotta del Partito Comunista. Ma la cultura ufficiale italiana la cultura degli uomini colti non era certo preparata ad intendere (con la sua persistente aulicit, con il suo provincialismo, con l'imposta autarchia) i valori di una cultura nuova, che non si esprimeva n in memorie n in prolusioni accademiche, n per lo pi in articoli di riviste o in opere di dottrina: bens in cellule d'officina e in processi al Tribunale Speciale, in organizzazioni sindacali clandestine e in lotte partigiane, in impostazioni politiche e morali nuove, quale quella che Palmiro Togliatti l'amico e il fraterno collaboratore di Gramsci dava al VII Congresso dell'Internazionale Comunista nel suo rapporto sulla lotta contro il pericolo di guerra. La disgrazia di Benedetto Croce e dei RR. PP. Gesuiti nella loro lotta, pur cos tenace e senza scrupoli, perseguita con la complicit della censura fascista contro il marxismo la disgrazia di Benedetto Croce e dei RR. PP. Gesuiti, dicevamo, stata questa: che ancora una volta, e persino nell'ambito della cultura ufficiale, la critica pratica, marxista, si dimostrata pi efficace della loro critica ideologica, si dimostrata pi capace di inserirsi nel processo obiettivo del reale. Proprio quella rozza cultura nuova delle cellule d'officina e dei sindacati clandestini, dei processi al Tribunale Speciale e della lotta partigiana, si rivelata la pi operante nella trasformazione della realt italiana, delle condizioni stesse in cui la cultura ufficiale la cultura degli uomini colti pu oggi svilupparsi e operare: e molti discepoli di Benedetto Croce e dei RR. PP. hanno visto forse interrotta dall'attivit clandestina e dalla lotta partigiana una brillante prospettiva di carriera universitaria, ma hanno imparato ad uscire dalla loro torre d'avorio, hanno imparato dagli operai comunisti i rudimenti di una cultura nuova, che non pi solo dottrina. La Civilt Cattolica e La Critica non sono pi, ahim!, le sole riviste serie di cui la pubblicazione sia consentita in Italia. Nel clima rinnovato di una lotta democratica, la cultura ufficiale stessa ha visto cos, malgrado le nostre insufficienze, i suoi orizzonti slargarsi, i penetrali sicuri dei suoi templi violati dall'aspirazione di masse che urgono ad portas: e complici della violazione si son fatti persino sacerdoti gi obbedienti nel sacrificare agli idola della storia etico-politica, ed ora attratti in una lotta nuova e viva.

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L'implacabile acredine, con la quale don Benedetto ha perseguitato e perseguita ancor oggi i suoi discepoli del Partito d'Azione, il gusto amaro di chi, dalla critica pratica del marxismo, si sente battuto in casa propria, su quel terreno stesso ov'egli si sentiva pi chiuso e sicuro; e per parte nostra, sarebbe errato sottovalutare l'importanza che la crisi azionista (come, per un altro verso, la crisi della Sinistra cristiana) ha avuto ed ancora per avere nell'apertura della cultura ufficiale italiana alle nuove esperienze ed alle nuove conquiste del marxismo. Per quest'apertura, non meno che per l'approfondimento del marxismo, Gramsci ha dato alla cultura italiana, coi suoi Quaderni di lotta e di dolore, un'arma critica inestimabile, di cui un pi largo pubblico pu oggi riconoscere l'efficacia.

Gramsci e la portata mondiale del marxismo-leninismo.

A parte queste considerazioni pi generali sulla caratteristica della critica marxista, situare storicamente la critica di Gramsci non pu significare che ricercarne i motivi, seguirne gli sviluppi attraverso le tappe che il movimento operaio italiano e internazionale venuto percorrendo nel corso dell'ultimo cinquantennio. Non questo l'assunto che ci siamo qui proposto. Basti ricordare che la critica di Gramsci nasce e si inserisce, teoricamente e praticamente, nello sviluppo del movimento operaio italiano, nel periodo di una sua decisiva crisi, quando, verso la fine della prima guerra mondiale e in quel primo dopoguerra, il Problema del potere per la prima volta concretamente si pone come compito urgente di lotta di fronte alla classe operaia. Non un caso che in Italia, come gi vent'anni prima nella Russia zarista, la critica marxista si affermi e si sviluppi con un'efficacia nuova, proprio in un periodo di profonda crisi sociale. Abbiamo gi ricordato come il processo, attraverso il quale la classe operaia giunge a cogliere, nel marxismo, il nesso del processo conoscitivo con la prassi umana, non sia mi astratto processo ideologico, bens un concreto processo storico, quel processo medesimo attraverso il quale la classe operaia viene organizzando la sua lotta collettiva per la creazione di una societ socialista, per la conquista di un'umanit associata. L dove questa lotta impone problemi nuovi, l dove il movimento operaio deve far fronte ad un salto della sua ,pratica, l la critica marxista diviene una pi urgente necessit, l essa si approfondisce e si arricchisce di esigenze e di esperienze nuove. Tale era appunto la situazione del movimento operaio italiano, all'indomani della prima guerra mondiale. Dal punto di vista politico ed organizzativo, non meno che dal punto di vista delle impostazioni teoriche, il movimento socialista si trovava, pur nel suo impetuoso rigoglio, singolarmente impreparato ad affrontare i nuovi compiti che una concreta ed urgente lotta per il potere gli imponeva. Gi prima della guerra, d'altronde, le particolari condizioni in cui il movimento socialista italiano si era sviluppato avevano fatto s che ad un vigoroso sviluppo di lotte di massa non avesse corrisposto un adeguato sviluppo politicoideologico. Sul terreno politico-organizzativo, la direzione del movimento socialista aveva continuamente oscillato fra l'infantilismo di tipo anarchico e sindacalista (non si dimentichi che le masse bracciantili e quelle dei semiproletari hanno sempre rappresentato una parte importante e combattiva del movimento operaio italiano) e l'opportunismo riformista. Sul piano delle impostazioni teoriche e del metodo, il marxismo era stato sottoposto in Italia fin dai primi legami del movimento operaio col movimento democratico borghese alle contaminazioni del positivismo e del revisionismo idealisteggiante: nelle quali si esprimeva una persistente egemonia ideologica della borghesia e degli intellettuali borghesi, una 85

insufficiente capacit, ancora, del movimento operaio di enucleare dal proprio seno (o di assimilarsi) dei propri intellettuali, quell' intellettuale collettivo che il Partito rivoluzionario della classe operaia. Questa trascuratezza o indifferenza ideologica del movimento socialista aveva trovato la sua espressione culminante nell'integralismo, che elevava addirittura a principio la mancanza k principi ed a teoria il rifiuto di ogni teoria. La capacit di far fronte, con la sua critica marxista, alle esigenze nuove ed urgenti, teoriche e pratiche, del movimento operaio, Gramsci con Togliatti l'attinge, in primo luogo, dall'esperienza viva del proletariato torinese, accentrato nella Fiat. Qui a differenza di quel che avviene nella stessa Milano in conseguenza delle caratteristiche strutturali della capitale piemontese, la funzione egemonica della classe operaia si manifesta in forme pi immediate ed evidenti; l'essenza proletaria, moderna e non solo indifferenziatamente democratica popolare, come in altre parti d'Italia del movimento socialista, appare con un rilievo tutto speciale. Consigli di fabbrica, edizione torinese dell'Avanti!, occupazione delle fabbriche, gruppo. dell'Ordine Nuovo : senza pretendere qui nemmeno di accennare a tutte le sue tappe fondamentali, l'esperienza di Gramsci l'esperienza dell'officina in cui la classe operaia moderna vede, anche in Italia, porsi tutti i suoi nuovi ed urgenti problemi, da quello dell'organizzazione e della disciplina del lavoro a quello del Partito rivoluzionario e del potere. Ma caratteristico per Gramsci come per Togliatti e non solo da un punto di vista biografico che la loro esperienza torinese si innesta su di una previa formazione, iniziatasi in un ambiente cos diverso, qual quello della Sardegna ancora semifeudale. Torino stessa, d'altronde, questo centro pi progredito della grande industria moderna, attinge dalla Sardegna mano d'opera non qualificata e guardie carcerarie, nonch fanti della Brigata Sassari in servizio di polizia. Questa pi larga e complessiva esperienza della realt italiana ha senza dubbio contribuito in maniera decisiva a liberar Gramsci dal pericolo di una deviazione della sua critica nel senso di impostazioni di tipo riformistico od operaistico, a porre in primo piano il problema del potere, il problema dell'egemonia del proletariato: che significa non solo riconoscimento della sua funzione direttiva, ma anche riconoscimento della sua concreta capacit di direzione, in un sistema di alleanze di classe, in cui esso si fa interprete delle aspirazioni e delle necessit di tutti gli strati progressivi della societ, realizzando una rivoluzione che filosofica e culturale, non meno che politica e sociale. L'espressione che il proletariato tedesco l'erede della filosofia classica tedesca scriver pi tardi Gramsci (III) come deve essere intesa? Non voleva indicare Marx l'ufficio storico della sua filosofia divenuta teoria di una classe che sarebbe diventata Stato? Per Ilic (Lenin) questo realmente avvenuto in un territorio determinato. Ho accennato altrove all'importanza filosofica del concetto e del fatto di egemonia, dovuto a Ilic. L'egemonia realizzata significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica . Da ci consegue che il principio teorico-pratico dell'egemonia ha anche esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo da ricercare l'apporto teorico massimo di Ilic alla filosofia della prassi... La realizzazione di un apparato egemonico, in quanto crea un nuovo terreno ideologico, determina una riforma delle coscienze e dei metodi di conoscenza, un fatte di conoscenza, un fatto filosofico . (IV) Gi nel 1919-'20, nell'impostazione nuova dei problemi dell'organizzazione di massa e di Partito e in quella del problema meridionale, nell'atteggiamento di fronte a Gobetti o in quello assunto di contro al nichilismo nazionale del vecchio Partito socialista, col sottolineare la funzione nazionale della classe operaia, matura, si elabora, si esplica nella critica di Gramsci quella concezione e quella pratica dell'egemonia che ne costituisce in un certo senso il nocciolo e di cui ritroveremo i geniali sviluppi e le pi larghe generalizzazioni nei Quaderni del carcere . Ma quel che ci interessa qui di rilevare come su questo terreno appunto, sul 86

terreno della teoria e della pratica dell'egemonia, l'incontro e l'arricchimento della critica di Gramsci con quella che il leninismo era venuto sviluppando, divenga decisivo e fecondo. Per la prima volta, cos, nella critica di Gramsci, il movimento operaio italiano pur cos ricco di una spontanea tradizione d'internazionalismo proletario comincia a superare ed a far superare alla cultura italiana quel certo isolamento e provincialismo che erano il prodotto della ristrettezza di orizzonti delle classi dominanti nostrane. Dopo la Rivoluzione d'Ottobre, comunque, con la critica di Gramsci e di Togliatti, una noncuranza provinciale come quella che, nelle colonne dell'Avanti! del 1905-'906, o magari del 1917 pur tutte piene dei fatti della Rivoluzione russa e delle manifestazioni di una fattiva solidariet del proletariato italiano aveva lasciato ignorare i profondi contrasti tra socialisti rivoluzionari, menscevichi e bolscevichi, diviene un insopportabile anacronismo; cos come un anacronismo risibile diviene la pia illusione di quei socialisti o altri, che prendono per buona la sentenza di morte, a suo tempo pronunciata da Benedetto Croce contro il marxismo. Anche qui, beninteso, la critica di Gramsci non qualcosa di semplicemente ideologico e di casuale che si possa artificiosamente separare da quella grandiosa esperienza di cui tutto il proletariato italiano il protagonista negli anni del primo dopoguerra; n d'altronde questa critica si esprime da Gramsci bella e perfetta e forbita e armata, come Minerva dal cervello di Giove. La portata mondiale e italiana del leninismo e della Rivoluzione d'Ottobre si esprime nell'ingenua iscrizione murale di Viva Lenin come nella critica progressivamente elaborata di Gramsci: i due fenomeni, checch possa pensarne l'intellettualismo crociano, sono storicamente omogenei, si sviluppano lungo una medesima linea. Quel che qui c'importa di rilevare, il fatto che in Italia, con Gramsci e con Togliatti, con la creazione e lo sviluppo del Partito comunista, il marxismo si viene affermando gi arricchito della sua superiore elaborazione leninistastaliniana: alla quale Gramsci stesso, con la sua lotta teorica e pratica per la costruzione del Partito Comunista Italiano, con la sua partecipazione al movimento operaio internazionale, con la sua lotta antifascista e coi Quaderni del suo sacrificio, ha recato un originale apporto italiano. E proprio col marxismo-leninismo, cosi elaborato compendio dell'esperienza internazionale della classe operaia la cultura italiana, slargando l'orizzonte che il provincialismo delle nostre classi dominanti le aveva precluso, ritrova il suo nesso vivo e produttivo con la scienza d'avanguardia, con le correnti pi moderne e progressive del pensiero mondiale: si apre la via verso la cultura nuova di un'umanit associata, verso una cultura che, differenziata nelle sue forme nazionali, si unifica e trova la sua universale validit nel suo contenuto socialista.

L'apporto di Gramsci.

Dire dello specifico e italiano apporto di Gramsci a questa cultura nuova, significherebbe, ancora una volta, rintracciare, in primo luogo, la sua opera di fondatore e di capo del Partito, di formatore dei suoi quadri, dallo sgabuzzino dell'Ordine nuovo alla cella del carcere. Sul piano pi strettamente politico, oltre all'originale apporto dato alla elaborazione di tutti i problemi dell'attivit e dell'organizzazione del Partito, basti ricordare il contributo che Gramsci ha dato all'analisi della natura di classe ed alla caratteristica storica del fascismo. Ma di qui, il suo contributo si allarga sul piano storico, alla profonda analisi della formazione della societ e dello Stato italiano. I pochi saggi gi apparsi qua e l possono dare un'idea degli spunti e delle elaborazioni geniali che la prossima edizione dei Quaderni render accessibili ad un pi largo 87

pubblico. Quel che possiamo dire, intanto, che per tutti i Quaderni si ritrova quella medesima caratteristica che gi facile rilevare negli scritti pubblicati: un'aderenza intima ai problemi attuali della vita e della cultura italiana, associata ad una geniale capacit di sviluppare tale aderenza in mille nessi che, da secolo a secolo, da nazione a nazione, s'intrecciano nell'unit del processo storico. Che ci parli del Machiavelli o di San Domenico, di Proudhon o dell' Action franaise, la filosofia, la storia di cui Gramsci ci parla sempre e davvero storia italiana, storia contemporanea, politica. Ed una eccezionale vocazione teorica e pratica artistica, vorremmo dire rende Gramsci capace di presentarci attuali e palpabili, di tra le mura della sua cella, pur le realt ed i nessi pi remoti. Di questa aderenza di Gramsci ai problemi vivi ed attuali della societ italiana ed al tempo stesso della sua capacit di svilupparli nella loro pi generale connessione ci sembra un esempio precipuo la particolare attenzione ch'egli rivolge al problema degli intellettuali. In una societ di antica cultura qual la nostra con tutte le stratificazioni e le sedimentazioni che la sua struttura comporta tale problema assume senza dubbio un'importanza teorica e pratica particolare. Ma da quella ch'egli chiama la storia degli intellettuali italiani, dal conseguente e pi immediato interesse alla critica del crocianesimo, Gramsci si solleva sempre, allargando la sua indagine alla funzione degli intellettuali e dell'intelligenza nella societ, alla funzione storica della cultura. Non ch'egli cada mai in un astratto sociologismo: la sua analisi resta sempre storicamente individuata; e intanto si sviluppa nella disamina dei rapporti fra strutture e sovrastrutture, tra politica e filosofia, che assume un valore non pi soltanto storico, ma filosofico e gnoseologico. E ora la disamina di Gramsci s'intreccia e si fonde in quella che costituisce, ci sembra, il nocciolo di tutta la sua critica: la teoria e la pratica dell'egemonia. qui, a nostro avviso, l'apporto pi notevole e generale di Gramsci all'approfondimento del marxismoleninismo. Altri aveva mostrato, gi, che il problema del potere, il problema della egemonia del proletariato, l'essenziale nel marxismo: e l'opera grandiosa della costruzione del socialismo sulla sesta parte del globo la storica illustrazione di questa verit. Ma fuor di dubbio che l'approfondimento gramsciano del concetto di egemonia ce ne ha mostrato tutta la pregnanza storica, gnoseologica, filosofica. Ed importante rilevare come questo apporto di Gramsci si sviluppi appunto nel senso medesimo nel quale il gi citato discorso del comp. Zhdanov addita una via ai nuovi sviluppi del marxismo-leninismo in Unione sovietica. Concetti come quello del carattere di partito della filosofia, del marxismo come salto, del marxismo come filosofia di massa, della critica e dell'autocritica come forma dialettica della lotta tra il vecchio e il nuovo nella societ socialista, che oggi assumono un cos notevole rilievo nella battaglia ideologica, sono al centro dell'attenzione nell'elaborazione dei Quaderni: nei quali il marxismo stesso, nel suo concreto sviluppo storico, nel suo vario atteggiarsi nei vari momenti di tale sviluppo, sovente sottoposto al reagente della critica marxista. Si veda, ad esempio, come Gramsci affronta il problema del marxismo come ideologia (V), o quello della dialettica di volontarismo e determinismo meccanicistico nella storia del movimento operaio e nell'affermarsi del marxismo stesso (VI); o come egli sviluppa il concetto delle premesse e dell'oggetto di una scienza economica (VII). In tutti questi casi e molti altri se ne potrebbero citare l'atteggiamento critico di Gramsci assume un particolare rilievo; investe e penetra, per cos dire, l'oggetto stesso della ricerca, l'esaurisce tutto nella sua storia. L'osservatore medesimo non si considera pi come estraneo all'oggetto della sua ricerca, acquista piena coscienza del fatto che interpretare il mondo significa trasformarlo; che una conoscenza diviene tanto pi obiettiva, pertanto, quanto pi essa si fa conscia di questa attivit e praticit del processo conoscitivo, in cui il soggetto interviene a modificare la realt preesistente. Ci troviamo qui di fronte ad un approfondimento della gnoseologia marxista, di cui ci sono forse gi familiari gli sviluppi e le applicazioni nel campo delle scienze storiche e sociali, ma che merita di 88

esser sviluppato con particolare riguardo alle scienze fisiche e naturali. Proprio su questa via, ci sembra, le aporie della fisica quantistica e della biologia contemporanea possono trovare la loro storica risoluzione, rompendo l'involucro entro il quale le ideologie idealistiche e positivistiche dominanti le costringono. Ma senza addentrarci in un discorso, che richiederebbe un pi ampio sviluppo, possiamo ben dire che, anche per questo verso, l'opera di Gramsci ci si annuncia feconda di spunti e di orientamenti per la cultura nuova, per quella scienza d'avanguardia che ha il coraggio e lo spirito di decisione per rompere con le vecchie tradizioni, con le vecchie norme, con i vecchi principi, quando essi sono superati, quando essi si trasformano in un freno al moto progressivo; di una scienza che sa creare delle nuove tradizioni, delle nuove norme, dei nuovi principi (Stalin).

(I) Antonio Gramsci: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce. Torino, Einaudi, 1948, pag. 158. Vedi anche in proposito i passi di Gramsci a pag. 75 e 88 della stessa opera. (II) Lenin Filosofskie tetradi. (Quaderni filosofici). Mosca, 1936,pag. 326. (III) Gramsci, op. cit., pag. 75. (IV) Gramsci, op. cit., pag. 39. (V) Gramsci, op. cit., pag. 89, 93, 231 e segg., 236. (VI) Gramsci, op. cit., pag. 12, 19. (VII) Gramsci, op. cit., pag. 261 e segg.

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Spontaneit o libert della Cultura

Al novo secol lingua nova instrumento rinasca: pu nova progenie il canto novello fare. (Campanella: Al Senno latino)

Conferenza tenuta alla Sala Napoleonica, in Venezia, l'8 giugno 1948 in occasione dell'apertura della Biennale. - Testo stenografico.

