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La tredicesima notte un'opera di fantasia.

. Ogni sua eventuale coincidenza con luoghi, eventi e persone reali deve essere vista come puramente casuale. Documenti sul passaggio di Riccardo Cuor di Leone attraverso il Friuli mi sono stati forniti da uno studioso di cose friulane, Gianni Nazzi Mattalon. Ringrazio lo scrittore Antonio Franchini per i suoi preziosi suggerimenti di stile e di struttura.

Monterosso

Monterosso era un paese antico e di nobili origini. Nel Medioevo aveva conosciuto periodi di vero splendore, per il suo fiorente artigianato del ferro, della pietra e del legno. Possedeva una cattedrale gotica non grande ma certamente molto bella, conosciuta in tutta la regione. Per aveva fama d'essere la cittadina delle magherie e degli eventi bizzarri e stralunati, e su questa materia correvano favole d'ogni sorta. Per esempio si raccontava che nel Seicento avevano cominciato a verificarsi fatti strani, fuori di ogni norma. Signori di mezza et, grossi e robusti, che parevano campioni di salute, presero ad andare all'altro mondo nel giro di pochi giorni, con crisi di respiro e dolori acuti nella gabbia delle costole e dietro la schiena. A volte si abbattevano al suolo improvvisamente, come cicute tagliate dalla falce, e portandosi le mani al petto in modi affannosi e rantolanti. Le loro bocche si aprivano a invocare un aiuto che le lingue arrotolate non riuscivano a pronunciare. Le morti diventarono un flusso, un'emorragia incontenibile che non mostrava d'arrestarsi. I vivi seppellivano i morti, con volti deformati dall'angoscia per la perdita subita, ma anche per il timore di ci che poteva succedere pure a loro. Quella lunga catena di eventi funebri non era naturale, perch non seguiva in nessun modo i ritmi capricciosi, ma consueti, della morte. Non era neppure un'epidemia, come quelle che si verificano nei tempi luttuosi

della peste nera o del vaiolo. Allora cos'era? Molti ci pensarono a lungo, e il risultato della riflessione fu che poteva trattarsi di un potente malefizio. Quei dolori improvvisi che trafiggevano il petto richiamarono per somiglianza gli spilloni che nelle fatture si infilano dentro le figure di cera, per invocare la morte di una persona detestata. Forse l'idea nefasta si sarebbe rapidamente dissolta se la sequenza delle morti fosse cessata. Ma non fu cos. Era un'incredibile moria di persone rispettabili e stimate dalla popolazione, mercanti, orafi, liutai, carpentieri, speziali, barbiericerusici, fabbricanti di campane, stipettai, bo- scaioli, artigiani del ferro battuto, cuoiai, proprietari di terre e di boschi. Ma, in nome di Dio, cosa stava succedendo? Da quale fonte scaturiva la maledizione senza fine? In che modo si poteva scongiurarla? Cominciarono indagini segrete in molti luoghi e sopra numerosi personaggi dei due sessi. Se ne occuparono anche gli uomini pi ragguardevoli della citt, come il Conte di Cassinberg, o il monsignore della Cattedrale, Fioravante Nassivera, un prelato molto colto, esperto di scienze occulte e di esorcismi. Si ritenne di aver risolto il mistero quando nella casa di una delle vittime, un anziano tintore, Lorenzo Castenetto, che aveva una moglie giovane e molto ammirata, si trovarono vasetti d'unguenti sconosciuti e bambole di pezza. In recipienti di vetro furono rinvenuti animaletti sotto spirito irriconoscibili, alcuni dei quali potevano avere un aspetto abbastanza simile a quello di feti di due o tre mesi. Era un argomento fortissimo per cucire addosso alla signora l'immagine terrificante dell'infanticidio. La signora, di nome Veronica, fu interrogata, in principio con molte cautele, poi incalzata con accuse sempre pi definite e incalzanti. Ma ella si difese con energia impressionante. Le bambole di pezza le aveva fabbricate per la figlia Camilla, ora cresciuta e vicina a farsi sposa. Gli spilloni d'argento li metteva nei capelli, a raggera, secondo una moda lombarda, perch lei veniva dalla Brianza. I vasetti contenevano grasso di gatto o di lepre, aromatizzato con

distillato di fiori, per curare le lombaggini e le flussioni di petto di suo marito. Siete una guaritrice? le chiese un notabile. Un pochino. E chi vi ha insegnato quest'arte? Mia bisnonna. In realt l'aveva fatto anche un vagabondo di origine tirolese, che anni addietro s'era installato in casa del tintore, chiss mai perch, ed era stato maestro di Veronica nell'arte di risanare i dolori delle ossa. Agli investigatori l'autodifesa della signora Castenetto parve troppo affannosa e congestionata per essere quella di un'innocente. Non v'era dubbio che la donna, dai denti bianchissimi e i seni fiorenti, custodisse nell'anima un segreto inquietante. Ma a quel punto gli improvvisati indagatori di paese dubitarono delle proprie capacit e non si sentirono pi all'altezza del loro compito. Ci volevano veri giudici, esercitati e versati in quella materia, allenati a fiutare magie ed eresie da lontano/ come un odore sgradevole che ferisca l'olfatto. Veronica fu affidata al Tribunale dell'Inquisizione e interrogata da esperti. Essi s'irrigidirono in sospetti feroci e, replicandosi i dinieghi dell'inquisita, si risolsero a raggiungere la verit con le torture. Una di esse consisteva nel costringere la signora a bere acqua a dismisura, mediante un imbuto ficcato nella gola. A un certo punto Veronica, che era sempre stata fiera della propria bellezza, vedendosi deformata nel ventre come un'idropica, s'invelen, divent un'ossessa, e cominci a smaniare e a vomitare accuse feroci contro gli inquisitori e i giudici di ogni livello e funzione. Ah, maledetti quanti erano, essi, i loro parenti, gli amici e coloro che volevano loro bene! Che il Maligno se li prendesse e li trascinasse nel profondo dell'inferno! Anche la . figlia, quando vide Veronica in quello stato, fu trafitta dalla stessa ribellione, e cominci a dare addosso agli aguzzini con i medesimi insulti e stridente furore. Fu subito evidente che questo non poteva servire a salvare la madre, bens a perdere anche Camilla. La segreta del carcere co

minci a risuonare a tutte le ore delle loro urla. A ogni inquisitore apparve chiarissimo che il loro destino era segnato. Erano ambedue possedute. Rifiutavano il cibo e continuavano a maledire. Parevano ormai due fantasmi. Avevano i capelli aridi come la cenere, il viso terreo, le membra smagrite, come fossero state succhiate da pipistrelli. Intanto continuava l'ossessione infinita degli interrogatori. Avevano invocato il diavolo? Avevano giaciuto con lui? Avevano avuto dei figli dal suo commercio? Di chi erano gli ossicini rinvenuti nei vasi e dissepolti nel loro giardino? Avevano provocato la morte del tintore, rispettivamente marito e padre, per essere libere di dedicarsi alle loro pratiche diavolesche? E come avevano causato il decesso di tanti rispettabili messeri di Monterosso? Veleno? Trafitture di spilloni? Formule magiche? Scongiuri? In risposta gli inquisitori ebbero, come in passato, soltanto grida maledicenti. Allora il giudice anziano, presidente della commissione, diede ai carnefici il segnale che voleva dire: "Sono vostre. Fatene ci che volete, perch tanto noi non possiamo ricavarne altro".

Cos nell'umida segreta segu una notte allucinata. Sopra pagliericci maleodoranti, bocche avide, mani ruvide e smaniose, visi neri di barba si strofinarono sui volti femminili pi ammirati di Monterosso. Fabbri, specialisti di catene e di tormenti, sporchi di fuliggine, con le membra segnate da bruciature, calarono come falchi affamati sulle tenere prede.Qualcosa si lacer nell'animo della madre. Confess di essere strega e sigill il nome su pergamene macchiate del suo sangue. Sper di fuggire al pi presto dal mondo diventato una via crucis. Fu accontentata. Per qualche minuto, la sera dell'esecuzione, sulla piazza principale della citt, le sue strida uscirono in forma di invettive dalle fiamme delle fascine. Il giorno successivo discese una grande nevicata che tutto ricoperse di una coltre bianchissima, e sembr pacificare ogni cosa, le passioni scatenate e

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i fantasmi. Per una settimana disparve il cerchio nero del fuoco sulle pietre, e la cittadina riacquist l'aria di un luogo innocente e senza rimorsi. Ma quando il bianco mantello fin di coprire le ceneri ancora calde del rogo, la figlia Camilla esplose in delirio, dichiarandosi veterana di sabba celebrati nei boschi. E subito la stessa cosa confess una cugina, poi un'altra, e in seguito tutte le sorelle di queste, poi le zie e le cognate. Le confessioni diventarono una macchia d'olio che continuava ad allargarsi. Fin che pochi giorni dopo non v'era donna di Monterosso che non si dicesse fattucchiera e magalda, mostrando fiale di liquidi strani, ossicini di rospo, spilloni d'argento, bambole di cera, come se le magherie fossero una pestilenza che nella cittadina aveva contagiato tutte le donne. Il processo dilatava ogni giorno i suoi confini. Anch'io, anch'io! Tutte le donne volevano esserne parte, anche le ragazzine di dodici anni che avevano appena cominciato a rimediare alla perdita mensile con un panno immacolato, le promesse spose, e persino le bambine che avevano da poco indossato il camice bianco della prima Comunione. A grappoli andavano a denunciarsi in casa del Monsignore, il quale non sapeva pi come difendersi e arrestare l'alluvione. Cosa succedeva? Quale turpe sortilegio le aveva contagiate? Arrivavano sul sagrato della cattedrale di Monte- rosso, si scioglievano i capelli sopra le spalle, si denudavano il petto, si toglievano una delle sottane, e non era ben chiaro perch. Era una protesta di genere femminile, fatta con i mezzi a disposizione delle donne. Cominciarono a denunciarsi anche vecchie sui novant'anni, inchiodate al loro giaciglio dal catarro, tossicolose e rauche, con i capelli diradati dall'et. E tutte, o la maggior parte, erano aggressive come vespe, insistenti, velenose, inventive nella parola. Confessavano delitti fantasiosi che non stavano n in cielo n in terra

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.Monsignor Nassivera, avvilito, sconfitto, sal in carrozza e and a consultare il Patriarca nel suo palazzo. Lo

trov con le mani coperte da mezziguanti di lana, perch aveva le dita coperte di geloni. Discussero a lungo con qualche citazione di Origene, Apuleio e Tertulliano, ma senza venire a capo di nulla. Non sapevano decidere se le donne fossero vittime di un'allucinazione collettiva, o piuttosto mosse da uno spirito beffardo universale. Non si potevano indagare tutte, sarebbero serviti i Tribunali d'Inquisizione dell'intiero territorio della Serenissima, e forse non sarebbero neppure bastati. Era un evento che andava contro le Sante Istituzioni, e rischiava di sabotarle e di dissolverle. La giustizia religiosa e quella civile erano entrambe minacciate. Un brivido di spavento attravers tutti i palazzi vescovili e le canoniche della Repubblica, e anche quelle degli stati contermini, perch era un disordine imprevedibile e contagioso. Ci fu una sorta di resa generale. Lo straccio bianco della pace senza condizioni sembr sventolare sul palazzo del Patriarca, come su quello del Luogotenente veneziano. Un'antica prudenza insegna alle Istituzioni di fingere indifferenza, quando si trovano di fronte a ima rivolta estesa e indomabile. Cos il processo, non potendo proseguire, si blocc per eccesso di crescita, e presto smobilit. Le donne, bambine, anziane, giovani o di mezza et, tornarono alle proprie case, ma non erano quelle di prima. Gli uomini e le autorit non potevano pi dominarle perch, quando tentavano di farlo, esse diventavano di colpo le diavolesse che ricominciavano a confessare delitti inesistenti. A volte presero a spogliarsi perfino in chiesa. Monterosso divent una citt singolare, mai vista, dove il genere femminile era infiammabile come la paglia secca, e dove il fuoco andava tenuto ben lontano dall'esca. Le ceneri di Veronica Castenetto erano state disperse nel vento, e molti erano convinti che la strega e il suo caso fossero stati liquidati per sempre. Non fu cos. Dopo dieci giorni apparve nel cimitero una croce di ontano, rossastra per eccesso di tannino, recante il nome della donna scritto a fuoco.

Scandalo! Il nome di una maliarda non poteva apparire in terra consacrata! La croce fu tolta e i due paletti schiodati e bruciati. Ma di l a poco un'altra croce, del tutto uguale, sostitu la prima. Ancora distruzioni e sostituzioni, come se l'anima di Veronica rifiutasse di vagare nel vento, senza una tomba e una croce, come una grigia apolide dell'Aldil. Cos si cominci a fingere di non vedere e a lasciar perdere la faccenda. Poich a Monterosso tutte le donne si dicevano fattucchiere, era come se nessuna lo fosse. Non era possibile prenderne un'altra a caso, nel mucchio, e rifare il processo che Veronica aveva subito. Ella divent un modello, colei che aveva pagato per tutte. Cos a Monterosso alle streghe, ammesso che ve ne fossero, non succedeva assolutamente nulla. L'Inquisizione and a cercarle altrove. Quando monsignor Nassivera riceveva una denuncia anonima contro questa o quella signora provava la sensazione di aver messo un piede dentro un groviglio di rovi, o una mano in un nido di vipere. Subito si ritraeva spaventato, con i capelli diritti come il pelo dei gatti assaliti. Strappava la lettera in minutissimi pezzi, pronunciando una giaculatoria e chiedendo perdono al Padreterno. Passarono decenni e secoli. In paese tutti sapevano che la parola "strega" non doveva essere nemmeno pronunciata a Monterosso, come la corda in casa dell'impiccato. La grande epidemia era finita, almeno in apparenza, perch in realt si nascose sottoterra, in misteriose falde sassose, come l'acqua dei fiumi regionali. A Monterosso prosperava adesso la stirpe delle donne protestatarie, che diventavano rabbiose come lupe assalite quando gli uomini, per distrazione e scarsit di memoria, varcavano senza avvedersene certi confini. Molti a Monterosso avevano i capelli fulvi e la pelle sparsa di lenticchie color ruggine, perch i matrimoni avvenivano sempre tra giovani del paese. Infatti i zitelli e le ragazze, per la fama che la cittadina ormai possedeva, venivano respinti da quelli dei borghi o delle citt vicine,

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quando si avvicinavano pericolosamente a territori connessi con possibili nozze. Se andavano alle feste e alle sagre nei paesi limitrofi, non di rado venivano cacciati col suono delle raganelle e dei battacchi, usati il venerd santo al posto delle campane. Ogni tanto succedeva un fatto degno di entrare nelle saghe della citt. All'epoca del Congresso di Vienna una ragazza di Monterosso si mise in testa di arrivare in cima alla montagna pi alta della zona, chiamata Giogo di Mezzanotte. Allora sulle Alpi salivano soltanto boscaioli e malgari, per portare le mucche all'alpeggio. Il giorno dell'antivigilia delle sue nozze la donna, di nome Veronica, si vest da uomo, con gli abiti del fratello, e all'insaputa di tutti si avvi per sentieri di montagna con il Rucksack sulle spalle e l'Alpenstock in mano. Chi la scorse da lontano la scambi per un uomo ma, quando non la si vide tornare pi a casa, la voce del suo tentativo si diffuse, e fu organizzata una spedizione di soccorso. Valli e boschi risuonarono di grida: Veronica! Veronica Castenetto!. A volte gli echi si mangiavano la prima parte del nome, e alle orecchie dei cercatori tornava soltanto la seconda ...roni- ca! ...ronica! ...stenetto!. Fu ritrovata con una caviglia gonfia, non pi in grado di camminare, e riportata a casa con una barella improvvisata di rami e corde. Si cerc di soffocare lo scandalo, ma esso dilag come un'alluvione, e suscit un commento pi o meno prolisso in tutte le duemilasettantatr famiglie di Monterosso. Perch Veronica era salita in montagna da sola, contro ogni consuetudine? Voleva dimostrare qualcosa? Intendeva per caso rompere la promessa matrimoniale, pentita di averla fatta? O un guizzo di follia s'era improvvisamente scatenato nella mente di lei? Veronica era per caso un'ossessa, come quelle di due secoli prima? I discorsi furono tanti, ma finirono per sbiadire e dissolversi, e tutto rientr nella normalit. Veronica spos il suo promesso, un notaio, dal quale ebbe sette bambini, tre dei quali morirono in tenerissima et.

