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La rivolta delle pecore

Virginiano Spiniello

A Marisa, Camilla, Nicol Paolo e a Ivan, che ci ha sempre creduto

SOMMARIO

Prologo........................................................................................................................ 4 Riflessioni di una pecora nera: la tosatura................................................................. 6 Gli elefanti neri e i bufali grigi ................................................................................. 10 Il falco e il bambino .................................................................................................. 12 Messer coniglio......................................................................................................... 15 La cornacchia signorina ............................................................................................ 25 Il piraa e lacquario ................................................................................................. 28 Il lupo ........................................................................................................................ 34 La rivolta delle pecore .......................................................................................... 40 Una giornata intera ................................................................................................... 42

Prologo
Un Orso, un Cervo e un Lupo erano insieme sotto il grande faggio. Quando lAquila dalle penne bianche si pos sul ramo pi alto lorso cominci a parlare. Domani andr incontro agli uomini che danno la caccia a me e hanno ucciso la mia famiglia. I suoi compagni lo guardarono, aspettando che continuasse. Quando sar morto voglio che il mio spirito torni qui, ai piedi del grande faggio. Il cervo scosse la testa, spaventato. Io non ho i tuoi artigli - disse - n i tuoi denti. Quindi continuer a scappare. Il lupo lo guard e il cervo disse: Continuer a scappare anche se so che luomo non un nemico come te. Lui non ci lascer il tempo di crescere, ma ci dar solo il tempo per morire. Anche io scapper, fratello cervo - disse il lupo, tra lo stupore dellorso e del cervo io ho paura delluomo, come tutti noi. Insieme noi possiamo respirare laria tra gli alberi della foresta e bere lacqua della sorgente, possiamo mangiare lerba, o mangiare chi mangia lerba. Nessuno, per, forte come luomo. Perch cattivo e nella testa ha un demone che lo tormenta: il desiderio . Io continuer a volare e salir sempre pi in alto, andr lass sulle montagne grigi e, dove luomo non potr raggiungere me e i miei piccoli disse laquila, arruffando le penne ed emettendo un lungo grido di minaccia. Se luomo vuole le penne dei tuoi piccoli, le prender, lui le avr, anche se vai sulla montagna pi alta inventer il modo per avere le tue penne. Lo disse lorso, tremando, ma lo pensavano tutti gli animali della foresta. Eppure, un giorno, luomo dovr fermarsi disse una voce grande e profonda, pareva venisse dalla terra stessa tanto tuonava. Era la voce del grande faggio, una voce che nessuno di loro aveva mai sentito prima. Laquila si lev dal ramo e inizi a volare in cerchio, prendendo la prima folata di vento e spiegando le ali. Lorso arretr, il muso spalancato, tremando. Lupo e cervo si unirono in un balzo allindietro, poi si arrestarono e ristettero ad ascoltare la voce. Si fermer e allora il vostro spirito potr tornare sulla terra. E se non dovesse essere rimasto niente? Come faremo? Dove torneranno le nostre anime, chi le ospiter? Era il cervo, che si era avvicinato, intanto. Qualcosa rester, dovesse anche bruciare tutti gli alberi e ammazzare tutti gli animali, avvelenare le acque e sporcare prati e foreste, rester la terra. E la terra pu aspettare anche centinaia, migliaia di anni, prima o poi si dimenticher delluomo.
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Il faggio era arrabbiato, ma la voce ferma non si spezz, se non quando dovette salutare gli animali. Il futuro della razza delluomo segnato, ma, finch ci sar spazio, nascondetevi, correte, scappate. Laquila fu la prima a tornare al suo posto. Dopo di lei lorso, il lupo e poi il cervo. Stettero insieme fino a quando sorse il giorno. Un disco giallo, sospeso tra una striscia di nuvole, si stagliava allorizzonte, mentre ognuno tornava a se stesso e ai suoi cari. Il giorno dopo lorso and incontro agli uomini e si alz sulle gambe posteriori, sfidandoli, urlando la sua rabbia per i figli e la moglie morti il mese prima. Il lupo non mangi il cervo che stava a guardare, n laquila scese a rubargli i figli che as pettavano allo scoperto, sulla radura. Insieme decisero di tornare ai propri giorni, conservando negli occhi limmagine dellorso e sperando, un giorno, nelle parole del faggio.

Riflessioni di una pecora nera: la tosatura


La pecora nera anche da giovane era stata un tipo originale. Non si sa se per il suo colore o per qualche altro motivo, ma era solita perdersi in riflessioni. Spesso le altre pecore la vedevano bloccarsi nel brucare e perdersi nel vuoto, dimenticando di deglutire. Era uno dei suoi momenti di elaborazione, aveva avuto una delle sue illuminazioni. Perch la pecora un animale adatto ad essere allevato? pens un giorno d'autunno, sentendo il vento pi freddo del solito farsi strada nonostante il mantello fosse ricresciuto. Non pot fare a meno di tenere questi pensieri per s e li espresse ad alta voce mentre il cane bianco la guardava stringendo gli occhi, domandandosi perch quella pecora gli piaceva ancora meno delle altre. Siamo animali pacifici - disse ad alta voce, provocando lo spostamento di lato della pecora pi vicina a lei - produciamo latte, diamo alla vita gli agnellini. Ed un altro motivo che la pecora pu essere tosata e se ne ricava la lana. Un motivo per cosa? si lasci sfuggire la pecora spaventata, ma, subito, se ne pent, mentre le altre compagne sollevavano gli occhi al cielo, preparandosi al sermone. Dicono che, una volta tosata, la pecora sia grata ai pastori che l'hanno alleggerita di un peso da portare per tutta l'estate. Ma i pastori sanno bene che, se continuassero a tosare le pecore anche d'autunno, oltre ad accumulare poca lana rischierebbero di vedersele morire tutte d'inverno. Anche per le pecore, insomma, c' un limite da non superare. E l'uomo ha imparato a gestire le sue risorse perch gli fruttassero. D'altronde, quale pastore cos sprovveduto da lasciare che il proprio gregge deperisca? Avrebbe meno latte, meno carne, meno lana. Certo, metti il caso un pastore si dimentichi le elementari regole dell'allevamento quali difese potrebbe mettere in atto una pecora?. Si lev un generale brusio di protesta, mentre gli agnellini alzavano preoccupati le orecchie e prestavano una maggiore attenzione. Noi pecore amiamo lamentarci - continu la pecora nera - sembra che nel continuo belare troviamo una sorta di conforto. Probabilmente, se ci tosassero anche ad ottobre inoltrato, esprimeremmo fortemente la nostra disapprovazione e questo ci terrebbe occupate un bel po'. Intanto, per, arriverebbero i primi freddi e il nostro istinto sarebbe quello di stringerci l'una all'altra e di mettere i piccoli in mezzo al gregge, dove c' pi caldo. Ma sar solo una questione di tempo perch le pecore ai margini cadranno e il vento aggredir le altre. Certo, mi chiedo quale sarebbe il vantaggio per un pastore simile e se questo potrebbe bastare a far s che noi pecore trovassimo la forza per ricordare l'istinto di sopravvivenza che ci teneva unite prima di essere catturate dall'uomo e allevate per migliaia e migliaia di anni.

A questo punto sembr farsi strada un ricordo primario, un brandello di orgoglio in uno o due elementi del gregge, ma subito svan, sommerso dai generali rimproveri a bassa voce e ai sonori scuotimenti di testa. Un branco di animali cos indebolito sarebbe in ogni caso una preda ancora pi facile, avremmo dovuto pensare a qualcosa quando ci fossimo accorte di essere state tosate oltre misura o appena vedevamo le prime pecore perdere quella poca lana che avevano messo su d'estate. Ma non nella natura della pecora mettere in discussione le decisioni dei pastori che, in ogni caso, hanno un interesse a mantenere il gregge in buona salute. E se per qualche motivo non gli interessasse pi? Se il pastore pensasse di dover ricavare il pi possibile dal suo gregge? Magari si stancato di fare il pastore, crede che tante pecore non gli servano pi, l'erba finita, non lo so. Quale alternativa rimane a noi pecore? . Queste ed altre paure aveva la pecora nera, ma la sua paura pi grande era la natura, la natura della pecora. E infatti fu sommersa da sonori rimproveri: in nessun caso un pastore potrebbe abbandonare il gregge al suo destino, a memoria di pecora non si era mai sentita un'assurdit simile!. Se pure le sue compagne avessero compreso il paradosso di una tale situazione cosa avrebbero potuto fare se non abbassare di nuovo la testa e continuare a brucare? Questi ed altri pensieri le venivano in mente, ma non la aiutavano certo ad acquisire la serena rassegnazione del gregge che la circondava. E contava le pecore, le immaginava oltrepassare il recinto e solo cos si calmava. E aspettava, aspettava un miracolo perch sapeva bene che l'unica rivoluzione della pecora, quella che la natura le concede, il salto.

Il pastore, le pecore, gli sciacalli e il lupo


Dopo che il pastore se ne fu andato le pecore si dispersero nella pianura erbosa. Insieme al pastore erano spariti anche i cani, quindi le pecore si aggiravano liberamente, ognuna seguendo le altre e a piccoli gruppi. Il gregge non era pi unito. Il primo giorno sparirono gli agnelli. Quando il sole si alz le madri li chiamarono a gran voce. Quella sera si strinsero insieme ai pochi maschi e allanziano montone gridando per i piccoli perduti. Intorno a loro vennero di nuovo gli sciacalli e chiamavano a gran voce, giravano in cerchio e, ogni tanto, uno di loro si spingeva pigramente verso il gruppo compatto. Trovava gli zoccoli delle pecore e le corna del vecchio montone che girava in tondo per proteggere il branco. Gli attacchi degli sciacalli non erano del tutto convinti, visto che avevano mangiato a saziet il giorno prima. Il sole sal e scese unaltra volta e fece capolino una luna crescente, alta nel cielo, ma gli sciacalli non riuscivano ad avvicinarsi, pur tentando attacchi continui. Allalba del quarto giorno il gregge continuava ad avere paura e rimase compatto, nonostante non ci fossero i cani e il pastore. Quella sera arriv un grande lupo nero. Gli sciacalli gli ronzavano intorno, ma lui non dava mostra di impensierirsi. Aveva un pelo forte e folto e camminava sciolto, con il passo di chi non ha mai avuto problemi a trovare da mangiare, n pensieri a intimidirlo. Gli sciacalli, che erano cinque, erano pi male in arnese, piccoli al confronto, seppur di numero maggiore. Iniziavano ad avere di nuovo fame e si guardavano bene dallattaccare per primi. Sono tante le pecore disse il lupo. Ma nessuno di loro si degn di rispondergli e continuarono a ronzargli pericolosamente vicino. Tante che nessuno di noi riuscirebbe a mangiarle da solo in un anno. Gli sciacalli gettarono uno sguardo al gregge che si compattava di nuovo e sospirarono. E con questo? fece il pi vecchio degli sciacalli. Con questo intendo dire che lupi e sciacalli possono anche accordarsi, se le pecore sono sufficienti. Si, giusto! fece il pi affamato, che gi non ragionava pi e non aveva nessuna voglai di battersi. E chi ci garantisce che non le mangerai da solo? Come faremo a dividercele? fece un altro dalla lunga coda. Poi troveremo il modo di dividercele, limportante , adesso, capire come mangiarcele in fretta, prima che trovino il modo di sfuggirci.
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Quel ragionamento li trov concordi e fu cos che lupi e sciacalli decisero come mangiarsi le pecore. Intanto le pecore iniziavano a sentirsi pi sicure. Senza i pastori e senza i cani erano riuscite a sconfiggere gli sciacalli. Stavano gi dimenticando che tutti gli agnelli erano stati catturati e mangiati in una notte. Gli agnelli della primavera prima, quelli pi grandi, erano ancora pi spensierati e baldanzosi degli altri. Il quinto giorno si muovevano tutti pi disordinatamente. Solo la pecora nera correva da una parte allaltra per chiamarli e gli ricordava gli amici che ora non cerano, quelli del quinto giorno. Se fossero arrivati gli sciacalli la pecora nera li avrebbe convinti. Ma il lupo e gli sciacalli erano sul limitare del bosco e guardavano gli agnelli avvicinarsi sempre di pi, trattenuti a stento dalle promesse del lupo nero. Aspettiamo ancora un altro giorno e non mangeremo solo gli agnelloni, mangeremo anche le pecore adulte. Fu cos che le pecore, razza dalla memoria corta, dimenticarono il pericolo e, quando alla fine il pastore torn, delle sue cento pecore solo la pecora nera e poche altre lo aspettavano, ai margini della radura, serrate l'una all'altra e in lontananza l'ululato satollo degli sciacalli suonava lugubre e beffardo.

