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PAOLO

DI

TARSO

Giancarlo Biguzzi

Paolo missionario
Da Oriente a Occidente

Prima edizione, 1999 Titolo dellopera: Paolo comunicatore. Tra interculturalit e globalizzazione (Fede e comunicazione 5) Nuova edizione, edizione, rielaborata e ampliata, 2009

Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufciale a cura della Conferenza Episcopale Italiana 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco dAssisi e Caterina da Siena

PAOLINE Editoriale Libri FIGLIE DI SAN PAOLO, 2008 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino

Introduzione Paolo, di Tarso in Cilicia

Nacque venti secoli fa a Tarso, ma furono altre metropoli a segnare pi profondamente la sua vita. Ad esempio, Gerusalemme, Antiochia di Siria, Corinto, Efeso, Roma e, pi di tutte, Damasco. Pur essendo glio di molte citt, dunque a motivo della sua anagrafe che lo si chiama Paolo di Tarso . La storia poi si incaricata di dare la qualica di tarsense anche ad altri personaggi o eventi antichi, e il confronto con le altre celebrit di Tarso aiuta a capire lui, Paolo. Fu a Tarso che nel 41 a.C. avvenne lincontro fatale tra il triumviro romano Pompeo e Cleopatra. La regina risal splendida e voluttuosa il ume Cidno sotto un baldacchino trapunto doro, su un battello dalla poppa anchessa doro, e con le vele di porpora dispiegate al vento. Attorno alla regina, fanciulli e fanciulle lanciavano a piene palme petali di rose, bruciavano aromi, e canterellavano al suono di auti, zampogne e liuti, mentre i rematori vogavano con remi dargento1. la Tarso della grande politica e della galanteria.
1 Mestrio Plutarco, Le vite parallele 5, Antonio 26 (Mestrio Plutarco di Cheronea, circa 50-127 d.C.).

Tre secoli addietro, poco prima della battaglia di Isso (333 a.C.), nelle fredde acque del Cidno, fredde perch provengono dalla vicina e nevosa catena del Tauro, aveva voluto prendere un bagno Alessandro il Grande, oppresso dallafa e coperto di polvere e di sudore 2. Ma fu necessario trarlo in salvo dal malore che lo colp, e quella imprudenza lo tenne poi lontano dai campi di battaglia per qualche mese, dando respiro al nemico. la Tarso della guerra e dello scontro fra civilt. A Tarso fu proconsole della Cilicia, dallestate del 51 allestate del 50 a.C., Marco Tullio Cicerone, il quale vi govern giustamente, ma non con molto polso. E neanche con molto entusiasmo: mandato in Cilicia, infatti, Cicerone si sent come mandato in esilio, perch Roma era Roma e la Cilicia era soltanto terra di provincia. Questa la Tarso degli intrighi e delle vendette politiche. Era di Tarso anche il losofo stoico Atenodoro, che fu precettore di Ottaviano e che, si dice, gli insegn a contare no a ventiquattro (il numero delle lettere dellalfabeto greco) prima di dare sfogo agli impeti dellira. Con qualche esagerazione, il geografo Strabone di Amaseia mette le scuole losoche di Tarso subito dopo quelle di Atene e di Alessandria dEgitto per importanza3. E, addirittura, c chi oggi arriva a denire Tarso un centro culturale superiore ad Atene e ad Alessandria 4. la Tarso della losoa e della cultura.

2 Quinto Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno 3,5 (Quinto Curzio Rufo, retore e storico attivo al tempo dellimperatore Claudio). 3 Strabone, Geografia 14,5,13. Lapprezzamento di Strabone (Amaseia Pontica, 64 a.C. - 21 d.C.) su Tarso forse dettato dalla sua amicizia con il filosofo tarsense Atenodoro, il maestro di Augusto. 4 M. Adinolfi, La Turchia greco-islamica di Paolo e di Giovanni (Studi biblici 13), Paideia, Brescia 1971, p. 77.

Ma pi che le seduzioni di Cleopatra, pi che la saggezza del contare no a ventiquattro, pi che la banale polmonite presa da un condottiero in campagna militare, Paolo a essere il vanto di Tarso . Nelle sue lettere Paolo fa sporadici accenni alla propria famiglia, dicendo di essa che apparteneva alla trib di Beniamino (Fil 3,5; Rm 11,1) e che lo circoncise a otto giorni dalla nascita (Fil 3,5), ma il nome della sua citt natale ci stato trasmesso soltanto dagli Atti degli apostoli, in cui a Paolo si fa dire: Io sono un giudeo, nato a Tarso in Cilicia (At 22,3), e Io sono un giudeo di Tarso in Cilicia, cittadino di una citt non senza importanza (At 21,39)5. Oramai per sempre, Tarso rester nella storia universale delle religioni perch la Tarso delle origini cristiane. Con i suoi 160.000 abitanti, oggi Tarso una citt di media grandezza: del tempo di Paolo mostra ai turisti e ai pellegrini soltanto un pozzo, una porta cittadina e una strada colonnata, venuta alla luce occasionalmente qualche anno fa. Il trittico sembra casuale e fortuito, ma per noi potrebbe sintetizzare tutta la carriera apostolica di Paolo: il pozzo simbolo della vita di famiglia; la porta e la strada sono invece simbolo di partenza e di cammino. Il lungo viaggio di Paolo ha preso il via da Tarso e non si mai arrestato, neanche a Roma, dove egli fu messo a morte dal tribunale imperiale cui si era appellato. Il suo, infatti, fu soprattutto un viaggio dello spirito, nel quale ha coinvolto sia i contemporanei sia i posteri.
5 Nel Nuovo Testamento il nome della citt, Tarsos, e laggettivo, tarseus (tarsense), ricorrono solo negli Atti degli apostoli, 3 volte il primo (At 9,30; 11,25; 22,3) e 2 volte il secondo (At 9,11; 21,39), sempre in relazione a Paolo.

Creativo, dialogico, dialettico, aderente alle situazioni, ma capace di integrare la parte nel tutto e la tessera nel mosaico. Ben radicato nella concretezza della vita, ma anche libero dal contingente e capace sempre di elevarsi a ci che universale e perenne. Artigiano che lavorava il cuoio, ma anche pensatore dalle grandi vedute e dalle intuizioni che lasciano il segno. Uomo di penna e calamaio e uomo dazione. Discreto conoscitore del mondo dello sport, del commercio, della guerra..., ma esperto soprattutto delle strade a lungo percorso, dei pi grandi porti egei e mediterranei e delle rotte marine. Uomo della fede e del vangelo, della vita apostolica e della missione. Poliedrico, vicino e irraggiungibile. Un uomo che ogni cristiano dovrebbe conoscere.

Non un uomo che cerca ma un uomo che cercato

1. Un uomo che cercato

Gi pi che settantenne, Michelangelo Buonarroti ricevette da Paolo III la commissione di due grandi affreschi nei quali il papa Farnese voleva fossero onorati il proprio nome di pontece (Paolo) e il proprio ruolo ecclesiale (Pietro). Allo scopo, mise a disposizione del vecchio Buonarroti le due ampie pareti laterali della cappella che fu poi chiamata Cappella Paolina e che a pochi metri dalla ben pi famosa Cappella Sistina. Fu cos che Michelangelo, tra il 1542 e il 1550, nella parete di sinistra rappresent la grazia divina che folgora Paolo sulla strada di Damasco, mentre nella parete di destra rappresent il protagonismo umano nel gigantesco san Pietro che, crocisso allingi, indomito si contorce verso lalto. Poi il pennello di Michelangelo si ferm per sempre, e continu a lavorare soltanto il suo scalpello in un estremo, appassionato dialogo con il Cristo delle tormentate Piet rimaste poi incompiute1.
1 Si tratta della Piet di Santa Maria del Fiore in Firenze, e della cosiddetta Piet Rondanini in Milano.

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Nellaffresco della Cappella Paolina, la conversione di Paolo nasce dallalto: pi precisamente, dal braccio del Cristo che dal mondo superiore irradia una folgore luminosa, una ammata di grazia, verso il basso, accecando e insieme illuminando Saulo che, signicativamente, ha i tratti di Michelangelo stesso. Caduto a terra, il persecutore poggia la destra al suolo, mentre con la sinistra si fa tardivamente scudo agli occhi contro la luce del Cristo. Saulo immobilizzato, prigioniero della grazia. La sua comitiva no, e soprattutto non il cavallo da cui stato disarcionato. Il cavallo, un vigoroso cavallo bigio, salta imbizzarrito verso il fondo, quasi galoppando verso quel cielo che Michelangelo ha dipinto di un bellazzurro oltramarino. Anche laltro sommo Michelangelo Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio ha messo grande enfasi sul cavallo nella conversione che, cinquantanni pi tardi (1600-1601), dipinse per la Cappella Cerasi di S. Maria del popolo a Roma. Ma il cavallo, su cui insistono tutti i pittori della conversione di Paolo, non c in alcuno dei tre racconti degli Atti degli apostoli a cui si ispirano. Nei detti racconti, infatti, Paolo cade bens a terra, ma non mai detto che cade da cavallo: Mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, allimprovviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, ud una voce che gli diceva... (At 9,4; cfr. anche 22,7 e 26,14). Qualcosa che ha a che fare con i cavalli per c. Lo si trova nelle parole del Cristo nel terzo racconto: Mentre stavo andando a Damasco (...), verso mezzogiorno vidi sulla strada una luce dal cielo, pi splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: Saulo,
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Saulo, perch mi perseguiti? duro per te rivoltarti contro il pungolo (At 26,14). Il cavallo sulla strada di Damasco ci sar pure stato, e gli artisti fanno bene a rappresentarlo imbizzarrito e a sella scossa. La fedelt al racconto di Luca vorrebbe per che il destriero esprimesse simbolicamente il dramma interiore di Paolo, pi che un dettaglio di cronaca. Il persecutore che dava la caccia ai cristiani da Gerusalemme a Damasco... era lui il cavallo selvaggio che scalpitava perch non voleva farsi imbrigliare e pungolare! Ma la grazia di Dio lo conquist, lo dom, lo illumin. C di pi. Nei tre racconti, in cui sorprendentemente manca il cavallo, ancora pi sorprendentemente manca la conversione . Il termine conversione non ricorre mai, nemmeno nei discreti accenni che Paolo fa allevento di Damasco nelle sue lettere, e dunque nella testimonianza diretta, e per noi preziosissima, dellinteressato. Paolo, ad esempio, chiede ai corinzi, con interrogativi chiaramente retorici: Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Ges, Signore nostro? (1Cor 9,1). Poco pi oltre dice: Ultimo fra tutti [il Cristo] apparve anche a me, come a un aborto (1Cor 15,8). Tutte e due le volte Paolo parla di manifestazione, non di conversione: una volta, esprimendosi dal punto di vista del Cristo ( Apparve anche a me ), e laltra, dal suo proprio punto di vista ( Ho veduto il Cristo ). E tutte e due le volte concludendone che quella cristofania ha fatto di lui un testimone della risurrezione e un apostolo. Nella Lettera ai Galati Paolo dice poi che a Damasco Dio gli rivel il suo Figlio perch lo annunziasse ai pagani, e che per quella missione egli era stato scelto e chiamato n dal seno materno (Gal 1,15). Anche qui levento di Dama13

sco non una conversione, ma la chiamata che costituisce Paolo nel ruolo di apostolo . Lespressione n dal seno di mia madre rimanda alla vocazione di Geremia e, ancora pi, a quella del Servo di Adonay: Prima di formarti nel grembo materno ti ho conosciuto (...). Ti ho stabilito profeta delle nazioni (Ger 1,5); Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, n dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome (...). Io ti render luce delle nazioni perch porti la mia salvezza no allestremit della terra (Is 49,1.6). Nella Lettera ai Filippesi, inne, Paolo dice di essere stato afferrato e ghermito dal Cristo di Damasco, cos da sentirsi, ora, in corsa per afferrarlo a sua volta, come latleta che nello stadio corre per conquistare il premio (Fil 3,1214). Nello stesso contesto, poi, il Cristo per Paolo una scoperta e una illuminazione che hanno capovolto in lui la scala dei valori: Quelle cose che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimit della conoscenza di Cristo Ges, mio Signore [che a Damasco ho imparato a conoscere]. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare il Cristo ed essere trovato in lui (Fil 3,7-9). Quantunque neanche qui ricorra il termine, questo il testo in cui, pi che in altri, levento di Damasco in qualche misura interpretato da Paolo come conversione2: ogni convertito, infatti, da una parte, prende le distanze da quello che prima amava e faceva e, dallaltra, si consacra anima e corpo a ci che prima aveva combattuto.
2 Cfr. soprattutto 1Tm 1,12-16, dove il Paolo delle lettere pastorali di s dice: Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma mi stata usata misericordia, perch agivo per ignoranza, lontano dalla fede .

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I commentatori si sono chiesti se prima di Damasco ci sia stata in Paolo una qualche preparazione per quel rivolgimento interiore cos radicale: ad esempio, una preparazione negativa, come linsoddisfazione nel praticare la legge mosaica; oppure una preparazione positiva, come il fascino esercitato su Paolo dai cristiani che perseguitava o dallannunzio cristiano della risurrezione. Lipotesi di un travaglio sia intellettuale sia morale di Saulo si pu anche fare, ma non a partire dalle lettere paoline e, in ogni caso, una spiegazione psicologica di ci che avvenne a Damasco insufciente. Come non ha crisi spirituali da attribuirsi per lepoca antecedente, Paolo non ha dubbi a indicare nel Cristo lassoluto centro e lassoluto protagonista del grande giorno di Damasco. Ha fatto bene dunque Michelangelo a far partire dal cielo, dal mondo di Dio, dal braccio vigoroso e potente del Cristo, quella folgore di luce che irresistibile si abbatte su Paolo. Ha fatto bene a rappresentare non un uomo che cerca, ma un uomo che cercato. E ha fatto bene a riservare il tema del protagonismo umano al Pietro della parete di fronte, il quale non si piega ai suoi crocissori, e il cui spirito non pu essere vinto da chi pu soltanto uccidere il corpo (Mt 10,28).

2. Non conversione dal giudaismo ma maturazione del giudaismo Essendo unesperienza essenzialmente mistica e soprannaturale, levento di Damasco non narrabile, n esprimibile. In 2Cor 12,2-4 lo stesso Paolo riconosce di
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non avere parole per raccontare una esperienza analoga, quella del suo rapimento no al terzo cielo , in paradiso . Per potere parlare comunque e in qualche modo dellindicibile evento di Damasco, lautore degli Atti degli apostoli e lo stesso Paolo hanno fatto ricorso soprattutto al linguaggio biblico, con il vantaggio ulteriore di potere cos collocare quellevento nel quadro della storia della salvezza. Di fatto, Paolo non fa la cronaca della sua esperienza damascena in alcuno dei testi in cui a essa allude. I suoi fuggevoli accenni, a volte di sole due o tre parole, non ci aiutano a rispondere ad alcuna delle molte domande sulle circostanze. Dove? A quale ora? In compagnia di chi? E dopo? Nei suoi testi non c alcun nome: il nome della citt di Damasco lo si pu ricavare, ma solo se si sottilizza, da Gal 1,17, in cui Paolo dice: Senza andare a Gerusalemme (...), mi recai in Arabia, e poi ritornai a Damasco . Eppure, dellaccaduto si era fatto un gran parlare: Le Chiese della Giudea avevano sentito dire: Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunziando la fede (Gal 1,22b-23a); E tutti (...) si meravigliavano e dicevano: Non lui che a Gerusalemme ineriva contro quelli che invocavano questo nome? (At 9,21a-b). Di volta in volta, dunque, lApostolo utilizza il linguaggio della vocazione profetica, delle teofanie, della rivelazione escatologica, della conquista militare, della vittoria sportiva o del sovvertimento nella scala dei valori. Ancor pi che nelle tre narrazioni degli Atti degli apostoli, nei testi paolini la conversione invece fuori campo, e lenfasi tradizionale sul persecutore convertito comprensibile sul piano apologetico ed edicante, ma
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riduttiva. Di fatto, a ben pensarci, Paolo a Damasco non un peccatore che ritrova i sentieri del bene. Di se stesso lui diceva infatti: Quanto alla giustizia che deriva dallosservanza della legge, [sono stato sempre] irreprensibile! (Fil 3,6). Quella di Paolo non neanche una conversione da una religione a unaltra: egli non considerava il cristianesimo come una religione nuova, distinta dal giudaismo. Anche dopo Damasco, Paolo resta ebreo di razza e di religione. Egli, piuttosto, considera Damasco come il momento in cui la sua fede giunge a maturazione e pienezza e, se i giudei non accetteranno di passare attraverso la stessa maturazione messianica, saranno essi che rinnegheranno di fatto la loro religione: Saranno essi a convertirsi o, meglio, a pervertirsi 3. Pi che un convertito, Paolo fu, dunque, un chiamato. E in ogni caso, pi che al cristianesimo, Paolo si convert al Cristo 4.

L. Cerfaux, La vocation de saint Paul, in Euntes docete 14 (1961) 4. H.G. Wood, The Conversion of Paul: Its Nature, Antecedents and Consequences, in New Testament Studies 1 (1954-1955) 279. Cfr. anche G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Cittadella, Assisi 1985, p. 81 ( Paolo non era un peccatore penitente che ha ritrovato i sentieri del bene, dopo aver percorso quelli de male. Tanto meno era un agnostico giunto ad accettare Dio e una visione religiosa della realt. La sua, se proprio di conversione si vuol parlare, stata conversione a Cristo, scoperto con gli occhi della fede come chiave di volta del destino umano ). Non mancano, comunque, studiosi che parlano di conversione di Paolo: per tutti, cfr. J.M. Everts, Conversione e chiamata di Paolo, in G.F. Hawthorne e altri (edd.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999 (or. ingl., Downers Grove [IL] 1993), che a p. 294 scrive: Si tratta sia di una conversione che di una chiamata. Perci, quando ci domandiamo se quellesperienza fosse una chiamata o una conversione, non solo ci chiediamo quale termine la descriva meglio, ma ci chiediamo anche se un singolo termine possa esprimere tutta la portata di quellevento .
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3. Paolo prima di Damasco Fino allevento di Damasco, Paolo vedeva in Ges il nemico per eccellenza di quella fede che egli aveva appresa e amata n dallinfanzia. I genitori, infatti, avevano scrupolosamente circonciso il piccolo Saulo (Shaul) allottavo giorno dalla nascita (Fil 3,5), e lo avevano poi predestinato a diventarne maestro mandandolo a una scuola rabbinica superiore a Gerusalemme, a quella guidata dal grande Gamaliele, illustre maestro nella Gerusalemme degli anni 25-50 d.C.5. A Gerusalemme Paolo si era legato alla vita delle sinagoghe in cui si parlava greco, ed in quellambiente che egli matur la sua forte avversione nei confronti del movimento cristiano, cos che nel suo zelo contro i discepoli di Ges egli sorpassava la maggior parte dei coetanei (Gal 1,14). Gli Atti degli apostoli ci dicono che in questo clima spirituale egli partecip, almeno come comparsa, al linciaggio popolare che port alla morte di Stefano (At 7,58). Poi deve essersi deciso a un impegno pi diretto contro i cristiani, contro quella scheggia impazzita di origine giudaica che minacciava i beni supremi dellebraismo: la legge, il tempio, la circoncisione, il sabato, le tradizioni dei padri. Bisognava stornare lira di Dio che questi rinnegati stavano

5 B.D. Chilton - J. Neusner (Paul and Gamaliel, in Bulletin of Biblical Research 14 [2004] 1-43) elencano gli elementi che Paolo potrebbe avere mutuato da Gamaliele, cos come egli a noi conosciuto da Mishna, Tosefta e Talmud. Gamaliele I, o Gamaliele il Vecchio, menzionato anche in At 5,34-39, da distinguere da Gamaliele II, o Gamaliele il Giovane, suo nipote, che avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel giudaismo tra l80 e il 117 d.C.

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certamente attirando su Israele, sulla citt santa di Gerusalemme e sul santo luogo, il tempio6. Lazione di Paolo e del suo gruppo fu efcace. Quando Paolo si fece inviare da Gerusalemme a Damasco (At 9,1-2), a Gerusalemme probabilmente non restavano pi apostati da combattere, e si doveva rincorrerli e perseguirli l dove erano fuggiti7.

4. La rivelazione Ma a Damasco i programmi di Paolo si dissolsero come il vapore del mattino al sorgere del sole. Nel Cristo che egli perseguitava (At 9,4), Dio gli rivel il suo Figlio (Gal 1,16). Ges crocisso non era maledizione (Gal 3,13), peccato (2Cor 5,21), scandalo e follia (1Cor 1,23). Tutte queste denizioni di Ges, che echeggiano ancora qua e l nelle lettere di Paolo, sono probabilmente frammenti autobiograci e lasciano intravedere con quanta furia e con quanta visceralit il Paolo precristiano si batteva contro colui che a Damasco gli fu rivelato. Rivelazione (in greco, apokalypsis, apocalisse) dunque la denizione pi comprensiva che lo stesso Paolo ha dato dellevento di Damasco, e che virtualmente contiene tutte le altre: quella di elezione divina, di divina compiacenza, di vocazione profetica n dal seno materno, di apparizione del Cristo, di visione di lui da parte
6 M. Hengel, Il Paolo pre-cristiano, Paideia, Brescia 1992 (or. ted., Tbingen 1991), pp. 165-166. 7 M. Hengel, Il Paolo pre-cristiano, p. 174.

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di Paolo, di rovesciamento dei valori e, inne, di invio di Paolo come apostolo ai pagani. Di questa rivelazione apocalittica bisogna, di conseguenza, dire di pi.

5. La rivelazione a Damasco Per luomo biblico, il tempo non si ripete sempre uguale e costante, ciclicamente, ma come una linea che avanza, anzi come una spirale che ascende verso Dio, e ha tempi e momenti differenziati (1Ts 5,1), cio ha tornanti decisivi. In particolare lapocalittica giudaica, il cui linguaggio si ritrova anche nelle parole di Ges e nelle lettere di Paolo8, era in attesa del mondo escatologico9. Poich questo mondo il mondo penultimo tutto in potere del maligno (1Gv 5,19), allora noi siamo in attesa della beata speranza (Tt 2,13), della terra e del cielo nuovi (2Pt 3,13; Ap 21,1), della rigenerazione universale (Mt 19,28)10. In questo schema di pensiero, la rivelazione avuta da Paolo a Damasco rivelazione del mondo nuovo e ultimo. Il Cristo risorto che gli viene rivelato gi la prima pietra del mondo che sostituir quello attuale. Secondo linno di Col 1,15, il Cristo infatti il primogenito della

Cfr. B. Corsani, LApocalisse e lApocalittica cristiana, EDB, Bologna

1997.
9 In greco, eschatos significa ultimo , finale , e quindi il mondo escatologico il mondo ultimo. 10 La palingenesi di cui parla Matteo quella escatologica, mentre nellunica altra ricorrenza del termine (Tt 3,5) il battesimo a essere chiamato palingenesi, nel senso di rigenerazione .

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nuova creazione, evidentemente per via della sua morte a questo mondo penultimo, per la sua risurrezione e per il suo ingresso nella gloria del mondo escatologico. per questo che Paolo pu dire: Se uno in Cristo, [lui ] una nuova creatura (2Cor 5,17); e ancora: Quello che conta non la circoncisione o la non circoncisione, ma lessere nuova creatura (Gal 6,15).

6. La rivelazione della meta Quello che levento di Damasco fu per Paolo, si pu dire anche con il linguaggio del compimento delle promesse e del raggiungimento della meta. Lattesa delle promesse stata mirabilmente ritratta da Michelangelo ancora lui nelle lunette che circondano le nestre della Cappella Sistina. Gli antenati di Ges sono immersi in unatmosfera di struggente melanconia: uomini, donne e bambini sembra che si siano arrestati per una sosta notturna nel loro cammino verso la patria che, pur reale, non si intravede. Lillustrazione del raggiungimento delle promesse lo ha invece dipinto Raffaello nella Trasgurazione dei Musei Vaticani. Nella parte inferiore della tavola si agitano scompostamente mani, volti e sguardi attorno al ragazzo posseduto dal demonio, mentre nella scena che si svolge sulla piccola montagna Raffaello ha rappresentato il Cristo in dialogo con Mos ed Elia: ha rappresentato cio lincontro della profezia e della legge con Colui che le compie. Ed allora che Raffaello ha dipinto ci che impossibile rappresen21

tare e che occhio umano ora pu contemplare in quel librarsi a mezzaria dei personaggi, nel volto del Cristo illuminato dallestasi, nella luce dorata del tramonto, nel tramonto che non prelude alla notte ma alla beata eternit. C il tempo della promessa e, dopo lattesa che sempre troppo lunga ed estenuante , c il tempo della realizzazione della promessa. A Damasco, Paolo giunto al compimento del giudaismo, alla sua meta, alla sua trasgurazione, al suo punto omega .

7. La rivelazione del Figlio Il punto omega la conoscenza del Cristo. In questa prospettiva va letta laffermazione di Paolo circa la pienezza del tempo , e cio circa il tempo che viene reso pieno e gravido di quanto prima era soltanto promessa e ora possesso e realt: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mand il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge (Gal 4,4). E subito Paolo aggiunge quello che pienezza del tempo signica per noi: nel Figlio siamo stati liberati dalla legge e siamo divenuti gli; ne d prova lo Spirito che in noi grida Abb, Padre (Gal 4,5-6). Ancora la Lettera ai Galati dice poi che la legge stata per noi un pedagogo (Gal 3,24). Ha svolto cio la funzione di quel servo dato di famiglia, spesso anziano, un po bacchettone e quindi un po antipatico, che conduceva il ragazzo di buona famiglia a scuola e lo riconduceva a casa, tallonandolo in ogni spostamento e badando che non
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facesse nulla di sconveniente o di trasgressivo11. Come il ragazzo non vedeva lora di raggiungere la maggiore et e di togliersi quel carabiniere di torno, cos Paolo a Damasco sent di essere passato dal giudaismo non messianico incentrato sulla legge, al giudaismo messianico incentrato nel Figlio. Fu, per Paolo, un divenire maggiorenne, un divenire libero e maturo, un divenire glio nel Figlio. Per questo, la sublimit della conoscenza del Cristo relativizz in lui ogni precedente valore, cos che da Damasco in poi egli consider perdita e spazzatura i privilegi del giudaismo e ogni altra cosa: Ma queste cose [i titoli di gloria del giudeo], che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo del Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimit della conoscenza di Cristo Ges, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo (Fil 3,7-9).

Conclusione. La comunicazione paolina ha la sua sorgente in Dio Vivo pi che mai nella coscienza delle Chiese a tutte le latitudini nonostante siano trascorsi due millenni dalla
11 Cfr. G. Rinaldi, La legge pedagogo (Gal 3,23-26a), in Aa.vv., Chiesa per il mondo. I. Saggi storico-biblici. Miscellanea M. Pellegrino, EDB, Bologna 1974, pp. 157-166; N.H. Young, Paidago gos: The Social Setting of a Pauline Metaphor, in Novum Testamentum 29 (1987) 150-176 (come pedagogo la legge aveva il compito un po antipatico che spontaneamente il ragazzo attribuiva al suo severo tutore); J.C. ONeill, Pedagogues in the Pauline Corpus (1 Corinthians 4,15; Galatians 3,24.25), in Irish Biblical Studies 23 (2001) 50-56 (la legge come pedagogo doveva imprimere nel cuore i comandamenti di Dio); M.J. Smith, The Role of the Pedagogue in Galatians, in Bibliotheca Sacra 163 (2006) 197-214 (la legge come pedagogo doveva salvaguardare Israele dalla contaminazione con le genti).

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sua parabola storica, Paolo va considerato come uno dei grandi comunicatori della storia. Ma quello che ha comunicato da grande protagonista attraverso i tempi e in tutti continenti, lui stesso dice di averlo ricevuto da Dio, dalla compiacenza e dalla rivelazione divina. per questo che egli tornava di continuo allevento di Damasco come allevento che aveva diviso la sua vita in due e, soprattutto, come alla sorgente inesauribile della sua teologia e del suo apostolato. Damasco ha dunque unassoluta centralit nellesistenza e nella teologia di Paolo, oltre che, come si vedr, nella storia delle origini cristiane e delle religioni. In uno scritto brevissimo12, un grande studioso del secolo XX, J. Jeremias, esprime in modo incisivo quella che la convinzione comune, che cio non Tarso, citt dove nato, n Gerusalemme, dove stato educato, n Antiochia di Siria, dove stato coinvolto nel movimento cristiano in modo decisivo, riescono a spiegare Paolo, la sua opera e il suo pensiero. Ma soltanto Damasco. Su tutte le componenti della personalit di Paolo (ellenismo, giudaismo, Chiesa primitiva), domina dunque levento di Damasco.

