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Alma Mater Studiorum Universit di Bologna Sede di Forl

FACOLTA di SCIENZE POLITICHE ROBERTO RUFFILLI

Corso di Laurea in

Scienze Internazionali e Diplomatiche (Classe LM-52)


TESI DI LAUREA in Studi Strategici

Strategie a Confronto: Engagement e Coercive Diplomacy Case Study: Corea del Nord

CANDIDATO Chiara Bernini

RELATORE Filippo Andreatta

Anno Accademico 2011/2012 Sessione I


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- INDICE -

Introduzione

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1 La Strategia della Coercizione

p. 13

1.1 Gli Strumenti della Coercizione 1.1.1 Incursioni aeree 1.2.1 Sanzioni e isolamento internazionale

p. 15 p. 16 p. 18

1.2 Meccanismi della coercizione

p. 20

1.3 Teoria della coercive diplomacy 1.3.1 Definizione di Coercive Diplomacy 1.3.2 DeterrenzaCoercive Diplomacy-Compellence

p. 24 p. 25 p. 28

1.4 Dalla teoria alla realt 1.4.1 Varianti della strategia 1.4.2 Variabili di contesto

p. 31 p. 33 p. 34

1.5 I pro e contro della coercive diplomacy 1.5.1 Condizioni permissive 1.5.2 I limiti della coercive diplomacy

p. 36 p. 38 p. 40

1.6 Le caratteristiche della coercizione americana

p. 42

2- Strategia dell'engagement

p. 45

2.1 Differenti tipi di Engagement 2.1.1 Engagement Conditional e Unconditional 2.1.2 Engagement positivo e negativo

p. 48 p. 48 p. 51

2.2 Gli incentivi- The carrot 2.2.1 Limiti nell'utilizzo degli incentivi

p. 52 p. 55

2.3 Incentivi VS Sanzioni

p. 57

2.4 Implementazione dell'engagement 2.4.1 Delineare una precisa Road Map 2.4.2 Ingaggio della societ 2.4.3 Intensa coordinazione con gli alleati 2.4.4 Supporto interno

p. 61 p. 61 p. 63 p. 64 p. 64

2.5 Successo della strategia dell'engagement 2.5.1 Fallimento dell'engagement

p. 67 p. 70

3- Case Study: Corea del Nord 3.1 Gli anni dellamministrazione Clinton 3.1.1 LEngagement e la stipula dellAgreed Framework 3.1.2 Lambivalenza dellengagement clintoniano 3.1.3 Coercive diplomacy nellamministrazione Clinton 3.1.4 Valutazione della coercive diplomacy

p. 73

p. 78 p. 83 p. 86 p. 88 p. 91

3.2 Gli anni dellamministrazione Bush 3.2.1 La coercive diplomacy dal 2001 al 2009 3.2.2 LHawks Engagement di Bush 3.2.3 Valutazioni delle strategie

p. 92 p. 98 p. 101 p. 107

Conclusioni

p. 109

Bibliografia

p. 117

- INTRODUZIONE -

La Corea sempre stato luogo di ambizioni territoriali ed espansionistiche da parte di potenze straniere. Dopo una prima dominazione giapponese, durante la prima met del secolo scorso, la penisola pat in seguito lo scontro tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, diventando il simbolo dello scontro bipolare. Il territorio coreano stato vittima di vessazione e lotte, e bench la dominazione giapponese si sia conclusa con la sconfitta nipponica nella seconda guerra mondiale, la divisione lungo il 38 parallelo continua a permanere. Nonostante l'armistizio del 1953, inoltre, Corea del Nord e Corea del Sud sono ancora tecnicamente in guerra. Con la fine della guerra fredda e il collasso dell'Unione Sovietica, Pyongyang perse il suo principale sponsor, il regime di Mosca; da qual momento in poi ha cercato di ottenere aiuti appoggiandosi in parte alla Cina e di proteggere in questo modo la propria sicurezza nazionale. Se la Corea del Sud riusc a intraprendere, a partire dagli anni Sessanta, il cammino verso lo sviluppo economico (che gett probabilmente le basi per la sua successiva democratizzazione), la Corea del Nord rimase invece chiusa in una logica di contrapposizione con il resto del mondo. Considerandosi una nazione sempre sotto attacco e sentendosi costantemente minacciata dalla Corea del Sud e dagli Stati Uniti il paese ha quindi intrapreso la via dello sviluppo militare per proteggere la propria sicurezza nazionale e il proprio regime. Questo atteggiamento aggressivo non ha fatto altro che aumentare il senso di insicurezza in tutta la regione, in particolare in seguito alla decisione di Pyongyang di avviare un programma nucleare. Per questo motivo Stati Uniti e Corea del Sud hanno iniziato a sviluppare diverse strategie per relazionarsi con il regime del nord e porre fine alla situazione di tensione nella regione. In particolare tali misure hanno avuto il fine di condurre la Corea del Nord ad assumere un atteggiamento pi aperto e a ridurre la minaccia nucleare. Le due strategie che si sono affermate nel tempo e che sono state viste come le opzioni principali a disposizione dei policymakers sono state la coercive diplomacy e l'engagement. 7

Nella prima parte dell'elaborato si andranno quindi ad analizzare nel dettaglio le caratteristiche di queste due strategie, evidenziando a livello teorico le condizioni che possono renderle fruttuose in certi casi e inefficaci in altri; nella seconda parte si vedr invece come queste scelte a disposizione dei policy-makers siano state declinate in modo diverso dalle amministrazioni americane di Clinton e Bush. Nel primo capitolo si analizzer quindi la strategia della Coercive Diplomacy, le sue caratteristiche principali e la sua evoluzione. Strategia sempre presente nella storia delle relazioni tra gli stati, la coercive diplomacy sembra addirittura presente nellantichit, se si considera che anche ne La guerra del Peloponneso di Tucidide e negli scritti di Machiavelli possibile ritrovarne degli esempi. Basata sulla coercizione e la minaccia, questa strategia mira a un cambiamento di politica nello stato target che possa soddisfare le richieste dello stato coercitore. Pi volte criticato come troppo aggressivo, questo approccio identificato dai suoi sostenitori come l'unica via da seguire per riuscire a raggiungere degli effettivi cambiamenti. La diplomazia coercitiva viene infatti vista come una strategia meno costosa della guerra, non implica la distruzione dell'avversario e non coinvolge necessariamente l'utilizzo della forza militare, ma riesce ad ottenere gli stessi risultati. La strategia della coercizione in genere limitata a tre opzioni: la strategia della punizione, che cerca di alzare i costi che lavversario dovrebbe pagare se continuasse con la resistenza; la strategia del rischio, che aumenta la probabilit di dover pagare dei costi; ed infine, la strategia del diniego, che mira a ridurre la probabilit che la resistenza sia fonte di benefici (Byman e Waxman 2002). Saranno quindi analizzati i differenti strumenti a disposizione dei policy-makers in materia, sottolineando come la loro vasta gamma permetta che vengano combinati a seconda delle esigenze e degli obiettivi. La scelta degli strumenti coercitivi da utilizzare dipende comunque dalla loro intrinseca funzionalit, dai costi della costrizione e dal contesto globale. Lo spettro a disposizione molto ampio e va dagli strumenti di pura coercizione militare a strumenti pi soft che basano la loro efficacia principalmente sulla minaccia. Le diverse varianti della strategia della coercizione verranno quindi analizzate nelle pagine seguenti. Al fine di comprendere appieno tale strategia, questultima stata comparata con la 8

deterrenza e la compellence, che devono essere distinte dalla coercive diplomacy in quanto presentano caratteristiche differenti. Saranno infine analizzati i principali limiti nell'utilizzo della coercive diplomacy e le caratteristiche che ha assunto la strategia quando stata sviluppata dagli Stati Uniti. Nel secondo capitolo si analizzer la strategia dell'engagement e anche in questo caso si cercher di mettere in evidenza le caratteristiche predominanti in tale strategia e la sua applicazione nel contesto internazionale. Nata come strategia di Reagan rivolta al Sud Africa, la strategia dellengagement stata

progressivamente adottata dagli stati ed diventata uno dei principali approcci utilizzato dalle grandi potenze. Con il fallimento della coercizione in alcuni importanti scenari internazionali i policy-makerks iniziarono infatti a pensare a una strategia alternativa al fine di perseguire gli stessi obiettivi della coercizione, ma con strumenti differenti. Si abbandon quindi l'idea delle minacce e delle sanzioni per lasciare spazio agli incentivi e agli aiuti economici (Haass e O'sullivan 2000a). In particolare l'engagement economico, una strategia che punta ad espandere il legame economico con l'avversario al fine di cambiare il comportamento dello stato target e migliorare le relazioni bilaterali tra i due, ha suscitato un crescente interesse nelle relazioni internazionali, e ancor di pi in tempi recenti (Kahler e Kastner 2006). Esistono differenti concettualizzazioni della strategia dell'engagement che variano in base al tipo di relazione che lo stato coercitore intende creare e agli strumenti utilizzati. Sono fondamentalmente due i criteri su cui i policy-makers possono decidere di far variare una strategia di engagement: da una parte il livello di incentivi posto dal coercer allo stato target (differenza tra conditional e unconditional engagement), dall'altra il grado di reattivit del target agli incentivi (engagement positivo o negativo). Si porr quindi l'attenzione sugli incentivi, che evidentemente ricoprono un ruolo chiave nello sviluppo di tale strategia. Infatti, prima di decidere di intraprendere la strategia dell'engagement uno stato deve valutare attentamente i tipi di incentivi diretti allo stato target, in quanto sono considerati come fondamentali per ottenere una buona riuscita della strategia. 9

Oltre agli incentivi verranno analizzati altri elementi che concorrono a rendere di successo una strategia, in primo luogo la determinazione di una road map precisa, quindi l'importanza dell'ingaggio della societ civile, ma anche lo stretto coordinamento con gli alleati. Infine si analizzer l'importanza, al fine di una buona strategia di engagement, del supporto interno. In conclusione del capitolo si analizzeranno le caratteristiche che portano al fallimento o al pieno successo di tale strategia. Il terzo capitolo si concentrer sulle scelte legate alle strategie di coercive diplomacy ed engagement condotte dall'amministrazione Clinton e dalla presidenza Bush nei confronti della Corea del Nord. Dopo aver analizzato i principali momenti in cui emersa una chiara scelta di campo per una strategia rispetto all'altra, si analizzeranno i risultati ottenuti dai due approcci. In particolare, verr evidenziata l'alternanza di posizioni che ha caratterizzato entrambe le amministrazioni, oltre alla comune mancanza di fermezza nel mantenere una determinata strategia in luogo di unaltra. La scelta delle due strategie ha fatto emergere un forte dibattito negli Stati Uniti in merito all'atteggiamento migliore da adottare. Se da una parte gli oppositori dell'engagement la identificavano come una strategia di appeasement nei confronti della Corea del Nord, i suoi sostenitori la vedevano invece come l'unica via percorribile per dialogare con il regime del nord e arrivare ai risultati sperati, evitando al contempo il rischio di unescalation militare. Per questo motivo si andranno ad analizzare le differenti scelte che le amministrazioni hanno compiuto e si metteranno in luce le principali conseguenze che ha portato la scelta di una politica piuttosto che un altra. In particolare si analizzer la tendenza di entrambe le amministrazioni ad assumere inizialmente un atteggiamento aggressivo, che gradualmente e in entrambi i casi si trasformato in una strategia basata su un maggior dialogo. Nelle conclusioni si far cenno alla strategia recentemente perseguita dallamministrazione Obama, che come le precedenti sembra essere caratterizzata, nelle relazioni con la Corea del Nord, da un certo grado di ambiguit e mancanza di coerenza.

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Il caso nordcoreano evidenzia innanzitutto la necessit per gli stati di delineare una strategia comune che possa mettere fine alla proliferazione nucleare. Altri paesi hanno iniziato la corsa al nucleare ma solo Pyongyang (e pochi altri) sembra determinato a sviluppare un significativo arsenale atomico. Quindi la Corea del nord appare un ottimo caso di studio per valutare l'efficacia di due strategie che possono essere adottare per rapportarsi con stati canaglia o regimi nucleari. La Corea del Nord, quindi, si pone cos al centro delle preoccupazioni internazionali per l'apparentemente irrisolvibile questione nucleare. Gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno mancato di concretezza e pragmatismo e il risultato stata lincapacit di trovare una linea comune. Il fatto che ognuno fosse troppo interessato alla difesa dei propri interessi nazionali personali ha lasciato troppo volte la Corea del Nord sola e inascoltata. La sfida che pone al sistema internazionale di nota complessit e le difficolt degli altri stati a contenerla anch'essa conosciuta. Il raggiungimento di una strategia di lungo periodo che coinvolga anche gli interessi nordcoreani appare per ora l'unico passo che gli Stati Uniti e i loro alleati possono adottare.

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- CAPITOLO I -

- LA STRATEGIA DELLA COERCIZIONE -

La guerra, specialmente per le democrazie, considerata un modo per risolvere le controversie internazionali estremamente rischioso e sotto molti aspetti costoso. Le perdite umane sono infatti i primi fattori che rendono la guerra difficilmente accettabile per un democrazia, ma anche i costi economici associati allingresso in un conflitto influenzano la decisione di portare guerra a un avversario. Per questo motivo, da qualche tempo soprattutto le democrazie hanno utilizzato sempre pi la strategia di coercizione dellavversario per il raggiungimento dei propri scopi (Schultz 2004). In linea generale, la coercizione mira a raggiungere gli stessi obiettivi della guerra, ma a costi pi bassi per entrambe le parti: da un lato, il coercer spera infatti di assicurarsi quelle stesse concessioni che avrebbe potuto ottenere attraverso il ricorso alla guerra, ma senza versare lintero costo che avrebbe dovuto pagare con lo scontro militare vero e proprio; mentre lavversario, dallaltro lato, pu pensare che, accettando le richieste, pagher un costo pi basso rispetto a quello che avrebbe dovuto pagare se avesse deciso di combattere. La coercizione, quindi, non implica il combattimento, n tantomeno la distruzione fisica dellavversario. Lo scopo di questo primo capitolo quello di analizzare i tratti principali e i meccanismi che stanno alla base della strategia della coercizione, definendo il suo utilizzo e cercando di analizzare le situazioni nelle quali questa strategia efficace. Partendo, poi, dal concetto di strategic coercion elaborato da Freedman e sotto il quale si possono iscrivere tutte le strategie basate sulla minaccia, si cercher di analizzare pi nel dettaglio il concetto di coercive diplomacy (Freedman 1998).

Le strategie di coercizione di maggior successo si verificano quando il coercer non deve nemmeno porre sotto minaccia l'avversario, ma quest'ultimo avanza concessioni, semplicemente essendo a conoscenza della forza dell'avversario e delle possibili conseguenze negative che si potrebbero verificare a seguito di un 13

rifiuto alle richieste avanzate. Quindi, bench alcuni atti di ostilit siano parte della coercizione, il successo maggiore si ha quando lavversario cede mentre avrebbe ancora le forze per resistere, quando la consapevolezza della forza dell'avversario e dei possibili costi futuri fanno s che l'avversario avanzi concessioni anche se avrebbe avuto la possibilit opporsi, ma non lo fa in quanto danneggerebbe i suoi interessi primari. Questo tipo di strategia ha sempre attratto i decision makers in quanto, come detto, promette il raggiungimento degli obiettivi in maniera pi economica, prevedendo cio grandi risultati con piccoli costi. Malgrado la forte attrattiva che riesce a suscitare nei decisori politici, questa strategia appare il pi delle volte difficile da mettere in pratica con successo - come testimonia il caso degli Stati Uniti, che dopo la seconda guerra mondiale hanno utilizzato molto spesso questa strategia senza tuttavia ottenere i risultati sperati (Art 2009). Un insuccesso nell'efficacia della strategia del coercer pu portare quest'ultimo a pensare di adottare un approccio pi aggressivo basato sul controllo dell'avversario o al contrario un approccio pi conciliatorio orientato alla ricerca di un compromesso con lo stato target. La strategia della coercizione in genere limitata a tre opzioni: la strategia della punizione, che cerca di alzare i costi che lavversario dovrebbe pagare se continuasse con la resistenza; la strategia del rischio, che aumenta la probabilit di dover pagare dei costi; ed infine, la strategia del diniego, che mira a ridurre la probabilit che la resistenza sia fonte di benefici (Byman e Waxman 2002). Attraverso la punizione uno stato cerca di alzare i costi sociali della resistenza nemica oltre il livello presunto degli interessi dello stato target, portando cos la controparte a fare le concessioni richieste; le campagne punitive, in questo senso, mirano tutte a imporre sofferenze alla popolazione danneggiando, ad esempio, leconomia dello stato. Con la strategia del rischio, invece, una nazione aumenta la probabilit di imporre danni ai civili; e in questo caso lelemento cruciale il timing, cio il periodo di tempo in cui i costi vengono imposti allavversario, che solitamente rispecchiano un andamento progressivo crescente, per convincerlo che, nel caso in cui non vengano soddisfatte le richieste, potrebbe conseguire un danno maggiore. 14

Infine, la strategia del diniego cerca di colpire le capacit militari dellavversario che sono necessarie per il raggiungimento dei suoi obiettivi politici, e in tal modo si rende impellente la necessit di concessioni per evitare spese di ulteriori risorse e per evitare che la sicurezza dello stato sia messa ulteriormente in gioco. Questa strategia non crea sofferenze intenzionali alla popolazione avversaria, ma si concentra sul bloccare la strategia militare adottata dellavversario (Pape 1996). Per creare una coercizione efficace centrale il ruolo del negoziato: come afferma Schelling, la coercizione richiede che si stabilisca un negoziato e che tenendo conto della minaccia, si convinca [il nemico] che meglio per lui fare, o peggio per lui non fare ci che noi vogliamo ( Schelling 1968; 12). Queste caratteristiche principali della strategia della coercizione sono

ulteriormente declinate in differenti modi a seconda del tipo di coercizione che lo stato decider di adottare.

1.1 Gli strumenti della coercizione La coercizione prevede una vasta scelta di strumenti, e in molti casi, affinch si attui una strategia di successo, necessario combinare pi strumenti insieme. La scelta degli strumenti coercitivi da utilizzare dipende dalla loro intrinseca funzionalit, dai costi della costrizione e dal contesto globale. Una scelta errata pu portare al fallimento, o pu dar vita ad unazione controproducente per gli stessi esecutori della strategia (Byman e Waxman 2002). Non possibile per identificare con precisione la maggiore o minore funzionalit di uno strumento rispetto ad un altro. Non esiste infatti uno strumento migliore degli altri e la scelta pi efficace dipende dalle alternative a disposizioni del coercer, dalla natura dellavversario e dai possibili effetti che potrebbero svilupparsi in seguito alladozione della strategia. Uno strumento che potrebbe rivelarsi altamente efficace per minacciare il punto di pressione1 di un

1- Il pressure point indicato da Byman e Waxman rappresenta il punto in cui i costi potenziali non sono pi accettabili per un regime. Rappresenta il punto nel quale il coercer deve mirare, se vuole che la sua strategia sia efficacie e riuscire ad ottenere concessioni. Questo punto per non lo stesso per tutti i regimi e in tutti i contesti, e varia innanzitutto tra democrazie e regimi autoritari. Nel primo caso il numero di persone che influenza le decisioni politiche vasto, quindi affinch la strategia abbia successo il coercer dovr concentrarsi sull'opinione della maggioranza.

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avversario spesso messo da parte in quanto pu trovare scarso supporto tra la popolazione dello stato coercitore o tra le sue elite o poich prevede rischi o sacrifici troppo alti. Molti strumenti della coercizione possono essere utilizzati anche per scopi di forza bruta e alla luce di ci i policy-makers spesso cercano di avanzare simultaneamente operazioni di coercizione e di indebolimento dellavversario. Ad esempio, gli attacchi aerei contro le forze armate possono convincere lavversario dell'impossibilit di ottenere una vittoria (effetto coercitivo), ma nello stesso tempo possono compromettere le capacit offensive e difensive dellavversario rendendo cos pi semplice colpirlo nel caso in cui non si accordasse le richieste fatte. Partendo dallo strumento maggiormente utilizzato al giorno doggi dagli Stati Uniti e dai loro alleati, le incursioni aeree, andremo quindi ad analizzare tutti gli strumenti a disposizione dei policy-makers per convincere un avversario ad accettare le proprie richieste.

1.1.1 Incursioni aeree A partire dalla Rivoluzione negli Affari Militari avvenuta nel periodo tra le due guerre mondiali (Gray 2007, 118), le incursioni aeree sembrano essere diventate oggi lo strumento di coercizione pi utilizzato dalle grandi potenze. Gli Stati Uniti hanno infatti utilizzato il potere aereo contro l'esercito di Milosevic in Serbia a met degli anni novanta, contro i terroristi e i taliban in Afghanistan in seguito agli attentati dell' 11 settembre 2001 e infine contro il regime di Saddam Hussein in Iraq, durante la seconda guerra del Golfo. Questo strumento ha acquisito cos tanto valore per diverse ragioni; in primo luogo poich pu infliggere un danno lungo lintero spettro della forza bruta, che va da pochi e precisi attacchi mirati a una devastazione totale delle citt avversarie; inoltre questo strumento visto con particolare favore in contesti in cui la posta in gioco bassa, perch permette al coercer di aumentare la pressioni senza diventare irrevocabilmente coinvolto o pagare alti costi politici in patria.
Nel caso in cui si sia di fronte ad un regime autoritario, invece, spesso la strategia che pu condurre al successo legata all'influenza della sola elite (Byman e Waxman 2002, 44)

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Limportanza che lair power occupa nella dottrina strategica americana consente di analizzare pi nel dettaglio la sua versatilit, attraverso alcune categorie di azione che uno stato pu intraprendere contro un nemico (Byman e Waxman 2002): Attacchi aerei e diniego

Il potere aereo permette di minacciare il proprio nemico utilizzando la sconfitta come leva negoziale, impedendo all'avversario, nel caso in cui non adotti un comportamento accondiscendente, il raggiungimento dei suoi obiettivi. Attraverso l'attacco aereo, quindi, uno stato cercher di imporre ad un avversario le proprie ambizioni attraverso un'aggressione armata che potrebbe sconfiggere lo stato target. La flessibilit e la versatilit delle armi aeree le rendono adatte al diniego. Possono infatti essere usate per rompere il comando e il controllo delle forze dellavversario o colpire con la possibilit di devastare. Labilit di negare la vittoria militare allavversario, tuttavia, si verifica solo in contesti semplici; viceversa, in presenza di rough terrains, in contesti urbani o nella giungla, pi agevole per l'avversario nascondersi e quindi per il coercer riuscire a colpirlo pu rivelarsi pi difficoltoso. Il potere aereo inoltre pu diventare meno efficace nel lungo periodo, poich gli avversari possono adottare misure che neutralizzano la minaccia di un attacco, adottando delle contro-strategie che vanificano i vantaggi dellair power. Solitamente quando il potere aereo utilizzato per il diniego, viene indirizzato verso le forze armate dellavversario dispiegate sul territorio, ma pu essere, a volte, utilizzato anche contro obiettivi non militari: gli Stati Uniti, ad esempio, hanno spesso usato attacchi aerei per colpire le infrastrutture e le industrie nemiche, cos da spingere gli avversari alla resa. Minacciare la base di consenso del regime attraverso il potere aereo

Il potere aereo pu essere utilizzato anche per minacciare le relazioni del regime avversario con la sua base di sostegno, anche se a volte limpatto strategico di questa opzione risultato trascurabile o persino controproducente. Questa azione mira solitamente ad indurre l'elite politica avversaria a rivoltarsi contro il regime o alimentare in modo significativo le preoccupazione dei decision makers. Molti regimi e diverse strutture di potere si sono tuttavia dimostrate abbastanza 17

resistenti di fronte agli attacchi aerei; questo strumento mostra quindi, spesso, difficolt nell'ottenere le concessioni sperate. Minacciare la decapitazione del regime

Il potere aereo pu essere utilizzato anche per minacciare direttamente la sicurezza della leadership avversaria. Le capacit coercitive associate a questa opzione sono per assai limitate, dato che vi la necessit di un ottima intelligence per poter localizzare il leader e di strumentazioni adeguate per colpire con precisione la sua posizione. Gli attacchi aerei, inoltre, hanno solo la possibilit di uccidere il leader e raramente riescono a indurre lo stato a soddisfare le richieste. Attacchi alla popolazione e danneggiamento della nazione nel suo insieme

Gli attacchi aerei possono essere diretti verso la popolazione nemica in modo da innescare disordini per condurre ad un indebolimento della nazione. Gli attacchi sono visti come uno strumento utile in questo contesto perch permettono di non doversi scontrare con le forze armate nemiche dispiegate sul territorio ma di colpire direttamente la popolazione e le industrie dellavversario. Gli attacchi dei civili possono produrre, in alcuni casi, rivolte che spingono la nazione verso il caos e il collasso economico. Questo strumento, bench in teoria possa dare buoni risultati, spesso messo da parte in quanto provoca sofferenze umane su larga scala e causa danni alla popolazione nemica che sono difficilmente accettabili tanto per l'avversario quanto per la propria audience domestica.

1.1.2 Sanzioni e isolamento internazionale Questi due strumenti di coercizione non coinvolgono mezzi militari e sono, quindi, spesso utilizzati per rinforzare la minaccia, imponendo costi ancora pi alti allavversario. Le sanzioni mirano solitamente a imporre pressioni economiche allavversario (Kirshner 2002), coinvolgendo restrizioni sulle importazioni nazionali, punizioni rivolte verso particolari industrie, boicottaggio delle sue esportazioni, o imposizione di un embargo sullintero commercio della nazione. possibile, cos, creare un ampio malcontento popolare. Per funzionare questa strategia deve mirare a coinvolgere nella coercizione anche la base del supporto del regime 18

(Brooks 2002), andando cos a creare una quinta colonna che spinga il governo a cambiare le sue politiche. La sofferenza inflitta e la minaccia dipendono dallabilit del coercer di bloccare i canali alternativi delleconomia dellavversario. Infatti a differenza degli altri strumenti descritti in precedenza, le sanzioni richiedono quasi sempre la cooperazione delle maggiori potenze, poich se lavversario riesce a sostituire i mercati, gli aiuti o gli altri elementi colpiti, le sanzioni inflitte avranno solo un effetto marginale. Il grado di severit delle sanzioni variabile, e questa loro caratteristica si rivela importante e utile nel caso frequente in cui si preveda un'escalation delle stesse sanzioni: si pu, infatti, partire con delle sanzioni di lieve entit per poi aumentarne la portata nel caso in cui lavversario si rifiuti di rispettarle o assuma una posizione intransigente. Le sanzioni, come rivelano molti casi nella storia, sono spesso uno strumento efficace. Tuttavia possono rivelarsi inutili o controproducenti se le variabili e le condizioni presenti nel contesto avversario non sono favorevoli: infatti possibile che lo stato sottoposto a sanzioni sviluppi un forte nazionalismo che induce la popolazione ad accettare le privazioni imposte dall'embargo in nome della propria nazione. Un esempio pu essere lembargo imposto dagli Stati Uniti allisola di Cuba per opporsi allascesa al potere di Castro. Un ulteriore fatto da tenere in considerazione la possibilit che fioriscano attivit di contrabbando per sopperire alla mancanza di beni importati. Un altro strumento che gli stati possono utilizzare per costringere lavversario a collaborare o ad accettare le richieste lisolamento politico. Molto spesso, infatti, i policy-makers si avvalgono di questo mezzo in quanto uno strumento a basso costo, comporta pochi rischi e poich spesso una condizione necessaria per adottare altri tipi di pressione a maggiore intensit. Quindi l'isolamento politico spesso utilizzato in concerto con altri mezzi, in quanto se considerato singolarmente la sua efficacia limitata.