Gli elefanti neri e i bufali grigi


Un giorno un gruppo di elefanti neri arriv nella pianura dei bufali grigi. Avevano dovuto attraversare tutta la foresta azzurra, un mare di verde e foglie, e alberi, attraverso cui la madre li aveva guidati per giorni e giorni. Avevano lasciato, dallaltro lato della foresta, le zanne dei loro fratelli e sorelle ai bracconieri neri e ai trafficanti bianchi. Quando arrivarono nella grande pianura verde, ai margini della foresta azzurra, si riversarono lungo il fiume bianco, non curandosi di tutti gli altri animali piccoli e grandi. Entrarono in acqua con un gran fracasso e iniziarono a bere, a soffiarsi acqua con le proboscidi; i piccoli che erano sopravvissuti riuscirono anche a giocare tra loro dimenticandosi, allistante, di tutto quello che gli era successo. I bufali grigi, spaventati e infastiditi, si allontanarono dal loro fiume bianco. Finora avevano solo sentito parlare degli elefanti neri, che vivevano dallaltro lato della foresta azzurra e constatarono, infastiditi, di non essere pi gli animali pi grandi di quel lato della foresta. Mentre gli anziani si riunivano per discutere, i giovani scesero ai margini del fiume bianco e chiamarono gli elefanti. Chi siete e cosa volete qui? disse il bufalo pi arrabbiato, Nuvola nera. Siamo elefanti, non vedi! rispose lelefante pi grande. Vi vedo continu Nuvola nera. E stiamo bevendo disse lelefante. La nostra acqua rispose Nuvola nera. Non la vostra acqua lacqua del fiume bianco che scorre anche dal nostro lato della foresta disse lelefante. Si ma questo non il vostro lato del fiume e non il vostro lato della foresta replic Nuvola nera. Ma c acqua per tutti e poi noi non mangiamo la vostra erba, preferiamo i rami degli alberi si arrabbi lelefante. Lo sappiamo, dove passate voi, infatti, gli alberi non crescono pi sbuff Nuvola nera. Si, ma grazie a noi anche altri animali possono camminare nella foresta afferm lelefante, soddisfatto, scuotendo la testa prima a destra e poi a sinistra. Ma, ora - disse Nuvola nera, preoccupato - anche gli uomini, grazie a voi, potranno arrivare fin qui. E noi cosa dovevamo fare? fece lelefante fermandosi e inarcando la proboscide in un maestoso punto interrogativo.

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Restare dal vostro lato della foresta rispose Nuvola nera, arricciando il muso e sbattendo le grandi labbra pi volte. A farci massacrare dai bracconieri neri. A farci strappare le zanne, che poi avrebbero venduto ai trafficanti bianchi, forse?. Lelefante si stava davvero arrabbiando, per manteneva la sua proverbiale calma elefantiaca. Mi dispiace, ma questa la nostra acqua ed il nostro lato della foresta. Nel mentre di questa discussione, il figlio di Nuvola nera, viene attaccato da un gruppo di iene. Ora il cucciolo era un bufalo piccolo, non molto veloce e le iene gli furono sopra in pochi secondi perch, interessato alla discussione, si era allontanato dal resto del branco. Nuvola nera si precipit in suo aiuto e tutti gli altri bufali iniziarono a correre in cerchio intorno alle iene, che per non davano mostra di preoccuparsi, scansando i loro attacchi. Gli elefanti restarono fermi, conoscevano le iene e, anche se non li impensierivano, lanciarono un grande barrito di avvertimento. Le iene che vivevano da quel lato del fiume non avevano mai visto gli elefanti e si fermarono contemporaneamente, sorprese da quel suono inatteso. Fu un attimo e Nuvola nera si inser nel loro gruppo, subito seguito dagli altri bufali che spezzarono laccerchiamento del cucciolo, che fu salvo. Visto che gli attori di questa scena erano animali, e non uomini, fin tutto cos, senza conseguenze e inutili battibecchi: ogni cosa fu accettata per quello che era. Per quel giorno il cucciolo fu salvo e le iene accettarono di aver perso. Sportivamente cercarono un'altra preda sulle rive del fiume e se ne andarono sghignazzando. Chiss perch, poi, avevano sempre da ridere e ridire su tutto e tutti! I bufali non infastidirono gli elefanti e gli elefanti continuarono placidamente a bere lacqua del fiume, che era di tutti. Ma sarebbe comunque finita bene, tra i bufali e gli elefanti, perch erano curiosi gli uni degli altri e parlando cercavano di capirsi, prima di agire. Tutto restava uguale e lacqua del fiume bianco continuava sempre a scorrere da entrambe i lati della foresta azzurra.

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Il falco e il bambino
Ogni mattina il bambino si svegliava e usciva di casa. Lentamente, appoggiandosi al suo bastone, si incamminava nel posto dove sapeva sarebbe arrivato prima il Sole. Arrivato l si sedeva e aspettava. Finch il Sole non arrivava, lui lo sentiva, e le sue labbra si schiudevano in un gran sorriso. Un giorno, arrivato nel posto del sole, il bambino si sedette e aspett, come al solito. Nellaria sentiva gi il vento dellautunno, perch lestate stava finendo. Presto non avrebbe sentito il sole sul suo viso e non avrebbe pi visto la luce rossa che ascoltava sulla sua pelle bruciata. Mentre aspettava il bambino sent lass in alto un falco gridare il suo lungo richiamo. Lentamente il richiamo si avvicinava e lui quasi fu tentato di rispondergli, come se avesse potuto parlargli. Eppure quel falco in realt stava salutando proprio il bambino. Il falco aveva imparato a volare quellestate e, mentre si esercitava a planare nella valle dei suoi genitori, aveva guardato con attenzione quel bambino e i suoi occhi che non vedevano ascoltare tutti i particolari disegnati dalla luce del sole. Quel giorno il falco decise di scendere a vedere i suoi occhi pi da vicino. Fratellino! Chi ? disse il bambino e spost il viso verso la voce roca e squillante. Io sono il falco. Sei davvero un uccello?. S. Ah, allora tu sei quellombra che ogni tanto mi toglie la luce. Beato te. Perch?. Perch puoi vedere il sole da vicino. Nessuno pu vedere il sole da vicino. Pu darsi tu abbia ragione, per. Nessuno pu vederlo pi vicino di me. S, hai ragione. Il bambino sospir e si gir di nuovo verso quella luce cos calda. Non si domandava perch il falco riusciva a parlargli quel giorno. La sua malinconia era oggi ancora pi forte. Il falco lo scrut attentamente e poi disse: Davvero vuoi vedere cos tanto il sole?. S. Pi di ogni cosa. Allora, oggi, tu avrai i miei occhi. Ma solo per un giorno. Perch oggi un giorno speciale. Ci detto il falco spicc il volo e inizio a salire sempre pi in alto. Il bambino strizz gli occhi. Non era vero! Non era possibile! Stava volando e sotto di s vedeva allontanarsi la casa dei suoi genitori sempre pi velocemente. Sul prato cera un bambino appoggiato ad un bastone. Ed era felice, rideva e allargava le braccia, muovendole come un uccello, come un falco.
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Il falco e il bambino nei suoi occhi salivano sempre pi velocemente. Il bambino non si chiedeva poi fino in fondo come una cosa del genere fosse possibile. E nemmeno immaginava che salire cos in alto unicamente per quel falco era possibile. E infatti, ben presto, i suoi occhi videro solo una grande distesa dacqua che ricopriva una palla chiazzata di tonalit verdi e marroni. E questa palla da grande divenne sempre pi piccola e, infine, vide questa pallina insieme ad altre palline che erano i pianeti mentre il falco si gettava a capofitto verso il sole. Il bambino non ebbe paura nemmeno quando arrivarono dal Sole in persona. Il Sole era cos grande che al confronto il falco non era nemmeno un pidocchio. Nemmeno grande quanto un pidocchio di pulce, se ce n'erano. Il Sole era buono quel giorno e decise di non bruciare il falco che gli si avvicin un altro po. Falco sei tu?. Ciao Sole, sono io. E oggi porto nei miei occhi un amico. Ciao anche a te, allora. Ti vedo. Gli amici di falco sono i miei amici. Dagli occhi del bambino, sulla terra, sgorgarono calde lacrime di gioia. Lass nel cielo, stava guardando il sole. Anche io ti vedo disse tra s e s. Allora ti saluto, Sole disse falco. Sai che il tempo insieme a te tanto intenso che non pu che essere breve. Forse ci rivedremo Falco disse il Sole. Forse url il falco, mentre scendeva verso il bambino. Quando il falco arriv dal bambino gli si avvicin e chiese: Vuoi i miei occhi per un altro giorno? No Falco. Grazie. Non vuoi nemmeno vedere tua madre? Perch? Io la conosco. Allora io ti vedo. Anche io ti vedo, Falco, amico mio. Il giorno dopo il bambino si svegli. Quella mattina era pi stanco delle altre. Aveva un gran sonno, ma la voglia di sentire il sole era pi forte. Si alz allora e prese il suo bastone. Al piano di sotto cera sua madre, seduta a tagliare qualcosa che dallodore seppe essere patate. Erano patate di questestate, quindi erano ancora fresche. Si avvicin alla madre che gli diede un bacio e la colazione. Speditamente, dato che la strada la conosceva bene, prese la porta e quasi corse tanto andava veloce. Prese una zolla col piede destro, ma era una zolla traditrice che lui aveva studiato da anni. La conosceva e sapeva dove mettere laltro piede. Quindi si riprese e ritrov allistante lequilibrio. Sopra di lui il Falco sorrise, gli piaceva quel bambino.
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Anche quel giorno il bambino sal al suo posto del sole. E anche il Sole, per quellultimo giorno destate, sorrise.