12 J. Jeremias, Per comprendere la teologia dellapostolo Paolo, Morcelliana, Brescia 1973 (or. ted., Stuttgart 1971).

II

Guai a me, se non annunzio il vangelo

1. A Damasco anche la rivelazione del vangelo

Nella Lettera ai Galati, Paolo dice di avere ricevuto da


Dio non soltanto la rivelazione del Figlio (Gal 1,16), ma anche quella del vangelo1: Il vangelo da me annunziato non segue un modello umano. Infatti, io non lho ricevuto n lho imparato da uomini, ma per rivelazione (Gal 1,11). Vangelo sinonimo di rivelazione (apokalypsis) ma, in pi, il termine dice che la rivelazione ricevuta da annunziare, come lascia chiaramente intendere la seconda componente del termine greco (-anghellein, annunziare). In altro contesto, riprendendo lo stesso vocabolario ma facendo ricorso anche al verbo oltre che al sostantivo, Paolo scrive: Annunziare il vangelo per me (...) una necessit che mi si impone. Guai a me se non annunzio il vangelo (1Cor 9,16), e cio: Guai a me se non annunzio agli altri la rivelazione che a me stata concessa! .
1 Come noto, il termine vangelo deriva dalla composizione di due termini greci: eu- e anghellein, che significano bene e annunziare .

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Quel Guai! che Paolo sente pendere sulla propria testa esprime bene il fondamento della sua missione e di ogni missione. Oggi, il concetto di missione in difcolt, perch ogni religione ci sembra essere buona a tal punto da equivalere a ogni altra, per cui nessuno dovrebbe chiedere a un altro di convertirsi. Non cos per Paolo. Da quando la luce ha brillato sulla sua strada e nella sua vita, da quando nel Figlio di Dio gli stato rivelato il punto Omega, il mondo ultimo, la meta di ogni itinerario verso Dio, da quel momento per Paolo diventato impossibile tacere.

2. Qui c pi che Geremia e pi che il servo di Adonay A quel compito Paolo sente di essere stato chiamato n dal seno materno , come il Servo di Adonay e come il profeta Geremia. Ma la rivelazione di Damasco mette Paolo in una condizione di superiorit sui modelli cui egli si richiama. In virt della rivelazione ricevuta a Damasco, a differenza di Geremia e del Servo di Adonay, egli profeta escatologico: profeta dellora in cui si chiusa lattesa e in cui si realizzata la rivelazione denitiva. Per quanto anche lannunzio evangelico sia segnato dal non ancora , perch siamo salvi solo nella fede e chi nella fede non ancora nella visione, tuttavia un annunzio che gi rivela e gi fa partecipare alle ultime realt, al mondo futuro. In tre frasi costruite sullo stesso schema cosa che fa pensare a una formula estensibile anche ad altre realt il
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Vangelo di Matteo sancisce linferiorit del tempio, del profetismo e della sapienza del giudaismo nei confronti di Ges: Qui c pi del tempio (Mt 12,6); Qui c pi di Giona (Mt 12,41); Qui c pi di Salomone (Mt 12,42). Allo stesso modo si potrebbe dire di Paolo: Qui c pi di Geremia ; Qui c pi del Servo di Adonay !

3. Paolo, apostolo non di Israele ma delle genti Levento di Damasco pone Paolo in un compito qualitativamente diverso non solo da quello dei profeti dellAntico Testamento, ma anche da quello degli altri apostoli di Ges Cristo. Paolo condivide bens con quelli che erano apostoli prima di lui il compito dellevangelizzazione, ma egli stato selezionato e messo a parte per una evangelizzazione particolare, quella alle genti: Colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi, aveva agito anche in me a favore delle genti (Gal 2,8). Nella Lettera ai Romani, Paolo si denisce proprio cos: apostolo delle genti (Rm 11,13), e allo stesso modo lo deniscono la 1Timoteo (2,7) e la 2Timoteo (1,11), che sono state scritte con ogni probabilit da un discepolo di Paolo. La distinzione tra giudei e [tutte le altre] genti (o gentili) la divisione del mondo che ogni giudeo faceva, mentre luomo greco divideva lumanit in greci e barbari. Entrambi gli schemi di pensiero avevano connotazioni critiche se non proprio spregiative: barbaro come dice letimologia ma anche lonomatopea, e cio il suono
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stesso delle sillabe signica colui che [parlando una lingua straniera] balbetta e a quella qualica il greco collegava lidea non solo dello straniero, ma dellincolto, dellincivile, dello zotico e del crudele. Le genti una qualica etimologicamente molto pi neutra e quindi molto pi rispettosa, ma non nel signicato corrente nel giudaismo, perch a essa il giudeo collegava lidea dellidolatria, e quindi dellempiet, dellimpurit, del peccato2. Il merito di Paolo in questo campo anzitutto quello di essersi dedicato allevangelizzazione dei non giudei, ma poi soprattutto nellavere imposto lapertura verso le genti a tutta la Chiesa primitiva, che di certo non sarebbe mancata, con particolare forza e urgenza. famoso a questo riguardo lo scontro tra Paolo e Pietro ad Antiochia di Siria. Pietro, che in precedenza sedeva alla stessa tavola dei non giudei, cominci invece a sottrarsi a quel segno di intercomunione quando da Gerusalemme giunsero rappresentanti della corrente di Giacomo per la quale valevano ancora le regole del giudaismo. In altre parole, chi condivideva la mensa con un non giudeo e cio con una persona impura ne usciva contaminato e non idoneo al compimento di certi precetti cultuali. Nella Lettera ai Galati Paolo dice di avere allora contrastato Pietro apertamente dicendogli: Come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei? (Gal 2,11-14). In realt, probabilmente Pietro cercava un compromesso, un modus vivendi
2 Cfr., ad esempio, Gal 2,15: Noi, che per nascita siamo giudei, e pagani [e quindi ipso facto] peccatori .

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pratico, intendendolo come provvisorio, e soprattutto come servizio allunit dei due tronconi del movimento cristiano. Forse pensava che il problema del rapporto tra quei due tronconi dovesse essere risolto come lui tentava di fare: con un po di buona volont, con un colpo al cerchio e uno alla botte. Paolo per fu lunico che intu invece la gravit della posta in gioco. Come nessun altro nel cristianesimo primitivo, egli fu lucidamente consapevole che il movimento cristiano si trovava nel momento del non ritorno, e che i presupposti di quel compromesso mettevano in discussione tutta lopera salvica del Cristo: ritenere che le regole mosaiche avessero ancora valore, era ritenere accessorie e inutili la croce e la risurrezione del Signore3. Scrive Paolo in Gal 2,21: Se la giusticazione viene dalla legge, [allora il] Cristo morto invano . P. Althaus descrive magistralmente lanalogo e altrettanto lucido ed energico intervento paolino presso le Chiese della Galazia: [Paolo] vive lora dalla quale tutto dipende, lattimo che non torna e che ha un peso decisivo. Per questo si erge davanti ai galati ssandoli negli occhi e parla con tutta lenergia con cui un uomo deve parlare ad altri uomini che vuole costringere a una scelta 4.

3 G. Bornkamm, Paolo, Apostolo di Ges Cristo, Claudiana, Torino 1977 (or. ted., Stuttgart 1969), p. 64 ( Paolo vedeva pi a fondo nelle cose []. Quello che ad altri poteva sembrare irrilevante e sopportabile per amore dellunit della Chiesa, per lui diventava il campo di battaglia su cui bisognava combattere per la verit e la libert ). 4 P. Althaus, Galati, in Le Lettere minori di Paolo (Nuovo Testamento), Paideia Brescia 1980 (or. ted., Gttingen 1962), p. 24.

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Fu anche e soprattutto per merito di Paolo5 che il movimento cristiano non rest una corrente fra le altre del variegato giudaismo del secolo I, ma cominci la sua autonoma marcia da grande protagonista nella storia universale delle religioni. Se non ci fosse stato lincontro di Damasco, dunque, il movimento cristiano avrebbe avuto uno sviluppo del tutto diverso. A Damasco la grazia non solo folgor un persecutore ma, attraverso la rivelazione con cui illumin quelluomo, cambi il corso della storia delle religioni e, dunque, il corso della stessa storia umana.

4. Paolo annunciatore del mistero nascosto nei secoli Per esprimere limportanza e il ruolo di Paolo al riguardo, la Lettera ai Colossesi e la Lettera agli Efesini ricorrono alla terminologia del mistero : Per rivelazione mi [a Paolo] stato fatto conoscere il mistero/ myste rion... [Questo mistero] non stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti (Ef 3,4-5; cfr. anche Col 1,25-26). lo stesso linguaggio che nel libro
5 Forse eccessivo, ad esempio, ci che (limitatamente alla Lettera ai Galati) scrive K.-H. Schelkle (Paolo. Vita, lettere, teologia, Paideia, Brescia 1990 [or. ted., Darmstadt 19882], p. 108): La lettera ai Galati per la storia delle religioni un importante documento che testimonia il distacco del cristianesimo dal giudaismo. Senza questa liberazione, il cristianesimo sarebbe rimasto una setta giudaica, senza divenire invece la religione dei popoli . R. Bauckham (What if Paul had Travelled East rather than West, in Biblical Interpretation 8 [2000] 181-184) fa notare, infatti, che la missione ai gentili non fu iniziata n realizzata esclusivamente da Paolo: molti libri del Nuovo Testamento sono aperti allevangelizzazione delle genti senza essere sotto linflusso di Paolo e, al suo primo arrivo in Italia, secondo At 28,14 e 28,15, egli trov cristiani a Pozzuoli e a Roma.

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di Daniele viene usato per parlare del disvelamento e della realizzazione del piano divino sulla storia: O re [Nabucodonosor], i pensieri che ti sono venuti in mente riguardano il futuro, e Colui che svela i misteri (myste ria) ha voluto farti conoscere ci che dovr avvenire. Se a me stato svelato questo mistero (myste rion), non perch... (Dn 2,29-30). Il contenuto del mistero paolino il Cristo, il banditore Paolo e destinatari preferenziali sono i popoli fuori dIsraele. Ci che in tutto questo non poco sorprendente : anzitutto, il silenzio nel quale Dio ha mantenuto la sua volont lungo i secoli; poi, il fatto che ora invece egli ne destini la conoscenza soprattutto a quelli che non ne erano in attesa e che il mistero debba poi restare fra di essi come le rivelazioni anticotestamentarie erano rimaste in Israele; inne, il fatto che il mistero sia rivelazione di ci che precedentemente non era stato n annunziato dai profeti, n consegnato alle Scritture6. Anche a riguardo del mistero e della rivelazione che Paolo ne deve fare alle genti si pu dunque concludere: Qui c pi che il profeta Daniele , Qui c pi che un profeta , Qui c pi che lAntico Testamento .

5. Paolo come banditore In 1-2Timoteo, accanto al titolo di apostolo e di maestro , viene attribuito a Paolo anche il titolo greco
6 Cfr. J.-N. Aletti, Lettera ai Colossesi. Introduzione, versione, commento (Scritti delle origini cristiane 12), EDB, Bologna 1994 (or. fr., Paris 1993), pp. 135-137.

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di ke ryx, tradotto di solito con messaggero ( Di questa testimonianza [secondo la quale il Cristo ha dato se stesso per tutti] io sono stato fatto messaggero e apostolo, e maestro dei pagani , 1Tm 2,7; Per il vangelo io sono stato costituito messaggero, apostolo e maestro , 2Tm 1,11). Quella del ke ryx era nel mondo greco-romano una gura pubblica, ufciale, spesso di rilevanza giuridica. Era un compito che veniva afdato a chi aveva una voce forte e stentorea, perch la cosa pi importante era che egli si facesse udire nelle piazze, nei teatri, nei tribunali, nelle assemblee pubbliche a grande concorso di folla e nei luoghi a grandi dimensioni. Egli doveva percorrere la citt e, fuori dalla citt, le frazioni appartenenti allo stesso municipio o, nellimpero romano, le citt e i villaggi delle province. Giunto sul luogo, egli doveva con il tamburo o con la tromba convocare la popolazione e dare questo o quellannunzio, e lo doveva fare appunto a gran voce, cos che tutti potessero udire e da quel momento potessero essere considerati giuridicamente responsabili di fronte alla disposizione o alla legge noticata in quel modo. A volte, il banditore annunziava la fondazione di una colonia invitando a partecipare allimpresa; altre volte convocava allassemblea cittadina, oppure alla guerra. In citt, gridando, doveva esigere il silenzio a teatro per linizio dello spettacolo, allo stadio per linizio dei giochi, nella vendita allasta o allincanto per portare a conoscenza del pubblico prima lofferta e poi le puntate degli acquirenti, e, per la latitanza di un criminale, il
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banditore pubblicava le condizioni e lammontare della taglia posta sul capo del ricercato7. Come banditore del mistero, Paolo grida la notizia che ha ricevuto e che non pu non noticare a tutti e dovunque. Da un lato, lo spinge una volont superiore, un dovere che gli viene da Colui che lo manda. Dallaltro, lo lega il diritto di essere informati che hanno non tanto i membri di una citt o i sudditi dellimperatore, ma coloro che sono in un mondo perverso (Gal 1,4) e che dal potere delle tenebre Dio vuole trasferire al regno del Figlio suo amatissimo (Col 1,13).

6. Mi sono fatto tutto per tutti Da quando Paolo ha avuto la rivelazione di Damasco, egli ha intrapreso un viaggio che lo porter, lungo le vie del mare e della terraferma, verso molte delle regioni del vasto impero romano. Ma quel viaggio stato anzitutto un viaggio interiore, perch Paolo uscito da s: dai privilegi del giudaismo di cui andava ero, e che poi gli sono apparsi come vicoli angusti, e da quelli che gli appartenevano come apostolo. In uno straordinario testo della 1Corinzi egli dice infatti che, pur essendo libero, per amore del vangelo si
7 Per la fondazione di una colonia, cfr. Tucidide, circa 460-410 a.C. (Storie 1,27); per la chiamata alla guerra, cfr. Omero, Iliade 2,443; per linizio dello spettacolo a teatro, cfr. Plauto che, nel prologo ad Asinaria, fa dire al primo attore: Ora, su, banditore, rendimi tutto questo pubblico a orecchie aperte (Asinaria 4); per linizio dei giochi, cfr. Sofocle, Aiace 1240; per le aste pubbliche, cfr. le iscrizioni, ad esempio, di Delfi e Delo; per la taglia sulla testa del ricercato, cfr. Senofonte, Storie elleniche 5,4,10. Cfr. infine G. Friedrich, K ryx, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, vol. V, Paideia, Brescia 1969 (or. ted., Stuttgart 1935), pp. 389-424.

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fatto schiavo di tutti. Quel tutti vuol indicare sia i giudei sia i non giudei8. Con i giudei si fatto come giudeo e, pi in particolare, pur essendo oramai libero dalla legge, si fatto come uno che sotto la legge. Con chi senza legge poi e cio con il non giudeo , si fatto come uno che senza legge, pur essendo oramai da capo a piedi immerso nella legge del Cristo. Poi conclude, ricapitolando: farsi come giudeo e farsi come non giudeo stato per lui un farsi debole con i deboli, stato cio un rinunziare a ogni privilegio o diritto o potere, pur di arricchire della sublime conoscenza del vangelo il numero pi grande possibile di giudei e di non giudei. Per la sua bellezza e per la spiritualit di cui prova e compendio, il testo di Paolo merita di essere letto interamente cos come egli lo ha scritto. Eccolo: Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto come giudeo per i giudei, per guadagnare i giudei. Per coloro che sono sotto la legge pur non essendo io sotto la legge mi sono fatto come uno che sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. Per coloro che non hanno legge pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo mi sono fatto come uno che senza legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli.
8 , come si visto, la divisione dellumanit che faceva lisraelita, il quale era portato a porre lalternativa giudeo / non giudeo , mentre lellenista avrebbe detto: greco / barbaro .

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Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe anchio (1Cor 9,19-22).

7. Laccusa di opportunismo e lautoanatema A partire da questo testo, non mancato chi ha accusato Paolo di spregiudicato opportunismo. Se Paolo si fatto tutto a tutti, signica che era pronto a qualsiasi compromesso dicono , e che il proselitismo e la smania di fare adepti erano per lui pi importanti che non la fedelt e lintegrit del vangelo9. Il testo di Paolo, per, non giustica in alcun modo unaccusa cos grave: ci che secondo quel testo Paolo ha mandato allo sbaraglio non stato il vangelo, perch in realt proprio il vangelo era quello che gli premeva al di sopra di ogni altra cosa: Tutto io faccio per il vangelo . Ci che invece Paolo dice di aver mandato allo sbaraglio se stesso, la sua libert ( Mi sono fatto servo di tutti , 1Cor 9,19), i suoi poteri e i suoi diritti personali ( Mi sono fatto debole con i deboli , 1Cor 9,22). Se poi anche questo testo non fosse sufcientemente chiaro al riguardo, si potrebbe allora citare la Lettera ai Galati nella quale ripetutamente Paolo difende la verit del vangelo come lui la chiama e giunge a invocare su di s lanatema, e cio la maledizione e la scomunica,
9 Cos, ad esempio, H. Chadwick, All Things to all Men (1Cor ix,22), in New Testament Studies 1 (1954) 261-275.

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quando mai osasse alterare il vangelo che ha annunziato precedentemente: Se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema. Labbiamo gi detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema (Gal 1,8-9)10. La stessa difesa del vangelo e la stessa noncuranza per se stesso sono evidenti nella Lettera ai Filippesi. Qualcuno a Filippi annunzia il vangelo spinto da sentimenti di rivalit e per procurare ulteriore sofferenza a Paolo che in carcere, senza, per, stravolgere lannunzio del Cristo. E allora Paolo accetta la malevolenza dei rivali e gioisce perch il vangelo annunziato comunque: Alcuni, vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa (...), con spirito di rivalit, con intenzioni non rette, pensando di accrescere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purch in ogni maniera, per convenienza o per sincerit, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuer a rallegrarmene (Fil 1,15-18).

8. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date Nello stesso contesto in cui Paolo dice di essersi fatto tutto a tutti, egli si chiede retoricamente qual la retribuzione che si aspetta: Qual dunque la mia ricompensa? . E secondo la sua logica di uomo conquistato
10 Cfr. G. Bornkamm (Paolo, Apostolo di Ges Cristo, pp. 173-174) scrive: La libert non viene intesa come un diritto, ma come rinunzia al proprio diritto a favore degli altri, una rinunzia che nasce dalla fatale sottomissione dellapostolo allevangelo .

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dal vangelo e non secondo la logica comune, risponde: Quella di annunziare gratuitamente il vangelo (1Cor 9,18). Di fatto, n dalla sua lettera pi antica la 1Tessalonicesi si apprende che egli lavorava giorno e notte con le sue mani per mantenersi: Voi ricordate, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio (1Ts 2,9). Laffermazione esplicita anche in altre lettere e negli Atti degli apostoli: Ci affatichiamo, lavorando con le nostre mani (1Cor 4,12); Non abbiamo voluto servirci di questo diritto [di farci mantenere] (1Cor 9,12; ma cfr. tutto il capitolo); Poich erano del medesimo mestiere, si stabil in casa loro [di Aquils e Priscilla] e lavorava. Di mestiere, infatti, erano fabbricatori di tende (At 18,3); Voi sapete che alle necessit mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani (At 20,34). Ges aveva detto: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8), e Paolo, dopo avere messo in pratica alla lettera quella regola, esclama: Nessuno mai mi toglier questo vanto! (1Cor 9,15).

9. La missione di Paolo alle genti come divina liturgia Se in Rm 11,13 Paolo si denisce apostolo delle genti , in Rm 15,15-16 interpreta quel suo apostolato in termini di servizio sacerdotale e di culto: Mi stata data da Dio la grazia di essere leitourgos di Ges Cristo fra le genti, hierourgo n il vangelo di Dio perch le genti
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divengano una prosphora gradita, santicata dallo Spirito Santo . Nel giro di un solo versetto si accumulano ben tre termini del vocabolario liturgico: il primo (leitourgos, liturgo), di per s signica ministro pubblico e ufciale e non, come per noi, ministro della liturgia in senso stretto. Con il secondo (hierourgo n) Paolo dice di sentirsi nel ruolo di chi compie un rito sacro mentre annunzia il vangelo nelle citt e regioni dellimpero romano. Con il terzo (prosphora) Paolo denisce le nazioni che va evangelizzando come ci che si porta (-pherein) verso (pros-) : evidentemente, verso il tempio e verso laltare, e quindi verso Dio11. Tutto questo che Paolo dice del suo ministero diretto ai non giudei, secondo E.P. Sanders da intendere alla luce delle profezie escatologiche dellAntico Testamento. Lattesa dIsraele (espressa ad esempio in Is 2,2-3; 56,6-7; 66,18-21...) stava a indicare che nei giorni nali i popoli sarebbero venuti in pellegrinaggio verso Gerusalemme per portare doni, offerte e sacrici, e per essere illuminati come gli israeliti dalla legge e dalla parola di Adonay12. Dunque, Paolo apostolo delle genti per portarle alla fede e per offrirle a Dio. Il suo ruolo personale in questo piano divino anzitutto quello di annunciatore e banditore, ma poi, quando i popoli avranno aderito alla fede, dopo essere stato il loro apostolo, egli sar il loro agente

11 Il termine greco propshora composto da -phora, -pherein ( il trasporto , trasportare ) e da pros- (verso). Sul testo di Rm 15, cfr. J. Ponthot, Lexpression cultuelle du ministre paulinien selon Rm 15,16, in A. Vanhoye (ed.), LAptre Paul. Personnalit, style et conception du ministre (BETL 73), University Press, Leuven 1986, pp. 254-262. 12 Cfr. E.P. Sanders, San Paolo, Il Melangolo, Genova 1997 (or. ingl., Oxford - New York 1991), pp. 9-10.

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e il loro liturgo e recher al tempio di Gerusalemme la loro fede e le opere della loro fede, come offerta a Dio gradita13. La stessa immagine profetica si ritrova nellApocalisse di Giovanni, anche se slegata dalla persona di Paolo e trasferita, oltre la storia, nellescatologia: Le nazioni cammineranno alla sua [di Gerusalemme] luce e i re della terra a lei porteranno il loro splendore (...) e porteranno a lei la gloria e lonore delle nazioni (...). Nella citt (...) i suoi servi lo adoreranno (Ap 21,24-26; 22,3).

Conclusione. Paolo, comunicatore per vocazione Destinatario di rivelazione, di quella rivelazione Paolo fu poi mediatore e banditore. Lo fu non per propria scelta, ma per vocazione. In apertura delle sue lettere Paolo dice infatti di essere apostolo per volont di Dio 14, e chiamato [a essere] apostolo 15. La precisazione di Paolo polemica e apologetica: egli deve dire a chi mette in discussione il suo insegnamento e la sua leadership, che tutto quanto dice o fa non viene dalla propria iniziativa e tanto meno dal proprio arbitrio, bens da una precisa volont e disposizione di Dio. Ma laffermazione vera anche fuori dalla polemica e delle necessit retoriche che la provocano.

13 D.J. Downs ( The Offering of the Gentiles in Romans 15,16, in Journal for the Study of the New Testament 29 [2006] 173-186) interpreta il genitivo dei gentili come genitivo soggettivo ( offerta che i gentili presentano a Dio ), per cui lofferta sarebbe quella della colletta delle Chiese paoline, da intendere come atto di culto. 14 Cfr. 2Cor 1,1. 15 Cfr. Rm 1,1; 1Cor 1,1.

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Egli apostolo perch a Damasco fu conquistato, illuminato e inviato, mentre credeva di avere ben altro incarico divino. Nellannunzio privato e pubblico che va facendo, egli annunzia il Cristo e il vangelo che prima perseguitava (At 9,4.5; 22,4.7.8; 26,14.15), e va fondando Chiese di citt in citt, mentre precedentemente cercava di devastare quelle della Palestina con tutte le forze che aveva (Gal 1,13). Egli che, giovanissimo, aveva gareggiato con i suoi coetanei nel giudaismo (Gal 1,14), e che avrebbe proseguito la sua corsa ero e sazio dei titoli e privilegi giudaici (Fil 3,4-6), ora apostolo di Cristo a benecio dei lippesi, dei corinzi o degli efesini... che senza lincontro di Damasco non sarebbero mai rientrati nei suoi programmi. Paolo dunque uno che chiamato a comunicare un messaggio non suo, a gente che non avrebbe mai scelto come suo uditorio, e lo per oramai in modo denitivo e invincibile: Chi ci separer dallamore del Cristo? Forse la tribolazione, langoscia, la persecuzione, la fame, la nudit, il pericolo, la spada? (....) Io sono persuaso che n morte n vita, n angeli n principati, n presente n avvenire, n potenze, n altezza, n profondit, n alcunaltra creatura potr mai separarci dallamore di Dio, che in Ges Cristo, nostro Signore (Rm 8,35.37-39). Comunicatore per vocazione, si pu dire che Paolo si identic con il messaggio che portava. Egli ha scritto: Non vivo pi io. il Cristo che vive in me (Gal 2,20). Avrebbe potuto scrivere anche: Non sono pi io che vivo. il vangelo che vive in me .

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III

Un ritratto interiore di Paolo

Dopo avere parlato della grande svolta che divise in


due la vita di Paolo, e prima di dire qualcosa della sua vorticosa corsa apostolica, importante tratteggiare un ritratto di lui, un ritratto interiore, perch la sua azione non sembri puro attivismo, pura estroversione, bisogno di fuggire da se stesso e dai propri conitti, o bisogno di sentirsi protagonista.

1. Ritratto fisico e ritratto storico Un ritratto interiore di Paolo deve distinguersi sia da quello sico, sia da quello che si potrebbe chiamare storico. Cominciamo da questi. Il ritratto sico di Paolo tratteggiato in un apocrifo: Piccolo di statura, testa calva, gambe curve, corpo ben formato, sopracciglia congiunte, naso un po sporgente, pieno di bont. Alle volte sembrava un uomo, alle volte aveva la faccia dun angelo 1. Non male come si dice colloquialmente , ma certo frutto di fantasia.
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Vedi Atti di Paolo 2,3 (Asia Minore, circa 190 d.C.).

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Il ritratto storico di Paolo, poi, quello che venuto congurandosi nei venti secoli cristiani, fondamentalmente fa leva su tre titoli: anzitutto, il titolo di grande convertito che sulla via di Damasco cadde a terra folgorato dal Cristo; poi il titolo di principe degli apostoli , dato a Paolo in coppia con san Pietro nella festa del 29 giugno; e inne quello di autore delle grandi lettere , che la domenica si leggono al secondo posto, tra lAntico Testamento e il vangelo. Il ritratto interiore deve essere, da un lato, pi introspettivo e, dallaltro, pi problematico e pi critico.

2. Protagonismo e grazia Il ritratto storico di Paolo insiste giustamente sulla grandezza dell apostolo e di essa deve parlare anche il ritratto interiore, perch Paolo stesso consapevole delle grandi cose che Dio va compiendo attraverso di lui. Scrivendo ai corinzi, ad esempio, non ha paura di affermare che ha lavorato pi di tutti gli apostoli (1Cor 15,10). In effetti, intorno allanno 55 d.C. quando scrisse 1Corinzi, Paolo ha gi realizzato un grande, impareggiabile lavoro apostolico. Di sua iniziativa ha prima scelto come terreno di missione lArabia e poi la Siria e la Cilicia. In qualit di inviato della Chiesa di Antiochia di Siria, insieme con Barnaba ha poi attraversato longitudinalmente tutta lisola di Cipro da Salamina a Pafo, e si inoltrato nellaltopiano della penisola anatolica fondando Chiese ad Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe. In autonomia da Barnaba, ha inne percorso
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di nuovo lAnatolia in tutte le direzioni ed passato in Macedonia piantando la fede a Filippi, Tessalonica e Berea, ed sceso ad Atene, Corinto e Cencre, in Acaia. Mentre, poi, scrive la 1Corinzi di stanza a Efeso e, attraverso i suoi discepoli e collaboratori, il vangelo sta raggiungendo ad esempio Colosse, Laodicea e Gerapoli, nella valle del Lico afuente del Meandro , duecento chilometri nellentroterra. In una decina danni ha dunque lasciato il segno in non meno di cinque o sei delle attuali nazioni del Vicino Oriente: Giordania, Siria, terra dIsraele, Cipro, Turchia, Macedonia, Grecia. Nessun altro apostolo, neanche Pietro o Giovanni, stava facendo altrettanto. Il primo a meravigliarsi di questa messe apostolica cos abbondante Paolo stesso. Ma, pur dicendo con parole ardite che ha lavorato pi di tutti gli apostoli, subito si corregge e aggiunge Non io per, ma la grazia di Dio che con me . Come a dire che quanto ha fatto non lo ha fatto lui. Lui ha solo lasciato che agisse allesterno la forza immeritatamente messa in lui da Dio, la cui propulsione non poteva non assecondare. Lui si limitato a non opporre resistenza: Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non stata vana (1Cor 15,10). Quella grazia gli stata data alla chiamata di Damasco: Dio che mi scelse n dal seno di mia madre e mi chiam con la sua grazia si compiacque di rivelare in me il suo Figlio perch lo annunziassi in mezzo alle genti (Gal 1,15-16) Paolo parla della grazia anche in una indiscrezione non poco imbarazzante che lo riguarda e in cui non si sa se ammirare di pi la sincerit o la vicinanza di un cos
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grande uomo alle nostre miserie. Dice per immagini che gli stata messa una spina nella carne, e che addirittura per ben tre volte ha chiesto di essere liberato e sollevato da quel tormento sso. Non facile accertare di che cosa si trattasse: forse di una qualche malattia o forse dellostacolo continuo costituito dai giudei che lo volevano morto perch apostata, o ancora dellinterferenza dei falsi fratelli cristiani che, subentrando a lui nelle Chiese da lui fondate, compromettevano il suo lavoro2. In ogni caso, la spina non gli stata risparmiata ed egli ha dovuto tenersi il bruciore ininterrotto di quella ferita. Ti basta la mia grazia , gli stato risposto (2Cor 12,7-9). La grazia divina, dunque, deve bastargli perch possa andare avanti un giorno dopo laltro, anche se sanguinando. Per limpegno apostolico la grazia era tanto grande e tanto forte da essere irresistibile; qui la grazia concessa con il contagocce, a tamponamento precario delle difcolt. Ma, nellesperienza interiore dellApostolo, tutto grazia, anche la forza di tenersi la spina nella carne.