Mi raccontava stamane l'amico Paolo Ricci che Alberto Consiglio, tornando a Napoli, recentemente, dopo la sua elezione a deputato, ha avuto la peregrina idea di firmare il suo primo articolo sul Risorgimento il giornale di cui egli direttore col nuovo titolo di onorevole Alberto Consiglio. E aggiungeva, Paolo Ricci, che il pubblico napoletano, noto nel mondo intero per il suo buon gusto un po' scanzonato, aveva reagito con una fiorita espressione partenopea alla pacchianeria del giornalista monarchico. Il mio amico Paolo Ricci pittore, giornalista e napoletano; dotato dunque di una fantasia triplamente fervida. Non garantirei, insomma, in tutto e per tutto la storica autenticit del suo aneddoto. Quel che posso garantire, che esso mi tornato alla mente quando oggi, mentre vagabondavo per calli e campielli di Venezia, mi son visto annunciare questa mia conferenza in un manifesto, ove il mio nome era anch'esso preceduto da ogni sorta di qualifiche ufficiali. E mi subito venuto fatto di riflettere con preoccupazione che il pubblico veneziano non certo meno fine, quanto a gusto, e forse ancora un po' pi scanzonato, del pubblico napoletano: sicch avrebbe reagito anch'esso con una di quelle spiritose espressioni delle quali cos ricca la vostra parlata al cattivo servizio che qualche buon compagno della Federazione comunista involontariamente mi ha reso con quel manifesto. Di fronte a questo piccolo infortunio sul lavoro, insomma, il mio comportamento stato dapprima quello di un bambino che, accusato a torto di una birichinata non sua, si affretta a dire: Non sono stato io o non l'ho fatto apposta . Ma quando mi son fermato un momento a riflettere su questo banale incidente, mi son dovuto confessare che quella separazione della mia responsabilit da quella del bravo compagno, autore del manifesto, non era in fondo n giusta n onesta. Se, infatti, abbandonando le appassionanti discussioni sul regolamento del Senato e sulle dichiarazioni dell'on. De Gasperi, sono qui a Venezia, a parlare ad un pubblico cos folto e intelligente di cultura e di direzione culturale, ci avviene, certo, perch, come molti tra voi, sono stato attratto a Venezia dal mio personale desiderio di ammirare alla Biennale una non comune raccolta di opere d'arte nuova e ottocentesca; ma anche e soprattutto perch sono un militante, un quadro responsabile di un grande Partito, che ha una sua parola da far sentire, una sua direzione da far valere in ogni lotta per la cultura italiana.

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Non aveva dunque tutti i torti, il bravo compagno della Federazione comunista, quando, per presentarmi al colto pubblico convenuto a Venezia per l'apertura della Biennale, ha prescelto la segnalazione della mia qualit di dirigente del Partito comunista. Ed a questa mia qualit non certo ad una mia personale autorit culturale posso solo attribuire il concorso in questa sala di un pubblico cos scelto e rappresentativo dell'arte e della critica d'arte italiana: sicch ho presto fatto non solo a consolarmi, ma addirittura a compiacermi di questo banale incidente, di un manifesto che mi permette di entrare in mediar res e di affrontare senz'altro, francamente, quello che il tema e l'oggetto di questa mia conversazione.

Egemonia culturale e concezione marxista dello Stato.

Non a caso questo tema stato scelto per una conferenza da pronunciarsi qui, a Venezia, in occasione dell'apertura di quella che a buon diritto si pu considerare come la pi importante manifestazione culturale italiana di questo dopoguerra. Proprio di fronte ad una tale manifestazione di fermento e di vitalit creativa dell'arte italiana, il dibattito attorno ai problemi della cultura e della direzione culturale assume un rilievo particolare; un rilievo che non potrebbe essere completo, oggi, tra noi, se non fosse illuminato dall'apporto fondamentale che, al chiarimento di tali problemi, Antonio Gramsci ha recato con l'elaborazione e con l'approfondimento del concetto di egemonia. So bene che, per chi non sia familiarizzato con la terminologia che a Gramsci era imposta dal regolamento carcerario, gi questo termine di egemonia buttato qui, nel bel mezzo di un dibattito sulla cultura rappresenta una specie di pugno nello stomaco. E' un termine che Gramsci ha tratto, risolutamente, dal vocabolario della politica, anzi dell'arte militare. E come dovrebbero, i cultori delle arti belle o della scienza, non recalcitrare alla penetrazione di una terminologia cos bellicosa nel loro mondo sereno del Bello e del Vero? Pure una rapida corsa per i padiglioni della Biennale o l'orecchio teso ai dibattiti di artisti e di critici per piazza San Marco, bastano a convincerci che anche in questo mondo, per questo mondo sereno del Bello, dell'Arte, si combatte oggi una battaglia, nella quale i contrapposti schieramenti hanno le loro avanguardie e le loro riserve, le loro pattuglie di esploratori che avanzano nel no man's land e le loro organizzazioni logistiche. E se, in ogni battaglia, si combatte, come si combatte, per la vittoria, ci significa, appunto, che ciascuno degli opposti schieramenti si batte anche qui, alla Biennale, per un Bello che non pu essere serena indifferenza, ma lotta tra vecchio e nuovo, fra arte e non-arte, si batte insomma per un orientamento, per una direzione, per l'affermazione di una egemonia culturale. Nell'apporto che Antonio Gramsci ha recato al chiarimento dei problemi del nostro tempo, quello dell'approfondimento del concetto di egemonia forse il pi illuminante per quanto riguarda la lotta sul fronte culturale: non solo dal punto di vista degli interessi storiografici, politici, gnoseologici, ma da quello, direi, degli interessi estetici e morali. All'artista, in particolare, Antonio Gramsci addita con la critica ch'egli ha dato della natura, delle premesse, delle condizioni di una egemonia culturale il cammino, arduo ma speranzoso, verso quel nuovo umanesimo, che nell'artista come nello scienziato, come nell'operaio, come nel politico cerca, scopre, faticosamente costruisce l'uomo nuovo, una nuova, totale umanit.

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Anche in questo campo, beninteso, l'apporto di Gramsci all'approfondimento del pensiero marxista non potrebbe essere giustamente valutato, se non nel quadro dello sviluppo della teoria e della pratica del movimento operaio internazionale. Il concetto, ed il termine stesso di egemonia n, Gramsci li ha ritrovati gi elaborati e correnti nella polemica e nella lotta della classe operaia contro il vecchio mondo dell'oppressione e dello sfruttamento; la loro storia s'identifica, si pu dire, con la storia stessa della dottrina marxista-leninista dello Stato. Marx e Engels hanno mostrato, primi, di che lagrime grondi e di che sangue quello Stato, che la metafisica idealistica, da Hegel a Gentile, aveva interessatamente presentato come incarnazione dell'Idea o dello Spirito assoluto; gli hanno strappato di dosso la maschera, gli orpelli filosofici, giuridici, religiosi, svelandone, appunto, la natura e la funzione spietatamente egemonica: organo e strumento del dominio di classe, in una societ che dalla divisione in classi profondamente dilacerata e disumanata. Ognuno sa come Lenin e Stalin abbiano elaborato, sviluppato e approfondito la dottrina marxista dello Stato, sulla base della nuova esperienza internazionale della classe operaia nell'epoca dell'imperialismo, della rivoluzione proletaria, della vittoriosa costruzione del socialismo. Lenin e Stalin hanno mostrato, in particolare, come, concretamente, la funzione egemonica dello Stato inverta la sua natura, il suo segno, quando, nella dittatura del proletariato, da organo del dominio di una minoranza di sfruttatori, lo Stato diviene strumento dell'enorme maggioranza del popolo per la difesa contro i tentativi di restaurazione delle classi sfruttatrici. Ma mentre essi sottolineano questa assoluta novit della natura e della funzione egemonica dello Stato proletario, Lenin e Stalin hanno sempre decisamente reagito contro ogni tendenza ad una concezione bonaria e idilliaca di tale funzione; hanno sempre combattuto ogni interpretazione opportunistica della frase famosa di Engels sullo Stato che comincia a morire ; non hanno mai nascosto o dimenticato il fatto che, lungi dall'attenuarsi, la resistenza dei resti delle vecchie classi sfruttatrici si fa pi accanita e pi disperata, man mano che, ad ogni passo sulla via della costruzione del socialismo, esse sentono mancarsi sotto i piedi il vecchio terreno dello sfruttamento e dell'oppressione. Per questo Lenin e Stalin non hanno mai omesso di ricordare che di una libert nel senso pieno, umano della parola, si pu solo cominciare a parlare quando, con l'eliminazione delle classi sfruttatrici, con la costruzione del socialismo, la societ rimargina la sua interna dilacerazione, supera la propria divisione in classi antagonistiche: sicch la libert degli uni non pi limite e negazione, diviene bens condizione e potenziamento di una libert solidale, umana; sicch si avvia, per l'umanit tutta, secondo la parola famosa di Engels, quel salto dal regno della necessit nel regno della libert , che alla libert d il senso e il contenuto nuovo di una padronanza cosciente e comune degli uomini associati sul proprio destino. Ma sin quando dura la divisione della societ in classi antagonistiche, parlare di libert non ha senso, se non si specifica di quale libert, della libert per chi si tratta. Lo Stato dei Greci e dei Romani antichi assicurava ai padroni la libert di sfruttare gli schiavi ; lo Stato borghese nega la libert di possedere degli schiavi. Lo Stato borghese, anche il pi democratico, assicura ai capitalisti la libert di sfruttare degli operai salariati; lo Stato proletario nega ai capitalisti questa libert, assicura ai lavoratori ogni libert contro i capitalisti e contro i loro tentativi di restaurazione. In ogni societ di classi e in ogni Stato, che nasce sulla base della divisione della societ in classi la libert per una classe, di una classe, costituisce il limite, la negazione della libert di un'altra classe; e lo Stato ogni Stato significa appunto questo limite, questa negazione, significa l'egemonia di una classe in quella data societ. In questo senso noi affermiamo che ogni Stato per quanto democratica possa essere la sua forma esprime sempre la dittatura di una classe, un suo potere che nega la libert di altre classi.

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Forza e consenso: il momento della cultura e la coscienza socialista.

Nella dottrina marxista dello Stato, approfondita e sviluppata da Lenin e da Stalin, questa teoria dello Stato in quanto momento della forza (della dittatura), Antonio Gramsci la ritrova gi elaborata e confermata dalle grandiose esperienze storiche del primo dopoguerra. Con la creazione del primo Stato proletario, una nuova classe, la classe operaia, per la prima volta nella storia stabilisce la sua egemonia sulla sesta parte del globo. La concreta esperienza di governo della classe operaia russa vittoriosa diviene il fermento decisivo del movimento operaio internazionale; e alla luce di questa esperienza, mentre gi, storicamente, il problema del potere si pone di fronte agli operai di tutti i paesi, l'approfondimento critico del concetto di egemonia assume un particolare rilievo nel pensiero di Antonio Gramsci. La realt che, nello Stato proletario, l'egemonia della classe operaia acquista un senso profondamente diverso da quello che poteva avere l'egemonia dei padroni di schiavi nella societ schiavista, o quella dei capitalisti nella societ borghese. Non che il momento della forza, della dittatura, perda il suo peso nello Stato proletario: al contrario, proprio perch lo Stato proletario lo Stato dell'enorme maggioranza degli oppressi e degli sfruttati, esso non ha bisogno di mascherare di orpelli la propria natura e la propria forza; esso si presenta apertamente come dittatura del proletariato, come potere che non conosce altra legge che quella dettata dagli interessi dell'enorme maggioranza del popolo e che combatte senza esclusione di colpi contro i nemici del popolo. Ma nella dittatura del proletariato, appunto, accanto al momento della forza, assume un particolare rilievo quello che Gramsci chiama il momento del consenso, o della cultura, e che pi comunemente, nella letteratura marxista, viene sottolineato come il momento della coscienza e della educazione socialista. E' chiaro in effetti che se nei confronti dei resti delle vecchie classi sfruttatrici la dittatura del proletariato si presenta come un potere che non limitato dalla legge, e che poggia sulla violenza (Lenin, Stato e Rivoluzione ), anche vero che (a differenza di quanto avveniva per ogni precedente forma di potere statale) il potere della classe operaia si fonda su la simpatia e l'appoggio delle masse lavoratrici i e sfruttate (Lenin, ibidem). Per l'enorme maggioranza del popolo, cos, l'egemonia della classe operaia assume il significato di un rapporto nuovo e senza precedenti nella storia: non pi da dominati a dominanti, e neppur semplicemente di passivo consenso, bens di un consenso e di un appoggio attivo delle masse popolari al nuovo potere. Questo carattere attivo del consenso popolare si manifesta con particolare evidenza quando, nei momenti di crisi politica o militare, lo Stato operaio a differenza di ogni altro lungi dal ricorrere allo stato d'assedio o al disarmo del popolo, arma il popolo: e la guerra dei partigiani sovietici, o la difesa di Leningrado e di Stalingrado, ci dicono cosa possa uno Stato fondato su tale attivo consenso di popolo. Ma questo significa che, nei confronti dell'enorme maggioranza del popolo, nello Stato proletario, l'egemonia della classe operaia assume un senso nuovo, che non pi di dominio e di sfruttamento, bens essenzialmente di direzione e di educazione al socialismo: un rapporto che Lenin giustamente qualifica come pedagogico. Durante la dittatura del proletariato scriveva Lenin ne La malattia infantile bisogner rieducare milioni di contadini e di piccoli proprietari, centinaia di migliaia di impiegati, di funzionari, di intellettuali borghesi, subordinarli tutti allo Stato e alla direzione proletaria, vincere le loro abitudini e tradizioni borghesi... Perch scriveva ancora Lenin la dittatura del proletariato una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia societ .

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/Gi da queste pregnanti affermazioni di Lenin, appare tutto il rilievo che il momento del consenso, il momento della cultura, il momento pedagogico, assume nello Stato operaio in confronto al momento della forza, caratteristico per ogni Stato fondato sul privilegio e sullo sfruttamento. Ma vi di pi. Questo momento culturale e pedagogico dell'educazione al socialismo non si esplica soltanto nei rapporti della classe egemonica, la classe operaia, con le classi non proletarie: si esercita all'interno della classe operaia stessa, il momento della coscienza e dello sviluppo della coscienza socialista della classe operaia; perch, scrive ancora Lenin, necessario rieducare... nel corso di una lunga lotta, sul terreno della dittatura del proletariato, i proletari stessi, che dei loro propri pregiudizi piccolo-borghesi non si liberano di punto in bianco, per miracolo, per ingiunzione della Madonna e neppure per ingiunzione di una parola d'ordine, di una risoluzione, di un decreto, ma soltanto nel corso di una lotta di massa lunga e difficile contro le influenze piccolo-borghesi di massa (Lenin, La malattia infantile ). Gramsci rileva, giustamente, come sia caratteristica del leninismo la rivalutazione e l'accentuazione, nella lotta della classe operaia, di questo momento della cultura e della coscienza socialista, che gli opportunisti della II Internazionale erano venuti accuratamente obliterando dalle impostazioni di Marx e di Engels. Eppure, questa motivazione storica della funzione egemonica (di direzione e di guida) della classe operaia nella trasformazione rivoluzionaria della realt contemporanea, fin dall'inizio caratterizza l'attivit teorica e pratica dei Maestri del socialismo scientifico nei confronti di tutte le altre correnti socialiste; e gi nel Manifesto, sia per quanto concerne i rapporti della classe operaia con le altri classi oppresse e sfruttate, sia per quanto si riferisce ai rapporti tra la classe operaia e il suo Partito, l'accento vien fortemente posto sul momento dell'egemonia culturale della classe operaia (fondata sul fatto che essa sola capace di battersi per gli interessi di tutti gli oppressi, di tutti gli sfruttati), sul momento della sua coscienza, espressa nel Partito: che significa capacit d'intendere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario , significa lottare per il raggiungimento degli obiettivi e per gl'interessi immediati della classe operaia, ma rappresentare al tempo stesso, nel movimento presente, l'avvenire del movimento (Marx e Engels, Il Manifesto). Come questo momento della cultura e della coscienza non vada punto inteso in un senso speculativo e contemplativo, bens in un senso pratico ed attivo, ce lo dice sovente Marx stesso, come quando, rivolgendosi agli operai nelle Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia , egli scriver : Voi dovete passare attraverso quindici, venti, cinquanta anni di guerre civili e di battaglie internazionali, non solo per trasformare i rapporti esistenti, ma anche per trasformarvi voi stessi e rendervi atti al dominio politico . In passi come questo, con particolare evidenza, Marx ed Engels sottolineano il rapporto che intercorre tra lo sviluppo della coscienza socialista della classe operaia ( trasformarvi voi stessi ) e la sua capacit di affermare la sua funzione egemonica ( rendervi atti al dominio politico ): che non pu essere, per la sua stessa natura, fondata sulla violenza contro le masse degli altri ceti oppressi e sfruttati, bens si afferma nella creazione di una superiore civilt, come un'egemonia culturale. Si tratta, in realt, in un senso e nell'altro, dello stesso momento della coscienza e della cultura, visto una volta nei rapporti interni della classe operaia, l'altra nei rapporti della classe operaia con gli altri strati oppressi e sfruttati. E non un caso che, nell'uno e nell'altro senso, nell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria, quando il problema del potere concretamente si pone di fronte al movimento operaio internazionale, il leninismo ponga con particolare acutezza l'accento su questo momento della coscienza e della cultura. Quando Lenin e Stalin, gi nel corso della rivoluzione democratico-borghese in Russia, riaffermano e sottolineano, di contro ai menscevichi, la funzione egemonica della classe operaia; quando essi genialmente elaborano il sistema delle alleanze della classe operaia nel corso della rivoluzione 94

democratico-borghese stessa, per il suo sviluppo in rivoluzione proletaria; quando, sulla base della nuova storica esperienza del potere e della costruzione vittoriosa del socialismo, questo sistema si verr allargando a tutti i popoli sovietici, a tutto il popolo, nella Costituzione staliniana; quando, liquidate sul terreno economico e politico le classi sfruttatrici, nell'epoca del passaggio dal socialismo al comunismo, concretamente si pone di fronte ai popoli sovietici il problema della liquidazione dei residui ideologici del capitalismo nella coscienza degli uomini; in ciascuna delle fasi di questa lotta, il momento del consenso, il momento della egemonia culturale della classe operaia viene acquistando un rilievo sempre pi chiaro e pi preciso. Per quanto dure possano essere le lotte che, sul terreno della forza, l'accerchiamento capitalista ancora impone al primo Stato socialista ; per quanto impressionanti possano essere le vittorie che su questo terreno esso ha conseguito contro le vecchie classi sfruttatrici indigene e contro l'aggressione imperialista, la vittoria decisiva il socialismo l'ha gi conquistata proprio sul terreno del consenso e della cultura, nella documentata capacit della classe operaia di guidare alla lotta le masse innumeri dei lavoratori, delle nazionalit oppresse, dei popoli coloniali, di creare, per esse e con esse, una superiore civilt, solidale ed umana E quando oggi, nella societ socialista, liquidata la divisione in classi antagonistiche, la lotta contro i residui ideologici del capitalismo nella coscienza degli uomini passa in primo piano; quando la lotta fra il nuovo e l'antico, la critica e l'autocritica, si affermano come legge e forma decisiva della interna dialettica di una umanit associata, il momento della egemonia culturale della classe operaia si dichiara storicamente come il momento della libert, di una superiore, umana libert. Abbiamo gi rilevato, d'altronde, come, nella lotta della classe operaia, questo momento del consenso e della cultura non faccia che esprimere, nei confronti delle altre classi oppresse e sfruttate, quella stessa realt che, nei suoi rapporti interni, si esprime nel momento della coscienza e dello sviluppo della coscienza socialista. Solo lo sviluppo di una coscienza socialista assicura storicamente alla classe operaia la capacit di esplicare la sua funzione egemonica nella lotta di tutte le masse oppresse e sfruttate, la capacit di superare ogni grettezza corporativa e di conquistare i suoi alleati; cos come, per converso, solo nel concreto esercizio della sua funzione egemonica in un sistema di alleanze di classe, nella lotta per il potere ed al potere, si sviluppa e si perfeziona nella classe operaia la sua coscienza socialista. Ma la forma pi generale, nella quale questo momento della coscienza, della cultura, del consenso, si presenta nella lotta della classe operaia, la forma della lotta contro la teoria e la pratica della spontaneit.

La lotta contro la teoria e la pratica della spontaneit.

Non a caso alla polemica contro la teoria e la pratica della spontaneit dedicata tutta un'opera fondamentale di Lenin, qual il Che fare? ; non a caso a questa polemica son dedicate pagine fondamentali dei Princip del leninismo di Stalin; non a caso l'accentuazione di questa polemica marca l'atto di nascita ed ogni fase decisiva di sviluppo del Partito bolscevico e di tutti i Partiti comunisti. La realt che la forma e le condizioni, nelle quali la classe operaia sviluppa la sua lotta per affermare nella societ nuova la sua egemonia politica e culturale per crearsi cio un consenso, per conquistarsi un sistema di alleanze, per esercitare in questo sistema la sua funzione di orientamento, di guida, di educazione al socialismo queste condizioni, dicevamo, sono profondamente diverse da quelle che hanno permesso, nel corso della storia, l'affermazione dell'egemonia politica e culturale di altre classi dominanti, oppressive e sfruttatrici.