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Messer coniglio
Un coniglio se ne stava nervosamente sotto un albero. Era sdraiato, comodo comodo, sul sof derbe preparato dalla sua coniglietta. Masticava rumorosamente un filo derba e rimuginava ad alta voce quanto si andava dicendo da qualche tempo nel bosco. Possibile che noi conigli si debba essere sempre derisi? Eppure lo sanno tutti che stato luomo ad inventarsi la storia che noi siamo dei fifoni. Mi ricordo mio nonno. Ah che gran coniglio che era! Aveva la forza ... la forza di dieci leoni. E guai a chi gli capitava a tiro nei momenti di rabbia improvvisa. Mio padre, poi, era lattrazione del circo. Con una mano sollevava la donna barbuta, con laltra la donna cannone e si esibiva in un numero da giocoliere di pericolosit spaventosa. Ah che fesseria inventata di sana pianta! Noi conigli dei vigliacchi! Bah! Ci detto sput il filo derba e prese violentemente a pugni lalbero. A palese dimostrazione della sua forza, lalbero croll al terzo pugno. Stava per tirare il quarto colpo a vuoto quando una vocina impaurita lo chiam. Ehi messere coniglio! Stia attento, cribbio, mi ha distrutto la casa. Era la passerotta, una grande ammiratrice di messere coniglio, ma quella volta glie laveva fatta grossa. Scusami, sai com, quando penso a certe fesserie mi arrabbio cos tanto che farei venire un bel terremoto, lo prenderei a botte in testa e poi lo ricaccerei sotto terra. Beh, messere, non ha mai pensato di finirla una buona volta con queste dicerie? E come? chiese il coniglio interessato. Pensavo a quei cavalieri tanto famosi, quelli che compivano gesta cos straordinarie che ancora oggi se ne sente parlare. Finora non si mai saputo di un cavaliere coniglio. Il coniglio saltell raggiante e battendo i piedini per terra poco manc che non producesse egli stesso il famoso terremoto. Donna Cristina era questo il nome della passerotta mi hai convinto. Mi occorre uno scudiero, per, che sia baldanzoso e di nobile aspetto. C mio cugino, la rondine. Un tipo avvezzo alle fatiche dei lunghi viaggi. Mi sa che fa proprio al caso suo. Il coniglio non pose tempo e part alla ricerca del rondinotto per fargli parte di quel meraviglioso progetto. Inutile dire che, in quattro e quattrotto, i due si misero subito in viaggio, alla ricerca di avventure esaltanti.

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Il coniglio, che da ora in poi chiameremo cavalier coniglio, era ricoperto da una leggera armatura di frassino. Lelmetto, ricamato dalla sua coniglietta, era di robuste tele di ragno. La rondine, pi sportiva e leggera, portava un cappello alla bersagliera con la piuma del trisavolo, un grande viaggiatore, emigrante di Castelfranci. Si portavano dietro tutti i libri sulle gesta di nobili cavalieri umani e animali. Cavalier coniglio, che gi si vedeva alla testa di un esercito rombante, non manc di apportare delle modifiche alloriginaria formazione. Ma come compare rondine, si mai sentito di un esercito vittorioso privo del suo tamburino? Messere, ops, cavalier coniglio, non le sembra un po esagerato definirci esercito? Non siamo che in due? A parte che lappetito vien mangiando rispose il coniglio se limmagina una carica di cavalleria senza, che so, una tromba, il rullare dei tamburi, che effetto faremmo al nemico? La situazione si deve pur creare. Ma se lei non ha neanche una cavalcatura! Compare, a tutto si provvede. Detto e fatto. Cavalier coniglio reclut il cervo Gabriele e tre agguerriti passeri cinguettanti. I passerotti erano entusiasti allidea. Gabriele il cervo un po meno. Non gli piaceva lidea di passare per cavallo. Cavalier coniglio, per, trov gli argomenti adatti. Non era forse famoso il cavallo di Caligola, o quello di Alessandro Magno? Per non parlare di Ronzinante, valente cavallo di solida fama nel bosco. Al nome di Ronzinante Gabriele il cervo si squagli come una merendina. Non era certo un esercito quello che marciava nel bosco, ma una allegra e rumorosa compagnia di animali di ventura. Pronti al sacrificio, alla pugna. Alle armi! grid cavalier coniglio. Al grido rombante del condottiero gli animali, in pieno assetto di combattimento, presero posizione. I tre passerotti, che si era deciso fungessero anche da contraerea, salirono in alto colle larghe falcate di tre caccia da ricognizione. La rondine si lisci la penna del cappello da bersagliere, il cervo prese a sbuffare come un rinoceronte e ad usare le corna come un rostro contro i malcapitati alberelli. A cavalier coniglio tremavano i baffetti dallemozione, aveva sentito, con il suo superudito ereditato dal trisavolo cacciatore di volpi, la pi classica delle richieste daiuto: il grido di una leprotta presa al laccio. Da perfetto cavaliere daltri tempi spron Gabriele verso il grido. Incurante del pericolo, della minaccia oscura dei fucili dei cacciatori, del ramo che gli piombava in testa mentre
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caricava in preda a tremendo furore guerresco. Privi della loro guida, gettata a terra dal suo indomito furore, gli animali si dispersero velocemente. Due grossi cacciatori si stavano avvicinando al coniglietto che giaceva a terra privo di sensi. Gi i coltelli da scuoio erano visibili e gli amici del valoroso lo diedero per perso. Ma cavalier coniglietto non era uno di quei coniglietti comuni. Quando la mano del primo cacciatore si avvicin armata di lama, i denti del coniglietto saettarono tranciando lama e dito mignolo in un sol morso. Laltro cacciatore, sconvolto, non ebbe il tempo di dire zeta che fu catapultato contro un albero da una precisa mossa di judo delleroico guerriero. I suoi fidi si imbaldanzirono. Rinvigoriti dallesempio, ritrovarono la dignit per un attimo perduta. La contraerea scaric le pesanti e corrosive cacche di piccione, precedentemente predisposte, con metodica e, se vogliamo, mortale precisione. La penna da bersagliere rivel la sua anima di metallo inserendosi con precisione nei posteriori dei truffaldini. Gabriele, per niente timido come la sua lontana cugina Bambi, caric i due acciaccati con la potenza di un bisonte quattro per quattro. I cacciatori, non abituati a quella solida resistenza, fiaccati nel corpo come nello spirito, scapparono a gambe levate, anzi con le gambe sul collo, tanto erano spaventati. Ma cavalier coniglio non era ancora soddisfatto e, raggiungendoli, li disarm appioppandogli due sonori ceffoni che li rincitrullirono a vita natural durante. Soddisfatto si diresse dalla truppa tra gli evviva e i sonori canti di vittoria animale. Allora compare rondine non ti pare che la mia truppa abbia fatto il suo dovere? disse il cavaliere, passando definitivamente ad un cameratesco tu a senso unico. La rondine approv incondizionatamente e gli butt le alucce al collo. Da ora in poi lei sar monsieur le capitain e non pi semplice cavaliere. Monch? chiese il coniglio. Ah mi scusi, sa, la mia una famiglia multilingue e ogni tanto mi scappa il bilinguismo atavico. Dicevo, lei sar il capitan coniglio. Carica e grado che mi sento di conferirle sul campo, da parte mia e della truppa. Capitan coniglio era confuso e da bianco che era gli si imporporano le orecchie dalla gioia e dallimbarazzo. Gli altri approvarono incondizionatamente tra urla festose. Si stavano per allontanare trionfanti quando la povera leprotta invoc di nuovo aiuto. Si diedero delle sonore zampate, beccate e zoccolate sulle rispettive coccigi. Certe volte la gloria d proprio alla testa.