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1.2 Meccanismi di coercizione Per riuscire ad elaborare un'efficace strategia di coercizione necessario comprendere i meccanismi su cui poggia, cio i processi attraverso i quali la minaccia o i costi vengono presentati allavversario. La coercizione, come accennato, cerca di colpire i processi di decision-making dellavversario in modo da costringerlo a soddisfare le istanze richieste attraverso cinque meccanismi principali, ricollegabili agli strumenti a disposizione del coercer. Innanzitutto possono minacciare le relazioni del regime con i suoi sostenitori, con lo scopo di indebolire il legame tra la leadership e la base. La base del regime consiste in un gruppo selezionato di individui il cui supporto necessario alla leadership per mantenere il controllo politico e il potere (Bueno de Mesquita et al 2003). Vari fattori come la posizione politica, il potere economico e la posizione militare rendono alcuni individui pi importanti di altri, quindi se il coercer riesce a colpire e mettere sotto scacco la fedelt al regime di queste elite la leadership pu avanzare concessioni per evitare di perdere il consenso. Lidentit della base del potere varia da regime a regime; nelle democrazie include rappresentanti eletti, leader civili e altre figure che sono portavoce delle opinioni della popolazione; nei regimi autoritari invece, spesso la base costituita da elite militari, servizi segreti, trib e particolari gruppi etnici. Lo stesso gruppo, vitale per mantenere la leadership al potere, pu essere quello che permette il rovesciamento del regime una volta che il suo sostegno viene meno. Emerge cos un paradosso in merito alla base di supporto del regime: nei casi in cui la base limitata e quindi la leadership pi sensibile a una possibile spaccatura con essa, i decision-makers saranno spinti a contenere ogni minaccia derivante dalla possibile alienazione della base. Per esempio, messa di fronte a una minaccia di colpo di stato, la leadership preferir epurare in anticipo i servizi di intelligence o le altre istituzioni di sicurezza in modo da prevenire possibili golpe. Risulta comunque difficile poter identificare con precisione le minacce e gli attacchi da portare avanti per produrre effetti efficaci. Le strategie coercitive che 20

si basano sulla creazione di disaffezione delle elite e della base politica hanno lo scopo di generare pressioni politiche conflittuali allinterno del sistema di decision-making. Invece di generare consenso dellelite in favore della caduta del regime, la minaccia di coercizione pu aumentarne involontariamente il timore di perdere il proprio status se dovesse crollare la leadership presente. Infine, minacciare in modo adeguato la relazione del leader con la sua base di potere pu essere difficile poich la debolezza a livello domestico pu offrire un alto potere negoziale a livello internazionale. Infatti, una leadership con forti problemi a livello interno pu, con pi probabilit, essere votata alla resistenza, nonostante gli alti costi che dovrebbe pagare, piuttosto che tirarsi indietro e quindi accettare la sconfitta. Il secondo meccanismo utilizzato dalla coercizione legato al malcontento popolare e quindi lo scopo del coercer in questo caso quello di riuscire a creare la disaffezione della popolazione verso la leadership politica, in modo da creare uno scollamento tra il potere decisionale e la gente, che giochi a favore del coercer. Si notato come in alcuni casi minacciare solo le elites politiche di supporto alla leadership non sia stato un mezzo sufficiente per ottenere delle concessioni. In questo caso la coercizione pu orientarsi verso la pressione sulla popolazione civile nella sua totalit, rappresentando un meccanismo abbastanza esplicito che spesso riscontra un'ampia opposizione poich mira a punire molti per cambiare la mente di pochi. Questo meccanismo mira a fare pressioni sullintera popolazione per spingere i decision-makers a fare concessioni. La strategia del malcontento non sempre risulta essere efficace poich la popolazione non riesce ad influenzare a sufficienza i decisori politici, in modo tale da portarli a concedere ci che era stato chiesto dal coercer; inoltre spesso non riesce a sviluppare malcontento e senso di avversione tra la popolazione verso il coercer, anzi, fa in modo di spinge la popolazione pi vicina alla leadership. A livello teorico la disaffezione popolare pu portare il regime a fare concessioni per varie ragioni. Ad esempio, i leader possono avere a cuore il benessere della propria popolazione e quindi indirizzare le loro politiche in modo da non provocare ulteriori sofferenze alla propria nazione. Nei regimi dove presente un considerevole contributo della popolazione nei processi decisionali, le sofferenze 21

della nazione possono, inoltre, creare preoccupazione politica nella leadership; i decision-makers cercheranno quindi di evitare politiche impopolari al fine di mantenere il potere. Come per le minacce dirette alla base del potere della leadership anche in questo caso le minacce alla disaffezione della popolazione possono portare il regime a concedere anche se il livello di agitazione popolare o di sofferenza basso. La reazione pubblica verso le minacce coercitive estremamente non prevedibile ed spesso il tentativo di forzare la mano allavversario facendo leva sulla volont popolare risultato poco efficace o addirittura in alcuni casi controproducente. Lesperienza della seconda guerra mondiale ha per esempio evidenziato come gli attacchi aerei degli alleati verso i civili, che miravano a fomentare una agitazione popolare, non riuscirono a innescare il meccanismo giusto per alterare il processo di decision-making dell'avversario. Piuttosto, gli attacchi aerei alleati suscitarono un sentimento di rabbia e paura tra le vittime e quindi gli effetti furono del tutto marginali rispetto allobiettivo che si proponevano. Inoltre, molti regimi possono ignorare i sentimenti della popolazione nel formulare le loro politiche; ad esempio n il regime nazista n il regime imperiale giapponese si consultarono con la loro popolazione. Questi due eventi denotano che per alcuni regimi autoritari la minaccia di una sollevazione popolare non risulti essere un pressure point. Il terzo meccanismo risiede nella decapitation strategy, cio minacciare la sicurezza personale del comando. Questo rappresenta il metodo pi diretto per influenzare le scelte politiche dellavversario; vengono, infatti, minacciate le scelte dei decision-makers stessi piuttosto che manipolare la sorte della popolazione. La minaccia di un attacco alla leadership pu intimidire i vertici avversari portando con s concessioni e politiche maggiormente conciliatorie. Alcuni leader, per, considerano la minaccia di un possibile assassinio per mano straniera come meno probabile o credibile rispetto ad una immediata perdita di potere dovuto alla coercizione. Oltre a questa limitata possibilit di successo, lassassinio pu creare complicazioni politiche e conseguenze non volute, dovendo il coercer anche tenere spesso in considerazione questioni di tipo etico e di diritto internazionale che limitano luso di questo mezzo. 22

Questo meccanismo impone spesso costi addizionali allo stato coercer che devono essere tenuti in considerazione, e che concorrono a rendere questo mezzo difficile da attuare. Un ulteriore meccanismo lindebolimento della nazione nel suo insieme. In questo caso, invece di concentrarsi sugli individui o sullelite, la coercizione implica la distruzione di una serie di infrastrutture, vie di comunicazioni, industrie o altri target che incidono sulla forza economica e sulla coesione sociale della nazione avversaria. Si presentano quindi varie ragioni per cui i leader possono fare concessioni quando la loro nazione in una situazione difficile ed sottoposta a grandi sofferenze; potrebbero ad esempio rispondere a una campagna di indebolimento poich la loro base di potere o la popolazione in generale preoccupata per il benessere dello stato. In una simile circostanza la coercizione deve essere in grado di infliggere costi abbastanza alti, tanto da convincere il regime a cambiare politica. Infine lultimo meccanismo che permette di collegare le minacce coercitive con i decision-makers il tentativo di rendere inefficace la strategia avversaria, al fine di prevenire una vittoria militare e politica avversaria: questo meccanismo viene definito diniego. Allinterno della strategia della coercizione, il diniego presente sia in tempo di pace che in tempo di guerra, ma non presenta le stesse caratteristiche. Infatti durante il periodo di pace dipende dalla percezione circa il non raggiungimento dei benefici, mentre il diniego in tempo di guerra si basa sulla percezione della realt. La strategia del diniego pu essere, a volte, confusa con la forza bruta, infatti entrambe cercano la sconfitta militare dellavversario; ma mentre il diniego coercitivo si focalizza sul convincimento dellavversario che i benefici futuri non potranno essere raggiunti, il diniego in guerra si focalizza nel fermare fisicamente un avversario. Quindi, la chiave del successo del diniego risiede non solamente nel fermare le operazioni militari, ma nella sconfitta della strategia che lavversario utilizza per giungere alla vittoria. In conclusione si pu affermare che non esiste un meccanismo migliore per il successo della coercizione. Il meccanismo ideale varia a seconda della 23

vulnerabilit del regime e delle particolarit della crisi in questione. Ci sono molti modi per forzare un regime a cambiare i suoi comportamenti ma i meccanismi pi efficaci possono essere controproducenti o funzionare solo in alcune circostanze. Limportanza dell'identificazione di meccanismi appropriati per una particolare crisi ha implicazioni enormi anche sulla selezione dello strumento pi appropriato (Byman e Waxman, 2002).

1.3 La teoria della coercive diplomacy La coercive diplomacy, nella storia, sempre stata presente tra le scelte strategiche a disposizione degli Stati. Persino Tucidide, ne La guerra del Peloponneso mette pi volte in risalto, in alcuni celebri passi, limportanza della diplomazia coercitiva. Altri grandi autori del passato, come Machiavelli e Hobbes, hanno pi volte richiamato limportanza di questa strategia nelle loro opere. In epoca contemporanea uno dei pi importanti teorici della coercive diplomacy Alexander L. George, che in unampia serie di contributi (George et al 1971, George 1991) ha sviluppato a fondo questo argomento. Nella sua opera, la principale sfida dei leader che utilizzano la coercive diplomacy riuscire a persuadere, e non martellare (bludgeon), lavversario. La minaccia diventa quindi fondamentale nella strategia di coercizione: pu essere vista come una comunicazione allavversario dei propri propositi, concepita per far comprendere al nemico le conseguenze automatiche delle sue azioni. La frase del presidente Theodor Roosevetl Speak softly and carry a big stick, definisce molto bene la filosofia associata alla coercive diplomacy (Art 2003). Questa strategia non si concentra esclusivamente sulluso della minaccia di una punizione, ma si avvale anche dellutilizzo di incentivi positivi per portare lavversario ad accettare le richieste. Quindi, la strategia della diplomazia coercitiva pu utilizzare congiuntamente sia incentivi positivi e assicurazioni sia minacce punitive. Affinch si ottengano i risultati sperati dal coercer sono necessari generalmente una strategia flessibile, un buon grado di adattabilit, e i negoziati e le contrattazioni devono assumere un ruolo centrale (George 1997).

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1.3.1 Definizione di Coercive Diplomacy La coercive diplomacy pu essere innanzitutto definita come strategia difensiva il cui scopo quello di persuadere lavversario a fermare o far retrocedere lazione appena iniziata; un tentativo di ottenere un obiettivo cambiando i comportamenti dellavversario minacciando luso della forza o attraverso il suo effettivo uso limitato. La strategia ha successo quando lavversario cede mentre avrebbe ancora le forze per resistere. Luso della forza e la distruzione, anche se non in modo ampio, sono a volte previste (George 1992). La logica della coercizione pu essere formalizzata con unequazione (Pape 1991), nella quale il successo della coercizione una funzione che altera uno o pi fattori aumentando i costi della resistenza e aumentando la certezza che questi costi saranno pagati. Non tutti questi fattori sono per sempre manipolabili dal coercer, poich dipendono dalle situazioni presenti e dalla posta in gioco. Il coercer pu, ad esempio, aumentare i costi della resistenza principalmente sfruttando la vulnerabilit dei civili: minacciando ad esempio un danno alla popolazione, aumentando cos i costi della resistenza e portandoli al di sopra del valore che lo stato disposto ad accettare. Nel modificare i costi e i benefici rimane fondamentale la superiorit militare rispetto allavversario e la credibilit, come verr ricordato anche in seguito. R=Bp(B) Cp(C) dove: R= Valore della resistenza B= Potenziali benefici della resistenza p(B)= Probabilit di ottenere benefici continuando a resistere C= Potenziali costi di resistenza p(C)= Probabilit di soffrire costi Le concessioni avvengono quando R < 0 Figura 1: la logica della coercizione secondo Pape (1991)

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La coercizione pu avere successo quando i costi di resa sono inferiori rispetto ai costi della resistenza. Se la resa meno costosa, gli stati abbandoneranno lidea di resistere e di raggiungere una vittoria, cedendo cos alla volont avversaria. Devono, per, essere tenuti in considerazione i costi relativi alla resa che in alcuni casi possono emergere - ad esempio in caso di cambiamento di regime o distruzione delle istituzioni sociali. Quando si presentano questi costi e sono uguali o superiori a quelli che prevede la resistenza, (ibidem). Per comprendere appieno il termine coercizione si pu utilizzare come controparte quello di forza bruta, come fa per esempio Schelling, il quale contrappone i due termini: labituale distinzione tra diplomazia e forza bruta sta semplicemente negli strumenti che possono essere parole o proiettili (Schelling 1997). Il ricorso ad unazione di forza puramente militare ha per oggetto la forza del nemico e non i suoi interessi; al contrario luso coercitivo del potere di recare danni consiste proprio nello sfruttamento di ci che il nemico vuole o teme. La minaccia di una sofferenza cerca di avere effetti sulle motivazioni delle persone, mentre la forza bruta cerca di superare una forza contraria. La coercizione richiede quindi che si stabilisca un negoziato e lavversario, tenendo in considerazione la minaccia alla quale sottoposto, dovr essere convinto che sar pi conveniente per lui fare ci che il coercer chiede. Ma la differenza tra coercizione e forza bruta risiede spesso negli intenti oltre che nello strumento utilizzato. La violenza pura si manifesta con maggiore evidenza nelle relazioni tra paesi con un livello di potenza diseguale, quando cio non presente una sostanziale sfida militare e il risultato dello scontro non in questione (Schelling 1968). Per delineare meglio le caratteristiche della strategia della coercive diplomacy, oltre alla distinzione tra questa e la concezione di forza bruta offerta da Schelling, importante sottolineare la correlazione che questa strategia a volte pu avere con la forza militare. Infatti quando viene definita la coercizione, spesso si fa riferimento anche alla minaccia di un futuro uso della forza militare per influenzare lavversario, ma a volte pu includere anche un limitato uso della forza effettiva. Un uso limitato della forza effettiva pu essere una componente 26 la coercizione fallisce

chiave della strategia della coercizione se il suo scopo, ad esempio, quello di aumentare la credibilit o dimostrare il prezzo che si dovr pagare se la provocazione viene continuata. Luso limitato della forza influenza lavversario non solo per gli effetti che produce sulla percezione della forza futura ma anche sulla percezione della vulnerabilit (Byman e Waxman 2002). Possiamo quindi dire che la coercizione funziona quando le sofferenze associate a una particolare minaccia superano i benefici attesi da una possibile sfida. La minaccia coercitiva pu essere usata anche in modo aggressivo per persuadere una vittima a concedere qualcosa ritenuto di valore, senza che questultima compia atti di resistenza (George 1992). Quindi, la coercive diplomacy offre unalternativa allazione militare vera e propria, cerca di persuadere lavversario a porre fine alla sua aggressione, enfatizzando luso della minaccia di punire un avversario nel caso in cui non dovesse soddisfare le richieste. La violenza non un elemento del tutto assente: infatti, a volte presente anche se in quantit limitata, quanto serve per dimostrare lintenzione di proteggere un interesse e per dimostrare la propria credibilit circa la determinazione di usare ulteriore forza in caso necessario. Inoltre la diplomazia coercitiva pu in alcuni casi non prevedere nemmeno lutilizzo della minaccia; in altri invece, pu essere abbandonata per lasciare spazio a una piena operazione militare. La coercive diplomacy lavora su due piani di comunicazione: le parole e le azioni; ma oltre a questi due livelli importante considerare le comunicazioni non verbali. La relazione tra queste molto importante per lapplicazione della strategia. Limpatto della minaccia coercitiva dipende dalla situazione nella quale stata sviluppata, dalle azioni adottate e quelle invece abbandonate, e dalle minacce verbali utilizzate per rafforzare le azioni - e viceversa. Le azioni possono rinforzare delle parole gi forti o possono compensare delle parole deboli; spesso per le azioni non parlano pi forte delle parole, anzi a volte possono essere percepite dallavversario equivoche o come un bluff. Le parole, spesso, sono viste come necessarie per chiarire il significato delle azioni intraprese o per trasmettere un impegno inequivocabile, ma allo stesso 27

modo possono servire per evitare la possibilit che lavversario percepisca unazione come un bluff (George1992). La minaccia un elemento fondamentale della coercive diplomacy e rappresenta una comunicazione dei propri incentivi, concepita per far comprendere allavversario le conseguenze automatiche delle sue azioni. Lefficacia della minaccia dipende dalla credulit dellaltra parte, e sar inefficace se il coercer non riesce a modificare o manifestare i propri incentivi in modo tale da dimostrare che avrebbe, ex post, motivi credibili per portare a termine l'azione. Oltre a ci la minaccia ha anche caratteristiche quantitative che riflettono lasimmetria generale tra premi e punizioni (Byman e Waxman 2002). La quantit di provocazione necessaria per persuadere lavversario dipende da due variabili fondamentali: che cosa richiesto allavversario e, quanto poco incline a soddisfare la richiesta. Queste due variabili non sono indipendenti luna dallaltra, ma la loro relazione deve ricevere la giusta attenzione quando viene sviluppata la strategia di coercive diplomacy. Il punto critico si riscontra quando la forza della motivazione dellavversario per la non realizzazione della richiesta altamente dipendente da quello che stato richiesto. Chiedere un accordo molto vasto allavversario pu significare non solo chiedergli di rinunciare al guadagno materiale che ha o che sta ottenendo ma pagare anche dei costi aggiuntivi, psicologici e politici. Per cercare di prevenire fraintendimenti e errori di misperception luso della minaccia dovrebbe essere attentamente coordinato con appropriate comunicazioni con lavversario. Quindi segnalazioni, contrattazioni, negoziati sono una dimensione importante della diplomazia coercitiva, sebbene il loro ruolo sia variabile da crisi in crisi (George 1992).

1.3.2 Deterrenza - coercive diplomacy - compellence Per spiegare la coercive diplomacy importante distinguere il concetto di diplomazia coercitiva dalla deterrenza e dalla compellence utilizzando il concetto di strategia coercitiva introdotto da Lawrence Freedman, il quale la definisce come l'utilizzo deliberato ed intenzionale di una aperta minaccia per influenzare le scelte strategiche di un altro (Freedman 1998: 15). Questo concetto 28

rappresenta il termine ombrello sotto il quale sono raccolte tutte le strategie di minaccia. Quindi la diplomazia coercitiva pu essere vista come un tipo di costrizione cos come lo sono la deterrenza e la compellence (ibidem). Per

Schelling, primo a coniare il termine compellenza, la distinzione tra quest'ultima e la deterrenza risiede nel fatto che la prima un'azione volta a far agire l'avversario in qualche modo mentre la deterrenza un azione volta a fermare l'avversario dall'iniziare un'azione (Art e Cronin 2003, 7). Il blackmail e la coercive diplomacy possono, invece, essere visti come sottoinsiemi della compellence in quanto il loro obiettivo risiede nella persuasione dello stato target nel compiere un'azione (nel caso di strategia offensiva), mentre nel fermare lo svolgimento di in azione (nel caso di strategia difensiva, Jakobsen 1998, 12). Questa distinzione importante per sottolineare come la compellence non distingua tra uso difensivo e offensivo delle minacce coercitive, e non facendo ci enfatizzi la maggior flessibilit della diplomazia che pu utilizzare la persuasione non coercitiva come le minacce (George 1991, 5).

Figura 2: Schema dei termini che prevedono l'utilizzo delle minacce

Secondo Alexander George la coercive diplomacy differisce dalla deterrenza in quanto questultima mira a dissuadere lavversario ad iniziare unazione, mentre la coercive diplomacy una risposta ad un azione gi in corso di svolgimento. Viene inoltre distinta la diplomazia coercitiva dalla costrizione, ma questa differenza non viene sottolineata da Thomas Schelling che, anzi, tratta la costrizione e la deterrenza come due tipi di coercizione. Infatti, nel distinguere la coercizione dalla forza bruta, il concetto di coercizione viene diviso in due: da una parte la compellence e dallaltra la deterrenza. Quindi, secondo Schelling, la teoria della deterrenza di fatto una teoria di abile non-uso della forza militare e a 29

questo fine la deterrenza richiede capacit ben pi ampie di quelle strettamente militari. Il concetto di deterrenza si basa necessariamente sullesistenza di conflitti, ma anche di interessi comuni tra le parti coinvolte; inoltre inapplicabile a situazioni di puro e completo antagonismo di interessi, come lo ai casi di pura e completa comunanza di interessi (Schelling 1968: 10). Unimportante distinzione da attuare allinterno della deterrenza quella offerta da Patrick Morgan in merito alla differenza tra General Deterrence e Immediate Deterrence; questultima riguarda il rapporto tra stati antagonisti in cui almeno uno sta valutando la possibilit di un attacco mentre laltro si sta avvalendo di una minaccia di ritorsione per impedirlo, e quindi la deterrenza si focalizza su un evento specifico. Devono essere presenti determinate caratteristiche affinch si verifichi la deterrenza immediata: una relazione tra due stati nemici nella quale almeno uno dei due policymakers ha preso in seria considerazione lattacco dellaltro; la realizzazione da parte dei leader del paese obiettivo della volont di un attacco nemico; lo stato obiettivo dellattacco, quindi, realizzando che un attacco fortemente probabile, deve minacciare luso della forza come rappresaglia con lo scopo di prevenire lattacco; i leader dello stato che sta pianificando lattacco devono decidere se desistere dallattacco a causa della minaccia di rappresaglia dellavversario. Nella deterrenza generale invece la minaccia sempre presente, e si riferisce a degli avversari che mantengono le loro forze armate per regolare i loro rapporti anche se non presente nessun attacco. Questa una situazione pi ricorrente nella politica internazionale, in quanto in un ambiente anarchico gli stati operano in una situazione di insicurezza, sospetto e ostilit, quindi le armi e le minacce sono una risposta a questo contesto. Nella deterrenza generale le relazioni tra gli avversari sono tali per cui almeno un dei due leader pu prendere in considerazione lutilizzo della forza, nel caso in cui ne emerga lopportunit; la controparte,quindi, in quanto pensa credibile il possibile ricorso alla forza dellavversario, mantiene le forze pronte, innescando cos la dinamica del dilemma della sicurezza (Morgan 1977). La differenza tra deterrenza e compellence risiede nel fatto che questultima la minaccia delluso della forza non per prevenire un attacco ma per portare uno stato a fare qualcosa o ritirarsi dallazione che sta compiendo; non sono dunque 30

presenti degli scopi aggressivi. Lattuazione di una minaccia che si riveli di efficacia compellente piuttosto che deterrente richiede che le misure previste vengano applicate sino a quando non si verifichi la reazione dellavversario, e non solo al momento in cui essa si verifica (Schelling 1968). Schelling sottolinea anche il fatto che la costrizione pi difficile da ottenere ed anche pi pericolosa. Normalmente, infatti, viene utilizzata solo in circostanze straordinarie e porta con se unalta probabilit di fallimento se le condizioni non sono pienamente favorevoli (Schelling 1999). Lattuazione di una politica di deterrenza richiede una condotta sostanzialmente passiva. Si tratta di dichiarare la propria posizione, stabilire i punti di crisi, assumere un obbligo e aspettare; spetta all'avversario compiere la prima mossa. La politica della compellenza, al contrario, comporta generalmente la creazione di un'azione, la cui efficacia viene a cessare solo nel caso di una reazione avversaria. Quindi la prima mossa spetta alla parte che intende porre in essere una minaccia di compellenza (Schelling 1968). Secondo George, invece, la differenza tra coercive diplomacy e compellence essenziale e si caratterizza per due aspetti. Per prima cosa George enfatizza con maggior forza rispetto a Schelling il fatto che la diplomazia coercitiva possa includere incentivi positivi e accordi oltre alle minacce coercitive. Secondariamente, Goerge differenzia luso offensivo e difensivo delle minacce coercitive cosa che invece la costrizione non fa (Levy 2008).

1.4 Dalla teoria alla realt Secondo George la coercive diplomacy contiene delle scatole vuote che vanno riempite trasformando cos il modello astratto in una strategia specifica plasmata sulle caratteristiche proprie delle diverse situazioni. I policy-makers devono decidere cosa chiedere allavversario: se e come creare un senso di urgenza conforme alla domanda che stanno ponendo agli avversari; se e che tipo di punizione minacciare in caso di inadempienza; e infine, se fare affidamento solo sulla minaccia di punizione, oppure, offrire incentivi di carattere positivo per assicurare laccettazione della richiesta. Quindi, a seconda di come

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vengono declinate queste quattro componenti, emergono diverse varianti della strategia. fondamentale identificare la variante preferita tra quelle della coercive diplomacy e ci avviene a seconda delle scelte che i policy-makers hanno fatto in merito alle quattro variabili precedenti: ne risulteranno cos diverse combinazioni che porteranno a differenti strategie. Le varianti della strategia che identifica George sono: lultimatum classico, lultimatum tacito, gradual turning of the screw e lapproccio try-and-see (George e Simons 1994). Da un punto di vista formale la variante pi forte della strategia lultimatum, ma limpatto coercitivo di ogni forma particolare di strategia dipende dal contesto e da altri fattori propri di ogni crisi. Una volta identificato quale variante della strategia adottare bisogna sostituire lipotesi generale che lavversario sia un individuo razionale con un modello comportamentista derivato empiricamente. Infatti il modello astratto della diplomazia coercitiva assume la razionalit da parte degli avversari, ma nella vita reale i decision makers non percepiscono correttamente tutte le informazioni in loro possesso, vari fattori psicologici interni ed esterni influenzano la ricezione delle informazioni e questi fattori influenzano quindi, la loro valutazione delle opzioni da intraprendere. I policy-makers, allora, avvalendosi della diplomazia coercitiva, devono spostare lattenzione dalle assunzioni di pura razionalit verso le variabili psicologiche, culturali e politiche che possono influenzare i comportamenti degli avversari. Infine, i decision makers, per non cadere in errore nell'elaborazione della strategia pi appropriata devono tenere in considerazione le variabili di contesto. Infatti il modello astratto non tiene in considerazione le caratteristiche delle situazioni particolari, decontestualizzato. Quindi, nel trasformare il modello in varianti della strategia da utilizzare in situazioni effettive, i policy-makers devono fare attenzione se le loro supposizioni associate alla riuscita di una determinata variante trovano riscontro nelle circostanze particolari presenti in quel momento (George 1992).

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1.4.1 Varianti della strategia Come detto in precedenza a seconda di come il policy-maker tratta le diverse componenti della strategia, emergono tre diverse varianti della coercive diplomacy, che ora andremo ad analizzare pi nel dettaglio. La pi brutale variante della strategia si pu identificare nellultimatum. Lultimatum classico formato da tre componenti fondamentali: la richiesta da fare allavversario, un tempo limitato per decidere il comportamento da tenere e infondergli un senso di urgenza per la realizzazione della richiesta, e infine la minaccia di punizione per non aver assecondato la richiesta; questa minaccia deve essere sia credibile che sufficientemente potente da imprimere un senso di dovere. Lultimatum non necessariamente la variante pi efficace, anche se quella pi brutale. Ci sono infatti situazioni per cui questa strategia inappropriata, non fattibile o addirittura particolarmente rischiosa. E possibile anche una variante della strategia dellultimatum classico (lultimatum tacito) nella quale non viene sottolineato un esplicito limite temporale, ma viene espresso un senso di urgenza attraverso altri mezzi, oppure, la minaccia di punizione non specificatamente sottolineata ma tuttavia condotta in maniera credibile. Questa variante anche se non esplicita non significa essere meno efficace di quella classica, inoltre rinunciando a lanciare un esplicito ultimatum, uno stato pu cos trasmettere informazioni limitate sulla preparazione militare e sul genere di ammonimento. Unaltra variante della strategia prende il nome di try and see, in questo caso coinvolto solo il primo elemento dellultimatum, la domanda chiara posta all'avversario, gli altri elementi non sono presi in considerazione, in questo modo il coercer non annuncia un limite di tempo e non trasmette un senso di urgenza per la realizzazione dellobiettivo. Viene assunta una limitata minaccia e si attende, per vedere se sufficiente per persuadere lavversario, e se ci risulta infruttuoso allora si valutano altre opzioni. Infine lultima variante della diplomazia coercitiva il turning of the screw, il quale differisce dallapproccio try and see in quanto la minaccia dellaumento delle pressioni inizialmente graduale e viene incrementato in modo progressivo. Questa variante differisce, per, anche dall'ultimatum per la mancanza di senso di urgenza da trasmettere agli avversari e si basa su una minaccia graduale e non una 33

minaccia di una vasta escalation, nel caso in cui le richieste non vengano soddisfatte. E difficile poter dire quale delle precedenti varianti sia la pi appropriata da intraprendere, perch bisogna analizzare il contesto e le variabili presenti. In linea generale, per quando lultimatum viene considerato non appropriato o rischioso, gli approcci try and see e turning of the sreew vengono visti come i migliori (George 1997). George nota come i decisori politici durante le crisi nel dell'ultimo secolo abbiano utilizzato con unaltissima frequenza la variante dellultimatum, credendo che, bench il suo innato pericolo, potesse essere la variante migliore per risolvere la crisi rispetto alle altre opzioni (George e Simons 1994).

1.4.2 Variabili di contesto Come si detto in precedenza, la diplomazia coercitiva fortemente dipendente dalle variabili di contesto e i policy-makers devono tenerle attentamente in considerazione quando decidono quale variante della strategia adottare. Possono essere identificate otto variabili di contesto: 1) Il tipo di provocazione: le crisi nelle quali si cerca di utilizzare la

diplomazia coercitiva presentano una grande differenza a seconda del tipo di sfida che portano avanti e ci dipende dal tipo di provocazione che ha dato inizio al confronto. Alcuni tipi di provocazione possono essere pi semplici da fermare o distruggere rispetto ad altri, ad esempio unazione che prevede l'invasione e l'occupazione di una nazione vicina pi difficile da rovesciare rispetto allo sforzo di alterare una situazione di status quo. 2) Importanza e significativit degli interessi in gioco: questo fattore

varia significativamente nelle diverse situazioni; nel caso in cui entrambe le parti credono che la crisi coinvolga interessi molto importanti o vitali, le nazioni assumeranno, allora, una posizione pronta ad affrontare un conflitto a somma zero nel quale uno pu solo vincere o perdere. Diventa cos ancor pi difficile per la coercive diplomacy raggiungere una soluzione pacifica della crisi, in quanto nessuna parte ha la volont di fare concessioni per il

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raggiungimento di un compromesso poich gli interessi in gioco sono troppo importanti da essere accantonati. 3) Visione della guerra: pi la crisi riesce a trasmettere unimmagine

orribile della guerra, pi le parti, o la parte che ne stata colpita in modo pi significativo, decideranno, o decider, di optare per la moderazione e di cooperare al fine di evitare una guerra. 4) Pressioni sul tempo in cui viene raggiunto lobiettivo: la decisione di

ricorrere a una strategia di coercive diplomacy pu essere influenzata dallurgenza che una parte sente circa i tempi di risoluzione della questione. Lurgenza pu essere data da molteplici fattori tra cui: la preoccupazione in merito al supporto interno o internazionale (che pu venire meno); la consapevolezza che potrebbero sopraggiungere mutamenti nel corso del tempo che potrebbero rendere le operazioni militari pi difficili; la paura che la propria capacit di gestire la crisi possa crollare e che si debba quindi cercare di portarla a termine prima che sopraggiunga la guerra. 5) La coercive diplomacy di coalizione o unilaterale: la diplomazia

coercitiva pi difficile quando impiegata una coalizione di stati rispetto a quando presente un singolo attore. Sebbene la coalizione abbia una possibilit maggiore di creare consenso internazionale e probabilmente anche maggiori risorse, lunit e il senso di risolutezza di una coalizione potrebbe essere pi fragile2. 6) Leadership forte: la scelta, limplementazione e gli outcomes della

diplomazia coercitiva possono dipendere dalla presenza di una leadership forte ed efficiente. Un esempio la presidenza Kennedy durante la crisi dei missili di Cuba: infatti la presenza di una leadership forte durante la crisi ha infatti contribuito al successo della strategia. Al contrario durante la crisi del Golfo Persico la coercive diplomacy non ebbe successo e ne segu una guerra in

Uneccezione parziale fu la forte e stabile coalizione delle Nazioni Unite contro lIraq, anche se

deve essere notato che la preoccupazione per la vulnerabilit e la mancanza di resistenza della coalizione sono stati fattori che hanno portato il Presidente Bush a spostare la minaccia dalla guerra verso sanzioni economiche.