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Per a Monterosso continuavano a succedersi fatti incredibili, e a tutti nella regione, chiss perch, pareva quasi normale che accadessero proprio l. V'erano guaritori e tiraossi che risanavano la gente con pratiche manuali, ma anche, si diceva, per influsso di arcani magnetismi. Il giorno in cui Tegetthoff sbaragli a Lissa la flotta di Persano, una madre di Monterosso, certa Rosetta Viola, si mise a letto e non volle pi mangiare per molti giorni, sostenendo di aver avuto il presagio che suo figlio, soldato semplice sotto l'esercito asburgico, fosse morto annegato. Tutti risero perch il figlio era Alpenjger in una caserma slovacca. Ma poi si seppe che era davvero affogato nel mare di Lissa, perch caduto in acqua durante la battaglia. L'ammiraglio Tegetthoff l'aveva voluto accanto a s per fargli da interprete con i marinai di origine istriana. Molti anni dopo, durante la Grande Guerra, successe che un alpino di Monterosso, ordinanza del comandante Luigi Cadorna, vide, lui solo, un frate che usciva dalla stanza del suo superiore. Tutti i commilitoni gli risero in faccia e fu preso per un visionario. Ma anni dopo si riseppe che il Generale aveva riconosciuto in una fotografia, pubblicata su un giornale, il volto del frate misterioso che lui pure aveva visto nella sua villa il giorno in cui aveva avuto la tentazione di uccidersi dopo il disastro di Capo- retto. In realt il religioso non s'era mai mosso dal suo convento di San Giovanni Rotondo, nel promontorio del Gargano. Un caso di bilocazione. A quelli di Monterosso succedeva veramente di tutto. Proprio per questo i giovinotti dei borghi vicini seguitavano a essere tormentati dal dubbio, quando s'innamoravano di una ragazza del paese. A loro pareva sempre, da secoli a questa parte, che qualcosa stridesse nel loro spirito, come un ferro arroventato sfrigola in un secchio d'acqua. Erano bloccati da resistenze indefinibili, anche se erano potentemente attratti dal fisico generoso delle ragazze e dalle loro lunghe gambe di ballerine. Il s e il no si davano battaglia nel loro capo. Ombre misteriose li sovrastavano,

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al momento di dichiararsi. Spuntavano paure improvvise, le lingue s'inaridivano, si attaccavano ai palati, e le fauci diventavano secche come la sabbia del deserto. Il paese tentava di reagire. Organizzava balli popolari sul tavolato allestito nella piazza della Cattedrale, in quella del Municipio, o anche nello spazio che s'apriva a mo' di terrazza sulla valle del Duss. Nelle notti di festa si udivano suoni di chitarre e di fisarmoniche fin sul greto del fiume, dove sorgevano le botteghe degli artigiani del ferro che si servivano della forza motrice dell'acqua per far girare le pale di molte ruote. Monterosso era nota nel circondario anche per le sue feste e l'allegria chiassosa della sua giovent. Cos nascevano molti amori, a volte improvvisi e rapaci, che poi si perdevano per via, a forza di dicerie e pregiudizi. Tuttavia ci fu un giovane che sfid il destino. Era appena tornato dall'America, ed era figlio di un emigrante e di una indiana, una cheyenne alta e fiera, dai capelli nerissimi, quasi blu, che aveva imparato a leggere il futuro nelle macchie delle pelli di bisonte. Arriv nella cittadina la sera di san Giovanni, e ball tutta la notte con una ragazza di casa Castenetto. Emma, si chiamava. Nella famiglia tutti i nomi si ripetevano ogni due generazioni, al massimo tre. Molte coppie finirono per stancarsi, per abbandonare il tavolato e tornare a casa a dormire. Quelle rimaste si misero a guardare da spettatrici il lungo ballo dei due, che non veniva sospeso, se non quando i componenti dell'orchestrina facevano una breve pausa per rinfrescarsi con un boccale di birra spumosa. I capelli di Emma erano una fiammata che luccicava e splendeva sotto i riflettori. Nell'impeto delle danze la sua sottana volava e si apriva come una corolla di fiore, ma lei non se ne preoccupava minimamente. Sembr non accorgersi nemmeno che una spallina dell'abito dcollet era scivolata sul braccio. Anche il giovane, di nome Osvaldo, pareva tutto preso dal ballo. Aveva i capelli lunghi come quelli di uno zingaro o di un antico germano.

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Osvaldo, bench malinconico di temperamento, tutto preso da pensieri d'abisso, era affascinato e sedotto dalla ragazza che teneva tra le braccia. Nel suo cuore v'era un largo cordoglio per sciagure lontane, accadute chiss quando, e per frasi sibilline della madre. Il suo spirito era una cassar- monica piena di echi. Era triste come il torero perseguitato da un presagio di morte per le cinque della sera. L'orchestrina suonava un blues americano. Osvaldo aveva in mente spiritual di negri, che lui conosceva bene perch in America suo padre aveva lavorato lungamente negli stati del Sud, tra le piantagioni di cotone. Come si chiamava? chiese Emma. Aveva un nome strano, Libero Faggini rispose Osvaldo. L'orchestrina smise di suonare. Ripose gli strumenti musicali negli astucci e sal su un pullmino a sei posti. Osvaldo ed Emma si dileguarono e nessuno seppe mai dove avessero passato il resto della notte. I loro nomi vennero subito associati come quelli di due fidanzati, o addirittura di due sposi. Monterosso fu tutta per loro perch si trattava di un evento straordinario. Finalmente un forestiero sposava una ragazza del paese, e il misterioso impedimento, che ostacolava le nozze con giovani di fuori, era stato rimosso. Di Osvaldo si sapevano poche cose. Una di queste era il rimpatrio recente dal Kentucky, dopo la morte improvvisa del padre in uno sfortunato incidente ferroviario avvenuto poco dopo la sua separazione dalla donna cheyenne. Osvaldo era laureato in legge, ma lavorava per una ditta americana che produceva mastodontiche ruspe per scavare la terra. Queste macchine rappresentavano allora, da quelle parti, un'assoluta novit. Anche il padre di Emma aveva avuto un destino abbastanza simile a quello del genitore di Osvaldo. Aveva abbandonato la famiglia e la moglie Matilde per tentare l'avventura americana nella Nuova Scozia. Ma ben presto di lui si erano perdute le tracce, e neanche uffici di consoli o di ambasciatori erano serviti a ritrovarlo.

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Emma raccont queste cose a Osvaldo, e lui alz le spalle. All'America non voleva pensarci pi, per evidenti ragioni. Ci che contava era sposare al pi presto Emma Castenetto. Infatti ottenne dal suo parroco e dal monsignore della Cattedrale, Redento Filippin, di poterlo fare nei modi pi rapidi. Giusto il tempo delle pubblicazioni. La fretta era la sua madrina di battesimo e la sua eterna compagna. In quei giorni non faceva altro che correre come una trottola dalla sua casa a quella della sposa. La madre di Emma aveva punito il marito fuggitivo eliminando dalla sua casa ogni oggetto che lo ricordasse. Libri, carte, fotografie erano stati bruciati in un rogo, nel mezzo del cortile, le cianfrusaglie gettate nella spazzatura e i vestiti regalati ai poveracci. In casa non era lecito neppure ricordare il suo nome, perch Matilde aveva giudicato l'abbandono un delitto imperdonabile. Di fronte alla prospettiva del matrimonio di Emma, Matilde si disse subito d'accordo, a patto che Osvaldo venisse a stare con loro. L'antica casa dei Castenetto, satura di eventi e di storie, era infatti molto grande. Ma certo. Un problema di meno disse Emma. Benissimo fece Matilde. I due giovani avevano fretta di bruciare le tappe e di ottenere i loro scopi, come sempre accaduto a questo mondo. In continuazione tagliavano i ponti dietro di s, perch volevano eliminare subito ogni possibilit di tornare sulle proprie decisioni. Emma viveva in uno stato di perenne euforia, per cui aveva sempre il viso rosso e accaldato. Gli occhi erano gremiti da una sorta di stupore, anche dopo il ritorno dalla luna di miele, come se tutte le cose fossero accadute a sua insaputa. I due giovani facevano l'amore in continuazione. L'attrazione era cos forte che pi di una volta li allontan dal senso vivo del reale. Lo facevano dove capitava, incuranti di poter essere sorpresi da Matilde, che subito si ritraeva come punta da un'ape.

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II Veronica

La madre di Emma non sapeva cosa dire o cosa fare per introdurre nella vita degli sposi il sentimento della misura e della moderazione. Cosa c'era in quel matrimonio di pi e di diverso rispetto agli altri? Matilde se lo chiedeva spesso, Emma le rispose: Molto semplice. Sono una donna di Monterosso. Anch'io lo sono. E con questo? Evidentemente c' un modo di esserlo pi intenso del tuo. Era una spiegazione, certo, ma attinta dal pozzo delle cose inesplicabili. Era ricavata piuttosto dal territorio della fascinazione che da quello di una semplice attrazione amorosa. Matilde si convinse che tutto si sarebbe risolto con il tempo, l'eterno medico di tutte le cose. Ambedue gli sposi sentivano molto la mancanza dei padri. Forse anche l'ansia d'amore nasceva dal desiderio di ridare completezza a due famiglie squilibrate e difettose. Ambedue erano attraversati dalla sensazione che la loro famiglia era incompleta, perch sia all'una che all'altro mancava la figura del padre. Una svolta improvvisa intervenne nel loro matrimonio la vigilia del diciannove marzo, il giorno di san Giuseppe, la festa dei padri. Osvaldo tutto allegro rigirava tra le mani una fotografia vecchia e sgualcita. Il padre di Emma era ritratto col fucile in mano e un piede posato sopra un orso bruno abbattuto.

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Guarda cosa ho trovato! disse Osvaldo. Emma diede un'occhiata e subito s'illumin. Ah! Una foto di mio padre! Dov'era? In un cassetto. Faceva il cacciatore? Era commerciante di pellicce. Ma aveva letto troppi libri di Jack London. Perch? Niente, niente. Una sciocchezza... Ma Osvaldo sudava freddo. Sua madre, nella riserva indiana del Dakota, aveva fama di essere uno sciamano potente. Molte volte gli aveva detto, ora scherzando, ora con seriet, di non sposare mai una donna con i capelli rossi e il cui padre fosse cacciatore di animali da pelliccia, perch la cosa sarebbe stata catastrofica per lui. Osvaldo ne aveva sempre riso, ma adesso non pi. Si era realizzata anche la seconda parte della predizione, ossia la professione del padre. Il giovane, eccessivo in tutte le cose, non soltanto cominci a riflettere sulla premonizione materna, ma a esserne addirittura ossessionato. Accenn vagamente la cosa a Emma, cercando di buttarla sullo scherzo, per non impressionarla. Divent rapidamente taciturno, e ancora pi strano e sventato di quanto non si fosse mostrato finora. Spesso tremava, come per una febbre misteriosa, e si chiedeva se per caso non avesse percorso all'indietro intere epoche di civilt tornando alla barbarie della selva, sicch alla lunga tutti ne risentirono, e in casa entr un'atmosfera di tensione e di ansia paralizzante. Ogni gioia si dilegu. Tutto sembr tingersi di nero. Scomparvero gli abiti colorati, come se la fotografia del maledetto, sopravvissuta chiss come all'ecatombe di tutto ci che apparteneva al padre di Emma, avesse dato inizio a un lutto implacabile. Scomparvero i suoni, anche quelli della radio: gli unici rumori percettibili in casa divennero quelli delle stoviglie e delle posate durante i pranzi silenziosi. Pareva di essere entrati nel regno dei morti, come nell'Uccellino azzurro di Maeterlinck. Tuttavia le donne seppero pian piano uscire da quell'incantamento insensato. Per istinto si dedicarono a ricucire lo strap

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po angoscioso che si era aperto nel tessuto della loro esistenza. Osvaldo invece non riusciva a sottrarsi alla suggestione della profezia. Non osava pi toccare sua moglie. Invano le donne si sforzarono di rimuovere il grumo di terrore che gli si era formato nell'anima. Cercava di stare lontano da entrambe, finch l'una e l'altra si stancarono. Matilde, che pi di tutti aveva conservato il sangue freddo e il raziocinio, anche per via del suo mestiere di notaio, radun rapidamente la documentazione da avviare alla Sacra Rota per lo scioglimento di quel matrimonio sventurato. Era evidente che Osvaldo non era pi capace d'intendere e di volere, non era pi in possesso del suo libero arbitrio, e forse non lo era mai stato, se poteva esser succubo di una predizione sciamanica fino a quel limite. Emma non mostr segno che la fissazione del marito fosse poi cos paurosamente drammatica. Riusc persino a ritrovare il sorriso, e Osvaldo sembr collaborare con lei, nel tentativo di simulare una sorta di normalit, che per non convinse affatto la suocera, la quale sapeva vedere lontano. Era una donna alta, sottile, silenziosa, con i capelli grigi cementati da una messimpiega sempre impeccabile, in cui le lacche impedivano ogni modificazione e persino ogni tremolio. Neppure per un giorno interruppe il suo lavoro, che pacificava sul nascere ogni possibile contesa di propriet in tutto il distretto di Monterosso. Con la calma di Giove olimpio comunicava una robusta fiducia alla gente, che veniva a consultarla da lontano anche per questioni di pertinenza avvocatesca. Per molti Matilde era una bussola, un esempio al quale riferirsi, un giudice di pace. Le sue risposte avevano il credito di oracoli del tempio di Delfi, quasi lei fosse una pitonessa del diritto. Metteva subito i contadini e gli artigiani a loro agio, facendoli sedere sulle comode poltrone del suo studio. Portava orecchini di platino, con piccoli brillanti che mandavano balenii stellari in ogni direzione. Del marito fuggito in America, origine prima di un ginepraio di guai,