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La leprotta fu liberata non credendo ai propri occhi. Ma chi erano quei prodi eroi? Possibile che quel bel coniglietto e gli altri avessero messo in fuga due uomini ben armati? I nostri eroi, da bravi soldati di ventura, le diedero il loro aiuto, ma declinarono i suoi ringraziamenti insieme alle domande e agli inviti a cena. Non cera tempo da perdere. Adesso che avevano capito il loro vero compito chiss quanti altri animali in pericolo cerano da salvare. La leprotta li guard andar via con gli occhietti lucciconi. Capitan coniglio, che coniglio quello! Intanto i due cacciatori erano arrivati pi morti che vivi al loro villaggio. Quando raccontarono, tra frizzi e lazzi, la loro avventura, nessuno gli credette. Del resto erano davvero rincitrulliti e chi pu credere a gente che, mentre parla, sbava rutta e gira gli occhi allins? Quindi non fu preso nessun provvedimento contro gli animali ribelli. Cosa che diede tempo a capitan coniglio di organizzarsi per una vera battaglia campale. Attirati dalle voci del bosco tutti gli animali abili e meno abili si arruolarono. Capitan coniglio divenne il generalissimo e divise il suo esercito in varie brigate animali. Da valente organizzatore e conoscitore dellanimo animale fece in modo che in ogni brigata vi fosse un esponente di ogni specie boschiva. Era conscio che non potevano affrontare i nemici in campo aperto e studi ben bene tutti i manuali di guerriglia che gli capitarono sotto zampa. Ammirava molto i Galli e la loro disperata resistenza a Roma, non fossaltro perch credeva fossero veri galli e non uomini. Decise quindi di organizz are una tenace guerra di resistenza e liberazione animale. Il primo passo era far passare dalla loro gli animali domestici. I gatti divennero ottime spie, le galline non fecero pi uova, le pecore e le mucche niente latte. Ci fu una grande fratellanza animale. Anche in questo campo il generalissimo, ricordando il tragico epilogo della famosa rivolta della Fattoria degli animali, non mise in pratica nessuna delle idee subumane dei loschi maiali. Guai a parlare di fumosi ideali! Si lottava per sopravvivere e conquistare il bosco. Tutto, poi, sarebbe ritornato come doveva essere. I cani, al contrario delle pessimistiche previsioni, disertarono in massa dai padroni. Erano stanchi di quel cosiddetto amico che li nutriva a forza di calci e ingratitudine. I basisti delle fattorie fecero un ottimo lavoro. Molti furono severamente puniti e nessuno dimenticher mai il tragico martirio del gallo del pollaio lager. Rifiutandosi di cantare allalba, come il suo solito, fu calato nellacqua bollente e spennato vivo, ad evidente rappresaglia umana. I suoi pulcinotti lo vendicarono in unafosa notte dagosto. Il nostro eroe, a capo della lotta partigiana, era un esempio per gli altri boschi e correva voce che altri animali si stavano organizzando un po dappertutto. Pensando di stroncare la
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ribellione sul nascere, gli abitanti del villaggio chiesero lintervento dellesercito e dellaeronautica. I fiumi del bosco erano troppo piccoli per le corazzate e gli incrociatori della Marina. Ma non avevano fatto i conti con la preparazione bellica del generalissimo. Temendo questa mossa aveva fatto tagliare ogni filo sospetto di trasmettere messaggi. Un commando di alci guastatrici, uccellotrasportato dal Canada, distrusse le strade che portavano al villaggio. La solidariet animale non ha limiti. Infatti trenta dozzine di oche canadesi avevano fatto turni massacranti per aiutare i fratelli del bosco. Ci fu allora una tremenda battaglia tra gli animali del bosco e gli abitanti del villaggio. Naturalmente per gli umani non cera speranza, ma il coniglio, da vero galantanimale, lasci che i superstiti si allontanassero con lonore delle armi. Gli uomini, le donne, i vecchi, i bambini si stupirono non poco del trattamento e non manc qualche anima candida che nelluscire dal villaggio impallin dei tordi per cena. Nonostante lultimo episodio, il clima di vittoriosa allegria non fu turbato. Gli animali portarono il coniglio in trionfo e si ubriacarono di acqua minerale fino a notte tarda. Il giorno dopo presero possesso ufficialmente del bosco e delle terre del villaggio. Ognuno in breve ritorn alle sue vecchie occupazioni. Gli animali selvatici al bosco e quelli domestici sparsi di qua e di l. La differenza era che le galline le loro uova se le covavano per s, le mucche facevano il latte quando pi ne avevano voglia o se qualche animale glie ne chiedeva un goccetto. Gli unici a dubitare di questa calma apparente furono i cani e i gatti. Organizzarono turni di sorveglianza e spesso si recavano, travestiti da randagi, nei villaggi umani per controllare la situazione. Anche il cavalier capitano generalissimo coniglio si era lasciato andare. Pensava che gli uomini, una volta arresisi, si sarebbero fatti vivi chiss quando. Fu quindi con stupore che accolse il comunicato del cagnone nero. Generalissimo, gli abitanti del villaggio stanno tornando. Insieme a loro ci sono una caterva di soldatacci e macchinari assortiti. Ho visto anche enormi lanciafiamme. Siamo perduti. Bench stupito il coniglio non si perse danimo. Convoc subito il quartier generale e stim, insieme ai suoi fidi, che fosse cosa prudente abbandonare momentaneamente le postazioni dattacco. In seguito sarebbero tornati alla spicciolata. Vi furono contrasti con la fazione degli animali domestici. Uno dei maiali, come volevasi dimostrare, aveva fondato la societ Megliomortichesalami e attizzava i suoi ad opporre eroica resistenza. Anche se la sua fazione non riuniva tutti gli animali domestici era comunque numerosa. Il
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generalissimo non se la sentiva di lasciarli in balia del fosco maialazzo e sarebbe sicuramente morto sul campo se il cervo Gabriele, con una provvidenziale zoccolata, non lo avesse steso. Cos, caricatosi il privo di sensi sul dorso, part insieme agli altri per riorganizzare le fila. La battaglia dei Prosciutti fu un evento tragico e memorabile. Persero la vita tutti i rivoluzionari animali, in maggioranza maiali. Alla fine della battaglia la mattanza era incredibile. Gli uomini avevano bruciato tutti i maiali e si apprestavano a mangiarli. Nemmeno i loro antenati pi crudeli si sarebbero comportati in tal modo con un nemico tanto valoroso. Prima che avessero il tempo di ingurgitare i corpi caldi fu organizzata una sortita alla Vercingetorige. Il coniglio, alla guida di un manipolo di prodi, soffi le carcasse agli affamati nemici. Indi, avendo seminato il panico con laiuto di un battaglione di calabroni incursori, si ritir lasciando diversi soldati in preda a shock anafilattico. Le salme dei compagni furono chiuse in una grotta nascosta e si elev un tumulo a forma di salsiccia a perenne ricordo del turpe combattimento. La situazione si era completamente ribaltata. Da guerra doffesa in resistenza allultimo zoccolo. Infatti, malgrado le previsioni, furono proprio gli ungulati i pi accaniti patrioti, anzi boscoti. Fu indetta una riunione dello stato maggiore. Il generalissimo non si sdilingu in frasi retoriche e, dritto al sodo, inaugur e chiuse il discorso in modo esemplarmente telegrafico: Amici, parenti, affini e non affini! Sbagliammo a considerare la nostra una vittoria duratura. Ma non ci dato conoscere il destino. Poco tempo fa io non ero nemmeno cavaliere. Ora sono generalissimo. Cos sar per noi animali. La battaglia va condotta sotto ogni forma. Con ogni escrescenza difensiva. Vi fu un generale raschiare, grufolare, becchettare. Le termiti che assistevano, in un orgia guerresca, distrussero il tavolo del generalissimo facendolo schiantare a terra. Proprio come dicevo miei cari disse il coniglio visibilmente imbarazzato. Avete visto cosa pu fare lunione di pochi animali, anche se piccoli? Ed per dare forza alla vostra unione che io abbandono il comando. Dora in poi dovrete fare a meno di me. Dovrete cercare in voi la forza per rovesciare lumano governo infame . Ci detto, tra lo strepito generale, il coniglietto si allontan in groppa al fido cervo Gabriele. Velocemente scomparve alla vista. Gli animali furono cos stupiti da non riuscire ad organizzare un inseguimento adeguato. Era il caos. Ma il gran coniglio sapeva che doveva provare a loro, e a se stesso, che erano in grado di combattere senza di lui.
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Tra laltro le continue responsabilit gli avevano del tutto precluso ogni visita amorosa. Cos corse dalla sua bella coniglietta che lo aspettava impaziente. Chiss, forse il vero motivo dellabdicazione era proprio il grazioso codino della sua adorata. Ma chi pu dire a cosa pensa un condottiero nei momenti di maggior periglio. Lesercito di liberazione animale non si sband. Ci furono delle defezioni, si formarono delle frange estremiste indipendenti. Cera chi temeva il golpe, nessuno per ebbe lumanit di assoggettare a s gli altri animali. Dopo poche settimane i ranghi si serrarono e, seppur di organico ridotto, lesercito continu la sua battaglia contro linvasore. Le brigate animali si riformarono. Tutto il bosco era un cicaleccio continuo. Si sussurrava che lo spirito del Grande Coniglio fosse entrato in comunicazione con gli animali di altri pianeti e che, tramite unassurda combinazione planetaria, avesse predisposto tutto affinch la guerra di indipendenza avesse fine. Niente di pi falso! Il generalissimo avrebbe voluto fare ritorno, ma la sua coniglietta lo instupidiva con erbette profumate e incantesimi odorosi. Gli animali dovettero arrangiarsi. Luomo aveva infatti dichiarato gli animali ribelli passibili di immediata messa ai ferri, alla graticola, o, se assolutamente indigesti, soggetti alla trasformazione in robusto mangime. La guerriglia continu tra strenui atti di coraggio e grandi sacrifici. Gli animali del bosco furono a poco a poco accerchiati e ad ogni messaggero furono tarpate le ali. La repressione umana and oltre il limite della parola omonima. Una catena di industrie alimentari sponsorizz gli umani nella guerra contro il nemico. Il vessillo era una forchetta nera in campo quadrettato. Le industrie temevano che i loro prodotti si ribellassero. In particolare temevano che la notizia raggiungesse i milioni di vitelli allevati al buio, i miliardi di polli costretti in gabbie minuscole. I pi attivi erano i salumifici e le macellerie. Molti dei loro figli si arruolarono volontari. Forse perch credevano fossero nemici facili da sconfiggere, forse perch andavano a difendere i loro interessi, sta di fatto che molti dei nuovi soldati, prima in congedo illimitato, si recarono alle caserme armati di coraggio e forchettone. Intanto gli animali disperavano. La mancanza del capo si faceva sentire e, in cuor loro, lo maledivano per la pretesa di portare la democrazia anche nei vertici militaranimali. Assente lui, il comando passo ai pi alti in grado. La rondine, il cervo Gabriele e i tre passerotti, formarono lo stato maggiore in sua assenza. Ma le cose non erano le stesse senza il generalissimo coniglietto. Nessuno aveva la stoffa, il coraggio e la forza del coniglietto. Eppure il bosco continuava a resistere. I pi coraggiosi, come il coniglio aveva previsto, furono proprio gli animali dotati di spirito gregario e quelli piccolissimi. Tra questi si distinsero gli insetti.
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Le api costruirono degli alveari a forma di botte di vino lungo la strada che portava al bosco. Dei calamari, sfuggiti miracolosamente alla pescheria del paese grazie a un blitz delle forze aereoanimali, provvedevano a tingere lacqua di inchiostro, di modo che potesse essere scambiata per vino. I soldati umani, abituati a combattere solo tra di loro e incapaci di capire lintelligenza degli animali, ci ficcavano la testa pazzi di gioia. Anche se piccoli, gli alveari contenevano uno stuolo di calabroni e vespe che provvedevano a triturare i malcapitati. Un altro trucco, utilizzato dalle lucciole, era far impazzire i soldati pi giovani. Impegnate in una fedele riproduzione di luci stroboscopiche attiravano i discotecari negli stagni. Qui, in balia del ritmo sfrenato delle rane e dei grilli, i malcapitati sprofondavano nelle sabbie mobili. Ben presto questi, e mille altri trucchi, furono noti agli uomini, che non caddero pi in inganno e si dedicarono ferocemente allinforchettamento dei loro nemici. Nemici che nel frattempo erano diventati anche il loro rancio. Si sa, gli sponsor, quando possono risparmiare, risparmiano. Ma un giorno, dal nulla, apparve un nuovo animale. Aveva delle orecchie lunghe, come quelle di un coniglio, eppure erano pi appuntite. Aveva dei denti quadrati, come quelli di un coniglio, ma erano molto, molto pi grossi. Anche le sue zampette erano uguali a quelle di un coniglio, ma aveva delle escrescenze sotto le zampe che avevano tutta laria di assomigliare a molle da guerra. Questo nuovo animale, che nessuno scambi per un coniglio e nessuno identific per messer coniglio, conquist subito la simpatia e la benevolenza di tutti. Aveva un modo di fare che ricordava qualcuno, ma nessuno ricordava chi. Nello sbattere le zampette a terra, lanimale strano era un maestro: merito delle molle da guerra che gli permettevano di fare balzi prodigiosi, inimmaginabili per quel ricordo che rapidamente sfocava. Lo sconosciuto non fatic ad imporsi come capo. Il suo naturale valore fu dimostrato una sera di maggio. Una calda sera di cui gli umani si ricorderanno per un pezzo: lanniversario della battaglia dei prosciutti. Il morale nel campo militare animale era decisamente basso. Condizionati dalla ricorrenza, molti si diedero a struggenti ricordi. Ognuno di loro aveva un morto da ricordare, soprattutto i maiali. Lo sconosciuto sedeva ai piedi di un albero, zampettando rumorosamente sullerba. E pi zampettava, pi le sue molle lo portavano in alto, sempre pi in alto. Se qualcuno fosse stato presente avrebbe visto lo sconosciuto assorto nei suoi pensieri, la zampa sinistra sulla
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testa, la destra sul cuore. Non si accorse per di saltare cos in alto, tanto in alto da riuscire a scorgere delle sagome che si avvicinavano nel buio. Sagome ributtanti, erette, con un cattivo odore: uomini! Nellattimo in cui formul questo mostruoso concetto diede una zampata cos forte che si trov proiettato sulle prime file nemiche. Inizi a usare denti grandi e forti, orecchie lunghe e appuntite, balzando di qua e di l, in preda a cosmico furore, guerresco valore. I soldati sparavano allimpazzata, accecati dal terrore, colpendosi tra loro, da veri uomini. Lo sconosciuto perdeva pezzi, ma non per le ferite. I denti saltarono, le estensioni delle orecchie caddero, le molle cigolarono, sinistramente, fino a mostrare al nemico il suo vero volto. Un volto fiero e conigliesco. E messer coniglio! gridarono gli uomini, incapaci di staccare le dita dai grilletti. S lo spirito di messer coniglio, un fantasma, un fantasma! Quel che non avevano potuto il coraggio e la disperazione pot la superstizione. I soldati lasciarono le armi, guardandole inorriditi, quasi non fossero stati loro a spararsi addosso. I vessilli degli sponsor furono abbandonati. I cameraman inviati dalle ditte staccarono i collegamenti. Nella fretta dimenticarono di essere uomini e si comportarono da bestie, come loro dicevano. Tutti i feriti furono abbandonati, anzi furono calpestati dai tacchetti degli uomini in fuga. Fu la manifestazione di un umano terrore, il riconoscimento di una qualit al nemico. Anche lui aveva fantasmi, anche lui aveva unanima e quella terribile del prode messer coniglio semplicemente li agghiacci o meglio li sciolse cos velocemente come un gelato si squaglierebbe in un forno. Gli animali, ancora intontiti dal sonno, giunsero in tempo per vedere lesercito in rotta, non riconobbero la figura ai margini del campo. Una figura familiare, ma proprio non riuscivano a ricordarla. Proprio no. Tra gli altri animali della terra si cominci a credere che tutto fosse stato inventato. Che gli eroici animali fossero una leggenda, una frottola. Nessuno mand pi aiuti. A questo punto una qualunque guerra umana sarebbe gi finita, morta e stramorta, ma la guerra continu per secoli e dura tuttora. Purtroppo non se n mai accorto nessuno. In barba ad ogni legge i terroristi del bosco continuano a seminare il panico. Si parla di un bosco stregato, di strani avvenimenti. Ogni tanto la risata di un coniglio echeggia tra gli alberi. Alle armi! Alle armi!

