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Perch Lei parla soltanto dei Lager tedeschi, e non anche di quelli russi?

Come ho scritto nel rispondere alla prima domanda, alla parte del giudice preferisco quella del testimone: ho da portare una testimonianza, quella delle cose che ho subite e viste. I miei libri non sono libri di storia: nello scriverli mi sono rigorosamente limitato a riportare i fatti di cui avevo esperienza diretta, escludendo quelli che ho appreso pi tardi da libri o giornali. Ad esempio, noterete che non ho citato le cifre del massacro di Auschwitz, e neppure ho descritto i dettagli delle camere a gas e dei crematori: infatti non conoscevo questi dati quando ero in Lager, e li ho appresi soltanto dopo, quando tutto il mondo li ha appresi. Per questo stesso motivo non parlo generalmente dei Lager russi: per mia fortuna non ci sono stato, e non potrei che ripetere le cose che ho letto, cio quelle che sanno tutti coloro che a questo argomento si sono interessati. E chiaro che tuttavia con questo non voglio n posso sottrarmi al dovere, che ha ogni uomo, di farsi un giudizio e di formulare unopinione. Accanto ad evidenti somiglianze, fra i Lager sovietici e i Lager nazisti mi pare di poter osservare sostanziali differenze. La principale differenza consiste nella finalit. I Lager tedeschi costituiscono qualcosa di unico nella pur sanguinosa storia dellumanit: allantico scopo di eliminare o terrificare gli avversari politici, affiancavano uno scopo moderno e mostruoso, quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture. A partire pressa poco dal 1941, essi diventano gigantesche macchine di morte: camere a gas e crematori erano stati deliberatamente progettati per distruggere vite e corpi umani sulla scala dei milioni; lorrendo primato spetta ad Auschwitz, con 24.000 morti in un solo giorno, nellagosto 1944. I campi sovietici non erano e non sono certo luoghi in cui il soggiorno sia gradevole, ma in essi, neppure negli anni pi oscuri dello stalinismo, la morte dei prigionieri non veniva espressamente ricercata: era un incidente assai frequente, e tollerato con brutale indifferenza, ma sostanzialmente non voluto; insomma, un sottoprodotto dovuto alla fame, al freddo, alle infezioni, alla fatica. In questo lugubre confronto fra due modelli di inferno bisogna ancora aggiungere che nei Lager tedeschi, in generale, si entrava per non uscirne: non era previsto alcun termine altro che la morte. Per contro, nei campi sovietici un termine sempre esistito: al tempo di Stalin i colpevoli venivano talvolta condannati a pene lunghissime (anche quindici o venti anni) con spaventosa leggerezza, ma una sia pur lieve speranza di libert sussisteva. Da questa fondamentale differenza scaturiscono le altre. I rapporti fra guardiani e prigionieri, in Unione Sovietica, sono meno disumani: appartengono tutti allo stesso popolo, parlano la stessa lingua, non sono superuomini e sotto-uomini come sotto il nazismo. I malati, magari male, vengono curati; davanti a un lavoro troppo duro pensabile una protesta, individuale o collettiva; le punizioni corporali sono rare e non troppo crudeli; possibile ricevere da casa lettere e pacchi con viveri; la personalit umana, insomma, non viene denegata e non va totalmente perduta. Per contro, almeno per quanto riguardava gli ebrei e gli zingari, nei Lager tedeschi la strage era pressoch totale: non si fermava neppure davanti ai bambini, che furono uccisi nelle camere a gas a centinaia di migliaia, cosa unica fra tutte le atrocit della storia umana.

Come conseguenza generale, le quote di mortalit sono assai diverse per i due sistemi. In Unione Sovietica pare che nei periodi pi duri la mortalit si aggirasse sul 30 per cento, riferito a tutti gli ingressi, e questo certamente un dato intollerabilmente alto; ma nei Lager tedeschi la mortalit era del 90-98 per cento[.] In conclusione, i campi sovietici rimangono pur sempre una manifestazione deplorevole di illegalit e di disumanit. Essi non hanno nulla a che vedere col socialismo, ed anzi, sul socialismo sovietico spiccano come una brutta macchia; sono piuttosto da considerarsi una barbarica eredit dellassolutismo zarista, di cui i governi sovietici non hanno saputo o voluto liberarsi. Chi legge le Memorie di una casa morta, scritte da Dostoevskij nel 1862, non stenta a riconoscervi gli stessi lineamenti carcerari descritti da Solzenicyn cento anni dopo. Ma possibile, anzi facile, rappresentarsi un socialismo senza Lager: in molte parti del mondo stato realizzato. Un nazismo senza Lager invece non pensabile. (P. Levi, Se questo un uomo, Einaudi, Torino 1976, pp. 233-236)

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