2 In particolare, data la resistenza fisica di Paolo a grandi difficolt, linviato di satana pu essere un individuo o un gruppo di avversari che si oppone allopera apostolica di Paolo, pi che una malattia. Cos J.J. Thierry, Der Dorn im Fleische (2Kor. XII,7-9), in Novum Testamentum 5 (1962) 301-310. Per J.W. McCant (Pauls Thorn of Rejected Apostleship, in New Testament Studies 34 [1988] 550-572), si tratterebbe del disconoscimento da parte della Chiesa corinzia del suo titolo di apostolo. Le tre maggiori interpretazioni date in epoca patristica e medievale sono: una malattia (cefalalgia); lostilit incontrata nel lavoro apostolico; lo stimolo della lussuria come punizione della superbia (cfr. E. Vallauri, Lo stimulus di Paolo nei Padri, in E. Vallauri - A.S. Di Marco - I. Volpi [edd.], Ges Apostolo e Sommo sacerdote. Studi biblici in memoria di P. Teodorico Ballarini, Marietti, Casale Monferrato [AL] 1984, pp. 293-212).

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3. La debolezza e la legge della croce Quando dice di assecondare la grazia nel grande lavoro di evangelizzazione che gli riesce di svolgere, Paolo confessa di mettere a disposizione di Dio niente altro che la sua debolezza, apertamente dichiarata e perno amata. Sul tema torna a pi riprese soprattutto nella 2Corinzi. Prima protesta di potersi vantare del suo lavoro che intraprende in terreni vergini e che svolge gratuitamente, mentre altri subentrano nelle comunit da lui fondate e per quel lavoro si fanno mantenere, vantandosi delle fatiche altrui (2Cor 10,15-16). Protesta poi di potersi vantare dei titoli del giudaismo (2Cor 11,21-22) e del grande titolo di ministro del Cristo (2Cor 11,23-29). E ancora protesta di potersi vantare di esperienze mistiche come quella che una quindicina danni addietro lo ha rapito no al terzo cielo e gli ha fatto udire parole indicibili in linguaggio umano (2Cor 12,1-4). Poi, per, sorprendentemente azzera quei pur giusti motivi di vanto, perch il suo vero vanto, quello al riparo da ogni secondo scopo e che prova di insospettabile fedelt al Cristo, il vanto della sua debolezza. Chi deve fuggire calato in una cesta, come fece lui a Damasco, debole, oltre che umiliato (2Cor 11,32-33). E debole chi ha intta nella carne la spina di cui vorrebbe essere liberato e che invece deve tenersi (2Cor 12,7-9). Nella 1Corinzi poi dice di sentirsi trattato come un demente o come un condannato a morte, e di essere ogni giorno esposto alla fame, alla sete o alla nudit, insultato, schiaffeggiato, perseguitato, calunniato, ridotto a spazzatura e a oggetto di derisione per il mondo intero (1Cor 4,9-13).
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Di queste e di tutte le altre debolezze di cui intessuta la sua vita egli vuole vantarsi: Mi vanter quindi ben volentieri delle mie debolezze (...). Perci mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difcolt, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo . Con un ossimoro che non un gioco di parole ma una regola ispirata dalla fede, Paolo dice: Quando sono debole, allora che sono forte . Il motivo di quel vanto, infatti, non lorgoglio stoico di avere raggiunta la padronanza interiore di s di fronte alle sde esterne, ma un motivo cristologico: Perch [quando sono debole], dimora in me la potenza di Cristo (2Cor 12,9-10 e 12,9). Precedentemente, in un altro contesto della stessa lettera aveva detto di portare in ogni tempo e in ogni contrada non la morte, che di un attimo, ma il morire, che lungo e continuo3. Poich, per, il morire di Cristo, la sua debolezza feconda. Mentre infatti in lui opera la morte, nei corinzi orisce la vita: Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Ges (...). Sempre, infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Ges (...), cos che in noi agisce la morte, ma in voi la vita (2Cor 4,10-12). In tutto questo suo travaglio esistenziale Paolo si sente come salvato allultimo istante, o allultimo centimetro, da una potenza misteriosa che egli non nomina e che evidentemente quella di Dio: In tutto siamo tribolati, ma non schiacciati. Siamo sconvolti, ma non disperati. Siamo perseguitati, ma non abbandonati. Siamo colpiti, ma non uccisi (2Cor 4,7-9).
3 Il termine greco impiegato da Paolo non thanatos (morte), ma nekr o sis, che si potrebbe tradurre liberamente con andare in necrosi giorno dopo giorno; il lento morire quotidiano .

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La soluzione del contrasto tra debolezza dellApostolo e potenza del suo annunzio dunque nella dialettica pasquale tra morte e vita. Per questo Paolo pu parlare di tesoro (il vangelo e lincarico apostolico) in vasi di creta (la tartassata e sofferente umanit dellApostolo): Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perch appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi (2Cor 4,7).

4. La preghiera come lotta con Dio Afnch gli fosse risparmiata la spina nella carne, Paolo dice di avere pregato tre volte. Forse si tratta di tre episodi in cui lumiliazione e la puntura della spina giunsero a una acutezza particolarmente difcile da sopportare, ma lesperienza di preghiera di Paolo non era episodica, perch gli fu spontaneo invitare i tessalonicesi a pregare senza sosta: Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie (1Ts 5,17-18)4. La preghiera per Paolo una lotta: Fratelli, per il Signore nostro Ges Cristo e lamore dello Spirito, vi raccomando: lottate con me nelle preghiere che rivolgete a Dio, perch io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme sia bene accetto ai santi. Cos, se Dio vuole, verr da voi pieno di gioia per riposarmi in mezzo a voi (Rm 15,30-32); Vi saluta pafra,
4 Cfr. anche Ef 6,18-20: In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito . Sulla preghiera incessante, da intendere come ininterrotto impegno con Dio, cfr. K.-H. Ostmeyer, Das Immerwhrende Gebet bei Paulus, in Theologische Beitrge 33 (2002) 274-289.

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servo di Cristo Ges, che dei vostri, il quale non smette di lottare per voi nelle sue preghiere, perch siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio (Col 4,12). La lotta forse quella con luomo vecchio che ognuno porta in s, oltre che con satana e con gli ostacoli da lui opposti allannunzio evangelico (1Ts 2,18). O, forse, addirittura una lotta con Dio. Anche Abramo lott con Dio, quando insistette nel chiedere la salvezza di Sodoma a condizione che nella citt si trovassero cinquanta giusti, e poi quarantacinque, quaranta... cinque giusti (Gn 18,23-32). Anche Giacobbe combatt con Dio (con un angelo?, con un uomo?) al guado dello Yabbok, e ne rimase leso per sempre al nervo sciatico (Gn 32,23-33). E Mos lott con Dio perch si trattenesse dal castigare Aronne e tutto il popolo dellesodo per lidolatria del vitello doro (Es 32,11-14). Lasciano intravedere come Paolo pregava anche le formule che egli tramanda. Lesclamazione Abb, Padre (Gal 4,6; Rm 8,15) dice come egli facesse suoi lo spirito di gliolanza e la sottomissione alla volont di Dio che erano stati di Ges (Mc 14,36). Quando poi scrive che si deve credere nel cuore e dire con le labbra: Ges il Signore (Rm 10,9) rivela il cristocentrismo della sua vita e della preghiera. La formula aramaica Marana tha, Vieni Signore! , di 1Cor 16,22 rivela come la sua preghiera fosse nutrita della speranza e dellattesa del ricongiungimento con il Cristo. Le molte citazioni che egli trae dai Salmi dicono poi che le preghiere dIsraele, con tutta la variet dei loro temi e sentimenti, alimentavano le sue suppliche, le sue lodi, le sue riessioni sulla storia, le sue invettive e imprecazioni.
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Il pi delle volte la preghiera di Paolo per le Chiese cui scrive: aprendo le lettere, egli invoca su di esse grazia e pace, e poi benedice o ringrazia Dio a motivo dei frutti che Dio in esse suscita, o chiede che si approfondisca la loro conoscenza del mistero del Cristo, o prega per la loro perseveranza nelle difcolt. Altre volte chiede che si preghi per lui. Ad esempio, lo fa quando, sul punto di partire per Gerusalemme, ha due timori: che i giudei arrestino denitivamente la sua corsa apostolica e che la Chiesa di Gerusalemme non accetti la colletta fatta in Macedonia e Acaia (Rm 15,30-31). E questo rivela che, come la sua vita, cos anche la sua preghiera era abitata e dominata dalla missione.

5. Battaglie e timori In una confessione che si accende e si spegne improvvisa come un lampo Paolo dice lapidariamente di s: Battaglie allesterno, timori allinterno (exo then machai, eso then phoboi) (2Cor 7,5). E se comprensibile che nella sua attivit apostolica Paolo si trovasse a battagliare, ci aspetteremmo che il suo animo fosse nella pi profonda serenit. Era invece attraversato da paure, al plurale! Da mille paure. Gi si visto che Paolo parla di paura nel testo in cui chiede ai romani lappoggio della loro preghiera al momento di partire da Corinto per Gerusalemme: da una parte, ha paura delle insidie dei giudei e, dallaltra, ha paura del riuto che la Chiesa di Gerusalemme possa opporre allofferta del denaro raccolto nelle sue Chiese:
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Fratelli, per il Signore nostro Ges Cristo e lamore dello Spirito, vi raccomando: lottate con me nelle preghiere che rivolgete a Dio, perch io sia liberato dagli infedeli [i giudei] della Giudea e il mio servizio [la consegna della colletta per i poveri] a Gerusalemme sia bene accetto ai santi. Cos, se Dio vuole, verr da voi pieno di gioia, per riposarmi in mezzo a voi (Rm 15,30-32). Parla di paura, aggiungendo trepidazione a paura , anche nel rievocare i sentimenti con i quali venne da Atene a Corinto, quando non sapeva dove avrebbe abitato, quali ostacoli avrebbe incontrato, in che modo avrebbe cominciato e rivolgendosi a chi, e che cosa gli sarebbe potuto accadere: Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione (1Cor 2,3). Al momento di scrivere la 2Corinzi, Paolo teme poi, ritornando a Corinto, di trovarvi quello che non vorrebbe, e teme di deludere i corinzi, a sua volta: Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero, e che, a mia volta, venga trovato da voi quale non mi desiderate (2Cor 12,20). Poi specica i motivi del suo timore: Temo che vi siano contese, invidie, animosit, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini, e che, alla mia venuta, il mio Dio mi debba umiliarmi davanti a voi e io debba piangere su molti che in passato hanno peccato e non si sono convertiti dalle impurit, dalla immoralit e dalle dissolutezze che hanno commesso (2Cor 12,20-21). Altre due volte il timore riguarda il lavoro fatto in Galazia e a Corinto, che rischia di andare compromesso, mandato allaria: Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo (Gal 4,11), Temo che (...) i
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vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicit e purezza nei riguardi di Cristo (2Cor 11,3). I timori di Paolo non sono quelli di un pavido che di tutto ha paura, anche della sua stessa ombra, ma sono timori prettamente evangelici: sono i timori dellApostolo che sta per addentrarsi in un campo di lavoro nuovo e prevedibilmente difcile come il grande porto di mare che era Corinto, o che vede minacciato o devastato il lavoro fatto con generosit a servizio del vangelo, dando fondo alle sue migliori risorse, faticando, combattendo e soffrendo.

6. La violenza verbale, il sarcasmo e laffetto Un combattente , volere o no, un violento: e violento anche quel lottatore che Paolo. Accade soprattutto nella 2Corinzi e nella Lettera ai Galati. Nella 2Corinzi deve contrastare dei predicatori venuti a interferire nella comunit di Corinto e a insegnare qualcosa che non si riesce a ricostruire. Nel triangolo di relazioni che s creato tra lui stesso, la comunit e quei seminatori di zizzania e di divisione, Paolo deve riconquistare a s i corinzi cercando di tagliare i legami che essi hanno con gli oppositori. La partita si gioca a uno contro due, e consiste nel tentativo dellio [di Paolo] di spezzare il legame tra il loro [degli oppositori] e il voi [dei corinzi], in concreto di attrarre a s il voi, isolando il loro. In altre parole, lapostolo impegnato a recuperare la sua Chiesa, estromettendo gli oppositori 5.
5 G. Barbaglio, Alla comunit di Corinto: prima lettera, in G. Barbaglio - R. Fabris, Le lettere di Paolo, vol. I, Roma 19902 (1977), p. 691.

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cos che in 2Cor 10-13 aggredisce quegli inltrati, li fa oggetto dei suoi attacchi e anche del suo sarcasmo. con sarcasmo che li chiama superapostoli (2Cor 11,5), ma poi senza mezzi termini li chiama falsi apostoli e operai fraudolenti che, ingannando i corinzi, si mascherano da apostoli del Cristo. C di pi perch, in quel tentativo di camuffarsi da agnelli sono invece lupi rapaci e avidi dei soldi dei corinzi e, di pi, si mascherano come satana si maschera da angelo della luce: Questi tali sono falsi apostoli, lavoratori fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ci non fa meraviglia, perch anche satana si maschera da angelo di luce. Non perci gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro ne sar secondo le loro opere (2Cor 11,13-15); Voi, che pure siete saggi (...), sopportate chi vi rende schiavi, chi vi divora, chi vi deruba, chi arrogante, chi vi colpisce in faccia (2Cor 11,19-20). Paolo qui duro come non mai, e intollerabilmente violento. E tuttavia, nei capitoli precedenti aveva trovato parole di una tenerezza unica nei confronti dei corinzi. Aveva detto di avere per loro un cuore grande, largo e aperto, e che voleva il ricambio nel loro cuore: La nostra bocca vi ha parlato francamente, corinzi, e il nostro cuore si tutto aperto per voi. In noi certo non siete allo stretto; nei vostri cuori che siete allo stretto. Io parlo come a gli: rendeteci il contraccambio, apritevi anche voi! (2Cor 6,11-13). Poco pi sotto si ripete, con una dolcezza struggente: Accoglieteci nei vostri cuori! (...). Vi ho gi detto che siete nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere (2Cor 7,2-3).
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Lo stesso percorso di sentimenti, ma allinverso, dalla rabbia alla tenerezza, Paolo lo percorre con i galati. Anche in Galazia vi chi venuto da fuori a turbare i credenti sovvertendo il vangelo del Cristo (Gal 1,7; 5,10) e qui sono meglio congurati linsegnamento e lazione dei perturbatori: vogliono imporre la circoncisione a chi proviene dal paganesimo, come se il Cristo non fosse lunico a essere necessario e sufciente per la salvezza. Ma questa volta, pi che con i maestri derrore, Paolo se la prende con i galati. Li accusa li essere mutevoli e leggeri (Gal 1,6), li chiama insensati (Gal 3,1), dice che si sono lasciati stregare dallultimo arrivato (Gal 3,1), li accusa di farsi strumentalizzare da chi, ottenendo che si circondano, vuole farsi bello e risparmiarsi le persecuzioni che il genuino annunzio del Cristo comporterebbe (Gal 6,12-13). Nessuna delle altre lettere paoline mostra una simile amma dira e di passione. Essa lunica in cui manchi il ringraziamento per i lettori nellintroduzione, e lincarico di portare i saluti nella conclusione. Nella seconda parte per lamore del suo cuore amareggiato prende il sopravvento sul corruccio 6. Per illustrare lultima affermazione basta leggere Gal 4,19, in cui Paolo, con limmagine della madre che partorisce, d espressione alla sofferenza che prova nel dover ricominciare tutto da capo con i galati: Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore . Subito dopo, mordendosi la lingua per averla usata in modo troppo pungente, dice che vorreb6 A. Wikenhauser - J. Schmid, Introduzione al Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1981 (or. ted., Freiburg i.B. 1973), p. 464.

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be essere in Galazia e far sentire loro, cambiando il tono della voce, che li ama, anche se (o proprio perch) li sta riprendendo e rimproverando: Vorrei essere vicino a voi in questo momento e cambiare il tono della mia voce, perch sono perplesso a vostro riguardo (Gal 4,20). Ma soprattutto lultima frase che fa passare la lancetta del barometro dal tempestoso al sereno. Tutta percorsa da indignazione veemente e segnata da apostro severe, la lettera si chiude infatti con il vocativo: o fratelli , nel quale, allontanatasi oramai la tempesta, subentrano la calma e laffetto: La grazia (...) sia con il vostro spirito, o fratelli (Gal 6,18).

7. La gioia e la consolazione La 2Corinzi il testo paolino che pi di tutti permette di ricostruire il ritratto interiore di Paolo perch una lettera di battaglia e, battagliando, Paolo non controlla le sue reazioni e si rivela come non mai. Tra Paolo e i corinzi erano aperti almeno tre fronti. Il primo punto di conitto riguardava il cambiamento di programma nelle visite dellApostolo alla Chiesa corinzia: Paolo chiude la questione in 2Cor 1,15-24, dando le ragioni del suo comportamento. Ma poi cera stato un affronto, clamoroso e pubblico, a Paolo da parte di un innominato offensore (2Cor 7,12; cfr. 2,5-11), probabilmente nel corso di una sua visita lampo a Corinto. E cera stata la reazione di Paolo in una lettera, aspra e severa, in cui lui dice di avere scritto fra molte lacrime (2Cor 2,4): e aveva rattristato non poco i corinzi (2Cor 7,8-13).
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In una situazione cos deteriorata Paolo aveva avuto lidea di mandare a Corinto un uomo dalle notevoli capacit di mediatore: Tito. Tito era andato, aveva probabilmente ascoltato e mediato, e aveva in gran parte ricucito gli strappi con la non facile comunit corinzia. Da parte sua, Paolo aveva ansiosamente atteso il ritorno di Tito: con battaglie allesterno, timori allinterno (2Cor 7,5). Poi era avvenuto lincontro dei due in Macedonia e la consolazione di Paolo: i corinzi avevano preso apertamente posizione contro loffensore, si erano riconciliati con lApostolo. Non tutto era andato a posto, vero. Restava irrisolta la questione dei superapostoli , contro cui Paolo si scaglier negli ultimi quattro capitoli della lettera (2Cor 10-13), cos che egli ora deve ancora scrivere: Spero che capirete interamente, come in parte ci avete gi capiti (2Cor 1,14). Ma le notizie portate da Tito sono per Paolo un insperato sollievo, un balsamo. cos che egli parla di consolazione per ben 10 volte in soli quattro versetti, subito, in apertura della lettera: Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Ges Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perch possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio (2Cor 1,3-7). Anche pi avanti, nel capitolo settimo, torner a parlare di consolazione, cui aggiunge la gioia: Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia (...). Dio, che consola gli afitti, ci ha consolati con la venuta di Tito, e non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli ci ha annunziato infatti il vostro desiderio,
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il vostro dolore, il vostro affetto per me; cosicch la mia gioia si ancora accresciuta (2Cor 7,4.6-7). La lettera paolina della gioia, comunque, la Lettera ai Filippesi. Nei suoi quattro capitoli il vocabolario della gioia afora almeno 15 volte, ed una gioia indisturbata, perch laccordo con i credenti di Filippi senza incrinature. Anzitutto, sono gli stessi lippesi a costituire la gioia e la corona (e cio il vanto e la ricompensa) di Paolo: Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore, carissimi! (Fil 4,1). Nella lettera la gioia di Paolo come quella dei lippesi, poi, grande , piena , e continua: Ho provato grande gioia nel Signore (Fil 4,10); Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carit (Fil 2,2); Accogliete Epafrodito con piena gioia (Fil 2,29); Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia (Fil 1,4), Siate sempre lieti nel Signore. Ve lo ripeto: Siate lieti (Fil 4,4). una gioia cui Paolo invita con insistenza ( Ve lo ripeto ), ed affermata da Paolo con la duplicazione del termine ( Me ne rallegro e continuer a rallegrarmene ) o con laccumulo di due termini ( Sono contento e ne godo ), e coinvolgendo se stesso e i suoi interlocutori ( Ne godo con voi ). Scrive infatti Paolo: Siate sempre lieti nel Signore. Ve lo ripeto: Siate lieti (Fil 4,4); Purch in ogni maniera, per convenienza o per sincerit, il Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuer a rallegrarmene (Fil 1,18); Anche se io devo essere versato sul sacricio e sullofferta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi [del fatto che il lavoro di Paolo presso i lippesi non vano]. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me (Fil 2,17-18).
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Anche la gioia di Paolo, come la paura o la debolezza e il morire quotidiano, ha la sua motivazione sia cristologica sia nellannunzio evangelico: gioia nel Signore ed gioia perch il Cristo viene annunziato, non importa se con il contorno di qualche ipocrisia, n se la fede dei nuovi credenti dovr essere pagata con versamento di sangue.

8. Un direttore dorchestra Da quanto si detto, potrebbe sembrare che Paolo sia un grande, ma anche un isolato. E invece si deve correggere limmagine di lui quale apostolo solitario e incompreso dai contemporanei. Gli era familiare e congeniale invece la missione come atto collegiale 7. Si calcola infatti che abbia coinvolto nella sua opera dai quaranta ai cinquanta collaboratori8 che lo hanno afancato come evangelisti e catechisti, come amministratori ad esempio nellimpresa della colletta per i poveri di Gerusalemme,
7 J. Gnilka, Paolo di Tarso, apostolo e testimone, Paideia, Brescia 1998 (or. ted., Freiburg i.B. 1996), p. 73; P. Gigloni, La missione in san Paolo: teologia e prassi, in Euntes docete 54 (2001) 226-227. 8 Parla di quaranta o cinquanta collaboratori W.H. Ollrog, Paulus und seine Mitarbeiter: Untersuchungen zu Theorie und Praxis der paulinischer Mission, Neukirchener, Neukirchen-Vluyn 1979, p. 1. Invece, E.E. Ellis (Collaboratori, Paolo e i suoi, in G.F. Hawthorne e altri [edd.], Dizionario di Paolo e delle sue lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 1999 [or. ingl., Downers Grove, IL 1993], p. 256) fa lievitare il numero dei collaboratori fino a un centinaio. Rivalutano, poi, limportanza dei collaboratori di Paolo: T. Manjaly, Collaborative Ministry. An Exegetical and Theological Study of synergos in Paul, Asian Trading Corporation, Bangalore 2001; J.A. Loubser, Media Criticism and the Myth of Paul, the Creative Genius, and his Forgotten Co-workers, in Neotestamentica 34 (2000) 329-345 (i collaboratori davano il loro contributo anche alla concezione e stesura delle lettere); D.J. Harrington, The Collaborative Nature of the Pauline Mission, in Bible Today 42 (2004) 201-206.

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come co-mittenti prima nella discussione previa e poi nella stesura delle lettere, come inviati presso le Chiese e come intermediari. La maggioranza erano maschi, ma numerose erano se si tiene conto dello spirito dei tempi anche le donne, circa una quindicina e, quindi, circa un terzo9. Paolo deniva le persone che gravitavano intorno a lui non con il termine di discepolo10, come a dire che si discepoli solo di Ges. Egli preferiva ad esempio lappellativo di synergos che signica letteralmente con-lavoratore, collaboratore 11. Un altro titolo ergate s (lavoratore), termine in cui la radice la stessa di synergos, ma in cui manca il syn-, e cio la preposizione con che completa il concetto di lavoro con quello del lavoro fatto insieme . I termini adelphos e adelphe , fratello e sorella , non sempre ma spesso, designano chi condivide con Paolo il lavoro missionario. Poi Paolo si serviva del termine diakonos, come si visto, e del participio kopiontes, dal verbo kopiao , che signica affaticarsi , lavorare senza risparmio di energie . Paolo era come il perno di una ruota e di quella ruota i raggi erano i collaboratori e le collaboratrici: solo attraverso di loro fu possibile fondare, tenere in vita e rendere a loro volta missionarie tante Chiese in regioni cos lontane e diverse.
9 Cfr. W. Cotter, Womens Authority Roles in Pauls Churches: Countercultural or Conventional?, in Novum Testamentum 36 (1994) 351, nota 2. 10 In greco, mathe te s. Il termine discepolo non ricorre neanche una volta nelle lettere di Paolo, mentre ricorre 73 volte nel Vangelo di Matteo, 46 in quello di Marco, 78 volte in quello di Giovanni, 65 volte nellopera lucana per un totale di 262 ricorrenze neotestamentarie. 11 Cfr. E.E. Ellis, Paul and his Co-workers, in New Testament Studies 17 (1970-1971) 437. Le ricorrenze neotestamentarie del termine collaboratore (synergos) sono 13, e di esse 11 sono nelle lettere di Paolo.

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Di certo, nelle circostanze straordinarie e pi difcili, Paolo sapeva essere un solista, ma nella situazioni pi quotidiane ha fatto dunque il direttore dorchestra. Lo rivelano ad esempio le menzioni dei co-mittenti nei prescritti epistolari. In sette lettere Paolo ricorda chi con lui ha pensato il contenuto della lettera. Nella 1Corinzi il co-mittente Sostene, di cui gli Atti degli apostoli dicono (se si tratta della stessa persona) che era capo della sinagoga di Corinto (At 18,17) e che, quindi, avrebbe poi aderito alla fede annunziata da Paolo. Due volte co-mittente Silvano (in coppia con Timoteo), che era al anco di Paolo n dallinizio del secondo viaggio missionario (At 15,40)12. Silvano, menzionato ben 13 volte nel libro degli Atti degli apostoli (con il nome di Sila) e 3 volte nelle lettere, aveva coadiuvato Paolo almeno nella fondazione delle Chiese di Filippi (At 16,19), di Tessalonica (At 17,4), di Berea (At 17,10) e di Corinto (2Cor 1,19). Il co-mittente per eccellenza per Timoteo: il suo nome compare nelle lettere paoline accanto a quello di Paolo 6 volte su otto: in 1-2Tessalonicesi, nella 2Corinzi, e poi nella Lettera ai Filippesi, nella Lettera ai Colossesi e nella Lettera a Filemone. Manca nella 1Corinzi perch al momento della stesura della lettera era in viaggio proprio alla volta di Corinto (1Cor 4,17; 16,10). Ma quel dettaglio lo dice tanto coinvolto nella vita di quella comunit che, se fosse stato a Efeso, avrebbe certamente contrormato la lettera.
12 In At 15,40 Silvano chiamato Sila, come in tutto il libro degli Atti degli apostoli.

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Paolo non allega alcun nome di co-mittente quando scrive la Lettera ai Romani, probabilmente perch la Chiesa di Roma non stata fondata da lui e allora scrive con tutte le precauzioni del caso, spesso mettendosi alla pari con i romani, pi che sopra di loro. Per rendersene conto basta leggere Rm 1,10-12: Chiedo sempre nelle mie preghiere che per volont di Dio io abbia lopportunit di venire da voi. Desidero infatti ardentemente di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perch ne siate forticati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io . Il caso per noi pi signicativo e illuminante quello del prescritto della Lettera ai Galati dove Paolo non mette nomi ma scrive: E tutti i fratelli che sono con me (Gal 1,2). Il motivo di quellanonimato che, dovendo essere molto severo con i galati, vuole che eventualmente se la prendano solo con lui, e vuole risparmiare ai suoi collaboratori le eventuali ire dei destinatari. Questo dice da un lato che non un isolato dal momento che gode della collaborazione di molti fratelli e, dallaltro, che, se necessario o conveniente, egli sa affrontare le difcolt in solitudine.