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E tutto il bosco si anima di guerresche grida, di fermenti rivoluzionari. E il sangue del Grande Coniglio che incita ancora i suoi amici animali.

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La cornacchia signorina
Un pulcinotto beccava avido i resti di una pannocchia, ma senza trarne grande profitto. La pannocchia era stata svuotata dai chicchi di mais, ne erano rimasti un paio. Quello che il pulcinotto si accingeva a beccare era, bene in mostra, lunico frutto di tanta fatica. Il suo becco si stava per aprire, lo stomaco stava gi emettendo quei pochi succhi gastrici che sarebbero serviti alla digestione del chicchetto, quando una forma nera, veloce come il vento, gli sottrasse praticamente il cibo dal becco. Il pollaio era tutto un pigolare, uno starnazzare, un gracchiare. S un gracchiare, perch, tra i tanti uccelli domestici, una cornacchia becchettava tra la neve quel poco che gli altri uccelli le lasciavano prendere. Era un cornacchia per bene, una signorina cornacchia, con uno splendido avvenire alle spalle. Tra s e s rimuginava spesso della sua vecchia infanzia nel nido. Era lunica della covata a essere sopravvissuta ed era naturale che i suoi lavessero viziata. Piccolina, tesoro, su! Prendi il vermetto, da brava. E lei sporgeva il becco languidamente, gustando quel dolce e incolpevole vermetto e pregustandone altri cento, sempre pi grandi. Poi era arrivato lautunno e, subito, linverno. Lei era cresciuta, era diventata una splendida signorina cornacchia e i suoi genitori, dopo averla sopportata per cos tanto tempo, avevano pensato bene di invitarla a lasciare casa, a farsene una propria, come logico che ogni uccello adulto faccia. La cornacchia sulle prime era rimasta senza parole, sulle seconde pure. Non ebbe il tempo di dire craa che era gi sulluscio del nido, fagottino in spalla, laluccia piegata a fare ciao a mamma e pap. Mamma e pap cornacchia furono educati, risposero al saluto, ma le fecero capire che da quel momento in poi avrebbe dovuto vedersela da sola. La signorina non aveva trovato niente di meglio che appoggiarsi per un po al pollaio del contadino. Faceva freddo, la neve cadeva e cadeva, tanti suoi parenti pi vecchi e pi esperti erano gi sotto centimetri e centimetri di cimitero bianco e soffice. A lei non restava che imporsi ai suoi cugini pollastri che puntualmente derideva. Ah, pollastri, che ingrassate. Belli tondi e paffuti farete solo la felicit del contadino diceva.

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Gli abitanti del pollaio non la prendevano minimamente in considerazione, considerando il suo, come in effetti era, solo un tentativo per irritarli e continuare a sottrargli il cibo impunemente. Ma il cibo non sarebbe stato a lungo lunica preoccupazione della cornacchia. Linverno stava per finire. Quella di febbraio era stata lultima nevicata. Neve che si scioglieva presto e gi presentiva gli odori di marzo. Quando la natura si sveglia, i fiori si risollevano, gli odori si intrecciano tra di loro. E infatti, un bel giorno, il sole fece capolino nel pollaio. Un raggio and dritto a colpire il cuoricino freddo della signorina. Che si scald. Non sapendo bene perch, n percome, la cornacchia emise un sospiro. Illanguidita lasci cadere un lombrico nella mota che fu lestamente afferrato dal pulcinotto, oramai diventato un bel pollo ruspante. Lei si gir in un gesto di stizza, dettato dallistinto, dalla fame, ma ben altri istinti la sopraffecero. Quel bel giovanotto era forse il pulcinotto tanto detestato? Quellaitante bellimbusto, con quel rostro, quelle forti zampone? No! Impossibile. Quegli occhioni da cucciolone, quelle guanciotte che si muovevano a ritmo, senza masticare, solo inghiottendo il suo lombrico, mmm che gallo! Ebbene s. Questi ed altri ancora erano i pensieri della signorina. Rimasta per un terzo della sua vita in pollaio aveva sempre considerato polli, tacchini, oche, solo bestie da macello. Esseri di un altro mondo, al quale lei, egoisticamente, si appoggiava in attesa di tempi e climi migliori. La Natura, si sa, gioca brutti scherzi. E quellattrazione, per niente cercata, ma, a suo modo, del tutto normale, le fu naturale. Niente in Natura vieta il cambiamento e la Madre e il Padre degli animali benedissero dagli alberi quellunione. Lunico ostacolo, effettivo e reale, sarebbe stato convincere il polletto a capire, a superare limiti e barriere che, noto, un animale cos a contatto con luomo non ignorava di certo. La millenaria condizione dei suoi antenati avrebbe costituito un duro muro allamore della cornacchia. Ma si sa, quando una femmina ha deciso di avere un maschio non c barriera che tenga. E s che ce nerano tante! La prima era la diffidenza. La cornacchia, naturalmente, non aveva ragionato come vi abbiamo spiegato. Non aveva pensato alle varie strutture e sovrastrutture. Semplicemente, aveva saltato ogni passaggio per giungere istantaneamente, e istintivamente, alla conclusione che il pulcinotto doveva essere suo. Quindi il suo primo passo fu di cercare rapidamente un altro lombrico, infilzarlo e posarlo delicatamente sul suo becco. La reazione fu ovvia. Il polletto salt per aria, intimidito da quel primo contatto fisico con la cornacchia e agit le ali inservibili, per darsi un tono, emettendo, contemporaneamente, i
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primi tentativi di chicchirich della sua giovane vita. Poi si accorse del lombrico e, rapido come una saetta, se lo papp. La cornacchia lo guard con dolcezza, tenera come una mamma. Il polletto, che nella sua testolina avvertiva i primi campanelli dallarme, ancora non del tutto consapevole, si limit a mostrargli il di dietro e le possenti zampe razzolanti. Questo fu il primo degli innumerevoli approcci. Non diremo che la signorina giunse a spedirgli dei fiori, ma manc poco. Come ogni femmina di qualunque razza del pianeta sapeva che era la gola il primo obiettivo da raggiungere. I maschi, si sa, adorano essere presi per la gola e il pollo non era da meno. Femmina instancabile, divoratrice di ogni suo sguardo appagato, la cornacchia prosegu a ingozzarlo. E se le prime risposte furono ostili, ben presto si pass allindifferenza, poi allaccettazione e infine alla gratitudine. La cornacchia, per, non aveva messo in conto un fattore importante: pi il polletto mangiava, pi diventava un bel galletto ruspante, il pi grasso e pasciuto del pollaio, lorgoglio del contadino. Appartenendo a una covata invernale era ancora pi strano che fosse cos bello grosso e gli sguardi del contadino non furono purtroppo di avvertimento per la cornacchia. Un giorno di maggio il contadino entr nel pollaio a unora insolita: erano le tre, ora della siesta. Dietro di lui un signore in soprabito gli indicava qualcosa. No quello no! Troppo magro gli gridava il signore di citt. Quellaltro, quello bello grasso . Questo? disse il contadino indicando il galletto. Si,quello. Il contadino si spost di lato e, con una finta degna del miglior pugilatore, colse alla sprovvista il galletto che, gi intontito dal troppo cibo, oppose una blanda e ruttante resistenza. Cos fin lidillio della cornacchia. Ormai era un bel gallo, ma nessuna fuga gli fu possibile. Fini nella padella, contornato da patate novelle e accompagnato da una verde insalata. La cornacchia non se ne diede ragione. Da quel giorno vola quotidianamente sulla casa del contadino e, puntuale, lascia cadere sul crudele assassino un ricordo interiore in omaggio al suo amore.