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quanto la leadership del Presidente Bush rese impossibile la creazione di una coalizione di supporto per imporre un ultimatum a Saddam Hussein. 7) Isolamento dellavversario: il compito della diplomazia coercitiva

pi complesso e difficile quando un avversario non stato isolato internazionalmente ma supportato sostenuto diplomaticamente e militarmente da alleati. Infatti quando lIran venne isolato diplomaticamente durante la crisi del Golfo e perse lappoggio dellUnione Sovietica, fu pi semplice per gli Stati Uniti intervenire e organizzare una coalizione che chiedeva allIraq il ritiro dal Kuwait. 8) Tipo di relazione che uno stato di auspica di avere con il suo

avversario dopo la crisi: sia gli obiettivi della coercive diplomacy sia i mezzi impiegati sono suscettibili al tipo di relazione che la potenza coercer spera di avere con lavversario dopo la risoluzione della crisi. Sia Kennedy che Khrushchev speravano di andare verso un miglioramento delle relazioni USAURSS dopo la risoluzione della crisi dei missili di Cuba.

Queste variabili costituiscono la linea guida per identificare, anche se sempre in modo parziale, il successo di una strategia. Infatti quando si verificano queste condizione pi probabile che la strategia abbia buone possibilit di riuscita. Favoriscono la riuscita della strategia, anche se George sottolinea come non si debba semplificare eccessivamente e considerare queste variabili come garanzia di successo della strategia (Levy 2008).

1.5 I pro e i contro della coercive diplomacy Lo studio della coercive diplomacy ha rivelato fin da subito le numerose difficolt che gli stati si trovarono innanzi nellimplementazione di tale strategia. La coercive diplomacy infatti uno strumento affascinante perch permette success in the cheap, anche se molti casi hanno dimostrato che i decision makers sono stati attratti con troppa facilit da questa strategia senza, valutare pi attentamente le caratteristiche della crisi e tutti i fattori in gioco, indispensabili per poter decidere al meglio, e per limitare gli errori di valutazione delle variabili e del contesto (Art 2009). 36

La teoria generale enfatizza la correlazione tra ci che viene domandato dal coercer allavversario e la motivazione di quest'ultimo a resistere; gli outcomes della diplomazia coercitiva sono estremamente sensibili alle motivazioni relative delle due parti. La motivazione a sua volta riflette il modo in cui percepito lequilibrio degli interessi coinvolti nella disputa ed molto pi probabile avere successo se lobiettivo selezionato e la domanda riflettono solo gli interessi pi importanti. Questa scelta, infatti ha pi probabilit di creare asimmetria di interessi, e anche asimmetria di motivazioni a proprio favore. Al contrario se il potere di coercizione ha un potere persuasivo adeguato ma gli obiettivi non riflettono gli interessi vitali o i pi importanti, allora lasimmetria degli interessi e lequilibrio delle motivazioni probabilmente operer in favore dellavversario (George 1992). La realizzazione delle coercive diplomacy pu essere resa pi difficoltosa nel caso in cui siano presenti pi coercers e un unico avversario. In tale situazione emerge come la concertazione tra alleati si rilevi nella maggior parte dei casi difficoltosa, possono sorgere disaccordi in merito ai mezzi da utilizzare e alla modalit di attuazione della strategia (Art 2009). Dal momento che la diplomazia coercitiva una strategia difensiva da adottare in risposta a un azione aggressiva o percepita non gradita, il difensore spesso gode di un vantaggio intrinseco in quanto la sua richiesta possiede una legittimit conferitagli dalle norme internazionali. Se il difensore limita le sue richieste a obiettivi puramente difensivi che possono essere supportati dal diritto internazionale, allora la strategia acquisisce legittimit. Questa legittimit pu essere daiuto per ottenere sostegno interno ed internazionale, e quindi il coercer pu fare appello alle norme internazionali per persuadere lavversario che il suo comportamento indifendibile e quindi che devessere modificato (George 1992). La diplomazia coercitiva, comunque, rimane una strategia di difficile applicazione. Come infatti stato detto in precedenza, gli Stati Uniti hanno spesso adottato questa strategia ma non sempre hanno ottenuto dei risultati soddisfacenti. I motivi che rendono questa strategia difficile, anche per gli stati potenti, oltre quelli enunciati in precedenza, si possono analizzare partendo dai casi in cui il soggetto principale sono stati gli Stati Uniti, tenendo sempre in considerazione 37

che la coercive diplomacy una forma di costrizione e la costrizione intrinsecamente difficile da attuare, nella quale un ruolo importante viene giocata dalla flessibilit, tipica di questa strategia. Questa caratteristica si pu identificare nella domanda fatta allavversario, in merito alle concessioni o a quanto si dovr pagare; infine in relazione a quale delle quattro varianti3 identificate da George viene utilizzata (George e Simons 1994).

1.5.1 Condizioni permissive George identifica quindi alcune condizioni che favoriscono la diplomazia coercitiva, dal momento che essa non sempre una strategia di successo. importante identificare le condizioni che, se presenti, favoriscono il suo successo o, se assenti, riducono la probabilit che essa sia efficace. L'autore, per sottolinea come sia pericoloso semplificare eccessivamente questo concetto e quindi cercare la riuscita o il fallimento della strategia in una condizione piuttosto che in un altra. Inoltre afferma che, bench la natura fortemente dipendente dal contesto della coercive diplomacy, emergono ugualmente condizioni generali che possono favorire un applicazione di successo della strategia.

In primo luogo molto importante la chiarezza degli obiettivi, anche se non sempre essenziale, la chiarezza e la coerenza richiesti allavversario sono variabili molto rilevanti. Sia nella crisi nel Laos sia nella crisi dei missili di Cuba, queste condizioni sono state soddisfatte e contribuirono al successo della coercive diplomacy. Altri esempi in cui furono presenti chiarezza e coerenza degli obiettivi furono il caso di Pearl Harbor e la crisi del golfo Persico, ma in questi casi la strategia ottenne risultati fallimentare a causa di fattori altri non tenuti in considerazione. Al contrario, nei casi del Vietnam e del Nicaragua, gli obiettivi di Washington e le richieste portate avanti dagli USA, non erano chiare e coerenti, e questo rese difficile lapplicazione della coercive diplomacy. Unaltra condizione che favorisce la riuscita della strategia la forza delle motivazioni. Il potere di coercizione deve infatti essere sufficientemente motivato da ci che viene percepito come la posta in gioco durante la crisi. Se si vanno ad
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Cio ultimatum, ultimatum tacito, turning of the screw e lapproccio try and see.

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analizzare i casi in cui stata applicata la coercive diplomacy emerge che la forte motivazione era presente in tutte le diverse situazioni. Si pu affermare che questa rappresenta una condizione necessaria per il successo della strategia, anche se non pu essere considerato sufficiente di per s. Lasimmetria delle motivazioni un altro fattore importante che contribuisce alla riuscita di un operazione. Infatti la coercizione ha pi probabilit di avere successo se la parte coinvolta altamente motivata da ci che in gioco nella crisi, tanto pi coinvolta rispetto allavversario. In alcuni casi le motivazioni relative delle due parti tendono ad essere fissate dalla natura del conflitto, in altri casi invece, una parte pu essere in grado di creare asimmetria di motivazioni a suo favore, e ci pu avvenire in due modi: esigendo dallavversario solo ci che essenziale per proteggere i suoi interessi vitali e non chiedendo che siano coinvolti gli interessi vitali dellavversario oppure, offrendo incentivi che riducono le motivazioni degli avversari a resistere alle richieste. La percezione dellavversario circa la criticit della condizione, quindi il senso di urgenza che viene trasmesso, costituisce un altro passaggio importante per la riuscita della coercive diplomacy. Se lo stato utilizza questa strategia in modo efficace riuscendo a creare un senso di urgenza per il raggiungimento del suo obiettivo molto probabile che sia capace di generare un senso di urgenza anche nellavversario. La potenza coercitiva deve trovare anche altre vie per comunicare questo senso di urgenza nellavversario per portarlo a fare concessioni, mosso dal timore di possibili ripercussioni. E necessario, inoltre, un adeguato supporto politico domestico ed internazionale, ma il livello di dipendenza da questo supporto variabile e, il supporto interno pu variare in funzione della specificit del caso, in particolare a seconda del tempo utilizzato per concludere la crisi. Se i tempi necessari sono circoscritti allora il supporto interno non viene visto come fondamentale, mentre se previsto un dispendio di tempo maggiore la sua importanza maggiore. Il supporto internazionale anchesso importante, si veda la crisi dei missili di Cuba nella quale il supporto dellOrganizzazione degli Stati dAmerica e delle Nazioni Unite si rivel fondamentale.

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Limpatto della coercive diplomacy , inoltre, potenziato se il primo passo fatto contro lavversario fa nascere in lui la paura per unescalation, tale da farla percepire come inaccettabile e quindi far aumentare le motivazioni per cercare la via per evitarla. Infine di grande importanza per la strategia la chiarezza dei termini di soluzione della crisi, infatti la chiarezza negli obiettivi e nelle domande non sufficiente per rendere efficace una strategia, necessario stabilire termini specifici riguardo la risoluzione della crisi e le procedure per attuarla (George, 1992).

Queste condizioni appena enunciate non posseggono tutte la stessa importanza per il successo della coercive diplomacy, perch i fattori che hanno come obiettivo quello di influenzare le percezioni degli avversari sono considerate di maggior importanza. Lattuazione e il successo della diplomazia coercitiva, infatti, sono facilitati se lavversario crede che sia presente unasimmetria di motivazioni che opera in favore del potere coercitivo, che sia presente un senso di urgenza mirato alla risoluzione della crisi ed infine, se lavversario pensa che il coercer lo potr coinvolgere in un escalation che pu imporre costi inaccettabili. Queste considerazioni e questi fattori devono sempre essere tenuti in considerazione dai decisori politici nel momento in cui decidono di adottare questa strategia, ma in molti casi non vengono valutati con precisione, adattandoli adeguatamente alla crisi in atto (George, 1992).

1.5.2 I Limiti della coercive diplomacy Risulta molto importante valutare i costi e i benefici dellazione e delle conseguenze delle modalit di attuazione della strategia, che richiedono una buona conoscenza del leader avversario, della sua mentalit e del contesto domestico e internazionale nel quale si opera. Secondo Robert Pape la minaccia delluso della forza e il suo uso dimostrativo sono meno efficaci rispetto a una significativa quantit di forza per negare a un avversario un obiettivo, per punirlo o per imporgli il rischi di possibili punizioni. La strategia della coercive diplomacy, secondo l'autore, non potr, quindi, produrre grandi punizioni o imporre rischi veramente significativi a causa della 40

scarsa quantit di forza che possibile utilizzare. Per lo stesso motivo, dal momento che si utilizza maggiormente la minaccia o una piccola quantit di forza il diniego risulta altrettanto difficile da raggiungere (Pape, 1996). Un altro limite riscontrabile nella coercive diplomacy ricollegabile alla credibilit. Infatti, il target ha difficolt a credere ad una coercizione se sono sotto scacco sia la sua credibilit che il suo potere. Infatti, piegandosi alla volont del coercer, il target non solo perde parte della sua reputazione ma anche parte della sua capacit di governare. In questo modo il target risulta preoccupato sia per la minaccia portata avanti nel presente sia per le conseguenze che si potrebbero avere in futuro a seconda delle scelte che decider di intraprendere (Art e Cronin, 2003). Infine, possibile identificare cinque problemi pratici relativi allimplementazione della strategia nella realt. In primo luogo spesso difficile se non in alcuni casi impossibile - riuscire a creare un'efficace minaccia delluso della forza, in modo tale da convincere lavversario della sua credibilit e della sua fattibilit in caso di mancata accondiscendenza alle richieste fatte. Il secondo elemento di difficolt sorge dal fatto che le potenze occidentali molto probabilmente si troveranno di fronte a forze irregolari o ad atti di guerriglia e non a forze regolari e questo rende molto pi difficile creare una minaccia credibile e sconfiggere in tempi brevi e a un costo limitato le forze di opposizione. Le operazioni di counter-insurgency, solitamente richiedono tempo e dispiegamento di truppe di terra, difficili da sostenere. Il terzo punto di difficolt risiede nella possibilit di offrire incentivi o assicurazioni che risulta molto spesso limitata. Un esempio si pu riscontrare durante il conflitto nel Golfo, nel quale i governi americano e britannico si trovarono impossibilitati ad offrire incentivi a Saddam Hussein in quanto non aveva agito nei termini dell'accordo, cio innanzitutto poich non avrebbe dovuto attaccate il Kuwait. Limplementazione della strategia richiede, quindi, abilit diplomatica per conciliare le esigenze contrastanti della teoria generale. Da una parte il coercer deve impressionare lavversario con la sua determinazione e convincerlo che in grado ed disposto a rendere effettiva la sua minaccia delluso della forza. 41

Dallaltra parte, per, il coercer

deve anche rassicurare lavversario che

l'accettazione alle richieste non comporter ulteriori sollecitazioni e concedergli incentivi per l'accondiscendenza senza per apparire debole. Infine, si devono tenere in considerazione le misperception e miscalculation che possono portare ad interpretare male la strategia e le intenzioni dellavversario Le informazioni infatti possono non essere sempre chiare o possono non essere sempre disponibili nel momento della scelta della strategia, e ci pu portare ad errori di valutazione (Jakobsen, 1998).

1.6 Le caratteristiche della coercizione americana Dopo la fine della guerra fredda per gli Stati Uniti la coercizione sarebbe dovuta essere una strategia di facile attuazione, se non altro perch era venuto a mancare un rivale con la loro stessa forza politica, militare ed economica. Cos non fu, dopo la scomparsa dell'Unione Sovietica la coercizione per gli USA fu anzi spesso di difficile applicazione (Byman and Waxman 1999). La coercizione un processo dinamico di mosse e contro mosse e l'avversario plasma la sua strategia per colpire i punti di debolezza degli USA, per questo motivo importante analizzare i cinque fattori identificati da Byman e Waxman caratterizzanti la strategia di coercizione USA. Questi fattori che delineano le decisioni strategiche americane possono essere utilizzate dagli avversari per minare la credibilit americana e porre limiti significativi all'abilit di minaccia e quindi possono essere sfruttati per costruire una contro strategia di risposta. Il primo fattore rappresentato dalla preferenza di Washington per le operazioni multilaterali, perseguite sotto l'egida delle Nazioni Uniti o della Nato, o a seguito della creazione di alleanze ad hoc. Questa preferenza per il multilateralismo deriva da vari fattori, in primo luogo in quanto spesso i partner della coalizione forniscono il grosso delle truppe di terra utilizzate in un'operazione; inoltre, poich gli alleati contribuiscono all'effettiva riuscita delle operazioni. L'unit della coalizione diventa cos, di centrale interesse per i decision-makers americani. In altri casi per il multilateralismo assume un ruolo centrale dal punto di vista politico: la cooperazione internazionale conferisce legittimit all'azione militare agli occhi dell'audience domestica ed internazionale. 42

Un fattore che caratterizza l'utilizzo USA delle forze militari inoltre riscontrabile nella sensibilit dei decision-makers e dell'opinione pubblica per le vittime tra le truppe americane (il cosiddetto body-bag factor). Fin dalla guerra del Golfo del 1991 i commentatori hanno etichettato questa tendenza come Sindrome del Vietnam, sindrome che si poi vista chiaramente nella battaglia di Mogadiscio, quando l'uccisione di solo 18 militari ha convinto i decisori politici a ritirarsi dalla missione. Questa estrema sensibilit per le vittime e le sofferenze viene estesa similmente anche per la popolazione e i civili nemici, anche se rimane di primaria attenzione per gli USA cercare di evitare vittime tra le proprie truppe. Infatti si pu notare come vengano preferiti gli strumenti coercitivi che non richiedono un impiego di truppe in situazione che potrebbe mettere in gioco la vita dei soldati; molto importante quindi a questo fine lo sviluppo di una tecnologia militare che possa limitare i danni alle persone. Emerge cos un'ulteriore caratteristica delle operazioni americane, e cio la ricerca di una vasta superiorit tecnologica, con missili moderni e sistemi di guida di precisione, che permettano di discriminare tra target da colpire e popolazione, in modo da evitare e sofferenze dei civili e non mettere in pericolo la vita delle truppe americane. Infine, l'ultima caratteristica delle missioni USA, anch'essa legata all'avversione per le vittime, il tradizionale impegno al rispetto delle norme internazionali, in particolare il principio di proporzionalit e di discriminazione tra civili e militari. Le prime due caratteristiche preferenze per le coalizioni e avversione per le vittime tra le truppe USA possono per variare a seconda degli interessi americani in gioco. Questo emerge molto chiaramente andando ad analizzare il supporto dell'opinione pubblica, che diventa, pi robusto quando sono in gioco interessi vitali della nazione. Come conseguenza di queste cinque caratteristiche, spesso gli USA si trovano incapaci di infliggere pene adeguate con il proprio potere militare, e anzi spesso le stesse sono sfruttate dagli avversari per opporsi alle campagne di coercizione americane. La pi comune contro-strategia utilizzata in opposizione agli USA mira a sfruttare la sensibilit americana per le vittime e le sofferenze sia dei civili che dei propri militari, che spesso genera una moderazione nell'utilizzo della forza. Alcuni 43

regimi, per, come quelli autoritari e dittatoriali, riescono a sfruttare meglio questa contro-strategia. Non basandosi sul supporto popolare per rimanere al potere, questi possono infatti far leva sulle sofferenze della popolazione - come fece Saddam Hussein rifiutando la proposta delle Nazioni Unite, che chiedeva petrolio in cambio di aiuti alimentari, e vedendo anzi nelle sofferenze della popolazione uno strumento per porre fine all'isolamento internazionale. Gli avversari possono, inoltre, sfruttare la preferenza USA per le operazioni multilaterali, facendo leva sulla coesione della coalizione e andando a rompere gli equilibri tra i diversi set di interessi degli attori in gioco. La rottura della coalizione non porta, per al totale collasso del supporto degli alleati, ma avr effetti sulle forze in gioco, infatti, ridurr il livello di forze che la coalizione potr utilizzare. Tutte le caratteristiche, proprie delle missioni USA, quindi possono essere utilizzate dagli avversari per sviluppare contro-strategie sfruttando i punti deboli americani. Come detto in precedenza risulta, quindi, essenziale per i policy-makers statunitensi riuscire a comprendere l'avversario, le sue caratteristiche e le variabili presenti, in modo da poter creare una strategia ad hoc per ogni situazione e limitare i danni o le perdite per raggiungere l'obiettivo prefissato (Byman e Waxman 1999) .

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- CAPITOLO II -LA STRATEGIA DELLENGAGEMENT-

Gli stati hanno a disposizione un largo ventaglio di possibili strategie da utilizzare al fine di modificare i comportamenti di un avversario. Molto spesso per la direzione adottata dalla maggior parte degli stati stata rivolta a strategie di coercizione economica o militare, considerate per lungo tempo le pi efficaci. Col passare del tempo, tuttavia, il fallimento della coercizione in alcune circostanze, come le sanzioni contro Cuba, contro l'Iran o l'Iraq, che non avevano prodotto risultati soddisfacenti, inizi a mostrare come gli strumenti utilizzati potessero essere inefficaci in contesti con caratteristiche particolari. Per questo motivo, negli ultimi anni una strategia alternativa ha iniziato ad essere presa in considerazione con maggior attenzione: la strategia dell'engagement, che persegue lo stesso obiettivo della coercizione, cio la modificazione di comportamenti considerati minacciosi o non desiderati, ma utilizza strumenti e mezzi differenti. La strategia dell'engagement pu essere, quindi, considerata una strategia alternativa alla coercizione, poich prevede incentivi positivi e non solo punizioni volti a modificare i comportamenti dello stato target. Lengagement non deve essere per considerato una mera antitesi all'isolazionismo; piuttosto una strategia che coinvolge l'utilizzo di incentivi economici, politici o culturali per influenzare uno stato target al fine di alterare i suoi comportamenti (Hass e O'Sullivan 2000a). Lengagement un processo di interazione strategica che ha il fine di portare alla cooperazione stati antagonisti, che cerca di trasformare le relazioni tra gli attori in rapporti non conflittuali e mira a modificare i comportamenti dello stato che sta assumendo degli atteggiamenti minacciosi (Cha 2000). Questa nuova prospettiva di politica estera ha visto la sua diffusione specialmente all'inizio degli anni '80, quando l'amministrazione Reagan inizi ad adottare la politica del engagement costruttivo nei confronti del SudAfrica. Con la fine della guerra fredda e l'affermarsi di un nuovo sistema internazionale emersero cos nuove opportunit per la strategia dell'engagement: infatti negli anni '90 la 45

maggior parte degli alleati americani in Europa rivel forti preferenze per l'utilizzo degli incentivi positivi al posto di azioni punitive (Haas e O'Sullivan 2000a). Sono molti gli esempi che possono essere citati, soprattutto negli ultimi vent'anni: un caso di engagement di successo l'Agreed Framework stipulato nel 1994 tra USA, sotto l'amministrazione Clinton, e Corea del Nord, accordo che prevedeva la fine della proliferazione nucleare in cambio di aiuti economici e tecnologici. Il significato preciso del termine, per, non venne mai chiarito completamente e quello di engagement rimase un concetto confuso e impreciso fintantoch Haas e O'Sullivan non hanno provato a definire con precisione tale strategia. Gli autori delineano l'engagement come una strategia di politica estera che fa affidamento su un significativo grado di incentivi positivi al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. Allo stesso tempo, per, non preclude l'utilizzo simultaneo di altri strumenti di politica estera, come le sanzioni o la forza militare, ma questi devono essere considerati solo in ultima istanza, quando cio si prefigura un fallimento o i risultati ottenuti sono considerati scarsi (Haas O'Sullivan 2000b). L'idea che sta alla base di questa strategia la diffusione di incentivi positivi e l'estensione di benefici, invece che l'utilizzo della minaccia di un danno o l'imposizione di alti costi, che possono produrre un cambiamento nelle azioni dell'avversario o una trasformazione dello stato grazie allo sviluppo di nuovi interessi di lungo periodo (Kim e Kang 2009). Nellengagement il soft power, quindi, prende il posto dell'hard power, e il fine della strategia diventa cos quello di cooptare uno stato piuttosto che "coercerlo" (Nye 2004). Si deve per questo fare affidamento sul senso di attrazione e di dovere, e se si riesce a persuadere lo stato target ad orientarsi nella direzione desiderata senza nessuna minaccia o senza nessuno scambio, il soft power pu dirsi di successo (ibidem). L'importanza di questa strategia risiede nella sua capacit di impedire la cristallizzazione delle condizioni sfavorevoli, che avrebbero impedito un miglioramento della situazione e anzi, avrebbero favorito un aumento della tensione (Cha 2002). I sostenitori della strategia dell'engagement rifiutano le posizioni assunte dai fautori della coercizione e dell'isolamento, in quanto vedono in queste ultime un 46

atteggiamento di non-comunicazione, minaccia e intimidazione che pu solo che esacerbare la situazione presente. La paura che una strategia di coercizione possa aumentare la tensione, alzando il senso di insicurezza e vulnerabilit dello stato target invece che diminuirla (ibidem). In particolare l'engagement economico, una strategia che punta a espandere il legame economico con l'avversario al fine di cambiare il comportamento dello stato target e migliorare le relazioni bilaterali tra i due, ha suscitato un crescente interesse nelle relazioni internazionali, e ancor di pi in tempi recenti (Kahler e Kastner 2006). Risulta cos importante il collegamento che si viene a instaurare tra politica interna e politica internazionale. Essendo l'engagement una strategia di lungo periodo che punta alla trasformazione di un regime o al cambiamento dei suoi comportamenti, un'espansione delle interazioni economiche porta alla creazione di interdipendenza con lo stato target. La strategia dell'engagement quindi vista come alternativa alla strategia della coercizione e all'imposizione di sanzioni, e per i suoi sostenitori possiede il vantaggio di essere meno rischiosa e meno incline al conflitto o all'escalation militare. Ci non significa, per, che sia di pi facile attuazione o non siano presenti rischi nell'attuarla. Porta con s, infatti, il problema dell'azzardo morale che pu indurre malumori nell'audience domestica nel momento in cui si diffondono delle aspettative irrealistiche che non possono essere soddisfatte. Questa disillusione pu essere collegata ad una percezione sbagliata della strategia o ad errori di comunicazione che conducono a un'insoddisfazione dell'audience domestica in merito alle aspettative e quindi a una sua possibile opposizione interna (Mastanduno 2001). Lo sviluppo di tale strategia, che ha segnato in particolare gli ultimi anni, pu essere ricollegato anche al fatto che certi tipi di incentivi utilizzati nell'engagement possono coinvolgere lo stato target nel mercato globale promuovendo allo stesso tempo le esportazioni dello stato che attua tale strategia; da questo punto di vista, pu essere vista come una politica volta anche al miglioramento dell'economia dello stato promotore, che a sua volta pu condurre in ultima istanza anche a forme di liberalizzazione e integrazione (Haas e 47

O'Sullivan 2000a). Infatti, una strategia di engagement di successo pu innescare un processo di interdipendenza tra gli stati coinvolti e il sistema internazionale, un legame che pu modificare sia i rapporti tra gli attori ma anche innescare scambi di beni che influiscono positivamente sulle economie di entrambi gli attori (Axelrod 1984). Infatti l'ingaggio di uno stato che prevede l'utilizzo di incentivi positivi pu permettere la nascita di un'integrazione economica e istituzionale, sia tra i due attori, sia dello stato target a livello internazionale. Quindi emergono dei benefici positivi che possono condurre alla democratizzazione dello stato target, in particolare quando il dialogo avviene tra uno stato democratico e uno autoritario. Questo processo fa s che si sviluppi un clima di fiducia e sicurezza tra gli attori, riducendo, cos, il senso di insicurezza e quindi condurre a relazioni pacifiche e cooperative (Keohane e Nye 2000).