Conclusione. Riserve giustificate e riserve ingiuste Questo Paolo. Verrebbe da dire che contraddittorio, ma forse meglio dire che complesso. attivissimo perch si affaticato pi di tutti gli altri apostoli ed anche passivo al massimo, perch si fatto strumento docile nella mano di Dio e del Cristo. grande combattente e lottatore ma, dentro, attraversato da timore e
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trepidazione. debole e umiliato ed , per, strumento potente ed efcace di Dio e del Cristo. violento e sarcastico, ma poi si piega come un giunco allaffetto e alla dolcezza. pervaso di gioia e di consolazione, ed diffusore di gioia, di coraggio e di ducia. Sa combattere in prima persona, ma si circondato di una cinquantina di collaboratori. Per questa sua complessit da sempre Paolo esposto a giudizi disparati, e anche oggi ha critici e nemici anche fra gli studiosi, ma, come prevedibile, in molti siti e blog di Internet. Qualcuno, che ha cercato di psicanalizzarlo a partire dai suoi scritti, ne fa un disturbato psicologicamente e un misogino che non trova dentro di s la capacit di dedicare una sola menzione a sua madre13. Laccusa ingiusta perch della sua famiglia non ricorda n la sorella (cfr. invece At 23,16) n il padre, e invece ricorda la madre, proprio mentre rievoca levento, per lui centrale, di Damasco (Gal 1,15). Anzi, in Rm 16,13 chiama madre mia la madre di un certo Rufo, un credente della comunit romana14. stato poi accusato di antifemminismo e di aver imposto il silenzio alle donne nelle assemblee, mentre egli

13 Nella rete di Internet, ad esempio, Paolo definito noto misogino , il santo pi misogino che ci sia e, addirittura, linventore della misoginia . 14 Sul risvolto materno della personalit di Paolo, cfr. T. Manjaly, Mission as Mothering, in Biblebhashyam 25 (1999) 165-185, che commenta Gal 4,19 ( Figli miei, che di nuovo partorisco nel dolore ), 1Cor 3,1-2 ( Sinora [] ho potuto parlare a voi [] come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non cibo solido ), 1Ts 2,7 (La missione come un accompagnamento, delicato ma fermo, di una madre o di una nutrice); e D. Marguerat, Laptre, mre et pre de la communaut (1 Thessaloniciens 2,1-12), in tudes Thologiques et Religieuses 75 (2000) 373-389 (per parlare di s, Paolo fa ricorso sia allimmagine della madre, sia a quella del padre, per cui dobbiamo modificare lidea, che ci siamo fatta, di lui come uomo rigido e incapace di emozioni e di affetto).

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mette la profezia femminile sullo stesso piano di quella maschile (1Cor 11,4-5)15, lui che scrive: In Cristo (...) non c maschio e femmina (Gal 3,28), e che si circonda di collaboratrici come Prisca, Febe, Evodia e Sintiche, e di almeno una decina di altre apostole del vangelo. Bisogna invece riconoscere che Paolo aveva una dose eccessiva di protagonismo: a Cipro scipp a Barnaba, proprio nella sua terra, la leadership della spedizione apostolica (At 13,5-13). In secondo luogo lui, lautore dellelogio alla carit (1Cor 13), di essa non sempre modello ed esempio: egli che schiaffeggia altri annunciatori del vangelo con i termini offensivi di cani , cattivi operai , castrati (Fil 3,2), falsi apostoli , lavoratori fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo, ma in realt ministri di satana (2Cor 11,13-15) e, con sarcasmo mordace, superapostoli (2Cor 1,5 e 12,11). L egomania , la propensione alla violenza verbale, allepiteto che ferisce, al sarcasmo, alla litigiosit, al vedere nemici dappertutto, anche tutto questo fa parte del ritratto interiore di Paolo16. Senza quella natura un po
15 Cfr. G. Biguzzi, Velo e Silenzio. Paolo e la donna in 1Cor 11,2-16 e 14,33b26, EDB, Bologna 2001; Id., Paolo, un apostolo contro le donne?, in Credere Oggi 24/5 (143, 2004) 95-107; E. Franco, Uguali s, ma diversi: Uomini e donne nellassemblea liturgica (1Cor 11,2-16), in Parole di vita 43/3 (2002) 9-14; P. Pulcinelli, Paolo e le donne nella Chiesa: Febe (Rm 6,1-2); Lidia (At 16,11-15.40), in www.bibbiaonline (Roma 2004). 16 Citando J. Munck, parla di egomania J. Knox, Romans 15,14-33 and Pauls Conception of His Apostolic Mission, in Journal of Biblical Literature 83 (1964) 5. Parla di egocentrismo R.L. Mowery, Egocentricity in the Pauline Corpus, in Ephemerides Theologicae Lovanienses 77 (2001) 103-168 (luso del pronome di prima persona singolare [ io rispetto a noi ] maggiore nelle lettere autentiche che in quelle ritenute pseudepigrafiche). Cfr., comunque, anche G. Barbaglio (Paolo di Tarso e le origini cristiane, p. 72), che scrive: [Paolo] non stato un indifferente, n un uomo misurato. Leccesso fu la sua regola ; e O. Kuss (Paolo. La funzione dellApostolo nello sviluppo della Chiesa primitiva, Edizioni Paoline, Milano 1974 [or. ted., Regensburg 1971], p. 377), che scrive: Il suo carattere non gli ha sempre reso facile una pacifica regolazione delle divergenze .

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tanto aggressiva, per, Paolo non solo non sarebbe stato il persecutore della Chiesa (Gal 1,13...) e del Cristo (At 9,5), ma neanche il convertito e lapostolo di cui parla tutta la storia.

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IV

La logistica apostolica di Paolo

1. I viaggi apostolici

Per portare il vangelo alle genti, Paolo ha viaggiato. Ha


tanto viaggiato da poter essere denito il pi appassionato viaggiatore del suo tempo 1, e si calcolato che per la sua attivit apostolica Paolo abbia percorso qualcosa come 15.000 chilometri2. Di solito allinizio e alla ne delle sue lettere, lui stesso a parlare dei viaggi che ha in programma, ma il testo giustamente pi famoso circa le sue peripezie di predicatore itinerante quello di 2Cor 11: Tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di umi,
1 D.S. Boyer, Da Damasco alla Roma dei Cesari, in M.B. Grosvenor (ed.), Tempi e luoghi della Bibbia, National Geographic Society - Giunti-Martello, Firenze 1978 (s.l. 1967), p. 392. G. Bornkamm (Paolo, Apostolo di Ges Cristo, pp. 65-66) scrive: Non si conosce nessun altro missionario del cristianesimo primitivo che si sia posto delle mete cos lontane e che abbia voluto recare levangelo fino alle estremit della terra . 2 Il calcolo di R.F. Hock, The Social Context of Pauls Ministry. Tentmaking and Apostleship, Fortress Press, Philadelphia (PA) 1987, p. 27. D.S. Boyer, citato qui nella nota precedente, parla di 20.000 chilometri, mentre L.J. Kreitzer (Viaggi nel mondo romano, in G.F. Hawthorne e altri [edd.], Dizionario di Paolo e delle sue lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 1999 [or. ingl., Downers Grove, IL, 1993], p. 1603) scende a 10.000 chilometri.

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pericoli di briganti (...), pericoli nelle citt, pericoli nel deserto, pericoli sul mare (...), disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudit (2Cor 11,23-29). Nelle parole di Paolo le peripezie e i pericoli sono pressoch in eguale misura distribuiti tra viaggi di mare e viaggi di terra, ma bisogna dire che i viaggi in nave erano di per s pi sicuri: erano al riparo dalle imboscate dei predoni, ed erano meno gravosi per il trasporto dei bagagli. Soprattutto, poi, offrivano a Paolo maggiori possibilit apostoliche per la inevitabile convivenza di settimane e settimane sulla stessa nave con persone di ogni estrazione e di ogni paese3. Il tema del viaggio riempie ogni pagina della Bibbia. Abramo viaggi dalla Mesopotamia meridionale no allEgitto. Anche i suoi discendenti hanno viaggiato intensamente, e durante il loro andar raminghi hanno preso moglie e preso marito e generato gli e glie, hanno esperimentato la presenza di Dio, le sue chiamate e le sue rivelazioni, hanno esperimentato loppressione e lo sfruttamento degli uomini, oppure la loro ospitalit, e hanno stretto con loro alleanze tribali, politiche e religiose. Il grande viaggio biblico, il viaggio per eccellenza, quello dellesodo, che in tutto lAntico Testamento evento fondante a cui continuamente ci si richiama. Per i profeti poi

3 Sui viaggi nellantichit, cfr. M. Cimosa, Come si viaggiava ai tempi di Paolo, in Parole di Vita 26 (1981) 225-228; F.F. Bruce, Travel and Communication (NT World), in D. N. Freedman e altri (edd.), The Anchor Bible Dictionary, vol. VI, Doubleday, New York - London-Toronto-Sydney-Auckland 1992, pp. 648653; L.J. Kreitzer, Viaggi nel mondo romano, in G.F. Hawthorne e altri (edd.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999 (or. ingl., Downers Grove [IL] 1993), pp. 1602-1605.

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c lanti-esodo, il viaggio della deportazione e dellesilio verso lAssiria (722 a.C.) e verso la Babilonia (597 e 586 a.C.). Scrive Amos a riguardo di Amasia, sacerdote del santuario di Betel: Ebbene, dice il Signore: (...) La tua terra sar divisa con la corda in pi propriet; tu morirai in terra impura [in Assiria] e Israele sar deportato in esilio, lontano dalla sua terra (Am 7,17), e Osea scrive: Dovranno tornare in Egitto (Os 8,13). Anche per il Nuovo Testamento il viaggio una struttura teologica oltre che narrativa. Luca ad esempio fa del trasferimento di Ges dallalta Galilea verso Gerusalemme un lungo viaggio, denso di incontri e di insegnamenti, a narrare il quale sono necessari ben dieci capitoli (Lc 9,51-19,28), mentre in Marco bastano pochi versetti (Mc 10,32-52). Tutto il libro degli Atti degli apostoli descrive poi il grande viaggio, sia geograco che teologico, che va da Gerusalemme no a Roma, no alle estremit della terra (At 1,8; 13,47; 28,16-31). Dalla duplice opera lucana si possono poi mettere in rilievo due piccoli ma grandi viaggi. Il primo il cammino dei due di Emmaus, che viaggio di riessione sulle Scritture (Lc 24,25-27) e di rivelazione del Risorto al momento dello spezzare il pane (Lc 24,30-31). Il secondo quello di Filippo, uno dei Sette di Gerusalemme: egli salendo sul carro del ministro etiope bellissima metafora legge con lui le Scritture e, a partire dal canto del Servo di Adonay, annunzia allEtiope il Cristo come chiave interpretativa e meta delle Scritture (At 8,30-35), e poi lo battezza (8,36-38). Nella sua itineranza Paolo per non ha nulla in comune con chi nella vicenda anticotestamentaria in cerca di
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una terra in cui abitare, o di mezzi di sopravvivenza, o della propria donna che da scegliere nella trib dorigine. Il viaggiare di Paolo nalizzato allannunzio evangelico. Alla scelta di Paolo non paragonabile neanche quella dei missionari di epoca moderna che generalmente sono attivi a lungo nello stesso luogo, nch non li si destina da unaltra parte, e per i quali il viaggio non riveste alcuna importanza apostolica. Paolo fu sempre per strada, e, come Filippo aveva fatto con lEtiope, nel viaggio evangelizzava. Luca lo presenta cos ad esempio nel viaggio della cattivit: navigando in catene sulla nave che avrebbe dovuto gettare le ancore e svernare a Creta e che invece era oramai alla deriva, egli esorta ed evangelizza i compagni di viaggio e di pericolo (At 27,21-26.33-36). Quella che potremmo chiamare linvenzione del viaggio allo scopo di missione per probabilmente da attribuire non a Paolo ma alla Chiesa di Antiochia di Siria, o meglio a qualcuno dei suoi profeti. Durante unassemblea di digiuno e di preghiera secondo il racconto di Luca Lo Spirito disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per lopera alla quale li ho chiamati (At 13,2). Probabilmente, poi, i leaders e i profeti di Antiochia si erano ispirati al tipo di vita di Ges che non aveva n dimora ssa, n professione, n famiglia, n mezzi di sostentamento, ed era totalmente assorbito dallannunzio del regno di Dio4.
4 Cfr. G. Theissen, Ges e il suo movimento. Analisi sociologica della comunit cristiana primitiva, Claudiana, Torino 1979 (or. ted., Mnchen 1977), pp. 22-28. Alla scelta di Paolo tuttavia non paragonabile neanche quella di Ges, dal momento che Ges non ha mai lasciato la piccola scena siro-palestinese.

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Come inviato della Chiesa antiochena e a anco di Barnaba, Paolo port a compimento quel primo viaggio devangelizzazione. Poi riprese e perfezion per suo conto lidea, indipendentemente dalla Chiesa di Antiochia come si vedr , e quella del viaggio divenne sua condizione di vita e suo strumento di lavoro.

2. Le lingue necessarie a Paolo Fra le altre domande che ci si pu porre a proposito dei viaggi di Paolo e dei luoghi da lui evangelizzati, c anche quella della lingua o delle lingue che lApostolo era nella necessit di usare, perch viaggiare vuol dire incontrare prima o poi difcolt nella comunicazione. Tutte le lettere di Paolo sono scritte in greco, e le sue lettere lasciano intravedere unottima conoscenza della lingua di Omero e di Saffo. Un insigne grecista, U. von Wilamowitz-Mllendorf, ha denito Paolo un classico della letteratura ellenistica perch nel suo tempo nessuno pi di lui avrebbe fatto della lingua greca uno strumento cos malleabile ed efcace per affrontare i problemi dellesistenza e dellattualit5. Il greco, conosciuto pi o meno bene, era comunque indispensabile per chi, come Paolo, voleva condurre unattivit internazionale, soprattutto se quellattivit faceva perno sulla parola e, anzi, sulla precisione delle parole.
5 U. von Wilamowitz-Mllendorf, Die griechische Literatur des Altertums, in Id., Die Kultur der Gegenwart, voll. I-VIII, Teubner, Leipzig 19244, p. 279 (citato da molti commentatori, come ad esempio da K.-H. Schelkle, Paolo. Vita, lettere, teologia).

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Nel libro degli Atti degli apostoli Luca dice che da ragazzo Paolo stato alla scuola di Gamaliele (At 22,3). Ci signica che a Gerusalemme Paolo ha appreso (o perfezionato) laramaico come lingua veicolare e lebraico come lingua delle Scritture sulle quali era andato a istruirsi da tanto maestro. Fra laltro, in due diversi episodi, Luca ha modo di dirci che Paolo padroneggiava bene laramaico. Il primo testo quello della cosiddetta conversione di Damasco dove il Cristo si rivolge a lui in lingua ebraica, e cio, con ogni probabilit, in aramaico: Io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: Saulo, Saulo, perch mi persguiti? (At 26,14). Ancora pi signicativa linformazione che Luca ci d mentre racconta le circostanze in cui Paolo a Gerusalemme fu arrestato. Al sospetto che Paolo avesse profanato la zona sacra del tempio introducendovi Trmo, un cristiano di origine pagana, la folla insorse, si impadron di Paolo e si diede a un vero e proprio pestaggio che fu per fermato in tempo dalla guarnigione romana di stanza nella caserma adiacente al tempio (At 21,31-32). Mentre veniva portato al sicuro nella fortezza Antonia, Paolo chiese di poter parlare ai tumultuanti. Luca precisa allora che egli si rivolse alla folla parlando in ebraico (At 21,40; cfr. anche 22,2), e cio, questa volta senzalcun dubbio, in aramaico, che era la lingua parlata a Gerusalemme in quel tempo. Paolo dunque era almeno trilingue. Ma ci sono buoni motivi per credere che conoscesse anche il latino, quantunque al riguardo non si abbia da nessuna parte alcuna affermazione esplicita, per cui bisogna fare opera di supposizione e di deduzione.
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Si pu pensare che Paolo si sia dedicato allapprendimento del latino ad esempio durante i due anni di carcerazione di Cesarea Marittima (At 24,27) dove lavevano portato per sottrarlo alle insidie di quei giudei che a Gerusalemme avevano fatto giuramento solenne di non toccare cibo o bevanda sino a che non lavessero ucciso (At 23,12). Essendo sotto custodia romana, a Cesarea Paolo aveva bisogno del latino per intendersi con i suoi custodi. Quando poi il governatore Festo gli propose di farsi giudicare a Gerusalemme, lApostolo si affrett ad appellarsi allimperatore, e cio a farsi trasferire e giudicare a Roma. Cos, dopo un travagliatissimo viaggio, egli giunse nella capitale dellimpero e l pass un altro biennio in catene (At 28,30). Se non gi a Cesarea, almeno a Roma Paolo deve essersi messo ad apprendere il latinorum, se voleva comunicare con lambiente e se voleva approttare del carcere per annunziare il vangelo, come aveva fatto nel carcere da cui scrisse la Lettera ai Filippesi (1,12-13). C di pi. Immediatamente prima di andare a Gerusalemme, dove poi fu arrestato come s detto, Paolo era stato a Corinto e di l aveva scritto ai Romani. In quella grande lettera egli manifesta il desiderio di raggiungere Roma, ma Roma per lui solo una tappa intermedia per avventurarsi nellevangelizzazione della Spagna: Spero di vedervi, di passaggio, quando andr in Spagna, e di essere da voi aiutato a recarmi in quella regione (Rm 15,23); Quando avr consegnato quello che stato raccolto [la colletta alla Chiesa di Gerusalemme], partir per la Spagna, passando da voi (Rm 15,28). E qui il problema della lingua latina si ripropone per la terza volta.
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A Roma erano molti, soprattutto nelle classi elevate, che sapevano il greco: in ogni casa patrizia o comunque benestante cera uno schiavo venuto dalla Grecia che insegnava quella lingua ai rampolli di famiglia, perch lalta societ esigeva il greco, come oggi chiede studi universitari. Di fatto a Roma il greco rimase la lingua delle Scritture e della liturgia cristiana no a circa il 180 d.C. Il primo scrittore cristiano a scrivere in latino, pur conoscendo bene anche il greco, fu Tertulliano, nel 200 circa. Ma la Spagna non era Roma. Lo storico e geografo Strabone di Amaseia dice che in Spagna il latino aveva soppiantato i dialetti locali ed era divenuto lingua pressoch unica6. Non per nulla dalla Spagna quasi completamente latinizzata vennero scrittori come L. Anneo Seneca (Corduba, oggi Cordova, 4 a.C. - 65 d.C.), Marco Anneo Lucano (Corduba, 39-65 d.C. circa), Marco Valerio Marziale (Bilbilis, oggi Cerro de Bambla presso Tarragona, 40-104 d.C. circa), Marco Fabio Quintiliano (Calagurris, oggi Calahorra, 35-110 d.C. circa), e imperatori del calibro di Traiano (Italica, oggi Santiponce presso Siviglia, 53117 d.C.), di Adriano (Italica, 76-138 d.C.), e di Marco Aurelio (121-180 d.C.), oriundo di Ucubis, nella Betica, lattuale Andalusa. Paolo era un programmatore troppo esigente con se stesso e stratega troppo lucido per non avere valutato a dovere limportanza del latino, sia in ordine allevangelizzazione in s stessa, sia soprattutto quando sent di non aver pi campo dazione nella parte orientale dellimpero e di dover puntare oramai su Roma e sulla Spagna.
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Strabone, Geografia 3,2,15.

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Insomma, le esigenze apostoliche e quattro anni in due diverse carceri dove si parlava la lingua di Roma, ci chiedono di immaginare Paolo alle prese prima con lalfabeto latino, diverso sia da quello greco che da quello ebraico-aramaico, e poi con le declinazioni e le coniugazioni, e poi ancora con qualche scritto ad esempio del grande Cicerone o del contemporaneo Seneca. E forse avr sorriso quando si rese conto che Paulus, o Paullus, in latino voleva dire piccolo . O, se gi lo sapeva, ora lo esperimentava in diretta, dal vivo. Chiss quante variet di lingue vi sono nel mondo (...) ma, se non ne conosco il senso, per colui che mi parla io sono uno straniero, e chi mi parla straniero per me . Chi ha scritto queste parole non qualche glottologo o linguista dei nostri tempi, n il direttore di una scuola dinglese o di tedesco. invece sempre il nostro Paolo (1Cor 14,10-11), il quale sapeva per esperienza quale ostacolo fosse lignoranza di una lingua. A Listra la gente aveva gridato in dialetto licaonico: Gli di sono scesi fra noi in gura umana! , e si stavano per offrire sacrici a Barnaba e a lui, come fossero due divinit comparse sotto aspetto umano (At 14,11ss). Che bestemmia per lApostolo! E tutto per un dialetto non conosciuto. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carit... : anche queste sono parole di Paolo, come ben si sa. In 1Cor 13,1 Paolo dice dunque che n le lingue degli uomini n quelle degli angeli sono qualcosa a confronto con lamore. Ma, fatta salva la carit, Paolo certamente non disdegnava le lingue degli uomini, neanche quella di Roma, signora del mondo.
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Ogni uomo o donna in genere, ma soprattutto quelli che viaggiano, tanto valgono per quante sono le lingue che sanno intendere e parlare. Nella strumentazione di Paolo come apostolo e come comunicatore, certamente cerano anche le molte lingue conosciute e parlate, e anche nel campo delle lingue egli deve aver superato tutti gli evangelisti del suo tempo, lui che, mettendosi a confronto con essi, dice di s: Io ho faticato pi di tutti loro (1Cor 15,10).

3. Il primo approccio nella sinagoga e nella piazza I viaggi di Paolo lo portavano in citt e regioni spesso nuove. E farsi accettare in un ambiente nuovo, mentre si porta un messaggio anchesso nuovo, non mai facile. Contrariamente a quello che potremmo ingenuamente supporre, non era facile neanche per Paolo e per il suo tempo: sia le sue lettere che gli Atti degli apostoli lo dicono con tutta chiarezza. Gli Atti degli apostoli dicono che Paolo da Antiochia di Pisidia fu cacciato (At 13,50), che a Listra fu lapidato (At 14,19; ma cfr. anche 14,5, per Iconio), e che fu prudente per lui allontanarsi magari di notte (At 17,10) da Tessalonica (At 17,10), da Berea (At 17,14) o da Efeso (At 20,1). Paolo dice poi, ad esempio, di avere avuto da Dio il coraggio di annunziare il vangelo a Tessalonica in mezzo a molte lotte e dopo avere subito oltraggi a Filippi (1Ts 2,2), e dice di essere andato a Corinto in preda a molto timore e molta trepidazione (1Cor 2,3). Per questo, a partire da un dettaglio narrativo di At 17 circa il
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soggiorno di Paolo ad Atene, vogliamo ora discutere sul come Paolo trovava il modo di fare lannunzio cristiano, e in particolare sui luoghi o sui locali in cui gli riusciva di farlo. I luoghi in cui Luca ambienta lattivit ateniese di Paolo sono tre: la sinagoga (At 17,17), la piazza cittadina (ancora At 17,17), e lAreopago (cfr. At 17,19.22), dove Paolo fu portato da quelli che aveva incontrato in piazza e che volevano ascoltare in posto pi conveniente le strane cose che diceva. Lasciamo dunque da parte lAreopago che, come luogo dannunzio, non fu scelto da Paolo. Restano la sinagoga e la piazza. Per i missionari cristiani la sinagoga era una scelta obbligata: nelle citt dellarea mediterranea, che erano a grande prevalenza pagana, andare nella sinagoga voleva dire trovare credenti nel Dio dIsraele, che conoscevano le Scritture ebraiche, e che condividevano con gli ebrei della madrepatria le attese messianiche. In At 13,14-52 Luca narra per esteso, a titolo desempio per i suoi lettori, la visita di Paolo e Barnaba alla sinagoga di Antiochia di Pisidia, riportando addirittura lomelia che Paolo vi tenne. Generalmente i giudei, come accadde appunto anche ad Antiochia, dopo le prime battute mettevano Paolo a tacere, quando addirittura non riuscivano a farlo cacciare dalla citt. Quelli, invece, che aderivano in gran numero allannunzio di Paolo erano i cosiddetti timorati di Dio (cfr. ad esempio At 17,4)7.
7 Circa i timorati di Dio , cfr. J. Sievers, Lo status socio-religioso dei proseliti e dei timorati di Dio, in Ricerche Storico Bibliche 8 (1996) 183-196; B. Wander, Timorati di Dio e simpatizzanti. Studio sullambiente pagano delle sinagoghe della diaspora, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002.

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Provenendo dal politeismo, essi chiedevano alla sinagoga la fede monoteistica e lelevatezza etica, ma non erano disposti ad andare no in fondo nel giudaismo col sottoporsi alla circoncisione e, quindi, allosservanza dellintera legge mosaica. Erano soprattutto essi che aderivano a Paolo proprio perch egli dava loro tutto quello di cui erano alla ricerca e non chiedeva quello che non gradivano: n circoncisione, n osservanza integrale della legge. Era cos che, in genere, si creava il primo nucleo delle comunit paoline. Ma nel suo zelo apostolico Paolo si rivolgeva anche ad altri ambienti e frequentava anche altri luoghi, oltre che la sinagoga. Secondo At 17,17 ad Atene lalternativa alla sinagoga fu la piazza del mercato. Bisogna subito dire che un tale approccio non poteva non avere le sue difcolt. Ammesso, comunque, che dalla piazza venisse fuori un bel drappello di persone, interessate non solo ad ascoltare Paolo pi a lungo o per una seconda volta, ma desiderose di una catechesi sistematica per aderire pienamente alla fede, dove ci si sarebbe riuniti da allora in poi? Ad Atene era stato Socrate, ad esempio, a fare della piazza il luogo del suo insegnamento8 ma, sempre ad Atene, il suo discepolo Platone insegnava nellAccademia, Aristotele insegnava nel Liceo, e gli stoici, come dice il loro nome, insegnavano nella sto, o portico colonnato e coperto9.

8 Platone nellApologia di Socrate fa dire al suo maestro: Mi ascolterete fare la mia difesa con quegli stessi discorsi che sono solito pronunziare anche sulle piazze davanti ai banchi dei cambiavalute, dove molti di voi mi hanno ascoltato (Platone, Apologia di Socrate 17C). 9 Accademia deriva da Academo, il padrone degli orti lungo il fiume Cefiso, presso Atene, nei quali sorse la scuola platonica. Il Liceo era invece un complesso di edifici che sorgevano sul terreno sacro ad Apollo Licio e alle muse,

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Quanto a Socrate, appena egli si presentava in piazza, era cos conosciuto che subito veniva accerchiato da discepoli e da curiosi, come lo sarebbe oggi un conduttore televisivo o un calciatore di serie A. Non la stessa cosa se in piazza si presenta chiunque altro che non famoso e che non compare mai in Tv: come oggi, anche allora la piazza non si conquistava facilmente. E questo era vero anche per Paolo. Per la piazza Paolo era nessuno. I suoi titoli erano solo due, e tutti e due erano di nessuna rilevanza per il pubblico mercato: dal punto di vista religioso era un giudeo e come tale era accolto e ascoltato in sinagoga ma non in piazza, e poi era lavoratore del cuoio e come tale poteva farsi un pubblico fra gli eventuali clienti ma, anche qui, non in piazza. Insomma Paolo and in piazza ad Atene dopo essere stato in sinagoga, probabilmente perch non intendeva fermarsi nella metropoli, e quindi non aveva messo su bottega. Proprio la bottega, per, era una delle migliori alternative per la sua attivit apostolica, oltre che la sinagoga cittadina10.
subito fuori da Atene. Aristolele vi aveva fatto sorgere un vero e proprio istituto di ricerca nelle cui biblioteche, con manoscritti, carte geografiche e oggetti per le lezioni di zoologia, il maestro guidava i discepoli nello studio. Infine, la sto, o portico, che diede il nome alla scuola stoica la stoa poikile (portico dipinto) dellagor di Atene, che era di per s destinata al pubblico passeggio ma che fu usata dagli stoici per il loro insegnamento. 10 Cfr. soprattutto R.F. Hock, The Workshop as a Social Setting for Pauls Missionary Preaching, in The Catholic Biblical Quarterly 41 (1979) 438-450; Id., The Social Context of Pauls Ministry; P. Lampe, Paulus - Zeltmacher, in Biblische Zeitschrift 31 (1987) 256-261. T.D. Still (Did Paul Loathe Manual Labor? Revisiting the Work of Ronald F. Hock on the Apostles Tentmaking and Social Class, in Journal of Biblical Literature 135 [2006] 781-795) non concorda con R.F. Hock nel ritenere che Paolo venisse da una classe alta e che, come aristocratico, detestasse il lavoro manuale cui, per amore del vangelo, aveva scelto di dedicarsi. Per la teologia paolina sul lavoro, cfr. A. Gieniusz, Paolo: Lavorare con le proprie mani e compiere fatiche apostoliche, in Parola Spirito e Vita 52 (2005) 175-196.