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Il piraa e lacquario
Buongiorno signora! Un gorgoglio profondo, proveniente dalla vasca di vetro fece voltare Elisa. Era quellinsolente del suo vicino. Come poteva un esserino cos insignificante considerarsi degno della sua attenzione? Ma Elisa era una tartaruga educata e, dallalto dei suoi trenta anni, gli rivolse un altezzoso cenno del capo. Il piraa mosse la pinna a rispondere al saluto e ritorn ai suoi esercizi mattutini. Quel giorno avrebbe allenato la mascella sinistra. Ancora gli doleva la mascella destra, eppure doveva continuare, a costo di spezzarsi i denti. Prese la rincorsa, spalanc la bocca e gnam! Un bel morso alla giuntura dellacquario. Erano dieci giorni che si trovava in quellacquario, non gli dispiaceva nemmeno a dire il vero. Era anche pi largo della vasca dallevamento dove era cresciuto, insieme ai suoi cento fratelli e mille cugini. Un giorno, per, ce lavrebbe fatta. Avrebbe abbattuto le barriere, si sarebbe riunito ai suoi e insieme avrebbero compiuto il viaggio fino al grande fiume. Elisa osservava quel pescetto determinato mentre addentava lentamente una foglia di lattuga. Ma chi glielo fa fare pens ogni mattina la stessa storia! Prima o poi si spaccher i denti quel dannato. Nella sua mente placida di tartaruga adulta vedeva gli sforzi del piraa inutili e dannosi. Lei era cresciuta in quella casa e ne aveva visti tanti di pescetti negli acquari, nessuno, per, testardo come lui. Si sarebbe spaccato i denti. Ecco cosa avrebbe risolto con quellatteggiamento. Nellacquario viveva un pesce palla che la pensava esattamente come lei. Era il filosofo dellacquario tropicale, un pensatore di rara intensit, destinato - ahilui! - a pubblici ben pi vasti di frivoli pesci rossi e sciocche murene. Cera stato un tempo, a dire il vero, nel quale lacquario era stato visitato da un dotto cavalluccio di mare. Ma la sua visita era durata troppo poco: il clima e lacqua non facevano per lui ed era spirato tra atroci tormenti. Seneca osservava il comportamento del piraa domandandosi cosa mai cercava di combinare, era da un po che glielo voleva chiedere. Quel giorno, terminati gli esercizi mattutini, Seneca si present al piraa. Riverisco egregio signore, faccio le mie presentazioni. Mi chiamo Seneca e sono il pensatore dellacquario.
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Il pesce fu preso alla sprovvista e balbett, timido. Piacere, piacerissimo disse, porgendogli la pinna e stringendo caldamente la di lui svolazzante estremit. Mi chiamo Pablito, onorato di fare la sua conoscenza Dottor Seneca. Ma no, no esclam Seneca, quasi pentito di essere sceso al suo stesso livello io non sono laureato e se proprio mi vuol chiamare, mi chiami pure maestro e io non mi offender. Oh , ma certo Maestro Seneca io, ecco Il pesce palla, non pot fare a meno di correggerlo. No mi scusi, maestro Seneca suona come lappellativo di un artigiano, di un uomo rude, di poche parole e molto mestiere. Mi chiami maestro, ho detto, se ci mette pure il Seneca va a finire che la prossima volta mi chiama a casa sua e le rivernicio gli interni. Pablito era davvero sopraffatto. Da quando era arrivato in quel posto nessuno gli si era avvicinato, stavano tutti per conto proprio e quellenorme pesce palla ora lo subissava di parole. Vedo che lei pi giovane e inesperto di quanto credessi, signor Pablito. Mi sa che ha poco viaggiato eh? Oppure la sua prima esperienza in un acquario? Pablito arross per quanto glielo permettesse la sua carnagione e la temperatura dellacquario, nonch per il fatto stesso che il suo animo si celava dietro le parvenze di un pesce, animale di solito poco propenso a manifestare turbamento. Senta, Maestro.... Dica, dica fece Seneca, inorgoglito del ruolo prontamente riconosciutogli. Ecco, io, se capisce, non so nemmeno che significa acquario, arguisco sia il luogo dove ci troviamo, questo luogo che ci racchiude e ci separa dal grande fiume. Io, prima di qui, stavo con i miei fratelli e i miei cugini, eravamo in tanti, tutti uguali, sa eravamo parenti e . Seneca lo interrompe. Mi scusi, lei crede che al di l di queste mura ci sia un fiume? Teoria interessante, quantomeno. Eh, eh, mmm.... Si disse Pablito al di l di quella giuntura, la vede, c la libert e il grande fiume di cui tutti noi parenti parlavamo. E un fiume enorme pieno di vita, si pu nuotare per giorni, senza incontrare alcun ostacolo. Teoria interessante, magari fosse come dice lei, creda a me, io ho vissuto a lungo e non esiste alcun grande fiume, se lo lasci dire. Ho per inteso questa storia di correnti sotterranee, di pesci enormi, ma era un mare salato e me lo descrisse Tritone, prima di
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morire. Diceva che qui non respirava, che lacqua non faceva per lui, ma io vedo che lei respira benissimo e poi non assomiglia per niente a Tritone. Pablito tenne per buona anche la storia di Tritone e non volle contraddire oltre il suo interlocutore. Gli sembrava tipo non avvezzo a incontrare opposizioni. Vorr dire, Maestro, che quando riuscir ad andare nel grande fiume, lei verr con me e mi dir poi se avevo ragione. Ma certo, certo, Pablito. Tipo testardo questo pescetto, a quella et gi si dava arie di uomo vissuto. Con quelle strane ed esotiche pretenziosit. Meglio assecondarlo, gli pareva mostrare una dentatura che meritava di essere presa in considerazione. Ecco che ora di colazione, Pablito, salga con me che le presento gli altri ospiti di questo acquario. Pablito scorse una articolazione rosea che distribuiva le scaglie stoppose che gli toccava mandare gi tutte le mattine e tutte le sere. Nellosservare quel pezzo di carne un lampo di voracit, subito rimosso, gli si affacci alla memoria. Memoria atavica, istinto primordiale che gli fece intravedere la stessa mano, negli occhi del padre di suo padre, tendersi nel fiume per scostarsene subito, intimorita dal suo appressarsi e da tutta la sua famiglia. Pablito cancell limmagine in un istante e interpell nuovamente Seneca, mentre masticava vorace. Maestro, mi vuol fare la cortesia di spiegarmi in che luogo ci troviamo allora? Cosa un acquario, ne parla al singolare come chi ne ha visti al plurale, o mi sbaglio? Seneca consider malinconico la sua domanda. Si ne ho visti tanti, ne ho visti cos tanti che puoi anche capire come vorrei esistesse davvero un grande fiume. Dove nuotare liberi. Andrebbe bene anche un mare salato, per unora sola. Ma non esistono, credimi, sono solo fantasie di noi pesci dacquario, fantasie che ci aiutano a sopportare questa vita monotona. E poi, se anche fosse cos, si sta bene in acquario. Quei pesci, quelle correnti, secondo me ne moriremmo in due o batti quattro secondi. Maestro! fece Pablito, indispettito. Scusami Pablito, che ne ho viste tante di prigioni, hai ragione. E questa forse una delle meno tristi. Dacch mi ricordo ho sempre nuotato tra quattro pareti. Anzi, no, una volta ho vissuto in un acquario a palla, quindi si girava sempre in tondo. Avevo quasi lillusione di avere pi spazio. Hai visto quella mano che ci fornisce il cibo? Pablito annu, lesto.
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Io so che una mano perch appartiene ad un corpo. E la stessa mano che ogni tanto viene a darci dei colpettini sullacquario. E sai dove va a finire? Va a finire in quegli enormi mascheroni che ogni tanto ci levano la luce e ci guardano con quegli occhi enormi. Pablito rabbrivid, anche lui aveva visto quegli occhi chinarsi sullacquario e scrutarlo, scrutarlo. Lo so perch io ho vissuto a lungo, molto pi a lungo di ogni pesce che abbia mai conosciuto. Non so il perch, devo dirti, per, che ho visto centinaia di pesci morire negli acquari e puntualmente venire sostituiti da quelle mani. Ho cambiato tanti acquari, questo il quinto che vedo. Ogni volta mi mettevano in una prigione con tanta acqua appena necessaria a farmi sopravvivere. Mi portavano in questi acquari e mi lasciavano cadere nellacqua. Dapprincipio mi meravigliavo nel vedere nuovi pesci, dalle forme anche pi strane delle tue. In ogni acquario trovavo sempre dei pescetti rossi. Sono una famiglia assai vasta, sai. Credo che le loro mamme ne facciamo milioni e milioni, non smettono mai di riprodursi. Pablito accenn una risata compiacente, la riproduzione ha sempre il suo fascino sulle menti adolescenti. Io ho parlato con tanti pesci e non ti nascondo che forse questo il motivo per cui sono ancora vivo. Tanti di quei pesci che sono morti sono morti di noia. Ne muoiono a quintali di noia. Forse i pesci rossi sopravvivono di pi perch sono pesci frivoli, tutti dediti al narcisistico auto compiacimento. Ma ecco che si avvicinano ora che te li presenti. Nel mentre infatti, due curiosi pescetti si erano appressati ai due. Otello, Desdemona, venite che vi presento Pablito, il nostro nuovo coinquilino, bene che facciate conoscenza, prima o poi. Otello e Desdemona si avvicinarono in un turbinio di squame luccicose. Piaceeree! tubarono in coro era tanto che ti osservavamo, ma non avevamo il coraggio di presentarci, sai? Se non fosse per Seneca non si socializzerebbe per niente in questo posto. Che ti dicevo fece sottopinna Seneca a Pablito sono esseri alquanto noiosi non trovi? Pablito ridacchi e strinse la pinna ai pesci rossi. Da quel momento fu accettato nellacquario e si pass sopra alle sue evidenti differenze costituzionali, che non mancavano per di attirare lattenzione mano a mano che cresceva. Infatti di l a poco Pablito era ormai nel pieno dello sviluppo piraesco. Dallesercizio quotidiano della sua masticatura oramai traeva sollievo ai pensieri sanguinosi che spesso gli si affacciavano alla mente. A volte, i pescetti rossi gli si presentavano come ghiotti
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bocconi e faticava non poco a forzare la sua natura. E un giorno quasi non riusc a frenarsi quando la scia di Otello gli fece perdere lequilibrio. In un secondo gli si present davanti la visione delle sue pinne spezzate e di lui che si puliva i denti con un corallo di plastica. Da allora intensific gli sforzi sulla guaina di rivestimento dellacquario. Ne aveva corroso gran parte e laveva intaccata in pi punti. Ma anche se avesse continuato, forse non sarebbe riuscito nel suo intento. A dargli una mano, se cos si pu dire, fu proprio il destino beffardo. Seneca occhieggiava Pablito sempre pi preoccupato, la sua devastazione era palese e ogni tanto una gocciolina dacqua fuoriusciva dallacquario. Il suo istinto di filosofo sapeva che Pablito presto avrebbe aperto il grande varco. La sua mente razionale non intravedeva nessun grande fiume, quello che intravedeva era solo lapprossimarsi della mano, una mano che di frequente si fermava in corrispondenza di Pablito e dava dei colpetti sempre pi precisi in corrispondenza di Pablito. Toc Toc Toc. Era un ticchettio sempre pi sinistro, sempre pi vicino. Toc, TOC, CRAAC, BUM! Lacquario venne gi, Pablito fu il primo ad attraversare il varco. Nella sua mente di piraa sulla soglia dellet adulta si formarono immagini di libert, branchi di suoi simili protesi alla caccia, resi pazzi dallodore del sangue. Lo stesso odore che sentiva provenire, in quellistante, dalla mano che si agitava, scalfita da un pezzo di vetro mentre si chinava a raccoglierlo. In quellistante Pablito cap che doveva, assolutamente, mordere, squarciare, dilaniare. E lallenamento di tante ore passate a rosicchiare gli giov a dare un sonoro e significativo morso allescrescenza carnosa che lo afferrava. GNAM! Un urlo cavernoso e stridulo fece eco al serrarsi delle sue mascelle. Seneca era disteso a terra, nel salone, occupato a trattenere gli ultimi respiri. Osservava con aria tra maledicente e benedicente Pablito lottare con il suo carceriere. Intorno a lui gli abitanti dellacquario erano nelle medesime condizioni. Otello e Desdemona, in ordine sparso, chiudevano e aprivano le branchie, soffocati. Pablito fu scaraventato via e la mano scomparve. Seneca chiuse gli occhi, era al suo ultimo respiro, si augur davvero che esistesse un grande fiume, un fiume senza artigli enormi e mostri alieni. Mor sognando, augurandosi unaltra vita, ma non in un altro acquario. Mezzora dopo Elisa osservava la donna delle pulizie mentre spazzava il salone. Quellidiota aveva rotto lacquario, sarebbe stato contento. Vide il piraa e quel buffo pesce a forma di palla, striato, nella paletta della donna. Erano morti, tra i resti

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dellacquario e i pezzi di vetro. La donna apr il coperchio dove mettevano via gli avanzi di lattuga, vuot il contenuto della paletta, richiuse il coperchio. Che pescetto presuntuoso! mastic lenta Elisa.