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non parlava mai, come non fosse stata una persona, ma soltanto l'incubo di una notte inquieta. Chi invece proprio non ce la faceva a sopportare la situazione era il povero Osvaldo. Guard il ventre di Emma e pens che della creatura che cresceva l dentro, ignara di tutto, lui era il padre, ma anche l'oscuro nemico, perch l'aveva messa al mondo contro il volere delle stelle e le decisioni misteriose del destino. Dal giorno di san Giuseppe non aveva pi venduto nemmeno una ruspa della ditta americana, la quale minacciava di ritirargli la concessione. Poich era laureato in legge, Matilde gli disse: Almeno fai qualcosa per me. Prover. Avrei bisogno di una ricerca catastale, nella zona delle valli slave. Osvaldo part, col proposito di trattenersi da quelle parti un paio di giorni, ma dopo una settimana non era ancora di ritorno. Telefon alla suocera che alle terre su cui indagava era legata una storia accaduta durante la guerra, finita da sei anni soltanto. Non entr nei particolari, ma doveva trattarsi di qualcosa di crudele. Dimentica questi orrori, e occupati della mia questione disse Matilde. Lo far. Ma sono molto impressionato rispose. Osvaldo accenn ad altre stranezze, di cui aveva sentito parlare nei luoghi dove ora si trovava, e la suocera cominci a sbuffare per l'impazienza. Di quella mentalit superstiziosa non ne poteva pi, e lo mand mentalmente a quel paese. Il suo pensiero sembr sortire effetto, perch Osvaldo non tornava. Fu denunciata la sua scomparsa. Nei luoghi della sua ricerca catastale molti lo avevano visto, ma nessuno sapeva dove fosse finito. Che fosse fuggito anche lui in un altro continente, come il marito di Matilde? La risposta venne soltanto un mese pi tardi, quando il suo corpo fu ritrovato in fondo a un canalone boscoso, semidivorato dai corvi e dalle volpi. Forse era disgrazia, forse omicidio, perch risult dalle carte che

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Osvaldo, nella sua indagine catastale, aveva messo le mani su storie scure e torbide di morti sospette e di eredit controverse. Nessuno sapeva cosa pensare. I carabinieri non scoprirono niente di risolutivo, per inclinavano per l'ipotesi dell'incidente, che avrebbe permesso di chiudere subito il caso. La notte del ritrovamento Matilde sent pi volte, al di l della parete, il pianto di Emma, ma si consent il pensiero che in fondo si trattava di una soluzione. La figlia si vest di nero. Gli aspetti lieti della vita furono coperti ai suoi occhi da un drappo quaresimale, e tutto assunse il volto di un lutto universale. Per, a mano a mano che la maternit veniva avanti, Emma progettava di risposarsi, per dare un padre al nascituro. La mancanza del padre era sempre disastrosa, e lei l'aveva sperimentato su di s. Per Matilde fu perentoria: Se ti risposi, fallo solo per te. A Emma sarebbe piaciuto rimaritarsi con un uomo da lei sempre ammirato, ossia Lanfranco di Cassinberg, che abitava nel castello di Monterosso, ed era rimasto vedovo da poco, con un bambino chiamato Norberto. Erano i nomi ricorrenti della famiglia, di radice tedesca. Il castello era abbastanza malandato, ma un'ala era tuttora abitabile, perch Lanfranco l'aveva fatta riparare con i suoi risparmi di meccanico e inventore. Aveva due torrioni gemelli, che in secoli lontani erano stati deposito di armi e di granaglie, e disponeva di padiglioni aggiunti in epoche diverse. Erano la parte meglio conservata. I due torrioni erano uniti da un corpo trasversale, con archi a tutto sesto, costruiti nel Quattrocento. Dal muraglione si vedevano le colline e la vasta pianura. Il castello aveva un'aria severa, un po' astratta e irreale. I suoi abitanti, Lanfranco, sua sorella Doralice e Norberto, erano cos discreti e silenziosi che il luogo pareva disabitato. Emma cominci a fare ricerche d'archivio e lavori d'ufficio per la madre, ma si sentiva viva soltanto per met. Continu a vestire abiti scuri. Talvolta perdeva il controllo

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sul suo pensiero, e s'inventava una realt diversa, come non avesse mai sposato Osvaldo, non aspettasse un figlio da lui, fosse ancora una ragazza da marito, carica di attese e di speranze, e il suo promesso fosse Lanfranco. Costui anni addietro l'aveva infatti chiesta in moglie. Perch l'aveva rifiutato? Perch aveva invece detto subito di s a un forestiero appena conosciuto, che si era rivelato una specie di indiano delle riserve? Perch? In certo modo non se lo ricordava pi. Le ragioni profonde delle cose ci sfuggono in eterno. E anche le situazioni pi concrete le parevano nebbiose e simili a un sogno. Qualcosa dentro di lei aveva preso a generare in continuazione pensieri stralunati, come fossero prodotti da un alambicco di alchimista. Anche Monterosso le appariva una citt pi fantastica che reale. Le antiche case del centro, con archi e balconi, dipinte di rosso, azzurro, verde, rosa, le parevano lo scenario di un film in costume, soprattutto se lo guardava di notte, dalla spianata del castello. Nella piazza principale, tutta circondata da portici veneziani, v'era un monumento di marmo bianco, dedicato ai soldati morti nelle due guerre mondiali, con diecine di nomi scritti a lettere di bronzo. Al tramonto il monumento lasciava un'ombra lunghissima, che arrivava a lambire le case. Spesso Emma usciva la sera a passeggiare, e non si sentiva sola perch il bambino nel ventre le faceva compa gnia. Cercava le vie e i viottoli pi solitari, ma erano molti i luoghi semideserti del paese, perch Monterosso, come tutti i paesi di montagna, era in parte abbandonato, e molti casali della periferia erano disabitati da tempo. Non v'erano industrie, ma solo botteghe artigiane. Alcune case erano deserte tutto l'anno. Pochi emigranti vi tornavano per qualche settimana in agosto; altri mai, e non era neppure pensabile che lo facessero, perch vivevano in luoghi lontanissimi, come l'Argentina, l'America del Nord, l'Australia. I monterossini spesso parlavano d loro. Colui che tornava pi frequentemente nei discorsi della gente era Fabrizio Mattioni, l'uomo pi celebre del paese. S'era lau

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reato a Padova, in storia del teatro, ma la sua passione era il cinema, e senza dubbio era stato questo il motivo per cui, poco dopo aver finito gli studi, era emigrato in California, dove viveva un suo zio, che aveva fatto qualche fortuna come terrazziere. Uomo d'idee e di talento, Fabrizio si era creato laggi una fama cospicua di documentarista e a Monterosso ogni tanto arriva vano notizie su di lui. Al Mattioni tutti pensavano con un rispetto che sfiorava la venerazione. Nella fantasia s'identificavano con lui e assaporavano in certo modo i suoi trionfi. Non si sapeva bene dove avesse casa, ma ogni tanto il suo nome rispuntava come dal nulla, circondato dalla voce di un nuovo lungometraggio. Egli veniva molto lodato dagli specialisti, ma difficilmente arrivava al grosso pubblico, il che ribadiva nella gente la convinzione che Fabrizio Mattioni fosse un cineasta bizzarro, che lavorava soltanto quando ne aveva voglia, e con grandi difficolt nel trovare i produttori. Si diceva che per lunghi periodi abbandonasse la macchina da presa e si mettesse a fare altri lavori, perch non riusciva a vivere di cinema. A Monterosso uno aveva per solito soltanto un mestiere, che sapeva fare egregiamente. Ma in America le cose erano sempre pi complicate, sicch laggi era possibile fare due o pi professioni, anche molto diverse fra loro. Durante le sue passeggiate solitarie Emma rifletteva che l'attesa di un bambino l'aveva grandemente cambiata. Per non osava dirlo a nessuno, nemmeno a sua madre, come non credesse pi all'efficacia della comunicazione. Anzi era certa che una parola pronunciata nella mente aveva un senso, e detta ad alta voce un altro, mol to diverso. Sentiva di essere risucchiata in un mondo interiore che apparteneva totalmente a lei. Si sentiva alla vigilia di grandi cambiamenti, forse perch il parto era ormai vicino. Matilde spesso si collocava silenziosa alle sue spalle, e di lei Emma si accorgeva all'improvviso, provando un tuffo al cuore. Si voltava, credendosi sola, e invece sua

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madre era l, con gli orecchini di brillanti e i capelli irrigiditi dalla lacca. Ora Emma guardava il paesaggio come non le era mai accaduto in tutta la vita. Le montagne vicine sovrastavano il paese, immense e tranquille, per lo pi verdi di boschi e di prati. Alcune per, le pi alte, erano di roccia bianca e rosata. Pi in su v'erano anche valli sempre in ombra, con nevai che duravano tutto l'anno. Se tendeva l'orecchio riusciva a sentire lontano il rombo ventoso del Duss, ricchissimo d'acqua. Una sera vide, appollaiata su un abete altissimo, alla periferia della citt, un'aquila immobile come fosse di bronzo. Il suo spirito ebbe un guizzo di letizia. Forse era l'ultima aquila di quelle montagne, perch anche i rapaci se ne erano andati. La sera di san Lorenzo fu colta dalle doglie del parto, e Matilde la fece subito ricoverare nel padiglione maternit dell'ospedale pi vicino. Sulle prime tutto fu regolare. Quando pareva che il parto stesse per concludersi felicemente, e che ormai fosse una questione di minuti, ci fu lo scatto di un meccanismo bizzarro della sorte, che lo blocc e lo riport in alto mare. Il medico s'innervos. Cerchi di spingere, signora! Collabori... Temo che per ora non nascer... Come fa a dirlo? Le doglie sono sparite. Il medico e le infermiere si guardarono negli occhi in modo interrogativo e preoccupato. Pareva che il bambino, a un passo dal mondo reale, avesse deciso di rinviare la nascita. Non era morto soffocato, per caso, o qualcosa del genere? Si coglie il battito del cuore anche con un normale stetoscopio. Il bambino sta benissimo. Stia tranquilla disse l'ostetrico. Tuttavia era un parto bizzarro. Era come se una remora arcana si fosse messa davanti alla tranquilla navigazione del parto e ne impedisse il compimento. Il destino dispone di molti di questi ostacoli strampalati, nascosti in qualche angolo del mondo, e li usa a suo capriccio. Emma

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pens a qualche maleficio stregonesco, inconoscibile, che nessuna mente di Monterosso, bambina o adulta che fosse, si sentiva di escludere con assoluta certezza. Dopo alcuni minuti il dottore, sempre pi preoccupato, decise che il nascituro venisse finalmente alla luce al modo di Cesare. No, aspetti. Mi stanno tornando le doglie disse la donna. Finalmente! Il parto riprese speditamente, come non vi fosse mai stata alcuna interruzione, e tutto fosse stato dentro la normalit fin dall'inizio. Poco dopo nacque una bambina, un po' minuta, ma sana e vitalissima. Appena rimessasi dalla grande fatica Emma cominci a esaminare la neonata da tutti i lati, come se il fatto di essere il frutto di un matrimonio con un figlio di culture lontane potesse aver lasciato qualche segno imprevedibile in lei. Invece no. Niente. Tutto pareva normale. Di notevole v'era solo il colore dei capelli, accentuatamente rosso, ma ci rientrava nella regola della famiglia. Anche i medici fecero controlli molto accurati, e trovarono che tutto funzionava nel migliore dei modi. Forse avr qualche anomalia nascosta disse Emma. Cio? chiese Matilde. Nello spirito. Nel carattere. La nonna si mise a ridere. Fece un movimento brusco con la testa, per dire di no, e i minuscoli brillanti degli orecchini mandarono un rapido luccichio. Le posero nome Veronica. Fu una bambina decisamente precoce. Cominci a camminare prima che avesse girato la boa dei dodici mesi, e a un anno e mezzo conosceva pi parole che un bantu a sessanta. Quando ebbe quattro anni, o poco pi, Emma si rese conto che aveva preso il vizio d'imbrattare vecchi giornali e riviste con un pennarello viola, preso dalla scrivania della norma. Una volta osserv meglio gli scarabocchi, e si avvide che nei geroglifici di Veronica si riusciva a intuire,

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pi che a leggere, la parola "Ungheria". Erano infatti i giorni della sfortunata rivolta di Budapest contro la dominazione dei russi. Casa Castenetto divent anche troppo viva e strepitante. Le stanze risuonavano delle grida e delle risate di Veronica, che anche quando era sola, in una stanza, pareva stesse sempre in compagnia di altri bambini, perch discorreva ad alta voce. Aveva l'abitudine di parlare di se stessa in terza persona. Non diceva mai non mi piace la minestra, bens a Veronica non piace il riso al latte. Pronunciava la "erre" come i francesi; ma se Emma richiamava la sua attenzione su questo punto, subito passava a una pronuncia esattamente opposta alla prima, e l'arrotava come gli spagnoli. Nello scegliersi gli abiti aveva gusti molto decisi e una simpatia nettissima per i colori forti, mentre bocciava gli altri senza appello. Per i vestiti, o semplicemente per le calze e le scarpette, aveva attrazioni o antipatie robuste come fossero persone. Se Emma l'obbligava a indossare un indumento lei non protestava, ma dopo tre minuti riappariva con un altro addosso, abbottonato alla buona. Non piangeva e non levava mai clamori di protesta, ma conosceva tattiche e strategie per ottenere sempre quello che voleva. Emma la portava con s, per qualunque acquisto, si trattasse pure di un tovagliolo; sapeva infatti che le cose comprate senza l'imprimatur di Veronica erano destinate a dormire sonni perenni dentro i cassetti. Voleva o non voleva le cose sempre per ragioni fantastiche, ma era abilissima a inventarsi le motivazioni per cui prendeva decisioni a tamburo battente. Perch non vuoi mettere la tuta verde? Mi stringe tra le gambette. Ma se te l'ho presa in crescita! Guarda. Mi lascia un segno rosso. Non era vero, ma bisognava crederle. A cinque anni la madre e la nonna la portarono in visita dai Cassinberg. Ci

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furono lunghi conversari tra i grandi-, ossia Lanfranco, Doralice, Matilde ed Emma, in uno stanzone del castello, il cui unico arredo era costituito da un caminetto di pietra, molto sbreccato, un tavolo di noce e quattro sedie fratine. I Cassinberg si ostinavano ad abitare nel castello degli avi, ma non avevano i soldi per arredarlo. Veronica e Norberto giocarono per tutto il tempo della visita nei cortili. La cagna di Norberto aveva appena messo al mondo due cuccioli, che parevano di velluto o di peluche. I bambini erano del tutto immersi nel gioco, dimentichi di ogni particolare del mondo circostante, il giorno, l'ora, il luogo, e per essi non v'erano che i cuccioli dal pelo morbido e dalle zampe tozze. Norberto disse che erano due volpini. Il bambino parlava molto poco, ma Veronica riempiva di parole anche lo spazio di lui, sicch il discorso non ristagnava comunque. Norberto loquace non era mai stato. Aveva cominciato a parlare tardissimo, e come di malavoglia, quasi ritenesse il linguaggio un'istituzione superflua. I suoi erano molto preoccupati, anche perch il bambino aveva gli occhi dal taglio vagamente orientale, come i mongoloidi. Doralice per non voleva ammetterlo. Lei a Norberto voleva un bene dell'anima, che s'era raddoppiato quando il bimbo aveva perduto la madre.