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4. I contatti personali nella bottega di lavoro Di fatto, pi volte Paolo dice di mantenersi col lavoro delle proprie mani, e doveva trattarsi di un lavoro che non poteva essere fatto allaperto, perch ad esempio ai tessalonicesi egli ricorda di avere lavorato notte e giorno (1Ts 2,9), e di notte non si pu lavorare sul marciapiede11. Se letta per intero, la frase di Paolo ci dice anche che lavoro e annunzio evangelico per lui andavano di pari passo: Voi ricordate il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno, vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio . Dunque, di giorno forse anche allaperto, ma di notte al lume della lanterna allinterno della bottega, Paolo accoglieva le persone toccate dalla sua parola, e formava i leader con insegnamenti personalizzati, dando loro direttive per quando, andandosene, avrebbe loro afdato la conduzione della comunit, o di una delle comunit cittadine. Pi in particolare, che Paolo lavorasse il cuoio lo si ricava da At 18,3 dove si dice che si mise a lavorare con Aquils e Priscilla i quali erano ske nopoioi, e cio fabbricatori (-poioi) di tende (ske ne -) . Quanto alla bottega di

11 Da notare la sequenza di notte e giorno , con la notte in prima posizione. Cfr., ad esempio, G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, p. 59: Se il lavoro manuale gli ha sottratto tempo prezioso, si deve riconoscere che, dopo tutto, lavorando in questa o in quella bottega, come trasferendosi in nave da una citt allaltra, non gli mancavano le occasioni dincontro e di conversazione. Ecco un aspetto, minore ma non trascurabile, della sua missione evangelica: propaganda capillare, a tu per tu, nel contesto di una comunanza di vita e di lavoro . Guadagnandosi da vivere con il suo lavoro, Paolo perseguiva tre scopi: non voleva pesare sulle comunit che andava fondando, intendeva facilitare levangelizzazione, e intendeva proporre agli altri il suo esempio (cos S. Lgasse, Ministre apostolique et travail profane selon Paul, in Laurentianum 30 [1998] 473-483).

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Aquils o quelle che Paolo poteva afttare, larcheologia ci aiuta a immaginarle perch ne ha messe in luce in gran numero lungo le strade delle citt ellenistiche, e attorno alle piazze e ai mercati. Sono piccoli monolocali, in genere a pianterreno: solo raramente una scala dal fondo del vano conduce al piano superiore, dove magari era il deposito delle merci o dei manufatti. Ma sinagoga e bottega non bastano per illustrare lattivit missionaria delle origine cristiane. Unaltra possibilit erano locali presi in aftto. Un testo degli Atti degli apostoli ci dice che Paolo aftt una scuola, il cui proprietario era un certo Tiranno (At 19,9). Si trattava di una di quelle sale dove un maestro istruiva a pagamento i gli dei ricchi e dei benestanti12. Qualche secolo pi tardi, aftter locali simili per la sua scuola di retorica a Cartagine e a Roma, quellAgostino di Tagaste che si convertir al cristianesimo a Milano e che poi sar poi vescovo dIppona. Fra laltro nelle Confessioni egli parler delle tende che, appese alla porta delle scuole, avrebbero dovuto evitare agli studenti le distrazioni della strada: Pendono tende sulle porte delle scuole di grammatica, ma servono pi a coprire gli errori che vi si commettono che non a indicare limportanza del raccoglimento 13. Anche la scuola di Tiranno avr avuto sulla porta la sua bella tenda, e se anche non fu Paolo a intrecciarla, certo sarebbe stato capace di farlo.
12 Il manoscritto biblico che tecnicamente si indica con la sigla D , o codice di Beza, ricopiato nel secolo V e ora conservato a Cambridge, il quale si distingue dagli altri per i frequenti ampliamenti introdotti qua e l nel testo degli Atti degli apostoli, aggiunge anche qui una nota di colore, precisando che laffitto andava dallora quinta alla decima di ogni giorno. 13 Agostino, Confessioni 1,13 (Agostino, vescovo di Ippona, 354-430 d.C.).

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Ma non basta ancora. La menzione di una scuola presa in aftto per lattivit efesina di Paolo isolata, cos come la menzione della piazza per la sua attivit ateniese. E lambiente di cui resta da parlare, il pi importante di tutti, la casa privata.

5. Le riunioni nelle case private Nellepoca ellenistico-romana le case private erano spesso centri di attivit culturali o perch i maestri davano lezione in casa propria, o perch famiglie agiate si pregiavano di ospitare le conferenze di loso o retori o letterati di fama. Limperatore-losofo Marco Aurelio (121-180 d.C.) ad esempio continu a frequentare le lezioni del suo maestro Apollonio di Calcedonia nella sua povera casa anche dopo essere stato adottato dallimperatore Antonino Pio. Linvito era fatto dagli organizzatori o anche dagli stessi conferenzieri bussando alla porta di un amico o mandando uno schiavo a noticare liniziativa, oppure con un invito scritto del tipo: Vieni a sentire la conferenza che far questa sera a casa di Quadrato 14. Talvolta la conferenza avveniva nel quadro di un convito: era il famoso simposio15.

14 Cfr. S.K. Stowers, Social Status, Public Speaking and Private Teaching: The Circumstances of Pauls Preaching Activity, in Novum Testamentum 26 (1984) 66, che trae la citazione da Epitteto, Dissertazioni 3,23,23 (Epitteto di Gerapoli [Frigia], circa 55-135 d.C.). 15 Symposion, in greco significa bere assieme alla stessa tavola . Nelle regole poste a fondamento del suo Liceo ateniese Aristotele chiedeva ai suoi discepoli di riunirsi a simposio una volta al mese.

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Quanto a Paolo, le fonti antiche lo mettono in relazione con le case private molto spesso, a volte dando i nomi e i cognomi di coloro che lo ospitavano: a Filippi fu invitato a casa sua da Lidia (At 16,14-15); a Tessalonica fu ospite di Giasone (At 17,5); cacciato dalla sinagoga, a Corinto trov ospitalit in casa di Tizio Giusto (At 18,7); a Troade pass tuttuna notte in un appartamento al terzo piano per spezzare il pane con la comunit locale e per una lunga catechesi (At 20,7-12); a Cesarea Marittima fu ospite di Filippo (At 21,8-15)... A volte Paolo stesso a parlare della casa come luogo di riunione e di evangelizzazione: nel saluto che al porto di Mileto rivolse ai capi della comunit efesina egli dice di essersi occupato della loro formazione intrattenendosi con loro nelle loro case (At 20,20), e nelle sue lettere, poi, ha modo di menzionare come luogo di riunione la casa di Prisca e di Aquils (Rm 16,5; 1Cor 16,19) e quella di Ninfa (Col 4,15), mentre al momento di scrivere la Lettera ai Romani ospite a Corinto di un certo Gaio (Rm 16,23). Doveva trattarsi delle case dei cristiani benestanti, e cio delle case che, per le catechesi e per la santa cena, potevano ospitare no a venti o trenta persone16. La casa era per lui una via obbligata perch dalle sinagoghe, prima o poi, veniva espulso, e perch nelle piazze non aveva nome n status per imporsi. La casa privata, inoltre, non esponeva il vangelo al giudizio superciale e
16 J. Murphy-OConnor, Les glises dans les maisons et leucharistie, in Id., Corinthe au temps de saint Paul daprs les textes et larchologie, Du Cerf, Paris 1986 (or. ingl., Wilmington [DE] 1983), pp. 237-245. D. Jongkind (Corinth in the First Century AD: The Search for Another Class, in Tyndale Bulletin 52 [2001] 139-148) dellopinione che nella Corinto rifondata dai romani vi erano molte tipologie di case, non solo due, quelle dei poveri e quelle dei ricchi.

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non controllabile dei passanti nella pubblica piazza, ma permetteva un uditorio scelto e preparato. Paolo insomma era attivo giorno e notte, e preferibilmente nella sua bottega di lavoratore del cuoio per la quale pagava laftto, e poi nelle case private. Un Paolo, dunque, tutto casa e bottega17.

6. Presenza per mezzo di collaboratori o presenza in spirito La ripresa del viaggio da parte di Paolo privava della sua presenza le comunit che di volta in volta andava lasciandosi alle spalle. Luca negli Atti degli apostoli addirittura ci descrive uno degli addii, quello ai presbiteri della comunit efesina al porto di Mileto dove Paolo li aveva convocati (At 20,17-38). Dopo avere riportato il lungo e toccante discorso di Paolo che ha il sapore di un testamento18, Luca scrive: Dopo aver detto questo, si inginocchi con tutti loro e preg. Tutti scoppiarono in pianto e, gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano, addolorati soprattutto perch aveva detto che non avrebbero pi rivisto il suo volto. E lo accompagnarono no alla nave (At 20,36-38). Il problema che per Paolo si poneva era quello di come continuare a restare in contatto con le comunit

17 Per tutto questo paragrafo, cfr. S.K. Stowers, Social Status, Public Speaking and Private Teaching: The Circumstances of Pauls Preaching Activity, in Novum Testamentum 26 (1984) 59-82; e cfr. anche G. Biguzzi, Un Paolo tutto casa e bottega, in Eteria 3/10 (1998) 40-44. 18 Cfr. il titolo di J. Dupont, Il testamento spirituale di Paolo. Il discorso di Mileto (Atti 20,18-36), Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1992 (or. fr., Paris 1962).

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anche dopo la sua partenza e di come continuare a seguirne le vicende. Anzitutto egli lasciava dei responsabili al suo posto, come fece quella volta a Mileto per la Chiesa di Efeso. Scrivendo ai corinzi ha modo di dire, ad esempio, di quelli della famiglia di Stefans che hanno dedicato s stessi a servizio dei santi (1Cor 16,15). LApostolo non denisce con alcun termine il ruolo di Stefans e della sua famiglia, e titoli gerarchici aforano molto raramente nel dettato esplicito delle lettere paoline come per eccezione e per nostra fortuna avviene in apertura della Lettera ai Filippesi nella menzione di episcopi e diaconi (Fil 1,1). Nessuno sa che cosa a quel tempo possano avere signicato quei due termini che, con laggiunta del termine presbitero, ritorneranno poi nel vocabolario delle Pastorali19. Lunica luce pu venire allora dalla lologia e dalletimologia. Nella lingua greca il termine diacono designa colui che al servizio: il servo in casa, e il ministro in un tempio. Lorigine della parola incerta ma spesso la sua seconda componente -konos viene messa in relazione con i sostantivi konis, koniortos che signicano polvere , mentre il verbo koneo signica in greco sollevo la polvere e quindi mi affretto . Da tutto ci si ricava che il diacono colui che solleva un gran polverone per lo zelo con cui esegue il suo incarico. Il termine episcopo invece composto dalla preposizione epi- che vuol dire sopra e dal verbo -skopeo che signica guardare , osservare , come lasciano intendere molti nostri ter19

Cfr. 1Tm 3,2.8.12; 5,17-19; Tt 1,5.7.

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mini dotti quali periscopio, telescopio, microscopio, eccetera. Di conseguenza, nella comunit di Filippi i diaconi dovrebbero aver svolto funzioni di servizio, e invece gli episcopi la funzione pi dirigenziale del sorvegliante o sovrintendente. Di solito si trattava di neoti, e cio di cristiani che avevano alle spalle pochi anni di vita cristiana. Per questo molto pi spesso Paolo parla di collaboratori che egli dal suo quartier generale invia alle varie comunit. Non per nulla da Atene manda Timoteo a Tessalonica (1Ts 3,2.6), cos come pi tardi lo mander a Corinto da Efeso (1Cor 4,17; 16,10) e a Filippi da non si sa quale carcere (Fil 2,19). A Filippi Paolo invia anche Epafrodito (Fil 2,25), e a Corinto manda (o, meglio, vorrebbe inviare) Apollo (1Cor 16,12), Tito, e due fratelli anonimi (2Cor 9,3-5; 12,18), cos come a Roma mander la diaconessa Febe (Rm 16,1-2). Di questi inviati speciali Paolo tesse spesso le lodi ed elenca i titoli che essi si sono meritati sul campo di lavoro e di battaglia. Di Febe dice: Vi raccomando Febe, nostra sorella, che al servizio della Chiesa [in greco, diakonon te s ekkle sias] di Cencre. Accoglietela nel Signore (...), e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di voi. Anchessa infatti ha protetto molti, e anche me stesso (Rm 16,1-2). Di Timoteo: Abbiamo inviato Timoteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo (1Ts 3,2); Vi ho mandato Timoteo, che mio glio carissimo e fedele nel Signore (1Cor 4,17); Spero di mandarvi presto Timoteo (...): non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti e prenda sinceramente a cuore ci che vi riguarda. Tutti in realt cercano i propri
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interessi, non quelli di Ges Cristo. Voi conoscete la buona prova da lui data, perch ha servito il vangelo insieme con me, come un glio con il padre (Fil 2,19-22). Presentazioni come queste devono ovviamente predisporre tutti a unaccoglienza senza riserve. E tuttavia, sorprendentemente, Paolo non dice mai che qualcuno di quei collaboratori verr a Corinto o a Filippi al suo posto. Sono suoi collaboratori, lo rendono presente in sua assenza, ma i suoi inviati non sono lui stesso20. Ai corinzi scrive anzi: Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono [soltanto] io che vi ho generati in Cristo Ges mediante il vangelo (1Cor 4,15). per questo che altre volte scavalca del tutto i suoi collaboratori, i pedagoghi e gli intermediari, e afferma di farsi presente in spirito . Il caso pi noto quello dellincestuoso di Corinto. Paolo dice di avere gi giudicato luomo che, convivendo con la donna di suo padre, minava lo spirito evangelico della comunit cristiana dal suo stesso interno, con una immoralit disapprovata addirittura dagli stessi pagani. Per questo, in 1Cor 5,4 egli annunzia per lettera che sar presente in spirito (en pneumati) quando la comunit corinzia consegner lincestuoso a satana. A questo episodio e a questa convinzione di Paolo di potersi fare presente in spirito , fa eco la Lettera ai Colossesi con lespressione: Anche se sono lontano con il corpo, sono per fra voi con lo spirito (Col 2,5). Si tratta di una presenza forte: sorprendente20 Paolo dice invece di Onesimo a Filemone: Accoglilo come me stesso (Fm v. 17), ma la relazione di Paolo con Onesimo si colloca in tuttaltro campo.

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mente pi forte di quella che Paolo otteneva con linvio di collaboratori e, a quel che sembra di poter dire, in poco o nulla differente dalla presenza sica. Quando assente sicamente, inne, Paolo sente di farsi presente anche con le lettere. Ma della lettera paolina quale strumento di comunicazione bisogna parlare a lungo, in un capitolo a parte.

Conclusione. Comunicare oltre limpossibilit della presenza fisica Paolo preferiva essere presente di presenza sica. Lo dice ai cristiani di Tessalonica: Quanto a noi, fratelli, per poco tempo privati della vostra presenza, di persona ma non con il cuore, speravamo ardentemente, con vivo desiderio, di rivedere il vostro volto. Perci io, Paolo, pi di una volta ho desiderato venire da voi, ma satana ce lo ha impedito (...). Per questo, non potendo pi resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene e abbiamo inviato Timoteo (1Ts 2,17-3,2). Lo dice ai galati: Vorrei essere vicino a voi in questo momento, e cambiare il tono della mia voce, perch sono perplesso a vostro riguardo (Gal 4,20). E glielo fa dire lautore di 2Tm: Sento la nostalgia di rivederti, per essere pieno di gioia (1,4). Ma quando il carcere (2Timoteo), o satana (1Tessalonicesi), o motivi che Paolo non esplicita (Galati) rendono impossibile la sua presenza sica, allora lApostolo ha modi e strumenti alternativi di presenza. Alcuni si collocano anchessi sul piano sico: invece di lui, vanno sicamente Timoteo o Tito o Apollo, oppure vanno un fratello o una
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sorella a portare una lettera. Altre volte invece Paolo dice di farsi presente di una presenza spirituale che ben di pi che una vicinanza semplicemente psicologica. Ai primi modi alternativi di presenza tutti fanno ricorso comunemente e quotidianamente ad esempio nellambito del commercio, o dellamministrazione, ma non allultimo. nel Cristo e attraverso la comune appartenenza a lui che Paolo e i corinzi, pur distanti quanto distante Efeso da Corinto, sono insieme presenti nellatto in cui devono afdare a satana lincestuoso per espellere il fermento che corrompe gli azzimi (1Cor 5,6-8), per salvaguardare lo spirito evangelico nella Chiesa di Corinto e distruggere, invece, la carne (1Cor 5,5)21. E allora bisogna pensare che tutte le diverse forme paoline di presenza vadano intese come concretizzazione della dimensione pneumatica ed escatologica della vita cristiana. Paolo sapeva bene che il Risorto poteva manifestarsi a lui a Damasco cos come si era manifestato ai dodici a Gerusalemme o in Galilea o, in modi e circostanze sempre diverse, a cinquecento fratelli, o a Giacomo, o a tutti gli apostoli (1Cor 15,5-8).
21 In 1Cor 5,5 Paolo non intende parlare della distruzione della carne dellincestuoso, n della salvaguardia del suo spirito, ma della distruzione della mentalit carnale di cui lincestuoso rappresenta un pericoloso focolaio a Corinto, e della salvaguardia dello spirito evangelico in quella stessa comunit. Nelle versioni CEI 1975 e 1997 laggettivo possessivo suo ( A rovina del suo corpo e di Affinch il suo spirito possa essere salvato ) aggiunto, mancando nel testo greco tutte e due le volte. Nella versione CEI del 2008 laggettivo possessivo omesso, ma resta difficile non riferire carne e spirito allincestuoso ( Questo individuo venga consegnato a satana a rovina della carne, affinch lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore ). Cfr. A. Yarbro Collins, The Function of Excommunication in Paul, in Harvard Theological Review 73 (1980) 251-263; e G. Biguzzi, In interitum carnis (1Cor 5,5), in S. Grasso - E. Manicardi (edd.), Generati da una parola di verit (Gc 1,18). Scritti in onore di Rinaldo Fabris nel suo LXX compleanno (Supplementi a Rivista Biblica 47), EDB, Bologna 2006, pp. 251-259.

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Era dunque lubiquit e luniversale signoria del Cristo risorto che si esprimeva attraverso lApostolo suo inviato, e attraverso i suoi molteplici modi di presenza sica e pneumatica.

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La lettera apostolica e laltra met del dialogo

1. I giochi dellIstmo e la spedizione della posta

cedone (At 16,9), Paolo aveva poi dovuto andarsene dalla Macedonia: prima da Filippi (At 16,40), poi da Tessalonica (At 17,10) e poi da Berea (At 17,13-14). probabilmente in questo frangente del secondo viaggio che Paolo pens di dirigersi verso Roma. Nella Lettera ai Romani, scritta da Corinto alla ne del terzo viaggio, Paolo infatti dir di avere gi in precedenza tentato di raggiungere la capitale dellimpero: Non voglio che ignoriate, fratelli, che pi volte mi sono proposto di venire no a voi, ma nora ne sono stato impedito (Rm 1,13); Fui impedito pi volte di venire da voi (Rm 15,22). Nella stessa Lettera ai Romani dice anche di essersi spinto no allIlliria (Rm 15,19), e cio di essere andato no alla costa adriatica, ben oltre Berea, che a neanche un centinaio di chilometri dallEgeo. Almeno uno di quei tentativi va dunque probabilmente collocato tra levangelizzazione della Macedonia e quella di Atene e Corinto, in quel secondo viaggio1.
1 W. Marxsen (La Prima Lettera ai Tessalonicesi. Guida alla lettura del primo scritto del Nuovo Testamento; Claudiana, Torino 1988 [or. ted., Tbingen 1971], p. 14) fa lipotesi che, mentre stava per imbarcarsi per Brindisi e per la via Appia, Paolo desistette dal dirigersi verso Roma essendo venuto a sapere delleditto dellimperatore Claudio che comandava lespulsione dei giudei da Roma (cfr. At 18,2).

Chiamato in Macedonia dalla visione notturna di un ma-

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Impedito anche di tornare a Tessalonica (1Ts 2,18), Paolo punt allora su Corinto. Per O. Broneer il motivo principale che spinse Paolo alla scelta di Corinto pi che di Atene, furono i giochi dellIstmo del 51 d.C.2, giochi che si tenevano ogni due anni in primavera, appunto in Corinzia. O. Broneer dice anzi che, da quando Paolo passa dallAnatolia in Macedonia e in Acaia, si avverte nei suoi spostamenti limpressione dellimprovvisazione e la fretta di arrivare a Corinto3. Che la supposizione di O. Broneer sia giusta o no, gli Atti degli apostoli dicono che Paolo effettivamente ha avuto per Corinto un interesse particolare, dal momento che vi si ferm per un anno e sei mesi (At 18,11). Egli era dunque in Corinzia al momento di una delle celebrazioni biennali dei giochi istmici e scrive O. Broneer, direttore degli scavi di Istmia a partire dal 1952 non possiamo immaginarci Paolo e suoi collaboratori che se ne stanno a Corinto, seduti al loro lavoro, mentre a quindici chilometri di distanza erano radunate folle provenienti da tutto il mondo . E aggiunge: Tanto pi che laria fresca di marzo-aprile e le piogge primaverili permettevano a venditori di tende di fare buoni affari 4. I giochi istmici insieme con quelli di Olimpia, e con quelli di Nemea e di Del, erano giochi panellenici: erano cio aperti agli atleti di lingua greca sia dellEllade, sia delle colonie di tutta larea mediterranea. Atleti, autorit
2 O. Broneer, The Apostle Paul and the Isthmian Games, in Biblical Archaeologist 25 (1962) 2-31, qui 2. 3 O. Broneer, The Apostle Paul and the Isthmian Games, in Biblical Archaeologist 25 (1962) 4. 4 O. Broneer, The Apostle Paul and the Isthmian Games, in Biblical Archaeologist 25 (1962) 20.

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e tifosi si mettevano in viaggio per tempo, non solo per gli spettacoli sportivi dellistmo, ma anche per non perdersi unoccasione unica dincontro con persone di tutte le parti del mondo grecofono di allora. Se non gi a Tarso, che era citt ellenistica, fu a Corinto che Paolo pu avere fatto dimestichezza con gli sport di cui parla proprio nella corrispondenza corinzia: la corsa nello stadio e il pugilato con il duro allenamento e la fatica della competizione che le due gare comportavano, e con la corona di cui venivano insigniti i vincitori (1Cor 9,24-27). E allora Paolo dovrebbe avere preferito Corinto ad Atene proprio per il fatto di costituire un campo di lavoro pi vario e aperto: da grande comunicatore, egli cercava luoghi e tempi che offrissero possibilit di incontro e di annunzio. Cassio Dione, di poco posteriore a Paolo, descrive con particolare efcacia il brulicare della folla allistmo e il vociare dei ciarlatani e dei tifosi: Era il tempo in cui potevi udire intorno al tempio di Poseidone [protettore dei giochi] losofastri in gran numero gridare e insultarsi lun laltro, e i loro discepoli azzuffarsi, e scrittori recitare le loro stupide composizioni, e poeti declamare i loro versi, e prestigiatori mostrare i loro incantesimi, e indovini interpretare presagi, e folle di avvocati da strapazzo pervertire il diritto, e un innito numero di venditori ambulanti mettere allasta gli oggetti pi strani e pi impensati 5.
5 Cassio Dione Cocceiano, Orazioni, Sulla virt 8,9-10. Cassio Dione (Prusa in Bitinia, circa 40-112 d.C.) fu, lui stesso, predicatore girovago della filosofia stoico-cinica attraverso la Grecia, le regioni balcaniche e lAsia Minore, cos come lo fu Luciano di Samosata (citato pi sotto alle note 109-111).

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Tra laltro per tutto il tempo dei giochi fa notare ancora O. Broneer era facile inviare lettere e messaggi perch il servizio postale per un cos grande evento internazionale era ovviamente curato e predisposto a dovere. Anche Paolo, dice ancora Broneer, potrebbe aver approttato della buona occasione per spedire la sua posta6. Ma se anche Paolo, per scrupoloso amore del vangelo, non si dato di quellorganizzazione e ha invece preferito mandare le sue lettere per mezzo di collaboratori credenti, pur sempre vero che da Corinto Paolo ha mandato lettere. Anzi, da Corinto ha scritto e inviato la lettera pi antica di quelle che ci sono pervenute: la 1Tessalonicesi. Parliamo dunque, nalmente, del rapporto di Paolo con la lettera quale mezzo di comunicazione.

2. La lettera come sostituto della persona La lettera come strumento di comunicazione antica forse quanto la scrittura: i segni che saranno stati tracciati ai primordi dellumanit sulla corteccia di un grosso albero o sulla roccia di un crocevia avranno infatti indicato a un interlocutore assente che cosa fare o dove dirigersi. Ma, se stata sempre strumento di comunicazione, la lettera si rese particolarmente utile nellepoca ellenistica: la vastit dellimpero di Alessandro Magno aveva infatti creato lesigenza di superare le grandi distanze nelleser6 O. Broneer, The Apostle Paul and the Isthmian Games, in Biblical Archaeologist 25 (1962) 31.

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cizio del commercio, della guerra, della cultura, della propaganda7. Anche nellambito dellimpero romano la lettera fu uno strumento di comunicazione insostituibile, tanto vero che lepistolograa rappresenta, insieme con la satira, il pi originale contributo di Roma alla letteratura mondiale 8. Nellantichit la lettera fu messa al servizio anche della saggistica e della losoa: Isocrate, Platone, Aristotele, Demostene, Epicuro, Archimede, Dionigi di Alicarnasso, eccetera, scrissero veri e propri trattati in forma di lettera, cos che il genere epistolare, assolutamente modesto dal punto di vista culturale, super se stesso e assurse a dignit letteraria. La sua consacrazione denitiva come pezzo di letteratura si ebbe con la pub-

7 C.A. Smith (The Consequences of the Increase in and the Changed Role of Letter-Writing for the Early Church, in Irish Biblical Studies 24 [2002] 146-174) documenta con molti dettagli il diverso ricorso alla lettera che si fece nellepoca ellenistica da una parte e, dallaltra, nelle epoche antecedenti. Anticamente erano scarse lalfabetizzazione e listruzione di massa, era raro il materiale scrittorio, la riflessione filosofica del secolo VI a.C. non aveva carattere pedagogico ma elitario, si preferiva la comunicazione orale a quella scritta, non esisteva un servizio postale e si ricorreva frequentemente a messaggeri personali. Poi, invece, nella vita pubblica della polis greca ebbe grande svilupp luso della scrittura, si elev il livello dellistruzione, il materiale scrittorio fu pi facilmente reperibile, i filosofi sofisti fecero ricorso a metodi pi didattici, le aumentate distanze dellimmenso impero ellenistico resero pi frequente il ricorso ai messaggi per iscritto, e si fece pi frequente uso di brogliacci e taccuini, soprattutto nel commercio. 8 R.G.C. Levens, Epistolografia romana, in N.G.L. Hammond - H.H. Scullard (edd.), Dizionario di Antichit Classiche, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995 (or. ingl., Oxford 1970), p. 809. Lautore (o, meglio, il traduttore) aggiunge: Quando Roma divenne il pernio [sic] del Mediterraneo, le comunicazioni scritte aumentarono dimportanza. I possidenti terrieri che visitavano le loro tenute in Italia, i senatori con incarichi militari o amministrativi nelle province, i mercanti e gli appaltatori delle tasse, gli studiosi e gli esuli, tutti avevano bisogno di tenersi in contatto con la capitale, e ogni viaggiatore portava con s numerose lettere da consegnare, spessi in cambio di lettere di presentazione .

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blicazione dellepistolario di Cicerone (106-43 a.C.), probabilmente un secolo dopo la sua morte9. Nel mondo ellenistico ci furono perno studiosi e teorici del genere epistolare: un certo Artemone, che si vuole abbia pubblicato le lettere di Aristotele, deniva la lettera: Laltra parte del dialogo (to heteron meros tou dialogou) 10. La denizione quanto mai pittoresca e pertinente nello stesso momento: poter mettere mano su di una lettera signica strappare alloblio una battuta dello sterminato dialogo che gli uomini intessono senza sosta ogni istante lungo la loro storia. Ma molte volte possiamo ricuperare il frammento di dialogo che ci manca, soltanto ipoteticamente, deducendolo dalla parte che abbiamo. E questo vero ovviamente anche per le lettere di Paolo. Gli aspetti tecnici della stesura delle lettere nellantichit non sono niente affatto irrilevanti. La posizione dello scrivente era molto scomoda: sedeva a terra e senza tavolo, con la sinistra teneva il foglio e con la destra scriveva11. La ruvidezza del papiro poi rendeva faticosa e lenta la scrittura. Secondo i calcoli, forse troppo pessimistici, di O. Roller (1933) si riuscivano a scrivere tre

9 Lepistolario di Cicerone composto di 931 lettere: 769 di lui, le altre a lui. Si discute sulla data della pubblicazione; cfr. R.G.C. Levens, Epistolografia romana 2; e J.P. Baldson, Cicerone. / n. 24, in N.G.L. Hammond - H.H. Scullard (edd.), Dizionario di Antichit Classiche, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995 (or. ingl., Oxford 1970), p. 457. 10 La notizia si ricava dal trattato Peri herme neias (Sullo stile) di un Demetrio, vissuto probabilmente tra epoca ellenistica ed epoca romana. 11 Cfr. le molte immagini di scribi pervenute a noi dalla civilt egizia, ma anche quelle medievali e, ad esempio, ci che scrive Callimaco nel prologo degli Aitia (Cause, elegia narrativa di circa 7000 versi, in quattro libri): Quando per la primissima volta posi la tavoletta sulle mie ginocchia, Apollo mi disse (Callimaco di Cirene, circa 305-240 a.C.).