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Il lupo
Gliela far pagare! Gi, ma come? Matulpa era un lupacchiotto appena svezzato. Aveva visto sua mamma e sua sorella morirgli davanti, vittime di un lampo del fucile del pastore. Ma era notte e a quellora gli uomini dormivano. Perch erano saliti fin lass? In montagna cera la neve. Erano tanti inverni, diceva la mamma, che la neve non cadeva cos abbondante, unanomalia. E se prima era difficile sopravvivere adesso era quasi impossibile. I cani selvatici avevano invaso il loro territorio. Allinizio erano saliti uno alla volta, due. E per i genitori di Matulpa non era stato difficile spaventarli, cacciarli via. Ma poi si era formato un branco e un enorme cane bianco aveva preso il comando. Era uno dei nemici della sua razza, difficile da spaventare e da abbattere. Il padre di Matulpa laveva affrontato e se non fossero intervenuti gli altri avrebbe anche potuto farcela. Ma non ce la fece. La mamma stette a guardare, non intervenne, doveva badare a loro due. Da quella sera spesso scendeva dalla montagna verso le luci a fondo valle. Tutto il branco scendeva e si avvicinava alla discarica del paese. Era quello il principale punto di ristoro per tutti. Anche una lupa fiera doveva accontentarsi di divorare gli scarti degli esseri umani. Ma quella lupa sapeva, a differenza del branco, che non doveva avvicinarsi alle pecore del pastore. Perlomeno non cos vicino al suo territorio. Era proibito. Il branco non poteva saperlo e questo caus una serie di problemi. Lultimo fu la battuta di caccia che provoc la morte della madre e della sorella di Matulpa. I lupi erano i principali indiziati del massacro del gregge di Zi Toni. E anche se lui sapeva che non erano impronte di lupo quelle, aveva pensato bene di eliminare il suo antico rivale. Matulpa quella notte pianse a lungo e chiam la luna. La chiamo forte, gridando e gridando finch questa non si svegli. S, si svegli! Era una luna a tre quarti, non al massimo della forma ma, sensibile al richiamo di uno dei suoi figli, gli rispose: Matulpa, piccolo mio, non disperare. Tutti su quella terra che calpesti prima o poi hanno perso qualcosa. Tu hai perso i tuoi cari, ma hai imparato tanto. Matulpa, troppo afflitto per meravigliarsi, le url di rimando: Cosa ho appreso Mamma Luna? Cosa? Ho capito quanto cattivo il pastore? Quanto selvaggio il cane? Quanto cattiva la neve? Quanto fredda la foresta? Zitto! disse la Luna, indispettita.

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Tu hai imparato questo, ma anche altro. Hai capito come si comportano i tuoi nemici, che cosa devi fare, soprattutto quello che non devi fare. Adesso impara a dimenticare in fretta. E quella sera Luna cant per uno dei suoi figli un canto dolce che avvolse il piccolo lupo, gli asciug le lacrime e lo fece addormentare al caldo anche se non cera la pelliccia della mamma a riscaldarlo. Il giorno dopo Matulpa si svegli e stiracchi le zampe. Ma non erano zampe, erano braccia glabre quelle che vedeva. Soffoc la tentazione di mordersi le mani, perch cap che erano le sue. Le dita corsero a incontrare la faccia, si tocc la fronte alta, le orecchie, poi scese al mento, risali alla bocca e tocc i denti spuntati. La luna laveva trasformato in uomo, che razza di scherzo! Perch? Poi ricord: Gliela far pagare! aveva promesso. Era giorno, dalla montagna vedeva il paese e il fumo di pochi camini levarsi verso lalto. Decise di scendere. Si sentiva strano a camminare eretto, i piedi erano intirizziti e provava freddo come mai aveva avuto. Ci mise un bel po per avvicinarsi al paese. Quando arriv a met strada decise di mangiare alla discarica. I sensi appannati dalla fame, si risolse a scovare qualcosa di commestibile tra i rifiuti. Come lui, quella mattina, il cane bianco era sceso a cercare qualcosa fuori orario. Quando lo scorse lo apostrof acerbo: Che fai qui tu? Questo il mio territorio, cucciolo duomo . Ma si ammutol quando Matulpa gli si rivolse nella lingua franca. Non il tuo territorio, qui pu venire a mangiare chi vuole. Il cane era interdetto e cominci ad abbaiare in un dialetto incomprensibile anche a Matulpa, appressandosi minaccioso. Se da lupo aveva ben poche speranze di sopravvivere adesso, cos sfornito di zanne ed artigli, non aveva la minima possibilit contro lassassino di suo padre. Il cane sembrava davvero intenzionato ad aggredirlo quando una pietra lo colp precisa sul muso, seguita da unaltra molto vicina alla zampa anteriore destra. Il cane bianco si volse e nelludire la voce adulta di un uomo, accompagnata da un bastone alzato e allapparenza ben padroneggiato, credette opportuno battere momentaneamente in ritirata. Ma guarda! E chi sei tu? disse stranito luomo al ragazzino nudo e tremante. Matulpa era in grado di capire cosa diceva, non sapeva per come comunicare. Era poi troppo intontito e confuso per articolare una risposta. Tutto nudo, col freddo che fa ti prenderai una polmonite, al minimo. Si avvicin a Matulpa e gli pass il suo giaccone. Matulpa lo prese e prov un momentaneo senso di benessere.
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Non parli? Non sei di queste parti eh? Ho capito! Hai passato il confine stanotte e ti hanno abbandonato. O ti sei perso? Matulpa continuava a non parlare. Ma non puoi stare qui al freddo, vieni a casa con me poi decideremo cosa fare. Zi Toni prese Matulpa per mano e si diresse verso casa sua che era allesterno del paese, prima del centro abitato. Zi Toni abitava da solo. La sua casa era fredda, poco illuminata, ma ben tenuta. Lunica luce proveniva dal camino dove due pezzi di legna dulivo, una volta grossi, si consumavano lentamente. Il primo gesto di Zi Toni fu pensare a tenere compagnia a quei due cocci oramai consunti. Presto un fuoco allegro ravviv la casa e inizi lentamente a riscaldare Matulpa. Una sensazione di tepore diversa da quella della mamma, riscald le membra intorpidite di Matulpa, che non riusciva a staccare gli occhi da quelluomo. Ora cos cortese era lo stesso che aveva distrutto la sua famiglia. Hai fame? Matulpa si accorse in quel momento dei crampi allo stomaco e il brontolio che gli sal dalle budella parl per lui. Ridendo Zi Toni stacc un tocco di formaggio e gli riemp una ciotola di latte. Matulpa mangi e bevve rumorosamente accompagnando il cibo alla bocca e adattandosi presto alla nuova funzionalit di quegli strani arti che adesso possedeva. Si serv anche del pane che il pastore gli accost in silenzio. Adesso che sei qui, vediamo di capirci. Va bene? Matulpa si stacc dallultimo pezzo di formaggio e si ritrasse. A me sembra che capisci quello che dico. Giusto? Il ragazzo lo guard e si limit a portare le mani ai fianchi. Era pronto a difendersi, ad attaccare, anche se non sapeva come avrebbe potuto avere ragione di quelluomo grande e grosso. Se non vuoi parlare a me sta bene, se non puoi o non sai parlare allora meglio che impari presto. Io di te davvero non so che fare. Se ti porto dal brigadiere quello ti spedisce di sicuro dallaltra parte. Ma tu non sembri nemmeno uno di loro. Non detto che tu sia di queste parti. Ma se pure lo fossi, il meglio che ti pu capitare di finire in un istituto. E non mi sembri ragazzo che possa sopportare di stare chiuso in quattro mura. Mentre parlava, Zi Toni aveva preso il coltello e scortecciava con sapienza un ramo di castagno. Il ragazzo lo fissava, suo malgrado affascinato dal coltello e dalla corteccia che cadeva ai piedi del pastore.

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Allora, seguimi. Aspettiamo insieme che finisca linverno. Mi farai compagnia, qui non vedo mai nessuno e c sempre tempo per decidere cosa fare. Poi, quando ti sarai ambientato, sarai tu a decidere. Il ramo adesso era venuto fuori di un altro colore, Zi Toni lo osserv e prov a saggiarne la resistenza, incurvandolo al centro. Matulpa continuava il suo silenzio e guardava per la prima volta la tana di un uomo. Non capiva bene perch dovessero esserci tanti oggetti, ma di alcuni ne intuiva la funzione, mentre altri gli erano estranei, del tutto. Gli armadi per esempio, non conoscendone ancora il nome, gli sembravano delle sporgenze inutili. A che servivano? La sua tana era stretta, lunga e levigata, forse erano radici, ma anche se di legno non gli sembravano vivi, piuttosto erano simili ai pezzi di legno nel camino. E il fuoco! Era la prima volta che losservava da cos vicino, per non ne aveva paura, anzi. Se ne sentiva attratto nelle sue nuove vesti di uomo non pi lupo, di cucciolo indifeso, privo di artigli. Sei spaesato eh? gli fece Zi Toni. Chiss comera casa tua. Ne avevi una? Gi non faceva pi caso alle mancate risposte di Matulpa. Pensavo che bisogner darti un nome se non ne hai uno. Ce lhai uno? Matulpa continuava a guardare il ramo di castagno. Adesso Zi Toni lo aveva piegato in due parti e levigava la parte superiore dandole precisi colpi di coltello, come una lima. Ogni tanto, mentre parlava, Zi Toni piegava il legno che pian piano andava assumendo una forma ellittica. Ti piace? disse il pastore, indicando il suo lavoro questo un collare, per le pecore. Io sono un pastore, porto le pecore al pascolo, vivo cos. Gi le pecore pens Matulpa se non fosse stato per le pecore a questora sarei ancora in montagna. La fitta che si disegn sul volto del ragazzo fu interpretata erroneamente come segno dinteresse. Il primo a dire il vero. Ti piacciono le pecore? Se vuoi domani ti porto con me al pascolo. Anzi adesso ora che io vada a dare unocchiata, se vuoi puoi venire con me. Mentre parlava Zi Toni si accorse di una luce intensa negli occhi di Matulpa, una luce che non aveva notato prima negli occhi di un ragazzo. Prefer non soffermarcisi troppo. Va bene, io esco. Torno stasera, se riesco a scendere in paese a cena mangiamo anche un po di carne. Sai c un branco di cani selvatici e devo stare attento. Cerano anche dei lupi, per adesso puoi stare tranquillo. Penso siano morti tutti.