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III Il cane Ogni tanto le donne davano un'occhiata ai bambini dalla finestra dello stanzone. Costoro continuavano a essere tutti presi dal loro gioco. Veronica maneggiava un cucciolo come fosse un bambino. Gli fece il bagno, lo asciug, lo spruzz di un residuo di borotalco, dimenticato in una busta sul davanzale di una finestra. Poi riusc a far stare ritto il cucciolo sulle zampe posteriori, a fargli reggere un barattolo coi denti e a farlo saltare attraverso un cerchione di bicicletta. La bambina possedeva un talento istintivo per imporsi agli animali. Aveva visto come si faceva alla televisione, una novit che la nonna aveva acquistato soprattutto per lei. Ma cosa ci faceva Veronica agli animali? Chi lo sa. Li magnetizzava con gli occhi, usando una lunghezza d'onda personale. Qualcosa passava direttamente tra la sua anima e quella del cucciolo. Presto apparve tra le mani di Norberto una lunga frusta da carradore, che lui faceva schioccare nell'aria con abilit. Veronica si vide come la domatrice di un circo immenso, in cui il cucciolo riassumeva uno zoo intiero. Le piacevano le cose in grande, e le era gradito collocarsi in tutte le situazioni come indiscussa protagonista. Allest una corona di edere, di vilucchi, di campanelle bianche, di salvia splendida e di zinnie di piccolo formato, prese nel giardino del castello, e se la mise in testa, per dare soddisfazione al suo istinto di farsi bella.

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E adesso cosa gli facciamo fare? domand Norberto. Il cerchio di fuoco! si entusiasm lei. No, il fuoco no. E' pericoloso! Sciocchezze! Norberto fin per cedere. Era difficile resistere a Veronica, perch nella sua volont si annidava il desiderio stesso della vita di prendere parte allo spettacolo del mondo. Il ragazzo imbott il cerchione di ovatta, imbevuta di alcol, e la leg col filo di ferro a due paletti che sorgevano dall'erba del cortile. Poi diede fuoco. La fiamma azzurrina illumin subito la notte, ma l'addestramento del cucciolo fu presto interrotto da strilli che piovevano dall'alto. Le donne temettero che l'incendio minacciasse i bambini. Doralice, Matilde ed Emma si precipitarono gi per la scala di legno, zoccolando e sospirando, ma quando finalmente giunsero nel cortile il cerchione era gi spento. Veronica aveva intuito il nocciolo della questione, e con una forca aveva buttato l'oggetto infuocato nella vasca della fontana. Dov' il fuoco? chiese Emma. Non c' disse Veronica. Ma c'era. Io l'ho visto... Ti sar parso... Lazzarona! Mi prendi in giro! Emma, mezzo divertita e mezzo arrabbiata, le tolse la corona di fiori, estrasse il pettine dalla borsetta, che sempre portava con s, e cominci a pettinarla e a rifarle le trecce, da Veronica detestate. Al momento di lasciare il castello la bambina sollev il cucciolo e lo tenne in braccio. Ci fu un breve scambio di frasi, che si incrociarono come spade. Mettilo gi! Nemmeno per sogno! Tu sei matta! Il cane mio! Segu un'indagine superficiale sulle cose asserite da Veronica. I parenti di Norberto in effetti erano felici di liberarsi di un cucciolo, e stavano cercando qualcuno per sbarazzarsi anche dell'altro. Norberto era lieto di aver fatto

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un regalo a Veronica, di cui nell'intimo si sentiva servitore fedele, ma in pari tempo gli dispiaceva di aver rinunciato all'animale. Il suo occhio era velato dal pianto, ma nessuno se ne accorse. Il bimbo non riusciva ad afferrare l'attenzione della gente, come fosse fatto di nebbia o di vetro. Veronica, col cane in braccio, era tutta gloriosa. Le parve di aver vinto una grossa battaglia, prevalendo su un fronte tutto femminile. Avvert anzi per questo una sorta di passeggero disagio. Perch a casa sua v'erano soltanto donne? Perch non c'era neppure un nonno o uno zio? Sapeva che suo padre era scomparso per una disgrazia avvenuta in una valle di montagna, e non capiva bene come un padre potesse morire prima ancora che il figlio nascesse. Era una situazione stravolta. Provava anche un po' di collera nei confronti di Osvaldo, perch con la sua morte l'aveva lasciata sola in una famiglia incompleta. Capiva vagamente che il padre si trovava nell'impossibilit di tornare da lei, e anzi che la morte consisteva soprattutto nell'assenza. Per sentiva che l'insieme di queste situazioni era anche una sorta di dispetto che veniva fatto nei suoi confronti. Cominci a giocare con il cane con tanta passione che non voleva pi allontanarsi da casa per non stargli lontano. Decise di non andare pi in asilo, perch l il cucciolo non era ammesso. Naturalmente n Matilde n Emma vollero darle ascolto, sicch dovette inventarsi una complicata strategia per farsi allontanare stabilmente dall'istituto. Sapeva che le suore non accettavano i bambini che ancora bagnavano il letto. Cos lei, durante il forzato riposo, dopo il pranzo di mezzogiorno, mentre fingeva di dormire, si liberava allegramente del liquido tiepido che aveva in serbo. Le suore per un po' sopportarono la cosa, e anzi la tennero nascosta, perch stravedevano per Veronica, anche se era una continua fontana di ansie e di corse col fiatone. Sapevano pure che era il frutto di un matrimonio sventurato, e perci nutrivano nei suoi confronti una sottile compassione. Presto non poterono tuttavia reggere la situazio

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ne, perch l'alone giallo del lenzuolo divent un fatto quotidiano. Emma e Matilde non riuscivano a darsi una ragione. A casa non le succede mai disse la nonna alla superiora. Si vede che per lei l'asilo un fatto traumatico. E perch mai, cos all'improvviso? Prima non accadeva. Forse le venuta una cistite. Non credo. La bambina sanissima. Tuttavia il fatto sussiste. Bisognerebbe farla visitare. Matilde scosse la testa impersuasa, e non si decideva mai a trarre le conclusioni di quella replicata premessa. Poich a Monterosso lei era una indiscussa autorit, le povere suore non osavano tradurre in una formula ultimativa le loro ragioni intessute di lamentele. Dubitando anche dell'efficacia delle proprie parole balbettate, preferirono esprimersi a segni. Ogni volta che Emma veniva a prendere la bambina all'asilo, il lenzuolo con l'alone giallastro veniva esposto in fretta sul filo della biancheria, nel retro di cortile. Era una bandiera bianca, una metafora di resa. Veronica, con il volto della pi totale innocenza, seguiva la manovra con intima soddisfazione. Era fiera che tutto quel traffico avvenisse per lei e la sua invenzione. Ma presto, visionaria com'era, si convinse altres che non era proprio lei a provocare il piccolo misfatto, bens uno spiritello invisibile, che si sedeva su di lei mentre dormiva, e la costringeva a liberare la vescica. S, era cos. Quello spiritello aveva anche un nome preciso, nel dialetto locale, ed era un tipaccio con la berretta rossa e le orecchie pelose, che assaliva le persone durante il sonno, si sedeva pesantemente sopra di loro, provocando digestioni difficoltose e incubi di varia natura. Veronica raccont alla madre che il birbante veniva ogni giorno mentre lei dormiva, sorridente e manieroso, e la induceva a immaginare di trovarsi sopra un vaso di ferro smaltato di bianco. Quando si accorgeva dell'inganno e si svegliava, era sempre troppo tardi.

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Emma non sapeva cosa pensare. Vedeva Veronica come una bambina dalla doppia personalit, di cui una si manifestava in casa e l'altra all'asilo. La osservava attentamente, cercando di capirci qualcosa, ma in questa direzione le sembrava di perdere terreno anzich guadagnarlo. Forse la duplicit era il primo inesplicabile frutto del fatto che Veronica era nata da un matrimonio male assortito. Era il risultato di qualche occulta eredit del sangue, e certo non poteva Emma dire alle suore ci di cui esse, peraltro, erano gi bene informate. Le religiose si misero a guardare Emma in modi cos intensi che dovette fingere di non capire. Ma la finzione non pot durare, e lei dovette arrendersi. E va bene. Me la terr a casa disse. Purtroppo l'unica soluzione, signora. Pu darsi che sia un disturbo temporaneo. Certamente. Se guarisce, la riporto subito da voi. Qui stava benissimo. sottinteso. Cos, con la morte nel cuore, Emma si tenne Veronica in casa, dove lo spiritello non ci pensava neppure a commettere la sua mascalzonata quotidiana. Matilde impose alla figlia una verifica della medicina. Un giorno Emma port la piccola in citt per farla visitare da un urologo, considerato un luminare della sua specialit. L'uomo, che aveva barba e capelli nerissimi, e un'espressione discretamente buffa, come certi personaggi delle comiche mute, conquist rapidamente Veronica perch prima di visitarla le fece l'occhietto. Alla bambina sembr che tra loro ci fosse un'antica amicizia e che l'uomo fosse totalmente dalla sua parte nella faccenda che aveva come entit principali l'asilo e il cane. Veronica si fece visitare sorridendo, quasi si trattasse di un gioco. Il medico prescrisse un esame delle urine, ma fu subito dell'opinione che la bambina in realt fosse sanissima e che quel difetto fosse da ricercare in qualche indecifrabile anomalia dello spirito.

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La tenga a casa e le faccia fare una vita la pi sana possibile. Vedr che il disturbo scomparir al pi presto. Speriamo. Le dia queste pastiglie, due volte al giorno. V'erano davvero le ragioni per essere ottimisti, perch i dischetti bianchi destinati a Veronica erano nient'altro che caramelle di menta, che nessun urologo di questo mondo ha mai usato per combattere le malattie di sua competenza. Veronica a casa cominci a giocare col cane a tutte le ore. Era sempre a inseguirlo, col fiato grosso, e passava il tempo a insegnargli strani esercizi o a costringerlo a divertimenti da lui poco amati. A carnevale Matilde su richiesta della bambina le acquist uno smoking nero e un cappello a cilindro, che per lei erano la divisa del prestigiatore. Ma Veronica pretese una sorta di abito anche per il cane, che fu necessario confezionare su misura. Per entrambi aveva in mente la figura di Mandrake. Il cane lasciava fare, perch da Veronica accettava ogni cosa, anche il cravattino a farfalla con l'elastico. Con il costume assumeva un aspetto vagamente umanoide, specialmente quando si sollevava sulle zampe posteriori. Norberto venne spesso a giocare con il cane, e dava l'impressione di voler verificare lo stato di salute dell'animale, della cui sorte ancora si interessava. La crescita rapidissima del cucciolo lo meravigli, non tanto per la sua dimensione, quanto piuttosto per l'aspetto che veniva assumendo. Il cane avrebbe infatti dovuto essere un volpino, e Norberto prima di regalarlo lo aveva battezzato col nome di Fuchs. La madre era una volpina, ma il padre era un lupo, e i caratteri paterni venivano prevalendo. La meraviglia di Norberto non accennava a diminuire, come si trattasse sotto sotto di un incredibile scherzo della natura. Eppure solitamente Norberto non mostrava grande meraviglia per le cose, anche quelle pi chiaramente nate sotto il segno della stranezza. Niente o quasi niente riusciva a stupirlo, come se tutte le bizzarrie del reale le avesse gi viste

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una per una nei sogni o in un iperuranio dimenticato. Persino i tratti somatici di Norberto confermavano questa impressione. Pareva in definitiva che niente a questo mondo potesse sviluppare la sua meraviglia, perch tutto in realt gli sembrava bizzarro e incredibile. I giochi in comune di Norberto e di Veronica avevano un'aria di congiura. Ci che lei faceva assumeva subito un profilo di mistero. Entrambi erano tanto silenziosi e appartati che si facevano dimenticare o credere lontani quando invece stavano semplicemente nella stanza accanto. I due bambini riuscivano a ottenere cose incredibili dal volpino, mutato per sortilegio in un pastore tedesco, e ribattezzato Wolf per questo motivo. Certo era un cane molto intelligente, ma bisognava ipotizzare che tra l'animale e la bambina ci fosse un'intesa speciale e impressionante, che sembrava il frutto di qualche magnetismo sconosciuto, estraneo a ogni esprit de gomtrie. Wolf non solo imparava subito gli ordini, li ricordava e li eseguiva, ma sembrava farlo anche a distanza, come se tra lui e Veronica ci fosse anche un accordo telepatico. Se la bambina pensava "Wolf, si va a fare una passeggiata?", lui subito si metteva in agitazione, nel casotto del cortile. Per Veronica divent un amico, una guardia del corpo, che vegliava su di lei e le impediva di ficcarsi nei guai. Quando usciva col cane, ossia sempre, Matilde ed Emma erano tranquille perch eventuali lacune di buonsenso o di misura in Veronica sarebbero state compensate dalla prudenza di Wolf. Veronica e il cane facevano insieme grandi corse, finch la bambina diventava rossa in viso e grondava di sudore. Come i suoi coetanei anche Veronica era attratta da tutto ci che viveva. Per lei gli esseri viventi erano giocattoli irresistibili, anche gli animali pi brutti e i pi strani, come i gamberi, i rospi, le rane, che si trovavano in grande abbondanza negli stagni o nelle anse morte del Duss, sottoposte alla giurisdizione delle fate d'acqua. Quando era nella sua stanza, l'impressione di quelli che la sentivano giocare era che con lei ci fossero anche al