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L'esigenza di una egemonia culturale, certo l'esigenza di fondare il proprio potere non solo sul momento della forza, ma anche sul momento del consenso si presentata a ciascuna delle classi che, di volta in volta, si son succedute nella storia in funzione di classe dominante. Nessun potere, e tanto meno il potere di una minoranza di oppressori e di sfruttatori, saprebbe essere fondato esclusivamente sulla violenza. Quando anche come avvenuto, ad esempio, nella colonizzazione fra popolazioni primitive la violenza di un'infima minoranza sia appoggiata da un'enorme superiorit tecnico-militare, un potere stabile non si potuto fondare in una guerra perpetua contro le popolazioni indigene; ha richiesto, se non altro, la instaurazione di un regime di terrore: che significa non solo violenza attiva da parte dei colonizzatori, ma anche riconoscimento da parte degli indigeni della loro inferiorit tecnico-militare e perci impossibilit di mantenere uno stato di guerra perpetua contro la schiacciante superiorit degli oppressori; che pure una forma di consenso se pur passivo, e forzato, e disperato al loro dominio. In realt, persino questo caso estremo non si presenta mai, d'altronde, in questa forma astratta in cui qui l'abbiamo presentato; ciascuno sa, ad esempio, quale parte abbia avuto, nella fondazione di regimi di sfruttamento coloniale, l'opera di missionari, di maestri, di tecnici; e qui l'importanza del momento del consenso, del momento della egemonia culturale della classe dominante, appare con un rilievo pi immediato e pi chiaro. Non per nulla Marx afferma giustamente che l'ideologia dominante in una data societ l'ideologia della classe dominante. N le classi antiche dei proprietari di schiavi, n ancor prima le aristocrazie militari e sacerdotali, n le classi dominanti della societ feudale o borghese, avrebbero potuto stabilire e mantenere per secoli il loro dominio su un'immensa maggioranza di oppressi e di sfruttati, se il loro potere non si fosse fondato su di una egemonia culturale: sul fatto cio che quella data classe dominante riuscita ad imporre e a diffondere, come ideologia dominante in quella data societ, la propria ideologia, la ideologia che esprime sul piano culturale le esigenze e le condizioni del suo dominio. In ciascuna di queste societ, l'apparato stesso dello Stato il momento della forza stato sempre usato, fra l'altro, anche e proprio per stabilire, mantenere e consolidare questa indispensabile egemonia culturale. Nelle aristocrazie sacerdotali vediamo cos, nelle guerre di conquista, l'apparato militare impiegato a stabilire nei territori e fra le genti conquistate il culto degli dei conquistatori; e nella societ feudale, ciascuno sa che parte abbiano avuto le conversioni forzate dei barbari o la lotta contro le eresie nella creazione e nel consolidamento del nuovo potere; senza parlare della societ borghese, dove ogni giorno possiamo vedere che importanza abbia la creazione di un consenso di massa alle classi dominanti attraverso la scuola, la chiesa, la stampa, il cinema, attraverso l'azione soffocante dei monopoli economici (che impediscono la diffusione delle ideologie ribelli a quella dominante), e quella direttamente repressiva dell'apparato statale. Non necessario, pensiamo, diffonderci in una esemplificazione, che sin troppo presente alla mente di tutti noi. Quel che ci sembra pi importante, rilevare le condizioni generali che sinora hanno permesso, nella storia, l'affermarsi dell'egemonia culturale di questa o di quella classe sfruttatrice, e le caratteristiche di tale egemonia. Gi quel che siamo venuti dicendo ci mostra, in primo luogo, qual il carattere del consenso che una classe dominante sfruttatrice pu conseguire in una data societ per la sua ideologia, per la sua cultura, per il suo dominio. E' un consenso inevitabilmente solo forzato, passivo, o disperato; perch il potere, l'ideologia, la cultura della classe dominante non esprimono (o esprimono solo parzialmente e contraddittoriamente) gli interessi, le aspirazioni, le condizioni di vita e i sentimenti dell'enorme maggioranza del popolo. Grazie alla sua superiore cultura, grazie al suo potere economico, grazie al potere diffusivo e repressivo dell'apparato statale, una classe dominante oppressiva e sfruttatrice pu cos ottenere ed ha effettivamente ottenuto 96

nella storia una egemonia culturale che la condizione del consolidamento del suo dominio politico; pu ottenere un consenso di massa: ma questo consenso resta necessariamente forzato, limitato, passivo e sempre di nuovo incrinato e minato dall'esplosione di vere e proprie ribellioni ideologiche e culturali, nelle quali l'intima dilacerazione della societ di classi trova la sua espressione.

La spontaneit come consenso passivo.

La politica culturale, cos, di una classe oppressiva e sfruttatrice, che abbia gi fondato il suo potere politico, sempre orientata nel senso del mantenimento del carattere passivo del consenso delle masse, sempre rivolta contro ogni tentativo ed ogni manifestazione di una partecipazione attiva delle masse ad una elaborazione nuova della ideologia e della cultura. La politica culturale di una classe dominante sfruttatrice ed oppressiva perci sempre, nei confronti delle masse, una politica di orientamento, ed eventualmente di imposizione, in senso conformistico: essa tende a radicare nella maggioranza degli uomini l'idea che cos sempre stato, e cos sempre necessariamente sar: perch quel che sempre stato appunto il suo dominio di classe, quella cultura, quella ideologia, quel costume, quella morale che esprime le condizioni del suo dominio. Per questo, ancora, la politica culturale, la direzione di una classe dominante sfruttatrice ed oppressiva fondata sulla spontaneit delle masse: spontaneamente, il figlio dello schiavo portato a pensare che non vi sia per lui altra condizione di vita che quella in cui egli nato e cresciuto, altro sistema di rapporti e di costumi e di credenze -- di cultura di quello che egli ha trovato gi costituito e consolidato; e lo stesso si dica del servo della gleba o del moderno proletario. Spontaneamente, l'ideologia dominante quella della classe dominante: ogni superamento, ogni sortita dal quadro di questa ideologia, di questa morale, di questa cultura, richiede una attivit, uno sforzo, una lotta, che implica appunto una coscienza, che si contrappone all'abbandono alla spontaneit, all'abbandono a quel che sempre stato . L'abbandono delle masse alla loro spontaneit ci appare cos come la condizione fondamentale del mantenimento di quel consenso passivo, di quella egemonia culturale che caratteristica di una classe dominante oppressiva e sfruttatrice. Ma vi di pi. Per una classe oppressiva e sfruttatrice, l'impostazione della sua politica culturale sulla spontaneit delle masse caratteristica non solo per il periodo in cui essa ha gi stabilito il suo potere politico, ma anche, in una certa misura, per il periodo in cui essa ancora lotta per la conquista di tale potere. Nei confronti della vecchia classe dominante, certo, la nuova ben lungi dall'abbandonarsi alla propria spontaneit: contro il regime dominante, cos, vediamo anzi la borghesia dei Comuni, o quella della Rivoluzione inglese, e poi di quella francese, elaborare una vivace polemica culturale, che, lungi dall'essere abbandonata alla spontaneit, trova forme tutt'altro che spontanee di organizzazione basti pensare alla grande Enciclopedia! profondamente rinnovatrici. Ma resta pur sempre il fatto che, gi prima di conquistare il potere politico, la borghesia si era venuta costituendo, in seno alla vecchia societ, come classe sfruttatrice economicamente dominante nel sistema dei rapporti di produzione: il che implica, s, una polemica culturale contro le vecchie classi dominanti, ma implica anche lo spontaneo affermarsi tra le masse di una egemonia culturale della borghesia, prima ancora che questa conquisti il potere politico: sicch, alla ribalta della Rivoluzione francese, la borghesia pu presentarsi non gi come borghesia capitalistica, come classe gi oppressiva e sfruttatrice, ma come Terzo Stato, come rappresentante degli interessi generali della societ, come classe che gi sulle masse popolari ha stabilito la sua egemonia culturale. 97

Profondamente diverse sono, come chiaro, le caratteristiche e le condizioni della lotta che la classe operaia, nella societ contemporanea, combatte per l'affermazione della sua egemonia culturale. In seno alla societ capitalistica, lungi dal potersi costituire in classe sfruttatrice ed economicamente dominante, la classe operaia la condizione e la materia stessa di quella peculiare forma di sfruttamento, sul quale questa societ fondata. Lungi dall'implicare automaticamente, spontaneamente, una egemonia culturale, una tale condizione implica, per la classe operaia, nella societ capitalistica, una condizione di assoluta inferiorit culturale, la negazione, addirittura, di ogni possibilit di cultura. Le inchieste sul lavoro industriale in Inghilterra al principio dell'Ottocento dalle quali Marx ha tratto il quadro lumeggiato nel I volume del Capitale ci mostrano in che senso giuochi, per la classe operaia e per le sue possibilit culturali, la spontaneit e l'abbandono alla spontaneit della societ capitalistica: orari di lavoro di 14 e i6 ore per bambini di 7 o 8 anni, lavoratori ridotti ad automi che piombano dal lavoro estenuante direttamente nel sonno intossicato dalla fatica e dall'alcool... Nonch una cultura e un'egemonia culturale, l'abbandono alla spontaneit non consente alla classe operaia, nella societ' capitalistica, neppur lo sviluppo della sua lotta liberatrice sul piano pi strettamente politico. Ancor pi: non le consente neppur la costituzione in classe per s, come dice Marx; perch per un proletario, prodotto della differenziazione e della degradazione di tutte le classi, del confluire nei grandi centri industriali di una popolazione di diversa origine regionale, nazionale, religiosa, di diverse capacit professionali, la costituzione in classe implica la conquista di una coscienza di classe, il superamento della spontaneit dei pregiudizi corporativi, nazionalistici o altri che la variet di origini dei proletari comporta.

La classe operaia e la sua politica culturale.

Per questo a differenza di quel che avvenuto per le classi dominanti che di volta in volta si sono avvicendate nella storia la classe operaia non potrebbe non solo affermare la propria egemonia politica e culturale nella societ contemporanea, ma neppure costituirsi come classe per s, senza una lotta contro la spontaneit, senza una lotta contro il proprio passivo consenso alla cultura, alla morale, al costume dominante; senza enucleare dal proprio seno il Partito della classe operaia questo intellettuale collettivo , come efficacemente ha scritto Gramsci che ne incarni e ne esprima la coscienza, non passiva e spontanea, ma attiva e riflessa, maturata nella visione e nel giudizio complessivo dei rapporti sociali, della morale, della cultura della societ capitalistica. Per questo, nella teoria e nella pratica della lotta liberatrice della classe operaia, la teoria del Partito e i suoi problemi di organizzazione hanno un peso decisivo che non si ritrova nella lotta per il potere di altre classi, nella quale la spontaneit culturale e organizzativa espressa in forme tradizionali, religiose, corporative od altre conserva un'importanza assai maggiore. Se questo vero per la classe operaia per quanto riguarda i suoi rapporti interni, tanto pi vale per i suoi rapporti con le altre classi oppresse e sfruttate e per la possibilit della esplicazione della sua missione liberatrice. Conquistarsi i propri alleati, affermare la propria egemonia politica e culturale nella lotta per il socialismo, implica per la politica culturale della classe operaia e del suo Partito un orientamento diametralmente opposto a quello delle classi oppressive e sfruttatrici, che sinora si sono avvicendate nel dominio. Per queste, la condizione prima di ogni consenso, di ogni alleanza di massa, la condizione per la loro egemonia culturale, era la passivit culturale delle masse sottostanti: che sola poteva garantire, appunto, la classe dominante dall'esplosione di rivolte ideologiche e culturali delle masse oppresse e sfruttate. Per la classe operaia, invece che non pu liberar se stessa, senza liberare la societ da ogni 98

forma di oppressione e di sfruttamento l'affermazione della propria egemonia culturale esige una lotta conseguente e continuata contro ogni forma di spontaneit, contro ogni forma di passivit culturale, non solo nelle proprie file, ma tra i pi larghi strati delle masse oppresse e sfruttate. Costruirsi il proprio sistema di alleanze e di consensi, cos, significa per la borghesia, ad esempio, mantenere nella loro arretratezza economica e culturale le grandi masse della piccola borghesia contadina ed urbana, consolidare in esse l'idea dell' sempre stato cos, e sempre cos sar ; significa ottundere in esse, con tutti i mezzi, la coscienza dei contrasti che le potrebbero separare o contrapporre alla grande borghesia, scioglierle dal passivo consenso alla sua politica. Per la classe operaia, conquistarsi degli alleati tra queste masse, affermare nei loro confronti la propria egemonia politica e culturale, comporta uno sforzo diretto in senso opposto: significa lottare contro la spontaneit, suscitare in questi strati un'attiva coscienza dei contrasti che dilaniano la societ contemporanea, e dei mezzi necessari a superare tali contrasti; significa persuadere, con l'esempio e con la lotta, il contadino pi arretrato che, anche se egli ha sempre fecondato col suo lavoro una terra non sua, anche se sempre cos stato, non sar sempre necessariamente cos; significa persuadere, con l'esempio e con la guida, il contadino particellare della superiorit tecnica, economica e sociale dell'azienda collettiva; e tutto ci non possibile sulla base di una passivit culturale delle masse, implica bens una loro attiva elevazione ed elaborazione culturale. Questa caratteristica opposizione della politica culturale della classe operaia nei confronti di quella delle vecchie classi dominanti ci si manifesta in una forma particolarmente rilevante quando si metta a paragone l'atteggiamento di queste classi nei momenti critici del processo rivoluzionario. Si veda, ad esempio, in che senso prevalentemente diretto lo sforzo dei grandi oratori ed uomini politici della Rivoluzione francese. Al popolo si parla sempre di Terzo Stato, o di popolo, o di Nazione: in tutti i modi si cerca di ottundere o di mascherare il senso dei contrasti interni che gi dividono il popolo. E si vada poi a rileggere il discorso che Lenin pronunci al Congresso dei soviet contadini, nei giorni stessi della Grande rivoluzione socialista. Qui tutto diverso ed opposto l'orientamento: proprio Lenin che scientificamente, obiettivamente mette in rilievo la diversit delle impostazioni che le masse contadine e, rispettivamente, la classe operaia dnno al problema della terra; non si nasconde punto, anzi si mette in rilievo, il fatto che l'impostazione che spontaneamente i rappresentanti delle masse contadine presenti al congresso dnno a questo problema profondamente diversa da quella che d il Partito della classe operaia. Di fronte a questa diversit, la classe operaia non impone alle masse contadine la propria soluzione, d anzi il proprio appoggio politico alla soluzione propugnata dai contadini, mette al servizio di questa soluzione la propria forza; ma al tempo stesso, sul piano culturale, con un'opera di persuasione che, iniziata col discorso di Lenin, si allarga e si sviluppa per decenni, l'esperienza storica delle masse contadine viene stimolata ed illuminata e organizzata, la spontaneit piccolo-borghese delle masse contadine viene superata: sicch la soluzione socialista, la soluzione che la classe operaia prospetta ai problemi contadini, s'impone non gi per esterna imposizione, o per passivo consenso, ma per una sua documentata superiorit culturale, che le masse dei kolkhoziani han potuto riconoscere attraverso un'esperienza storica, che li ha portati alla conquista di una coscienza socialista. Se vogliamo compendiare in un breve giro di parole, dunque, quanto sinora siamo venuti esponendo, possiamo dire non soltanto che il momento della cultura (del consenso, della coscienza) ha, nella funzione egemonica della classe operaia, un peso ben pi decisivo di quel che esso non abbia per le classi oppressive e sfruttatrici che si sono avvicendate al dominio; ma dobbiamo anche sottolineare come questo momento della cultura (del consenso, della coscienza) acquisti ora un senso ed un orientamento assolutamente nuovi. A una egemonia e ad una direzione culturale, fondate per le vecchie classi dominanti sulla coltivazione della spontaneit delle masse, 99

sull'imposizione e il mantenimento di un loro passivo consenso, la classe operaia ed il suo Partito contrappongono una egemonia ed una direzione culturale fondate sulla lotta contro ogni tendenza alla spontaneit, sullo sviluppo di una coscienza e di un consenso attivo delle masse: sicch appunto, per la prima volta nella storia, nella lotta della classe operaia, il momento della cultura si dichiara nei fatti come momento di una libert umana, e non pi solo di una libert degli oppressori e degli sfruttatori.

Spontaneit contro libert della cultura.

Mi sembrato particolarmente opportuno e necessario insistere cos a lungo, nel mio discorso, su questi aspetti e su queste differenze della politica culturale della classe operaia in confronto a quella delle vecchie classi dominanti, perch le considerazioni che son venuto sviluppando sono indispensabili, io penso, a una giusta impostazione dei dibattiti che, attorno a questa grande manifestazione culturale di Venezia, si sono accesi e si accenderanno nel paese. Non bisogna dimenticare che per vent'anni, in Italia, con la sua violenza aperta e brutale, il fascismo ha soffocato e represso ogni libera manifestazione delle correnti e delle tendenze a un effettivo rinnovamento della nostra cultura. Per venti anni, gli intellettuali e tutti quanti, nel nostro paese, hanno sentito l'esigenza di tale rinnovamento, hanno dovuto lottare contro la violenta e brutale repressione, contro i metodi che il fascismo adoperava nella lotta contro ogni tentativo di effettivo rinnovamento culturale, cos come contro ogni sforzo di effettivo rinnovamento sociale. Ma proprio per questo, proprio per il senso di sollievo che ogni uomo di cultura ha giustamente provato per l'abbattimento del fascismo, la nostra felice liberazione da un sistema di diretta e violenta repressione culturale rischia di mascherare ai nostri occhi il fatto che quella egemonia culturale, di cui il fascismo stato lo strumento pi violento e brutale, non affatto liquidata nel nostro paese, ma continua ad esercitarsi, se pure in quelle forme pi sottili e profonde, che anche nel tempo fascista, d'altronde, erano ben pi decisive di quelle violente e spettacolari. E' facile riscontrare, cos, fra gli intellettuali del nostro tempo, quanto sia diffusa la concezione secondo la quale la libert della cultura si risolverebbe, per l'artista o per lo scienziato o per il filosofo, nel rifiuto di ogni direzione culturale, nell'abbandono alla sua spontaneit creativa. Per venti anni si dice, in sostanza ci si voluti costringere all'inquadramento, all'organizzazione, alla produzione di una cultura par ordre du Mouphti; ne abbiamo avuto abbastanza, e che non ci si venga dunque pi a parlare di organizzazioni e di inquadramenti e di direttive culturali; lasciateci fare il nostro lavoro e vedrete che costruiremo una nuova cultura veramente libera . Il ragionamento specioso e non pu mancar di far colpo su ogni intellettuale, in quanto solletica, fra l'altro, quella tendenza all'individualismo atomistico che nella societ capitalistica caratterizza in modo particolare i lavoratori intellettuali. Eppure proprio in questo ragionamento, cos ovvio in apparenza, si nasconde l'insidia pi sottile e profonda alla quale or ora accennavamo. Si badi bene. Che significa per ciascuno di noi, per ogni produttore di cultura, l'abbandono alla propria spontaneit creativa? Che significa il rifiuto di ogni direzione culturale? Che significa il rifiuto di ogni forma di inquadramento e di organizzazione dell'attivit culturale? Ciascuno di noi, ogni produttore di cultura ogni uomo, d'altronde non nasce e non opera in una societ che, dal punto di vista culturale come da quello economico e sociale, sia una tabula rasa, priva di 100

iscrizioni e di determinazioni. Nasce ed opera culturalmente in una societ data ed in un settore determinato di quella data societ: dove ritrova, prima ancora di iniziare una sua cosciente attivit produttiva, sedimentazioni culturali che sono il prodotto de l'opera delle lunghe passate generazioni. Nasciamo e siamo educati in una famiglia che si formata in rapporti sociali dati: che sar di operai o di contadini o di professionisti o di commercianti, con quel costume e quella mentalit e quei metodi di educazione e quella morale quella religione, eventualmente che son propri di quell'ambiente sociale. Nasciamo e siamo educati in quella citt o in quel villaggio dati, impariamo a parlare dapprima in quella data lingua o in quel particolare dialetto, vestiamo in quelle fogge, ascoltiamo quelle ninne-nanne o quelle canzoni che del nostro villaggio o della nostra citt esprimono la caratteristica e la limitazione folcloristica, storicamente data; e cos via. Che potrebbe significare dunque, l'abbandono dell'uomo di cultura alla sua spontaneit creativa? Che mai potrebbe significare una libert della sua cultura, abbandonata a questa sua spontaneit? Non potrebbe significare altro, evidentemente, che una riduzione della cultura a mera passivit, a una passiva accettazione e meccanica ripetizione di motivi, diciamo cos, folcloristici cio prodotti di una sedimentazione di attivit culturali del passato d'altronde incongrui e incoerenti: Quel che caratterizza, in effetti, questi sedimenti folcloristici che ciascuno di noi ed ogni gruppo sociale trova in s come dato e come materia della sua elaborazione culturale, appunto (come giustamente rileva Gramsci) la loro casualit, la loro frammentariet e la loro incoerenza. A molti tra voi sar stato magari insegnato, nel catechismo, che il mondo stato creato in sei giorni; e poi a scuola sar stato insegnato che la formazione della terra ha richiesto centinaia di migliaia di secoli. Non son pochi, ancor oggi, anche tra i professori di geologia nelle nostre Universit, magari, coloro nella cui coscienza queste due affermazioni contraddittorie, ed evidentemente incongrue l'una con l'altra, pacificamente convivono, in quanto non vengono confrontate ed elaborate, ma restano accettate come dati passivamente accolti da diverse fonti e tradizioni folcloristiche, che in ciascuno di noi variamente si incrociano. Ciascuno di voi potr facilmente ritrovare in se stesso, nella propria esperienza personale, esempi del genere, in quei settori della sua cultura sui quali meno frequentemente si concentra il fuoco della coscienza. Ma penso che saremo tutti d'accordo nel riconoscere che una attivit e tanto pi una produttivit culturale nasce e pu affermarsi solo l dove ciascuno di noi od un dato gruppo sociale non si limita pi ad accogliere passivamente i dati folcloristici, contraddittori e incoerenti, che in lui s'incrociano come sedimenti delle diverse tradizioni culturali di cui egli l'erede, bens prende coscienza della loro contraddittoriet ed incoerenza e si adopera a confrontarli, ad elaborarli, a svilupparli in un sistema che gli appaia coerente perch prodotto della sua attivit unificatrice. Cos si afferma nell'uomo la sua vocazione scientifica o filosofica, quando gl' incongrui dati di una tradizione magica o religiosa e una pratica esperienza frammentaria vengono elaborati e confrontati e sistemati; ma cosa anche si afferma la sua vocazione artistica che non saprebbe esplicarsi l dove i dati folcloristici contraddittori della tradizione, del linguaggio, della tecnica, del gusto, non fossero sempre di nuovo elaborati e superati unificati dalla personalit dell'artista. Nulla ci appare, cos, meno spontaneo della creativit dell'uomo di cultura che pu esser tale, anzi, solo a condizione di vincere l'abbandono alla spontaneit delle tradizioni folcloristicamente incoerenti che egli trova come date nella sua societ e nella sua coscienza; e nessuna cultura sarebbe meno libera, di quella che si abbandonasse alla spontaneit creativa dei singoli produttori di cultura , senza una organizzazione e senza una direzione culturale: ch una tale cultura sarebbe tutta dominata, anzi, dal 101

peso insostenibile di contraddittorie tradizioni, ne resterebbe schiacciata e ridotta, appunto, come dicevamo or ora, da cultura a mero folclore. Il processo, in effetti, grazie al quale ciascuno di noi passato e passa da una pura e passiva ricettivit culturale ad una attivit, ad una produttivit culturale, non un processo che si compia o si possa compiere misticamente, per una superiore illuminazione che baleni nella nostra coscienza individuale. un concreto processo storico, condizionato, beninteso, dalla attivit di ciascun individuo e dalle sue particolari capacit, ma che si svolge e si pu svolgere solo nel vivo contesto dei rapporti sociali, e pertanto nel quadro di un'organizzazione, di una egemonia, sotto il segno di una direzione culturale.