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Lultima frase la disse sulla porta e non sent il ringhio soffocato di Matulpa, n vide gli occhi del ragazzo riempirsi di lacrime. Linverno nella tana di Zi Toni pass lentamente. Matulpa impar molto dal pastore e Zi Toni si affezion a quel ragazzo muto che cresceva a vista docchio. Si, perch Matulpa ben presto divenne grande e in primavera non era pi un ragazzo, ma un uomo fatto, dellapparente et di venti anni. Zi Toni era un uomo dei boschi, eppure non volle accettare levidenza. Matulpa era cambiato, anche dentro. Quasi non ricordava pi la promessa fatta alla luna, in fondo si era affezionato al pastore al punto di badare alle pecore con lui, in montagna. Quella sera di maggio Zi Toni decise di restare al pascolo, vicino alle pecore. Faceva un caldo che annunciava unestate profumata e la luna illuminava la radura, riflettendosi nei bagliori del fuoco, nelle ciotole di latta, negli occhi di Matulpa. Il ragazzo sent la voce della luna e guard intensamente il vecchio, intento a scortecciare un altro ramo di castagno. I collari dinverno non vengono bene, anzi spesso si spezzano, ma in primavera il castagno morbido e i rami si piegano. Stavolta Zi Toni stava costruendo uno zufolo, non un collare. Uno zufolo di corteccia di castagno che voleva regalare a Matulpa che continuava a non chiamare per nome. Con nessun nome. Matulpa fissava il pastore e ricordava i giorni in montagna, il freddo, la fame, la sua famiglia uccisa. E respirava, profondamente. Inspirava ed espirava, profondamente. Zi Toni prese lo zufolo e prima di iniziare a cavarne le prime note si fece il segno della croce. Un ululato profondo squarci il silenzio. Zi Toni lasci cadere lo zufolo che fin nel fuoco prima a fumare, poi a bruciare lentamente. Si gir tremante verso Matulpa, ma lui non era pi l. Allora saccorse che lululato non proveniva da dove se laspettava, ma dal cane bianco che insieme al branco attaccava le pecore facendone scempio. Per nulla intimoriti dall a presenza delluomo e dal fuoco i cani azzannavano le pecore come impazziti. Troppo imbastarditi dalla millenaria convivenza con luomo non sapevano pi cacciare e uccidevano per sentire di nuovo lodore del sangue. Zi Toni si gir a chiamare Matulpa, ma si accorse di non conoscerne il nome, di non sapere come chiamarlo e quel ragazzo adesso non gli sembrava pi adatto. Non gli sembrava adatto per il grosso lupo fulvo che si lanciava silenzioso alla gola del cane bianco e gli recideva veloce la carotide. Sospettava, Zi Toni, che la luna conoscesse il nome di quel lupo che rincorreva gli altri cani inseguendoli impauriti, mordendone le code e le zampe. La luna, forse, gli avrebbe spiegato un giorno perch non parlava pi con lui e gli avrebbe spiegato chi era quel lupo che ora riuniva le pecore insieme al suo cane. Senza che il cane facesse mostra di aver paura, anzi solidarizzando con quello strano
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alleato nel rincorrere le pecore e morderle sul muso e sul posteriore per riunirle. Aveva visto gli occhi di Matulpa mormorargli la sua morte, stanotte lo vedeva correre verso le sue montagne dimenticando la vendetta, ringraziando a gola spiegata la luna di averlo liberato dal sortilegio delluomo.

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La rivolta delle pecore


Inizia in un giorno qualunque, uno di quelli che sembrano uguali agli altri, ma in quel giorno qualcosa cambia. Non sappiamo cosa, come un sasso che rotola su un altro sasso. Il sasso sposta un po di terra. E un giorno quella terra cadr, non frenata pi dalle radici dellalbero che la proteggeva dal vento e dalla pioggia. Ecco, quel giorno, le radici si spezzano e inizia la rivolta, la rivolta delle pecore.

Quando vengono a prenderci la lana, noi glie la doniamo. Quando vengono a toglierci il latte, glie lo diamo. Prendono i nostri figli. Noi li lasciamo fare. Prendono anche noi, non torniamo pi, li abbiamo sempre lasciati fare. Perch?. Alle parole della pecora nera segu un lungo silenzio, forse imbarazzato. Perch siamo pecore, pecore, lo sai una voce squill, dallaltro lato del pascolo di Monte Toro. La pecora nera, che gi conosceva la risposta, continu. Proprio cos disse, sorridendo proprio cos. Noi siamo pecore. Ma cosa significa essere pecore? Cosa eravamo, prima, prima di loro? Io me lo sono chiesto, per tanto tempo. Noi non vivevamo nei loro ovili, non cerano i loro cani a guardarci, a morderci, a governarci. Prima, noi eravamo libere. A quella parola, libert, le pecore ebbero un fremito, si trattava di una parola tab. Millenni di convivenza con gli uomini lavevano estirpata, millenni di condizionamento operante, di educazione e costrizione. S, eravamo libere, io lo so continu la pecora nera eravamo come i nostri cugini cervi, come i mufloni, gli stambecchi, i camosci. Le nostre sorelle capre ancora conservano un ricordo, di come eravamo, ma si affievolisce, mentre il nostro scomparso. Le pecore di Monte Toro si guardavano confuse tra loro. Ma cosa voleva la pecora nera? S, ma tu cosa vuoi da noi? Perch vieni qui con i tuoi pensieri a turbare i nost ri? disse unaltra pecora, esprimendo a gran voce lumore di tutte le altre pecore. Io devo condividere i miei pensieri con voi, che siete la mia famiglia. Non posso pi tenerli per me, debbo condividerli. E sapevo che vi avrebbero spaventato visto che spaventano anche me. Perch siete pecore, siamo pecore. S, ma cos la libert? Tu che ne sai? disse una grande pecora bianca, vecchia, ma ancora robusta. Io? Io posso immaginarla. Quando soffia il vento, vola il falco, e io sono ferma ad ascoltare, in un angolo del recinto. Quando ci portano al pascolo daltura e, per un lungo minuto, intorno a me non vedo il cane, n il pastore. Io, in quel momento, immagino la libert.
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Alcune pecore sembravano ascoltarla, soprattutto i piccoli, quelli che erano stati lasciati dal pastore. Loro conoscevano la libert, perch non conoscevano ancora la vita. E tu cosa faresti? disse uno di loro, quello pi sveglio. La pecora nera sussult, in fondo non ci aveva pensato, non aveva ancora unidea. Io? Ci devo pensare. Intanto sto pensando a quello che non mi fa sentire libera. In quel momento arriv il cane bianco e prese a corrergli intorno. La gran parte delle pecore inizi a spostarsi lungo il recinto e a mettersi in fila. Un agnello, pi sveglio degli altri, si arrest e si prese un bel morso, ma quasi non lo sent, non ci fece caso. Il giorno dopo, la pecora nera era al pascolo. Lagnello le si avvicin e prese a brucare la sua erba. La guardava e si meravigliava del colore del suo mantello. Cos strano, forse era per questo che aveva pensieri diversi, chiss. La pecora nera non disse niente, lasci che si avvicinasse e insieme guardarono fuori dal recinto: il vento soffiava, su, in alto, laquila lanciava il suo richiamo e nei boschi il grande lupo aspettava scendesse la notte, per iniziare la sua caccia. Ma loro erano nel recinto e intorno cerano i cani del pastore. Quella notte lagnello fu svegliato da un gran guaire e abbaiare. I lupi erano entrati nel recinto. Il pastore non cera e i cani, da soli, non riuscivano a tenerli fuori e si erano rifugiati nel bosco, spaventati. Solo il grande cane bianco resisteva, ma non ebbe fortuna contro un branco di lupi ben organizzato. Mentre, intorno a s, i lupi sceglievano le prede, lagnello prese a correre, si fece forza, e salt sulla carcassa di una compagna, passando dallaltro lato del recinto. Dietro di lui si accodarono altre pecore, spaventate. La notte era fresca, le foglie degli alberi frusciavano una canzone nuova per lagnello, ma era una canzone antica. Nel recinto era rimasta anche la pecora nera, che non era riuscita a saltare. Lo salut con lo sguardo e lui prosegu, di fretta, verso Monte Toro e dietro di lui vennero le altre pecore che avevano saltato. Su, in alto, un quarto di luna rossa sembrava indicargli di salire piano, con cautela. Non conosceva il bosco, era una animale domestico, doveva procedere lentamente, se voleva salvare s e le sue pecore. Quelle che erano riuscite a saltare, almeno. Intanto, in alto, un sasso inizi a rotolare, cadendo su un altro sasso e spost un po di terra, aspettando, in bilico, che altri sassi cadessero.

La rivolta delle pecore Copyright Associazione culturale Giovanni Spiniello 2011, Sezione Fantsia di www.alberovagabondo.it

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Una giornata intera


Si addorment civetta. E sogn la volpe portare lultima caccia ai suoi piccoli, un topo di campagna che morendo ringrazi la vita per avergli donato due anni invece di uno. E sogn il sole che nasceva e riscaldava lentamente la casa dei due sposi e del bambino che in quel momento apriva gli occhi per chiamare mamma, per avere pappa. E sogn il cane che abbracciava la mamma che andava al lavoro e ringraziava il pap con la coda mentre gli dava da mangiare, mentre le piante del giardino si erano svegliate e insieme a loro tutta la campagna. E sogn le api che andavano a prendere il polline, per farne miele. E le formiche che cercavano lo zucchero in cucina attente a non cadere nel sale per tornare al formicaio. Ad ora di pranzo. E sogn che era mezzogiorno e le campane del paese suonavano undici rintocchi e il dodicesimo, pi lente, perch erano vere. E sogn il rumore del trattore che arava la terra e il rumore delle rondini che tornavano al nido, a portare da mangiare. E sogn che faceva caldo e lui era un gatto che puntava una lucertola, per gioco. La lucertola scapp e lui prese a inseguirne unaltra, per fame. Mentre sognava si gratt e scopr di essere una pulce, sulla pelle del cane, che si grattava, infastidito, schiacciandolo. Ma era un sogno e continu a sognare. Di essere una farfalla che diventava una falena, perch si faceva sera e si accendevano i lampioni. E sogn di essere il pipistrello che mangiava la falena che ringrazi la vita per le due sere in pi che aveva avuto. E si sogn cacciatore, con un fucile in mano e gli occhi stanchi. Di puntare. E allora abbandon il fucile e torn dagli sposi, senza selvaggina. Ma era un sogno. E si svegli.

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