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tri bambini suoi amici, Norberto, Rebecca, Egidio. Ogni tanto Emma e Matilde si mettevano in ascolto. Ma sola o con Rebecca? chiedeva la nonna. Con Rebecca rispondeva Emma. Invece era proprio da sola, e la voce di Rebecca era lei che la imitava, per poter giocare "alle signore" o "di bottega" in solitudine. Cercava di riprodurre anche la voce di maschi, ma il risultato era scadente e il mascheramento pi difficile. Veronica inventava i suoi divertimenti, bench avesse tanti giocattoli. Questo era naturalmente in rapporto con i guadagni di sua nonna, o quelli pi modesti di Emma, che l'aiutava a reggere lo studio notarile. Ci che soprattutto motivava le due donne nel loro lavoro era il fatto che guadagnavano per Veronica. Cos la stanza della bambina era piena di bambole, trenini, pupazzi, animali di peluche, burattini, aquiloni, bingo, giochi dell'oca, ruspe di latta, automobili a pedali, cavalli a dondolo. Alcuni di quegli oggetti erano appartenuti a Emma, la quale li aveva tenuti perch era molto conservatrice. Se si annoiava, l dentro, Veronica saliva in granaio, uno stanzone poco illuminato, pieno di ragnatele e di fruscii. Il materiale per giocare era fornito da un piccolo universo di cose consumate e rifiutate dal tempo. L Veronica giocava "alla scuola", sfruttando una vecchia lavagna, calandosi nel doppio ruolo di maestra e di alunna, ora lodata e ora rimproverata. Condannandosi a stare dietro la lavagna, per punizione, Veronica s'immedesimava, recitava se stessa, in modi cos teatrali che le veniva persino da piangere, come per una umiliazione subita per davvero. Veronica si fidava di tutti, uomini, animali e cose inanimate, come il bosco, il fiume, la montagna, il vento, il temporale. Il mondo era grande, vario e sorprendente, per lei, ma non alieno. Al contrario era pieno di amici potenziali da cui si sentiva circondata. Le montagne, per esempio, la soggiogavano e le comunicavano il senso della grandezza. Le creavano una pausa contemplativa, che provocava l'impulso di correre a rompicollo in qualche direzione.

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Allora cominciava a volare per le stradette e i sentieri che portavano a Monterosso Bassa e al fiume. Wolf la precedeva o la seguiva, abbaiando, come volesse farle notare che la velocit poteva essere pericolosa. Ma lei correva a pi non posso. Sentiva il vento entrarle nelle trecce, ed era una presenza invisibile, ma fresca e attiva, che la spingeva a scoprire il mondo. Il pomeriggio di un sabato, scendendo verso il Duss, si ferm di colpo in una piazzuola, perch aveva udito una musica allegra venire da una finestra chiusa. Era una tarantella napoletana, che Veronica sentiva per la prima volta. Dentro di lei irruppe una letizia impetuosa, ed ebbe voglia di ballare e di saltare, secondo l'andamento della musica, o forse del vento che in quel momento soffiava. Balla Wolf disse al cane. Lui agit la coda. Non senti che musica? Balliamo! Stavano salendo le ombre della sera tra le case di Monterosso dipinte di rosa, di viola e di verde; l cominciavano i casali dei contadini, quasi mai intonacati, con i muri di sassi di fiume. Veronica si sentiva leggera e compiva incredibili volteggi. Peccato che non ci fosse nessuno a vederla. Stranamente desider che ci fosse suo padre; ebbe la sensazione di ballare e saltare per lui, proprio per lui, per fargli vedere quante cose sapeva fare sua figlia, bench avesse soltanto pochi anni. Ma forse lui appunto la stava osservando, invisibile e muto. Forse era lui che la sosteneva e la custodiva, quando lei girava per le stradine e i sentieri, ed era sempre lui che la sollevava e la spingeva quando spiccava i suoi salti incredibili. Veronica sapeva che i morti non morivano del tutto, e il loro spirito invisibile continuava a vivere, vicino a coloro che avevano amato durante la vita. La musica cess di colpo e lei raggiunse il fiume. Il Duss era in piena perch era l'epoca del disgelo. L'acqua copriva tutte le isole sassose che si vedevano nei periodi di magra. Lungo il greto v'erano le officine degli antichi

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battiferro della valle, i quali sfruttavano per i loro magli la forza motrice dell'acqua. Esse erano state per lo pi abbandonate ormai da decenni. Molti fabbri erano andati a lavorare nelle fabbriche sorte alla periferia delle grandi citt. Per qualche artigiano era rimasto, specie a Monte- rosso Bassa, e aveva tenuto duro continuando l'antico mestiere. Veronica e Wolf entrarono in un'officina abbandonata, la cui grande ruota di ferro, muscosa e arrugginita, girava ancora nella corrente. L'interno era annerito dalla caligine. Dal pavimento saliva uno zoccolo di cemento che aveva sostenuto l'incudine e il meccanismo del maglio. Rottami di ferro lavorati dalla fiamma ossidrica, spesso in forma di riccioli troncati, erano sparsi un po' dappertutto. Veronica ud una risata, non forte ma cavernosa, e si guard attorno sorpresa. C'era qualcuno? Cerc di fare attenzione, e vide l'ombra di un uomo, con la barba riccia e nera, il grembiule di cuoio, che batteva un ferro sull'incudine, provocando soltanto un rumore lontano e smorzato. Veronica si tocc la fronte, con un gesto che era tipico di sua madre, per sentire se per caso fosse la febbre a farle vedere ci che non c'era. Guard di nuovo, e il martellatore era scomparso. Tutto questo era molto strano. Forse si era nascosto. Sal in cima al muretto di cemento che convogliava l'acqua alla ruota, e venne afferrata da una felicit svaporata ma intensa. In quel momento si sentiva la signora del fiume. Le sembr che la schiera immensa delle fate d'acqua la invitasse ai suoi invisibili giochi. E Wolf dov'era? Lo chiam con un fischio potente, ficcando quattro dita in bocca, come i monelli di Monterosso. Vista la padroncina sul muro, il cane si mostr subito inquieto e cominci a mugolare, allargando le mascelle. Che hai, vecchio scemo? domand Veronica ridendo. Di colpo si lev il tramontano, che veniva dalla parte alta della valle, la sottana di Veronica fece vela e lei fu scaraventata in acqua. La bambina non si spavent. Al contrario si mise a ridere, come fosse convinta che le agne l'avessero

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spuntata e fossero riuscite a tirarla con s. La gonna form una campana d'aria, perch il tessuto era quasi impermeabile. Poi la bambina cominci ad affondare, e un poco si turb, ma conservando sempre una fermissima convinzione che se la sarebbe cavata. L'acqua e il fiume non le avrebbero recato alcun danno, perch erano sostanzialmente suoi amici. Difatti il cane si tuff, afferr la sottana coi denti, e spinse Veronica verso un punto della riva in cui v'era una secca di sabbia. Con qualche fatica la bambina si afferr a un salice. Non aveva per niente la sensazione di aver corso pericolo di annegare, ma solo d'aver fatto un bagno in acque troppo fredde. Poich stava gelando cerc un rimedio e lo trov in una forma mentale. Pens di non avere freddo, al contrario, di avere un gran caldo, e si sent molto meglio. La sua sottana, la camicetta e il golf di lana si misero a fu mare, e cominci a rendersi conto che certe volte era sufficiente che lei pensasse qualcosa perch questa accadesse. Le sembr tutto molto naturale, dato che lei non era una bambina qualunque, ma Veronica Castenetto, ossia una specie di beniamina della sorte. Pens che Wolf l'aveva salvata da un pericolo, ma pure questo le pareva naturale, perch lei il suo cane non lo vedeva per quello che era, ma per ci che immaginava che fosse, ossia un servitore prontissimo a ogni suo cenno. Tornata a casa non trov nessuno. Meglio. Si spogli e si ficc a letto, posando gli abiti sopra la stufa, che ancora funzionava. Essi si asciugarono prima che Emma o Matilde potessero notare che erano bagnati. Poi Veronica si rialz, si rivest, con lo spirito pieno di forti sensazioni legate al fiume, alla fucina, al fabbro, alla tarantella e alle agne. Sembr che l'avventura del fiume fosse passata del tutto inosservata, e invece tre giorni dopo Emma torn a casa sconvolta, rossa in faccia e tremante per la scossa nervosa. Alle urla accorse Matilde, che stava lavorando nel suo studio.

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Dio mio, cosa c'? chiese la nonna preoccupata. C' che questa incosciente ha rischiato di annegare. Cio? Come? Dove? Giorni fa caduta nel fiume, vicino all'officina. L'ha salvata il cane... Chi te l'ha detto? Lo zio di Rebecca. L'ha vista lui? Certo. Non ha avuto nemmeno il tempo di accorrere, che Wolf gi la spingeva a riva... L'emozione delle donne era vivissima. Era come se Veronica si dibattesse ancora nel fiume, e la sua salvezza dipendesse da loro due. Il batticuore rendeva difficile il respiro. Per calmarsi un po' posarono sul tavolo la bottiglia di liquore, e si rimisero in sesto lo stomaco centellinando un bicchierino. Ma ti rendi conto, mamma? disse Emma. Figurati, figlia mia fece Matilde. un miracolo. Un santo l'ha salvata. Chiamarono Veronica e la sottoposero a un interrogatorio incalzante. Lei rispose con totale tranquillit, con modi addolciti dalla grazia pi segreta, con movenze da piccola dama, piena di dignit e di sussiego, incrinati dall'aggressivit dei grandi. Le due donne ne dedussero che Veronica era una bambina sventata.

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IV Il fulmine

Invece di dar peso alla sua caduta nell'acqua, insisteva sul fatto di aver visto un uomo nell'officina abbandonata, con un grembiule di cuoio, che batteva un ferro sull'incudine, senza produrre quasi rumore. Non c' nessuna incudine laggi disse Matilde. Io per l'ho vista. Le bambine come si deve non raccontano bugie. E infatti io non le racconto. L'uomo che batteva sull'incudine aveva una barba riccia e nera. Le donne si guardarono in faccia. L'officina infatti era appartenuta a un fabbro notissimo, Manfredi Caligaris, che i suoi amici chiamavano Sacramento. Ma era morto prima della guerra, colpito da una sincope, il giorno stesso in cui i tedeschi erano entrati a Varsavia. Ma come poteva sapere Veronica della sua barba e del suo mestiere? Qualcuno in paese glielo aveva raccontato? La bambina insistette che nessuno le aveva detto un bel niente, lei quel tale l'aveva visto coi suoi occhi, e questo era tutto. La domestica di Matilde si intromise nel discorso per riferire una voce di paese, ossia che Manfredi, individuo di rozze maniere, anarchico e bestemmiatore, ogni tanto riappariva nel suo antro affumicato, sulla riva del fiume, e nei trent'anni trascorsi dalla sua morte pi d'uno l'aveva visto. Cosa pensare? Madre e figlia decisero che Veronica doveva aver sentito parlare del fabbro, e che si era inventata tutto perch

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era una bugiarda di prima misura. Bisognava escogitare qualche espediente per strapparle per sempre la voglia di mentire. Ma Veronica sembrava non prenderle sul serio. Continu a descrivere l'uomo con minuzia di particolari, perch aveva una memoria rocciosa e dell'aspetto di Sacramento ricordava assolutamente tutto. Aveva una cicatrice rossastra sulla guancia e un orecchino d'oro al lobo sinistro. Era vero? Bisognava interrogare quelli che l'avevano conosciuto e frequentato. Matilde si propose di farlo, ma presto le sue intenzioni si dissolsero. Per le donne si consultarono frequentemente come si dovesse controllare in modi pi stretti la strana bambina. Non era facile, considerata l'estrema indipendenza di Veronica, e cos i discorsi erano numerosi, ma scarse le decisioni. L'unico punto fermo, su cui si poteva fare affidamento, era Wolf, che ormai era diventato un gigante, e pesava pi di Veronica, che aveva un corpo svelto e minuto, da ballerina. Lei finiva i compiti in un baleno, come non riuscisse a pigliare veramente sul serio quel tipo di lavoro, e poi andava a zonzo con Wolf dovunque le piacesse. Matilde si fece l'idea che nel cane si dovesse vedere non tanto il protettore, quanto la causa prima dei suoi nomadismi. Ma se il cane che l'ha salvata! obbiett Emma. vero. Ma lui che la trascina lontano. un animale troppo inquieto, e provoca comportamenti analoghi in lei. Cos nacque un complotto, cui parteciparono Matilde, la madre di Rebecca e lo zio di lei, giostraio e venditore ambulante. Caricarono Wolf di notte, mentre Veronica dormiva, sull'auto di Matilde, e lo portarono in un'altra vallata, parallela a quella del Duss, dove lo regalarono a ima famiglia di conoscenti. A Veronica impastocchiarono la bugia che era fuggito e le fecero vedere la catena spezzata. Non ci credo disse Veronica disperata. quanto successo, bambina.