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sillabe al minuto e settantadue parole allora. In base a questi calcoli, sarebbero state necessarie novantotto ore continuate per scrivere la Lettera ai Romani, che ha 7.101 parole, mentre la Lettera a Filemone, che ha 335 parole, avrebbe richiesto quattro o cinque ore12. Le lettere antiche erano di lunghezza variabile. O. Roller, che ne ha passate in rassegna ben 15.000, d queste statistiche: le lettere private erano generalmente molto brevi, contando da 18 a 209 parole, le 769 lettere di Cicerone hanno una media di 295 parole, mentre le tredici dellepistolario paolino hanno una media di 2500 parole. La 3Giovanni la lettera pi breve del Nuovo Testamento con le sue sole 185 parole, e quella di Paolo ai Romani la pi lunga non solo del Nuovo Testamento, ma di tutta lantichit. Quanto alle esigenze pi prettamente umane, cui la lettera dava soddisfazione nella cosmopolita civilt ellenistica, secondo H. Koskenniemi (1956), esse sono anzitutto laffetto e la cortesia, perch la lettera o deve essere come il dono scritto di se stesso; poi il farsi presente perch, quando si lontani, la lettera avvicina luno allaltro per ravvivare lamicizia; e inne il dialogo e lo scambio perch, anche quando si sicamente separati, la lettera permette di raccontarsi a vicenda gioie e angustie13. In particolare, che la lettera rappresenti il mittente e sia sostituto della sua presenza sica, cos vero che a
12 O. Roller, Das Formular der paulinischen Briefe, Kohlhammer, Stuttgart 1933, pp. 321-325. 13 H. Koskenniemi, Studien zur Idee und Phraseologie des griechischen Briefes bis 400 n. Chr., Suomalaisen Kirjallisuuden, Helsinki 1956, pp. 35-47. I termini greci sono philophrone sis, e, rispettivamente parousia, e dialogos o homilia.

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volte la cosa viene dichiarata esplicitamente. Si potrebbe al proposito citare uno scritto giudaico di pochi anni posteriore a Paolo nel quale una lettera vi si chiude con le parole: Ricordatevi di me, per mezzo di questa lettera, come anchio mi ricordo di voi, in essa e sempre (2Ba 86,3). Ma un esempio particolarmente efcace quello di san Girolamo. Dal 375 al 378 d.C. egli se ne and a vivere da asceta nel deserto di Calcide, citt presso lattuale Aleppo, nel nord della Siria, e l egli vi sentiva i morsi della solitudine14. Fra le lettere che Girolamo ha scritto dalla Calcide, una decina sono sopravvissute15, e in esse prega e supplica i suoi corrispondenti a farsi vivi con qualche riga, perch una lettera lunico mezzo per rendere presente la persona lontana , dando lillusione della presenza . Delle sue lettere lui stesso poi dice: Al mio posto ti mando questa lettera e imbastisce un lungo paragrafo per dire che egli bens assente nel corpo ma che, con la sua lettera, egli si fa presente16. Quanto a Paolo, la lettera un ripiego come si detto , e tuttavia la comunicazione epistolare per lui in qualche modo equivalente alla sua presenza sica: Questo tale rietta per che, quali noi siamo a parole, per lettera, assenti, tali saremo anche con i fatti, di presenza (2Cor 10,11); Per questo vi scrivo queste cose da lontano: per non dovere poi, di presenza, agire severamente

14 E pensare che Girolamo si era immaginato il deserto come la citt pi fascinosa di ogni altra (Lettera 2, a Teodosio e agli altri anacoreti). 15 Le lettere dellepistolario geronimiano sono 154. Cfr. San Girolamo, Le lettere (Traduzione e note di Silvano Cola), vol. I-IV, Citt Nuova, Roma 19621964. 16 Le citazioni sono tratte dalle lettere di Girolamo a Niceta (Lettera 8), a Rufino (Lettera 3,1) e a Fiorentino (Lettera 5,1).

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con il potere che il Signore mi ha dato per edicare e non per distruggere (2Cor 13,10)17.

3. Unoperazione complessa Per Paolo scrivere una lettera era unoperazione tecnica non poco complessa. Egli doveva preparare o farsi preparare il materiale scrittorio, e cio il papiro o la pergamena, e solcarvi con uno stiletto le linee lungo le quali poi scrivere. Poi, doveva liberarsi da altri impegni per riettere e pensare insieme con i collaboratori il contenuto della lettera (G. Bornkamm parla del silenzioso raccoglimento dello scrivere 18). Poi doveva stendere appunti provvisori, rileggere e correggere, aggiungendo e completando. E poi doveva mettersi a dettare la lettera a uno scriba19. Un giorno solo
17 Cfr. R.W. Funk, The Apostolic Parousia, in W.R. Farmer (ed.), Christian History and Interpretation. Fs Knox, University Press, Cambridge 1967, pp. 249268; L.A. Johnson, Pauls Epistolary Presence in Corinth: A New Look at Robert W. Funks Apostolic Parousia, in The Catholic Biblical Quarterly 68 (2006) 481-501 (luso della parusia epistolare mette Paolo nella condizione di essere aderente agli eventi corinzi). 18 G. Bornkamm, Paolo, Apostolo di Ges Cristo, p. 19. 19 Unidea pi precisa di come gli antichi scrivevano i loro libri e i loro trattati si ha leggendo G.M. Vian, Biblioteca Divina. Filologia e storia dei testi cristiani, Carocci, Roma 2001, p. 64: [La prassi editoriale antica] comprendeva la dettatura dellopera a tachigrafi, la sua trascrizione da parte di copisti e quindi la copia definitiva affidata a calligrafi (le copie erano naturalmente pi duna), con revisioni da parte dellautore, che poteva via via modificare lopera e farne cos circolare pi di una edizione ; e T. Dorandi, Nellofficina dei classici. Come lavoravano gli autori antichi, Carocci, Roma 2007. Basti riportare il commento che Dorandi fa a unaffermazione di W.K. Prentice (How Thucydides Wrote His History, in Classical Philology 25 [1930], 117-127), commento che poi amplia e completa nei capitoli del suo libro: Se partiamo dalle conclusioni di Prentice, si potrebbe supporre che gli scrittori antichi utilizzassero per la redazione dei loro testi singoli fogli di papiro, riuniti insieme in fasci o conservati in una o pi scatole; il manoscritto di unopera letteraria si sarebbe dunque presentato come una pila di fogli che sarebbero stati poi trascritti in bella copia su rotoli di papiro interi al momento in cui lautore decideva di pubblicare il proprio testo .

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potuto bastare per lettere brevi come quella a Filemone, ma per le altre sono stati necessari certamente molti giorni e, proprio per questo, alcuni commentatori di Paolo attribuiscono allintermittenza della dettatura i salti improvvisi da un tema a un altro, frequenti negli scritti paolini. Dato il lungo tempo che gli era necessario, si pu supporre che egli scrivesse le sue lettere soprattutto nella stagione invernale, perch in inverno si era costretti a restare a lungo dove ci si trovava, dal momento che la navigazione era chiusa dall11 novembre no al 10 di marzo20. Di fatto fu cos, ad esempio, per la stesura della 1Corinzi, che Paolo scrisse quando la primavera non era ancora venuta: Mi fermer a Efeso no a Pentecoste (1Cor 16,8). Tutte le stagioni erano buone invece per mandare a chiamare un collaboratore per mezzo di un biglietto di poche parole, come si lascia intendere in Tt 3,12: Cerca di venire subito da me a Nicopoli, perch l ho deciso di passare linverno , e in 2Tm 4,21: Affrttati a venire, prima dellinverno . La stesura di una lettera era per Paolo un atto apostolico, un atto di magistero e di guida pastorale, e ad essa si dedicava con tutte le sue energie e con intensa partecipazione emotiva. Basti pensare che, come s intravisto, egli ha scritto una lettera nelle lacrime : Vi ho scritto in un momento di grande afizione e col cuore angosciato, fra molte lacrime (2Cor 2,4). Egli scrive invece la 2Corinzi pieno di consolazione (2Cor 1,3-5), mentre per la Lettera
20 E. de Saint-Denis (Mare Clausum, in Revue des tudes Latines 25 [1947] 196-214) documenta per come la sospensione dei traffici su mare non fosse rigorosamente osservata. La navigazione invernale era pericolosa non solo per le tempeste, ma anche perch nellinverno il cielo del Mediterraneo nascondeva le stelle che non potevano essere di guida ai naviganti.

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ai Galati nello sgomento: Mi meraviglio che, cos in fretta, (...) voi passiate a un altro vangelo. Per non ce n un altro (Gal 1,6-7). Per la stessa lettera O. Kuss parla di rude scortesia , da parte di Paolo21. G. Bornkamm ha dunque ragione quando dice che nelle lettere di Paolo noi sentiamo il respiro dellautore 22.

4. Come Paolo trasform il formulario ellenistico Gli elementi che si ripetevano nella lettera antica erano soprattutto nellintestazione, la quale prevedeva tre cose: il nome dello scrivente e mittente, il nome del destinatario e il saluto. Ad esempio: Demofonte [augura] a Tolomeo di stare bene , Cicerone [augura] salute ad Attico , Seneca [augura] salute a Lucilio 23. Seguiva poi un ringraziamento: lo scrivente ringraziava o benediceva gli di perch avevano protetto lui stesso o il destinatario. Nel corpo della lettera i diversi sentimenti o messaggi erano introdotti con formule pi o meno inevitabili: Ti faccio sapere che... , Ti pregherei di... , Mi stato riferito che... . Il saluto nale, inne, poteva essere anche di una sola parola: in greco erro so (sii forte), e in latino vale! (sta bene!). Ebbene, Paolo modic le formule usuali di tutte le parti della lettera ellenistica: prescritto, corpo della
O. Kuss, Paolo, p. 92. G. Bornkamm, Paolo, Apostolo di Ges Cristo, p. 20. 23 In greco, De mopho n Ptole maico chairein [legei]; in latino, Cicero Attico s[alutem]; Seneca Lucilio suo s[alutem].
21 22

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lettera, saluto nale. La novit pi signicativa proprio quella in apertura: nel prescritto della Lettera ai Galati, ad esempio, egli impiega 75 parole e in quello alla Lettera ai Romani addirittura 93. Questo sviluppo del prescritto gi sorprendente dal punto di vista della forma (quasi cento parole invece delle quattro di Cicerone o Seneca), e a maggior ragione, lo dal punto di vista del contenuto. Amplicando il suo nome con il titolo di apostolo, Paolo presenta le sue credenziali, rivendica il suo diritto evangelico a intervenire, e di fatto interverr poi nella vita della comunit, non come persona privata, ma come plenipotenziario del Cristo. Spesso Paolo aggiunge il nome di co-mittenti, e con ci, dal momento che pu elencare testimoni e collaboratori, fa di quella lettera una lettera ufciale ed ecclesiale24. Paolo spesso amplica anche la designazione dei destinatari ricordando loro la loro dignit cristiana: ai lippesi, ad esempio, scrive: A tutti i santi (hagiois) in Cristo Ges che sono a Filippi (Fil 1,1). Nel prescritto inne Paolo trasforma profondamente il saluto. Lauspicio che linterlocutore stia bene (chairein) diventa auguro di grazia (charis): qualcosa dunque che non riguarda la salute, ma il dono gratuito e benigno di Dio nel Cristo. In secondo luogo, viene aggiunto laugurio di pace (eire ne ), cos che il saluto ellenistico diventa augurio cristiano con larricchimento della pace biblica ( salo m).

24 Cfr., ad esempio, il nome di Timoteo in 2Corinzi, Filippesi, Filemone; quello di Silvano e Timoteo in 1Tessalonicesi; quello di Sostene in 1Corinzi. Per lelaborazione collettiva delle lettere, cfr. W.H. Ollrog, Paulus und seine Mitarbeiter, pp. 187-189; S. Byrskog, Co-Senders, Co-Authors and Pauls Use of the First Person Plural, in Zeitschrift fr die neutestamentliche Wissenschaft 87 (1996) 230-250; J. Murphy-OConnor, Paul et lart pistolaire. Contexte et structure littraire, Du Cerf, Paris 1994, pp. 34-38.

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Anche il ringraziamento trasformato da Paolo. Il monoteista Paolo non poteva evidentemente esprimere gratitudine agli di, e il suo solitamente un ringraziamento a Dio per i frutti che il vangelo sta portando in chi ricever la lettera. Poi spesso il ringraziamento diventa preghiera perch gli interlocutori di Paolo siano fedeli in vista del giorno del Signore, cos che gi nelle battute introduttive la lettera si caratterizza con tratti liturgici, parenetici ed escatologici. Paolo discute poi casi concreti: nella Lettera ai Galati cerca di trattenere quei cristiani dal farsi circoncidere, in 1-2Corinzi fra laltro dirime la vicenda scandalosa dellincestuoso, regola gli interventi nelle assemblee, e organizza una colletta. Nella Lettera ai Romani invece, poich non ha fondato quella Chiesa n mai stato a Roma, Paolo non ha titoli per intervenire su problemi concreti, e allora si dedica a illustrare agli interlocutori romani il suo vangelo, la sua comprensione dellimparzialit divina verso giudei e non giudei, e la novit di vita conseguente al battesimo e al dono dello Spirito. Il biglietto a Filemone non ha invece alcun intento speculativo, ma solo quello di ricucire i rapporti tra uno schiavo e il suo padrone. La parte nale di molte lettere dedicata allesortazione o parenesi, perch dallindicativo con cui si descrive lazione salvica di Dio e del Cristo il credente deve ricavare limperativo che guida la vita etica e il cammino in novit di vita. inne ricorrente la progettazione di viaggi e di ogni sorta di interscambi con le persone cui si rivolge: Paolo si propone di mandare qualche suo collaboratore o di visitare lui stesso la comunit cui per ora, non potendo fare di meglio, manda la lettera o, viceversa, chiede linvio di qual109

cuno, o che gli si prepari un alloggio, o lequipaggiamento necessario per la sua prossima spedizione apostolica25. Il saluto nale della lettera paolina variabile. In genere laugurio che la grazia sia con i suoi destinatari (1Cor 16,23; 2Cor 13,1326; Gal 6,18; Fil 4,23), a volte prende la forma di una dossologia come in Rm 16,25-2727, mentre in 1Cor 16,22, prima dellinvocazione della grazia sui destinatari, Paolo riporta linvocazione aramaica Marana tha, Vieni Signore , probabile frammento di qualche liturgia palestinese28. Ognuno vede la grande trasformazione della lettera che Paolo ha operato e che riguarda soprattutto la nalit: invece di comunicare informazioni pi o meno importanti legate alla vita quotidiana, e invece di coltivare lamicizia o di essere al servizio dellamministrazione di unazienda o dello stato, la lettera paolina messa al servizio del vangelo e della novit della vita evangelica.
25 Cfr., ad esempio, W.G. Doty (Letters in Primitive Christianity, Fortress Press, Philadelphia [PA] 1973, p. 44), che scrive: Le sue lettere sono nate per reagire a resoconti circa situazioni precise e concrete; egli trattava ognuna di quelle situazioni come unica e importante. Pi che elaborare affermazioni dogmatiche, egli trasmetteva il suo modo di vedere su come incarnare il vangelo nel contesto particolare dei suoi destinatari . 26 Di un certo interesse il testo di 2Cor 13,13, il cui testo utilizzato nellaugurio iniziale della celebrazione eucaristica. Di esso, i commentatori di Paolo dicono che : La benedizione finale pi ricca di contenuto di tutto lepistolario paolino (vedi J. ORourke, La Seconda Lettera ai Corinti, in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973 [or. ingl., Englewood Cliffs, NJ, 1968], p. 1202); La formula pi nettamente trinitaria di tutto il Nuovo Testamento (M. Carrez, Paolo e la Chiesa di Corinto, in A. George - P. Grelot, Introduzione al Nuovo Testamento, vol. III, Borla, Roma 1978 [or. fr., Paris 1977], p. 78); Di grandissima importanza dal punto di vista dogmatico (K.H. Schelkle, Paolo. Vita, lettere, teologia, p. 122). 27 Per il particolare vocabolario di questo testo e per la sua fluttuazione nella trasmissione manoscritta, molti autori ritengono la dossologia unaggiunta postpaolina. 28 In Ap 22,20 e nella Didach (10,6) si trova la traduzione greca: Vieni, Signore Ges .

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5. Cristianizzazione della lettera ellenistica La maggioranza degli studiosi ritiene scritte dal pugno di Paolo solo sette lettere delle tredici che recano il suo nome. Sarebbero lettere autentiche: la 1Tessalonicesi, 1-2Corinzi, la Lettera ai Galati, la Lettera ai Romani, la Lettera ai Filippesi e la Lettera a Filemone. Sarebbero, invece, opera di discepoli o, in termine tecnico, pseudepigrache: la 2Tessalonicesi, la Lettera ai Colossesi, la Lettera agli Efesini e le tre lettere dette pastorali (1-2Timoteo e Tito). A questo riguardo, noi moderni tendiamo a considerare uno scritto pseudepigraco come un falso letterario, ma per gli antichi mettere il nome del proprio maestro nella propria opera era segno di devozione e gratitudine verso di lui. Era un gesto di giustizia, perch da lui tutto si era ricevuto. Per questo nelle opere di Platone noi spesso non sappiamo come distinguere ci che suo e ci che del suo maestro Socrate, al quale egli tende ad attribuire le affermazioni pi grandi e pi importanti dei suoi dialoghi. cos che, dopo Paolo, anche la sua scuola si servita del genere epistolare. Le lettere pastorali ad esempio, che sono appunto con ogni probabilit di un suo discepolo, sono state strumenti apostolici per affrontare unepoca in cui erano oramai scomparsi i testimoni e i grandi protagonisti della prima generazione cristiana. Di fronte a problemi nuovi quali una grave crisi dottrinale e uno spirito di generalizzata anarchia e insubordinazione, si ricorse ai ricordi che si avevano di Paolo e alla sua autorit, per guidare le Chiese in avanti, venti o trentanni dopo la morte dellApostolo.
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Linusso della lettera paolina evidente anche nel resto del Nuovo Testamento dal momento che, su 27 documenti che lo compongono, ben 21 sono lettere: a quelle paoline, autentiche o pseudepigrache, si aggiungono le sette lettere cosiddette cattoliche, e cio universali . La denominazione di cattoliche dovuta al fatto che, come quelle di Pietro e di Giacomo, sono scritte non a persone n a comunit singole, ma alle Chiese addirittura di pi regioni. Scrive, ad esempio, lautore della 1Pietro: Ai fedeli (...) dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nellAsia e nella Bitinia 29, e lautore della Lettera di Giacomo: Alle dodici trib che sono nella diaspora: salute! . Fra le lettere cattoliche, tre vengono dalle comunit giovannee, e lApocalisse, anchessa di tradizione giovannea, per la maggioranza dei commentatori ha un quadro epistolare (Ap 1,4-5; 22,21) mentre nel secondo e terzo capitolo contiene sette messaggi a sette Chiese, anchessi redatti in forma di lettera. Questo dice che le metodologie apostoliche di Paolo, e in particolare il ricorso alla lettera come strumento di comunicazione con le Chiese, sono state riprese anche oltre la cerchia dei suoi collaboratori. Il suo apporto anzi stato cos originale che egli pu essere considerato il creatore di un nuovo genere letterario, e cio della lettera cristiana, apostolica, ecclesiale.

29 Lordine secondo cui le cinque regioni sono menzionate dice che il latore della lettera o delle copie della lettera doveva partire dalla costa sudorientale del mare Nero (Ponto) e, girando in senso orario attraverso Galazia, Cappadocia e Asia, doveva ritornare alla sponda sud-occidentale dello stesso mare (Bitinia); cfr. C.J. Hemer, The Address of 1 Peter, in The Expository Times 89 (1978) 239-243.

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6. Dialogicit e situazionalit delle lettere paoline La lettera solo una met del dialogo come si detto , e per Paolo laltra met del dialogo era a Tessalonica o a Roma, quando da Corinto scrisse la 1Tessalonicesi, la lettera pi antica che ci rimanga e la Lettera ai Romani, quella pi monumentale. Fu anzitutto la distanza geograca a suggerire o esigere il genere epistolare perch lApostolo potesse tenersi in contatto con citt e luoghi distanti. Ma non fu solo questione di lontananza sica e di geograa, perch lespansione geograca a sua volta andava ponendo il problema dellincontro del vangelo con la cultura o con le culture locali. In tutto ci la lettera, molto pi di un vangelo o di una monograa storica, era aderente alla situazione: ai problemi singoli e concreti, allorganizzazione dellattivit apostolica e della vita comunitaria. Un vangelo non poteva affrontare direttamente ed esplicitamente la questione dellincestuoso a Corinto o quella della circoncisione per le Chiese di Galazia. vero che anche in un vangelo non manca mai lattenzione a coloro che lo leggeranno e che, ad esempio, levangelista Marco spiega ai suoi destinatari non palestinesi gli usi dei farisei al ritorno dal mercato. La sua didascalia dice: I farisei infatti e tutti i giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza avere fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame (Mc 7,3-4). E, tuttavia, i tessalonicesi o i lippesi o i corinzi avevano nelle lettere
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di Paolo unapplicazione del vangelo esclusiva, fatta su misura per la loro situazione e sensibilit. A volte, vi venivano chiamate in causa per nome e cognome le singole persone, come accade a Evodia e Sintiche o Clemente nella Lettera ai Flippesi: Esorto Evdia ed esorto anche Sntiche ad andare daccordo nel Signore. E prego anche te, mio fedele cooperatore, di aiutarle, perch hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita (Fil 4,2-3). Dalla lettera che Paolo scrisse loro, poi, i romani capirono bene come e perch avrebbero dovuto equipaggiare lApostolo perch potesse da Roma puntare sulla Spagna30. Questo voleva dire provvedere ad accompagnatori, a bagagli, a denaro, alla prenotazione di un posto sulla nave che faceva scalo a Marsiglia (in latino, Massilla) e avrebbe poi raggiunto probabilmente la Betica31, che provvedeva olio a Roma e ai suoi eserciti32, e con la quale i collegamenti non erano affatto difcili ma erano ovviamente costosi. Questo,

30 Paolo usa al riguardo il verbo tecnico propempein, letteralmente mandare avanti (Rm 15,24). Il verbo ricorre 9 volte nel Nuovo Testamento, ma cfr. soprattutto Tt 3,13-14, dove lassistenza a chi deve fare un viaggio al servizio dellannunzio cristiano raccomandata ai credenti come opera particolarmente meritevole: Imparino cos anche i nostri a distinguersi nel fare il bene per le necessit urgenti, in modo da non essere gente inutile . Dal verbo propempein i greci avevano tratto anche il termine propemptikon, che designava un discorso o un poema composto per celebrare il viaggio imminente di un amico o di un personaggio famoso. 31 Il toponimo Betica viene dal nome del fiume Baetys (o Baitis), lodierno Guadalquivir. 32 Lo documenta lo studio epigrafico dei bolli delle anfore che, ammonticchiate a milioni, a Roma oggi formano il popolare Monte Testaccio, monte cio dei cocci di terracotta. Molte anfore rivelano di essere anfore olearie provenienti da aziende produttrici della lontana terra del Guadalquivir. Ma gi Filostrato definisce la Betica la regione pi ricca di tutta la terra (Filostrato, Vita di Apollonio 5,6).

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Paolo lo chiede scrivendo: Spero di vedervi, di passaggio, quando andr in Spagna, e di essere da voi aiutato a recarmi in quella regione (Rm 15,24). La stessa cosa richiesta a Tito a riguardo di due missionari itineranti di cui ci sono rimasti perno i nomi: Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di Apollo, perch non manchi loro nulla (Tt 3,13). Se non avessero ricevuto in una lettera richieste cos esplicite e personalizzate, i Romani e Tito avrebbero dovuto ricavare quel loro impegno a partecipare alla missione, da frasi generiche come: Chi accoglie un profeta perch profeta, avr la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perch un giusto, avr la ricompensa del giusto (Mt 10,41). Questo quanto veniva infatti dalla tradizione dei detti di Ges e che sarebbe poi conuito nei vangeli: nel nostro caso nel Vangelo di Matteo. Non c bisogno di dire quanti i quattro vangeli siano fondamentali nella storia cristiana, e tuttavia, essendo scritta su misura , la lettera dialogica come nessun altro tipo di scritto neotestamentario.

7. I verbi di Paolo e le domande retoriche Nel suo libro su Paolo G. Barbaglio elenca, esemplicativamente, una trentina di modi di intervento di Paolo33. Vale la pena di riprodurre qui quellelenco per
33 G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, pp. 125-126, introduce lelencazione con le parole: La gamma delle tonalit che assume la sua parola appare quanto mai varia .

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avere unidea del multiforme dialogo che lApostolo intratteneva con i suoi corrispondenti: Paolo esorta, prega, desidera, incoraggia, scongiura, ammonisce, d precetti e istruzioni, ingiunge, dispone, insegna, rende noto, non vuole lasciare nellignoranza, loda e rimprovera, indica itinerari da percorrere, risponde a questioni, loda ma anche rimprovera, mira a colmare le lacune della fede, si stupisce, si offre come esempio, invita espressamente a imitarlo, tronca ogni contestazione, richiama la prassi tradizionale, ricorda il credo primitivo, espone i comandamenti del Signore, svela orizzonti impensabili di speranza, conforta, parla con libert e con erezza, si difende, cerca di convincere, si rimette al giudizio degli interlocutori, o semplicemente dice e parla. Talvolta il confronto con i suoi interlocutori cos serrato che Paolo riferisce il loro pensiero, i loro slogan, per poi meglio replicare e controbattere. Cos avviene ad esempio in 1Cor 1,11-12: A vostro riguardo, fratelli, mi stato segnalato dai famigliari di Cloe che fra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo, Io invece sono di Apollo, Io invece di Cefa, E io di Cristo . Qui il richiamo degli slogan dei Corinzi esplicito: altre volte non lo , ma i commentatori sono pressoch concordi nellindividuarne altri ad esempio in 1Cor 6,12 e 10,23: Tutto mi lecito , o in 1Cor 6,18: Qualsiasi peccato luomo commetta, fuori dal suo corpo 34.
34 La citazione di slogan corinzi ipotizzata per 1Cor 2,15; 6,13; 7,1; 8,1; 8,4; 8,8; 11,2; 11,3; 15,12. Cfr. anche R. Omanson, Acknowledging Pauls Quotations, in The Bible Translator 43 (1992) 201-213.

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A volte la discussione non reale ma ttizia, come quella cui facevano ricorso i loso cinici e stoici, e che essi avevano chiamato diatriba . La diatriba una lezione losoca in forma di dialogo, con obiezioni, domande e risposte. Se Paolo cita gli slogan dei suoi corrispondenti nella 1Corinzi, egli vivacizza con procedimenti diatribici soprattutto la Lettera ai Galati e la Lettera ai Romani35. Basti qualche esempio: Che dunque? Ci metteremo a peccare perch non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? assurdo! Non sapete che...? (Rm 6,15); Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! (Rm 11,1); La legge dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti... (Gal 3,21). Un ulteriore espediente cui Paolo fa ricorso costantemente come abile comunicatore sono le domande retoriche. In 1Cor 1,13, ad esempio, egli replica a quanti in Corinto si dividevano nei quattro partiti di Paolo, Apollo, Kefa e Cristo, con tre domande: forse diviso il Cristo? Paolo stato forse crocisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? . Tutte e tre le domande esigono una risposta negativa: No: non si pu dividere il Cristo! ; No: per noi e per tutti stato crocisso soltanto il Cristo! ; No: tutti siamo stati battezzati nel nome di Ges . Con un unico versetto Paolo ha regolato tutto laffare. Con tre domande. Ognuna delle tre domande un macigno.
35 Nella Lettera ai Romani linterlocutore immaginario si trova ad esempio in 2,1-5; 2,17-24; 9,19-21; 11,17-24 e la replica a obiezioni in 3,1-9; 3,31-4,2; 6,1-3.13-16 Leggendo un testo formulato in schema diatribico il lettore sente due persone discutere e rissare, come dal vivo. Paolo spesso conclude il dibattito che inscena con la formula: me genoito! che si pu tradurre: Non sia mai! assurdo! .