2.1 Differenti tipi di engagement

2.1.1 Engagement conditional e unconditional Esistono differenti tipi di engagement a seconda degli attori coinvolti, dal tipo di incentivi utilizzati e dal tipo di obiettivi da perseguire. L'engagement pu essere definito conditional quando comporta una serie di scambi negoziali tra i due attori, come nel caso in cui uno stato metta in campo incentivi positivi per indurre lo stato target ad avviare dei cambiamenti nella sua politica (Haas e O'Sullivan 2002b). Prevede una serie di condizioni e incentivi che vengono posti allo stato target in modo che esso sia influenzato nel calcolo dei costi/benefici delle sue scelte politiche. Questo tipo di strategia utilizza la pratica del give-and-take duranti i negoziati (Kim e Kang, 2009) e richiede, infatti, un esplicito quid pro quo (Kastner e Kahler 2006). L'engagement dell'avversario che presenta condizioni di reciprocit ha tre caratteristiche principali che permettono di distinguere questa strategia dall'appeasement. In primo luogo gli incentivi devono essere legati a un cambiamento specifico nello stato target, non devono essere solamente legati a una generale aspettativa di miglioramento

dell'atteggiamento avversario. Secondariamente, la ricompensa deve essere 48

elargita solo dopo che sia avvenuto lo specifico cambiamento nel comportamento. Infatti, se la ricompensa viene concessa prima del raggiungimento dell'obiettivo o non legata al mutamento specifico di comportamento richiesto, la strategia pu essere legittimamente criticata come corruzione dell'avversario. Infine, questo approccio condizionato al rispetto dei diversi step che entrambi gli attori devono perseguire, e non devono essere possibili escamotage per evitare alcune condizioni o modificare il timing, in modo che se lo stato target non adempie ai suoi obblighi, il processo pu essere arrestato e i benefici ritirati (Litwak 2007). Il successo nell'utilizzo dell'engagement condizionale pi probabile tra democrazie, in quanto rispetto agli stati non democratici hanno una capacit maggiore di creare un commitment positivo tra gli avversari. Inoltre, un elemento importante risiede nell'influenza che possiede lo stato sulle industrie nazionali; infatti se le industrie non trovano attraente il mercato dello stato target, utilizzando l'engagement condizionale il governo pu rendere pi interessante il mercato dello stato target. Allo stesso tempo, per, l'influenza sulle industrie pu essere un limite, come nel caso in cui venga adottata la strategia dell'engagement condizionale ma non avvengano i cambiamenti nei comportamenti richiesti dal primo stato allo stato target; in questo caso le industrie, che volevano portare avanti delle transazioni con lo stato target, non otterranno gli scambi economici auspicati. Da questo punto di vista, quindi, le democrazie possono trovare maggiori difficolt nel perseguire con successo l'engagement condizionale: infatti le industrie nazionali sono critiche verso le politiche che restringono le loro attivit commerciali e quindi tenderanno a supportare la parte politica che non pone ostacoli ai loro scambi commerciali e quindi agiranno solo spinte dal mercato e non tenendo conto delle implicazioni politiche che ci potrebbe comportare. In conclusione si pu affermare, quindi, che l'engagement condizionale se visto sotto il punto di vista meramente economico, ha meno probabilit di avere successo se lo stato che propone questa strategia una democrazia (Kahler e Kastner 2006). L'altra variante di engagement definibile come unconditional, che a differenza del condizionale pi passiva. Si verifica quando vengono avviati dei cambiamenti nella politica del primo stato senza che questo si aspetti lo stesso 49

cambiamento anche nello stato target, o l'invio di incentivi non condizioni il raggiungimento del cambiamento. Solitamente il primo tipo di engagement rivolto a un governo, nel secondo caso invece, l'engagement diretto verso la societ civile o un settore privato nella speranza che queste forze coinvolte facilitino la cooperazione (Haas e O'Sullivan 2000b). Nel caso in cui l'economia non sia totalmente controllata dallo stato, i contatti economici possono favorire lo sviluppo di gruppi di interesse autonomi i quali possono promuovere un'evoluzione positiva della societ civile all'interno dello stato target (Litwak 2007). L'engagement unconditional avviene senza un esplicito accordo che sancisce i comportamenti che i due stati devono tenere e poich questo tipo di strategia considerata di lungo periodo, la mancanza di un atto che sancisca le posizioni degli attori fa emergere una certa vulnerabilit politica (Haas O'Sullivan 2000b). Un esempio di questo tipo di engagement l'interdipendenza economica, la quale aumenta i benefici che gli stati possono ottenere dallo sviluppo di buone relazioni economiche che quindi possono portare a un cambiamento nei loro obiettivi politici (Keohane e Nye 2000). Gli stati quindi si aspettano che l'interdipendenza economica, nel lungo periodo, cambi la politica dello stato target e riduca la possibilit di un conflitto (Kim e Kang 2009). I leader degli stati possono cercare di sfruttare due vie per perseguire l'unconditional engagement: da una parte l'interdipendenza economica pu agire come un freno per la politica estera aggressiva o minacciosa dello stato target, creando indirettamente degli interessi per un politica pi pacifica e alzando i costi causati da una possibile destabilizzazione dei rapporti tra gli stati; ma dall'altra pu anche agire come agente trasformatore che rimodella gli obiettivi del target, portando a una trasformazione sia del livello di welfare economico nazionale sia dei valori che, in precedenza, avevano un orientamento rivolto maggiormente al conflitto (Kahler e Kastner 2006). Il pi famoso esempio di unconditional engagement quello attuato con la Cina: infatti lo sviluppo del suo settore privato e la sua apertura al mondo esterno a livello societario sono stati entrambi il riflesso della riforma interna del paese, atta a stimolare anche l'adozione di misure per promuovere un'apertura e la creazione di un'economia di mercato (Litwak 2007). 50

2.1.2 Engagement positivo e negativo L'engagement pu inoltre assumere due caratteristiche differenti a seconda della sua interpretazione, della visione dello stato target e della percezione delle sue intenzioni, se cio emerge una chiara volont di cambiamento o se invece fermo sulle sue posizioni. Questa divisione pu essere ricollegata alla classificazione fatta in precedenza, riprendendone alcune caratteristiche e peculiarit, ma si incentra maggiormente sulla visione delle intenzioni dello stato target (Cha e Kang 2003). Studiosi come Victor Cha declinano questa strategia in modo negativo, assumendo la possibilit di una coesistenza tra engagement e contenimento. Questa versione della strategia circondata da pessimismo, scarsa fiducia, e calcoli pragmatici circa i passi da compiere in caso di fallimento della strategia. L'engagement viene visto come fortemente condizionale e, quindi, se non vengono rispettati i presupposti stabiliti, gli USA e i suoi alleati sarebbero costretti a perseguire altre strategie come l'isolamento e il contenimento del regime (Cha 2000). Questa strategia dovrebbe essere perseguita per testare le intenzioni dello stato target e le sue capacit circa il possibile avvio di una cooperazione. Nel caso in cui l'approccio diplomatico riesce, allora l'engagement ha avuto successo e lo stato hawk deve continuare con questa strategia; ma nel caso l'engagement fallisca, allora si venuti a conoscenza delle vere intenzioni dello stato target e, inoltre questa strategia ha permesso la costruzione del consenso per perseguire un diverso corso d'azione (Cha e Kang 2004). Vengono quindi identificati degli elementi in supporto a tale variante: in primo luogo l'engagement deve essere visto come una strategia preferibile rispetto alla sola coercizione e al solo isolamento in quando questo approccio permette la creazione di una coalizione che potrebbe essere funzionale a una punizione futura dello stato target in caso di non adempimento dei compiti stabiliti dalle due parti nell'accordo precedente. Secondariamente, un incentivo concesso oggi pu diventare un pi efficace bastone domani, infatti come si visto nel caso della Corea del Nord la sola imposizione di anni di embargo ha reso improbabile un cambiamento positivo del 51

comportamento di Pyongyang. Se lo stato hawk cerca la fine del regime, la strategia dell'en gagement considerata la strategia migliore da seguire in quanto garantisce la migliore preparazione. Inoltre l'engagement ha una buona influenza sulla popolazione, incrementando il dialogo tra popolazioni diverse e proiettando un'immagine positiva degli USA. Ad esempio, l'invio di aiuti in Corea del Nord sotto forma di derrate alimentari ha permesso alla popolazione di leggere USA sui sacchetti di riso distribuiti alla popolazione, e ci ha indotto i nordcoreani a una percezione pi positiva nei riguardi del nemico americano, (Cha 2002). L'engagement positivo, promosso da studiosi come David Kang, si incentra maggiormente sulla dimensione economica. Infatti gli incentivi economici porterebbero a un pacifico riorientamento dello stato concedendo al regime ci che richiede. In questo modo si vedrebbe il cambiamento di intenzioni nel regime grazie agli incentivi concessi. Inoltre, i sostenitori di questa variante della strategia vedono la possibilit di ingaggiare l'avversario per diminuire l'insicurezza dello stato target, oltre che come affermato in precedenza cercare riforme e integrazione economica (Cha e Kang 2003). 2.2 Gli incentivi the carrot Uno stato che decide di adottare la strategia dell'engagement deve valutare attentamente gli incentivi diretti allo stato target; questi ultimi si rivelano infatti di fondamentale importanza per la buona riuscita di tale politica (Haas e O'Sullivann 2000b). Drezner definisce gli incentivi come un trasferimento di benefici offerti da un attore, chiamato sender, ad un altro, chiamato receiver, che avviene con un chiaro quid pro quo; quindi, colui che riceve gli incentivi in cambio dovrebbe portare avanti delle concessioni, che spesso vengono concordate in precedenza. Le richieste delle concessioni di colui che offre gli incentivi dirette al receiver devono essere chiare e ben definite temporalmente, infatti, gli incentivi sono offerti per influenzare il comportamento dello stato target per un periodo ben definito e quindi non possono essere considerate per un periodo di tempo indeterminato, 52

perch in caso contrario il receiver potrebbe essere indotto a non impegnarsi in modo credibile (Drezner 1998). Gli incentivi possono anche essere definiti come un accoglimento di benefici economici o politici in cambio di uno specifico cambiamento di politica da adottare da parte della nazione che riceve gli incentivi (Baldwin 1985); rappresentano quindi strumenti di politica estera a disposizione di uno stato e sono indirizzati allo scopo di offrire degli stimoli per direzionare il comportamento e le decisioni dello stato target verso un miglioramento. Non ci si aspetta per che tali incentivi portino unicamente un miglioramento nella condotta della stato target, ma che possano anche modificare la realt politica, in modo da alterare le motivazioni che inducono lo stato target ad agire in modo minaccioso. A questo fine gli incentivi devono avere la forza di compensare i cambiamenti che vengono chiesti in cambio. Lo stato che fa concessioni chiede un prezzo da pagare allo stato target, che spesso in termini di obiettivi di politica estera, e i benefici promessi devono avere al massimo lo stesso costo dei cambiamenti chiesti in cambio; in caso contrario lo stato target difficilmente accetter di essere ingaggiato. Un alto elemento importante per definire l'attribuzione degli incentivi che entrambe le parti, sia quella che richiede le concessioni, sia quella che accoglie le richieste fatte, dovrebbero essere in grado di garantire il loro impegno in modo credibile, in modo tale che non nascano incomprensioni o errori di percezione che potrebbero portare a un fallimento di tale strategia. Risulta, quindi, fondamentale rendere credibile l'impegno nel portare avanti l'accordo per entrambi gli attori (Nincic 2006). Gli incentivi a disposizione di uno stato nellattuazione di una strategia di engagement sono diversi: possibile infatti scegliere tra unampia serie di incentivi, da quelli di tipo economico (investimenti, accesso alla tecnologia dello stato promotore della strategia, crediti e prestiti, aiuti economici o accesso allo status di nazione pi favorita), di tipo politico (il riconoscimento diplomatico di uno stato non ancora accettato internazionalmente, laccesso a istituzioni di tipo regionale o internazionale, scambi culturali), ed infine incentivi di tipo militare, che possono coinvolgere l'addestramento congiunto di forze militari (Baldwin 53

1985). L'utilizzo degli incentivi, per, deve essere valutato attentamente dallo stato promotore della strategia; devono essere infatti utilizzati quando sono considerati gli strumenti migliori alla luce di tutti i possibili strumenti a disposizione di uno stato. Nel caso della Corea del Nord nel 1994, Washington sosteneva in modo acceso la necessit di imporre sanzioni di tipo economico, ma questa posizione non trov un forte seguito tra gli altri stati coinvolti nel dialogo con Pyongyang; allo stesso tempo, gli analisti militari USA vedevano con scetticismo un possibile intervento militare in Corea del Nord volto ad eliminare la minaccia nucleare che si stava sviluppando, in quanto la leadership americana temeva che un approccio punitivo avrebbe potuto innescare uno scontro militare lungo il 38 parallelo. Gli USA, alla luce di ci, adottarono una politica di engagement che prometteva incentivi economici e politici in cambio di una limitazione della nuclear capability nordcoreana (Haas O'Sullivan 2000a). La negoziazione degli incentivi risulta avere maggiore forza quando lo stato target ha dubbi in merito alla sua abilit di conservare il potere e quindi vede negli incentivi positivi l'unico modo per riuscire a mantenere il controllo sullo nazione. Questo fattore legato alla sicurezza interna, rende l'utilizzo degli incentivi pi probabile e desiderato anche dallo stato target. Infatti, i benefici ottenuti con l'accordo possono essere utilizzati per rinsaldare il potere nello stato e sedare possibili malumori legati alla leadership (Nincic 2006). La forza degli incentivi che modificano il comportamento e le motivazioni di uno stato target data in larga parte anche dal tipo di situazione politica intera allo stesso. Infatti, gli incentivi hanno pi probabilit di giocare un ruolo chiave quando il regime ha una ridotta capacit di assicurarsi il supporto esterno e quindi tende ad avere delle relazioni ostili con gli altri paesi, e quando emerge la necessit nello stato target di avere l'appoggio di coloro i quali permetterebbero il suo inserimento a pieno titolo nella comunit internazionale (ibidem). Gli incentivi positivi, al contrario delle sanzioni e nonostante sia importante anche in questo caso riuscire ad agire in modo multilaterale sono meno condizionati nella loro efficacia dalla possibilit di un'azione unilaterale; ed inoltre, hanno una minor tendenza a suscitare il cosiddetto rally 'round the flag 54

nello stato target, che risulta, invece, pi probabile adottando la strategia coercitiva (Mastanduno 2001). Gli incentivi sono pi probabili e di maggior successo se utilizzati tra democrazie liberali. Questo tipo di forma di governo ha infatti dei costi minori di transazione degli incentivi. Le democrazie hanno pi capacit di rendere credibile il loro impegno rispetto agli stati non democratici e questa loro capacit deriva da due fattori: in primo luogo le democrazie liberali, nel caso di un ritiro da un impegno precedentemente siglato, devono affrontare degli alti costi davanti all'audience domestica. Questi costi possono assumere varie forme, che vanno dal perdere una parte del supporto interno fino alla rimozione diretta del leader dalla sua carica. In secondo luogo, i regimi democratici hanno una maggiore credibilit in merito al loro impegno grazie alla separazione dei poteri. Le costituzioni democratiche aiutano a limitare i leader dall'agire arbitrariamente e vengono bilanciati nelle loro azioni dalle altre istituzioni dello stato. Questi fattori fanno si che i costi di transazione siano limitati o diminuiti ma non possono essere eliminati completamente. Al tempo stesso la probabilit di agire opportunisticamente anch'essa ridotta grazie all'abilit di creare un impegno credibile anche dopo aver ricevuto gli incentivi (Drezner 1998).

2.2.1 Limiti nell'utilizzo degli incentivi Per definire il successo o il fallimento nell'utilizzo degli incentivi importante stabilire come gli stati scelgono il set di benefici da utilizzare per influenzare la politica dello stato target. Infatti non tutti gli strumenti possono avere la stessa forza e la stessa efficacia in qualsiasi situazione. Molto spesso gli stati lasciano gli incentivi come seconda opzione in quanto non sono sempre utilizzabili con successo a causa degli alti costi di transazione che spesso coinvolgono gli scambi economici. Alla luce di ci, gli incentivi sono spesso preferiti nei casi in cui i costi di transazione siano ridotti, ad esempio tra democrazie o all'interno di regimi internazionali. Molto spesso gli stati preferiscono in un primo momento utilizzare la coercizione per cercare di raggiungere un accordo con lo stato target, e solo una volta che questa strategia risulta fallimentare viene scelta la strada dell'engagement, quindi molto spesso gli 55

incentivi vengono considerati come la second-best option (Drezner 1998). I costi di transizione, come detto in precedenza, fanno si che gli stati non sempre scelgano gli incentivi per modificare i comportamenti di uno stato. Per rendere pi bassi i costi di transizione, che quindi permetterebbero agli incentivi di avere maggior appeal sugli stati, le azioni dovrebbero essere osservabili e attuabili. Ma nel caso in cui gli obblighi stipulati nell'accordo non siano direttamente osservabili ma gli outcomes relativi a questi impegni si, la possibilit di azzardo morale aumenta, rendendo cos gli incentivi meno allettanti per lo stato che intende portare avanti la strategia di engagement. Un esempio il test-ban treaty, il quale rappresenta un contratto firmato dagli stati in cui si impegnano ad astenersi da un'azione specifica, i test di armi nucleari. Il problema che pu sorgere in questo caso che il trattato non pu essere perfettamente monitorato. I test nucleari, infatti, sono individuati osservando l'attivit sismica, quindi gli outcomes, che rappresentano questo fenomeno, possono essere causati dall'azione di uno stato, nel caso in cui si sia in presenza di un test nucleare, o da altre forme di attivit naturali, come ad esempio un terremoto. In questo caso, quindi, le azioni non sono perfettamente osservabili ed esistono incentivi per gli stati a imbrogliare. Se le azioni non sono perfettamente osservabili e verificabili, come nell'esempio del trattato contro i test nucleari, lo stato che riceve gli incentivi spinto a rivedere la sua posizione nell'accordo, e colui che invia i benefici sar incentivato a dubitare della posizione dello stato target anche nel caso in cui non ci fosse una reale intenzione di ritirarsi dall'accordo (Drezer 1998). Anche nel caso in cui le azioni sono perfettamente osservabili possono inoltre sorgere dei problemi all'applicabilit degli incentivi. Anche nel caso in cui gli scambi siano simultanei, possono essere presenti alcuni frangenti in cui un attore in possesso di ci di cui aveva bisogno e deve decidere se onorare i patti stipulati o agire opportunisticamente e abbandonare l'accordo. Un esempio pu essere il Framework Agreement stipulato tra Stati Uniti e Corea del Nord al fine di eliminare il programma nucleare di quest'ultima. Pyongyang da parte sua si impegnava a concedere il permesso di ispezionare il suo impianto nucleare per valutare se avevano gi iniziato a produrre componenti nucleari nei primi anni '90. In cambio la Corea del Nord si aspettava di ricevere una fornitura di combustibile 56

e due reattori volti alla produzione di energia destinata a scopi civili. Una volta che il regime entrato in possesso dei benefici previsti dall'accordo, alla fine degli anni '90, rinneg l'accordo e si ritir (Drezner 1998). Si possono identificare fattori che riescono a ridurre i costi di transazione degli incentivi e rendere cos pi probabile il loro uso. I meccanismi per dimostrare l'intenzione di un impegno credibile possono ridurre il problema dell'azzardo morale e dei comportamenti opportunistici di un attore. Infatti, in un mondo in cui l'informazione imperfetta, il modo migliore per dimostrare un impegno credibile assumere una posizione che preveda costi aggiuntivi significativi nel caso in cui l'attore decidesse di modificare la propria posizione nell'accordo (Drezner 1998). Riuscire a fornire informazioni verificabili circa le azioni e le preferenze renderebbe gli incentivi pi attraenti in quanto verrebbe ridotto il rischio di azzardo morale. Infatti, se le azioni possono essere osservate separatamente dagli outcomes, allora lo stato che dovrebbe ricevere gli incentivi ha meno stimoli ad agire opportunisticamente, e il senders risulta pi disposto a offrire incentivi (Drezner 1998).

2.3 Incentivi vs Sanzioni Gli studiosi spesso si trovano in disaccordo in merito alla strategia da utilizzare, se cio deve essere preferita una di coercizione o se risulta pi efficacie una strategia di engagement dell'avversario. In merito a questo scontro si inserisce, quindi, l'analisi di quali strumenti possono risultare di maggior efficacia per implementare tali strategie. La pi importante differenza tra sanzioni e incentivi risiede nei costi relativi dei due strumenti. Si pu dire, in prima approssimazione, che le sanzioni non comportano dei costi immediati: infatti nel caso, ad esempio, di un embargo, questa posizione non implica una spesa per lo stato che utilizza tale strumento. Quindi alcuni policy-makers considerano le sanzioni come degli strumenti di politica estera poco costosi. In realt se si analizzano pi nel dettaglio, le sanzioni comportano dei costi elevati in particolare nel caso in cui non risultino efficaci per il loro scopo, in quanto il loro fallimento comporta l'utilizzo di altri strumenti che possono rivelarsi, invece, 57

molto costosi, come ad esempio un intervento militare. Infatti, coloro i quali considerano le sanzioni poco efficaci, vedono questo strumento capace di raggiungere obiettivi modesti e non sempre a costi limitati. Esistono diverse ragioni per cui le sanzioni mostrano uno scarso impatto; in primo luogo perch vengono principalmente utilizzate per scopi punitivi piuttosto che volte alla ricerca di un accordo politico e questo limita significativamente la loro efficacia. Quindi, sotto questo punto di vista le sanzioni potrebbero funzionare in modo pi costruttivo se indirizzate a fini persuasivi, ma affinch ci avvenga devono essere affiancati da incentivi positivi. Da qui si pu affermare che le sanzioni combinate con incentivi possono rappresentare un mezzo pi efficacie per uno stato per modificare il comportamento di un altro attore (Cortright e Lopez 1998). Per esaminare, invece, se la strategia dell'engagement, e quindi l'utilizzo di incentivi positivi volti a modificare il comportamento di uno stato, sia uno strumento applicabile con successo e risulti cos l'opzione preferibile, bisogna tenere in considerazione ed analizzare anche il contesto delle opzioni alternative a disposizione di uno stato. Quindi bisogna tenere in considerazione il set di opzioni strategiche a disposizione di uno stato volte a influenzare l'avversario, quindi oltre agli incentivi economici, la coercizione economica e la coercizione militare. In primo luogo la differenza tra gli incentivi positivi e gli strumenti coercitivi risiede nel fatto che questi ultimi possono risultare costosi in caso di fallimento della strategia. Infatti l'insuccesso significa che il receiver rimane fermo nella sua posizione e il sender incorre in costi aggiuntivi che prevedono l'attuazione delle minacce fatte in precedenza, che possono andare da sanzioni economiche fino all'intervento militare; al contrario, gli strumenti coercitivi risultano meno costosi in caso di successo dal momento che il receiver si adeguato alle richieste fatte prima che la minaccia dovesse essere eseguita. Diversamente, gli incentivi positivi si dimostrano costosi nel caso in cui abbiano successo, ma permettono al sender di ottenere le richieste fatte; allo stesso tempo, per, un incentivo che non raggiunge il suo obiettivo non risulta senza costi, infatti, spinge il sender a trovare una strategia alternativa che prenda il posto dell'engagement fallito. Per questa

ragione, nel caso in cui uno stato ha a disposizione sia una strategia di engagement che una di coercizione, il sender preferir la coercizione, quindi l'imposizione di 58

forme di coercizione rispetto all'engagement e quindi all'utilizzo di incentivi, in quanto i primi risultano meno costosi di quest'ultimi (Drezner 1998). Gli incentivi, cio il prezzo che deve essere pagato, dipendono dal costo delle concessioni dello stato target. Se il target si sente minacciato, il prezzo della sua sicurezza sar sicuramente pi alto rispetto a una situazione nella quale la sua sicurezza non messa in gioco. In questo caso l'utilizzo di incentivi pu risultare non pi conveniente, in particolare se il prezzo delle concessioni maggiore rispetto al guadagno che il sender ricaverebbe da un cambiamento di politica nel receiver (Dorussen 2001). Gli incentivi e le sanzioni differiscono inoltre nell'impatto che producono nel commercio e nella prospettiva di una cooperazione economica. Infatti gli incentivi espandono il commercio e l'interdipendenza economica, che per i liberali sono fondamentali per la creazione di una cooperazione internazionale e quindi di una pace duratura (Keohane e Nye 2000). Questi due strumenti risultano importanti nell'impatto che possono produrre nei comportamenti umani e quindi deve essere valutato che tipo di relazione si vuole instaurare con lo stato target, infatti, gli incentivi incoraggiano il miglioramento nei rapporti internazionali e quindi dei comportamenti cooperativi tra gli attori. Al contrario le sanzioni creano un senso di ostilit e di allontanamento, tendono a generare un sentimenti di paura e resistenza, inviando allo stato target un messaggio di chiusura e di minaccia. Quindi tendono a rendere meno probabile la cooperazione e rendono pi credibile il comportamento ostile dello stato target, che sentendosi minacciato a sua volta adotter contromisure coercitive (Baldwin 1985). Morgenthau identifica cinque differenti tipi di aiuti che hanno la caratteristica comune di rappresentare un trasferimento di denaro, beni e servizi da una nazione ad un'altra. Lo stato quindi pu utilizzare questi aiuti come incentivi positivi da rivolgere allo stato target. In primo luogo troviamo gli aiuti umanitari, gli aiuti per la sopravvivenza dello stato, gli aiuti militari, gli aiuti che afferiscono a beni di lusso, e gli aiuti economici in senso stretto. Gli aiuti umanitari sono considerati di per se non politici, sono infatti, solitamente destinati a nazioni vittime di disastri naturali, come inondazioni, carestie o epidemie. Quindi prevedono l'invio di aiuti 59

per risolvere la situazione di crisi presente e cercare di riportare il paese alla normalit. Bench siano considerati aiuti non politici hanno la capacit di influenzare le funzioni politiche dello stato ricevitore degli aiuti quando essi operano in un contesto politico. Infatti spesso vengono inviati in cambio dell'adozioni di determinate politiche, quindi possono in una certa misura influenzare la politica locale. Gli aiuti di sussistenza vengono inviati a quei governi che non sono in grado di gestire i servizi pubblici della nazione, come nel caso degli aiuti diretti verso la Giordania o il Niger. Gli aiuti di sussistenza sono di carattere simile agli aiuti umanitari, in quanto cercano di prevenire il collasso del sistema e lo scoppio di tensioni nella societ. Anche in questo caso, quindi, presentano delle funzioni politiche, in particolare sono rivolti al mantenimento dello status quo interno allo stato, infatti diminuiscono la possibilit che si affermi un'alternativa politica non compiacente allo stato che invia gli aiuti. Gli aiuti militari sono sempre stati un programma ampiamente utilizzato dagli stati e rappresentano una via tradizionale per influenzare le scelte politiche, in particolare da parte degli Stati Uniti. Tradizionalmente gli aiuti militari erano indirizzati verso gli alleati ma negli ultimi anni sono spesso stati rivolti alle nazioni non coinvolte in legami con il mittente degli aiuti. Vengono ricercati vantaggi politici in cambio dell'invio di aiuti militari in particolare quando si in presenza di lotte intestine e di fazioni rivali in lotta tra loro. Un'altra forma di aiuto, che in alcuni casi si sovrappone agli aiuti militari, sono i prestige aid, che possono assumere la forma di tecnologia militare avanzata che illudono la nazione ricevente di diventare una moderna potenza militare. Questo tipo di aiuti pu essere diretto sia allo scopo di aiutare l'economia interna dello stato sia per il suo sviluppo militare. Infine gli stati possono utilizzare gli aiuti per indirizzare unicamente lo sviluppo economico di una nazione, come ad esempio fu il Piano Marshall agli inizi della guerra fredda. I primi destinatari di questo tipo di aiuti sono state le nazioni con scarso sviluppo interno, che vedevano la possibilit di modificare la loro economia e i loro consumi grazie all'invio di capitali dall'estero. In questo modo per la nazione che invia gli aiuti ha la possibilit di inserirsi nell'economia dello 60

stato ricevente e quindi modificarne le sue caratteristiche dall'interno. In particolare questo tipo di aiuti presenta una rilevanza importante anche a livello della societ: gli aiuti possono infatti innescare dei cambiamenti, che tuttavia non sempre si sviluppano nella direzione voluta dal sender. Infatti un miglioramento nelle condizioni della societ civile pu far nascere instabilit e tumulti che prima, data la condizione di minor sviluppo in cui versavano, non erano attuabili. In conclusione molto importante per il sender riuscire a identificare la situazione presente nello stato, per indirizzare gli aiuti in modo appropriato e riuscire ad ottenere gli obiettivi prefissati. Molto spesso in uno stato possono presentarsi pi situazioni contemporaneamente e quindi importante riuscire ad inviare differenti tipi di aiuti simultaneamente se si vuole riuscire a indurre un cambiamento dello stato ricevente (Morgenthau 1962).

2.4 Implementazione dell'engagement Affinch la strategia dell'engagement dia i risultati sperati importante per lo stato che adotta tale strategia plasmare le sue azioni seguendo delle linee guida che permettano di caratterizzare in modo efficiente la politica scelta. In questo contesto risulta importante, al fine del suo successo anche l'identificazione precisa delle intenzioni di entrambi gli stati coinvolti nell'engagement, in quanto una percezione errata delle intenzioni di uno degli attori potrebbe portare al fallimento della strategia (Cha 2000). Pu risultare quindi utile adottare determinati strumenti, che andremo ora ad analizzare, per rendere l'implementazione della strategia efficacie nella realt.

2.4.1 Delineare una precisa road map E' importante delineare delle linee guida che identificano la politica e la strategia del paese verso lo stato target. Devono, infatti, essere definiti in modo preciso le condizioni e i benefici alla base della relazione tra i due paesi. I dilemmi che possono nascere da una posizione non chiara sono in grado di far sorgere complicazioni nei rapporti e nella possibilit di raggiungere una normalizzazione dei rapporti. L'importanza di delineare un'agenda precisa fa s che non ci siano le condizioni per la nascita di fraintendimenti con lo stato target 61

che possano portare uno dei due attori a sfruttare a proprio vantaggio le condizioni stabilite. Infatti, un'agenda delineata in modo non chiaro e che non venga osservata in modo corretto pu far si che lo stato target non rispetti le condizioni in favore degli incentivi che sarebbero dovuti arrivare solo a compimento degli obiettivi prefissati. Risulta quindi essenziale la credibilit dell'accordo stipulato tra le parti, cos che, molte volte, un'agenda precisa assume pi le caratteristiche di uno stratagemma che quello di un vero e proprio strumento. Inoltre una road map precisa e puntale impone allo stato utilizzatore di tale strategia di attenersi agli step prefissati, garantendo cos un preciso timing che obbliga lo stato target ad attenersi alla volont del primo stato. E' importante riuscire a delineare anche una road map con obiettivi multipli, in modo che lo stato target sia persuaso a modificare il suo comportamento in vari ambiti, non solo poich ogni incentivo offerto visto rilevante ma poich importante l'intero set di incentivi offerto. Risulta, quindi, di primaria importanza riuscire a collegare i progressi fatti in ambiti diversi. Come accadde in Corea del Nord nel 1994, gli USA riuscirono a ottenere un impegno nordcoreano in materia nucleare identificando la proliferazione come principale area di importanza, e rifiutando di migliorare le relazioni in qualsiasi altra area in assenza di progressi in materia nucleare. Quindi, risulta importante identificare un'area che detiene l'importanza principale e collegare ad essa le altre; in questo modo sar facilitato il negoziato e permetter di mantenere un'agenda multipla, incentrata su pi questioni (Haas e O'Sullivan b). Il maggior vantaggio teorico nell'utilizzare una mappa con pi linee guida che permette di ottenere progressi in un ambito anche se sono presenti fratture nelle relazioni che rendono difficili il raggiungimento di buoni risultati in un'altra area. Realisticamente, per, risulta molto difficile, se non impossibile, separare completamente una sfera dall'altra. Il pi delle volte, quando emergono difficolt nel raggiungimento di un obiettivo in una sfera, esse si ripercuotono negativamente sull'intero progetto tanto da danneggiare l'intera strategia. Infine, affinch la road map risulti il pi affine possibile alle caratteristiche e alle esigenze degli attori coinvolti, dovrebbe plasmarsi sulle insicurezze e sulle situazioni presenti nello stato target. 62

2.4.2 Ingaggio della societ L'utilizzo degli incentivi per ingaggiare la societ civile di una nazione risulta sempre uno strumento che permette di raggiungere buoni risultati. Infatti, concedere incentivi alla societ civile visto come una misura appropriata e funzionale in quanto rappresenta un ottimo mezzo per tenere sotto scacco un regime incerto. L'engagement della societ civile possibile anche quando la fornitura di incentivi politici ed economici allo stato stesso sospesa. In questo tipo di situazione non possibile perseguire una strategia di conditional engagement, ma possibile iniziare una strategia unconditional, verranno cos offerti incentivi senza l'aspettativa di un atto reciproco (Haas e O'Sullivan 2000a). Questi incentivi sono considerati l'opzione pi sostenibile anche quando si in presenza di lobby interne intenzionate a isolare un regime. Infatti, in questo caso, bench si possano verificare opposizioni portate avanti da gruppi interni antagonisti, saranno improbabili posizioni di chiusura e di isolamento diretti verso la popolazione dello stato target tali da rendere impossibili il conferimento degli incentivi. Quindi possibile che l'engagement economico di attori non statali o di settori privati della nazione riesca a supportare un apertura dell'intera nazione (Haas, O'Sullivan 2000b). Il problema che si pu incontrare nello sviluppare una strategia di ingaggio della societ civile quando si in presenza di una politica domestica non trasparente, che pu rendere difficile distinguere coloro che sono in una posizione di potere che sono cio legati alla leadership e non sono quindi propensi ad avviare un dialogo e coloro i quali, invece, possono rispondere alle richieste fatte in cambio di incentivi. Quindi per rendere la strategia efficacie si deve cercare l'ingaggio di realt in cui non sono presenti ombre sull'organizzazione politica interna. Infine, in alcuni casi possibile valutare anche la possibilit di utilizzare forme limitate di engagement del settore militare della nazione, che sono sempre risultate vantaggiose in presenza di obiettivi ambiziosi. Un esempio dell'utilizzo di questo tipo di engagement si visto in Pakistan, dove i militari sono l'istituzione chiave sia in politica che nella vita quotidiana del paese, e quindi, la massimizzazione dei contatti con le forze armate si rivelata particolarmente favorevole al raggiungimento degli obiettivi (Hans e O' Sullivan 2000a). 63

2.4.3 Intensa coordinazione con gli alleati Come avveniva per la strategia della coercizione, anche in questo caso, il coordinamento con gli alleati permette una maggior successo della strategia. Infatti, l'engagement risulta essere pi efficace quando si in presenza di una coalizione, come si visto per le sanzioni economiche quando non presente un fronte comune tra gli alleati la strategia tende a fallire, o non ottenere i risulti sperati (Haas e O'Sullivan 2000b). Gli incentivi riscontrano maggior successo quando non vengono ostacolati da azioni intraprese da altri stati: infatti se uno stato adotta delle azioni che possono ostacolare gli incentivi intrapresi dall'altro stato, il target sar pi incerto sulla posizione da intraprendere in merito, non riuscendo ad usufruire a pieno degli incentivi concessi (Hass e O'Sullivan 2000a). Esistono, per, anche casi in cui un singolo stato ad offrire incentivi e si riesce comunque ad ottenere una buona riuscita della strategia, come nel caso del Sud Africa, nel quale gli incentivi concessi dagli USA estendevano legittimit al regime di Pretoria attraverso la loro interazione, in un periodo in cui la maggior parte degli stati europei ed africani cercavano invece di isolare politicamente il Sud Africa. Infatti, a differenza della strategia della coercizione, gli incentivi possono essere concessi anche unilateralmente da un singolo stato senza per questo rendere la strategia meno efficacie o comprometterla completamente (Mastanduno 2001). Infatti, per l'engagement il coordinamento con gli alleati, bench importante, pu aiutare sensibilmente il successo, anche se non risulta sempre una condizione assoluta per la riuscita della strategia.