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Non vero. Wolf non fuggirebbe mai da me. Sento che vuole raggiungermi. Non riesce a tornare soltanto perch legato. Veronica non pianse, ma il suo turbamento era estremo e lacerante. Cominciarono a risentirne il sonno e l'appetito, e prese a dimagrire a vista d'occhio, come fosse divorata dalle lucertole. Diminu tre chili in due settimane, e sotto gli occhi si scavarono due fosse violette. Ogni volta che sentiva un latrato di cane, trasaliva e scattava in piedi, per correre alla finestra. Matilde, pi forte di carattere, teneva duro, ma Emma era molto preoccupata, e senza rendersene conto per il nervoso e la preoccupazione torceva gli strofinacci per asciugare i piatti e sgranocchiava tozzi di pane durissimo, vecchi di un mese, pescati a casaccio dentro un cassetto. La nonna cercava di minimizzare, ripeteva che i bambini dimenticano rapidamente e presto di Wolf non avrebbe detto pi neppure una parola. Ma Veronica continuava a scendere di peso, come le avessero fatto un maleficio, sicch Emma si decise a portarla dal pediatra. Costui si mostr preoccupato. Disse che la bimba era ultrasensibile e che lo stato di deperimento generale era preoccupante. Che facciamo, dottore? chiese Matilde. Ridatele subito il cane! Speriamo che sia ancora possibile. Deve esserlo! L'uomo guard le due donne con cipiglio adirato, perch la sua ansia era sincera, e perch da sempre tra i due partiti, i grandi e i piccoli, aveva scelto i secondi, pi spontanei e naturali. Matilde ed Emma corsero a casa e telefonarono alla famiglia cui Wolf era stato regalato. E' scappato disse una voce di uomo. Scappato? Come possibile? Non so. Ma ha spezzato la catena ed scappato. Dio mio, e adesso? Se lo immaginarono impegnato in una fuga di estremo pericolo, occupato a menar strage in un pollaio, e preso a

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fucilate da qualche proprietario impaurito. Libero, senza catena, Wolf era esposto a ogni possibile scherzo del destino, e la sua vita era appesa a un fragile spago, che poteva spezzarsi in ogni momento. Da quelle parti v'era una doppietta in ogni abitazione, e i fanatici della caccia erano legione. In casa ci fu molta confusione, e chi sembrava aver conservato meglio il controllo era proprio Veronica, anche perch era convinta che Wolf stesse tornando a casa a tappe forzate, e fosse troppo intelligente per mettersi nei guai. Alle sei del pomeriggio, mentre stavano seguendo alla televisione un film carico di suspense, nell'attimo in cui un fascio di candelotti di dinamite faceva saltare un deposito d'armi, Veronica scatt in piedi e si mise a gridare: Wolf! Wolf? Come, Wolf? Dov'? Ma Veronica non rispose neppure, e si precipit in cortile facendo tre scalini alla volta. Spalanc il cancello di ferro, poi vol per strade e sentieri, e in ultimo imbocc quello che portava al fiume. Incontr Wolf prima di arrivare al Duss, lo abbracci gridando di gioia, come fosse stato suo padre, tornato dalle valli slave o dall'Aldil, dopo anni di attesa. Wolf, Wolf! Lupaccio! Lupo balordo! Lupo incosciente e senza cuore, dove sei stato? Cosa ti successo? Subito si mise a esaminarlo, e vide che era pressappoco nelle sue medesime condizioni, ossia smagrito, macilento e impataccato di fango. Una squallida coda di catenella, evidentemente troppo leggera in rapporto alla sua forza, pendeva ancora dal collare. Non che Wolf avesse sofferto la fame perch trascurato dai suoi padroni, la sua magrezza era soltanto l'effetto di una sofferenza interiore, esattamente come quella della bambina. Separati, sia Veronica che Wolf soffrivano, perch l'affetto reciproco era sterminato, e insieme formavano un'arcana unit. Wolf, fatti vedere. Cos'hai qui, nella zampa? Wolf non aveva proprio niente, ma Veronica volle esplorarlo ed esaminarlo in ogni centimetro, come fosse

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un veterinario scrupoloso, per accertarsi che lontano da lei non avesse riportato danneggiamenti di sorta. A casa prima di tutto gli fece un bagno in un vecchio semicupio di zinco, appartenuto a un bisnonno e conservato in soffitta. Lo asciug e lo spazzol, finch il pelo cortissimo torn pulito e brillante. L'appetito, che era volato via in entrambi, rientr subito in sede, e sia Wolf che Veronica tornarono presto alla forma migliore. Il sodalizio riprese anche pi affettuoso e completo di prima. Non v'era cibo prelibato che le donne preparassero per Veronica, di cui lei non attingesse qualche cucchiaiata per la ciotola di Wolf. Nell'antica casa dei Castenetto tutte le nuvole si dissiparono e la vita riprese il suo ritmo normale. Il sottofondo dell'esistenza torn a essere una specie di ronzio musicale in sordina, che era l'effetto di un accordo generale dei sentimenti di ognuno. Veronica studi il comportamento del cane e intu che esso, magnanimo com'era, aveva perdonato ai congiurati che l'avevano portato lontano, perch in fondo avevano agito a fin di bene. Wolf non era tipo da covare rancori e da tenere il muso alle signore, ma era chiaro che il suo vero superiore era Veronica, mentre Matilde ed Emma si limitava a tollerarle. La casa torn a essere piena di guizzi, strilli e uggiolii di gioia soddisfatta e senza ombre, e cos pure il cortile, le strade, le scalette e le viuzze a saliscendi di Monterosso. Veronica e Wolf erano due entit che tendevano a completarsi in tutti i modi possibili. Wolf appariva a ognuno sempre pi come compagno di giochi ma anche come guardia del corpo. Tutti a Monte- rosso sapevano che era pericoloso avvicinarsi a Veronica pi del dovuto e, se accadeva, un uggiolio arrotato e fremente cominciava a svilupparsi tra le mascelle del cane, senza promettere niente di buono. Per fortuna lei diceva a un certo punto gi a cuccia. Sta' buono, e lui si bloccava come una statua, finch un'altra parola di magico effetto non lo toglieva dalla sua rigidezza di pietra. Veronica teneva spesso i lunghissimi capelli sciolti sulle

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spalle, perch non aveva la pazienza di pettinarseli. Essi erano un territorio sul quale aveva giurisdizione soprattutto sua madre, che li curava con sinuosa compiacenza. Il crine di Veronica, rosso come il rame fuso, calamitava gli occhi della gente, quasi fosse un fiore esotico, o un pappagallo dal piumaggio esuberante. I capelli crepitavano sotto il pettine come fossero elettrici, e pi di una volta presero fuoco, con fiamme vere e proprie, che li lambivano e subito si spegnevano, alla maniera dei fuochi fatui nei cimiteri. Veronica rideva ma le donne di casa erano attraversate da oscuri spaventi, che nemmeno osavano confidarsi. Su quei fatti avvenuti tra le mura domestiche tacevano tenacemente, come si trattasse di difendere il buon nome e l'onore stesso della famiglia. Ma non era un segnale promettente. Di questo ci fu una clamorosa conferma. Alla fine di giugno, con il solstizio d'estate, l'atmosfera di Monterosso, ubriaca per l'eccesso di luce, perch il giorno durava troppe ore, reagiva con una serie di strepitosi temporali. Tuoni, fulmini e saette. Erano eventi rapidi, per fortuna, ma rumorosi fino all'angoscia perch i tuoni, nella valle del Duss, ricchissima di echi e di risonanze, rotolavano in aria con rumore di lastre spaccate, che si ripercuoteva su e gi per i varchi del cielo, in un fragore senza fine. Erano brevi finimondi. Matilde ed Emma si precipitavano a chiudere le molte imposte di casa, spaventate come colombe che hanno avvistato la poiana. A mezzogiorno faceva buio come alle otto di sera. Le montagne parevano goffi fantasmi, percorsi per ogni verso dai lampi. Sembrava di vedere ogni cosa ai raggi x, la vite del cortile, il tronco del glicine, la fronda larghissima dei gelsi e a volte persino le acque del Duss, che ruggivano nel fondovalle. A ogni fulmine le cose acquistavano una consistenza azzurrina, intensamente luminosa e labilissima, che subito si dissolveva nell'atmosfera. Le donne cacciavano un urlo, mentre Veronica rideva come una matta. Ma non aveva paura, quella scriteriata?

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Io no disse lei. Perch sei un'incosciente. probabile. Anch'ella correva su e gi per le scale, da una stanza all'altra, apriva e chiudeva porte e imposte, non per la paura ma per l'entusiasmo. Se ne stava sulle terrazze, con le braccia aperte e i capelli al vento, e rideva a ogni tuono e a ogni fulmine, come avesse con queste cose una lunga familiarit e un'oscura parentela, che veniva dalla radice stessa del suo essere, e forse anche da pi lontano, molto prima che lei nascesse. Matilde ed Emma la supplicavano di rientrare, e lei a volte lo faceva e a volte no. Un giorno Emma sent la casa scossa da un pandemonio rombante, pieno di lacerazioni sibilanti e strepitose; solo dopo molti secondi, quando riusc di nuovo a riannodare i pensieri, ripulendoli dallo choc, cominci a rendersi conto che un fulmine stavolta era entrato in casa per davvero, e aveva introdotto il soqquadro e la distruzione. I fili elettrici, tutti esterni, erano bruciati dal corto circuito, il quale continuava a sfrigolare con scintille vaganti, che avevano veloci intermittenze lungo i materiali isolanti. Bruciature e scalcinature annerivano i muri capricciosamente. In casa ristagnava odore di ozono e di gomma bruciata. Tutti salvi? Quasi. Matilde ed Emma avevano riportato soltanto danni di natura emotiva, perch avevano raggiunto il settimo livello della paura. Essa sal ancora quando videro la povera Veronica. Il fulmine le aveva strappato tutti i vestiti. Larghe zone dei capelli erano bruciate, e i sopraccigli avevano subito lo stesso destino, qua e l era nerastra, bruciacchiata come un pollo spennato e strinato rapidamente sul fuoco. Pareva un mostriciattolo uscito dal sottosuolo, superstite di qualche remoto cataclisma tellurico. Emma dovette sedersi sul sof per non cadere in deliquio. Matilde fu pi pratica, e cominci a esaminare il corpo della bambina per vedere di che natura fossero le ustioni. L'andava toccando nei posti pi anneriti, o comunque dall'apparenza pi disastrata.

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Ti fa male qui? Per niente disse Veronica ridendo. E qua sotto? Nemmeno. Ma se sei tutta bruciata! Ho freddo. Lascia che mi rivesta. La nonna prefer farle un buon bagno, con il quale fu possibile un esame accurato dello stato generale della bambina. Le parti veramente ustionate erano pochissime, anche se le striature arrossate e nerastre erano numerose. Dolori non ne aveva, soltanto un diffuso prurito. Ma come era possibile? La bambina era stata investita dal fulmine ed esso le aveva distrutto i vestiti, ma lasciandola sostanzialmente intatta. Un miracolo! Matilde ed Emma non lo dissero espressamente, ma tutta la loro mente era occupata da questo solo pensiero, cos gigantesco e ingombrante che non lasciava spazio a nessun altro. La Madonna un'altra volta l'aveva presa sotto un lembo del suo mantello, come quando era caduta nel Duss in piena, ma con molta pi evidenza di allora. Il fulmine, che nei prati attorno al rifugio Edelweiss aveva ucciso una volta diciassette mucche al pascolo, saltando da un campanaccio all'altro, e aveva spaccato in due tronchi centenari di faggi e di abeti, s'era scaricato sulla piccola Veronica lasciandola praticamente illesa. La potenza elettrica le era scivolata sulla pelle, senza riuscire a penetrarla. Si erano gi sentiti casi come questo, ma le due donne credevano ugualmente al prodigio. Emma aveva tale paura dei fulmini che si meravigliava di essere ancora viva, dopo averne avuto uno in casa... Veronica non aveva ustioni gravi, per forse lo choc era stato devastante. Forse era rimasta inebetita, aveva perduto la memoria, o aveva riportato qualche danno invisibile agli occhi. Le due donne continuarono a starle addosso e a farle controlli di ogni tipo. La bambina era assolutamente normale, solo un tantino pi vivace e su di giri. Parlava in

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continuazione perch si sentiva la protagonista di un'incredibile avventura. Emma non pot non pensare che Veronica fosse una bambina specialissima, contro cui gli elementi non potevano niente, n l'acqua, n il fuoco, n le scariche elettriche. Si sarebbe potuta ridurre in un muc- chietto di cenere, come l'antica strega di Monterosso, e invece il fuoco l'aveva risparmiata. Aveva su di s un timbro magico che la rendeva indistruttibile. I capelli rossi erano sollevati come avessero raddoppiato il loro volume. Le bruciature, anzich togliere, avevano aggiunto qualcosa alla bambina elettrica e invulnerabile. Creavano attorno a lei un'atmosfera che evidenziava un segreto rimasto finora nascosto. Sia Emma che Matilde la fiutavano di continuo, e anche giorni dopo l'evento Veronica seguitava a emanare odore di bruciato. Forse era soltanto un'impressione e un inganno dei sensi. Era possibile che certe persone diffondessero odore di fumo come certi santi emanavano profumo di viole e di gelsomini? Secondo Emma tutto era possibile, in questo mondo dominato dal mistero. Dei vestiti non fu trovata nemmeno la cenere del loro incendio. Il fulmine li aveva disintegrati. Tutti a Monte- rosso riseppero la vicenda, che fu raccontata nelle duemilasettantatr famiglie con qualche lieve variazione. Presto il fatto entr anch'esso nella mitologia della citt. Emma era piena di vaghe inquietudini, che nuotavano e borbottavano sotto l'orgoglio che provava per Veronica. Di notte entrava silenziosamente nella cameretta della figlia e si fermava un momento a guardarla. La bambina dormiva tranquilla, i capelli sparsi sul cuscino, le mani bianche e lentigginose sopra la coperta azzurra, il respiro regolarissimo e ronzante come il volo di un'ape. Pareva un angelo, ma aveva anche qualcosa di forestiero, di estraneo e di remoto. Pareva non fosse uscita dalle sue viscere, sia pure con un parto singolare e intervallato dalla remora rarissima dei nascimenti, ma fosse stata portata in casa Castenetto da un vento lontano.