La cultura, momento della lotta contro la spontaneit.

E come si compie, in effetti, per ciascuno di noi, questo processo del passaggio dalla ricettivit all'attivit culturale, dall'accettazione passiva di incoerenti dati folcloristici alla loro elaborazione in un sistema pi o meno coerente? facile rilevare che esso si sviluppa proprio in quel medesimo contesto di rapporti sociali dal quale noi abbiamo tratto i dati, la materia della nostra attivit culturale. Nella famiglia abbiamo passivamente assimilato, certo, costumi e abitudini e attitudini morali e sentimentali, ma abbiamo anche imparato a parlare e a pensare, a elaborare, sia pur ancora in forme elementari, la nostra pratica esperienza, sia pur ancora infantile e limitata, di piccoli uomini, sotto la direzione culturale paterna o materna, in quell'embrionale organizzazione culturale che la famiglia. E cos sulla piazza del nostro villaggio, o nell'aula della nostra scuola elementare, abbiamo passivamente assimilato, certo, un dialetto o una lingua che ci si sono presentati come un dato storico gi costituito, e abitudini e nozioni anch'esse date da una tradizione; ma al tempo stesso, in quel dato contesto di rapporti sociali, abbiamo cominciato a confrontare la nostra cultura familiare con quella di altre famiglie, abbiamo slargato il nostro orizzonte culturale; l'abbiam dovuto unificare non foss'altro che ai fini del nostro giuoco comune con quello proprio di altri bimbi che portano con s un'altra, diversa tradizione familiare; sicch la nostra lingua non pu gi pi restare quella tutta materna del pappo e del dindi , ma deve superare la sua limitatezza folcloristica, familiare, e confrontarsi, unificarsi in una lingua pi universale: che oggi il gergo della mia banda di monelli e sar domani il dialetto paesano e poi ancora la lingua nazionale. E a ciascuna di queste produzioni culturali, ciascuno di noi si trova di fronte non solo come parte passivamente ricettiva, ma come parte attiva che la elabora e contribuisce al suo sviluppo. E dalla culla alla piazza del villaggio all'aula della scuola o a quella universitaria o all'officina, quel confronto di tradizioni, quella loro elaborazione e unificazione che esprime la nostra attivit e la nostra produttivit culturale, si compie sempre in un dato contesto di rapporti sociali, grazie ad una data organizzazione, nel quadro di una data egemonia, sotto il segno di una data direzione culturale: che sar quella della famiglia o della banda di monelli o della scuola o dell'officina o degli artisti coi quali mi trovo al caff, ma sar sempre un'organizzazione che ha pur sempre i suoi statuti e le sue leggi, scritte o non scritte che siano; e la sua direzione (individuale o collettiva che sia) che esprimer l'egemonia culturale del padre o del maestro o del monello capobanda o di quel che di comune nell'officina si enuclea dalle varie ma omogenee esperienze di una collettivit di lavoratori. Libert della cultura non potrebbe dunque significare, per ciascuno di noi o per il complesso dei produttori di cultura di una data societ, un abbandono alla nostra spontanea creativit individuale : per il semplice fatto che una produttivit culturale non pu nascere da un abbandono alla spontaneit, n pu affermarsi in un isolamento dell'individuo dal vivo contesto dei rapporti sociali; e l dove tale 102

impossibile spontaneit e isolamento si realizzassero, l'uomo non sarebbe pi uomo, n una cultura potrebbe nascere che non fosse quella delle api che di generazione in generazione vengono sempre ripetendo quelle loro meravigliose s, ma meccaniche, e immutabili costruzioni. N una libert della cultura e nessuna cultura, libera o no ch'essa sia potrebbe darsi, all'infuori di un'organizzazione di una direzione culturale che rappresentano, di contro al momento della passivit, della pura ricettivit, della spontaneit folcloristica, tradizionale, proprio il momento dell'educazione, della coscienza attiva, della produttivit culturale. La libert della cultura non potrebbe dunque risolversi come d'altronde non pu risolversi nessuna specie di libert in una sorta di arbitrium indifferentiae, in una cervellotica rinunzia del produttore di cultura ad ogni organizzazione e direzione culturale; presuppone, invece, proprio la scelta cosciente di una data forma di organizzazione e di direzione culturale. E quanto via via siamo venuti dicendo nel nostro discorso, gi ci d delle indicazioni sui termini entro i quali la nostra scelta chiamata a pronunciarsi nella societ contemporanea: la scelta di una organizzazione e di una direzione culturale attiva, cosciente, l'unica alternativa all'accettazione inconscia di una organizzazione, di una direzione, di una egemonia culturale delle vecchie classi dominanti fondata sull'isolamento atomistico e su di una relativa passivit d egli uomini di cultura. Non c'inganni, badate bene, un'apparenza tutta superficiale ed esterna. Le vecchie classi dominanti che hanno organizzato, alimentato, finanziato, armato e sostenuto il fascismo, hanno dovuto cambiar spalla al loro fucile, hanno dovuto rinunziare o mutar la forma di alcuni dei loro strumenti di repressione culturale. Il Minculpop ha cambiato nome, passato con gli stessi funzionari, con la stessa mentalit a una pi diretta dipendenza della Presidenza del Consiglio e del Vaticano. Ma non sono neppure i fasti o nefasti della censura cinematografica quelli che pi ci interessano; quel che ben pi grave, tutto l'apparato culturale attraverso il quale, prima e durante il fascismo, s affermava la egemonia culturale delle vecchie classi dominanti dalle scuole elementari alle universit, ai collegi, alle parrocchie, agli organismi cinematografici e teatrali restato sostanzialmente intatto anche dopo la guerra di liberazione o si venuto rapidamente ricostituendo e riconsolidando nelle forme tradizionali. N, malgrado lo sviluppo del movimento operaio e democratico in questo dopoguerra, questo ha ancora avuto tempo e modo di mutare decisamente nel paese i rapporti di forza sul terreno culturale, come gi senza dubbio avvenuto sul terreno pi strettamente politico. chiaro di per se stesso, infatti, che ogni mutamento del genere si realizza sempre, sul piano culturale, con un inevitabile ritardo su quello che si verifica sul piano sociale o politico. Ancor oggi, cos, tutto l'apparato culturale delle vecchie classi dominanti fasciste e prefasciste restato praticamente intatto; e ci che ancora assai pi grave delle vecchie classi dominanti sono restate praticamente intatte le tradizioni e l'egemonia culturale. I luoghi comuni di questa tradizione, che ogni bambino italiano passivamente assimila fin dai primi anni della scuola e ancor prima, nell'educazione familiare e religiosa, che a ciascuno di noi sono imposti col martellamento continuo degli articoli di fondo o con la cronaca dei giornali indipendenti, al cinema o al teatro, sono restati fondamentalmente gli stessi: sicch, oggi come ieri, anche senza che le classi dominanti debbano ricorrere sempre ai metodi fascisti, l'abbandono ad una spontaneit della cultura e del singolo produttore di cultura significa, di fatto, l'accettazione passiva, cosciente o incosciente, della tradizione e della egemonia culturale delle vecchie classi dominanti. Non per caso che, da Croce a Gonella, dal Corriere della Sera alla Nuova Antologia, al Quotidiano, al Tempo, si vedono oggi tutti gli esponenti e tutti gli strumenti ideologici delle vecchie classi dominanti farsi banditori, nientedimeno, della libert e dell'indipendenza della cultura e addirittura, in nome di questa libert , il ministro Gonella dar opera alla distruzione della scuola laica, sicch ovunque si estenda il 103

monopolio confessionale e clericale. Non un caso che gli esponenti delle vecchie classi dominanti e della vecchia cultura si accaniscano furibondi in nome sempre, beninteso, della libert della cultura contro ogni tentativo della cultura e degli uomini di cultura italiani volto a dare un'organizzazione autonoma ed una direzione cosciente alla loro attivit. Non un caso, perch gli organizzatori e gli esponenti dell'egemonia culturale delle vecchie classi dominanti sanno assai bene che il singolo uomo di cultura, isolato, impotente ad elaborare e tanto pi ad affermare una nuova cultura, contro il peso schiacciante del vecchio apparato, delle vecchie tradizioni, degli inveterati luoghi comuni della cultura delle classi dominanti. Per mantenere la loro egemonia ideologica e culturale, i rappresentanti delle vecchie classi dominanti hanno bisogno dell'isolamento e dell'impotenza degli uomini di cultura, hanno bisogno del loro abbandono alla spontaneit, all'accettazione incosciente di una tradizionale egemonia: sicch essi si riducano, da creatori e produttori di una cultura nuova e pericolosa, a semplici agenti tecnici di un altrui dominio costituito.

Organizzazione culturale e autonomia della cultura.

caratteristico, in questo senso, l'atteggiamento che le classi dominanti del nostro paese hanno assunto di fronte all'iniziativa per .la costituzione dell'Alleanza della cultura. Voi conoscete fatti. Degli uomini di cultura di differente e contrastante orientamento ideologico, politico, culturale, si riuniscono al teatrino di Santa Cecilia, a Roma. Si riuniscono non gi per cercare o proclamare una conciliazione o un'unit di impostazioni ideologiche, che sanno contrastanti, bens per ricercare comuni ed autonome soluzioni a problemi organizzativi e istituzionali della cultura italiana che appaiono urgenti a ciascuno di noi. La linea per la soluzione di tali problemi viene prospettata in un manifesto che porta le firme dei pi illustri esponenti della nostra cultura, di uomini di destra e di sinistra, di artisti e di scienziati. E, ad approfondire la discussione 'dei problemi impostata nel manifesto, si convoca a Firenze un Congresso della cultura italiana, a cui vengono invitati a partecipare gli uomini di cultura e le organizzazioni culturali, senza distinzione di parte politica o ideologica. Si tratta dunque di uno sforzo, da parte dei produttori di cultura , volto a dare alla cultura italiana delle forme di organizzazione, di direzione culturale, non certo soffocanti o coattive, ma autonome; si tratta di uno sforzo volto a superare la frammentariet, la dispersione, l'impotenza delle iniziative culturali e di superare al tempo stesso la struttura a circoli chiusi, caratteristica della nostra cultura: sicch la voce degli uomini di cultura italiani possa farsi sentire e trovare una eco ed acquistare un peso nella vita del paese. Ebbene, qual stata, di fronte a tale iniziativa, la reazione delle nostre classi dominanti? Le avevamo viste, certo, in quei medesimi giorni, accanirsi nella loro stampa contro uomini di cultura illustri che avevano dato la loro adesione al Fronte democratico popolare. Eppure, la loro reazione di fronte a tali prese di posizione politiche restava relativamente moderata e controllata. Contro gli uomini di cultura, per contro, che hanno dato la loro adesione all'Alleanza, la campagna di calunnie, di improperi, di pressioni terroristiche, di ricatti, ha raggiunto un diapason senza precedenti. Le classi dominanti italiane hanno insomma dimostrato che, se il passaggio di un uomo di cultura nel campo democratico le preoccupa, il fatto, invece, che gli uomini di cultura (pur restando ciascuno nelle sue posizioni politiche, di destra o di sinistra che siano) si diano un'organizzazione e prendano un'iniziativa autonoma sul terreno culturale e unitario, le fa andare addirittura in bestia, fa loro perdere il controllo di se stesse.

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Tutto questo, evidentemente, non pu meravigliare chi sia venuto con noi seguendo il filo del nostro discorso. Le classi dominanti italiane hanno giustamente avvertito, col loro istinto, tutto il pericolo che per la loro egemonia culturale rappresenta una organizzazione ed una direzione autonoma della cultura e degli uomini di cultura italiani. Esse hanno perfettamente avvertito che, per mantenere questa loro egemonia culturale, per mantenere gli uomini di cultura italiani in una loro funzione di semplici tecnici riproduttori e diffusori di una passiva tradizione culturale, esse hanno bisogno di mantenere a tutti i costi gli uomini di cultura nel loro isolamento atomistico. Perch l'egemonia culturale delle vecchie classi oppressive e sfruttatrici fondata necessariamente non solo sulla passivit e sulla frammentariet folcloristica delle masse, ma anche sulla passivit e sulla frammentariet della cultura, della sua organizzazione in circoli chiusi, sull'isolamento atomistico degli uomini di cultura. Per questo, in nome di una pretesa libert e indipendenza della cultura, le, vecchie classi dominanti e i vecchi arnesi del loro dominio van predicando, in questo campo, un anarchico atomismo, che oggi la condizione per il mantenimento della loro egemonia. E poco importa loro se questo atomismo condanna la vecchia cultura italiana ad una meccanica riproduzione di vecchi motivi, ad una sterilit che invano si ammanta di forme stravaganti: e son solo muffe e venefiche efflorescenze su di un corpo gi morto e putrescente. Poco importa, questo, alle vecchie classi dominanti, purch gli uomini della vecchia cultura, chiusi nel loro atomistico isolamento, seguitino inconsciamente a servirle, ripetendo agli italiani, parum de Principe, nihil de Deo ; e non si arrischino, soprattutto, a... violare la libert della cultura delle classi dominanti uscendo dal loro isolamento, affrontandosi da circolo a circolo non pi chiuso, confrontando esperienze culturali diverse, elaborando e unificando dai frammenti di una cultura tradizionale e passivamente accolta, che ancora folclore una nuova cultura che sia pi umana e universale coscienza sociale. Siamo abbastanza esperti dei metodi e dei sistemi delle classi dominanti per sapere che, sul piano culturale come su quello pi immediatamente politico, ogni qual volta degli uomini di cultura nel nostro paese prendano delle iniziative nel senso di un'autonoma organizzazione della cultura, fuori del sistema egemonico dominante, si troveranno di contro la Nuova Antologia e l'Europeo, Croce e Gonella, i Quaderni della Critica e magari la Civilt Cattolica che in nome della libert e della indipendenza della cultura combatteranno e diffameranno queste iniziative. E forse che, sul piano pi direttamente politico, non vediamo questi stessi uomini e queste stesse istituzioni e questi stessi organi di stampa combattere ogni giorno, in nome della libert del lavoro , i lavoratori e la loro libert, il loro diritto di sciopero e la loro libert di organizzazione? E forse che non vediamo, ogni giorno, questi medesimi uomini e organi di stampa, che magari si proclamano indipendenti in nome della indipendenza delle organizzazioni sindacali, farsi patrocinatori di correnti o di organizzazioni sindacali che sono indipendenti, si, dai lavoratori, perch direttamente dipendono dai padroni? E' naturale che i beati possidentes, le classi che beneficiano di una secolare e tradizionale egemonia culturale, cerchino di presentare come libera e indipendente una cultura che esprime e conferma il loro dominio di classe. Non ci meravigliamo punto del fatto che esse cerchino di presentare ogni iniziativa, ogni affermazione di una cultura nuova come una violazione della libert e dell' indipendenza della cultura. Non ce ne meravigliamo affatto, perch sappiamo che una classe dominante sul suo declino storico ha ancora per usare una locuzione volgare ma espressiva il coltello dalla parte del manico, beneficia di una spontaneit del suo tradizionale dominio, di ogni passivit, di ogni forza d'inerzia; sicch le facile far passare per libert e per indipendenza della cultura quel che proprio il suo contrario, l'abbandono della cultura alla sua passiva spontaneit, la sua inconscia subordinazione e dipendenza dalle classi dominanti. E forse che ad un intossicato di cocaina o di morfina, per il quale l'uso della droga sia divenuto 105

inveterata consuetudine, non vien fatto di pensare che viola la sua libert e la sua indipendenza chi pressantemente lo invita a disintossicarsi, a organizzare il faticoso procedimento necessario a tal uopo, e in questo procedimento lo dirige, lo guida, lo ammonisce? possibile che questo paragone non vada a genio e sembri comunque esagerato a molti tra voi. Eppure la libert e l' indipendenza che si va predicando da certi pulpiti agli uomini della cultura proprio la inconscia servit e dipendenza dell'intossicato, cui a forza, e fin da bambino, fosse stata iniettata la droga. Ebbene, noi non esitiamo a dire apertamente che noi siamo contro questa pretesa libert e indipendenza da intossicati; siamo contro una pretesa libert della cultura che significhi abbandono degli uomini di cultura alla spontaneit di una passiva ed inconscia subordinazione alla tradizionale egemonia dei luoghi comuni e delle classi dominanti; siamo contro una pretesa libert che significhi abbandono degli uomini di cultura al loro atomistico isolamento e rinuncia della cultura alla sua funzione unificatrice di una societ e di una coscienza sociale, ancora dilacerate e frammentarie. All'egemonia culturale delle classi dominanti, a una passiva spontaneit che invano cerca di mascherarsi da libert, noi apertamente contrapponiamo l'attiva e cosciente libert della nostra lotta per una cultura nuova: che agli uomini di cultura, a tutto il popolo, affidi non il compito servile di una meccanica riproduzione o diffusione di una cultura gi fatta, bens quello libero e nobile dell'autonoma creazione di nuovi valori. Sappiano gli uomini della cultura che, per la via che noi loro additiamo, essi non hanno che le loro catene dorate o non che siano da perdere; un mondo da conquistare. Un mondo per una comune umanit, che gli operai, i lavoratori comunisti vogliono conquistare con gli uomini, per gli uomini della cultura. E vedete, noi non esitiamo punto a dichiarare che anche e proprio per conquistare con voi questo mondo noi siamo oggi qui, alla Biennale di Venezia. S, i comunisti hanno bisogno di venire alla Biennale per imparare e per insegnare qualcosa, per lavorare con voi alla nuova cultura; hanno anche sentito il bisogno di mandarvi a imparare e a insegnare, a lavorare, insieme con pittori e scultori, con storici e critici d'arte, un membro della Direzione del loro Partito, nella modesta persona di chi vi parla. Il Partito della Democrazia Cristiana, vedete un po', o il Partito liberale, non hanno sentito questo bisogno; ed naturale. Per dirigere ed orientare nel senso da esse voluto questa grande manifestazione culturale, le vecchie classi dominanti italiane non hanno bisogno di accendere dibattiti, di suscitare un fermento d'idee; non hanno che da affidarsi ad ogni tendenza alla passivit, alla stagnazione culturale. Non hanno bisogno di qualcuno, che venga qui a sottolineare la sostanza di classe dei dibattiti artistici e critici che qui si sviluppano; hanno artisti di grido che, come Manz, spontaneamente, anzi, curano di nascondere questa infiammata sostanza sotto i lascivi panneggi di sottovesti sacerdotali.

Politica della Biennale.

Di questo, appunto, ha oggi bisogno la borghesia italiana; e i suoi giornali diranno che siamo noi, comunisti, a voler portar la politica alla Biennale. Perch la politica della borghesia consisterebbe nel far la politica solo lei, nel far la politica di quel che gi c', di quel che c' sempre stato, una politica per la quale le vecchie classi dominanti dovrebbero comandare e ordinare quadri e statue, magari, e imporre il loro gusto, la loro cultura, senza contrasto, senza lotta: senza, soprattutto, che gli artisti e le classi nuove che con essi ascendono alla ribalta della Storia si arrischino a far del nuovo che non sia innocua stravaganza e efflorescenza dellantico.