2.4.4 Sostegno interno Anche il sostegno domestico, come visto in precedenza, importante per ottenere buoni risultati. Infatti, l'engagement pu fallire non solo a causa del disaccordo tra stato promotore della strategia e lo stato ingaggiato, ma anche a causa dell'audience interna che considera la politica adottata insoddisfacente o insostenibile. Nel caso in cui l'audience politica interna consideri non applicabile la strategia, si pu avere il suo totale fallimento. Bench fondamentale, il forte sostegno dell'opinione pubblica domestica per la realizzazione della strategia 64

risulta cruciale per il successo il supporto dei rappresentanti del Governo e delle principali lobby del paese. Per arrivare a garantire il supporto necessario per l'attuazione della strategia dell'engagement necessaria una forte contrattazione tra le differenti branche del Governo. Infatti come pi volte si visto negli Stati Uniti, il disaccordo tra Senato e Congresso per la ratifica di un atto di politica estera ha portato all'insuccesso della strategia. Per questo motivo il Presidente deve considerare il Congresso come un attore fondamentale nelle contrattazioni per l'applicazione della strategia (Hass e O'Sullivan 2000b). Come nel caso della Corea del Nord, molto spesso l'applicazione dell'engagement segnata dagli sforzi dell'esecutivo di eludere il coinvolgimento del Congresso e i suoi tentativi di ostacolare l'applicazione di tale politica. Infatti dal punto di vista del potere esecutivo, la forza del Agreed Framework siglato con la Corea del Nord risiedeva nel fatto che non fosse un trattato vero e proprio. Anche se questo forma risparmiava all'accordo la ratifica del Senato, il Congresso afferm la sua presenza mostrando la sua riluttanza nell'approvare i finanziamenti previsti dall'accordo. Inizialmente il Congresso si oppose all'implementazione

dell'accordo, ma in un secondo tempo si ritir da questa posizione imponendo per vincoli e condizioni relative alla fornitura di combustibile offerto alla DPRK in cambio dell'abbandono delle sue ambizioni nucleari. Quindi un abile coordinamento tra Esecutivo e Congresso pu facilitare l'attuazione della strategia dell'engagement e aumentare le possibilit a favore di un engagement di successo (Haas e O'Sullivan 2000a).

Non si deve pensare che la strategia dell'engagement sia perseguita solo da uno stato che vuole modificare il comportamento di un altro: possibile, infatti, che anche uno stato considerato target ricerchi una via di engagement con un altro attore. Le condizioni interne dello stato target possono spingerlo ad assumere un atteggiamento di maggiore apertura, come una crisi economica che minaccia la stabilit del regime pu far si che lo stato target cerchi una strategia di engagement con altri paesi per incrementare gli scambi economici e gli aiuti finanziari; un esempio la Corea del Nord all'inizio degli anni '90 (Litwak 2007). 65

Infatti l'instabilit economica e, in alcuni casi, anche politica, un fattore che pu rendere pi facile l'ingaggio dello stato attraverso incentivi che porterebbero a un miglioramento delle condizioni dell'attore in crisi (Crumm 1995). Un altro fattore che pu spingere uno stato isolato diplomaticamente a cercare l'engagement la presenza di una minaccia alla sicurezza nazionale. Infatti in presenza di una minaccia esterna che mina la sicurezza, lo stato isolato tender a cercare legami con uno stato che pu aiutarlo a difendersi o che pu alterare l'equilibrio nella regione a suo favore. Questo atteggiamento si potuto vedere nel riavvicinamento tra Cina e USA negli anni '70 che port nel 1971 alla storica visita di Kissinger a Pechino che sanc il disgelo nei rapporti tra i due paesi. Questa decisione venne presa a seguito dell'atteggiamento aggressivo di Mosca verso la Cina di Mao e i problemi interni americani. I due stati decisero dunque che avrebbero dovuto mettere da parte i risentimenti in nome della loro sicurezza. Si pu notare, quindi, come entrambe queste motivazioni siano caratterizzate dalla preoccupazione dello stato target per la sopravvivenza del regime. Questi fattori mettono in luce la predisposizione di uno stato ad accettare la strategia di engagement proposta da un altro attore. Infatti questi elementi, oltre ad essere indicativi delle condizioni che devono essere presenti affinch uno stato cerchi l'engagement, sono anche espressione delle situazione nelle quali uno stato target maggiormente disposto ad essere ingaggiato. Elementi di debolezza economica o instabilit interna possono essere fondamentali per convincere uno stato, in un primo momento avverso all'engagement, a collaborare in cambio di aiuti che possono risanare la situazione interna. Questa decisione di essere ingaggiati spesso, per, si scontra con la rigidit legata ai temi della sicurezza e si instaura un dilemma della sicurezza interna, essendo difficile stabilire se risulta pi rischioso collaborare con un potenziale nemico ma avere una situazione interna stabile oppure negare di essere ingaggiati ma dover gestire una situazione interna che potrebbe compromettere il mantenimento del potere (Hass e O'Sullivan 2000b).

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2.5 Successo della strategia dell'engagement In passato i policymakers hanno sempre preferito affrontare i rogue regimes usando misure punitive ma, come si visto negli ultimi decenni, questo atteggiamento cambiato e si sviluppato un atteggiamento di maggiore favore verso l'utilizzo di incentivi non solo con gli alleati ma anche con gli avversari (Hass e O'Sullivan 2000a). Gli strumenti politici scelti ed utilizzati devono essere i pi appropriati alla luce dei costi e dei benefici, delle valutazioni circa le probabilit di successo e del range di opzioni a disposizione. Gli incentivi positivi, infatti, possono essere valutati come preferibili se messi al fianco delle sanzioni economiche e dell'utilizzo della forza militare, come nel caso della Corea del Nord (Sigal 1998). Infatti in quel caso gli USA sono stati in grado di siglare un accordo con il regime che prometteva incentivi economici e politici in cambio di restrizioni della capacit nucleare nordcoreana. I migliori candidati per il conditional engagement, secondo Hass e O'Sullivan, sono quegli stati che presentano un processo decisionale altamente concentrato. Uno stato disposto ad adattare una strategia di engagement deve indirizzarsi verso lo stato che non solo sia disposto a impegnare il proprio governo ad instaurare una relazione con un altro stato, ma soprattutto, deve avere le potenzialit per farlo. Questa distinzione importante quando si parla di rogue regimes; infatti molti regimi sono disposti ma non capaci di cooperare con le potenze occidentali e questo fa si che certi regimi siano dei candidati migliori per l'engagement rispetto ad altri. L'engagement pu essere visto come un possibile rischio e un azzardo morale, in particolare quando si in presenza di rogue regimes, ma i costi che imporrebbero la coercizione o l'isolamento sono molto pi alti e hanno pi possibilit di portare allo scoppio di un conflitto. Quindi spesso l'engagement considerata l'unica exit strategy percorribile, in particolare quando si in presenza di problemi legati alla sicurezza (Cha 2002). Un impegno credibile fondamentale per la riuscita della strategia dell'engagement, infatti, in mancanza di credibilit gli stati tendono, dopo aver ricevuto il pagamento degli incentivi accordati, a non onorare pi gli accordi 67

stipulati in precedenza (Drezner 1998). L'engagement non considerato credibile senza una parvenza di forza dalla parte dello stato che vuole avviare tale strategia (Cha 2000). Haas e O'Sullivan credono che la strategia di engagement, anche quando la sua riuscita pu apparire poco probabile, possa comunque aprire la strada per altri tipi di politiche. Infatti questa strategia, se non da successo, pu generare comunque supporto internazionale per l'avvio di nuove strategie, e sviluppare consenso tra gli stati; quindi si pu dire che una fallimentare strategia di engagement pu comunque essere un successo. Questo paradosso si evince molto bene nel caso dell'Iraq: infatti l'invasione irachena del Kuwait nell'agosto 1990 rivel come i precedenti sforzi USA indirizzati verso la ricerca di ingaggiare Saddam Hussein, condotti negli anni precedenti l'invasione, avessero fallito. Il tipo di coalizione, caratterizzata dalla sua dimensione e dalla sua variet di attori che gli USA sono stati in grado di formare nel 1990, stata facilitata dalla politica di cooperazione che gli americani aveva cercato negli anni che precedettero l'invasione. Un altro caso in cui si evince l'efficacia di questa strategia quando si in presenza di stati con una forte vulnerabilit economica e strategica. In passato la debolezza economica e l'insicurezza strategica erano viste come indicatori che uno stato sarebbe potuto essere facilmente isolato, coinvolto in politiche sanzionatorie, o sottoposto a forti pressioni diplomatiche. Ma questa vulnerabilit, con lo sviluppo della strategia dell'engagement stata interpretata come terreno fertile per poter ingaggiare lo stato in politiche di cooperazione. Bench la vulnerabilit economica rappresenti un'opportunit per influenzare lo stato target, gli incentivi economici che i policymakers utilizzano per ingaggiare questi regimi deboli possono comportare qualche inconveniente, in particolare quando l'obiettivo da perseguire la non-proliferazione. Infatti quasi tutti gli incentivi economici coinvolgono scambi con altri paesi i quali possono essere indirizzati per altri fini, lontani da quelli prefissati originariamente (Hass e O'Sullivan 2000). Il candidato migliore per l'engagement condizionale spesso quello stato in cui le decisioni politiche sono pi concentrate, per esempio la natura autoritaria di un regime spesso pu facilitare l'engagement. Al contrario questa strategia pu 68

trovare delle difficolt nella sua applicazione a causa della natura democratica di alcuni regimi; un esempio pu essere riscontrato negli sforzi europei per ingaggiare l'Iran, infatti l'azione venne intralciata dalla complessit della politica domestica dovuta al regime teocratico-democratico iraniano e dall'inabilit dell'Unione Europea di comprendere come queste caratteristiche interne creassero contrasti tra gli attori decisionali iraniani. Queste dinamiche interne conflittuali diminuirono la speranza europea di promuovere una moderazione politica attraverso l'engagement. Un'altra caratteristica rilevante per l'applicazione di questa strategia l'importanza di un adeguato supporto politico interno; come si visto negli anni'80 con il Sud Africa, necessario che sia presente un forte interesse dei pi importanti gruppi politici nazionali affinch la strategia abbia sostegno e sia efficientemente applicata, in caso contrario si avr un fallimento o un applicazione limitata dell'engagement4. Affinch l'engagement sia visto come una strada percorribile deve perseguire degli obiettivi limitati che non vengano percepiti dal regime come una minaccia alla sua sopravvivenza; di converso, tentare di perseguire obiettivi pi ambiziosi pu portare ad una maggiore probabilit di fallimento. Una classificazione degli obiettivi aiuta a identificare i casi nei quali la strategia dell'engagement ha ottenuto successi e quelli invece in cui si rivelata fallimentare. Infatti incentivi positivi sono stati usati in modo produttivo non solo nei casi di una proliferazione nucleare avanzata come la Corea del Nord, ma anche per incentivare un cammino verso la denuclearizzazione con Argentina, Kazakistan, Sud Africa, Ucraina e Taiwan. Mentre nei casi di Iran e Iraq la strategia di engagement volta a ridurre lo sviluppo di armi di distruzione di massa si rivelata fallimentare. Alcuni studiosi analizzano questa diversit in chiave di sopravvivenza nazionale, a differenza della maggioranza dei paesi, quindi Iran e Iraq vedono la proliferazione nucleare come alla base della loro sopravvivenza nazionale, e gli incentivi offerti loro con l'engagement sono stati considerati insufficienti per poter avviare una de4- Negli Stati Uniti si svilupp un forte dissenso per la politica di engagement avviata dal Presidente Reagan verso il Sud Africa vista come moralmente ripugnante. In particolare forte voci di dissenso presero piede al Congresso e tra influenti gruppi della societ civile tanto da portare il Congresso ad opporti al veto presidenziale in merito alla Comprehensive Anti-Apartheid Act del 1986.

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proliferazione in quanto considerato come un suicidio (Haas, O'Sullivan 2000b).

2.5.1 Fallimento dell'engagement Secondo la teoria realista il raggiungimento della cooperazione internazionale un obiettivo molto difficile da realizzare, soprattutto quando si in presenza di interessi conflittuali nel campo della sicurezza; gli stati, infatti, risultano poco propensi a scambiare il benessere per il potere (Waltz 1979). Secondo questa lettura, quindi, la strategia dell'engagement, che coinvolge incentivi positivi volti a modificare il comportamento di uno stato antagonista non viene valutata come una strategia che possa ottenere dei risultati soddisfacenti nella scena internazionale, e soprattutto gli stati difficilmente la sceglieranno come strategia da seguire (Dorussen 2001). Sono presenti significativi ostacoli all'attuazione della strategia dell'engagement, sia nello stato target sia nello stato che porta avanti tale politica. Infatti, lo spostamento della strategia da una di contenimento e di isolamento a una di maggior apertura pu indurre a critiche interne allo stato promotore della politica, come successe negli USA a seguito della stipula dell'Agreed Framework con la Corea del Nord (Litwak 2007). I policy-makers USA tendono spesso, infatti, a considerare gli incentivi, anche se seguiti da un impegno da parte dallo stato target, come una forma di appeasement e ci conferirebbe legittimit alle richieste di stati considerati minacciosi per la sicurezza internazionale. Per questo motivo la cooperazione non sarebbe altro che un aiuto per i loro fini che metterebbe in pericolo la sicurezza dello stato che cerca l'ingaggio invece che limitarne le possibilit di azione (Hass e O'Sullivan 2000a). L'engagement pone dei dilemmi anche nello stato target, infatti gli incentivi possono essere visti come un'arma a doppio taglio. Da una parte le esigenze economiche possono motivare lo stato ricevente ad espandere i suoi contatti economici esterni e normalizzare i rapporti con gli altri stati. Dall'altra parte, per, questi incentivi hanno il pericolo di essere poison carrots, che possono minacciare il controllo del regime sullo stato o sulla societ. Infatti questo tipo di indirizzo che potrebbe prendere la strategia, che porta lo stato target ad essere 70

sospettoso, proprio l'obiettivo dello stato che adotta tale politica. Quindi lo stato target adotter una contro-strategia che differenzi i suoi rapporti con lo stato promotore dell'engagement in modo da ottenere dei benefici tangibili dalla strategia ma, allo stesso tempo, minimizzando le conseguenze politiche che potrebbero ripercuotersi sul suo regime (Litwak 2007). Alcuni studiosi, come Daniel Drezner, vedono l'engagement di difficile attuazione, in particolare la considerano come la seconda scelta a disposizione degli stati. Questa valutazione deriva dalla considerazione dei suoi costi-benefici confrontati con la strategia della coercizione. Infatti vedono la coercizione militare ed economica come un metodo di maggior efficacia nell'ottenere concessioni, il rapporto costi e benefici in gioco dal punto di vista della credibilit e della morale considerato pi favorevole e vantaggioso (Drezner 1998). Posizioni divergenti emergono tra i policy-makers e gli accademici sulla legittimit e la competenza dell'engagement come strategia di successo. Una parte di accademici considera questa strategia come un azzardo morale, dove i regimi bisognosi di finanziamenti economici per portare avanti i loro atti criminali guardano alla strategia dell'engagement come una possibile fonte di guadagno. Questi regimi possono decidere di aprire un dialogo con un attore che garantisca loro una ricompensa economica per modificare un comportamento o un atteggiamento minaccioso al solo fine di guadagnare la ricompensa ma senza una vera intenzione di avviare un cambiamento. Quindi emerge sempre la preoccupazione che uno stato, a cui viene indirizzata la strategia dell'engagement, in verit non sia realmente interessato ad avviare una cooperazione ma semplicemente intenzionato ad approfittarsi economicamente della situazione. Questa circostanza mette gli stati, che devono decidere se intraprendere una strategia di engagement, in una situazione difficile, in quanto sempre presente il rischio di aiutare uno stato che in realt ha intenzioni criminali. Essendo poi l'engagement una strategia che dipende dalle azioni reciproche di due o pi stati, pu risultare pi rischiosa ed incerta rispetto ad altre politiche a disposizione; la sua riuscita dipende infatti dal dialogo tra attori che, come si diceva in precedenza, possono avere fini divergenti. Uno stato pu ricercare l'engagement al fine di modificare l'azione dell'avversario con incentivi, ma l'altro 71

attore potrebbe ricercare semplicemente gli incentivi per ottenere benefici interni e non accettare un cambiamento della sua politica (Hass, O'Sullivan 2000b). Questa divergenza di posizioni che si potrebbe trovare tra i due attori, farebbe fallire l'engagement costringendo lo stato che ha adottato tale strategia a modificare la sua posizione, a discapito della sua credibilit e ne conseguirebbero forti critiche da parte dell'audience interna. Inoltre questo cambiamento di strategia che sarebbe conseguente al fallimento dell'engagement porterebbe, il pi delle volte, all'adozione di metodi di coercizione, che farebbero cos terminare le possibilit di cooperazione tra i due attori (Rubin 1998). Il caso della Libia di Gheddafi mostra in modo molto chiaro come la strategia dell'engagement presenti dei limiti alla sua applicabilit e riuscita. Infatti, la natura monolitica del sistema politico unita all'eliminazione dell'economia privata, che hanno portato all'annullamento dell'effettivit politica di segmenti della societ interessati alla reintegrazione dello stato nel sistema internazionale e muniti di capacit politiche per opporsi alla figura di Gheddafi, fanno si che l'utilizzo dell'engagement da parte degli Stati Uniti non potesse essere una strategia di successo. I cambiamenti avvenuti negli anni '80 e l'avvio di riforme interne hanno fatto si che la situazione domestica migliorasse, ma non si riusc mai a raggiungere le caratteristiche necessarie affinch si potesse utilizzare l'engagement con successo (Nincic 2006).

In conclusione, si pu affermare che la strategia dell'engagement risulta un mezzo importante ed efficacie per condurre uno stato verso un atteggiamento cooperativo (Kim e Kang 2009), inducendolo a modificare i suoi comportamenti attraverso incentivi di carattere positivo. Prima di procedere con l'attuazione per, necessario valutare con attenzione le caratteristiche interne dello stato target, in quanto se attraverso l'utilizzo di questa strategia la sicurezza messa in pericolo e lo stato non presenta le caratteristiche interne necessarie, difficilmente si riuscir ad ottenere dei risultati di successo, lo stato sar cos costretto a modificare la propria posizione e questo potrebbe mettere cooperazione, anche futura. in difficolt una possibile

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- CAPITOLO III -

-CASE STUDY: COREA del NORD-

Gli esempi teorici riportati fino ad ora hanno avuto lo scopo di mettere in luce gli aspetti pi importanti delle due strategie utilizzate dagli stati per modificare il comportamento di un attore considerato minaccioso per la sicurezza internazionale. Nel dettaglio si analizzato il funzionamento della strategia della coercive diplomacy e dell'engagement, e le loro caratteristiche principali insieme ai loro principali limiti di applicabilit. In questo ultimo capitolo verranno analizzate le due strategie nelle relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord. In particolare, si esamineranno le scelte strategiche delle amministrazioni americane di Clinton e Bush, inserendole nel contesto storico che ha influito nella loro determinazione. La scelta della Corea del Nord come studio di caso importante in quanto presenta al suo interno caratteristiche che possono essere riscontrate in altre realt, come Iran e Iraq, paesi contro i quali gli Stati Uniti hanno cercato di utilizzare le stesse strategie; al contempo, presenta caratteristiche peculiari che rendono il caso della Corea del Nord unico nel suo genere. Queste due strategie hanno fatto emergere un acceso dibattito negli Stati Uniti in merito alla politica migliore da adottare nei confronti della Corea del Nord. Studiosi come Cha e Kang individuano nell'engagement la scelta politica migliore per rapportarsi con Pyongyang e bench questa strategia venga declinata in modo diverso dai due studiosi entrambi la identificano come la via migliore per raggiungere obiettivi concreti nella penisola. Per altri studiosi, tuttavia, la via da preferire per ottenere dei risultati concreti nei rapporti con La Corea del Nord si dovrebbe improntare ad una linea pi dura, che segua i principi della coercive diplomacy. Questi studiosi non trovano ragioni per negoziare e cercare il dialogo con un regime che minaccia la sicurezza internazionale e le cui intenzioni non potrebbero mutare con dei semplici incentivi. Pyongyang infatti viene visto come un regime che attraverso le minacce e la politica del rischio calcolato cerca di estorcere concessioni agli Stati Uniti e mostra tutta la sua riluttanza nel creare 73

relazioni pacifiche. Secondo questa visione gli USA non dovrebbero ingaggiare la Corea del Nord in un dialogo ma adottare una strategia aggressiva che porterebbe alla risoluzione della situazione nella penisola (Cha e Kang 2003). Gli sforzi diplomatici erano considerati una scelta rischiosa e costosa, soprattutto nel caso in cui la Corea del Nord si fosse mostrata non in linea con le richieste americane. Per questo motivo all'inizio degli anni '90 la scelta migliore sembrava, agli occhi dell'amministrazione americana, quella di utilizzare una strategia di isolamento e coercizione (Sigal 1998) Da questo punto di vista, gli anni precedenti all'arrivo di Clinton alla Casa Bianca furono segnati da una forte tensione. Nel dicembre 1985, nonostante avesse siglato il trattato di non proliferazione nucleare, la Corea del Nord rimase determinata nello sviluppare un arsenale nucleare e un arsenale militare che gli permettesse di difendere il regime dalla minacce esterne. Infatti molte delle scelte strategiche e militari nordcoreane possono essere spiegate attraverso un crescente senso di insicurezza che le politiche adottate da Stati Uniti e Corea del Sud conferivano al regime di Pyongyang. Nel tentativo di rassicurare il nord, gli Stati Uniti allora ritirarono tutte le loro testate dispiegate in precedenza nella penisola coreana. Questo sforzo a prima vista sembr non aver ottenuto grandi risultati, soprattutto se si guarda l'atteggiamento e i comportamenti di Pyongyang a seguito di tale decisione. Infatti, nonostante la Corea del Nord avesse segnato un accordo con il Sud il 31 dicembre 1991, che impegnava le parti a rendere la penisola coreana libera dal nucleare, si rifiut in seguito di realizzarlo. Gli Stati Uniti decisero, allora, di adottare una strategia che si basava sia sulla minaccia che sugli incentivi. Vennero quindi riprese le esercitazioni militari, denominate Team Spirit, con la Corea del Sud e vennero messe in atto numerose concessioni, ma tutto ci senza successo. Nel 1992, secondo gli accordi stipulati, la Corea del Nord avrebbe dovuto spegnere il reattore di Yongbyong, rimuovere le barre di plutonio e soddisfare le clausole del trattato, ma nulla di tutto ci accadde. Questo port quindi ad una strategia di chiusura, che gli Stati Uniti attuarono nei tre anni successivi. Oltre a questo atteggiamento, che rendeva il dialogo impossibile, era presente, da un lato, una Corea del Sud che non era ancora pronta ad avere una politica chiara 74

e assumeva posizioni che vacillavano tra un atteggiamento di cooperazione a uno di aperta ostilit; e dall'altro la AIEA, che agiva come un attento esecutore della legge, e appariva insoddisfatto per qualsiasi risultato che non fosse la piena e completa conformit con quanto stipulato nell'accordo(ibidem). Quando poi nel Maggio 1994 la Corea del Nord inizi a rimuovere le barre di combustibile spento dal reattore di Yongbyon, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rispose con l'imposizione di sanzioni. Si pensava, che solo con la costrizione si sarebbe riusciti a fare cedere la Corea del Nord. Risulta quindi comprensibile come all'inizio degli anni '90, sul finire della presidenza Bush e l'inizio di quella Clinton, gli USA fossero abbastanza riluttanti ad avviare una cooperazione diplomatica con la Corea del Nord, gli incentivi e le rassicurazioni erano viste inefficaci alla luce della minaccia di Pyongyang (ibidem). La postura iniziale adottata da Washington in quel frangente storico era dunque basata sulla demonizzazione della Corea del Nord e del suo regime, in modo da giustificare l'utilizzo della coercive diplomacy e l'adozione di una strategia basata sul crime-and-punishment. Gli sforzi diplomatici erano del resto considerati una scelta rischiosa e costosa, soprattutto nel caso in cui la Corea del Nord si fosse mostrata non in linea con le richieste americane. Per questo motivo all'inizio degli anni '90 la scelta migliore sembrava, agli occhi

dell'amministrazione americana, utilizzare una strategia di isolamento e coercizione (ibidem). Tuttavia questa scelta mostr in poco tempo alcuni limiti. Le sanzioni stavano diventando politicamente troppo provocatorie ed economicamente non cos efficaci come pensato nel momento della loro adozione, quando invece l'alternativa militare era giudicata ancora troppo rischiosa. Agli Stati Uniti rimaneva l'alternativa, scartata in precedenza, della via diplomatica basata sul dialogo e la creazione di una fiducia reciproca. Si ebbe cos un allontanamento dalla strategia precedente in favore di incentivi economici e diplomatici visti come un alternativa pi efficace per risolvere la controversia nucleare (Haass e O'Sullivan 2000). Con il nuovo atteggiamento gli Stati Uniti riuscirono in pochi mesi a siglare un importante accordo con la Corea del Nord: l'Agreed Framework. Con tale 75

provvedimento Pyongyang annunci il suo impegno a non abbandonare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare e il congelamento del programma nucleare in cambio di un atteggiamento cooperativo da parte americana. Washington si impegnava cos ad avviare una normalizzazione nelle relazioni con Pyongyang sia in campo economico sia in campo politico, basandosi su incentivi di tipo economico e tecnologico. In questo contesto risulta quindi chiaro l'ottimo risultato ottenuto dall'engagement nel 1994 e dalla linea meno dura adottata dall'amministrazione Clinton: in poche settimane USA e Corea del Nord erano riuscite a normalizzare la situazione in materia nucleare (Sigal 1998). Il parziale congelamento dell'attivit nucleare fu un segno che la Corea del Nord era disponibile a rinunciare alle armi nucleari per assicurare la sua sicurezza e garantirsi dei benefici economici e politici. Ma la DPRK era disposta a compiere questo passo solo se gli fosse stato concesso qualcosa in cambio dell'abbandono delle politiche adottate fino a quel momento. Questo atteggiamento port gli Stati Uniti a dover scegliere quale strategia adottare per perseguire con maggior facilit e sicurezza i loro obiettivi. Purtroppo questa clima sereno tra i due stati era destinato ad avere vita breve. Infatti, gli Stati Uniti si trovavano in difficolt a difendere in patria la strategia scelta. Le forti critiche che provenivano sia dall'opinione pubblica che da frange del Congresso rendevano difficile attuare appieno il dialogo con la Corea del Nord. Inoltre, Pyongyang chiedeva a gran voce a Washington di allentare le sanzioni, provvedimento che era stato pi volte promesso ma mai attuato completamente. Questo clima di incertezza e di tensione venne inoltre aggravato dalle notizie che provenivano da Pyongyang, che riguardavano possibili test missilistici e atti dimostrativi nordcoreani. Con l'avvento di Bush la strategia di engagement venne abbandonata per lasciare spazio alla via della coercive diplomacy. Infatti appena salito al potere il nuovo presidente annunci subito la volont di allontanarsi dalla vecchia logica per avviare una strategia che mettesse in primo piano la difesa americana. Poco dopo l'elezione di Bush ci fu l'attentato dell'11 settembre al cuore degli Stati Uniti, che port il neopresidente a schierasi contro ogni regime che minacciasse la sicurezza nazionale. Nel famoso discorso sullo Stato dell'Unione il presidente 76

annunci le nuove linee di politica estera tra cui la lotta contro i rogue regimes Iran, Iraq e Corea del Nord (Harnisch 2002). Questo atteggiamento minaccioso che assunsero gli Stati Uniti trasmise immediatamente insicurezza alla Corea del Nord, che a sua volta percep le parole americane come una minaccia alla sua sicurezza. Da qui inizi l'atteggiamento di chiusura degli Stati Uniti comportamento che segn in larga parte la prima amministrazione Bush. I primi momenti in cui si inizi a vedere un possibile cambiamenti si ebbero con l'inizio dei Six Party Talks, i quali sotto volere Cinese miravano a portare gli attori principali presenti nella penisola coreana a un tavolo negoziale. Dopo i primi incontri che si risolsero con un nulla di fatto - il 2005 segn l'inizio di un'apertura e si arriv alla firma di un Joint Statement of Principles. Sembrava che si stesse trovando una via per la normalizzazione dei rapporti, e si ebbe un primo significativo spostamento dell'amministrazione Bush verso un approccio moderato. La situazione cambi molto rapidamente dopo la scoperta da parte americana di un conto nordcoreano contenente dollari americani, fatto che port all'adozione di misure punitive verso la Corea del Nord. Questo momento segna l'inizio di un rinnovato atteggiamento punitivo americano, causato in primo luogo dai gesti di Pyongyang, che raggiunse il suo apice con il primo test nucleare nell'ottobre 2006 (Rozman2007) . Dopo vari tentativi per arrivare a una normalizzazione dei rapporti, l'elezione nel 2008 in Corea del Sud del candidato conservatore Lee Myung-bak, segn definitivamente l'abbandono di un atteggiamento cooperativo e conciliatorio. Il nuovo presidente sudcoreano dichiar la volont di allontanarsi dalla sunshine policy adottata fino a quel momento, la necessit di essere pi cauti nel relazionarsi con Pyongyang, ed elabor un nuovo approccio che prese il nome di Vision 3000(Park 2011).