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Guardando la figlia dormire, una notte Emma ebbe all'improvviso un'illuminazione. Osvaldo non era caduto nel burrone per una disgrazia, ma si era buttato di proposito, perch non sopportava di essere il violatore di un antico tab amerindio e sciamanico. S, era cos. L'aveva lasciata sola a risolvere il complicato problema di Veronica. Lei sarebbe stata all'altezza? Avrebbe saputo allevare una figlia di quella specie? Fu come se Veronica avesse sentito che la madre avvertiva in modi eccessivi la responsabilit di occuparsi di lei, perch cominci a diminuirla con i suoi disinvolti comportamenti. Aveva ormai l'et in cui i bambini organizzano piccole avventure assieme ai loro amici. Stava spesso in compagnia di Norberto, Rebecca ed Egidio. Cominciarono a rubacchiare la frutta nelle campagne e nei cortili, o a esplorare luoghi mai visti, difesi da aloni di pericolosit e intangibilit. Si studiavano di fare cose che richiedevano abilit, fughe, nascondimenti, sotterfugi e menzogne. Era bello fare delle cose insieme. Nella piccola banda c'erano due bambine e due ragazzi, e questo costituiva un equilibrio armonico perch, essendo diversi per natura, si completavano, come la testa e il cappello, o il piede e la calza. Il gruppo trov un luogo ideale per le sue imprese nella casa vuota di Fabrizio Mattioni, il famoso regista. La madre di Fabrizio era morta da poco e la casa era rimasta deserta. Chi custodiva la chiave era una zia di Rebecca, la moglie del giostraio e venditore ambulante; ma la bambina, furba come il diavolo, prese l'impronta di essa nella cera molle, come aveva visto fare in un film, e ne fece fondere una copia dal fabbro di Monterosso, ovviamente dicendogli che si trattava di quella di casa sua. Era la chiave della porta che dava sul retro. La casa aveva tre archi sul davanti, le finestre bordate di pietra piasentina e l'intonaco dipinto di rosso. I bambini scivolavano nel cortile, silenziosi come faine. Avevano l'arte di passare inosservati. Entravano in casa lasciando tutte le imposte chiuse, e richiudendo alle proprie spalle anche la porta. I fili della luce erano stati tagliati dal

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la societ elettrica, perch nessuno aveva rinnovato il contratto, ma i ragazzi si servivano di fanali a petrolio trovati nelle soffitte, e anzi quel modo arcaico di illuminazione aumentava la loro allegria e la suggestione dell'ambiente. La casa era grande, con muri maestri di enorme spessore, e quindi molto fresca anche d'estate. Era piena di spifferi che venivano da fessure invisibili, di odori stagnanti, di muffe e di polvere. La calura estiva provocava nelle vecchie cas- sepanche e nei mobili antichi, a volte, rumori secchi e improvvisi come colpi di pistola. In soffitta facevano il nido gufi e civette. Sul granaio v'erano le cose di maggior interesse, trappole per lupi e volpi, grandi seghe per tronchi, ramponi per salire sugli alberi o i pali del telefono, cavi e cavetti di teleferica, antichi libri con la copertina di pergamena tutta ondulata, con pagine incollate da galle d'insetti. Ogni cosa insolita riempiva di entusiasmo i ragazzi, sicch cercavano di capire di che si trattasse e la facevano funzionare, con divertimento e grandi risa soffocate. In paese nessuno aveva il minimo sentore della loro invisibile attivit. Finita la ricognizione della soffitta, cominci quella di stanze, tinelli e camere da letto. Avevano il senso di un'intimit violata, ma si lasciavano trascinare da Rebecca che, per via della lontanissima parentela con Fabrizio Mattioni, e soprattutto per l'istintiva sfrontatezza, manometteva tranquillamente armadi, cassettoni e comodini. Essi rigurgitavano di oggetti e di vestiti, appartenuti soprattutto alla madre. Rebecca e Veronica indossavano quegli abiti che ballavano loro addosso. Rebecca trov un mantello nero e lo gherm con allegra compiacenza. Lo indossava come facesse parte della sua persona, e quando scendeva le scale, o saltava da un letto all'altro, i lembi volavano come ali di pipistrello. Spesso stava addosso a Norberto o nelle sue immediate vicinanze, e amava rivolgersi a lui per essere aiutata. Tiriamo gi quel vaso! E se lo rompiamo?

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Perch dovremmo romperlo? E poi, che ce ne importa? Noi non siamo mai stati qua dentro, e non siamo colpa di nulla. Norberto finiva sempre per obbedirle. Non sapeva prendere decisioni indipendenti. Si trovava bene in quella compagnia, perch l era considerato, mentre a scuola i compagni parevano non accorgersi nemmeno di lui. I suoi gesti non erano mai vistosi, perch era trattenuto da una fortissima misura interiore, e soprattutto perch detestava essere al centro dell'attenzione. Conservava la coscienza che la casa non era sua, e che lui era un intruso e un lestofante. Eppure seguiva le ragazzine, trascinato da un'attrattiva irresistibile. Rebecca sapeva sempre di sudore, e i suoi capelli neris- simi erano oleosi, imbrattati di polvere e di tele di ragno. La sua pelle era scurissima, e le labbra cariche dei rossetti che aveva trovato nei cassetti della signora Mattioni. Si metteva addosso anche tutta la bigiotteria che le capitava sottomano, orecchini, collane, braccialetti di avorio o di giada. Quando stavano per abbandonare il campo, sempre silenziosi come ombre, Veronica le diceva: Togliti quella roba di dosso, prima di uscire. Ma certo. Non sono mica una ladra. Per hai poca memoria. Uh! Non darti tante arie! Veronica non era da meno nell'indossare i vestiti trovati negli armadi, e cos le ragazzine si spogliavano e si rivestivano in continuazione, come se fossero a una sfilata di moda in un grande albergo. Tutto ci era piacevole e possedeva un miele nascosto che aveva radici nell'inconscio. Indossavano abiti scollati, che odoravano di muffa e di naftalina, conservati invano per trenta o quarant'anni dalla povera signora. Cos camuffate Veronica e Rebecca non mostravano pi i loro anni, ma sembravano donnine in et da marito. A tratti erano come esilarate. Lanciavano urletti e risate, afferrate da un estro bizzarro che le faceva correre su e gi per le scale, come invasate, scivolare a ca

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valcioni delle ringhiere, o gettarsi in balli dell'epoca dei vestiti che indossavano, il charleston o il tango argentino. Le sottane volavano, i maschi ridevano e guardavano con grande interesse. Anche loro stavano crescendo, e il trovarsi in luogo chiuso, accanto a ragazzine scatenate, metteva loro addosso un pizzicore esplosivo.

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Il Weltschmerz Spesso si divertivano ad accendere il fuoco nella cucina economica. Arrostivano pannocchie ancora verdastre, lumache, ranocchi, ossia cibi che non s'erano mai visti in casa di Norberto, di Veronica e di Egidio, ma notissimi invece in quella di Rebecca, dove c'erano molte bocche e pochissimo denaro. Portavano da casa, in modi furtivi, marmellate, pani di burro, boccette di olio, maionese, e allestivano vere e proprie abbuffate, ridendo fino a tossire. Ogni tanto, come obbedendo allo slancio finale di un ballo, si scoccavano un bacio sonoro sulle guance. I pi audaci erano sempre Rebecca ed Egidio, mentre Veronica era trattenuta al di qua di un certo limite da una siepe invisibile. Rebecca inventava nuovi giochi, che comportavano anche l'appartarsi nelle stanze pi periferiche. Veronica e Norberto non raccoglievano le proposte, e fingevano di non aver sentito. Ogni tanto Veronica si chiedeva: "Ma cosa sto facendo? Dove voglio arrivare?". Capiva che, sotto sotto, nella mente degli altri c'era il gioco delle mogli e dei mariti, e l'istinto le diceva che era una cosa grandemente invitante e fascinosa, ma non adatta alla loro et. Era una strada mai percorsa, e tuttavia in qualche modo gi nota, come se l'avesse attraversata in sogno chiss quando. Passarono tutta l'estate a giocare nella casa di Fabrizio Mattioni. I loro familiari li credevano da tuttaltra parte. Emma riteneva che Veronica fosse in casa di Norberto, e

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la zia Doralice che il nipote stesse da Egidio e Rebecca, e cos via. Adesso nella casa avevano trovato un nuovo filone da seguire, ossia esplorare le tracce di Fabrizio. Veronica aveva messo le mani sopra un fascio di lettere del regista alla madre, spedite nel corso di trent'anni. Erano centinaia, e altrettante erano le cartoline illustrate e le fotografie. In esse Fabrizio sembrava un uomo di alta statura, bruno, con una folta capigliatura da artista. Dalle ultime lettere scoprirono che non stava pi in California, nella citt del cinema, ma a Nuova Orleans, e molte cartoline rappresentavano la parte antica, le vie, i vicoli, le cantine, i caff, i teatri, le bettole, gli alberghi di quella citt. Fabrizio spesso era fotografato accanto a una mulatta, dal corpo bellissimo e dalle lunghe sottane colorate di rosso o di viola. Questa di sicuro sua moglie disse Veronica. Oppure la sua amante aggiunse Rebecca. Appare in molte fotografie. Che donna stupenda! disse Egidio estasiato, osservando le braccia e la scollatura. Guardando per la decima volta le fotografie, seduti sul pavimento o sui materassi dei letti sfatti, si sentivano attirati da quella citt mai vista, dove l'aria in eterno risuonava delle note del jazz e luccicava di trombe e di sassofoni. Pareva una citt dal perenne carnevale, come Rio de Janeiro. Veronica prese un fascio di cartoline e fotografie per esaminarle tranquillamente, allargandole sul materasso di un letto. Egidio la segu. Le foto coloratissime coprivano tutti gli spazi lasciati liberi dai corpi. Solo ogni tanto i due ragazzi si guardavano tra loro o si scambiavano qualche frase. Veronica era frastornata, ma anche percorsa da un vento frizzante. Egidio era attraversato da un'euforia virile, e quasi si gett su Veronica, baciandole il viso con una sorta di furia. Veronica ebbe l'impressione che avesse intuito quello che passava anche dentro di lei, lo abbracci e cominci a ricambiare i baci in modi ingenui e lievemente affannosi. Le parve all'improvviso che non ci fossero pi

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confini nel gioco e che non fosse pi veramente padrona di s. Ma dopo qualche secondo di abbandono si riprese. No no. Smettiamola disse al ragazzo. Perch sciocca? Non dirmi che non ti piace. S, mi piace. Per non si fa. Nessuno lo sapr. Non si fa e basta. Siamo ancora dei bambini. Non ancora il nostro tempo. Veronica ebbe uno scatto, si liber con un'energia incredibile che dormiva dentro di lei, di cui non era neppure consapevole. Di fronte a tanta determinazione Egidio ridusse di molto le sue pretese. Ma Veronica scosse la testa. No, niente. No e basta. Lei era assolutamente padrona e regina di se stessa, e faceva solo quello che aveva deciso. Egidio non os replicare. Rebecca e Norberto furono presto soggiogati dall'imperiosit di Veronica. La casa cess di colpo di appartenere a Fabrizio Mattioni, lontano e irraggiungibile, e divent quella di Veronica. Via, via di qua, ragazzi. Questo gioco finito! disse. Perch? cos divertente! Non ci torneremo pi, qui dentro. Se no ci scopriranno. E poi saranno scenate a non finire. Cos si misero al lavoro, sospinti dal vento della fuga, facendo miracoli di velocit e di memoria per ricollocare tutte le cose in un ordine perfetto, lo stesso che c'era prima della loro invasione. Svuotarono la cassetta della cenere nella cucina economica, riassettarono i cassetti, scoparono i pavimenti. I materassi furono arrotolati di nuovo, le coperte ricollocate negli armadi, accuratamente piegate. Veronica aveva fiutato che i grandi nutrivano ormai un forte sospetto di ci che avveniva in casa di Fabrizio, stavano in allarme e preparavano l'irruzione. Subito si svilupp in lei ima strategia antagonista, che obbediva al suo gusto della teatralit e del piano ben congegnato. Un giorno disse alla nonna: Vado da Norberto. Bene. Non tornare troppo tardi.

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D'accordo. And infatti dai Cassinberg e si port dietro Norberto in casa di Egidio. A questo punto cominciarono a incrociarsi tra i genitori molte telefonate, cos calde e ansiose che i fili sembrarono arroventarsi. In fretta si organizz una spedizione, guidata dal padre di Norberto, per sorprendere i ragazzi e dar loro una strigliata. Ma nella casa di Fabrizio tutto era in ordine perfetto. Ognuno dei grandi era convinto che i ragazzi fossero stati l, e pareva di sentirne ancora l'odore e di vedere i segni delle loro scarpette da ginnastica. Ma non c'era nessuna prova, la trappola non era scattata, o si era rivoltata contro di loro. I ragazzi dov'erano, dunque? In montagna. Di colpo la casa di Fabrizio era invecchiata nei loro cuori. Non aveva pi alcuna attrattiva, nemmeno la pi modesta, perch il miraggio eterno della loro giovanissima et si era spostato sui monti. Lass erano diretti, con scarponi e giacche a vento. Appena fuori del paese raggiunsero il bosco, provocando fughe di scoiattoli, lepri e pernici di monte. Ogni volta che scorgeva un animale, Veronica rideva per una fresca letizia istintiva. Le sembrava di essere tornata nel suo regno perduto, abbandonato per ragioni sconosciute prima di nascere, per una misteriosa congiura di palazzo. I ragazzi trovarono una radura nel bosco, circondata da abeti rossi dal fusto diritto e pulito, altissimi perch cercavano di superarsi nella ricerca della luce. L'erba era pressoch inesistente e il terreno era molle per gli aghi di pino e l'humus di felci. L'occhio infallibile di Rebecca scopr una plaga sparsa di funghi giallini. Sono galletti disse allegra. Ce n' anche di porcini fece eco Norberto. Cominciarono a raccoglierli. I funghi formavano quasi un cerchio, come quelli che si vedevano nei film di cartoni animati. Presto arrivarono ai ghiaioni, e in cima a essi, in seguito a un rotolio di sassi, videro un branco di caprioli in fuga. Veronica fu sfiorata dal pensiero che fossero ani

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me di montanari morti lass, o strane incarnazioni di spiriti della montagna. Ai piedi dei ghiaioni v'erano enormi massi precipitati, perch le rocce progressivamente si sfaldavano e ruzzolavano ai piedi di se stesse. Perch? Quali forze agivano in questa direzione? Veronica non sapeva. Il mito diffuso da sempre era che l sotto ci fosse un orco prigioniero, addormentato, che ogni tanto si svegliava e cominciava a scuotere gli strati e le rocce. Lei sapeva che non esisteva nessun orco, e tuttavia non aveva eliminato completamente quel personaggio dai suoi ambiti mentali. I miti lasciavano in lei come un'ombra, un fantasma, che li faceva sopravvivere alla loro morte. Nelle vicinanze c'era una vecchia miniera, da cui per secoli gli uomini avevano ricavato pirite, zinco e rame. Le estrazioni erano cominciate pi di due millenni prima, all'epoca dei celti, poi erano venuti i romani e molti altri popoli, si erano stratificati gli uni sopra gli altri, sempre da conquistatori e, come tali, mai vi avevano lavorato, ma avevano costretto le popolazioni locali a farlo. Lei immaginava che la miniera, abbandonata perch ormai poco redditizia, non lo fosse del tutto, e che l dentro lavorassero, invisibili, minatori del bosco e della montagna, elfi, gnomi, i nani di Biancaneve. Si recavano al lavoro cantando, nel buio, vedevano luccicare i cristalli di pirite e di rame, e quando uscivano le agne lavavano i loro panni e preparavano il pane nel forno rosseggiante di braci. Andiamo alla miniera? propose Veronica. Non sai neanche dov' disse Egidio beffardo. Lo so benissimo. Se volete vi ci porto. Scommetto che non sai trovarla. Accettato. Ma era destino che non ci arrivassero perch nel frattempo accaddero altre cose. I piani dei ragazzi possono subire repentine modificazioni dovute alla loro mutevolezza. Videro altri cerbiatti, che fuggivano lungo i ghiaioni, e poi, mentre stavano in ascolto, Veronica credette di