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Ebbene, s, noi vogliamo portare alla Biennale, anche alla Biennale, la politica, cio un'altra politica: quella della lotta contro l'egemonia culturale delle vecchie classi dominanti. Ce la portiamo con l'opera dei nostri artisti, e ce la portiamo anche pi modestamente, con questi nostri dibattiti. Manifestazioni come questa della Biennale di Venezia ci dimostrano, anzi, che questo inondo della cultura e dell'arte, che la classe operaia vuole conquistare, un mondo entro il quale gi ferve un'ardente lotta tra il vecchio e il nuovo, fra una tradizione che gi s'irrigidisce e muore e tradizioni nuove che faticosamente si vengono enucleando e conformando. Gi una rapida corsa pei padiglioni della Biennale, qual la prima che stamane ho potuto compiere, vale a documentare l'importanza dello sforzo che oggi nel nostro paese in questo senso si vien realizzando. E' uno sforzo che si sviluppa in direzioni varie; e permettete a me, che a questo mondo delle arti figurative guardo con gli occhi del profano, di dirvi, come forse vi direbbero molti uomini semplici, che non tutti questi sforzi e queste direzioni ci convincono, ci persuadono. Non pochi di questi sforzi ci sembrano svilupparsi su di un piano piuttosto formalmente tecnico, che compiutamente artistico; sicch il loro frutto potrebbe risultare piuttosto di fosforescenti muffe, di stravaganti efflorescenze su di un tronco vecchio e cadente, che non di germi vitali in un albero nuovo. Ma questo sarebbe un altro discorso, che gi con molti tra voi abbiamo iniziato e che altra volta potremo continuare. Quel che qui m'importa di sottolineare, quel che mi sembra costituisce il valore positivo della Biennale, lo sforzo che in essa appare nel senso di un radicamento nella gloriosa tradizione pittorica del nostro paese, accompagnato ad una volont di rigettare e di superare quanto in questa tradizione ormai solo passivo sedimento e materia inerte e frammentaria passivit folcloristica. Per questo, in questo mondo dell'arte contemporanea, in questo mondo di sforzi rinnovatori e di lotte tra il vecchio e il nuovo, la classe operaia, i figli del bisogno e della lotta, non si sentono estranei, n si lasciano abbagliare da fumisterie e da lustre Sanno che conquistare il mondo della cultura significa lottare per una nuova cultura, creare una nuova cultura; sanno che le lotte fra il vecchio e il nuovo che qui si combattono sono anche la loro lotta, e a questa lotta non intendono rinunciare. Neanche sul piano e sul terreno dell'arte, nossignori. E con buona pace di lorsignori del Corriere della Sera e del Tempo, della Nuova Antologia e dei Quaderni della Critica, della Civilt cattolica e dell'Europeo, anche noi comunisti ci occupiamo d'arte e d'artisti, perch pensiamo di aver da dire una nostra parola in proposito. Ce ne siamo occupati, a dire il vero, da tempo, e non. solo con parole, ma con fatti e con opere. Se ne sono occupati molti nostri compagni, militanti comunisti, che da Guttuso a Mafai, da Birolli a Pizzinato, a Turcato, e a non pochi altri, occupano un posto di prim'ordine nell'interesse di quanti visitano e visiteranno la Biennale. Ma non solo di questo che vogliamo qui parlare, non solo questo che qui intendiamo. Guttuso o Turcato, Mafai o Pizzinato, esprimono, in forme sovente discordanti e magari contrastanti, l'apporto del loro talento personale al travaglio rinnovatore delle nostre arti figurative. Lo esprimono in una forma e in un travaglio personale, al quale non certo estranea la loro qualit di militanti comunisti, ma senza che si possa dire che questa loro qualit di combattenti nella causa della classe operaia li accomuni ancora nell'impostazione di una tendenza artistica, capace di esprimere e di orientare in forme adeguate la nostra battaglia per il realismo proletario nelle arti figurative. E come potrebbe essere altrimenti? In questa prima fase della nostra lotta, dopo la liberazione, se gli schieramenti sul terreno pi propriamente politico si sono, da un punto di vista di classe, precisati e chiariti, non ancora avvenuto e non poteva avvenire che con altrettanta chiarezza questi si precisassero sul terreno ideologico e culturale. E accade cos, ad esempio, che pittori astrattisti o poeti calligrafi si ritrovino

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nelle file comuniste e liberali e democristiane, senza che alcuna corrispondenza si possa stabilire fra gli schieramenti di classe sul terreno politico e quelli delle varie tendenze artistiche.

Cultura e direzione culturale.

Tutto ci non ci pu meravigliare, quando si rifletta che proprio sul terreno delle ideologie artistiche pi pertinace l'influenza, pi tenace la forza d'inerzia che tende a mantenere sotto l'egemonia delle vecchie classi dominanti e della vecchia cultura anche quegli intellettuali che sul terreno delle ideologie politiche gi si son riconosciuti fratelli di lotta degli operai. Tutto ci non ci pu meravigliare, noi comunisti e marxisti; ma proprio questo ci incita a far s che l'adeguamento ideologico dei nostri artisti ai loro compiti di lotta per una cultura nuova non sia abbandonato alla spontaneit, ma si sviluppi in una direzione e sotto una direzione attiva e cosciente. Volete dunque fare come in Russia sentiamo gi dirci da qualche giornalista dell'Europeo o del Risorgimento liberale; volete dunque fare come in Russia, dove il Partito bolscevico pubblica risoluzioni del suo Comitato centrale sui problemi della pittura e della musica, della letteratura narrativa o delle scienze naturali? Ebbene, signori, avete tanto da meravigliarvi se in Unione sovietica Partito che dirige la costruzione della societ nuova un Partito che conta milioni di militanti e di combattenti provati esprime un indirizzo ed imprime una direzione cosciente e democraticamente elaborata per il rinnovamento culturale del paese ? Per le classi dominanti italiane, certo, assai pi comodo che la direzione della cultura italiana venga elaborata ed assicurata nell'ospitale salotto di Benedetto Croce; o, all'occasione, dal Sacro collegio dei Cardinali o dalla Congregazione dell'Indice, che sono, notoriamente, istituzioni ed organismi democratici . I popoli dell'Unione sovietica, invece, trovano pi democratica una direzione culturale, elaborata attraverso dibattiti che si svolgono in migliaia di riunioni, sulle colonne della stampa quotidiana e di quella specializzata, tra centinaia di migliaia e milioni di lavoratori. E noi diciamo subito e apertamente che saremmo ben lieti che in Italia si potesse realizzare un tipo di direzione culturale democratica e cosciente, qual quella che oggi si realizza nell'Unione sovietica e che oggi alla cultura sovietica assicura le possibilit di una vera e propria rivoluzione culturale, senza precedenti nella Storia: una rivoluzione che fa della cultura non solo il patrimonio, ma la creazione di tutto un popolo e non pi solo di una piccola minoranza di privilegiati. Con la medesima franchezza, tuttavia, con la quale dichiariamo la netta nostra preferenza per una direzione culturale affidata al Partito dei lavoratori alla loro coscienza organicamente espressa piuttosto che per quella di Benedetto Croce o della Congregazione dell'Indice; con la medesima franchezza, dicevo, dobbiamo ammettere che in Italia siamo purtroppo ben lungi, ancora, dal poter vedere un rapido sviluppo della nostra cultura assicurato da una direzione culturale di questo tipo superiore, democratico. Per realizzare questo tipo di direzione culturale di un tipo superiore, democratico, occorrerebbe che gi in Italia esistesse uno Stato e una societ socialista, in cui le classi oppressive e sfruttatrici fossero da tempo espropriate e liquidate, e in cui non esistessero pi classi antagonistiche; occorrerebbe un apparato culturale democratico, libero da ogni soggezione alle classi dominanti sfruttatrici e un Partito di lavoratori, la loro avanguardia organizzata, che avesse gi maturata non solo la sua unit politica, ma anche una sua cosciente ed attiva unit ideologica; occorrerebbe, infine, che trent'anni (o forse per noi baster un po' 108

meno, ch la strada segnata) di vita della societ socialista avessero assicurato al popolo italiano, come ai popoli dell'URSS, la possibilit di una sempre pi larga ed attiva partecipazione delle masse alla vita e agli interessi della cultura.

La classe operaia e il suo Partito nella lotta per la cultura italiana.

Son tutte condizioni, queste, che ancora mancano nel nostro paese ; e per questo non possiamo fare come in URSS. Noi ci troviamo in una fase ben pi arretrata della lotta della classe operaia e del suo Partito per una cultura nuova e non possiamo ancora porre i compiti di una rivoluzione culturale socialista, come oggi fa il Partito bolscevico, in una societ in cui gi la dilacerazione in classi antagonistiche una cosa del passato. Ma questo non significa che anche di fronte al Partito Comunista Italiano a questa forza che ha gi un peso decisivo nella vita del nostro paese non si pongano dei compiti di direzione nella lotta per il rinnovamento della cultura italiana. t abbiamo cominciato a fare qualcosa e pi intendiamo di fare, e meglio, in questo senso. Si tratta in primo luogo, per noi, di superare noi stessi il nostro atomismo, la frammentariet delle nostre iniziative e dei nostri dibattiti culturali, di mettere in comune e di confrontare le nostre esperienze di uomini di cultura comunisti, di integrarle in quelle pi generali che il Partito della classe operaia elabora nel corso delle lotte che esso combatte alla testa delle masse popolari. Son numerosi nel nostro Partito i rappresentanti egregi della pi varia cultura artistica e scientifica; il loro talento e la loro capacit divengono un patrimonio prezioso per tutti i lavoratori, nella misura in cui questi uomini di cultura non si rinchiudono nelle loro personali esperienze, ma le integrano con quelle dei loro compagni, dei nostri compagni, di tutto il Partito e collettivamente e coerentemente le elaborano. E' quel che abbiamo cominciato a fare, prima cos, alla buona, tra pochi amici e compagni, e ora, sempre pi, in dibattiti pi larghi, che non debbono restare dibattiti d specialisti o di intellettuali comunisti, ma debbono diventare dibattiti di tutto il Partito. E per questa via, appunto, con questo metodo non solo formalmente, ma sostanzialmente democratico, noi pensiamo di avviare gli intellettuali del nostro Partito al superamento del distacco che ancor oggi spesso in essi esiste fra il loro orientamento politico, di classe, e l'indirizzo della loro attivit produttiva sul terreno culturale che resta ancora spesso legato a tradizioni e forme e contenuti di classi estranee ed avverse. Per questa via, ne siamo certi, attraverso un lavoro collettivo nel quale i nostri compagni artisti, critici, letterati, scienziati hanno un compito d'onore, alla luce della teoria e della pratica d'avanguardia del marxismo-leninismo, il nostro Partito viene e verr sempre meglio contrapponendo, alla direzione culturale passiva e oppressiva delle vecchie classi dominanti, una direzione culturale democratica, di tipo nuovo, nella quale si vengono elaborando e sviluppando tutti i germi e le tradizioni di una cultura democratica, socialista, che esistono nel nostro paese. Ma vi di pi. Fuori del Partito, in ogni settore della cultura italiana, ogni iniziativa, ogni forma di organizzazione, che liberi gli uomini della cultura dal loro isolamento atomistico e dalla loro subordinazione all'egemonia culturale delle vecchie classi dominanti, significa, noi lo sappiamo, una vittoria della cultura nuova. Anche a quest'opera noi ci daremo con tutto l'entusiasmo e tutta la devozione e lo spirito di sacrificio e la tenacia di cui i comunisti hanno dimostrato di esser capaci. Sappiamo tutte le difficolt di quest'opera. Sappiamo che nulla possiamo attenderci dall'abbandono alla spontaneit. Sappiamo che la forza tremenda di quel che 109

sempre stato giuoca solo a favore della borghesia. Sappiamo che ogni pigrizia, ogni passivit, ogni vilt, ogni timidezza intellettuale e morale, giuoca solo a favore delle vecchie classi dominanti e contro di noi. Trecento anni sono trascorsi da che, in un periodo di tragiche crisi sociali, di profondo travaglio culturale del nostro popolo, Tommaso Campanella intonava un suo canto, che un canto di speranza e di certezza. Musa latina cantava fra Tommaso

Musa latina, vieni meco a canzone novella: te al novo onor chiama quinci la squilla mia... Al novo secol lingua nova instrumento rinasca. Pu nova progenie il canto novello fare.

Oggi una nuova progenie, invero, salita alla ribalta della Storia, la progenie dei figli del bisogno e della lotta. Sulla sesta parte del globo, quella Citt del sole, che il frate calabrese aveva sognato, divenuta una realt; e il suo sole illumina anche il nostro cammino. La Musa latina sapr intonare, in questa luce, la sua canzone novella. E i nostri artisti, i nostri poeti sapranno trovare la nostra lingua nuova. difficile, duro lo sforzo della ricerca, dura la lotta per la lingua nuova della nostra cultura nuova; sapremo coglierla dalle labbra di tutto il nostro popolo, con la forza di tutto il nostro popolo: pu nova progenie il canto novello fare .

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Per la Cultura italiana

Envelop'd in you sleep greater heroes and bards.... (Walr Whitman: A woman waits for me)

Intervento nella discussione all'assemblea costitutiva della Alleanza della Cultura, tenuta in Roma al Teatro dell'Accademia di Santa Cecilia il 19 febbraio 1948 . Resoconto stenografico.

Non ho l'intenzione di soffermarmi, in questo mio intervento nella discussione, sui problemi che si pongono in un dato e singolo settore della nostra cultura. Il prof. Volterra per la ricerca e per l'insegnamento universitario, Brandi per i musei, Lele D'Amico per la cultura musicale, Guttuso per quella figurativa, Pietrangeli per il cinema, ci hanno gi dato di questi panorami delle condizioni e delle necessit della nostra cultura nelle sue varie specialit. Il prof. De Ruggiero, che presiede questa nostra riunione, potr meglio di ogni altro illustrarci i problemi della nostra scuola; e molti altri tra i presenti, certo, interverranno ancora con competenza ben maggiore della mia a prospettare i nostri compiti particolari in diversi e vitali settori della nostra lotta. Il contributo che io mi sento di poter dare alla nostra opera comune , per contro, piuttosto quello di una precisazione della linea generale sulla quale il nostro lavoro pi efficacemente potr svolgersi. E se mi permetto di dir questo, ci non gi perch io pretenda ad una particolare autorit nell'impostazione di questi problemi generali, ma solo perch, nella preparazione di questa nostra prima assemblea, ho avuto larghi scambi di idee con tutti voi, e dalle conversazioni con voi, proprio, ho potuto trarre quello che mi sembra un minimo comun denominatore, secondo il quale la nostra opera potr svilupparsi. Abbiamo ascoltato, all'inizio di questa nostra riunione, la lettura di un elenco numericamente e qualitativamente imponente di personalit della cultura italiana che hanno aderito alla nostra iniziativa e che di essa sono partecipi. Noi ci rallegriamo di questo primo successo, di questa immediata risonanza che il nostro appello ha suscitato. Questo significa che la nostra iniziativa risponde ad una necessit reale e sentita della cultura italiana. Ma questo primo esito non deve illuderci sulle difficolt della nostra impresa. Noi tutti conosciamo la struttura e le tendenze atomistiche che caratterizzano il mondo della nostra cultura; sappiamo quanto siano grandi le difficolt che s'incontrano quando si cerchi di raggruppare, non dico gli uomini della cultura, ma anche, pi semplicemente, quelli che hanno una particolare cerchia di interessi culturali. Queste difficolt mi ricordano, sotto molti aspetti, quelle che ho incontrato nella mia esperienza di studioso e di combattente per la soluzione dei problemi del nostro Mezzogiorno. Anche in quel campo, come sovente avviene tra gli uomini della nostra cultura, ognuno ha i suoi grossi guai, le sue lamentele, le sue rivendicazioni da porre; ma quando si tratta di unirsi per avere la forza necessaria al successo di quelle rivendicazioni, le difficolt appaiono spesso insormontabili.

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Di contro alla indubbia difficolt della nostra opera, che non potr essere compiuta n in qualche mese n in qualche anno, sta la sua necessit e la sua urgenza: oggi pi che mai. Oggi pi che mai, gli uomini della cultura italiana si sentono come scriveva Luigi Russo in un suo articolo in Italia socialista vasi di coccio tra i vasi di ferro ; sentono che la voce della cultura italiana resta soffocata o senza risonanza nel paese. Non dobbiamo aver paura di parlare qui di un fatto, di cui sarebbe d'altronde vano cercare di nasconderci l'importanza. Siamo in periodo preelettorale, ed il paese schierato in due fronti contrapposti: possiamo scandalizzarcene e dolercene, ma non si pu non riconoscere che questi schieramenti di forze politiche e sociali hanno pur una loro profonda ragion d'essere. Certo per che, nel clamore che dalle due parti si leva, gli uomini della cultura hanno sovente l'impressione che la loro voce resti sommessa, e inascoltati i loro lamenti. Certo che, in questo clamore, uomini politici e di governo di ogni colore tutti presi da problemi urgenti, che s'impongono sovente col morso della miseria e della fame quando si sentono proporre un problema delle nostre Universit o dei nostri Conservatori musicali, putacaso, sono portati a considerare questi problemi piuttosto dal punto di vista di un contingente interesse di Partito (per quanto legittimo esso possa essere) che non da quello degli interessi specifici e permanenti della nostra cultura. In questa situazione, proprio, acquista un particolare rilievo lo sforzo comune di quanti hanno a cuore gli interessi della nostra cultura a che la sua voce, la voce della cultura, trovi la forza e il modo di farsi sentire nel paese. Si consideri, ad esempio, quanto avvenuto per l'azione in difesa della nostra scuola, che il prof. De Ruggiero, con pochi altri, ha valorosamente condotto; o quanto avvenuto ed avviene dell'altra azione, che si sta sviluppando in difesa del nostro cinema e della nostra cultura cinematografica. Si pu forse dire che queste campagne, pur condotte con intelligenza e con spirito di sacrificio, abbiano avuto la risonanza che esse meritavano, abbiano mobilitato quelle forze che erano necessarie al loro successo e che pur esistevano ed esistono nel paese? Io credo che noi dobbiamo apertamente riconoscere che ci non avvenuto, e che ci noti avvenuto proprio perch i vari settori ed i vari interessi della cultura italiana sono ancora tutti chiusi e impacciati nel loro atomistico isolamento. La prima condizione e, al tempo stesso, il primo obiettivo della nostra lotta, deriva proprio da questa costatazione: l'obiettivo dell'unit della cultura italiana, dell'unione e dell'organizzazione degli uomini di cultura del nostro paese per la difesa, per la salvezza della cultura italiana. Non si tratta, beninteso, semplicemente di un problema organizzativo. Per secoli la cultura italiana malgrado la sua limitatezza ed il suo distacco dal popolo ha saputo restare una universitas studiorum, non ancora ridotta ad un complesso puramente strumentale e tecnico di singole discipline. Dopo di allora, il progresso stesso della cultura e della sua specializzazione ne ha frammentato l'unit. Considerate oggi il settore delle arti figurative, o quello delle lettere e della critica, o quello delle scienze giuridiche: ovunque ritroverete questa tendenza alla limitazione della cultura in circoli chiusi, in vere e proprie mnadi senza finestre l'una sull'altra e sul mondo. Ed una tale struttura comporta un analogo linguaggio, o piuttosto la sua frammentazione in dialetti e gerghi: parlati dapprima da cento specialisti che s'intendono solo tra loro e che poi si raggruppano essi stessi in dieci diverse chiesuole, le quali hanno ciascuna il loro sotto-gergo che non pi di dieci persone intendono; sinch, per questa via, avviene che in queste chiesuole nascono nuovi scismi, e nemmeno chi parla arriva pi a raccapezzarsi nel suo gergo: tanto vero che non vi cultura dove non vi unit e universalit di cultura. Non un caso, cos, che, da un secolo a questa parte, se pi numerosi che per il passato sono stati i Convegni di uomini di cultura dei singoli settori, non si siano pi avuti, nel nostro paese, Congressi della 112