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Conclusione. La lettera e la comunicazione nella Chiesa fino a oggi Paolo dunque trasform quello che era un mezzo di comunicazione profano in un mezzo di azione apostolica. Il ricorso alla lettera, come s intravisto, fu poi prolungato dai suoi discepoli e fu fatto proprio anche dalle altre tradizioni neotestamentarie. Ma non tutto qui. Contemporaneamente agli autori del Nuovo Testamento e poi dopo di essi, anche i Padri apostolici hanno fatto ricorso alla lettera: Clemente di Roma ha scritto alla Chiesa di Corinto intorno al 95 d.C., Ignazio di Antiochia ha scritto lettere a sei Chiese e a Policarpo di Smirne intorno al 112 d.C. A sua volta Policarpo ha scritto ai lippesi menzionando la corrispondenza epistolare che essi avevano avuto con lui36, menzionando le lettere di Paolo (Fil 3,2)37, menzionando le lettere di Ignazio di Antiochia, e altre ancora che, su loro richiesta, invia ai lippesi, e inne parlando dellinvio in Siria di altre lettere ancora (13,1). Non basta: subito dopo la morte di Policarpo, probabilmente nel 167, la sua Chiesa redasse la narrazione del suo martirio sotto forma di lettera e la mand alla Chiesa di Filomelio, chiedendo che quella lettera-racconto fosse diffusa e fatta conoscere a tutti 38.

36 Policarpo, Filippesi 13,1.2 (Policarpo, vescovo di Smirne, morto martire nel 155 d.C. circa). 37 Mentre a noi rimasta una sola Lettera di Paolo ai Filippesi, Policarpo parla di lettere al plurale. Va detto tuttavia che non tutti i manoscritti hanno il plurale, anche se, per quel singolare, potrebbero essere stati influenzati dallunica lettera conosciuta di Paolo. 38 Martirio di Policarpo 20,1.

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Nei successivi secoli cristiani, poi, si sono serviti della lettera sia i padri sia dellOriente (Origene, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Giovanni Crisostomo e altri) sia i padri dellOccidente (Girolamo, Ambrogio di Milano, Agostino, Paolino di Nola, Cassiodoro e altri). Oltre ai singoli, anche i sinodi e i concili ecclesiastici hanno spesso dato forma epistolare alle loro decisioni, a cominciare dallassemblea apostolica di At 15 (cfr. vv. 23-29). E poi i papi e i vescovi hanno scritto e scrivono non vangeli ma lettere: lettere pastorali e lettere encicliche. La lettera dunque non soltanto genere dominante nel Nuovo Testamento, ma nella tradizione cristiana divenuta il pi frequente strumento di comunicazione, di magistero e di azione ecclesiale39.

39 G. Bornkamm (Paolo, Apostolo di Ges Cristo, p. 21) scrive: Le lettere di Paolo () sono venute a formare il pi antico genere letterario del cristianesimo primitivo, che non trova assolutamente un termine di paragone nella letteratura dellantichit ; Il genere letterario delle lettere paleocristiane stato creato da Paolo come mezzo di comunicazione ed rimasto un modello spesso imitato ma mai eguagliato .

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VI

Paolo e la mezzaluna mediterranea

1. Lo stratega che avanzava con un piano lucido e preciso

Il mondo ellenistico era percorso in lungo e in largo da


propagandisti di ogni tipo e soprattutto da maestri di losoa e predicatori religiosi. Fra coloro che cercavano fortuna e avventura a Istmia al tempo dei giochi biennali s visto che, secondo Dione Cassio, cerano losofastri, declamatori, attori, e maghi... ad animare crocchi di curiosi, allombra del tempio di Poseidone o sulla spiaggia del golfo Saronico. Fra essi cerano certamente anche predicatori religiosi di questa o di quella divinit pi o meno sconosciuta, ma Dione non ne parla. E allora si pu evocare questo mondo pittoresco a partire da ci che scrivono due altri autori ellenistici, Luciano di Samosata, e Filostrato. Luciano di Samosata (nato circa nel 120 d.C., morto dopo il 180) stato a due riprese conferenziere itinerante ma, pi che la sua storia personale, interessa qui la piccola vicenda che egli mette in scena in Lucio, lasino, rifacimento farsesco di un antico romanzo di Lucio di
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Patrasso1, riproposto in chiave comica anche da Apuleio di Madaura (nato nel 123 d.C. circa). Lucio cade nelle trame di una maga che lo trasforma in asino, e lasino, venduto e comprato a ripetizione, capita anche nelle mani di un gruppetto itinerante di sacerdoti della dea Siria, il cui simulacro viene portato di paese in paese sulla groppa da Lucio, lasino. Ecco come Luciano descrive il girovagare di quei furfanti: Portano la dea Siria per i paesi e per le ville, e la [la dea Siria] fanno andar cercando lelemosina... Ci demmo a girare le campagne. Quando ci avvicinavamo a un villaggio io, che portavo il baldacchino della dea, mi fermavo, e fra di essi cera chi si metteva a suonare invasato il auto e chi, gettate via le mitrie, col capo basso e torcendo il collo, con coltellacci si feriva alle braccia o alla lingua, per cui in breve grondavano di sangue. Come serano conciati a quel modo, dalla gente che saffollava per vederli raccoglievano oboli e dracme, e chi dava chi secchi, chi cacio o aschi di vino, chi uno staio di grano, e orzo per lasino. E cos essi sbarcavano il lunario e, insieme, servivano la dea chio portavo addosso 2. Flavio Filostrato, nato intorno al 170 d.C., membro del circolo losoco protetto da Settimio Severo (imperatore dal 193 al 211) e da sua moglie Giulia Domna, fu richiesto appunto dalla moglie dellimperatore di scrivere
1 A dire il vero, molti critici non ritengono scritto da Luciano questo racconto, dal momento che non ha fine satirico. Linformazione della dipendenza da Lucio di Patrasso, viene da Fozio, Bibliotheca, Codex 129: PG 103,411414), anche se Fozio d per serio lo scritto di Lucio, e per comico questo di Luciano. 2 Luciano, Lucio, lasino 37 (Luciano di Samosata, circa 120-180 d.C.).

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la biograa di un losofo del secolo I d.C., Apollonio di Tiana (Cappadocia), uno dei principali rappresentanti del neopitagorismo sotto Nerone. Di Apollonio la leggenda si era gi si era impadronita e Filostrato and avanti sulla stessa linea, facendo di lui un maestro religioso dotato di poteri straordinari: ad esempio avrebbe profetizzato la peste per Efeso, lacclamazione a imperatore di Vespasiano e di Nerva, e avrebbe annunziato in contemporanea a Efeso luccisione, a Roma, di Domiziano3. Ci che pi qui interessa il fatto che Filostrato lo presenti come un asceta itinerante che avrebbe peregrinato ovunque, no allIndia e no alla Spagna, per divulgare le sue dottrine religiose e morali, ispirate al neopitagorismo e alla cultura neosostica4. Tutto questo dice che al tempo di Filostrato la gura del maestro religioso itinerante non solo era frequente, ma era alla moda, anche negli ambienti altolocati. Molti erano dunque al tempo di Paolo i predicatori che frequentavano i grandi centri di incontro o che percorrevano le piccole citt e i villaggi di provincia in cerca di adepti o di fortuna e di avventura, ma nessuno ha concepito e portato avanti la sua missione in base a un piano strategico come ha fatto Paolo: They wandered. Paul
3 Che personaggio fosse stato in realt Apollonio si pu ricavare da Luciano di Samosata, lunico autore antico che menziona Apollonio prima che Filostrato ne scrivesse la vita. Luciano significativamente lo evoca come prototipo dellimpostore (Alessandro 5: [Di Apollonio di Tiana il maestro di Alessandro] conosceva tutta la maravigliosa impostura ; traduzione di Luigi Settembrini, Il Basilisco, Genova 1988). 4 Filostrato attribuisce ad Apollonio il seguente itinerario, intricato e romanzesco: Asia Minore, Mesopotamia, India, Asia Minore, Grecia, Creta, Roma, Spagna, Libia, Sicilia, Grecia, isola di Rodi, Egitto, Etiopia, Egitto, Asia Minore, Italia, Sicilia, Peloponneso, e sarebbe morto Se pure morto , insinua Filostrato (Vita di Apollonio 8,29) o a Efeso o a Rodi.

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progressed Gli altri gironzolavano. Paolo avanzava , ha scritto un autore di lingua inglese, con formulazione quanto mai felice5. E allora bisogna ricostruire la strategia che Paolo si diede per avanzare .

2. I dromedari di Madian prima che le navi di Tarsis Paolo scrive in Gal 1,17 dessersi recato, dopo la cristofania di Damasco, in Arabia, e cio nella regione dei Nabatei la cui capitale era Petra, la bellissima Petra, coi suoi sontuosi monumenti scavati nella roccia rosastra, che il turista oggi guarda ammirato. Ma Paolo non dice lo scopo di quel soggiorno in quellarea, e c chi pensa che l abbia cercato una pausa di riessione. Ma i ritiri spirituali si integrano con difcolt nel ritratto interiore di Paolo. Egli era bens uomo di preghiera, come s visto, ma lo era nel mezzo del tumulto apostolico, non nelle oasi dello spirito. Piuttosto egli era un uomo dazione, dopo Damasco come lo era stato prima, ed quindi da pensare che in Arabia si sia dedicato allannunzio del Cristo6. Andando da Damasco in Arabia, Paolo si mosse in direzione Sud-est, e non si pu fare a meno di chiedersi perch a Sud-est e perch in Arabia. La risposta nelle Scritture. Paolo, il fariseo tutto sinagoga e legge, cer5 P. Bowers, Paul and Religious Propaganda in the First Century, in Novum Testamentum 4 (1980) 319. 6 Per C. Burfeind (Paulus in Arabien, in Zeitschrift fr die neutestamentliche Wissenschaft 95 [2004] 129-130), Paolo sarebbe andato fra i pagani di Arabia e di Cilicia dopo levento di Damasco, prendendo subito le distanze dai farisei che non praticavano la missione dei pagani.

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tamente ha cercato indicazioni nelle Scritture per dare avvio alla sua corsa apostolica: le Scritture avevano nutrito la sua fede di giudeo fervente, ora comprovavano la messianicit di Ges che gli si era rivelato e che laveva conquistato, e quindi dovevano segnare anche la traccia lungo la quale muoversi. Cominci dallArabia probabilmente perch le Scritture dicevano che la luce di Gerusalemme avrebbe brillato per i cammelli di Madian e di Efa, per gli abitanti di Saba e per le regioni dei nabatei (Is 60,6-7), prima che per le navi di Tarsis (Is 60,8-9), e cio prima che per larea mediterranea7. Il profeta infatti, rivolgendosi a Gerusalemme, la invita a rivestirsi della luce del Signore: Alzati, rivstiti di luce (...) poich, ecco, su di te risplende il Signore e la sua gloria appare su di te (Is 60,1-2). Il profeta dice che a quella luce si orienter il cammino dei popoli: Cammineranno le genti alla tua luce (...). Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro (...) vengono a te (Is 60,3-5). Isaia diceva che prima sarebbero venuti i

7 Tarsis toponimo di difficile identificazione (la Tartesside, regione della costa sud-occidentale della Spagna? La Sardegna? Cartagine? Cipro? Tarso, la citt natale di Paolo?), ma comunque da localizzare nel Mediterraneo secondo molti testi biblici, il pi famoso dei quali il libro di Giona. Il profeta Giona, infatti, cerc di sottrarsi alla chiamata di Dio imbarcandosi a Giaffa, appunto sulla costa mediterranea palestinese, per fuggire verso Tarsis (Gio 1,3). Sulla Tartesside, sul fiume Tartessos (lantico Baetis, odierno Guadalquivir) e sulla citt di Tartessos cfr. Strabone, Geografia 3,2,11, che riporta curiose e discordanti tradizioni trasmesse dallo storico Polibio, dal poeta Stesicoro, dal navigatore Piteas di Massalia, dallerudito Eratostene di Cirene, e dal geografo-viaggiatore Artemidoro di Efeso. Fra i moderni, A. del Castello (Tarshish in the Book of Jonah, in Revue Biblique 114 [2007] 481-498, qui 482-483, nota 3) mette a disposizione unampia bibliografia sulla localizzazione mediterranea di Tarsis, che per colloca Tarsis nel mare Rosso, la comunicazione con quale era assicurata nellantichit da un canale del Nilo. Alternativa alla lontana Spagna Tarso di Cilicia ad esempio per A. Das, Paul of Tarshish: Isaiah 66,19 and the Spanish Mission of Romans 15,24.28, in New Testament Studies 54 (2008) 60-73.

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popoli dellOriente: Uno stuolo di cammelli ti invader, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore. Tutti le greggi di Kedar si raduneranno presso di te, i montoni di Nebaiot8 saranno a tuo servizio, saliranno come offerta gradita sul mio altare (Is 60,6-7). Soltanto dopo sarebbero venute dallOccidente le navi del grande mare, il Mediterraneo: Chi sono quelle che volano come nubi e come colombe verso le loro colombaie? Sono le isole che sperano in me, le navi di Tarsis sono in prima la, per portare i tuoi gli da lontano, con argento e oro, per il nome del Signore tuo Dio (Is 60,8-9)9. Prima dunque i beduini seminomadi, con i loro dromedari e con i loro cammelli, e poi i popoli rivieraschi del Mediterraneo, con le loro navi a vela, che avevano laspetto delle nuvole in movimento da un lato allaltro del cielo e delle colombe in volo verso le colombaie. Fu forse cos che Paolo dapprima si orient verso lArabia dei nabatei, anche se non si sa come colmare il vuoto di informazioni sui mesi o anni, forse due, in cui oper in quella regione. Da 2Cor 11,32 e da At 9,23-25 si apprende che attraverso un suo governatore, letnarca dei nabatei Areta IV (regn negli anni 9-40 d.C.) cercava di mettere le mani su Paolo: fu probabilmente per questo che egli dovette lasciare prima lArabia e poi la stessa Damasco, dalla quale fugg, come si ricorder, facendosi calare gi per le mura cittadine.
La versione CEI del 1971 aveva nabatei . Per tutto questo paragrafo, cfr. R. Bauckham, What if Paul had Travelled East rather than West, 171-184; e M. Hengel, Paul in Arabia, in Bulletin for Biblical Research 12 (2002) 47-66.
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Anche la presenza di Paolo a Damasco non facile da spiegare: dallArabia era pi logico recarsi a Gerusalemme, pi vicina e per lui pi sicura che non Damasco. Aveva fatto ritorno a Damasco (Gal 1,17), comunque, forse perch di l intendeva dirigersi, via Palmira, a Nord-est, verso la diaspora orientale che da secoli si era costituita nella zona di Ninive con la deportazione dopo la caduta del regno del Nord (722 a.C.), e nella zona di Babilonia con le deportazioni prima e dopo la caduta del regno del Sud (597 e 586 a.C.). L era stata codicata quella che noi chiamiamo la Bibbia, l forse era sorta listituzione sinagogale, l, nei primi secoli dopo Cristo, sar redatto il Talmud babilonese. Ma la caccia datagli da Areta in Damasco, che controllava le piste carovaniere sia del sud che del nord, deve avere convinto Paolo ad abbandonare lOriente. Quella di andare a Sud-Est era stata la prima scelta di Paolo, la seconda era stata forse quella di andare a Nord-est, e, trovando sbarrata la via dellOriente, in terza battuta Paolo punt allora verso lOccidente: verso il Mediterraneo solcato dalla navi di Tarsis, perch anche di quelle parlavano le Scritture.

3. Un tempo compagno di Barnaba, poi cavaliere solitario Forse perch delle primissime attivit di Paolo in Oriente non sapeva neanche lui nulla come noi, Luca colloca gli inizi apostolici di Paolo ad Antiochia di Siria (At 13,1-3), anche se conosce periodi di tempo trascorsi da Paolo in Siria: a Damasco (At 9,19-22) e ad Antiochia
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(At 11,25-26), e nella sua regione nativa, la Cilicia (At 9,30)10. Da questo momento in poi, nalmente, non si dovr pi procedere con ipotesi su ipotesi, ma seguendo informazioni, anche se sporadiche, fornite sia da Paolo, sia dagli Atti degli apostoli. Luca sembra dire che nessuno ad Antiochia pensava alla missione e che fu lo Spirito a prenderne liniziativa. Elencando i nomi dei cinque leader che guidavano quella Chiesa (Barnaba, Simeone, Lucio, Manan, Saulo), egli d infatti limpressione di volersi interessare solo alla vita interna della comunit antiochena. Poi la svolta: mentre si celebrava il culto e si digiunava, lo Spirito design Barnaba e Saulo, e cio il primo e lultimo del gruppo dirigente, e li destin alla missione itinerante (At 13,2). Probabilmente tutto avvenne attraverso le indicazioni di un profeta che nellassemblea di preghiera prese la parola sotto linusso dello Spirito. La scelta di Cipro come campo sperimentale della missione antiochena non motivata da Luca, ma con ogni probabilit la si deve attribuire a Barnaba, il capomissione, il quale era originario appunto di Cipro, come dice il testo di At 4,36: Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, (...) un levita originario di Cipro . Una conferma viene dal fatto che anche pi tardi, al momento di separarsi da Paolo e oramai libero di dirigersi dove
10 M. Wilson (Cilicia: the First Christian Churches in Anatolia, in Tyndale Bulletin 54 [2003] 15-30) ritiene che, negli anni (oscuri per noi) in cui Paolo si trattenne nella sua regione dorigine, abbia fondato le prime Chiese dellAnatolia, da cercare fra le sei citt di: Tarso, Adana, Mopsuestia, Hieropolis Castabala, Soli o Pompeiopoli, e Anavarza. L Paolo avrebbe esperimentato la plantatio ecclesiae, che poi avrebbe caratterizzato la sua metodologia apostolica. Per M. Hengel, Paul in Arabia, la sperimentazione di Paolo e la prima elaborazione del suo messaggio sarebbero incominciate gi in Arabia.

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pi gli piaceva, Barnaba scelse come campo di lavoro la sua isola natale e simbarc per Cipro (At 15,39). Insomma, Barnaba deve essere stato lo stratega e il leader designato di tutta limpresa. Nel corso della missione, per, Paolo prese la mano a Barnaba, scavalcando il suo primato e la sua leadership: dapprima forse solo sporadicamente, e poi invece, nellepisodio che contrappose i missionari al mago Elimas (At 13,6-11), in maniera clamorosa. Per questo, da quel punto in poi, Luca scriver molto raramente: Barnaba e Paolo , e, invertendo i ruoli, scriver invece pi volentieri: Paolo e Barnaba (At 13,43.46.50, eccetera). In At 13,13 addirittura egli usa lespressione: Paolo e i suoi compagni , espressione nella quale il numero uno Paolo, e Barnaba oramai anonimamente relegato fra i suoi accompagnatori. Dotato di una gran voglia di fare, a Cipro dunque Paolo s fatto avanti con non poca irruenza, oltre che naturalmente con tante buone intenzioni. Barnaba ha capito e (nella sua stessa terra dorigine!) lo ha lasciato fare, ritirandosi con esemplare disinteresse in posizione subalterna. Questo emergere della leadership di Paolo certamente uno degli elementi e dei contributi pi degni di nota e di memoria, della spedizione missionaria a Cipro e poi verso nord, nel cuore dellAnatolia, da Attalia e Perge ad Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe11. Se questa fu la circostanza in cui Paolo si rese autonomo da Barnaba, ci fu poi un episodio ancor pi gravido
11 Per tutto questo paragrafo, cfr. G. Biguzzi, La spedizione di Paolo e Barnaba a Cipro, in Eteria 2/7 (1997) 12-21.

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di conseguenze: il gi menzionato scontro con Pietro ad Antiochia di Siria (Gal 2,11-14). Paolo non dice quale sia stato lesito del confronto tra i due, ed probabile che egli ne uscisse scontto12. Di fatto, da quel momento dar fondamento al suo titolo di apostolo a partire dalla rivelazione di Damasco (1Cor 9,1; 15,8-11; Gal 1,15-17), e a chi a Corinto gli chieder lettere di presentazione della comunit che lo inviava, egli dir che i corinzi stessi erano la sua lettera: La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani (2Cor 3,2-3). Da quel momento, dunque, Paolo corse la sua corsa da solo. Da parte sua, egli cerc sempre di mantenere il collegamento con Gerusalemme: lo dicono le sue ripetute visite a quella Chiesa, di cui parlano gli Atti degli apostoli (18,22; 21,17); ma lo dice, soprattutto, la colletta a suo favore, che organizz in Galazia (1Cor 16,1), in Macedonia e in Acaia (2Cor 8-9; Rm 15,26-28). Ma, sprovvisto della legittimazione che una Chiesa mittente gli avrebbe potuto dare, fece la sua corsa da cavaliere solitario13.
12 G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, p. 94, parla di accusa forse ingiusta perch a Pietro e a Barnaba, preoccupati dellunit della Chiesa, un compromesso di carattere pastorale sembrava un prezzo pagabile . Lautore per aggiunge: Vista in prospettiva, sembra di poter dire che lazione di Paolo si dimostr lungimirante . 13 Per tutti, cfr. G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, pp. 94-95: Sembra certo che da questo momento si separ definitivamente da Barnaba e si rese indipendente dalla Chiesa di Antiochia. Dora in poi, egli si sentir lApostolo di Cristo che non deve rendere conto a nessuno del suo operato (1Cor 4,4) ; Dora in poi sar costretto a tagliare i ponti con la Chiesa antiochena (p. 138).

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4. La scelta delle grandi citt Questo nuovo inizio lo port allevangelizzazione non pi di villaggi sperduti allinterno di unisola o dellaltopiano anatolico come, insieme con Barnaba, aveva fatto nel primo viaggio missionario. Da quel momento in poi Paolo punt invece su Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto, Efeso, e Roma. Mir cio oramai alle capitali di provincia, ai grandi centri dellellenismo, della cultura, del commercio, del potere politico ed economico, delle scuole losoche, dei santuari e giochi panellenici. Quanto a Roma, essa contava un milione di persone e ad essa conducevano come dice ancora oggi il proverbio tutte le strade e, attraverso di esse, tutti i trafci e i tutti commerci. Atene, poi, non era pi la perla della Grecia, n la sua capitale politica, quantunque fosse meta ancora ricercata di studenti di losoa14. Ancora nel secolo IV d.C. frequenteranno le lezioni di Imerio e Proeresio sia Basilio, che sar vescovo di Cesarea, quanto il suo amico Gregorio, che lo sar di Nazianzo, e con loro Giuliano, che sar imperatore dal 361 al 363 d.C., e che fu dai cristiani chiamato lapostata per avere tentato di rimettere in auge i culti pagani, rinnegando il battesimo che aveva ricevuto in giovent. Al posto di Atene era capitale politica dellAcaia e quindi sede del proconsole che veniva da Roma Corinto,

14 Atene ormai non ha pi alcuno splendore, tranne i nomi celeberrimi delle localit. Come della vittima immolata non resta che la sola pelle, indizio dellanimale che una volta viveva, cos da Atene scomparsa la filosofia : cos scrive Sinesio di Cirene, vescovo della pentapoli della Tolemaide (370 circa dopo il 413; Lettera 135: PG 66,1523).

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con circa mezzo milione di abitanti. Il poeta latino Orazio la denisce bimaris, situata su due mari 15: Corinto aveva infatti accesso a due mari e su ogni mare aveva uno o pi porti. Uno dei porti orientali era quello di Cencre, che metteva in comunicazione con Asia, Siria-Palestina ed Egitto, mentre il porto occidentale era quello del Lecho, che metteva in comunicazione con Roma e lItalia, con Sicilia, Gallia, Spagna, e Africa nord-occidentale16. Corinto era un vero e proprio crocevia internazionale e una citt inevitabilmente cosmopolita. Fra laltro, come si detto, ospitava ogni due anni il popolo variopinto degli sportivi di tutto il mondo greco, per i giochi dellistmo. Anche Tessalonica ed Efeso erano citt portuali: la prima era porto marittimo, la seconda porto uviale. La loro importanza era quella di offrire lo sbocco al mare per i commerci e per i viaggi dellentroterra macedone e balcanico in un caso, e dellaltopiano anatolico nellaltro, lungo le valli uviali. Efeso era bellissima: adagiata tra il monte Pion e il monte Coresso, aveva strade colonnate con portici pavimentati a mosaico e con illuminazione notturna. Aveva poi un teatro di 25.000 posti a sedere, e aveva due agorai: una politica per le grandi celebrazioni cittadine, laltra commerciale, nei pressi del porto, sempre brulicante di persone per i commerci, gli scambi, le transazioni. Queste erano le citt che Paolo sceglieva di volta in volta come campo apostolico e come quartier generale:
15 Quinto Orazio Flacco, Odi 1,7,2 (Quinto Orazio Flacco di Venosa in Apulia, 65-8 a.C.). 16 Lo storico Tucidide parla di due scali marittimi (Storie 1,13,5,9), e il geografo Strabone di Amaseia Pontica definisce Corinto padrona di due mari (Geografia 8,6,20). Mentre il porto del Lecho non menzionato nel Nuovo Testamento, quello di Cencre lo due volte: in At 18,18 e in Rm 16,1.

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le metropoli. I motivi della scelta erano anzitutto che la grande citt pi ricca di stimoli e di interessi; poi che pi anonima e quindi pi libera di quanto non lo siano il villaggio rurale o i paesoni di provincia, solitamente inibiti dal rapporto di vicinato e dal pettegolezzo. Nella grande citt lannunciatore evangelico, insomma, trovava e trova una maggiore ricchezza umana e, accanto a molta prevedibile indifferenza, anche molta attesa e molta apertura. Nella strategia di Paolo cera di pi. Cera lentroterra.

4. Dalle metropoli allentroterra Paolo vedeva se stesso nel ruolo di fondatore di Chiese: in Rm 15,20 dice chiaramente di non voler interferire in Chiese gi esistenti e che abbiano fondatori cui legittimamente richiamarsi: Mi sono fatto un punto donore di non annunziare il vangelo dove era gi conosciuto il nome del Cristo, per non costruire su un fondamento altrui 17. Il piccolo drappello di credenti che riusciva a portare alla fede in una metropoli era da lui pensato in termini rappresentativi: essi anticipavano ladesione al vangelo di tutta la citt, e a sua volta la citt doveva essere il punto di irradiazione dal quale il vangelo per naturale dinamismo si sarebbe diffuso nellentroterra e nella provincia. In altre parole, ogni Chiesa doveva essere capace di fare in modo che il vangelo venisse conosciuto e accolto
17 quella che G. Klein, citato da O. Kuss, Paolo, p. 192, ha chiamato la clausola della non interferenza, Nichteinmisschungsklausel .

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tuttallintorno. Nella lettera pi antica che sia giunta a noi, 1Tessalonicesi, Paolo ad esempio scrive: Per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne (1Ts 1,8). A dire il vero, il caso della 1Tessalonicesi trattato da Paolo in termini vaghi e con una buona dose di enfasi, se non di esagerazione. Quello di Efeso invece per noi pi concreto e pi vericabile perch abbiamo al riguardo la documentazione incrociata delle lettere e degli Atti degli apostoli. In At 19 il capo degli argentieri di Efeso, Demetrio, solleva un tumulto popolare contro Paolo per difendere lArtemide efesina e il suo tempio: secondo le sue parole, senza muoversi da Efeso, Paolo avrebbe contagiato con il suo annunzio tutta lAsia: Voi potete osservare e sentire come questo Paolo abbia convinto e fuorviato molta gente, non solo di Efeso, ma si pu dire di tutta lAsia, affermando che... (At 19,26). La Lettera ai Colossesi ci fornisce poi indicazioni ancora pi interessanti. Da un lato, Paolo vi confessa di non conoscere di persona n i colossesi n i laodicesi e, dallaltro, fa capire che in quelle citt un certo Epafra ad avere portato il vangelo, e che egli ora vi si affatica in sua vece: Voglio che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi, per quelli di Laodicea e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona (Col 2,1); Dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verit, che avete appreso da Epafra, nostro caro compagno nel ministero. Egli presso di voi un fedele ministro di Cristo (Col 1,6-8). Se si tiene presente che alle due Chiese di Colosse e
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di Laodicea va aggiunta anche quella di Gerapoli, menzionata in Col 4,13, allora non una ma ben tre Chiese paoline erano sorte nellentroterra di Efeso, senza essere state fondate direttamente da Paolo e senza che Paolo si fosse mosso dalla metropoli. A Paolo, dunque, bastava far sorgere in una grande citt una Chiesa di cinquanta o cento credenti18 per ritenere evangelizzata anche la regione circostante. Quanto ampio potesse essere il raggio della spontanea irradiazione evangelica, lo dice la presenza cristiana nei tre centri di Colosse, Laodicea e Gerapoli, posti duecento chilometri a monte di Efeso, dovuta allopera di un oscuro discepolo di Paolo. Di lui sappiamo solo il nome: Epafra. Per il resto possiamo soltanto fare ipotesi. Poteva essere un ricco mercante che per i suoi trafci risaliva la valle del Meandro e poi la valle del Lico, suo afuente, nella quale erano appunto site le tre citt. O poteva invece essere uno schiavo-amministratore che, a nome del padrone, teneva i collegamenti tra la sede efesina dellazienda e una o pi succursali nellentroterra. Questa strategia di Paolo era ispirata al concetto di primizia .