Per analizzare le scelte politiche intraprese dalle amministrazioni americane dirette verso Pyongyang importante considerare anche la natura del regime del nord. Infatti, molti erroneamente considerano la Corea del Nord uno stato irrazionale, un madman state, cio un paese che non valuta le scelte da intraprendere in politica estera seguendo un ottica razionale e di sicurezza 77

nazionale. In realt la Corea del Nord non presenta nessuna di queste caratteristiche: le scelte nordcoreane sono dettate da altri imperativi e analizzate attraverso la lente del dilemma della sicurezza. Le decisioni intraprese non devono quindi essere basate su queste ipotesi errate ma al contrario devono essere calcolate tenendo presente considerazioni di sicurezza nazionale e la necessit delle elite nordcoreane di mantenere il potere (Hwang 2004). Si andranno ora ad analizzare nel dettaglio le due amministrazioni in esame, in particolare sottolineando il dualismo di posizioni presente in entrambe le presidenze. Infatti, bench con sfumature diverse, sia con Clinton che con Bush gli Stati Uniti hanno alternato strategie di apertura a strategie di chiusura e linea dura, che hanno reso difficile poter sviluppare una posizione coerente e di lungo periodo che avrebbe permesso di creare relazioni diverse con la Corea del Nord.

3.1 Gli anni dell'amministrazione Clinton Il 20 gennaio 1993 ha avuto inizio il mandato presidenziale di Bill Clinton, segnando la fine, temporanea, delle presidenze repubblicane. Dopo un primo periodo in cui l'atteggiamento era incentrato pi sulla coercizione che sul dialogo, si avviato un cambiamento che ha condotto gli Stati Uniti a rapportarsi con la Corea del Nord cercando la via del compromesso e sfruttando lo strumento degli incentivi positivi (Clemens 2009). Il primo mandato dell'amministrazione Clinton si focalizz molto sul congelamento dell'attivit nucleare ma fall nello sviluppare una coerente politica che riuscisse a coinvolgere appieno tale questione portando al raggiungimento completo dei risultati prefissati. Il problema principale risiedeva nel fatto che la politica americana, per i primi anni dell'amministrazione, continu ad essere legata alle logiche della guerra fredda. Gli elementi pi estremisti vedevano nel prossimo collasso di Pyongyang e nella futura unione dei due paesi sotto la guida di Seoul l'unica possibile soluzione e l'unica possibile via percorribile. Promuovevano quindi una linea dura, considerando un possibile accordo solamente come un modo per posticipare il sicuro collasso del regime (Harrison 1997). L'alternanza di posizioni sulla questione, che port la leadership americana ad ad 78

assumere preferenze diverse e talvolta contraddittorie, ebbe come prima conseguenza la difficolt a delineare un'unica linea di politica estera. Dopo il primo mese di presidenza Clinton, le tensioni con la Corea del Nord aumentarono, in particolare iniziarono dei dissidi tra l'Agenzia dell'Energia Atomica e la DPRK. Nel febbraio del 1993 la Corea del Nord neg il permesso al personale dell'AIEA di effettuare un'ispezione in due depositi nucleari vicino a Yongbyong. Pyongyang rifiut in quanto i siti erano considerati depositi militari e non associati al programma nucleare e accus l'AIEA di essere uno strumento in mano americana utilizzato per aumentare le pressioni statunitensi nel paese. Questo rifiuto nordcoreano unito a pesanti critiche venne per indicato da Washington come un pretesto nordcoreano per porre fine all'accordo con la AIEA, in quanto agli occhi di Pyongyang tale patto non stava conducendo ai benefici sperati nelle relazioni tra DPRK e USA. Questo atto venne considerato inaccettabile da Seoul, che propose al Consiglio di Sicurezza dell'ONU l'imposizione di sanzioni economiche (Clemens 2009). La risoluzione ottenne 13 voti favorevoli e zero contrari, ma con due astenuti, Cina e Pakistan. In risposta a tale provvedimento la Corea del Nord, vedendo l'atto come un'interferenza negli affari nazionali e una violazione della propria sovranit, annunci la volont di ritirarsi dal Tratto di Non Proliferazione nucleare. L'amministrazione USA prese la minaccia nordcoreana molto seriamente e la possibilit che la Corea del Nord si ritirasse dal TNP rappresentava un precedente che avrebbe potuto compromettere la campagna internazionale contro la proliferazione nucleare, oltre che minacciare ulteriormente la sicurezza internazionale. Era necessario quindi assumere un atteggiamento che permettesse di indurre la Corea del Nord a una revisioni della sua posizione. Gli Stati Uniti sembravano disposti ad utilizzare il loro potere militare per indurre a un cambiamento nell'atteggiamento nordcoreano. La via negoziale fu per fondamentale per riuscire ad attenere un accordo, che venne favorito anche dalla mediazione di Carter (la cui visita suscita ancora un forte dibattito in merito all'effettivo appoggio che il governo statunitense diede a tale iniziativa). L'accordo che ne consegu, l'Agreed Framework, mostra chiaramente che gli incentivi 79

economici degli Stati Uniti e dei suoi partner erano una ottima merce di scambio per ottenere concessioni in merito al controllo degli armamenti da parte nordcoreana (ibidem). L'8 luglio 1994, due settimane dopo gli incontri con Jimmy Carter, mor Kim Ilsong e i poteri vennero trasferiti al figlio, Kim Jong-il. Quello che sarebbe dovuto succedere all'eterno presidente era un uomo conosciuto: era ormai da molti anni che Kim Jong-il veniva preparato per assumere il comando dello stato. Fin da subito apparve tuttavia chiaro che il figlio avrebbe governato come il padre, se non per il fatto che l'esercito inizi ad acquisire sempre pi potere. Infatti, la nuova politica che venne abbracciata da Kim Jong-il prese il nome di son gun, che prevedeva la priorit delle necessit militari su ogni altra necessit interna dello stato. Il problema principale con cui dovette scontrarsi il nuovo leader nordcoreano era la difficile situazione economica che stava emergendo nel paese. Il suo principale partner commerciale fino alla fine della guerra fredda era rappresentato dall'Unione Sovietica, ma con il collasso del sistema bipolare il nuovo governo russo sleg la sua economia dalla Corea del Nord per spostarsi a sud. In questo modo Pyonyang perse un importante partner e il commercio estero sub una forte contrazione, il sistema economico nordcoreano registr cos un fortissimo arresto (Fiori 2011). L'amministrazione Clinton, che aveva abbandonato ormai la linea rigida e intransigente del primo periodo, credeva che l'atteggiamento coreano fosse dovuto a un senso di insicurezza e che la proliferazione unita allo sviluppo dei missili balistici fossero dei modi per garantirsi la sopravvivenza e proteggere la sicurezza del regime. Quindi, Clinton vedeva la strategia dell'engagement come una buona via per creare un senso di fiducia e ridurre l'insicurezza e la minaccia nucleare. Gli incentivi offerti dall'amministrazione americana, tra cui gli aiuti economici e la normalizzazione nelle relazioni tra i due stati, avrebbero dovuton persuadere Kim Jong-il a sentirsi meno minacciato e avrebbero dovuto potuto portare a una diminuzione della tensione nella penisola e allo smantellamento dell'arsenale nordcoreano (Hwang 2004). Gli interessi strategici americani in Corea del Nord erano correlati ai loro obiettivi 80

nel continente asiatico. Infatti, per gli Stati Uniti la minaccia nordcoreana rappresent un buon sostituto della minaccia posta dall'Unione Sovietica durante la guerra fredda. Anche l'amministrazione Clinton vide una correlazione tra i due fattori e infatti, nel discorso tenuto dal Segretario di Stato Christopher nel 1995, venne sottolineato che gli Stati Uniti volevano mantenere e rafforzare una forte alleanza con Giappone, Corea del Sud, Australia, Filippine e Tailandia; gli USA volevano inoltre attuare una politica di engagement con quelli che erano stati considerati come nemici durante la guerra fredda e miravano anche a costruire una sistema regionale che permettesse la crescita economica, facilitasse l'integrazione e promuovesse la stabilit di lungo periodo. Venne sottolineato al contempo il forte interesse americano per il supporto della democrazia e la difesa dei diritti umani (MacMillan 1999). La politica di engagement avviata da Clinton, dopo aver abbandonato la linea pi dura dei primi anni, si scontr con il Congresso che, dopo le elezioni di met mandato del 1994 era guidato una maggioranza repubblicana. Infatti, con la pesante sconfitta dei democratici in entrambe le camere la politica di Clinton dovette scontrarsi quotidianamente con la posizione pi intransigente dei repubblicani, che in molte occasioni bloccarono le propose del presidente, in particolare in materia di aiuti e incentivi da inviare alla Corea del Nord (Sigal 1998). Clinton per l'intera presidenza cerc il dialogo con Pyongyang, e di risolvere tutte le crisi intorno al tavolo dei negoziati e cercando di limitare le minacce e le sanzioni. La Corea del Nord per non cambi mai del tutto atteggiamento e si verificarono numerosi atti minacciosi e di scontro nonostante l'atteggiamento conciliatorio americano. Gli ultimi anni della presidenza Clinton vennero segnati da importanti cambiamenti in Corea del Sud che ebbero ripercussioni anche sulle posizioni americane. Infatti nel 1998 viene eletto presidente Kim Dae Jung che nel suo discorso inaugurale propose la nuova strategia sudcoreana rivolta al Nord: la sunshine policy (Key-young 2006). Questo nuovo approccio era segnato da un atteggiamento di apertura e di dialogo, che doveva costruire le basi per una 81

coesistenza pacifica nella penisola, segnata da un miglioramento delle condizioni interne di entrambi gli stati. Quindi in primo luogo venne posto l'accento sull'importanza dello sviluppo economico nordcoreano unitamente a una limitazione della minaccia e della tensione della penisola (Kyung-suk 2002). Questo cambiamento al sud fece eco anche negli Stati Uniti. L'amministrazione Clinton inizi infatti a muoversi verso un atteggiamento pi favorevole verso le relazioni con il nord. Gli ultimi anni della presidenza furono segnati da uno scontro al confine tra una nave sudcoreana e una del nord che portarono Washington a inviare rinforzi aerei e navali a Seoul, alzando molto il livello di tensione nella penisola. Venne inoltre minacciato un test di un missile a lungo raggio, che contribu a rendere il clima nella penisola molto teso. Inoltre, la Corea del Nord continuava a sollecitare gli Stati Uniti per l'invio del reattore ad acqua leggera previsto dall'Agreed Framework ma mai ricevuto da Pyongyang. Data la situazione molto tesa venne convocato un summit per cercare di risolvere le tensioni, che stavano diventando difficili da gestire, e cos di perseguire la via diplomatica. A Berlino si incontrarono dunque i rappresentanti di Stati Uniti e Corea del Nord e questi ultimi acconsentirono a porre una moratoria sui test missilistici fintantoch i colloqui sulla normalizzazione delle relazioni, cosa che interessava molto a Pyongyang, fossero continuati. Inizi cos una nuova fase di dialogo tra i due attori che continu fino all'arrivo dell'amministrazione Bush (Haass e O'Sullivan 2000a). Le scelte di politica estera legate alla Corea del Nord non suscitarono un parere unanime n tra l'audience domestica n in quella internazionale. In particolare, alcuni analisti vedono il primo mandato di Clinton molto concentrato sul congelamento del programma nucleare, ma questa attenzione per la questione atomica condusse al fallimento nella costruzione di una politica rivolta alla Corea del Nord che affrontasse questa questione in un'ottica di lungo periodo. In particolare si not per tutta l'amministrazione la tendenza a rimanere legati ancora agli obsoleti concetti della guerra fredda (Harrison 1997). Infine, forti critiche sull'operato dell'amministrazione Clinton arrivarono con il fallimento dell'Agreed Framework che non riuscito a rimanere attivo negli anni successivi. Le motivazioni che hanno portato alla fine dell'accordo tra le due 82

nazioni risiedono in parte nel dilemma della sicurezza e nelle ambizioni nucleari di Pyongyang, che non sono state limitate, e in parte a causa dei limitati sforzi americani per soddisfare le condizioni dell'accordo, come si poteva vedere nei ritardi per la costruzione dei reattori ad acqua leggera. Solo in parte per queste critiche possono essere dirette unicamente alla presidenza Clinton (Key-young 2006).

3.1.1 L'engagement e la stipula dell'Agreed Framework Il raggiungimento dell'Agreed Framework per molti l'espressione di una riuscita politica di engagement. Il dialogo aperto con la visita dell'ex presidente Carter ha permesso di abbandonare la strategia basata sulle sanzioni e sulla linea dura e aprire la strada verso una politica di dialogo. Infatti, le scelte intraprese fino a quel momento avevano condotto ad un aumento della tensione nella penisola, spingendo i due stati molto vicino al conflitto, dinamica che si vista spesso quando veniva scelta come strategia la coercizione. Questo cambiamento di strategia ha portato alla firma dell'Agreed Framework che per molti rappresenta l'apice della politica di engagement statunitense. L'accordo, che non era da considerarsi un trattato formale ma un set di linee guida che dovevano servire ai due stati per trovare la via della cooperazione, prevedeva come fine ultimo l'abbandono del programma nucleare e la fine della proliferazione nucleare da parte nordcoreana e oltre alla normalizzazione delle relazioni con Pyongyang e l'invio di reattori ad acqua leggera da parte statunitense (Cha e Kang 2002). Nel dettaglio l'accordo prevedeva che gli Stati Uniti fornissero una formale assicurazione alla Corea del Nord contro la minaccia o l'uso delle armi nucleari da parte di Washington. Inoltre questi ultimi si impegnavano ad avviare una completa normalizzazione dei rapporti sia nelle relazioni economiche che in quelle politiche, riducendo le barriere al commercio e agli investimenti ed infine si impegnavo a fornire due reattori ad acqua leggera (LWR) entro il 2003. La Corea del Nord acconsentiva cos al congelamento del suo reattore nucleare e al suo smantellamento completo una volta che il progetto LWR fosse stato completato; ed infine, consentiva all'AIEA di monitorare il congelamento del reattore fornendo 83

piena cooperazione. Opinioni contrastanti per vedono l'accordo sotto un'altra prospettiva, collegandolo non a una strategia di successo ma a una strategia che ricercava l'accordo con un rogue regime pregiudicando cos i principi su cui doveva essere basata la politica estera americana. Venne cos pi volte criticato come l'apice dell'appeasement americano verso Pyongyang. La situazione in Corea del Nord nel 1994 mostra chiaramente quanto affermato da Haass e O'Sullivan (2000) in merito alla strategia dell'engagement, in particolare in merito agli incentivi, che vennero visti come lo strumento migliore da utilizzare se considerati a fronte di tutte le altre politiche a disposizione di uno stato. Quindi, nel caso delle relazioni tra Corea del Nord e Stati Uniti la scelta di adottare la strategia dell'engagement nel 1994 avvenuta a seguito di un fallimentare utilizzo della coercive diplomacy e delle sanzioni, che secondo i sostenitori dell'engagement era riuscita unicamente ad alzare la tensione nella penisola e non ad arrivare a una soluzione della situazione di crisi. Gran parte

dell'amministrazione americana era inoltre scettica sul successo di altre opzioni per risolvere il problema nordcoreano, come ad esempio un bombardamento dei luoghi sensibili. In particolare era preoccupata della possibile risposta della Corea del Nord e delle gravi ripercussioni che un gesto simile avrebbe potuto comportare. Il timore maggiore era che, se si continuava con un approccio punitivo si sarebbe potuto innescare un attacco militare di Pyongyang lungo il trentottesimo parallelo, con conseguenze drammatiche per tutta la penisola. Per questi motivi gli Stati Uniti decisero di invertire la rotta e guardare verso una politica incentrata sul dialogo e sugli incentivi (Haass e O'Sullivan 2000a). Bench l'engagement con la Corea del Nord non si fosse rivelato facile durante il primo mandato dell'amministrazione Clinton e pi volte le aspettative americane e degli alleati vennero disattese, l'Agreed Framework continuava ad essere in vigore. Nell'estate 1999 per la tensione nella penisola coreana aument a causa dell'annuncio di un presunto test missilistico nordcoreano che si sarebbe dovuto verificare a breve: il nuovo dispositivo che sarebbe dovuto essere testato era un missile balistico a lungo raggio. Washington insieme agli alleati dovette minacciare che nel caso in cui il missile fosse stato lanciato si sarebbe considerata 84

lettera morta l'Agreed Framework e che gli Stati Uniti sarebbero stati costretti a prendere provvedimenti per difendere la propria sicurezza nazionale. Insieme alla tensione dovuta alla notizia del possibile test, si verific uno scontro tra una nave nordcoreana e una del sud al largo del Mar Giallo. Questo incidente aument ancora di pi il livello di tensione e spinse gli Stati Uniti a mandare rinforzi navali ed aerei a Seoul. Per cercare di far rientrare la crisi venne convocato a Berlino un summit volto ad aprire un dialogo con la Corea del Nord. Il dialogo permise di allentare la tensione e venne espressa da entrambi la volont di continuare una politica di dialogo e apertura. La Corea del Nord si impegnava a non effettuare nessun test missilistico e gli Stati Uniti da parte loro acconsentirono a migliorare le relazioni bilaterali con Pyongyang. Inoltre, gli Stati Uniti iniziarono una nuova fase riducendo parte delle sanzioni che erano state imposte alla Corea del Nord negli anni precedenti (Haas e O'Sullivan 2000b). L'ultimo momento importante per l'engagement si ebbe con il report di William Perry, Special Advisor del Presidente e del Segretario di Stato. Perry, che era coadiuvato da un team di esperti, aveva il compito di redigere un documento che contenesse le raccomandazioni per l'amministrazione Clinton dopo un attento studio della situazione nordcoreana a seguito dell'Agreed Freamework e degli avvenimenti che avevano segnato le relazioni tra i due stati dal 1994 in poi. Il documento sottolineava l'importanza di rivedere la politica statunitense con lo scopo di mantenere saldo l'engagement con la Corea del Nord, in quanto le minacce nella penisola non erano affatto terminate, anzi Pyongyang era riuscito a produrre altro plutonio e l'economia interna nordcoreana era sensibilmente peggiorata minacciando cos la stabilit interna. Il team di esperti stil le raccomandazioni per la nuova politica di Clinton, che doveva rimanere incentrata sulla strategia dell'engagement. In primo luogo, a fronte del continuo sviluppo di armi nucleari e dell'esportazione di missili a lungo raggio che seguitavano a minacciare la stabilit della deterrenza e quindi la sicurezza nella penisola coreana, gli Stati Uniti avrebbero dovuto incentrare la loro politica al fine di mettere fine a queste attivit, che oltre a minacciare la sicurezza nella regione presentavano anche serie conseguenze globali, oltre che agli interessi americani. In secondo luogo venne posta l'attenzione sul modo in cui 85

gli Stati Uniti avrebbero dovuto cercare di portare a termine le attivit sopra citate. In particolare venne sottolineata l'importanza che il raggiungimento degli obiettivi avvenisse senza diminuire la deterrenza nella penisola, e in particolare senza aumentare la probabilit di miscalculations nella Corea del Nord, fatto che altrimenti avrebbe potuto portare a un aumento della tensione. Infine, la politica americana sarebbe dovuta essere condotta in stretto coordinamento con Corea del Sud e Giappone. Non dovevano infatti essere presi provvedimenti senza un sostegno attivo dei due alleati (Perry 1999). 3.1.2 Lambivalenza dell'engagement clintoniano Il Congresso USA critic la politica di engagement adottata dall'amministrazione Clinton, introducendo una legge che prevedeva la sospensione dell'assistenza energetica e l'invio di aiuti umanitari in assenza di cooperazione da parte nordcoreana. Per il Congresso era meglio seguire una strategia di contenimento del regime del nord per condurlo o al collasso o a concessioni. Questa visione venne criticata da molti studiosi, come Cha, in quanto si basava su un modo di rapportarsi con i rogue regimes che era tipico della guerra fredda, durante la quale i regimi non potevano essere ingaggiati ma solo portati al collasso grazie all'isolamento e alle minacce. Quindi la strategia migliore si identificava con l'engagement, che per, per avere successo, non doveva abbandonare le misure di deterrenza. Infatti, i rogue regime per loro natura non appaiono inclini alla strategia dell'engagement, pur avendo allo stesso tempo la necessit di ottenere gli incentivi che ne derivano; preferiscono quindi apparire come favorevoli a tale approccio in modo da ottenere le concessioni. Ma affinch la strategia abbia successo necessario che le intenzioni dello stato target siano ingaggiabili. Nel caso di un regime come la Corea del Nord, che ha avviato la proliferazione nucleare, il compito risulta pi difficile in quanto manca trasparenza e la posta in gioco alta. Tutti i rogue regimes, hanno per come obiettivo la sopravvivenza, quindi affinch le intenzioni siano ingaggiabili bisogna capire se la proliferazione e la sopravvivenza siano due obiettivi interconnessi tra loro (Litwak 2000). Guardando la Corea del Nord si pu vedere come le sue intenzioni non siano 86

dirette a cercare di sovvertire il governo sudcoreano, ma siano piuttosto indirizzate alla ricerca della sopravvivenza del regime stesso. Quindi la Corea del Nord per ottenere questo obiettivo necessita di avviare delle aperture e delle riforme, ma questo fine appare limitato dal tipo di provvedimenti che vengono adottati. Infatti le riforme avviate non hanno toccato troppo profondamente la struttura sociale e militare dello stato. Per questo motivo le forme pi probabili di apertura che avvier la Corea del Nord saranno simili al progetto di turismo sul Kumgang avviato nel 1998, che prevedeva s un apertura ma che era circoscritto a una limitata cooperazione (Cha 1999). Coloro che criticano la strategia dell'engagement adducendo al fallimento dell'Agreed Framework avvenuto poco dopo la sua firma, non considerano le caratteristiche che l'engagement deve avere affinch sia una strategia di successo. In primo luogo un approccio di lungo periodo e per tale motivo necessario che uno stato che voglia ottenere dei risultati concreti decida di rimanere su tale posizione. In caso contrario sar pi difficile ottenere i risultati sperati in quanto l'engagement, basandosi sulla fiducia che si crea tra i due stati, deve costruire i rapporti e mantenerli solidi (Haass e O'Sullivan 2000b). Affinch l'engagement abbia successo importante per lo stato promotore della strategia riuscire a identificare l'area principale di contrattazione, in modo da farla diventata il traino per il miglioramento delle relazioni anche in altri ambiti. Gli Stati Uniti nel caso dell'engagement del 1994 furono abili a garantirsi l'impegno nordcoreano a terminare il programma nucleare identificando la proliferazione come l'area di principale importanza su cui negoziare; in tal modo, partendo dai miglioramenti in ambito nucleare, si ampliato lo spettro del dialogo anche ad altri ambiti (Haass e O'Sullivan 2000a). Altre critiche per l'utilizzo della strategia dell'engagement, basata sui benefici economici e politici in cambio del congelamento del programma nucleare, provengono da coloro i quali vedevano la Corea del Nord del 1994 come ormai prossima al collasso. Gli oppositori di tale strategia vedevano il regime del nord ormai non pi in grado di sopravvivere. Quindi gli incentivi su cui si bastava l'engagement del 1994 non avrebbero fatto altro che mantenere in vita un regime che aveva le ore contate (Harrison 1997). Una forte critica venne lanciata dal 87

senatore John McCain che accus l'amministrazione Clinton di essere stata intimidita da una nazione gracile e sostenne che il presidente americano stava diventando un cospiratore insieme alla Corea del Nord e al suo leader (Cha e Kang 2004). Gli incentivi positivi e gli aiuti umanitari, tuttavia, sono considerati da molti analisti l'unico modo per riuscire a creare un senso di fiducia per gli Stati Uniti e quindi per portare a una diminuzione del senso di insicurezza. Secondo tale lettura, questo renderebbe Pyongyang pi collaborativo, potrebbe permettere l'avvio di riforme che renderebbero migliori le relazioni politiche ed economiche con l'occidente, il Giappone e la Corea del Sud (Harrison 1997). Uno dei principali ostacoli che per si pu riscontrare in merito allo sviluppo di un'efficace strategia dell'engagement la mancanza di pazienza da parte degli stati che decidono di intraprendere tale strada. Infatti, come detto in precedenza, affinch l'engagement dia i risultati sperati deve essere considerata una strategia di lungo periodo e non cambiare dunque a fronte delle prime aspettative disattese. L'engagement deve essere visto come un processo e i risultati il pi delle volte si manifestano nel lungo periodo attraverso una trasformazione dei comportamenti dello stato target e non come immediata conseguenza di un atteggiamento che poco dopo viene modificato. Gli Stati Uniti cercarono di seguire le raccomandazioni di Perry e di rimanere vincolati all'Agreed Framework e all'abbandono delle sanzioni, cercando di non modificare la strategia a fronte delle prime risposte non cooperative della Corea del Nord, che in quest'ottica non rappresentavano un immediato segnale di fallimento della strategia (Cha 2000).