cultura, sul tipo di quei Congressi degli scienziati che tanta parte hanno avuto nella preparazione del nostro Risorgimento nazionale. Non un caso: e ripercorrendo, per mie ricerche storiche, gli atti di quei Congressi, mi veniva recentemente fatto di considerare quanti valori della nostra cultura si siano venuti affievolendo per questa mancanza, nel corso dell'ultimo secolo, di un tale contatto e di un tale scambio tra i vari settori della nostra cultura. Ma vi di pi. Per l'unit della cultura italiana noi dobbiamo lottare anche in un altro senso, oltre a quello di cui qui abbiamo fatto cenno rievocando la necessit di una universitas studiorum. L dove una cultura staccata o tende a distaccarsi dagli interessi, dalle aspirazioni, dalla sensibilit degli uomini semplici, la universitas studiorum anche se mantiene, come nel Medio Evo o nel Rinascimento, una formale ed estrinseca unit della cultura tende inevitabilmente a degradarsi ed a specializzarsi in una funzione puramente tecnica e strumentale. divenuta un luogo comune, oggi, nel nostro paese, la costatazione del fatto che i nostri scrittori sono da noi sovente ridotti a scrivere per gli altri scrittori, o per quelli che hanno intenzione di divenirlo; e i pittori a dipingere per gli altri pittori, e i musicisti per i musicisti. La storia ci mostra che quando una cultura si ristretta, nei suoi vari settori, a questa funzione ed a questa frammentazione formale e tecnicistica, la sua disgregazione e la sua decadenza son rapidamente precipitate: a meno che, proprio, essa non abbia saputo riconquistare la sua unit, la sua forza, il suo intrinseco valore in una ripresa di contatto con la vita, con la nostra comune umanit. Quando parliamo, pertanto, della necessit di una nostra lotta per l'unit della cultura italiana, non parliamo di un problema di organizzazione corporativa che resti estrinseco alla cultura stessa. Non si tratta soltanto di unirci per poter meglio far sentire la nostra voce, e neanche soltanto di unirci per essere pi forti, per meglio far valere gli interessi della cultura nei confronti delle autorit statali, del pubblico bilancio, o magari di potenziali mecenati. Si tratta, se volete, anche di tutto questo; si tratta di unirci per essere pi forti, ma di una forza che non soltanto rivolta verso l'esterno, bens anche e principalmente rivolta in noi stessi, per il pi intimo rafforzamento e sviluppo della nostra cultura, che possa cos ridiventare, di frammentaria e tecnica e strumentale, davvero autonoma e libera. Nella lotta per l'autonomia, per la libert della cultura, mi sembra sia da ravvisare il secondo fondamentale obiettivo che si propone alla nostra azione comune. Una cultura, che non voglia lasciarsi degradare ad una funzione puramente tecnica o strumentale, deve oggi di nuovo, nel nostro paese, concretamente proporsi questo obiettivo. Non si tratta e non si potrebbe trattare, qui, tra noi, tra uomini di diversissimo orientamento ideologico, politico, culturale non si tratta di ricercare il terreno di una in impossibile, e d'altronde infeconda, conciliazione ideologica. Ma tutti noi possiamo trovarci d'accordo per un'azione comune, volta a far s che la effettiva direzione della cultura italiana non sia affidata a forze estranee al mondo della cultura stessa, e subordinata ad interessi che con la cultura non hanno nulla a che fare. Basti pensare a quel che oggi avviene nel campo della scuola o del cinema o del teatro, dove interessi a carattere puramente commerciale, e sovente addirittura truffaldino, minacciano seriamente la seriet delle nostre attivit culturali; dove, sempre pi spesso, le difficolt che dobbiamo superare non sono pi soltanto quelle obiettive, derivanti dalle presenti ristrettezze economiche del paese, ma altre, che nascono da incomprensioni e da impedimenti burocratici, o addirittura, e pi frequentemente negli ultimi tempi, da una politica di diretta repressione anticulturale. Con Silvio D'Amico possiamo essere e saremo, probabilmente in disaccordo nel giudizio sull'insegnamento religioso nelle scuole o su di un dato film della nuova scuola realistica italiana; ma non penso che il nostro disaccordo eventuale su queste questioni possa impedirci di svolgere un'azione comune perch la scuola confessionale privata non debba trasformarsi in una fabbrica di diplomi a pagamento, e perch la censura cinematografica non debba ridivenire nel nostro paese un ostacolo che impedisca le manifestazioni di ogni libera cultura. Cos pure con 113

il nostro presidente De Ruggiero non ci troveremo forse d'accordo su tutti i problemi di una riforma scolastica, ma ci non potr punto impedirci di sviluppare un'azione comune perch il Consiglio superiore della pubblica istruzione, di embrionale organo di autogoverno della scuola, non possa essere trasformato in un organismo burocratico, incaricato di dar lo spolverino sulle lettere e sui decreti del ministro. Quando parliamo di autonomia della cultura, o di autogoverno della scuola, nessuno tra voi potr pensare, spero, che io voglia qui accennare ad una concezione corporativa della direzione culturale. chiaro, io credo, per tutti noi, che cultura non significa soltanto cultura dei produttori di cultura, bens un interesse comune di produttori e consumatori, per cos dire. Lottare per l'autonomia e per la libert della cultura significa oggi concretamente, nel nostro paese, far s che di contro ad una direzione culturale la quale resta fondamentalmente, come sotto il fascismo, commerciale, burocratica, soffocante, sovente repressiva si sviluppi una direzione culturale autonoma, libera, democratica, ispirata agli interessi della cultura stessa e non di ceti privilegiati o di ristrette camarille. Lottare per l'autonomia e per la libert della cultura significa introdurre nella direzione della cultura italiana degli elementi di iniziativa e di controllo democratico da parte degli uomini della cultura stessi, delle loro organizzazioni e da parte delle masse dei consumatori di cultura. Non mancano le possibilit in questo senso. Non vediamo perch, ad esempio, i problemi della scuola da quelli degli edifici scolastici sinistrati a quelli dei patronati o a quelli della riforma debbano restar affidati, per la loro soluzione, solo agli egregi ma spesso impotenti funzionari del Ministero. Pi di una volta si sono avute, anche qui a Roma, nelle borgate e a San Lorenzo, delle vere e proprie dimostrazioni di massa per la scuola. Ci troviamo qui in presenza di una forza che agisce in forme spontanee, elementari. Forse che non v', per gli uomini della scuola, la possibilit di legarsi a questa forza dei consumatori dell'insegnamento scolastico, di orientarla, di coordinarne le azioni? E forse che impossibile immaginare, ed organizzare, una lotta di massa degli operai delle nostre grandi officine del Nord, in appoggio alla nostra lotta per l'aumento delle dotazioni ai nostri gabinetti scientifici ed ai nostri politecnici? O, per passare ad un campo tutto diverso, forse che gi non sono in corso delle iniziative assai interessanti per manifestazioni di massa in difesa del cinema italiano, contro l'invadenza puramente mercantile dei sottoprodotti dell'industria cinematografica americana? In altri casi, non si tratter soltanto di un legame tra produttori e consumatori di cultura per azioni difensive o rivendicative, ma addirittura di iniziative costruttive, sul tipo dei Circoli del cinema, di Circoli corali che qua e l gi esistono, di Case della cultura, e cos via. Le forme possono e debbono essere varie, secondo la variet delle esigenze nei vari settori della cultura; ma nello sviluppo e nel reciproco appoggio di queste iniziative, di difesa o costruttive che siano, si concreta oggi quella lotta per l'autonomia e per la libert della cultura di cui tutti, di nuovo, sentiamo l'urgenza. Contro i rinnovati tentativi di ristabilire nel nostro paese un monopolio della cultura, sul tipo di quello che il fascismo per venti anni ci ha imposto, e fondato sovente sugli stessi uomini, sulle stesse camarille, appena camuffate, possibile e necessario, per tutti gli uomini di cultura degni di questo nome, per tutte le forze popolari interessate al libero sviluppo della cultura, realizzare un fronte comune che nostro compito promuovere ed organizzare. Questa lotta organizzata per l'autonomia e per la libert della nostra cultura si rende oggi tanto pi necessaria, in quanto a minacciarla intervengono oggi non soltanto quelle forze tradizionali che gi nel ventennio fascista, e prima ancora, l'hanno compressa e repressa, bens anche altre, di origine diversa ed esterna, se pure da quelle tradizionali sovente non disgiunte. Quando parliamo della necessit di una lotta per la difesa della nazionalit, del carattere nazionale della nostra cultura come del terzo fondamentale obiettivo della nostra azione, ci riferiamo proprio a queste nuove minacce che oggi si addensano sulla 114

nostra cultura e che gi su di essa, sulle sue stesse possibilit di vita e di autonomo sviluppo, gravemente incidono. Non si tratta, beninteso, da parte nostra, di una rivendicazione di quell'autarchia culturale, della quale il fascismo avrebbe voluto fare un'arnia contro la cultura e contro la libert. Sappiamo tutti che la nostra cultura non si mai sviluppata e non potrebbe mai svilupparsi senza aprirsi agli scambi pi larghi con tutte le correnti del pensiero di ogni popolo e di ogni paese; e questi scambi, anzi, vorremmo veder allargati e promossi. Sappiamo che solo da tali scambi, da questa mutua fecondazione, pu nascere e affermarsi la nuova cultura italiana, italiana perch umana, e umana perch italiana. Ma queste verit che tutti noi, e non da oggi solo, ma negli anni pi duri dell'autarchia fascista, abbiamo affermate e difese, non ci fanno dimenticare, e non debbono farci dimenticare, che sotto veste di scambi culturali si cerca oggi di imporre al nostro paese il processo di una vera e propria colonizzazione culturale. Ognuno di voi, che vive giorno per giorno la concreta esperienza dei singoli settori della nostra cultura, sa che, quando parliamo di vera e propria colonizzazione, non usiamo un'espressione che sia semplicemente metaforica. Basti pensare a quel che avviene nel campo del cinema, o in quello della narrativa, o in quello del mercato per le produzioni delle arti figurative; o, in forme diverse, si consideri il significato dell'emigrazione dei nostri scienziati, dei nostri tecnici, dei nostri ricercatori. Oggi si parla, addirittura, di pubblicazioni periodiche straniere, che gi offrono contratti a scrittori italiani e che dovrebbero essere lanciate con imponenti mezzi tecnici, organizzativi e finanziari. Si tratta, in tutti i casi qui solo accennati, non gi di scambi culturali effettivamente liberi, realizzati su di un piede di parit ed in base ad una effettiva complementariet di bisogni culturali, bens di processi unilaterali e coatti, ispirati ed appoggiati da interessi puramente mercantili o politici di gruppi stranieri, e prevalentemente americani, che perseguono una politica di colonizzazione vera e propria del nostro paese, fondata sul soffocamento e sulla repressione delle iniziative nazionali. Il successo di questa colonizzazione non affidato ad una libera competizione che si realizzi sul terreno culturale, bens a potentissimi organismi, dotati di schiaccianti mezzi finanziari e di poderose attrezzature organizzative. Basti pensare a quel che avviene per il cinema, dove i grandi circuiti son divenuti, appunto, monopolio di gruppi americani o di gruppi italiani ad essi subordinati. Ma se qui il fenomeno pi visibile, anche grazie alla mancata applicazione, da parte del Governo, della legislazione esistente, il fenomeno non appare meno grave nel campo, ad esempio, della letteratura narrativa. Si tratta di un lavorio complesso che sempre pi sfacciatamente si sviluppa, specie ad opera di gruppi americani, con obiettivi in cui gli interessi mercantili e quelli politici sono sovente intimamente mescolati. Questa azione volta alla colonizzazione culturale del nostro paese tanto pi insidiosa, in quanto spesso si lega e sempre pi tende a legarsi, o addirittura a identificarsi con quella svolta da certi circoli ecclesiastici e vaticani che le offrono una trasparente mascheratura u nazionale . Sugli effetti pratici, sulle conseguenze materiali di questa colonizzazione, non credo sia neppur necessario attirare la vostra attenzione, perch voi tutti quotidianamente, ormai, le sperimentate. Ma necessario rilevare come questa invasione di una cultura o meglio, dei sottoprodotti di una cultura mercantile minacci non solo le possibilit materiali di sviluppo di interi settori della nostra cultura, bens qualcosa di ancor pi intimo e di pi vitale: le radici di un gusto, di una cultura che esprimano il genio particolare del nostro popolo. Sotto la maschera di un cosmopolitismo, che quello dei grandi alberghi o dei grandi trusts, e che non ha nulla a che fare con la umanit della cultura, si vorrebbe cos diffondere nel nostro paese l'idea che la nazionalit e l'indipendenza nazionale siano concezioni ormai superate : si vorrebbe, sul piano culturale come su quello economico e politico, aprire le porte d'Italia allo straniero, indebolire la capacit di resistenza del nostro popolo alle imprese di asservimento a forze ad esso estranee e nemiche. Dobbiamo 115

dire apertamente che noi siamo contro questo cosmopolitismo che proprio il contrario di quell'internazionalismo nel quale i movimenti operai e democratici esprimono la loro sete d'umanit; dobbiamo dire apertamente che una cultura umana non pu nascere dall'amputazione e dalla repressione, ma solo dalla mutua fecondazione, dalla libera integrazione di culture radicate nella tradizione ed espresse dal genio nazionale; dobbiamo concretamente mobilitare ed organizzare quelle forze che sono capaci di difendere e di potenziare con la cultura nazionale la libert e l'indipendenza stessa della Nazione. E questo compito tanto pi urgente nel nostro paese ove, per le ragioni storiche ben note, la nostra unit nazionale ancora recente e la stessa cultura tradizionale ha sofferto della funzione cosmopolitica che gli intellettuali italiani per secoli hanno avuto, a scapito di un loro pi organico legame col popolo e con la nazione. Lottare per la nazionalit della cultura significa dunque oggi, tra noi, lottare per il carattere popolare della cultura stessa: non solo nel senso di una sua diffusione e divulgazione tra le masse, ma nel senso che nelle masse del nostro popolo, nelle sue aspirazioni, nel suo gusto, nelle sue lotte essa sempre pi approfondisca le sue radici. E questo, e non altro, significa lottare per una effettiva modernit della cultura: che non pu significare stravagante ed artificiosa ricerca del nuovo e dell'originale, ma deve significare anzitutto conquista e creazione di una cultura nuova, adeguata al grado di sviluppo storico raggiunto dal nostro popolo. Un tale grado di sviluppo non consente pi, oggi, una cultura che sia monopolio e particolaristica espressione di ristretti gruppi privilegiati. Non lo consente, perch il nostro popolo stesso che non lo consente, che non accetta pi di subire questo monopolio di una cultura frammentaria. Per questo, lottare per la modernit della nostra cultura significa oggi tra noi ed questo l'altro fondamentale obiettivo che vorrei qui additare alla nostra azione comune lottare contro l'oscurantismo, contro il rinnovato tentativo di costringere le masse del nostro popolo alla passivit e nell'arretratezza culturale. Che questa lotta contro l'oscurantismo sia ritornata all'ordine del giorno, un'altra di quelle costatazioni sulle quali non credo vi sia bisogno d'insistere qui; cos come non credo sia necessario insistere sul fatto che l'azione oscurantistica trova oggi un centro d'organizzazione particolarmente pericoloso nei gruppi clericali che si sono riinstallati al governo del paese. Io sono tra coloro che, all'Assemblea Costituente, hanno voluto dare il loro tributo al mantenimento della pace religiosa, votando l'articolo 7 della Costituzione. Ma non penso che nessun articolo 7 autorizzi, ad esempio, un sacerdote ad insegnare nelle pubbliche scuole della Repubblica italiana che le streghe sono invasate dal Demonio , e che ben faceva la Chiesa a farle bruciare vive! Eppure queste sono le cose che si sentono insegnare nella scuola magistrale frequentata da mia figlia, nella Capitale d'Italia: dove si studia un'ora di fisica alla settimana, ma dove due ore alla settimana son dedicate a lezioni di questo genere!

Nella lotta contro tutte le forme dell'oscurantismo si riassumono, in un certo senso, tutti gli altri obiettivi che ho cercato di additare alla nostra azione comune: perch tutto quello contro cui abbiamo a lottare significa oscuramento della luce, del lume della cultura. Ma permettetemi di dirvi ancora qualcosa sui metodi e sulle forme della lotta che qui ci proponiamo di svolgere. E permettetemi anzitutto di sottolineare che di una lotta, proprio, si tratta. Commetteremmo un errore, credo, se pensassimo che per creare un'unit della cultura italiana quell'unit che necessaria a far sentire e pesare la sua voce credo che commetteremmo un errore, dicevo, se pensassimo che per creare una tale unit basti dire, alla romana, volemose bene , quasi che si trattasse di un semplice, amichevole convegno o di una tea-party. No, noi abbiamo di fronte a noi un compito duro e difficile e per assolverlo dovremo combattere contro aperte ostilit e contro incomprensioni e diffidenze. Chi si unir a noi sar 116

soggetto, gi lo sappiamo, ad inaudite pressioni e ad allettamenti ed a ricatti; gli si dir che la nostra un'Alleanza politica, bench qui siano uomini di diverse e opposte parti politiche; e vi saranno dei deboli o dei timidi che si tireranno indietro e che non avranno il coraggio di seguirci nella nostra lotta. Non importa, andremo avanti lo stesso, e verr il momento in cui recupereremo anche questi timidi: purch in buona fede servano gli interessi della cultura. Ma sar un compito difficile. Non ci attendiamo dei successi spettacolari. Sappiamo che anche delle azioni spettacolari sono necessarie per l'affermazione d'una iniziativa qual la nostra, ma sappiamo anche che il suo successo, come tutti i successi della cultura, pu esser conseguito solo con un'azione lenta, pertinace, paziente, minuta. Gi a questa nostra prima riunione, sono intanto pervenute centinaia di adesioni delle pi eminenti personalit della cultura italiana. Dobbiamo consolidare questo primo successo, dobbiamo costituire la nostra Alleanza della cultura, esprimere in un pubblico manifesto gli obiettivi della sua azione, quali risulteranno precisati dalla nostra discussione. E dobbiamo, sulla base di questo Manifesto, allargare la raccolta delle adesioni agli strati pi larghi della cultura italiana, e non solo ai grandi nomi, ma agli uomini della media e della piccola cultura, alle organizzazioni culturali di massa. Il secondo obiettivo d'organizzazione che subito dobbiamo proporci, quello della preparazione di un Congresso nazionale della cultura, nel quale i temi che oggi qui abbiamo appena accennati possano essere pi largamente e diffusamente dibattuti. Non dobbiamo temere, io penso, di dare a questo Congresso un notevole rilievo, sicch esso risulti una prova di forza vera e propria della cultura italiana, una prova della sua freschezza, della sua vivacit, del suo impegno. Il Congresso potrebbe essere convocato a Firenze, o a Bologna, o a Perugia; la sua impostazione non dovrebbe essere, l'ho gi detto, a mio parere, ideologica, ma piuttosto organizzativa, nel senso di una delibazione dei problemi istituzionali e organizzativi della nostra cultura. A nessuno di voi sfuggir, credo, l'importanza che un tale Congresso pu assumere, particolarmente se riusciremo ad organizzarlo prima delle elezioni. Questo ci creer, certo, un supplemento di difficolt e di diffidenze: ma per questa via otterremo, se non altro, questo effetto sicuro: che tutti i Partiti saranno costretti dal Congresso a prender posizione sui problemi della cultura, a parlarne, ad affrontarli, a compromettersi con la cultura, che altrimenti farebbe la parte della Cenerentola. Se riusciremo ad ottenere questo, a obbligar tutti, in periodo elettorale, a occuparsi della cultura, avremo gi ottenuto un risultato che non di poco conto. Non penso, tuttavia, che n l'Alleanza, n il suo primo. Congresso, possano esaurire questa prima fase della nostra attivit. L'Alleanza stessa, d'altronde, piuttosto che un'organizzazione, io la vedo come un complesso di iniziative articolate nei singoli settori e nelle singole province, sciolte e diverse,ma tutte unite da una sostanziale comunit d'intenti e di metodi. Il legame organizzativo dovrebbe esser dato, mi sembra, da Congressi nazionali, da tenersi con una periodicit annuale o biennale; da scambi e contatti regolari fra le Case della cultura che dovremmo organizzare nei principali centri italiani; e infine, in una forma pi permanente ed organica, da un settimanale culturale, la cui preparazione uno dei nostri compiti pi importanti, se anche certo di non facile soluzione. Ho cercato, lo ripeto, di esprimere qui non tanto idee mie personali, quanto quelle idee ed obiettivi comuni che mi parso di poter enucleare come comune denominatore della nostra azione dalle conversazioni avute con molti tra voi nella preparazione di questa assemblea. E mi pare che questa riunione sar tanto pi proficua, quanto pi nuove proposte pratiche verranno ad integrare quelle che io qui vi ho sottoposte. 117

Tecnica e paesaggio nella riforma agraria

Ora in queste cose, una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non ; anzi piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato n quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le citt, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura.

(Leopardi: Elogio degli uccelli)

Rapporto tenuto il 15 marzo 1948 al Convegno dei tecnici agrari del Mezzogiorno a Portici (Napoli). - Testo stenografico

Parr forse strano che, per parlare dell'avvenire e delle possibilit della tecnica nel rinnovamento agricolo del Mezzogiorno, io parta dalla constatazione di un fatto negativo, di un disagio che mi pare si possa affermare esista in mezzo ai tecnici agrari di tutt'Italia, e forse in particolar modo del Mezzogiorno. un disagio che presenta nei singoli casi manifestazioni varie, ma che pure offrono aspetti comuni.

Disagio dei tecnici.

il disagio di maestri gi anziani, di esperti ricercatori, che trovano, anche in confronto al passato, le loro possibilit, le premesse materiali delle loro ricerche, limitate da difficolt, che sono quelle stesse in cui oggi tutto il paese si dibatte in conseguenza della guerra. Chiunque abbia pratica di laboratori e di ricerche scientifiche sa quali ostacoli bisogna oggi superare: sono ostacoli di ogni sorta, e non soltanto di carattere finanziario. il disagio dei giovani tecnici, di quelli che oggi con pi o meno alta qualifica iniziano la loro attivit di ricercatori o la loro attivit pratica e trovano di fronte a s porte chiuse, e troppo spesso non trovano la possibilit di impiegare utilmente le capacit acquisite attraverso gli studi, attraverso le prime esperienze. Se vogliamo esaminare pi a fondo le varie cause, le varie difficolt che oggi provocano il senso di disagio al quale ho accennato, credo si possa affermare qualcosa di pi, qualcosa che forse meno strettamente legato alle condizioni ed alle possibilit individuali del singolo tecnico. Si pu dire che le radici pi profonde 118

e generali del disagio che si manifesta tra i tecnici agricoli vanno ricercate nel fatto che la voce del tecnico agrario non ha oggi, nella cultura e nella vita del paese, quel posto che le spetterebbe, data l'importanza che la tecnica agraria ha in una delle branche essenziali dell'economia nazionale.

Tecnica come tecnica di massa.