5. La strategia della primizia Nei testi anticotestamentari la primizia il prelievo di parte dei primi frutti, considerati i migliori di tutto il
18 Cfr. i calcoli per Corinto di J. Murphy-OConnor, Corinthe au temps de saint Paul, pp. 237-245.

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raccolto, perch siano offerti a Dio nel tempio di Gerusalemme come riconoscimento che la terra di Dio, che Dio lha concessa al popolo con lesodo dallEgitto e con la conquista della terra di Canaan, e che sua rimane. Il libro del Deuteronomio, infatti, dove descritto il rito di offerta della cesta con le primizie (Dt 26,1-11), mette sulle labbra dellIsraelita la dichiarazione: Il Signore ci fece uscire dallEgitto (...) e ci diede questa terra dove scorrono latte e miele. Ora ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato (vv. 8-10). Paolo per reinterpreta in altra chiave la primizia. Da termine del vocabolario cultuale-liturgico, primizia diventa un termine del vocabolario di evangelizzazione, ad esempio nei tre testi in cui applicato alla persona di Epneto, alla famiglia di Stefans, e alla Chiesa di Tessalonica: Salutate il mio amatissimo Epneto, primizia19 dellAsia per Cristo (Rm 16,5); Voi sapete che la famiglia di Stefans primizia20 dellAcaia (1Cor 16,15); Dio vi [voi tessalonicesi] ha scelti come primizia (2Ts 2,14)21. Che cosa primizia signichi per Paolo in questi tre testi espresso alla perfezione nella regola enunciata in Rm 11,16, anche se a proposito daltro: Se le primizie

19 La versione CEI del 2008 traduce primizia liberamente con che stato il primo a credere in Cristo . 20 Qui la versione CEI del 2008 traduce primizia liberamente con: Furono i primi credenti . 21 Qui la versione CEI conserva il termine primizia. Quanto alla 2Tessalonicesi, molti autori la ritengono non di Paolo ma di un discepolo, come si detto.

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sono sante, lo sar anche [tutto] limpasto . Lidea quella per cui, se ci sono primizie, allora ci sar un intero, abbondante raccolto, e ci che accade alla primizia, accadr anche a tutto il raccolto22. Da Rm 16,5 si deve allora concludere che Epneto fu la prima conquista di Paolo in Asia, probabilmente a Efeso, e quella conquista ha continuato a rappresentare e preannunziare agli occhi dellApostolo linarrestabile diffusione del vangelo da Efeso a tutta la provincia dAsia, cos come la conquista a Corinto della famiglia di Stefans consacrava al Cristo tutta la provincia dAcaia23. Quanto a Tessalonica, il concetto di primizia implicito nel testo gi ricordato nel quale la fama della Chiesa di Tessalonica si diffusa in tutta la Macedonia, no allAcaia e oltre: Per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne (1Ts 1,8). Paolo, dunque, sceglieva le grandi citt dalle quali quasi automaticamente il vangelo si irradiasse a tutta la regione. Egli poi memorizzava il nome della prima
22 C. Hauret, Primizie, in X. Lon-Dufour (ed.), Dizionario di teologia biblica, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1965 (or. fr., Paris 1962) 882, trova gi nellAntico Testamento questo significato di primizia , ma senza poter citare alcun testo anticotestamentario. 23 Lespressione di J. Fitzmyer, La Lettera ai Romani, in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973 (or. ingl., Englewood Cliffs [NJ] 1978), p. 1257. Ma cfr. anche G. Bornkamm, Paolo, Apostolo di Ges Cristo, p. 69, che scrive: Ogni comunit che nasce rappresenta per lui lintera regione: Filippi sta per la Macedonia, Tessalonica per la Macedonia e lAcaia, Corinto per lAcaia, ed Efeso per lAsia ; e G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, 101: Gli basta aver proclamato il messaggio cristiano nelle metropoli dellAnatolia e della Grecia per poter affermare che Cristo invocato in quelle regioni. Suo compito non quello di convertire ogni singola persona, ma di costituire nei grandi centri urbani comunit cristiane .

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persona o famiglia che vi conquistava alla fede perch esse erano per lui promessa e profezia dellevangelizzazione di tutta la provincia. Marciando sempre in avanti e conquistando la primizia di metropoli in metropoli, egli avrebbe cos annunziato il vangelo che Dio gli aveva afdato a tutti . solo cos che si pu capire e giusticare che nella Lettera ai Romani Paolo dica di non avere pi spazio apostolico nella parte orientale dellimpero: Cos da Gerusalemme (...) no allIlliria ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo (...). Ora, non trovando pi un campo dazione in queste regioni (...), spero di vedervi (...), quando andr in Spagna (Rm 15,19.24). Se laffermazione ci suona sorprendente, il motivo sta nel fatto che essa ispirata al concetto di primizia , e nel fatto che per quel concetto non vi esplicito. Per farsi capire meglio da noi, lApostolo avrebbe potuto scrivere: Da Gerusalemme no allIlliria, ho gi conquistato al Cristo la primizia in ogni capitale di provincia .

6. Molti viaggi per Luca e un solo grande viaggio per Paolo Tra Paolo e il suo biografo, lautore degli Atti degli apostoli, c una differenza di prospettiva missiologica che merita di essere messa in rilievo. Luca riferisce di quattro viaggi dellApostolo, anche se il conteggio dal primo al quarto fatto dai commentatori moderni. Nel primo, insieme con Barnaba, Paolo percorre in lunghezza lisola di Cipro e risale dalla costa dellAnatolia
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nellaltopiano centrale di essa (cfr. At 13,4-14,27). Nel secondo attraversa lAnatolia, oltrepassa lEllesponto, fonda alcune Chiese in Macedonia, e scende in Acaia, soggiornando diciotto mesi a Corinto (At 18,11). Nel terzo soggiorna invece tre anni a Efeso e poi fa visita alle Chiese della Troade, della Macedonia, e dellAcaia (cfr. At 18,23-21,17). Nel quarto viaggio, partendo in catene da Cesarea Marittima, dopo avere cambiato tre navi, la seconda delle quali protagonista di un naufragio giustamente famoso per la descrizione che ne fa lautore di Atti degli apostoli24, Paolo giunge a Roma per comparire davanti al tribunale imperiale (At 27,1-28,16)25. Ma Paolo, pur essendo sempre per strada o pronto a mettervisi, non considerava i suoi spostamenti nel quadro di una serie di viaggi successivi. Se lautore degli Atti degli apostoli lo fa partire e ripartire da Gerusalemme pi volte, di se stesso egli dice di essere idealmente partito da Gerusalemme una volta sola. Nel testo di Rm 15,19, citato nora di passaggio ma fondamentale per i prossimi paragra, egli dice di essere andato da Gerusalemme alla costa adriatica, e che ora, via Roma, andr no in Spagna, integrando dunque tutta la ragnatela dei suoi numerosi spostamenti nel quadro di un unico viaggio apostolico. Del quale si deve ora parlare pi a lungo.
24 O. Hckmann, La navigazione nel mondo antico, Garzanti, Milano 1988 (or. ted., Mnchen 1985), p. 135, scrive: Il laconico racconto negli Atti degli apostoli certamente la testimonianza pi drammatica e pi dettagliata che noi possediamo di un viaggio per mare nellantichit . 25 Cfr. G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, p. 25 ( Si tratta di una presentazione letteraria; allora era in auge il genere romanzesco dei viaggi. Dalle lettere emerge, piuttosto, che lazione missionaria di Paolo stata caratterizzata dalla scelta dei grandi centri urbani ). Cfr. anche O. Kuss, Paolo, p. 56, che definisce quello dei tre viaggi un discutibile schema .

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7. La mezzaluna mediterranea di Paolo Secondo il testo biblico, nella sua errabonda esistenza Abramo ha risalito i due umi da Ur, nella Mesoptamia meridionale, no a Harran, nel nord della Siria. Di l sceso a Sichem, nella Palestina centrale, e poi a Hebron e Bersheva, nel sud, e inne entrato in Egitto, la terra del Nilo. Il patriarca ha dunque percorso per intero la patria della Bibbia perch gli eventi anticotestamentari si sono consumati o in Mesopotamia, o nella terra di Canaan, o in Egitto, e cio in quella lunga striscia di terra che da J.H. Breasted in poi viene chiamata con la felice espressione di mezzaluna fertile . Mezzaluna perch, estendendosi a forma di arco, aggira a nord il complesso dei deserti arabici, e fertile perch irrigata dalle acque del Tigri e dellEufrate a nord e a est, dal Giordano e dai suoi afuenti a ovest, e dal Nilo a sud-ovest26. Anche Paolo ha percorso o voleva percorre la sua mezzaluna, quella che si potrebbe chiamare la mezzaluna mediterranea , e che va da Gerusalemme non solo no allIlliria (Rm 15,19), ma no alla Spagna (15,24.28), no alle colonne dErcole, circonfuse di leggenda27. Di questo programma apostolico non c rischio di sopravvalutare larditezza. Roma aveva strappato ai cartaginesi e alle indomite popolazioni locali un pezzo dopo laltro della penisola
26 Lespressione inglese fertile crescente . J.H. Breasted (or. ingl., Rockford [IL] 1865, New York 1935) fu egittologo e orientalista che collabor al grande dizionario della lingua egizia e ne fece una versione in cinque volumi in lingua inglese. 27 Cfr., ad esempio, la lunga narrazione che vi ambienta Filostrato nella Vita di Apollonio di Tiana (4,47 - 5,10).

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iberica. Era una terra divisa da montagne e da un clima molto vario, per cui etnicamente non era affatto unitaria. Era percorsa soprattutto nella costa da trafci e scambi commerciali, alimentati dalla pesca e dalla conservazione del pesce, dalle risorse minerarie della regione, di oro e argento, ferro e stagno, e dai suoi prodotti agricoli quali il grano e, come si gi detto, lolio. La Spagna era ben conosciuta a Roma, ma non lo era da un orientale come Paolo di Tarso, per il quale essa poteva essere poco pi che un nome. E Paolo dovette davvero contare sulla comunit romana per fare, quando fosse venuto il momento, progetti logistici precisi. E dopo la Spagna? Paolo aveva sostato un anno e sei mesi a Corinto e tre anni circa a Efeso, ma non vi si era affatto stabilizzato in via denitiva. Nella Lettera ai Romani, poi, dice esplicitamente che non intendeva fermarsi neanche a Roma. Se se ne deve concludere che non intendesse fermarsi denitivamente neanche in Spagna. La domanda dunque inevitabile: dove si pu pensare che, poi, dalla Spagna Paolo avesse in progetto di andare?

8. Muovendomi a cerchio da Gerusalemme allIlliria Nella frase gi tante volte citata di Rm 15,19 c una piccola espressione che viene tradotta in diversi modi e che potrebbe contenere unindicazione sul dopo Spagna di Paolo. Lespressione greca kai kykl o , e si trova subito dopo la menzione di Gerusalemme nella frase: Da Gerusalemme kai kykl o no allIlliria ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo .
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Una traduzione di kai kykl o che, grammaticalmente corretta, non si adatta per alla morfologia di Gerusalemme quale citt palestinese : Da Gerusalemme e dintorni no allIlliria . Nei dintorni di Gerusalemme, infatti, non cera alcuna citt e, se anche ci fosse stata, del tutto improbabile che Paolo vi abbia fondato Chiese. Anche la traduzione di kai kykl o con e in tutte le direzioni 28 non descrive a dovere le mosse apostoliche di Paolo: da Gerusalemme, ad esempio, Paolo non si mai diretto verso lEgitto, o verso la Mesopotamia. Anche chi non ha studiato la lingua greca avverte senza difcolt nellespressione kai kykl o la radice lessicale che si ritrova in ciclo e, no a prova contraria, la traduzione pi fedele dellespressione quella che chiama in causa la traiettoria circolare delle mosse apostoliche di Paolo e che potrebbe suonare: ...[muovendomi] a cerchio da Gerusalemme no allIlliria 29. In base a Rm 15,24.28 laffermazione sul movimento circolare dellApostolo va aggiornata con la sostituzione dellIlliria, quale punto darrivo, con lestremo Occidente, la Spagna. Ma si pu forse dire di pi.

9. Ritorno a Gerusalemme passando per lAfrica? Se, come si detto, in Spagna Paolo non voleva fermarsi, cos come non si era fermato n a Corinto n a
28 La traduzione: Da Gerusalemme e dintorni veniva proposta nella versione CEI del 1975, mentre nelle versioni del 1997 e del 2008 compare la formula: Da Gerusalemme e in tutte le direzioni . La Nuovissima Versione della Bibbia traduce invece: muovendomi a largo raggio fino allIllirico . 29 Cos intende la Volgata di san Girolamo che infatti traduce per circuitum .

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Efeso, si potrebbe infatti fare lipotesi che Paolo volesse chiudere quel cerchio ritornando di nuovo a Gerusalemme. Dopotutto era quello che pi volte aveva fatto almeno secondo il racconto degli Atti degli apostoli, ed era quello che stava per fare al momento di scrivere la Lettera ai Romani: Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio ai santi di quella comunit (Rm 15,25). Il ritorno dalla Spagna avrebbe potuto essere fatto ripercorrendo allindietro le Chiese gi fondate eventualmente in Gallia, quella di Roma, e poi quelle di Corinto, Tessalonica, Filippi, Efeso... Ma il movimento circolare di cui parla lespressione locale kai kykl o di Rm 15,19 sarebbe stato davvero tale se dalla Spagna Paolo fosse ritornato a Gerusalemme percorrendo da Occidente a Oriente la costa mediterranea dellAfrica. Questipotesi stata proposta ad esempio da J. Knox, nel 196430. Egli parte dalla constatazione che kyklos in greco non signica semplicemente linea curva , come quella che va da Gerusalemme allIlliria, lattuale Albania, perch, per dire curva la lingua greca ha il termine periphereia, da cui viene il nostro periferia. Il termine kyklos dice Knox signica invece giro circolare [intero] . E allora lespressione kai kykl o di Rm 15,19 dovrebbe eventualmente signicare che egli da Gerusalemme andato allIlliria e poi, magari anche pi volte, ritornato a Gerusalemme muovendosi a cerchio. E tuttavia la frase troppo solenne per riferirsi a viaggi di routine, e il cerchio

30 J. Knox, Romans 15,14-33, pp. 1-11. Cfr. comunque anche E.P. Sanders, San Paolo, p. 11, e la citazione con riserva di W.P. Bowers, Missione, in G.F. Hawthorne e altri (edd.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999 (or. ingl., Downers Grove [IL] 1993), p. 1020.

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difcile da intravedere nei movimenti dellApostolo, perch in tutta la zona egli replicava le stesse vie terrestri o le stesse rotte marine sia allandata che al ritorno, senza compiere un vero movimento circolare. Un cerchio vero e proprio appunto quello invece che egli avrebbe percorso se avesse raggiunto la Spagna lungo la sponda mediterranea europea, e se fosse poi tornato a Gerusalemme lungo la costa africana. Per questo, con tutte le riserve del caso31, Knox conclude: almeno possibile che questo en kykl o rietta la speranza di Paolo di poter fare un giro completo delle nazioni sia a nord che a sud del Mediterraneo, impiantando il vangelo dove non era stato piantato da altri . E aggiunge: Se questo corrispondesse a verit, il suo progetto missionario non sarebbe consistito in una serie di viaggi apostolici tra Gerusalemme e i vari punti dellAsia e della Grecia, ma avrebbe piuttosto (...) abbracciato lintero mondo mediterraneo 32.

10. Paolo, lautore degli Atti degli apostoli, e lAfrica Paolo non menziona mai lAfrica: lo fa invece lautore degli Atti degli apostoli parlando sia dellEgitto e di Alessandria dEgitto, che dellEtiopia, della Cirenaica, della Libia33. Da At 27,17 evidente poi che Luca conosce

31 Lautore scrive ad esempio: Spero di essere preso per quel che sto davvero dicendo: sto suggerendo niente pi che una possibilit (J. Knox, Romans 15,14-33, p. 11). 32 J. Knox, Romans 15,14-33, p. 11. 33 Per lEgitto e Alessandria dEgitto, cfr. At 2,10; 6,9; 18,24; 27,6; 28,11; per lEtiopia At 8,27; per la Cireneaica At 2,10; 6,9; 11,20; 13,1; per la Libia At 2,10.

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anche le Sirti, due ampie insenature nella costa africana in faccia alla Sicilia, e i pericoli che la navigazione vi avrebbe potuto incontrare: Per timore di nire incagliati nella Sirte, calarono la zavorra 34. Di fatto, dal punto di vista apostolico le province africane non erano affatto trascurabili, n poco invitanti. Dopo avere vinto e distrutto Cartagine (146 a.C.), Roma aveva fatto dellAfrica mediterranea un paese orente soprattutto riordinando il territorio con laccatastamento e la centuriazione per incrementare lagricoltura, e poi con lo sviluppo delledilizia urbana della quale sopravvivono splendidi resti archeologici ad esempio a Leptis Magna, a Sabratha o a Cirene35. Buon campo di evangelizzazione perch popolosa e perch parlava greco e latino, lAfrica romana lo era ancora di pi per il fatto di avere numerose comunit giudaiche, soprattutto in Cirenaica e in Egitto, che potevano servire, cos comera stato in Europa, come punto di primo appoggio allazione missionaria36.

34 La Grande Sirte era in territorio libico, la minore in territorio numidico, oggi tunisino. Nellantichit le secche delle Sirti erano famigerate, ma probabilmente erano stati i Fenici a creare attorno ai due golfi la leggenda della pericolosit per proteggervi il proprio monopolio commerciale. Di fatto il mercato fenicio vi stato sempre intenso e fiorente. Cfr. W.N.W., Le Sirti, in N.G.L. Hammond - H.H. Scullard (edd.), Dizionario di Antichit Classiche, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995 (or. ingl., Oxford 1970) 1956. 35 W.N.W - B.H. Warmington, Africa Romana, in N.G.L. Hammond - H.H. Scullard (edd.), Dizionario di Antichit Classiche, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995 (or. ingl., Oxford 1970), pp. 28-30. 36 Lipotesi darebbe una buona risposta allobiezione sollevata circa Alessandria dEgitto da P. Rossano, Paolo, in P. Rossano - G. Ravasi - A. Girlanda (edd.), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1899, p. 1067. Dopo aver scritto: La metodologia missionaria di Paolo, a differenza dei predicatori ambulanti del suo tempo, ha di mira i popoli pi che non i singoli individui , Rossano soggiunge: Per questo appare veramente singolare che Paolo non abbia mai preso in considerazione una citt popolosa e significativa come Alessandria dEgitto .

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11. Da Gerusalemme a Gerusalemme Unultima componente da mettere a fuoco nella concezione che Paolo si era fatto della sua missione quella del punto di gravitazione: Gerusalemme. Mentre proprio scriveva la Lettera ai Romani, egli stava dirigendosi a Gerusalemme per la consegna della colletta a favore della Chiesa-madre gerosolimitana, e la motivazione che egli era andato elaborando per quella colletta dice molto bene che cosa signicasse Gerusalemme per lui. La sua convinzione era che le Chiese di Galazia, di Macedonia e di Acaia dovessero sostenere economicamente la Chiesa di Gerusalemme dal momento che da essa erano venuti loro i beni spirituali: La Macedonia e lAcaia infatti hanno voluto realizzare una forma di comunione (la colletta) con i poveri fra i santi che sono a Gerusalemme. Lhanno voluto perch sono a essi debitori: infatti, le genti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere loro un sevizio sacro (Rm 15,26-27). Gerusalemme dunque per Paolo, come nel giudaismo, centro del mondo (Ez 5,5) e ombelico della terra (Ez 38,12), ma non a motivo del tempio e del suo Santo dei santi con la divina Presenza, bens perch teatro degli eventi salvici della Pasqua, da cui venuto ogni bene spirituale a tutte le genti della terra. Ed interessante il fatto che Paolo non sentisse di dover tornare a Damasco dove gli era stato rivelato il Cristo, ma a Gerusalemme. La corsa di Paolo era, s, partita da Damasco, ma doveva concludersi a Gerusalemme, perch le Chiese da lui fondate non potevano non essere in comunione con i Dodici e con le loro Chiese. Oltre che cristologico, il motivo del
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ritorno a Gerusalemme era dunque anche ecclesiologico. Il Risorto era anche nellIlliria e in Spagna, ma la Chiesa madre era solo quella di Gerusalemme.

Conclusione. La comunicazione da Dio a Dio Il cerchio orizzontale che Paolo avrebbe voluto percorrere da Gerusalemme a Gerusalemme, forse con il periplo del Mediterraneo, si congiungeva in tal modo al cerchio verticale della rivelazione che Dio aveva fatto attraverso Ges e che, noticata da Paolo e dagli altri banditori del cristianesimo primitivo, a Dio doveva portare tutte le genti. Si potrebbe allora applicare a Paolo quello che scritto in Is 55,10-11: Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perch dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, cos sar della parola uscita dalla mia bocca: non ritorner a me senza effetto, senza aver operato ci che desidero e senza aver compiuto ci per cui lho mandata . La rivelazione escatologica afdata da Dio ai Dodici e a Paolo, a Dio doveva tornare, dopo avere portato frutti sia fra quelli della circoncisione, sia per il ministero di Paolo fra le genti. E Paolo intendeva forse ritornare a Gerusalemme per offrire a Dio le primizie come faceva lagricoltore dellAntico Testamento, ma le sue primizie sarebbero state quelle colte nel suo periplo del Mediterraneo.

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Epilogo Una nuova Damasco nei piani di Dio

Da uno degli interlocutori di un suo dialogo, Platone


faceva denire il Mediterraneo uno stagno di rane 37. La boutade rivela una mente superiore, capace di collocarsi al di sopra di vicende e civilt che da tutti sono sentite come immani e soverchianti. Paolo ha avuto una visione analoga, ma essa gli viene dalla sua vocazione e dalla sua fede e non, come nel caso di Platone, o almeno del personaggio da lui creato, da un po di supponenza e di presunzione. Al tempo di Paolo, fra le molte etnie e i molti popoli appollaiati attorno allo stagno , Roma aveva oramai realizzato una solida e beneca unicazione politica. Consapevole della sua inferiorit culturale nei confronti della cultura greca, aveva lasciato ampie autonomie giuridiche, culturali e religiose anche ai popoli incorporati nel suo impero che non erano della stessa levatura38. Paolo, da un lato apprott di quellunicazione del mondo di allora: apprott della lingua greca, della rete stradale, dellunit amministrativa, e della molteplice globalizzazione. Daltro canto, per, pi che
Platone, Fedone 109.b.2 (Platone di Atene, 429-347 a.C.). Cfr. R. Brague, Il futuro delloccidente. Nel modello romano la salvezza dellEuropa (traduzione di Europe, la voie romaine), Rusconi, Milano 1997.
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annunziare lunit, egli annunziava il centro che la metteva in atto. Mirava a ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose (Ef 1,10): quel Cristo che ha sottomesso a s anche i Principati e le Potest e che alla ne, annientata la morte, ultimo nemico, si sottometter lui stesso a Dio, afnch Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,24-28), perch tutto nostro, ma noi siamo di Cristo, e Cristo di Dio (1Cor 3,22-23). Anche oggi si sta realizzando una certa unicazione del mondo. lunicazione che viene dai mezzi potenti e veloci dellinformazione e del trasporto. Una quantit senza numero di notizie e di messaggi corre per i cieli riempiendoli di un vociare assordante, e i turisti cercano mete ogni anno pi remote, pi sensazionali ed esotiche. Le distanze si riducono e, facendo ricorso agli stessi strumenti e agli stessi codici cifrati, il mondo si va sempre pi trasformando nellunico, grande villaggio di cui parl per primo M. McLuhan, ideologo e profeta della rivoluzione telematica, nel 1963. Pi che unicazione, questa per omologazione. Nel villaggio globale luomo dimentica il suo dialetto, i proverbi della sua valle, la peculiarit che era soltanto sua e di nessun altro, e pensa, parla, canta e gesticola come tutti gli altri, anonimo e ripetitivo. Egli perde se stesso anche perch, cliente di un grande supermercato da cui pu acquistare di tutto, si ritrova affaccendato intorno a mille frammenti e non ha dentro di s nessun centro unicatore e datore di senso. Anche questa unit, come quella dellimpero romano, se non vuol essere un contenitore vuoto, ha bisogno di una Damasco, di una grazia dallalto. Ma, almeno no a ora, non sappiamo e forse per lungo tempo non sapremo quale Damasco sia nei piani di Dio.
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INDICE

Prologo. Paolo, di Tarso in Cilicia I. NON UN UOMO CHE CERCA MA UN UOMO CHE
CERCATO

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1. Un uomo che cercato 2. Non conversione dal giudaismo ma maturazione del giudaismo 3. Paolo prima di Damasco 4. La rivelazione 5. La rivelazione a Damasco 6. La rivelazione della meta 7. La rivelazione del Figlio Conclusione. La comunicazione paolina ha la sua sorgente in Dio II. GUAI A ME, SE NON ANNUNZIO IL VANGELO 1. A Damasco anche la rivelazione del vangelo 2. Qui c pi che Geremia e pi che il servo di Adonay 3. Paolo, apostolo non di Israele ma delle genti 4. Paolo annunciatore del mistero nascosto nei secoli 5. Paolo come banditore 6. Mi sono fatto tutto per tutti 7. Laccusa di opportunismo e lautoanatema

8. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date 9. La missione di Paolo alle genti come divina liturgia Conclusione. Paolo, comunicatore per vocazione III. UN RITRATTO INTERIORE DI PAOLO 1. Ritratto sico e ritratto storico 2. Protagonismo e grazia 3. La debolezza e la legge della croce 4. La preghiera come lotta con Dio 5. Battaglie e timori 6. La violenza verbale, il sarcasmo e laffetto 7. La gioia e la consolazione 8. Un direttore dorchestra Conclusione. Riserve giusticate e riserve ingiuste IV. LA LOGISTICA APOSTOLICA DI PAOLO 1. I viaggi apostolici 2. Le lingue necessarie a Paolo 3. Il primo approccio nella sinagoga e nella piazza 4. I contatti personali nella bottega di lavoro 5. Le riunioni nelle case private 6. Presenza per mezzo di collaboratori o presenza in spirito Conclusione. Comunicare oltre limpossibilit della presenza sica V.

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LA LETTERA APOSTOLICA E LALTRA MET DEL DIALOGO 1. I giochi dellIstmo e la spedizione della posta 2. La lettera come sostituto della persona 3. Unoperazione complessa 4. Come Paolo trasform il formulario ellenistico 5. Cristianizzazione della lettera ellenistica

6. Dialogicit e situazionalit delle lettere paoline 7. I verbi di Paolo e le domande retoriche Conclusione. La lettera e la comunicazione nella Chiesa no a oggi VI. PAOLO E LA MEZZALUNA MEDITERRANEA 1. Lo stratega che avanzava con un piano lucido e preciso 2. I dromedari di Madian prima che le navi di Tarsis 3. Un tempo compagno di Barnaba, poi cavaliere solitario 4. La scelta delle grandi citt 4. Dalle metropoli allentroterra 5. La strategia della primizia 6. Molti viaggi per Luca e un solo grande viaggio per Paolo 7. La mezzaluna mediterranea di Paolo 8. Muovendomi a cerchio da Gerusalemme allIlliria 9. Ritorno a Gerusalemme passando per lAfrica? 10. Paolo, lautore degli Atti degli apostoli, e lAfrica 11. Da Gerusalemme a Gerusalemme Conclusione. La comunicazione da Dio a Dio Epilogo. Una nuova Damasco nei piani di Dio

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Bibliograa

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PAOLO DI TARSO
La collana, improntata allecumenismo e al dialogo, intende far conoscere la figura, il pensiero e lopera di Paolo di Tarso, lapostolo delle genti. 1. 2. 3. 4. 5. Franois Vouga, Io Paolo. Le mie confessioni Rinaldo Fabris, Paolo di Tarso Bruno Maggioni, Il Dio di Paolo. Il vangelo della grazia e della libert Albert Vanhoye, Pietro e Paolo. Esercizi spirituali biblici Luigi Padovese - Oriano Granella, Guida alla Turchia. I luoghi di san Paolo e delle origini cristiane 6. Richard Ascough - Sandy Cotton, Fare squadra. Lezioni di leadership dallapostolo Paolo 7. Alessandro Sacchi, Paolo e i non credenti. Lettera ai Romani 2,14-16.26.29 8. Giancarlo Biguzzi, Paolo missionario. Da Oriente a Occidente

Stampa: ncora Arti Grafiche - Milano - 2008

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