3.1.3 Coercive diplomacy nell'amministrazione Clinton L'analisi dell'applicazione della coercive diplomacy in Corea del Nord molto ambigua, in particolare in termini di impatto della coercizione sullo stato target. Infatti, la minaccia di sanzioni economiche port la situazione verso la crisi, con una Corea del Nord che minacciava lo scoppio di una guerra e gli Stati Uniti fermi sulle loro posizioni (Freedman 1998). Il primo caso di utilizzo della coercive diplomacy in Corea del Nord sotto l'amministrazione Clinton si ebbe nell'estate del 1994 a seguito della crisi iniziata 88

nel Marzo 1993. Nel giugno 1994 il Direttore Generale dell'AIEA, Hans Blix, chiese a Pyongyang di poter ispezionare due nuovi siti nucleari sospetti, a seguito dello spegnimento della reattore nucleare di Yongbyon e l'inizio del ritiro delle barre di combustibile spente che contenevano plutonio a sufficienza per costruire cinque o sei bombe (Sigal 1998). La riposta nordcoreana fu un secco rifiuto, unito all'annuncio che la Corea del Nord si sarebbe ritirata dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare entro tre mesi e avrebbe espulso gli ultimi due ispettori dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica ancora presenti in Corea del Nord. Gli Stati Uniti quindi decisero di adottare la strategia della coercive diploamacy; l'azione era volta a convincere il governo di Kim Il-sung a fermare il programma di acquisizione di materiale fissile necessario per produrre armi nucleari. Per raggiungere questo obiettivo gli Usa minacciarono di imporre sanzioni economiche e nel caso in cui Pyongyang si fosse mostrata ostile alle richieste americane si sarebbe probabilmente giunti all'utilizzo della forza militare. Venne presa anche in considerazione la possibilit di un intervento per smantellare il sito di Yongbyong. L'azione USA aveva come primo obiettivo quello di fermare la Corea del Nord dal riprocessare il plutonio incorporato nelle barre di combustibile esaurito che avevano estratto dal reattore (Art 2009). In questo frangente l'amministrazione Clinton quindi da considerare come in sanctions mode, pronta cio a risolvere la questione utilizzando la via della coercizione. Clinton si rivolge al Consiglio di Sicurezza chiedendo l'imposizione di sanzioni economiche. A questa posizione la Corea del Nord rispose che avrebbe considerato le sanzioni come un chiara dichiarazione di guerra e che avrebbero quindi risposto di conseguenza. La crisi, che in questo momento aveva raggiunto il suo apice, si affievol grazie all'intervento dell'ex Presidente Jimmy Carter: la sua visita in Corea del Nord rese infatti possibile l'apertura dei negoziati tra USA e Pyongyang. Carter pensava che le sanzioni avrebbero molto probabilmente portato la Corea in guerra e quindi riport negli Stati Uniti la proposta avanzata da Kim Il Sung. L'essenza della proposta prevedeva che la Corea del Nord avrebbe congelato il suo programma nucleare in cambio di un aiuto americano rappresentato da due reattori ad acqua leggera e l'avvio di negoziati ad alto livello per un riconoscimento diplomatico. Sopraggiunse poi la morte del presidente 89

eterno a cui succedette, come detto, il figlio Kim Jong-il, il quale decise di portare avanti i negoziati. Si arriv cos, il 20 Ottobre 1994, alla firma del Agreed Framework (ibidem). Questo episodio per molti pu essere letto come un successo della coercive diplomacy, in cui gli USA e le Nazioni Unite utilizzarono la minaccia di un regime vulnerabile per arrivare a un cambiamento di atteggiamento. La coercizione economica indusse il regime di Kim a rispondere in modo positivo alle richieste USA di rinunciare al programma nucleare e in cambio vennero offerti dei reattori per la produzione di energia civile e l'apertura di relazioni diplomatiche con Washington (Levy 2008) . Molti per videro questo caso pi come una coercizione coreana rivolta agli Stati Uniti, piuttosto che viceversa. Infatti pu essere detto anche che la Corea del Nord ha capitalizzato la paura americana circa la proliferazione nucleare ingaggiarla in una forma di ricatto politico. Sono comunque presenti alcuni elementi che possono essere chiaramente ricollegati alla teoria della coercive diplomacy. Nella spiegazione di George e Simons vengono identificate infatti tre condizioni che rendono la coercive diplomacy una strategia plausibile: in primo luogo facilitata se l'avversario crede che sia presente un'asimmetria di motivazioni che opera in favore della potenza coercitrice; secondariamente, che sia percepita una certa urgenza nelle domande del coercer; ed infine che quest'ultimo innescher un'escalation che imporr costi inaccettabili per lo stato target. Analizzando il caso in questione si pu notare come la Corea del Nord assunse il ruolo di countercoercer mentre gli USA rappresentavano i coercitori veri e propri. Pyongyang aveva un obiettivo totalizzante, il riconoscimento diplomatico da parte statunitense, e per ottenerlo era disposta a impegnarsi in una politica del rischio calcolato con la proliferazione nucleare. In altre parole le motivazioni che spinsero la Corea del Nord ad ottenere delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti erano forti come le motivazioni USA di negare la produzione di plutonio a Pyongyang. Il lasso di tempo non era limitato solo a causa della minaccia di Pyongyang di recidere i suoi legami con la IAEA, ma anche in quanto Pyongyang calcolava che gli USA fossero ansiosi di risolvere il problema della Corea del 90 per

Nord prima del rinnovo del NPT che sarebbe dovuto avvenire nel Maggio 1995. In conclusione, la strategia nordcoreana si basava sul dare l'impressione di essere cos disperati da poter essere coinvolti in un'escalation, ad esempio una guerra contro la Corea del Sud, che avrebbe imposto dei costi inaccettabili per gli USA e i suoi alleati asiatici. Questi elementi di coercive diplomacy hanno permesso di arrivare alla soluzione basata sul compromesso portata avanti dalla mediazione di Carter (George e Simons 1994).

3.1.4 Valutazioni della Coercive Diplomacy durante l'amministrazione Clinton La coercive diplomacy durante l'amministrazione Clinton difficile da valutare in quanto emergono forti divergenze tra gli analisti. Da una parte viene considerata un successo, come ha affermato Robert Gallucci, dall'altra viene considerata un fallimento in quanto solo grazie al dialogo e all'engagement, mettendo da parte l'uso della forza, si potuti arrivare alla stipula dell'Agreed Framework, per merito anche all'intervento dell'ex presidente Carter. Gallucci ha sostenuto che in realt gli Usa usarono la forza delle minacce nel relazionarsi con la Corea del Nord, ed grazie a questo che riuscirono ad assumere una posizione favorevole nei negoziati e quindi a giungere ai risultati sperati. Infatti, Gallucci continua dicendo che la minaccia dell'uso della forza ha permesso di ottenere concessioni che in caso contrario sarebbero state difficili. Altri hanno considerano l'accordo stipulato nel 1994 un fallimento per la coercive diplomacy a causa della necessit dell'intervento di terze parti (l'ex presidente Carter) che influenzarono sensibilmente la firma dell'Agreed Framework. Gallucci ha risposto a tali accuse ritenendo che l'intervento dell'ex presidente sia stato di grande aiuto nel processo di negoziazione ma che necessita di essere letto nell'ottica della coercive diplomacy (Gallucci 2003). Art, al contrario delle posizioni precedenti, trova difficile valutare quanto accadde nel 1994 solo analizzando la coercive diplomacy. Infatti, secondo l'autore sono presenti degli elementi che rendono il caso per alcuni aspetti deviante rispetto all'utilizzo standard della strategia. Un elemento importante di distorsione 91

rappresentato dall'intervento di Carter che ha influito sulla stipula dell'Agreed Framework, che ha portato la strategia ad allontanarsi dall'atteggiamento classico di coercive diplomacy; rappresenta infatti un chiaro atto di engagement. Allo stesso tempo per la decisione dell'ex presidente di dialogare con Jim Il-sung stata una scelta personale e non una richiesta del governo quindi non attribuibile a pieno al disegno strategico di Washington. Non risulta quindi semplice valutare la riuscita della coercive diplomacy dal momento che presenta al suo interno degli elementi di engagement. Infine, emersero dubbi sulla reale volont statunitense di fornire i reattori ad acqua leggera che sarebbero dovuti essere destinati alla Corea del Nord in cambio della chiusura del reattore (Art 2009). Per valutare l'utilizzo della coercive diplomacy in Corea del Nord nel 1994 si devono considerare anche le offerte e le minacce che vennero portate avanti da Washington. Affinch la strategia ottenga buoni risultati importante per lo stato coercitore riuscire a bilanciare le offerte e le minacce fatte allo stato target. Infatti nei casi in cui si ha avuto una strategia di successo gli Stati Uniti erano riusciti a bilanciare la minaccia e gli incentivi, mentre al contrario, nei casi di fallimento della strategia, gli aiuti che venivano offerti erano pochi o nulli. In questo caso la proposta di Washington di concedere i reattori ad acqua leggera e l'eventuale normalizzazione delle relazioni tra gli Stati Uniti e Pyongyang rappresentavano gli incentivi che dovevano spingere la Corea del Nord a cessare con il suo atteggiamento intimidatorio. Al contempo, per erano presenti le minacce di un possibile scoppio di un conflitto e di un capovolgimento di regime che rappresentavano invece la coercizione. Quindi si pu notare come in questo caso fossero presenti sia incentivi che atti coercitivi (ibidem).

3.2 Gli anni dell'amministrazione Bush Il successo di George W. Bush alle elezioni presidenziali coincise con l'inizio di una nuova politica estera e di un nuovo modo di pensare la Corea del Nord. In primo luogo il partito repubblicano, gi molto critico durante la presidenza Clinton , espresse con vigore una volta al potere la sua opposizione all'accordo segnato dal predente presidente. La maggioranza del partito era favorevole 92

all'adozione di una linea dura nei confronti di Pyongyang e auspicava una posizione di contenimento della minaccia nordcoreana (Cha 2003). Con l'elezione del candidato repubblicano l'opportunit di continuare con la politica di engagement avviato da Clinton e trasformarla in una strategia di lungo periodo venne subito esclusa (Key-young 2006). Bush enfatizz la minaccia alla sicurezza portata avanti dalla Corea del Nord e, a differenza dell'amministrazione precedente, la nuova presidenza credeva che l'atteggiamento del regime del nord non sarebbe cambiato fin tanto che non si fosse modificato il regime. Per perseguire una linea dura la nuova presidenza cerc, fin da subito, di ottenere un vasto sostegno dal Congresso. Si pens che dopo il malcontento suscitato dalla precedente amministrazione, a causa della sua posizione pi morbida, l'ottenimento del consenso con un cambiamento di politica fosse estremamente necessario ed importante per legittimare gli atteggiamenti futuri (Paik Hak-soon 2001). Al suo interno comunque non mancarono le divergenze di opinioni in merito alla posizione da assumere verso Pyongyang. Da un lato si trovavano i funzionari pi moderati che sostenevano una strategia pragmatica attraverso il dialogo e l'engagement. Opposta a loro c'era la parte pi intransigente dell'amministrazione, che non teneva nemmeno in considerazione la possibile via di dialogo ritenendo che coinvolgere la Corea del Nord in incontri e trattative non avrebbe fatto altro che prolungare la sopravvivenza del regime. Era visto come necessario, quindi, adottare una strategia che facesse affidamento su sanzioni e misure coercitive al fine di rovesciare il governo nordcoreano (Mazarr 2007). Fin da subito l'amministrazione Bush mise in evidenza la sua contraddittoriet in merito all'atteggiamento da assumere verso la Corea del Nord. Infatti, poco prima della visita del Presidente Kim Dae Jung, Powell dichiar che la nuova amministrazione avrebbe ripreso la strategia del predecessore, nel tentativo di garantire la pace nella penisola coreana. Tuttavia poco dopo una dichiarazione di Bush sment quanto affermato in precedenza annunciando che la sua amministrazione non avrebbe ricominciato i colloqui con la Corea del Nord fintantoch Pyongyang non avesse avviato dei cambiamenti (Mazarr 2007). 93

Comunque Bush nel primo periodo non si distacc troppo dalla politica del suo predecessore, la vera svolta incisiva nell'affrontare la questione nordcoreana si ebbe dopo l'attentato dell'11 settembre, che pose sotto una nuova luce le priorit statunitensi di materia di politica estera (Quinones 2003). Il 29 Gennaio 2002 Bush nel discorso sullo Stato dell'Unione annunci l'agenda per la sicurezza nazionale a seguito degli attentati dell'11 Settembre e dichiar che gli Stati Uniti avrebbero cercato di prevenire il collegamento dei gruppi terroristici, come al-Qaeda, con tre regimi Corea del Nord, Iraq e Iran che insieme formavano l'asse del male. Questa definizione derivava dai loro intenti ad acquisire armi di distruzione di massa con le quali avrebbero potuto minacciare gli Stati Uniti. Con questa dichiarazione il presidente Bush rendeva chiaro che la Corea del Nord era da considerarsi una pericolo per gli Stati Uniti e per i suoi alleati (Bush 2002). Con il rovesciamento del regime dei Taliban in Afghanistan e la caduta del regime di Saddam Hussein in Iraq, l'amministrazione rivolse nuovamente l'attenzione sulla Corea del Nord. Pyongyang doveva scegliere tra perseguire la via del disarmo oppure continuare con la politica attuale ma nel secondo caso avrebbe dovuto pagarne le conseguenze. Durante gli incontri tra Stati Uniti e Corea del Nord che si tennero a Pyongyang nell'ottobre 2002, l'assistente del Segretario di Stato James Kelly venne a conoscenza del programma di arricchimento dell'uranio che stava sviluppandosi segretamente in Corea del Nord. Questa notizia port Washington a interrompere l'Agreed Framework e venne deciso di fermare gli invii di carburante previsti dall'accordo e ignorare completamente il trattato. Con questo atto

l'amministrazione Bush prese definitivamente le distanze dalla politica del softpower di Clinton (Art 2009). Pyongyang, che considerava annullato l'Agreed Framework, cerc di lasciare aperta una possibilit di dialogo con gli Stati Uniti, annunciando che si sarebbe potuto rivedere lo sviluppo del programma nucleare solo a patto che gli Usa acconsentissero alla firma di un trattato di non aggressione, togliessero l'embargo, normalizzassero le relazioni con Pyongyang ed infine, elargissero una ricompensa per il ritardo nella costruzione dei reattori ad acqua leggera. Gli Stati Uniti 94

considerarono inaccettabili queste richieste alla luce dell'attivit illegale che stava portando avanti la Corea del Nord. Dopo pochi giorni venne resa nota alla comunit internazionale l'attivit di arricchimento dell'uranio generando indignazione e preoccupazione (Michishita 2010). Bush afferm che solo dopo una totale e verificabile fine di tutti i programmi nucleari nordcoreani gli Stati Uniti avrebbero potuto prendere in considerazioni l'idea di iniziare un miglioramento delle relazioni con Pyongyang. Kim Jong-il chiedeva per in cambio della fine delle attivit nucleari una ricompensa; degli incentivi concreti che avrebbero dovuto seguire l'accettazione delle condizioni americane (Art 2009). Pyongyang decise di ricominciare con le sue attivit di arricchimento dell'uranio e il 10 gennaio 2003 annunci il ritiro dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) portando a un'inevitabile escalation di tensione nella penisola. Washington, che era concentrata sulla guerra in Iraq, non indirizz tutte le sue attenzioni sulla penisola coreana e, in risposta Pyongyang decise di aumentare le provocazioni, fino ad arrivare a dei veri e propri atti di aggressione. Nel marzo del 2003 infatti dei jet da combattimento nordcoreani intercettarono nello spazio aereo internazionale, sopra il Mare Orientale, un aereo da ricognizione americano, e lo costrinsero a ritornare alla sua base in Giappone. Gli Stati Uniti, contrariati da tale atto nordcoreano, risposero affiancando i loro aerei da cacciabombardieri (Michishita 2010 ). Nel frattempo la Corea del Nord abbandon l'idea di perseguire dei dialoghi bilaterali con gli Stati Uniti e acconsent a un incontro con i rappresentati di Pechino e Washington. Durante questo meeting trilaterale i negoziatori nordcoreani annunciarono di possedere armi nucleari e che avrebbero potuto procedere con i test, ponendo come condizione la firma da parte americana di un trattato di non-aggressione. Bush defin tale condizione un ricatto e annunci che gli Stati Uniti non avrebbero preso in considerazione le richieste nordcoreane fino a quando Pyongyang non avesse smantellato il suo programma nucleare (Sanger 2003). La tensione nella penisola rimaneva molto alta, in particolare a causa dell'atteggiamento aggressivo di Pyongyang. Nel maggio 2003 Stati Uniti e 95

Giappone valutarono la possibilit di imporre sanzioni economiche per indurre dei cambiamenti nell'atteggiamento nordcoreano. Venne, inoltre, considerato dal Segretario della Difesa Rumsfeld un piano di guerra chiamato piano operativo 5030, che avrebbe dovuto scatenare un conflitto al fine di smantellare le limitate risorse militari nordcoreane. Questa operazione doveva creare un senso di insicurezza e confusione nelle forze armate che avrebbero potuto rivoltarsi contro il leader e condurre a un colpo di stato (Michishita 2010). Nonostante l'approccio rigido e di chiusura di entrambe le parti, la Corea del Nord, nell'agosto 2003, acconsent a sedersi al tavolo delle trattative con Cina, Corea del Sud, Giappone, Russia e Stati Uniti, con lo scopo di risolvere la questione nucleare. I primi incontri non ottennero grandi risultati e apparvero per lo pi abbastanza interlocutori ma il momento di svolta avvenne nel settembre 2005 con la firma di un joint statement of principles. Questo accordo segnava un cambiamento nell'atteggiamento dell'amministrazione Bush, che si spostava da una posizione aggressiva e provocatoria a una pi moderata, basata maggiormente sull'engagement costruttivo (Huntley 2009). Nonostante l'ottimismo derivato da tale accordo la notizia della presenza di un conto nordcoreano contenente dollari americani presso il Banco Delta Asia con sede a Macao, inaspr immediatamente i toni. Il periodo successivo si caratterizz per un'alternanza continua di posizioni, e di conseguenti risposte nordcoreane. I test missilistici uniti al primo test nucleare di Pyongyang non fecero altro che rendere i rapporti tra i due stati ancora pi tesi. Bench Washington cercasse di mantenere aperto un dialogo, gli atti provocatori nordcoreani rendevano la posizione americana difficile da mantenere. A questo clima teso si aggiunse l'elezione presidenziale sudcoreana del dicembre 2007, che port alla vittoria il candidato conservatore Lee Myung-bak. Il nuovo presidente si allontan dalla sunshine policy delle amministrazioni precedenti per assumere una linea pi pragmatica ed intransigente verso Pyongyang. Questo nuovo atteggiamento port a un deterioramento dei rapporti tra le due coree e a una rinnovata posizione aggressiva della Corea del Nord. A dispetto della tensione della penisola coreana nel giugno 2008, Pyongyang 96

present un documento nel quale venivano censite tutte le attivit e le installazioni nucleari del paese. Questo gesto sicuramente identificabile come un importante atto simbolico port gli Stati Uniti a concedere in cambio l'eliminazione della Corea del Nord dal Trading with the Enemy Act e dalla lista degli stati sponsor del terrorismo. Pyongyang in risposta accord agli ispettori dell'AIEA l'accesso ai siti nucleari per verificare la loro attivit (Wolfsthal 2009). L'amministrazione Bush sembrava sulla strada del successo, e sembrava che il nuovo approccio potesse essere la chiave di volta per portare ad un miglioramento delle relazioni e in particolare ad uno sviluppo positivo della questione nucleare. Purtroppo per gli ultimi mesi segnarono un significativo peggioramento. In primo luogo i negoziati si fermarono quando la Corea del Nord si rifiut di accettare un sistema che avrebbe verificato l'effettiva fine del programma nucleare. In secondo luogo Pyongyang decise di mettere da parte tutti gli accordi militari e politici sviluppati con Seoul; ed infine, inform gli USA che aveva gi sviluppato sufficiente plutonio per la costruzione di cinque o sei bombe nucleari.

Si possono individuare tre fasi principali nella politica di Bush verso la Corea del Nord, inizialmente il fallimento del summit tra Bush e Jim Dea Jung avvenuto nel Marzo 2001. Tale incontro sottoline le divisioni all'interno della squadra di Bush, e tra Sud Corea e Stati Uniti, in merito alla continuazione della strategia di engagement verso la Corea del Nord. La seconda fase, fu nel 2001 quando l'amministrazione Bush lanci la sua nuova politica, che mirava ad appianare le divisioni interne e internazionali. Si not cos un riavvicinamento tra Washington e Seoul, il rapporto teso che caratterizzava il periodo precedente vide un leggero miglioramento, ma allo stesso tempo, dopo l'attentato dell'11 settembre, all'interno dell'amministrazione Bush aumentarono le ambiguit e le divisioni in merito all'atteggiamento da tenere verso la Corea del Nord. La terzo fase di svolta si verific il 29 gennaio 2002 quando Bush, nel discorso sullo Stato dell'Unione, dichiar come primo punto dell'agenda di politica estera la lotta contro l'asse del male tra cui venne iscritta anche la Corea del Nord (Harnisch 2002). La nuova strategia di Bush era per desinata al fallimento come gli approcci 97

precedenti,

infatti

la

mancanza

di

coerenza

come

gi

successo

per

l'amministrazione Clinton non permisero di ottenere i risultati prefissati (Ogden e Anderson 2008).

3.2.1 La coercive diplomacy dal 2001 al 2009 La Corea del Nord fu un test molto difficile per valutare l'efficacia della dottrina Bush, volta a colpire le capacit nucleari dei rogue regimes. Come accadde per per l'amministrazione Clinton non ci fu un unica strategia ma si ebbe comunque un'alternanza di posizioni che si susseguirono per tutti gli anni della presidenza. Appare infatti difficile poter identificare un solo approccio che accompagnasse l'intero mandato, anche se nel caso della presidenza Bush era molto marcata la tendenza a preferire un atteggiamento pi intransigente. Ora andremo ad analizzare i momenti pi importanti in cui l'amministrazione Bush abbandon la linea morbida per abbracciare un approccio pi fermo e minaccioso. In primo luogo, l'Agreed Framework, siglato nel 1994 era visto dalla nuova presidenza come un atto di appeasement verso la Corea del Nord, come un acquisto del congelamento del programma nucleare. Un atto che, nonostante le buone premesse iniziali, non era riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati. Era quindi visto necessario un cambiamento di atteggiamento che permettesse agli Stati Uniti di porsi in maniera pragmatica nei confronti della Corea del Nord (Harnisch 2002). Inoltre la linea pi dura adottata da Bush venne giustificata alla luce del cambiamento di priorit. Infatti, a fianco della questione nucleare venne posta all'attenzione il programma di sviluppo missilistico, e quest'ultimo punto acquis molta importanza e contribu a plasmare le scelte di politica estera rivolte a Pyongyang. Dopo l'attentato dell'11 settembre e il discorso sullo Stato dell'Unione tenuto nel 2002 apparve chiaro che la posizione dell'amministrazione Bush si sarebbe orientata verso l'abbandono dell'engagement. La linea dura che ne consegu enfatizz le minacce e le pressioni verso la Corea del Nord facendo aumentare la tensione nella penisola (Cha e Kang 2003). Sicuramente l'attacco terroristico alle 98

Torri Gemelle e le conseguenze che ne derivarono furono un punto di svolta molto importante per la politica estera rivolta alla Corea del Nord. Inserire lo stato asiatico nella definizione di Axis of Evil, e dichiarare che gli Stati Uniti avrebbero fatto tutto il necessario per proteggere la loro sicurezza nazionale, appariva agli occhi di Pyongyang una minaccia a cui rispondere. Infatti, poco dopo la Corea del Nord afferm che il discorso sul'Asse del Male e l'annuncio della Dottrina Bush non fecero altro che spingere le due nazioni molto vicino allo scontro. Venne annunciato che il regime del nord si sarebbe dotato di tutti i mezzi offensivi e difensivi necessari per rispondere agli Stati Uniti. In questo clima di tensione si susseguirono atteggiamenti minacciosi alternati a momenti di apertura e ricerca di dialogo. Con l'avvio dei Six Party Talks si cerc di limitare i comportamenti aggressivi per lasciare spazio alla linea pi morbida, ma anche in questo si riscontrarono chiusure e irrigidimenti (Rozman 2007). Come detto in precedenza, dopo l'apertura che si ebbe durante il quarto round dei Six Party Talks, gli Stati Uniti cambiarono nuovamente atteggiamento. Le tensioni iniziarono quanto Washington venne a conoscenza di fondi nordcoreani, per un ammontare di 25000 $, depositati presso il Banco Delta Asia con sede a Macao. Gli Stati Uniti accusarono Pyongyang di aver ottenuto quel denaro attraverso attivit illecite, quindi appellandosi al Patriot Act stipulato dopo gli attentati dell'11 settembre che prevedeva la possibilit dell'intervento delle autorit americane nel caso in cui fosse ritenuta in pericolo la sicurezza degli Stati Uniti chiesero il congelamento del conto nordcoreano. Washington nonostante l'adozione di questa misura punitiva cercava di mantenere vivi i rapporti con la Corea del Nord scindendo il normale dialogo tenuto fino a quel momento dai fatti appena accaduti. Pyongyang per, come era facile ipotizzare, non accett il dualismo di comportamenti americano, e dichiar che avrebbe considerato nullo il Joint Statement siglato solo un anno prima, in quanto erano venute meno le condizioni che avevano condotto alla firma dell'accordo. I nordcoreani posero lo scongelamento dei fondi come condizione principale per riaprire il dialogo con gli Stati Uniti. Gli USA per non vollero modificare il loro comportamento e venire incontro alle richieste nordcoreane. La risposta di Pyongyang non si fece attendere, arriv il 4 luglio 2006 con il 99

lancio di sette missili a corto e medio raggio e di un Taepodong-2, quest'ultimo, secondo l'intelligence americana avrebbe potuto raggiungere le coste dell'Alaska. Su richiesta Giapponese venne riunito il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per prendere provvedimenti in merito al comportamento nordcoreano e ne deriv la risoluzione 1695 che condannava i test missilistici e chiedeva la sospensione di tutte le attivit legate alla produzione di materiale e tecnologia per la costruzione di armi di distruzione di massa e chiese a tutti i membri di fermare ogni scambi di aiuti diretti alla Corea del Nord. Francia, Stati Uniti e Giappone avrebbero voluto una risoluzione pi incisiva, ma Cina e Russia, che avrebbero preferito evitare di alzare la tensione con la Corea del Nord imponendo delle sanzioni troppo rigide, si opposero fermamente all'inserimento del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite5. Come detto in precedenza quindi, il 2006 segn il ritorno della linea dura da parte dell'amministrazione americana in risposta alle azioni nordcoreane considerate minacciose (Snyder 2007). Questo provvedimento, come ben pensavano Cina e Russia, non fece altro che portare la Corea del Nord su una posizione ancor pi difensiva. Infatti, pochi mesi dopo l'empasse legata ai fondi depositati al Banco Delta e ai test missilistici, Pyongyang annunci che avrebbe condotto un test nucleare in risposta alla politica ostile intrapresa dagli Stati Uniti. Il 9 ottobre 2006, come comunicato in precedenza, ci fu al confine con la Cina il primo test nucleare sotterraneo nordcoreano. Bench fosse gi stato annunciato e quindi non colse nessuno di sorpresa e nonostante la scarsa portata a livello militare, gli Stati Uniti e la comunit internazionale guardarono quel gesto con molto apprensione. La notizia della costruzione di un ordigno nucleare non era un segreto, ma con il test la speranza che le voci fossero infondate spar. La replica degli Stati Uniti fu un messaggio del presidente Bush nel quale affermava che la Corea del Nord con tale atto aveva sfidato la comunit internazionale e quest'ultima avrebbe risposto di conseguenza; lasciando cos aperto un ampio varco di possibili fraintendimenti. Inoltre l'Assistente del Segretario di Stato per l'Asia e il Pacifico afferm che la
5 http://www.un.org/News/Press/docs/2006/sc8778.doc.htm

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Corea del Nord avrebbe dovuto scegliere tra avere un futuro o avere un'arma atomica. Apparve quindi subito chiaro che posizione avrebbero assunto gli Stati Uniti. L'atteggiamento di engagement venne messo da parte e si chiese al Consiglio di Sicurezza delle Nazione Uniti l'imposizione di sanzioni. Ne deriv la risoluzione 1718, votata all'unanimit il 14 ottobre dello stesso anno che prevedeva la sospensione di possibili futuri test missilistici e nucleari, il ritorno al tavolo dei negoziati all'interno dei Six Party Talks, il divieto di esportazione di beni di lusso in Corea del Nord, ed infine l'imposizione di sanzioni economiche6. La il regime del nord percep questo atto come una dichiarazione di guerra. Gli Stati Uniti chiedevano cos a Pyongyang di ritirare le sue ambizioni nucleari, e per creare un senso di urgenza nello stato target venne utilizzata la risoluzione dell'Onu e l'imposizione di sanzioni economiche immediate. Sempre seguendo la logica della coercive diplomacy si utilizz la minaccia: nel caso in cui non venissero soddisfatte le richieste americane sarebbero aumentate le sanzioni. Al contempo, per, vennero presentanti anche gli incentivi aiuti economici e normalizzazione diplomatica- nel caso in cui Pyongyang avesse accettato le richieste americane (Kim Sung-han 2006). 3.2.2 LHawk Engagement di Bush Prima del cambiamento di approccio dell'ottobre del 2002, avvenuto a seguito della violazione nordcoreana del Agreed Framework, l'amministrazione Bush identificava nella strategia dell'hawk engagment una via possibile per rapportarsi con la Corea del Nord. L'atteggiamento della nuova amministrazione risultava sicuramente diverso da quello adottato negli anni precedenti da Clinton, ma la predisposizione per l'engagement rimaneva (Cha e Kang 2003). L' Hawk Engagement americano differisce dall'approccio tradizionale di engagement sia nella sua filosofia di base sia nella sua pratica. Kim Dae Jung, con la sunshine policy e Bill Clinton con la sua politica di dialogo e apertura videro l'engagement come una via per aumentare la trasparenza e la confidenza con la Corea del Nord e ridurre l'insicurezza. Questo tipo di engagement adottato
6 http://www.un.org/News/Press/docs/2006/sc8853.doc.htm