Ma allargando ancora il panorama di questo disagio, non dobbiamo dimenticare qual la situazione in un altro settore, che pur quello stesso della tecnica agraria, intesa nel suo senso pi ampio e pi pieno. Qualcuno degli illustri oratori che mi hanno preceduto ha gi accennato a questo problema. Il problema dei tecnici e della tecnica agraria non solo quello della tecnica degli sperimentatori, dei ricercatori, dei laureati o dei periti in agraria. E, in un senso ben pi largo e profondo, il problema della tecnica, cos come essa opera nella realt del paese : non solo la tecnica, dunque, dei tecnici agrari, ma la tecnica dei contadini, dei piccoli e medi proprietari non coltivatori, della massa degli operatori della produzione agraria. Se consideriamo, anche in confronto di un recente passato, la situazione in questo campo, dobbiamo ancora constatare quel senso medesimo di disagio che abbiamo gi rilevato nell'altro settore. Le iniziative che erano state prese e che avevano anche avuto un certo successo, nel senso di una diffusione della conoscenza e della pratica di una pi moderna tecnica fra i pi larghi strati di operatori agricoli, sono oggi depresse, talora soffocate; ed anche l dove seguitano a svilupparsi, si orientano per vie tradizionali, non pi adatte alla nuova situazione, cos dal punto di vista sociale come dal punto di vista politico. Penso sia necessario, proprio in un convegno della tecnica e dei tecnici agrari, sottolineare con particolare attenzione questo aspetto del vincolo indissolubile che lega i problemi della tecnica, intesa in un senso pi ristretto, con quello della tecnica, intesa nel senso di qualcosa che vive ed opera tra le masse, nel complesso mondo della nostra societ. Dobbiamo oggi considerare come superata una concezione della tecnica, in base alla quale il ricercatore scientifico e tecnico si sente ancora distratto ed astratto dalla responsabilit della coscienza tecnica che diffusa nelle masse. Basti considerare dei grandi nomi della scienza e della tecnica italiana, come Fermi, i quali giustamente si sono preoccupati non soltanto di sviluppare le loro geniali, splendide ricerche nei pi vari campi della scienza, ma si sono anche preoccupati di redigere libri di testo per le scuole medie: essi hanno compreso che non un compito da scienziati, da tecnici di secondo piano, quello di assumersi la responsabilit dell'educazione scientifica e tecnica delle masse degli studiosi o delle masse popolari. Proprio in questo quadro pi largo noi dobbiamo ricercare insieme, in questo Convegno, le ragioni del disagio che esiste nel campo della tecnica agraria: e insieme dobbiamo ricercare la possibilit che abbiamo di inserirci in un processo attraverso il quale questo disagio, le difficolt tra le quali oggi si dibattono i tecnici e la tecnica agraria, possono essere superate. Comincio subito col precisare che questo disagio non deve affatto spaventarci. Diceva il grande tragico greco in un suo dramma famoso che nulla di grande entra nel mondo senza la sventura , senza il dolore. E noi sappiamo che non c' forza motrice della storia che non nasca da un momento negativo; stato sempre questo momento negativo, questo senso di disagio per le condizioni presenti, che ha fatto andare avanti. Mai uomini di pensiero e uomini di azione sono stati mossi al pensiero e all'azione senza provare un 119

senso di disagio di fronte a una realt dolorosa, ad una difficolt; e di qui appunto nato in loro quello slancio che era necessario per incidere profondamente nella realt. Non dunque per trarne delle conclusioni pessimistiche o delle conclusioni di passivit e di rinuncia, che ho voluto sottolineare questo disagio; ho voluto invece farlo per porre in rilievo quegli elementi negativi che ci permettono di portare su di un piano di positiva efficacia l'azione .dei tecnici e della tecnica agraria nel nostro paese. chiaro che, quando constatiamo uno stato di disagio in un determinato settore, se vogliamo che esso diventi un elemento attivo e positivo per un'azione rinnovatrice, dobbiamo avere di fronte al passato un atteggiamento che non pu essere semplicemente quello della constatazione, bens deve essere quello della critica. Un atteggiamento critico nasce l dove determinate condizioni storiche nuove impediscono al pensatore, al ricercatore, di adagiarsi in vecchie posizioni, in vecchi schemi. L'importanza, l'interessamento suscitato da questo Congresso una prova del fatto che questo stato di disagio che esiste nei tecnici e nella tecnica agraria meridionale in ispecie, sta passando, gi passato, in un certo senso, dallo stadio puramente passivo della lamentazione ad uno stadio attivo, ad uno stadio in cui dobbiamo cercare, tutti uniti, cosa dobbiamo fare, cosa possiamo realizzare per il superamento di questo disagio. Vorrei che noi ricercassimo qui, insieme, quali sono le condizioni obiettive che hanno determinato questo disagio e permettetemi di dire anche una parola che spiegher subito questa arretratezza della nostra tecnica agraria e 'quali sono le possibilit del superamento di questa disagio. Ho adoperato la parola arretratezza e parr un termine strano, mentre l'Italia pu dare al mondo intero l'esempio di alcune fra le tecniche organizzative e produttive pi progredite nel campo agricolo. Ma se voi riflettete a quanto prima accennavo, a quel nuovo senso di responsabilit che caratteristico del moderno ricercatore, dello scienziato, del tecnico progressivo; quando riflettete che non si tratta di vantare singole punte raggiunte nel campo tecnico, bens di considerare la tecnica come un fenomeno diffusivo che deve informare di s tutta la vita economica e sociale del paese; se voi riflettete a questo dicevo vi accorgerete che noi possiamo essere relativamente soddisfatti di certe punte tecniche che talora fortunatamente si allargano ad intere regioni; ma che proprio nel Mezzogiorno, invece, accanto a quelle punte avanzate noi ritroviamo una tecnica di massa che si muove ancora su di un piano e su di un livello assai basso. Il fatto stato gi rilevato ed illustrato da alcuni relatori che mi hanno preceduto, ed in particolar modo, per singoli settori, dal prof. Bergami e dal prof. Fotticchia. Non credo si possa negare che, particolarmente nel campo della zootecnia, si siano avuti dei tecnici insigni e si siano registrate delle conquiste importanti. Ma abbiamo sentito dal prof. Fotticchia quanta fatica siano costate queste conquiste, quante difficolt si siano dovute affrontare perch ad esse potessero adeguarsi la tecnica, la realt agricola del nostro Mezzogiorno. Abbiamo sentito dal nostro maestro De Dominicis, a proposito del problema della lavorazione dei terreni, quanti decenni occorrono perch una nuova tecnica agricola possa imporsi nella realt sociale italiana.

Provincialismo della tecnica agraria.

Ricerchiamo dunque le ragioni di questa arretratezza, di questa limitatezza. Il primo elemento di questa arretratezza e del conseguente disagio della tecnica agraria nel Mezzogiorno 120

da ricercare in un certo isolamento o, se volete, in un certo provincialismo della tecnica agraria del nostro paese e della tecnica agraria del Mezzogiorno in particolare. Provincialismo non nel senso geografico, ma nel senso dei rapporti con le altre tecniche e con le altre scienze. Sono stato molto lieto di ascoltare la dotta relazione che il prof. Bergami ha svolto ieri, non soltanto per il merito degli argomenti che egli ha illustrato, ma per il fatto, estremamente interessante, a mio avviso, che in un convegno di tecnici agrari si sia sentita la voce di un luminare di una tecnica e di una scienza che non rientra: di per se stessa, nel campo nostro specifico. Non dimentichiamo che, in tutte le epoche della storia della tecnica agraria, questo allargamento del suo orizzonte stato un elemento decisivo del suo progresso. Basti ricordare cosa ha significato, per lo sviluppo della tecnica agraria nel '600 e nel '700, il contatto fra quella tecnica agraria tradizionale, che era restata sovente allo stato in cui si trovava al tempo di Catone o di Varrone, e la nuova scienza economica che veniva allora svolgendosi in Italia ed in Inghilterra. Basti pensare che cosa ha significato, in un'epoca rivoluzionaria dello sviluppo della tecnica agraria, la sua presa di contatto con la nuova scienza chimica. Un nome solo, quello di Liebig, basta a riassumere in s le conseguenze di questo allargamento di orizzonti della tecnica agraria, di questo superamento del suo provincialismo. Oggi, comunque, questa esigenza di mi allargamento di orizzonti e di una pi larga unit nel campo delle ricerche scientifiche e tecniche si fa sentire con una urgenza ancor pi viva e pi rivoluzionaria di quel che non avvenisse all'epoca di Liebig. Abbiamo visto, nel campo della scienza, un grande matematico come Hill insignito del premio Nobel per le sue ricerche sulla fisiologia del sistema nervoso; un grande fisico, uno dei creatori della fisica moderna quale Schroedinger, allarga l'orizzonte delle ricerche di fisica atomica sino ai problemi della biologia. Nell'agricoltura, per contro, nella tecnica agraria, facile rilevare gravi limitazioni tradizionali, in conseguenza delle quali questo pi largo panorama (del progresso scientifico moderno e questo rapporto concreto (li ricerche con altri settori della tecnica e della scienza resta piuttosto limitato. E direi che resta limitato, non solo per quanto riguarda le ricerche scientifiche e tecniche in senso pi ristretto, ma anche e particolarmente per quanto concerne i rapporti col mondo della politica. C' una evidente diffidenza da parte dei nostri tecnici agrari che sono passati attraverso esperienze dolorose in questo senso; esperienze che spiegano, d'altronde, la loro diffidenza. Resta ancora difficile, per la maggior parte dei nostri tecnici, intendere il fatto che nessun problema tecnico dell'agricoltura pu essere giustamente impostato senza che esso sia posto in relazione con le date concrete condizioni nelle quali la produzione agraria si sviluppa; e non si intende che proprio nella lotta politica e sociale che tali condizioni si determinano. Le manifestazioni di questa diffidenza e di questa timidezza non sono mancate mi sembra opportuno rilevarlo apertamente nell'organizzazione stessa di questo Congresso. Non un mistero per nessuno che vi sono state, in proposito, diffidenze e paure che credo si possano, considerare, oramai, superate proprio dai fatti: ognuno pu vedere che qui c' l'amico Ronchi, che dalla parte del governo, e c' Sereni che all'opposizione, eppure accade perfino che su molte cose siamo d'accordo; e comunque, fino a questo momento almeno, non siamo neanche giunti tra di noi allo scambio di... termini parlamentari. Ho voluto rilevare queste diffidenze, che si sono manifestate anche nella preparazione di questo Convegno, proprio per sottolineare che, quando parlo di allargamento del nostro orizzonte tecnico al campo della politica, non intendo affatto riferirmi alle impostazioni politiche personali di questo o quel tecnico; che non pu non conservare, beninteso, la piena libert di scelta delle sue opinioni politiche, le quali nascono d'altronde da motivi che non sono tecnici, bens, proprio sociali e politici. Ma questo non toglie che, quali che possano essere le sue opinioni politiche personali, il tecnico non pu prescindere, nelle sue impostazioni, nelle sue elaborazioni e nella sua pratica, dal fatto che la sua attivit tecnica condizionata 121

da un determinato ambiente, da determinati presupposti sociali e politici, all'infuori dei quali ogni soluzione astrattamente tecnica resterebbe inefficace, e per ci stesso risulterebbe tecnicamente errata. ' questo, appunto, che accade a certi tecnici, i quali progettano riforme agrarie che dovrebbero risolvere il problema di un maximum produttivo, senza curare, ad esempio, il particolare dell'atteggiamento che la massa degli operatori agricoli avrebbe di fronte ad una tale riforma. chiaro che simili progetti, che si autodefiniscono tecnici , sono errati invece proprio dal punto di vista tecnico, perch l'economia agraria non pu prescindere dall'atteggiamento concreto che gli operatori della produzione agricola hanno di fronte a questa o a quella sua struttura organizzativa. Molto spesso, d'altro canto, i problemi della tecnica agraria vengono artificialmente distaccati da quelli 'dei tecnici e dei ricercatori; ed anche qui si potrebbe constatare quello stesso provincialismo al quale sopra accennavamo. Si veda, ad esempio, quel che avviene a proposito dei nostri rapporti con i colleghi ingegneri che non possono essere considerati soddisfacenti. Io penso che in questo caso, come in casi analoghi, sia necessario studiare la questione anche da un punto di vista organizzativo; ricercare le possibilit di legami che facciano s che i problemi della tecnica agraria diventino problemi della cultura del nostro paese e vengano dibattuti non solo fra noi ma in tutti i settori della cultura italiana. Questo significa che necessario restar collegati organizzativamente e in modo permanente non solo tra di noi; ma con gli altri settori della scienza e della tecnica italiana.

Scienza e tecnica.

Questo mi sembra sia il primo ostacolo che noi dobbiamo superare per vincere quel certo senso di disagio che oggi esiste nel campo della tecnica e dei tecnici agrari. Ma vi a mio parere anche una seconda ragione di questo disagio, una ragione che d'altronde in parte strettamente collegata con la prima. Si tratta di una certa staticit della nostra concezione della tecnica agraria, della natura di questa tecnica, della sua funzione nella cultura e nella societ moderna. Scusatemi se anche qui inserisco questo nostro problema nel quadro pi vasto di quella che a me sembra essere la caratteristica specifica, nuova, rivoluzionaria della scienza moderna in generale. Noi abbiamo avuto, possiamo dire fino al principio di questo secolo ed anche in seguito, una concezione della scienza, e conseguentemente della tecnica, in base alla quale la realt obiettiva su cui lo scienziato era chiamato a giudicare, ad operare, a ricercare, era considerata come un dato, astratto dall'attivit dello scienziato stesso. Il fenomeno appare con maggiore evidenza in quel campo della scienza che in questi ultimi decenni ha fatto i pi rapidi progressi, voglio dire in quello della fisica, e particolarmente della fisica atomica. Anche qui la realt obiettiva era considerata come qualcosa in cui l'osservatore interveniva semplicemente come tale. Ognuno di voi sa che la fisica contemporanea ha superato, con la teoria della relativit e con la teoria dei quanta, una tale concezione dell'osservatore concepito come semplice e passivo registratore dei fenomeni. Sviluppando una impostazione, solo in germe contenuta nello sperimentalismo galileiano, la fisica moderna ha dimostrato che, proprio al fine di raggiungere una effettiva obiettivit della nostra conoscenza, necessario che lo scienziato acquisti coscienza chiara del fatto che egli non un passivo osservatore, ma in realt un operatore che incide con il suo intervento pratico con l'esperimento nella realt. Nella concezione moderna, l'esperimento non pi, cos, semplicemente un criterio ed un mezzo di controllo della verit obiettiva delle nostre conoscenze; diviene un momento decisivo, intrinseco al processo stesso della conoscenza che non pu pi

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essere considerata nel suo esclusivo aspetto teorico, ma diviene un fatto indissolubilmente legato alla pratica umana associata. Questa la caratteristica che possiamo riscontrare in tutti quei settori nei quali la scienza moderna ha raggiunto le sue punte pi avanzate. Ma possiamo noi affermare che nel campo della tecnica, ed in particolare della nostra tecnica agraria, si sia fatto un progresso, un salto corrispondente a quello che avvenuto nel campo delle conoscenze scientifiche? Dobbiamo dire che in complesso questo salto in avanti non si fatto, e che questo un altro motivo di limitazione del nostro progresso tecnico. Gi nella scienza e nella tecnica italiana del Rinascimento basti fare, nei campi pi diversi, dei nomi come quello di Colombo e Machiavelli, di Leonardo e Galilei la tecnica stata concepita come qualche cosa che non interveniva semplicemente a modificare nei singoli punti una realt, ma come qualcosa che trasformava le condizioni stesse nelle quali la tecnica veniva ad operare. La ricerca della via occidentale per le Indie, e la conseguente scoperta dell'America, pu considerarsi come un esempio tipico di quel che io affermo: significa un intervento scientifico e tecnico nella realt di un tipo tale che non si limita semplicemente a modificare una realt esistente, ma modifica le condizioni stesse in cui quella data tecnica in questo caso quella della navigazione si trover poi ad operare. Per quanto riguarda l'agricoltura, noi assistiamo a tipi di intervento tecnico di questo genere nelle epoche del pi rivoluzionario progresso agricolo. Si veda, ad esempio, quel che avvenuto in Inghilterra nel periodo di massimo slancio delle Enclosures. Qui la tecnica agraria non interviene solo a trasformare nei singoli casi la situazione di quella determinata azienda, ma opera una trasformazione radicale del paesaggio agricolo dell'Inghilterra; dei villaggi interi sono scomparsi perch potesse crearsi l'ambiente adatto per il grande allevamento ovino. E contemporaneamente a questa profonda trasformazione del paesaggio agricolo, la tecnica agraria stessa che qui realizza un progresso grandioso. Cos pure oggi, in Italia, nel campo della chimica industriale, noi possiamo ritrovare l'esempio di tecniche nuove che intervengono non solo a risolvere delle questioni particolari, bens modificano profondamente le condizioni medesime in cui tutta l'industria chimica sviluppa la sua attivit. Ma nel campo stesso della tecnica agraria potremmo citare l'esempio di quanto ha fatto il nostro maestro, il prof. Silvestri qui presente, nella impostazione dei problemi della lotta contro i parassiti delle piante. La lotta biologica contro i parassiti delle piante qualche cosa che non costituisce solamente una innovazione nel campo della tecnica, ma qualche cosa che muta l'atteggiamento dell'uomo, dell'umanit di fronte al mondo della natura, trasformando addirittura le condizioni della vita biologica sul nostro globo. Credo che questi esempi debbano additarci la via attraverso la quale la tecnica agraria del nostro paese pu adeguarsi alle nuove, pi avanzate condizioni della scienza. Perch io penso che per il nostro paese noi dobbiamo pretendere da noi stessi non una tecnica qualsiasi, non una tecnica buona per un paese di second'ordine, ma una tecnica adeguata alle punte pi avanzate raggiunte dalla scienza contemporanea; e non potremo essere contenti di noi stessi, e consci di un dovere compiuto, fino a che non avremo conquistato per noi e per il nostro paese una tale tecnica, una tecnica d'avanguardia. Per quanto pi particolarmente riguarda la tecnica agraria, facile invece constatare come, anche in confronto con altri rami della tecnica, ad esempio della chimica industriale, vi sia la tendenza a concepirne lo sviluppo e l'efficacia non nelle f orme nuove, adeguate ai progressi della scienza contemporanea, bens in forme che sono ancora quelle strettamente tradizionali. Si badi bene che, impiegando questo termine, non intendo dargli un senso esclusivamente peggiorativo. Non si tratta affatto di sottovalutare la tradizione che anche per la tecnica una fonte inesauribile di esperienza concreta e viva. Sappiamo che nessuna impostazione tecnica o scientifica pu nel mondo contemporaneo prescindere da un bene inteso 123

storicismo. Ma pensiamo anche che questo storicismo, questa valorizzazione della tradizione tecnica, per adeguarsi alle condizioni della scienza moderna, dev'essere legato al nuovo concetto dell'intervento attivo dell'osservatore, dello scienziato, volto a mutare la realt e le condizioni stesse nelle quali la tecnica viene ad applicarsi. Mi spiegher pi chiaramente con un esempio. Abbiamo imparato dai nostri maestri e spero di non averlo dimenticato che se prendessimo un bell'esemplare di pezzata nera e lo inviassimo senz'altro, putacaso, in un'azienda latifondistica della Lucania, realizzeremmo un'operazione tecnicamente ed economicamente negativa. Lo abbiamo imparato e non dobbiamo dimenticarlo, ho detto. Ma io penso che una tecnica moderna non possa arrestarsi di fronte a questa costatazione di uno stato di fatto, che d'altronde nessuno sogna di negare. Si tratta, per una tecnica e per un tecnico di avanguardia, di operare, di intervenire nella realt del latifondo in un modo tale che quell'ambiente, profondamente trasformato, divenga proprio ed anche capace di accogliere una razza gentile ed esigente qual la pezzata nera: e l'esperienza concreta ha gi dimostrato che ci non impossibile; come non impossibile, in generale, trasformare socialmente ed economicamente un ambiente agrario, in modo tale da renderlo suscettibile all'introduzione di una tecnica pi avanzata.

Isolamento dei tecnici.

