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struttura sonora e ne discrimina le frequenze; queste
diventano impulsi elettrochimici che sono trasferiti in
alcune aree del cervello che elaborano lo stimolo. In
questa sede, il cervello cioè, è svolta l’operazione di
traduzione dal cinese all’inglese, con tanto
d’inflessione particolare, quindi altri impulsi
elettrochimici sono inviati dal cervello a varie aree del
corpo umano che svolgono diverse funzioni e tra
queste, quella di produrre linguaggio.
Il linguaggio prodotto dalla traduttrice passa da un
microfono, diventando impulso elettrico che giunge
agli auricolari del delegato statunitense e da qui inizia
il percorso inverso.
Una domanda sorge spontanea: in tutto questo
bailamme d’impulsi elettrici o simil tali, di
motoneuroni che sono attivati, di laringi che vibrano,
di stapedii che si contraggono parossisticamente,
l’interfaccia qual è?
Semplice: il cervello della signorina che traduce e che
è in grado di svolgere in parallelo attività tra loro
diverse, ma topologicamente collegate.
Accorciare la distanza tra l’uomo e la macchina
sembra essere l’aspetto fondamentale dell’attuale
definizione d’interfaccia. Anzi tale distanza si
accorcia al punto da non esistere, da far coincidere la
macchina con l’uomo stesso e viceversa.
Interfacciarsi: entrare in relazione con, relazionarsi tra,
questo processo consente agli esseri viventi di
evolversi e di raggiungere nuove mete di sviluppo.