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dall'amministrazione Bush, al contrario, si basava sull'idea che l'engagement permettesse di preparare le basi per l'utilizzo di future azioni punitive nel caso in cui lo stato target non soddisfacesse le richieste fatte. Gli Stati Uniti apparvero quindi scettici in merito alla possibilit che Pyongyang potesse essere indotta a cooperare ma erano disposti ad utilizzare l'engagement per smascherare il bluff nordcoreano. Inoltre, l'obiettivo della sunshine policy venne considerato limitato al raggiungimento di una coesistenza pacifica delle due coree, mentre l'hawk engagement avrebbe offerto una visione pi ampia su come plasmare il futuro della penisola coreana in modo da soddisfare al meglio gli interessi strategici americani. Secondo l'amministrazione Bush il nuovo approccio differiva sensibilmente da quello utilizzato dalla presidenza precedente e venivano identificati cinque elementi che avrebbero allontanato la nuova strategia da quella di Clinton: in primo luogo il controllo sulla produzione e l'esportazione di missili da parte nordcoreana; quindi il modo di indirizzare l'attenzione verso la limitazione delle forze convenzionali; inoltre, la stretta collaborazione con gli alleati; ed infine, la richiesta di una gestione reciproca in cambio di compromessi con il nord. In realt solamente un elemento risultava veramente nuovo - il focus sulle forze convenzionali - tutti gli altri punti erano gi stati utilizzati nelle politiche adottate dal presidente Clinton verso Pyongyang (Kim e Kang 2009). Esistevano, per, altri elementi che mettevano in luce le differenze tra i due approcci. Confrontando l'hawk engagement con la Sunshine Policy di Kim Dae Jung si pu notare come la strategia del Presidente sudcoreano rimanesse ferma sull'idea che la minaccia posta dalla Corea del Nord nascesse dall'insicurezza dello stato e quindi lo scopo dell'engagement tradizionale diventava quello di ridurre questa insicurezza e porre fine alla proliferazione della minaccia. A questo scopo vennero, quindi, utilizzati vari tipi di incentivi - aiuti economici, normalizzazione delle relazioni, riduzione delle tensioni legate alla sicurezza indirizzati verso Kim Jong Il per persuaderlo a rinunciare a nuovi armamenti. L'hawk engagement invece si distacca da questa logica, riconosce l'utilit della diplomazia nel relazionarsi con la Corea del Nord, ma vede il vero valore dell'engagement nella sua capacit di identificare la reale natura del regime del 102

nord. L'hawk engagement, punta cos ad ostacolare il raggiungimento degli obiettivi considerati primari da Pyongyang e sviluppa delle punizioni da utilizzare nel caso in cui il regime del Nord decidesse di non rivedere la sua posizione o perpetrasse un atteggiamento minaccioso (Cha 2000). L'amministrazione Bush, per perseguire questa strategia, ha considerato importanti anche gli aiuti umanitari. Essi infatti possono agire come incentivo per la popolazione nordcoreana a distaccarsi dal regime e combatterlo. Infatti l'assistenza umanitaria usata in un'ottica di engagement pu agire su due fronti: in primo luogo pu facilitare la fine del regime, andando a fare leva sulla popolazione inducendola a chiedere riforme ed apertura. Per un sistema illiberale ed autoritario, quale quello nordcoreano, un'apertura il pi delle volte pu risultare difficile da controllare e quindi pu portare in ultima istanza a un rovesciamento di regime. Quindi, in questo contesto, l'assistenza umanitaria alla Corea del Nord pu aiutare il governo a convincersi che la strada da intraprendere quella delle riforme politiche, portando in un primo momento a un miglioramento della situazione economica, ma anche alla creazione tra la popolazione nordcoreana di una spirale di aspettative, le quali potrebbero condurre la popolazione a voler far sentire maggiormente la loro voce. In secondo luogo gli aiuti umanitari possono servire anche a preparare il terreno per una futura unificazione della penisola coreana. Permetterebbero di allontanare dalla popolazione l'idea distorta e falsa che il regime ha trasmesso del mondo al di l del trentottesimo parallelo. Infatti, le politiche di coercizione e di isolamento hanno creato solamente una maggior ostilit della popolazione e rinforzano la demonizzazione che il governo di Pyongyang ha attuato verso Washington e Seoul (Cha e Kang 2004). L'hawk engagement era considerato da molti studiosi la via migliore per relazionarsi con la Corea del Nord, e per questo motivo coloro i quali si opponevano alle strategie precedenti si chiesero perch anche Clinton non avesse adottato lo stesso approccio. Il principale motivo risiede nel momento storico differente in cui i due presidenti sono stati in carica. Secondo molti, Bush rispetto a Clinton era in una posizione pi favorevole per avviare questo tipo di strategia perch aveva gi a disposizione sia incentivi che punizioni utili per rapportarsi 103

con la Corea del Nord. Infatti, a differenza di Bush, prima della politica di apertura di Clinton nel 1994 non si erano avute precedenti presidenze che avessero concesso benefici tangibili o vantaggi che potessero quindi essere utilizzati come powerful stick, quindi come merce di scambio o come minaccia nel caso in cui Pyongyang non avesse rispettato gli accordi. Inoltre un altro elemento che ha reso l'amministrazione Clinton non incline a perseguire una strategia simile a quella di Bush era la sua avversione per l'uso della forza contro la Corea del Nord nel caso in cui l'engagement avesse dovuto fallire. Infatti era considerato preferibile continuare a tenere una posizione di dialogo invece che scontrarsi con Pyongyang, per timore di un possibile scoppio di un conflitto. Infine l'hawk enagagement viene preferito anche perch cercherebbe di perseguire una politica di pi lungo periodo rispetto all'engagement tradizionale. Non prevede unicamente la ricerca dell'unificazione della penisola come obiettivo ultimo ma interessato anche alla futura presenza americana nella regione. Una Corea unificata metterebbe in secondo piano la presenza americana e anzi la renderebbe inutile, portando cos a un aumento dell'influenza cinese nello spazio lasciato libero dagli Stati Uniti. Per questo motivo la strategia dell'hawk engagement cerca di promuovere una post-unificazione in cui ci sia ancora posto per gli USA, consolidando le alleanze con Corea del Sud e Giappone, senza per infastidire Pechino (Cha 2002). Dopo un periodo segnato dalla linea dura a seguito degli attentati dell'11 settembre, la decisione di partecipare a una serie di incontri proposti dalla Cina, che prendevano il nome di Six Party Talks, apr la possibilit a un cambiamento di atteggiamento americano. Si pens che si sarebbe potuto abbandonare l'atteggiamento intransigente per lasciare spazio al dialogo. Purtroppo per questo periodo termin molto presto e i test missilistici e il primo test nucleare nordcoreano fecero ricredere gli Stati Uniti circa la politica da seguire. Nell'agosto 2003 iniziarono i primi incontri all'interno dei Six Party Talks, ma i primi tre round non si poterono certo definire soddisfacenti. Infatti, furono incontri abbastanza interlocutori e prevalse il significato simbolico pi che fatti concreti. Nel Luglio 2005 con il quarto round di incontri tra le sei potenze la situazione 104

sembrava cambiare. Infatti, il contesto nordcoreano si stava aggravando e Pyongyang, ormai allo stremo delle forze, decise si aprirsi e iniziare un dialogo costruttivo. Questo mutamento di atteggiamento condusse alla firma del Joint Statement of Principles il 19 settembre 2005. Questo accordo prevedeva un impegno nordcoreano alla denuclearizzazione della penisola, alla fine della proliferazione nucleare e il rientro nel NPT e accordava la possibilit di invio di ispettori per controllare i siti nucleari. In cambio la Corea del Nord si aspettava aiuti di tipo energetico e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche sia con gli Stati Uniti che con il Giappone e Corea del Sud.7 In questo contesto gli Stati Uniti iniziarono un cambiamento di atteggiamento verso il Nord. Infatti, gli USA garantivano a Pyongyang che non avrebbero avanzato minacce militari fintantoch la Corea del Nord si fosse mossa all'interno dei limiti stabiliti dall'accordo. Si nota quindi uno spostamento dell'atteggiamento americano da un approccio aggressivo, adottato fino a quel momento, a un approccio pi moderato, che si dirigeva verso un engagement costruttivo. Venne sospesa la questione dello smantellamento totale come clausola basilare per l'inizio di un dialogo, si pass infatti al "commitment for commitment, action for action". Questo mutamento di atteggiamento americano fu dovuto in parte al cambiamento interno che avvenne nell'amministrazione Bush con il secondo mandato presidenziale. Infatti, il ruolo di Segretario di Stato prima occupato da Colin Powell venne assegnato a Condoleeza Rice, la quale, anche preoccupata del fallimento nel teatro mediorientale, ritenne l'engagement la via migliore per rapportarsi con la Corea del Nord (Huntley 2007). Questo atteggiamento conciliatorio che si verific durante il quarto round dei Six Party Talks era per destinato ad avere vita breve. Infatti, pochi mesi dopo, in concomitanza con il nuovo incontro che si sarebbe dovuto tenere tra le sei nazioni, l'atteggiamento americano cambi di nuovo. Venne ripreso l'atteggiamento difensivo e minaccioso che solo poche settimane prima era stato ritenuto poco produttivo. Un altro cambiamento di approccio dell'amministrazione Bush si ebbe dopo il primo test nucleare nordcoreano. In particolare dopo aver imposto sanzioni e
7 http://www.state.gov/p/eap/regional/c15455.htm

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minacciato la Corea del Nord per il comportamento considerato inaccettabile e pericoloso per la sicurezza della regione. La presidenza decise che era importante mantenere aperto il dialogo con Pyongyang e tornare a discutere intorno al tavolo dei Six Party Talks. Venne avviato un nuovo negoziato che port alla concessione da parte nordcoreana della chiusura del reattore e dell'impegno di redigere un censimento che comprendesse tutte le installazioni militari in cambio di 950000 tonnellate di olio combustibile. Gli ispettori della AIEA entrarono in Corea del Nord e constatarono che il reattore di Yongbyong era spento e quindi gli USA da parte loro si impegnavano a inviare l'olio combustibile chiesto in cambio. Questo rappresentava forse il momento di maggior riappacificazione tra i due stati durante tutta la presidenza Bush. Infatti, in una lettera inviata a Kim Jong-il per la prima volta Bush si riferiva al Caro Leader come Mr. Chairman dando cos l'idea che si stesse rivolgendo a un altro capo di stato, ci fu un chiaro riconoscimento di parit (Wolfsthal 2008). La svolta attuata dall'amministrazione Bush mise in luce come l'engagement fosse la strategia di default adottata dagli USA verso la Corea del Nord. Come l'amministrazione Clinton, anche la presidenza Bush dovette invertire la rotta e abbandonare la coercive diplomacy per adottare una strategia pi conciliatoria. Questo per non vuol significare che i due presidenti abbiano declinato in modo analogo la loro strategia. Infatti, Bush non abbandon mai completamente l'atteggiamento rigido e di chiusura al contrario di Clinton che invece sembrava maggiormente aperto al dialogo e agli incentivi. In particolare queste diverse declinazioni della stessa strategia possono essere anche analizzate in relazione alle politiche adottate dalla Corea del Sud nello stesso periodo. Infatti, verso il finire dell'amministrazione Bush venne eletto presidente al Sud Lee Myung-bak, esponente del partito conservatore e non certo un fervente sostenitore della strategia dell'engagement e della sunshine policy. Questa nuova figura politica presente in Corea del Sud non rendeva facile per gli Stati Uniti poter perseguire una linea morbida con Pyongyang (Kim e Kang 2009). Come accadde per l'amministrazione Clinton, anche con la presidenza Bush le critiche per l'adozione della strategia dell'engagement furono molto accese. Da una parte gli attivisti dei diritti umani criticavano tale approccio in quanto non era 106

indirizzato a migliorare la situazione delle vere vittime di tale situazione la popolazione nordcoreana. Quindi era visto come necessario cambiare il regime e salvare la popolazione e per arrivare a tale obiettivo venivano preferiti il nondialogo e l'ostilit, considerate vie pi dirette ed efficaci. Dall'altra parte l'engagement era visto come non realizzabile e non credibile a causa dell'enfasi che veniva posta dall'amministrazione sull'importanza della difesa missilistica (Cha e Kang 2003). I sostenitori dell'engagement per non trovavano inconciliabile perseguire un sistema di difesa missilistico con tale strategia. Infatti, l'engagement avrebbe potuto rafforzare la sua credibilit e il suo successo anche grazie a una robusta capacit difensiva aggiuntiva. Inoltre, avrebbe comunicato allo stato target che l'engagement era la scelta dello stato pi forte e non un espediente del debole e quindi avrebbe acquisito maggiore credibilit. In questo modo si mettevano a tacere anche le critiche che legavano l'engagement a una politica di appeasement (Ibidem).

3.2.3 Valutazioni delle strategie Gli Stati Uniti tra il 2001 e il 2006 hanno fatto piccoli progressi nelle relazioni con la Corea del Nord, in particolare si riusc a portare Pyongyang a dialogare con Stati Uniti, Cina, Corea del Sud, Russia e Giappone grazie ai Six Party Talks. Per si sono riscontrati anche momenti di stallo nei rapporti tra Washington e Pyongyang e possono essere identificati tre principali ragioni che hanno portato a questa paralisi. In primo luogo la Corea del Nord considerava il suo programma nucleare essenziale per preservare la sua sicurezza, e nei casi in cui quest'ultima fosse la questione centrale il compromesso risultava complicato da raggiungere. In questo contesto il successo della coercive diplomacy difficile da raggiungere, in particolare quando ci che viene chiesto allo stato target considerato da quest'ultimo una privazione che lo renderebbe vulnerabile alle azioni dello stato coercitore. In questo caso, la richiesta degli Stati Uniti di rinunciare alla dotazione nucleare, agli occhi di Pyongyang potrebbe sembrare una richiesta di privarsi di ci che gli permetterebbe di difendere la propria sicurezza nazionale, e quindi sarebbe visto come inaccettabile. Un secondo elemento da considerare l'atteggiamento americano. Infatti, l'amministrazione Bush ha seguito una linea 107

dura durante i negoziati, non ha concesso molto in termini di aiuti e garanzie, solo nel 2005 dopo anni di linea dura e di mancati compromessi hanno offerto l'incentivo di provvedere a una centrale elettrica ad uso civile nel caso in cui Pyongyang avesse acconsentito allo smantellamento di tutte le sue attrezzature nucleari (Art e Cronin 2003). Infine, l'amministrazione Bush era interessata non tanto al cambiamento di regime quanto a mantenere il regime presente ma cambiare le politiche adottate, ci per comportava un aumento dell'insicurezza in entrambi gli attori. Risulta cos difficile ottenere dei buoni risultati quando nulla viene concesso in cambio di una modificazione della propria politica, in particolare quando questa viene considerata vitale per la sicurezza dello stato (Art 2009). Inoltre per valutare la strategia di Bush importante guardare ai cambiamenti che stavano accadendo in Corea del Sud. Infatti, nel 2008 con la salita al potere del rappresentate del partito dei conservatori Lee Muyng bak anche Seoul inizi ad adottare misure restrittive nei confronti di Pyongyang. Questo atteggiamento unito alle posizioni altalenati di Washington non fece altro che aumentare la tensione in Corea del Nord.

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- CONCLUSIONI Il 2008 segna la vittoria alle elezioni presidenziali americane del democratico Barack Obama. Le aspettative in merito alla sua politica estera verso la Corea del Nord, spesso caratterizzata da ambiguit e incoerenza durante le amministrazioni precedenti, furono fin dall'inizio molto alte. A questo riguardo, durante un discorso tenuto alla New York's Asia Society, il Segretario di Stato Hilary Clinton deline le linee guida che il governo avrebbe seguito nei confronti della Corea del Nord. Innanzitutto, Washington avrebbe dovuto dialogare con Pyongyang sulla questione nucleare avvalendosi del canale dei Six Party Talks, forum che era stato istituito gi nei primi anni dellamministrazione Bush; in secondo luogo, la Corea del Nord non doveva essere ingaggiata in atti provocatori, poich il rischio di escalation militare rimaneva sempre sullo sfondo; quindi, Pyongyang doveva eliminare tutte le armi nucleari in suo possesso e ritornare nel Trattato di Non Proliferazione Nucleare; infine, gli Stati Uniti avrebbero dovuto ricercare in parallelo sia la denuclearizzazione della penisola sia la normalizzazione dei rapporti con il paese. Anche il responsabile per gli affari dell'Asia pacifica ed orientale Kurt Campbell, nel discorso tenuto al Senato nel 2010, espresse l'importanza per gli Stati Uniti di adottare una politica di engagement e di concentrarsi con maggior vigore sugli incontri tra i rappresentanti dei Six Party Talks. Sottoline inoltre la grande importanza che la regione asiatica aveva per gli Stati Uniti e quindi la necessit che il paese assumesse un ruolo di guida, rafforzando anche le relazioni e le alleanze con gli altri attori della regione (Campbell 2010). In un primo momento, dunque, l'amministrazione Obama propose alla Corea del Nord un set di incentivi, basati su aiuti di tipo tecnologico ed economico (simili a quelli offerti dall'amministrazione Clinton) al fine di arrivare alla normalizzazione dei rapporti e alla soluzione della questione nucleare (Renshon 2010). A questo riguardo, loperato delle amministrazioni precedenti di Clinton e Bush avrebbe dovuto essere di esempio per delineare l'atteggiamento che

l'amministrazione Obama avrebbe dovuto tenere. Dopo la sua elezione, tuttavia, anche il nuovo presidente non riusc a costruire quella politica estera segnata dalla 109

continuit e dal dialogo, che tanto parevano servire per migliorare i rapporti con Pyongyang. Come le presidenze amministrazioni precedenti, dunque, anche quella di Obama ebbe una politica altalenante nei confronti del piccolo paese coreano, un atteggiamento che non riusc a imprimere una svolta significativa nella situazione della penisola coreana. In seguito ai primi atti provocatori del 2009 da parte del regime di Pyongyang, inoltre, nacquero nella nuova amministrazione alcuni dubbi in merito alla reale possibilit degli Stati Uniti e dei Six Party Talks di riuscire ad ottenere dei negoziati che potessero portare ad un dialogo costruttivo sulla questione nucleare (Niksch 2011). Inoltre, la politica di chiusura adottata dal presidente conservatore Lee in Corea del Sud non aiut la nuova amministrazione a sviluppare la strategia necessaria per dialogare con il nord. Infatti, l'affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan e il bombardamento dell'isola di Yeonpyeong sono stati una chiara conseguenza della politica di chiusura e di rigidit della Corea del Sud e degli Stati Uniti. A differenza delle amministrazioni precedenti Obama ha dunque lasciato in disparte il problema nordcoreano, concentrandosi su altri scenari internazionali e considerando pi importante saldare il legame con la Corea del Sud piuttosto che incentrare gli sforzi su un dialogo con il nord.

Analizzando le dinamiche che si sono susseguite nelle relazioni tra Pyongyang e Washington si pu notare come il caso della Corea del Nord mostri l'ottimo funzionamento della deterrenza nella penisola. Bench la tensione nella penisola sia rimasta alta, la capacit militare nordcoreana ha la principale funzione di proteggere il paese dalla Corea del Sud e dagli Stato Uniti, e di fare in modo che questi paesi non accrescano troppo la loro presenza nella regione, minacciando cos la sicurezza del Nord. Le scelte di politica estera americane rivolte alla penisola sono state il pi delle volte indirizzate dall'aspettativa di ingaggiare il Nord in un operazione di smantellamento della propria forza militare: la prima condizione da sempre posta a Pyongyang era quella di abbandonare unilateralmente il proprio programma militare. Questa richiesta appariva per difficile da soddisfare, in quanto il progetto di difesa era parte della strategia di 110

deterrenza, era cio la fonte primaria per attuare una politica di opposizione verso la Corea del Sud e la sua artiglieria posta sul confine. Sebbene la Corea del Nord voglia far parte della comunit internazionale non intende rinunciare alla propria sovranit e alla propria self-determination. Appare quindi difficile per gli Stati Uniti e la Corea del Sud riuscire ad ingaggiare Pyongyang in materie che per la Corea del Nord sono considerate di sopravvivenza nazionale. Questa importanza primaria che viene attribuita alla sopravvivenza si vede molto bene se si va ad analizzare il tipo di attacchi sferrato dalla Corea del Nord. Infatti, non si sono mai verificati grossi attacchi terroristici verso il Sud e verso il Giappone tali da condurre gli stati della regione all'inevitabile decisione di sferrare un attacco di risposta. Dato che il suo obiettivo resta la sopravvivenza (e non il suicidio o laggressione), Pyongyang faceva in modo che tutti gli atti aggressivi nordcoreani fossero di entit limitata. Non quindi corretto pensare, come molti analisti fanno, che la Corea del Nord sia uno stato irrazionale o un madman state in quanto la sua politica non condotta attraverso scelte irrazionali e casuali ma il risultato di analisi della politica che la circonda (Kang 2003).

Analizzando le strategie considerate in questo elaborato l'engagement risulta sicuramente uno tra gli approcci pi accreditati per relazionarsi con la Corea del Nord, anche se mette ancora in luce, negli esempi considerati, diverse debolezze. Si pu notare molto bene come la strategia di engagement sia considerata la strategia di default che gli Stati Uniti adottano con la Corea del Nord, ma il grande ottimismo che porta con s tale approccio non direttamente collegabile a un sicuro successo. Il buon risultato dell'engagement dipeso sicuramente anche dalla

predisposizione nordcoreana verso il dialogo. A fronte di una mancata cooperazione di Pyongyang, l'unica arma nelle mani degli Stati Uniti e dei loro alleati la revisione della strategia e il cambiamento di incentivi messi a sul tavolo. L'engagement rappresenta quindi una strategia estremamente difficile ed 111

impegnativa. Come si potuto vedere nei casi analizzati, risulta difficile per gli Stati Uniti mantenere questa posizione, e il pi delle volte appare pi semplice cambiare politica e rivolgersi a mezzi pi coercitivi. Infatti, oltre ai problemi legati alla volatilit di atteggiamento nordcoreano, anche fattori interni, come la frequente opposizione dell'audience domestica, influiscono sul successo di tale approccio. Inoltre, la strategie dell'engagement una strategia di lungo periodo e non deve quindi essere abbandonata se nel breve periodo non riesce a garantire i risultati sperati: basti pensare agli ottimi obiettivi raggiunti dal governo di Kim Dae Jung, che decise di continuare con la linea politica scelta anche a fronte di fallimenti e provocazioni nordcoreane. Lo stesso cerc di fare l'amministrazione Clinton decidendo di seguire l'analisi di Perry e dunque rimanendo legata all'Agreed Framework. Ma i momenti di chiusura che si verificarono durante la sua amministrazione e in particolare il cambiamento di politica che segu l'elezione di Bush non permisero di consolidare i risultati ottenuti e anzi, portarono a un peggioramento della situazione. Anche l'analisi della Coercive diplomacy ha messo in luce le varie caratteristiche di questa strategia e in particolare la tendenza degli Stati Uniti ad utilizzare questo approccio spinti da una sollecitazione interna, salvo poi essere costretti a rivedere il proprio comportamento non appena la situazione si avvicinava al conflitto. Come si potuto vedere pi volte, l'utilizzo della coercizione e delle sanzioni ha portato la Corea del Nord ha sentirsi minacciata e come risposta questa ha alzato il livello difensivo facendo scattare il dilemma della sicurezza. Quindi la coercizione non appare la scelta migliore che uno stato possa fare per relazionarsi con il nord. Come si visto in precedenza, la questione centrale rimane la sicurezza e con un approccio aggressivo la sicurezza non pu che essere messa in pericolo. Diventa quindi impossibile portare la Corea del Nord a fare delle concessioni, soprattutto se si parla di questioni militari e nucleari. Analizzando le scelte delle presidenze di Clinton e Bush si pu inoltre notare la forte attenzione data alla questione nucleare unita alla tendenza a ignorare gli interessi nordcoreani. Questi due elementi hanno contribuito in modo significativo allincoerenza delle loro posizioni e al fallimento delle strategie adottate. La 112

mancanza di una strategia coordinata con gli altri attori della regione che portasse a una visione unitaria della via da seguire nei confronti di Pyongyang stato un altro fattore importante che ha influito negativamente sulloperato delle due amministrazione (Odgen e Anderson 2008). Risulta chiaro come questi fattori abbiano portato due approcci sicuramente differenti ad ottenere gli stessi risultati. Appare quindi evidente la necessit di sviluppare una nuova politica che cerchi di limitare gli errori del passato e che si concentri maggiormente su un dialogo con gli attori asiatici e sulle necessit nordcoreane. Si vede inoltre come, dalle amministrazioni statunitense, sia sempre stato preferito inizialmente farsi carico di una strategia di coercizione piuttosto che utilizzare degli incentivi positivi. Questo pu essere ricollegato alla preoccupazione che spesso segue l'utilizzo di questi strumenti, la preoccupazione che ricollega una politica di incentivi alla politica di appeasement. Spesso Washington, invece si ingaggiare la Corea del Nord in una diplomazia del give and take, rimane ferma sulla precondizione che, prima di avviare qualsiasi tipo di trattativa, Pyongyang si conformi con il Trattato di Non Proliferazione, e per spingere il regime a compiere questo passo vengono utilizzati minacce come sanzioni economiche e interventi militari.

Si pu inoltre notare dai comportamenti di Pyongyang e Washington tenuti duranti gli anni presi in esame, che la Corea del Nord si mosse sempre con grande coerenza interna rispetto a quanto fatto dagli Stati Uniti. Questi ultimi, infatti, poich spinti dalle forti pressioni politiche interne, non sempre scelsero la strategia in linea con le dichiarazioni fatte o con gli obbiettivi da perseguire. Il pi delle volte l'audience domestica risultava maggiormente affascinata da una strategia di coercizione, e quindi veniva accordata prefenza alla minaccia invece che cercare una cooperazione con la Corea del Nord. Le pressioni per seguire questa via vennero il pi delle volte da quei membri del Congresso, che erano sostenitori della linea dura in politica estera. Costoro credono che l'unico modo per assicurarsi una Corea del Nord libera dal nucleare sia far crollare il regime comunista presente, anche a costo di una guerra. Molto spesso per questo atteggiamento porta a una situazione di deadlock e ad 113

un crescente pericolo che il confronto possa andare fuori controllo (Sigal 1998). Russia, Cina, Corea del Sud e Stati Uniti hanno sottoscritto il Joint Statement del settembre del 2005 con il quale si impegnavano a lavorare per la denuclearizzazione della penisola coreana, a promuovere la cooperazione economica con Pyongyang, a mantenere la stabilit della penisola coreana. Tuttavia, per il diverso retaggio storico e per la diversit degli interessi nazionali ciascuno degli attori ha un suo diverso modo di declinare i propri impegni. In altre parole ciascun paese ha un proprio ordine di priorit riguardo agli obiettivi dichiarati nel Joint Statement. E' per questo che la questione nordcoreana, come hanno scritto Cha e Kang has emerged in the past decade as one of the most divisive foreign policy issues for the United States and its allies in Asia8 La scelta della via nucleare di Pyongyang, come si visto, dovuta alla vitale necessit del regime nordcoreano di sopravvivere e resistere, non solo alla caduta del blocco sovietico, ma anche all'assedio costante che la societ aperta occidentale ha posto alle societ chiuse. L'atomica coreana ha dunque natura difensiva, secondo il principio della deterrenza. Eppure, nel caso in cui la minaccia nucleare di Pyongyang diventasse reale, quel momento segnerebbe probabilmente la fine del regime. Allo stesso modo, il vitale sostegno garantito da Pechino alla Corea del Nord si basa su un profondo senso di insicurezza a livello regionale: Pyongyang , infatti, per la Cina la chiave per plasmare un ordine regionale a prevalenza cinese e, nel contempo, una assicurazione sulla propria integrit territoriale (Taiwan). Il fatto che il regime di Kim sia riuscito a raggiungere l'obiettivo di dotarsi dell'atomica ha, di fatto, ulteriormente indebolito il regime internazionale di non proliferazione. Tuttavia, stretta nella morsa delle sanzioni economiche, la Corea del Nord, per poter incassare valuta estera con cui pagare le proprie importazioni, ha dovuto incrementare le esportazioni di tecnologia missilistica e nucleare, peggiorando cos ulteriormente la situazione sul fronte della non proliferazione. Nel frattempo 23 milioni di cittadini nel Nord della penisola sono in balia della fame e delle frequenti carestie.
8- V. D. Cha, D. Chan-oong Kang, Nuclear North Korea, Columbia University Press, 2005, pag. 1

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La minaccia posta nei confronti della Corea del Sud reale e costante, come dimostrano gli incidenti degli ultimi anni: Eppure ancora pi preoccupante sarebbero le conseguenze di un collasso del Nord e di una lunga e costosa ricostruzione da condursi nel bel mezzo della tempesta scaturita dalla crisi economica internazionale. Come uscirne, dunque? Pechino e Pyongyang hanno bisogno di essere rassicurate, la prima sulla continuazione di un ordine regionale nel quale possa mantenere ed accrescere un ruolo di primacy, la seconda sulla sopravvivenza della dinastia Kim. I cittadini nordcoreani hanno bisogno di sviluppo economico e sociale e, in seguito, di diritti e di libert. Cio che serve dunque il ritorno della sunshine policy, della mano tesa verso la Corea del Nord, cosa che garantirebbe, nel breve periodo, la sopravvivenza del regime e nel lungo la prosperit economica del paese. Appare quindi fondamentale che le decisioni che gli Stati Uniti dovranno prendere in merito alla Corea del Nord siano sempre pi legate alla presenza di quattro grandi potenze Cina, Russia, Giappone e Corea del Sud con le quali necessario confrontarsi e dialogare. Infatti i loro interessi nella regione rendono le scelte di politica estera americana legate ai loro interessi e alla loro presenza. Gli Stati Uniti difficilmente potranno delineare una strategia senza tenere in considerazione le loro posizioni. La presenza da oltre 50 anni di truppe americane sul suolo sudcoreano ha iniziato a far emergere tra la popolazione posizioni anti-americaniste che vorrebbero limitare la presenza statunitense nelle decisioni di politica estera rivolte alla Corea del Nord. In particolare in aumento la preoccupazione legata alle decisioni degli Stati Uniti, in quanto le reazioni nordcoreane il pi delle volte sono state la risposta dell'atteggiamento americano. Rinsaldare il legame con la Corea del Sud, con il fine di creare una politica comune rivolta al nord, sembra quindi un altro passo fondamentale che le amministrazioni americane dovranno affrontate. Riuscire a delineare una politica comune sempre stato un grosso problema perch non si mai riusciti a raggiungere una sincronia di posizioni tra le presidenze sudcoreane e quelle americane. Infatti quando Kim Young-sam, dopo 115

la prima crisi nucleare, decise di orientarsi verso una posizione di chiusura, Clinton, invece, si spost verso un atteggiamento di maggiore apertura. Ugualmente accadde con le amministrazioni successive: Kim Dae-jung con la sua sunshine policy avvi una stagione di apertura e dialogo, mentre Bush dopo l'attentato del'11 settembre e la delineazione della sua dottrina di politica estera si orient verso una posizione di chiusura. Sembra inoltre importante per gli stati Uniti creare un dialogo con la Cina, unintesa che, tuttavia, appare ancora difficile da sviluppare. Le relazioni si stanno trasformando, e in particolare Pechino si sta trasformando da competitor strategico a partner strategico, ma la strada sembra ancora lunga se si guardano le aree di forte disaccordo tra i due paesi. Appare quindi rilevante avere un dialogo comune con la Cina in quanto rappresenta il primo alleato asiatico della Corea del Nord. Quindi una strategia comune che coinvolga anche il paese del sol levante risulta basilare per portare avanti una comunanza di intenti, o quanto meno di posizioni.

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