Ma per avere una tecnica agraria legata ed aperta ai pi vari apporti della scienza moderna, per avere una tecnica agraria che sia una tecnica di massa, che non restringa la sua efficacia a limitati settori della realt, ma intervenga in quella realt in modo tale da mutare le condizioni stesse nelle quali essa agisce; per avere una tale tecnica, occorre superare quello che a me sembra il terzo motivo, la terza ragione del disagio, delle difficolt, in cui oggi i nostri tecnici si trovano. Accenno qui al relativo isolamento dei nostri tecnici nei confronti della massa degli operatori agricoli. Ognuno di noi conosce le ragioni storiche di questo isolamento. Si tratta d'altronde di un aspetto particolare di un problema molto pi vasto, che non tocca soltanto i tecnici agrari, bens tutti gli intellettuali italiani, nel settore artistico o letterario, come in quello scientifico o tecnico. Questo isolamento quello stesso che ha reso difficile nel nostro paese, ad esempio, la creazione di una letteratura veramente nazionale, cio popolare; cosicch assistiamo a questo fenomeno strano; che mentre l'Italia vanta scrittori come un Leopardi o un Manzoni, la massa degli italiani non legge Leopardi o Manzoni, ma piuttosto romanzi americani, russi o inglesi, nei quali essa trova pi largamente rispecchiate le sue esigenze e la sua stessa vita. un fenomeno che voi tutti conoscete, ma che nel campo specifico della tecnica agraria assume proporzioni ed ha ripercussioni ancora pi gravi di quello che non possa avvenire in altri settori. Gi prima del fascismo, ed ancor pi nel periodo fascista, la maggior parte dei nostri studenti in agraria proveniva nel Mezzogiorno da famiglie di proprietari terrieri grandi e medi, pi raramente piccoli. Dobbiamo aggiungere che negli ultimi anni poi, per ragioni economiche evidenti, avvenuta praticamente una quasi completa esclusione dei figli della piccola borghesia e dei contadini dalla possibilit di accesso alle scuole agrarie. evidente che questo stato di cose ha come conseguenza quasi inevitabile 1M certo distacco fra i tecnici agrari e la massa degli immediati operatori del processo di produzione agricolo. Nel Nord, come sapete, la situazione leggermente diversa, sia per l'esistenza di una categoria pi larga e pi attiva di imprenditori, 124

sia per altre ragioni storiche. Quello da noi constatato , gi di per se stesso, comunque, un fatto tale da spiegarci la deficienza di contatti che poco fa rilevavamo. certo inoltre che, durante il periodo fascista, determinate forme organizzative, attraverso le quali pur una diffusione della tecnica agraria si venuta realizzando, hanno in parte aggravato questa situazione. Qualcuno ha gi ricordato qui l'opera che avevano in altri tempi svolto le Cattedre ambulanti di agricoltura; credo di esprimere un giudizio sul quale molti tra voi concordano, affermando che i nuovi organismi creati dal fascismo, ed in particolare gli Ispettorati agrari, non hanno potuto assolvere quei compiti che in altri tempi appunto alle Cattedre erano affidati. Non faccio qui beninteso una questione di persone, bens di forme di organizzazione e di istituti. Ma c' ancora qualcosa da aggiungere. Oggi, particolarmente qui nel Mezzogiorno, la situazione sociale , senza dubbio, profondamente mutata nei confronti del passato. Al prof. Brizzi, quando, nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale, egli era uno dei migliori cattedratici del Nord, certo capitato spesso di dover inserire la sua azione di tecnico in un ambiente sociale profondamente arato e sommosso dall'azione di Camere del lavoro e di Leghe contadine, che gi in quell'epoca erano una forza organizzata ed operante in quelle regioni. Ognuno che abbia, allora, svolto la sua missione tecnica nelle province della Valle Padana, ha potuto sperimentare quanto questo inserimento della tecnica in un ambiente socialmente dinamico abbia contribuito a portare le province in questione alla testa del progresso agricolo italiano. Ma anche certo che, nel Mezzogiorno, il processo evolutivo del movimento contadino molto pi recente, sicch non esistono larghe ed antiche tradizioni di un contatto tra di esso e la viva esperienza dei tecnici agrari, che nei suoi confronti assumono sovente, ancora, un atteggiamento di pura e semplice diffidenza. Non si tratta qui di entrare nel merito della questione, e di dire se ci fa piacere o dispiacere che oggi anche nel Mezzogiorno esista un largo movimento delle masse contadine. Qualunque possa essere, in proposito, il nostro atteggiamento personale, non si pu negare che oggi inconcepibile, nel Mezzogiorno, uno sviluppo della tecnica agraria che non tenga conto di questa realt nuova. Una realt che non pu spaventare il tecnico che abbia veramente la passione della sua tecnica: se vero come vero quanto sopra accennavamo a proposito delle condizioni nelle quali la tecnica agraria ha potuto da tempo raggiungere le sue punte pi avanzate nelle province della Valle Padana. un fatto che oggi anche nelle nostre province le masse dei lavoratori agricoli si sono organizzate, lottano per le loro rivendicazioni e pongono di fronte a tutte le classi agrarie del Mezzogiorno il problema di una trasformazione dei rapporti agrari. I un fatto di tale portata storica non potrebbe essere considerato, da parte dei tecnici pi illuminati, dal punto di vista di gretti interessi immediati, bens deve esser visto come l'inizio di una fase di rapido progresso della tecnica agraria e di tutta la societ meridionale, cos come del resto lo considerarono a suo tempo i pi illuminati tecnici e imprenditori agrari del Nord. Si pu dire, per, che la maggioranza dei nostri tecnici abbia inteso la portata di questo fenomeno per quanto concerne le sue ripercussioni sulla possibilit di sviluppo della tecnica agraria nel Mezzogiorno? Dobbiamo rispondere decisamente di no. L'atteggiamento della maggioranza dei nostri tecnici nei confronti del movimento e dell'organizzazione delle masse lavoratrici agricole resta un atteggiamento di diffidenza, o comunque di distacco. In ogni caso, sono ancora ben pochi i nostri tecnici che hanno compreso che lo sviluppo di tale movimento e di tale organizzazione rappresenta l'elemento nuovo ed essenziale per lo sviluppo della nostra tecnica. A certo che, fino ad alcuni anni fa, fino alla caduta del fascismo, nel Mezzogiorno non esisteva, praticamente, per il tecnico, altra possibilit che quella di essere il tecnico di quei determinati gruppi che dirigevano la produzione agricola del Mezzogiorno, e che erano poi i gruppi dei grandi proprietari terrieri. Sarebbe ingenuo meravigliarsi del fatto che i nostri tecnici agricoli non riescano ancora ad adeguarsi alle 125

condizioni nuove nelle quali, a determinare l'orientamento della produzione agricola, non sono pi soltanto i grandi proprietari terrieri, bens anche i nuovi ceti sociali che, a torto o a ragione, intervengono nel processo del rinnovamento agrario. Ma una tecnica agraria che si ostinasse a non tener conto di questo nuovo dato di fatto, sarebbe una tecnica arretrata ed inefficace: poich nella realt agricola del nostro Mezzogiorno si pu oggi intervenire efficacemente solo intervenendo a mutare le condizioni generali nelle quali la nostra attivit si svolge; e la forza e lo slancio necessari a realizzare questa nuova e moderna impostazione ce li pu dare solo il contatto vivo con le energie nuove che operano nella societ agricola italiana. Questo allargamento di orizzonte dei nostri tecnici e della nostra tecnica condizione essenziale per il superamento dello stato di disagio che prima rilevavo, di quella nostra limitatezza nella impostazione tecnica: non parlo qui, beninteso, delle singole ricerche, bens della impostazione generale del nostro lavoro. Non mai avvenuto, nella storia, che la tecnica sia riuscita a far sentire la sua voce, quando essa non abbia saputo legarsi a quelle forze sociali che obiettivamente, in quel determinato periodo, agiscono con efficacia rinnovatrice nella data societ. Ed appunto nello stabilire questi legami che i nostri tecnici ancora incontrano delle difficolt, che non sempre riescono a superare. A me accade sovente, ad esempio, di litigare un po' col mio vecchio amico Rossi Doria, quando viene a raccontarmi in tono di lamentazione e di sincero rammarico di certi errori, o magari di certe sciocchezze, commesse dalle cooperative dei contadini che hanno occupato le terre incolte. Ma che crede davvero, il mio amico Rossi Doria, ma che credono davvero, tanti bravi e giovani tecnici miei amici, che chi come me ha legato la sua vita alla lotta dei nostri contadini, ignori le difficolt, le deficienze, gli errori del loro moto di rivendicazione e di rinnovamento sociale? Vi posso assicurare che sarebbe una cosa molto pi facile e comoda essere un combattente della classe operaia, un militante del movimento contadino, se i contadini avessero tutti mia istruzione tecnica superiore, o magari fossero tutti laureati in agraria. Ma quando abbiamo cominciato a militare nel movimento contadino, lo sapevamo gi che c'era nel Mezzogiorno una buona una cattiva, cio percentuale di contadini analfabeti, e per di pi legati a tradizioni tecniche e ad abitudini di lavoro e di vita retrive, privi ancora, per contro, di una tradizione politica ed organizzativa rinnovatrice. Lo sapevamo, ma ci siamo legati lo stesso alla loro lotta, proprio per contribuire per parte nostra, modestamente, a creare questa tradizione nuova e civile, a far s che nel nostro Mezzogiorno vi sia, per virt di popolo, una minore percentuale di contadini analfabeti, un numero sempre pi grande di lavoratori agricoli che s'impadroniscano, non in un lavoro servile, ma in una lotta di uomini liberi, di una tecnica e di una tradizione tecnica moderna. Sappiamo anche che questa conquista della tecnica che conquista di libert non si pu realizzare che attraverso un'esperienza, la quale comporta inevitabilmente deficienze ed errori. Non siamo portati affatto ad idealizzare le masse dei lavoratori delle nostre campagne che oggi si presentano in prima persona sulla ribalta della storia meridionale: sappiamo benissimo che sono ancora sovente masse incolte e tecnicamente arretrate; ma sappiamo anche che solo da queste masse cos come l'oppressione e lo sfruttamento secolare le ha forgiate, con la loro incolta rozzezza e con la loro arretratezza tecnica, ma con la loro ansia di rinnovamento sappiamo che solo da queste masse pu partire l'impulso rinnovatore della tecnica, dell'economia, di tutta la societ meridionale. Non pu trattarsi dunque, amico Rossi Doria, non pu trattarsi, amici tutti, di lamentazioni o di deplorazioni. Si tratta di vedere, per ognuno di noi, cosa si pu concretamente fare per inserirsi in questo moto di rinnovamento della societ meridionale, per legarsi ad esso, per contribuire ad eliminare le sue deficienze ed i suoi errori. E qui per i nostri tecnici per la nostra tecnica si apre un campo di lavoro e di esperienze sterminato. Quanti tra noi, ancora, possono dire di essersi avvicinati ai contadini non per criticare e per deplorare dall'esterno, ma per aiutare dall'interno lo sviluppo del loro movimento cooperativo o sindacale? Quanti tra noi hanno imparato a guadagnarsi la loro fiducia, presentandosi non 126

come pretenziosi illuminatori, ma come partecipi di un'ansia e di una lotta comune di rinnovamento? Solo in questa veste, solo da questo legame, pu nascere una tecnica nuova e nel tecnico una sicurezza nuova, che non sia astratto illuminismo, ma coscienza della scelta della via maestra del progresso scientifico e tecnico.

Tecnica nuova, d'avanguardia.

Sono profondamente convinto che solo marciando per questa via maestra la tecnica agraria potr soddisfare ai compiti di rinnovamento che le necessit economiche, alimentari, demografiche, sociali della Nazione le propongono. A ragione il prof. Bergami ha affermato, nella sua relazione, che il problema igienico delle nostre popolazioni rurali, ad esempio, non pu esser considerato semplicemente come un problema economico, come un problema di mezzi, ma deve essere considerato come un problema sociale. Oggi come oggi, ci accade sovente di assistere ad un momentaneo o prolungato miglioramento della situazione economica di determinati gruppi della popolazione contadina, senza che ne consegua affatto un analogo miglioramento della condizione igienica o del regime alimentare. Quel contadino avr qualche decina di migliaia di lire in pi alla cassa di risparmio, ma non sono modificati quei rapporti sociali che lo mantengono in uno stato di dipendenza e d'ignoranza: sicch egli continuer ad utilizzare le sue disponibilit nell'acquisto di una razione alimentare irrazionale nella sua composizione, o di letti e panche inadatti alla correzione delle deformazioni anatomiche conseguenti al lavoro agricolo. L dove, invece, assistiamo ad un mutamento di rapporti sociali, oltre che economici, il processo di sviluppo e di diffusione della tecnica si compie con ben altro ritmo. Pur nel loro primo e difficile inizio, abbiamo visto le cooperative dei contadini emiliani ricorrere con la massima larghezza all'impiego dei pi valenti tecnici agricoli. Nel Mezzogiorno, beninteso, le difficolt che si debbono affrontare in questa direzione sono maggiori, per la mancanza di quella lunga e gloriosa tradizione che da decenni si affermata in Emilia. Ma su questa via che occorre marciare, se si vuole che i tecnici e la tecnica nuova possano anche tra noi sviluppare la loro azione rinnovatrice. Questa azione rinnovatrice si suole generalmente compendiare, specie per quanto riguarda il nostro Mezzogiorno, nell'espressione riforma agraria . E a questo proposito si ripete spesso, fra noi tecnici, che la riforma agraria materia che deve esser deliberata, in primo luogo, dai tecnici ed, in base ai dettami della tecnica agraria. Non dissento, in proposito, da parecchie delle affermazioni che, nella sua relazione, ha fatto il mio caro Maestro, il professor Brizzi. Egli mi permetter, tuttavia, di rilevare come la sua relazione non abbia messo a fuoco quello che a me appare il problema, il compito centrale della tecnica a proposito di riforma agraria. Che la riforma agraria debba rispondere ai pi validi criteri tecnici, beninteso, fuori discussione. Ma il disaccordo pu nascere quando si passi a considerare, pi precisamente, quale sia la tecnica che deve ispirare coi suoi criteri la riforma agraria e quale sia il compito che tale tecnica deve affrontare. Si afferma, ad esempio: la tecnica che deve dirci se, per la trasformazione del latifondo siciliano, sia preferibile l'orientamento verso la grande azienda, o quello che porta alla costituzione di aziende medie o piccole. Ebbene, io penso che, posto cos, il problema non sia tecnicamente impostato in modo giusto. Non possiamo prescindere dal fatto che una determinata struttura aziendale comporta dei riflessi sulla struttura fondiaria Impostato nella maniera che abbiamo detto, il problema resterebbe perci tecnicamente astratto. 127

Non si pu prescindere dal fatto che una riforma fondiaria pu esser socialmente e tecnicamente necessaria per spezzare, ad esempio, un monopolio terriero che impedisce, di per se stesso, ogni moto di largo rinnovamento produttivo nelle zone del latifondo. Il mio amico Rossi Doria, pi chiaramente di altri, ha mostrato in vari suoi scritti come il sistema latifondistico tenda a riprodurre immancabilmente le proprie condizioni di esistenza e di persistenza. Lo studio astrattamente tecnico dell'azienda di trasformazione modello in una zona di latifondo sempre restato, e resterebbe inevitabilmente, vano, laddove una tecnica nuova e di pi ampio e concreto respiro non venisse, attraverso una riforma fondiaria, a mutare profondamente le condizioni ed i rapporti sociali in quel dato ambiente. E qui son venuto a toccare il punto che mi sembra fondamentale per la risposta alla domanda che facevo or ora. Quando si parla di una tecnica, che deve dettare i criteri di una riforma agraria, si ha ancora presente, nella maggior parte dei casi, una tecnica di vecchio tipo, una tecnica che si limita ad intervenire nei singoli settori di mi determinato ambiente: nel caso concreto, una tecnica che ha lo sguardo rivolto essenzialmente alla singola azienda di trasformazione, al suo interno organamento. Ebbene, non voglio qui certo sottovalutare l'importanza degli studi e delle ricerche sull'organizzazione aziendale. proprio da questi studi, d'altronde, che, sotto la guida sapiente del prof. Brizzi, ho iniziato la mia attivit scientifica. Ma fuor di dubbio che, negli studi pi recenti di economia agraria, si venuta elaborando una scienza ed una tecnica di ben pi ampio respiro e di pi profonda efficacia; una scienza che non limita il suo campo di ricerche alla singola azienda, ma lo allarga nel complesso mondo della societ intera: una tecnica che non si preoccupa solo di realizzare l'azienda modello nel suo interno organamento, ma incide ben pi profondamente nella realt, trasformando il paesaggio agricolo. Torniamo qui, come si vede, al problema che ho cercato di impostare, in maniera generale, all'inizio del mio rapporto: al problema di una tecnica rispondente al grado di sviluppo della scienza moderna e che non si limiti pertanto ad intervenire in singoli settori, ma operi nel senso di una trasformazione delle condizioni dell'ambiente stesso in cui essa chiamata ad intervenire. A questa tecnica moderna, d'avanguardia, che pu e deve dettarci i criteri per la riforma agraria nel nostro Mezzogiorno, in particolare. Ed il campo di ricerche e di azione che le si apre dinnanzi davvero sterminato. Basti considerare, in proposito, che una riforma fondiaria non pu prescindere, nel nostro paese, dalla importanza e dalla persistenza di stratificazioni che hanno storicamente configurato il paesaggio agricolo italiano in forme che hanno una notevole rigidit. E' chiaro, ad esempio, che i rapporti tra citt e campagne, tra insediamenti rurali e aziende agricole, si presentano nel nostro paese con aspetti assai diversi da quelli che essi possono offrire in Russia o in Polonia. Millenarie vicende storiche e civili hanno dato vita tra di noi a veri e propri sedimenti urbani; decine e centinaia di centri cittadini in Italia esistono e sussistono non perch rispondono ad attuali esigenze dei rapporti produttivi, ma perch in altri tempi spesso assai lontani la loro esistenza rispondeva a tali esigenze. Lo stesso si dica della sussistenza di altre centinaia di centri minori, specie nel nostro Mezzogiorno: molti de. i nostri paesi, inerpicati su per i monti, sono cos eccentricamente dislocati non per ragioni attuali e presenti, ma per ragione di necessit di difesa o di rapporti produttivi ormai da lungo tempo superati. Nell'un caso e nell'altro e si potrebbe scendere a una pi minuta disamina sin delle borgate rurali e degli insediamenti isolati la persistenza di questi insediamenti, che danno la loro impronta a tutto il paesaggio agricolo italiano ed a quello meridionale in ispecie, legata alla nota vischiosit degli insediamenti stessi: al fatto, cio, manifesto ovunque, che un insediamento gi esistente tende ad agire da centro di attrazione per i nuovi, anche quando nuovi popoli o nuovi rapporti produttivi intervengano a presentare nuove esigenze. Ma in Italia, naturalmente, dato il millenario e complesso sviluppo civile del nostro paese, questo fenomeno assume un rilievo tutto particolare. La persistenza di questi insediamenti, di questi sedimenti tradizionali, un dato di fatto dal quale non si pu prescindere: 128

non solo dal punto di vista storico, ma anche dal punto di vista economico. Citt e strade, borgate ed acquedotti, alberature e sistemazioni ad orti suburbani, sono dati del paesaggio che non permettono di considerarlo come una tabula rasa sulla quale l'organizzatore di aziende modello o il riformatore possa scapricciarsi a suo piacimento. Queste considerazioni non possono e non debbono, beninteso, indurci alla conclusione che si tratta di lasciar le cose come stanno e che si deve rinunziare ad un intervento attivo, tecnico, volto alla liquidazione di questi sedimenti. Esse ci mostrano, al contrario, che la liquidazione di tali sedimenti una condizione essenziale per un moderno sviluppo economico, tecnico e sociale dell' agricoltura italiana. Il semplice intervento tecnico nell'organizzazione interna delle singole aziende non basterebbe affatto ad eliminare le ragioni dell'arretratezza economica, tecnica e sociale della nostra agricoltura; sar d'altronde impossibile, come intervento diffusivo, di massa, senza una progressiva liquidazione di questi sedimenti storici negativi. Ma tale liquidazione, appunto, non potrebbe realizzarsi in forma istantanea, senza distruggere effettivi e positivi valori economici, senza urtare contro resistenze organizzative e psicologiche. Non basta, ad esempio, constatare l'antieconomicit e l'irrazionalit di una forma d'insediamento che costringe i contadini di un antico paesello appollaiato sulla roccia a percorrere chilometri e chilometri per recarsi al loro luogo di lavoro: bisogna considerare che in questo paesello quei lavoratori hanno se non altro una catapecchia, che l, bella e costruita, e che al piano non l'hanno; bisogna considerare che l hanno la loro scuola e i loro servizi sanitari (quando ci sono) e i loro luoghi di ritrovo e le loro abitudini sociali, e cos via; 'tutte realt economiche e sociali, dalle quali non si pu prescindere e che solo gradualmente possono essere trasformate se si vuole realizzare un pi razionale ordinamento del paesaggio. proprio in questo senso che io vedo la necessit di orientare le ricerche e la pratica dei nostri tecnici; in questo senso che la tecnica pu e deve dire la sua parola decisiva in materia di riforma agraria. ora che la nostra tecnica, adeguandosi al grado di sviluppo di una scienza d'avanguardia, impari ed insegni a considerare i problemi dei rapporti tra citt e campagna, tra insediamenti ed azienda agraria, non in maniera statica e passiva, ma in maniera dinamica ed attiva; senza improvvisazioni antistoricistiche e senza impaccio di tradizioni superate. Allora la tecnica agraria, i tecnici agrari riusciranno a fare udire alta nel paese la loro voce che trover una risonanza, nuova e inconsueta, tra gli uomini della scienza e delle tecniche, come tra gli uomini del lavoro, del bisogno e della lotta. E con l'augurio per questa tecnica d'avanguardia, appunto, permettetemi di concludere questo mio rapporto: per una tecnica che, secondo una parola famosa, sia aperta al popolo e al servizio del popolo; per una tecnica che sappia giustamente valutare e valorizzare le sue antiche tradizioni, ma sappia anche spezzarle quando esse siano superate, per creare tradizioni nuove, rivolte verso l'avvenire e adeguate al nuovo grado di sviluppo raggiunto dalla scienza.

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