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sentire un belato di dolore. Cercarono un bel po', finch si accorsero che esso veniva da un profondo crepaccio tra le rocce. Laggi c'era un capriolo. Non riusciva a sollevarsi in piedi perch s'era spezzato due zampe. Il belato era carico d'invocazione straziante e riempiva di s tutto il vuoto del burrone. Forse si diffondeva anche ad altri spazi vicini perch qui tutto era risonante, come lungo la valle del fiume. Forse possibile scendere e salvarlo disse Veronica. No. Saranno trenta metri di profondit fece Egidio. Ci vorrebbe una corda molto pi lunga della nostra aggiunse Norberto. Veronica e Norberto studiarono a lungo le rocce del burrone, per vedere se fosse possibile calarsi. Non lo era. Solo uno scalatore provetto e spericolato poteva pensare di farcela. Quando si arresero, e capirono che il capriolo era perduto, si sentirono stringere il cuore. Avere almeno un fucile per ucciderlo, e non sentire pi il suo belato di morte! Egidio propose di gettare delle pietre, per finirlo in quel modo, ma Veronica scosse il capo con orrore, come le avessero proposto di lapidare un cristiano. Fu scossa da un brivido. Nessuna salvezza era possibile. Propose di tornare indietro, ma subito, perch il dolore del capriolo aveva distrutto in lei ogni desiderio di proseguire. Il lamento dell'animale si mescol nel suo ricordo a quello di una volpe presa da una tagliola di ferro, che lei aveva liberato qualche mese prima. Era una trappola robustissima, che solo un uomo sarebbe riuscito a tendere. Eppure lei, una bambina, ce l'aveva fatta. In quel momento un'energia incredibile si era sviluppata nelle sue braccia, non sapeva come. Spesso era capace di imprese inaudite. La volpe, l'animale inafferrabile, incredibilmente furbo, che nessuno riusciva a sorprendere, preso nella trappola le era parso vulnerabile e indifeso, un povero essere che poteva soltanto suscitare compassione. Liberata, la volpe non era potuta fuggire perch aveva una zampa rotta. Veronica l'aveva carezzata per un po', poi aveva

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pianto. V'era un rimedio possibile? Forse. In tasca aveva un lungo pezzo di spago. Leg due stecchi alla zampa, con infinita pazienza, e nel frattempo sentiva che la volpe non aveva paura di lei. Adesso l'animale poteva di nuovo camminare, con molta cautela, ma intanto continuava a lamentarsi. Il suo gemito era simile a quello del capriolo morente. Veronica Si rese conto che esisteva il dolore di uomini e animali, e su di esso, per la prima volta, concentrava tutta la sua attenzione. Era il dolore del mondo, spesso nascosto e segreto, che ora esalava da quel belato. Ne parl ai compagni, ma Rebecca ed Egidio non riuscivano a intendere bene il suo concetto, n perch il lamento di un capriolo suscitasse tanto turbamento. Chi rimase impressionato fu invece Norberto. il Weltschmerz mormor. Cosa vuol dire? chiese Veronica. Il "dolore del mondo". I tedeschi lo chiamano cos... Tu sai il tedesco? Tutti lo sanno a casa mia. Lo parlo fin da bambino. Decisero d'interrompere la gita e di ritornare, bloccati dal lamento dell'animale, che per Veronica era come quello di una creatura umana. Lungo il ritorno fu attraversata da fruscianti impressioni di sentirsi tuttuno col bosco e di esservi gi stata, prima di nascere, con i capelli sciolti, i vestiti svolazzanti, proprio l, nella radura con il cerchio dei funghi. Era come uno strano formicolio dello spirito. L si era sfrenata in danze scatenate e in risate, con le sue compagne di Monterosso, in tempi lontanissimi. Le voci sue e delle sue amiche, simili a lei, erano ancora impigliate tra i rami degli abeti e dei faggi dalle foglie rossastre dell'autunno, come tele di ragno o globi di nebbia. Forse vi era arrivata in volo, come avesse le ali di una civetta. Non era lontanissima dal crederlo, perch con l'aria lei aveva un rapporto privilegiato. In certi momenti aveva la sensazione di perdere il suo peso terrestre e di essersi liberata del tutto della legge di gravit.

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Cominci ad andare spesso in montagna, sola o con i suoi amici. Le donne di casa diffidavano di quei luoghi, che immaginavano pieni di pericoli, mentre lei non aveva paura di niente. Matilde la definiva "intrepida", Emma invece preferiva chiamarla "incosciente". Per la montagna Veronica aveva una simpatia istintiva, come se soltanto cose liete potessero accaderle lass. Le montagne le piaceva guardarle anche da casa sua, per i colori che assumevano nelle diverse ore del giorno. Sapeva che le loro valli erano state abitate dai celti, che per primi avevano sfruttato la miniera. Com'erano questi celti? In realt su di loro si sapeva pochissimo, perch esistevano scarsi ritrovamenti archeologici. Perci essi anche per gli storici specializzati erano un popolo quasi sconosciuto. Su questo punto Matilde aveva opinioni molto ferme. Era un'appassionata di storia locale, e anzi con essa riusciva a evadere dall'aridit del suo lavoro. Sui romani e la loro civilt si trovavano in continuazione reperti di ogni tipo e di ogni natura, capitelli, spezzoni di colonne, anfore, vasetti di vetro, ciotole di terracotta, pettini d'osso, bacinelle di rame o di piombo, ancore, chiodi, chiavarde, e i musei non sapevano pi dove metterli. La gente ricca ne aveva nelle proprie ville, nei parchi, negli atri di casa. Gli specialisti fingevano di scandalizzarsene, ma in realt ne erano soddisfatti, perch la cosa, almeno in parte, serviva a risolvere un problema. Gli archeologi fingevano di non vederli e si convincevano che fossero pietre senza valore, e secondo Matilde era un modo di reagire inconscio da parte della popolazione, che sentiva i romani come dominatori, mentre il suo desiderio era di appartenere ai celti e di discendere soltanto da loro. In montagna l'istinto di Veronica era quello di parlare sottovoce alle rocce e ai ghiaioni, come parlava agli animali, e soprattutto a Wolf, che la seguiva e capiva ogni suo gesto. Lei era sempre piena di voglia di comunicare con tutto, compresi gli oggetti inanimati. Il suo istinto le

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diceva che non esistevano cose senz'anima, perch ogni cosa in qualche modo attingeva dall'immenso pozzo della vita e dell'energia, e tutto era percorso dai flussi delle forze cosmiche. Adesso Veronica voleva a ogni costo stare il pi lontano possibile dai maschi. Se pensava che era stata l l per entrare nel gioco delle mogli e dei mariti con Egidio, si sentiva il sudore freddo. Non voleva saperne di trovarsi in luogo stretto e chiuso con ragazzi, pensando a quello che poteva succedere. Di fronte a quell'idea e a quella possibilit si impuntava come un cavallo ombroso. Una mattina, prima di andare a scuola, s'era sentita improvvisamente inquieta, confusa, inumidita. Aveva capito d'essere diventata donna, e aveva inteso che da quel momento doveva difendere se stessa come fosse una fortezza. Ora infatti poteva diventare madre, ossia entrare nella zona pi segreta e prodigiosa della vita. Per lei era quasi vertiginoso il pensiero d'essere portatrice e veicolo della vita. Se la sua riflessione andava a finire da quelle parti, subito doveva allontanarsi e rivolgersi ad altri pensieri, perch essa era troppo carica di sentimenti emozionanti. Forse le era accettabile l'idea di diventare madre, perch i bambini l'attiravano, anzi l'entusiasmavano, ma senza essere toccata da un uomo. Questi pensieri spalancarono subito in lei un torrente di sensazioni da cui non sapeva difendersi. La cosa migliore era cercare di evitarle. Sentiva per istinto di dover difendere in modi fortissimi la sua femminilit. Nel suo pensiero la verginit si collegava con la neve, il ghiaccio e la montagna, e poi anche con la piccola cattedrale gotica di Monterosso, dedicata alla Madonna della Neve. V'era uno solo da cui si lasciava avvicinare, ossia Norberto. Dalla casa di Norberto era attratta, non per via del ragazzo, ma piuttosto di Lanfranco, perch corrispondeva all'idea che lei possedeva sulla figura del padre, che le mancava moltissimo. Il fantasma di Osvaldo, conosciuto attraverso i discorsi delle donne di casa, non le bastava

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pi. Aveva bisogno di un padre vero, in carne e ossa, che si potesse vedere e sentire, che mangiasse, dormisse e vestisse panni, come il padre di Norberto. Lanfranco era un uomo di grande statura, con i capelli chiari, molto stempiato, che fumava sigari profumati e leggeva tanti libri. Aveva l'apparenza di un intellettuale, e invece era un meccanico e un inventore. Aveva un portamento intessuto di gesti larghi e sicuri. Pareva non avesse mai fretta, n si preoccupasse mai di niente, come se tutto ci che accadeva accanto a lui fosse qualcosa di abituale e di previsto, che entrava tranquillamente nel suo ordine mentale, e potesse facilmente essere domato e controllato. Norberto, che aveva due anni pi di Veronica, girava attorno al padre come la terra fa con il sole, prendendo luce e calore da lui. Era un po' soggiogato anche dal casato nobiliare. I Cassinberg erano stati i signori del luogo per secoli, nei tempi lontani del Patriarcato. Tuttavia la famiglia era rapidamente precipitata, all'epoca dell'abolizione del maggiorascato. La terra era stata divisa e suddivisa tra tutti i figli, nel giro di due generazioni il patrimonio si era dissolto e i Cassinberg erano sdrucciolati nella miseria. Per mezzo secolo erano vissuti come sonnambuli svegliati durante i loro vagabondaggi notturni. Non riuscivano pi a capire i nuovi tempi e la societ moderna, dove uno contava per quello che sapeva fare e non per il nome che portava. C'erano voluti molti decenni per rendersi conto che l'epoca della nobilt era finita.

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VI Il ghiacciaio Nessuno aveva insegnato ai Cassinberg una professione o li aveva iscritti all'universit. I giovani della famiglia sapevano soltanto andare a caccia, ballare la quadriglia e la polca, fare la corte alle signore e brillare nelle feste. Qualcuno s'era salvato con un buon matrimonio, ma gli altri s'erano ritrovati nell'indigenza pi nera, e andavano a sparare nei boschi di Monterosso non per divertimento, come i loro antenati, ma per poter far bollire la pentola sul fuoco. Non avevano ancora capito fino in fondo che i contadini avevano smesso di mantenerli, e che ormai dovevano pensarci da soli. Un Cassinberg dell'Ottocento aveva creduto di risolvere i suoi problemi sposando la figlia di un ricco notaio. Ma la moglie, irritata dalla sua inettitudine, fugg con i due figli, e l'uomo divent una sorta di pitocco che viveva di elemosine. Era il nonno di Lanfranco. Lanfranco, da ragazzo, poich il padre non aveva risorse per farlo studiare, aveva cominciato prestissimo a occuparsi di motori, ed era diventato un meccanico di grande abilit. La maggiore officina per auto di Monterosso era la sua. Aveva intuito che le automobili avrebbero avuto un grande avvenire, e dei motori sapeva tutto. Non era soltanto in grado di smontarli, aggiustarli e rimetterli in sesto, ma ne aveva una conoscenza profonda, intuitiva; li capiva e diagnosticava i loro mali dal rumore, e perci si era messo a trafficare attorno a ssi in modi creativi. Aveva fi-

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nito per inventare una piccola scatola che, mediante impulsi elettronici, agendo sulle molecole del carburante, migliorava grandemente la sua combustione. I motori cui veniva applicato il congegno avevano una rendita superiore agli altri, ed emettevano gas velenosi in quantit molto inferiore. Lanfranco brevett l'invenzione, ma con scarsa fortuna. Le grandi fabbriche non volevano nemmeno sentirne parlare, e allontanavano l'inventore come un ciarlatano o un giocatore di bussolotti. Lanfranco non si scoraggi, e continu a proporre la scatola prodigiosa a un'infinit di imprenditori. Essa fu applicata agli autobus di Citt del Messico, ai tass di Singapore e al parco automobili di tutti gli sceicchi del Golfo. Lanfranco avvi molte altre trattative, anche nel nord dell'Europa, e si aspettava che le cose migliorassero. Per ora il rendimento del suo brevetto costituiva una parte minima delle sue entrate. Un po' meno ottimista era invece Lanfranco per il destino del figlio. Temeva infatti che con Norberto riaffiorasse nella famiglia Cassinberg la generazione ottocentesca dei balordi, che avanzavano nel mondo a tentoni, a occhi chiusi, possedendo soltanto buone maniere, ma non avendo alcuna attitudine a guadagnarsi la vita; di quelli che apprezzavano un'opera di Rossini, ma ritenevano che la Borsa fosse un ritrovo di scalmanati, che gridavano cifre, tracciavano segni nevrotici con le dita e facevano segnalazioni da lontano perch mancavano di un venerd. A scuola Norberto veniva sempre promosso per il rotto della cuffia. Ai professori pareva distratto e assente come un marziano. Esporre qualcosa di fronte a tanti compagni era per lui una fatica che provocava tensioni sovrumane. Quando veniva chiamato alla lavagna, i suoi occhi erano pieni di ansia, come quelli di un animale stanato. Gi nel banco, confuso tra gli altri, si sentiva a disagio, perch per lui il luogo ideale, protettivo e sicuro, era in realt soltanto il castello dei Cassinberg, per quanto scalcinato e cadente. Uscire da l, per recarsi in luoghi pubblici, era una pena.

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Se la sarebbe cavata, Norberto, nella vita? Lanfranco aveva i suoi dubbi, perci lo portava con s un po' dappertutto, e specialmente nella sua officina. Durante le vacanze, mentre lui lavorava, gli mostrava e nominava tutti i pezzi del motore, dicendogli a cosa servivano. Norberto lo guardava silenzioso, con i suoi occhi dal disegno vagamente orientale, carichi di misteriosa e costante meraviglia. Il motore importante, oggi gli diceva Lanfranco. Certo. Tutto funziona a motore. Ma tu non ne sembri convinto. Non vero. Ti sbagli, pap. Lanfranco scuoteva la testa. Il padre pi volte chiese a Norberto se, invece di andare a scuola, volesse lavorare con lui. Norberto scosse il capo. No, l'officina non lo attirava per niente, n le automobili, n in genere la velocit. Egli era, per cos dire, ancora cittadino di un mondo dove ci si spostava in carrozza e a cavallo. Lanfranco per non si arrendeva. Un giorno fu chiamato da un cliente e lasci Norberto solo nel capannone. Al suo ritorno lo attendeva una sorpresa incredibile, il motore, il famoso motore delle prove, che veniva periodicamente smontato e rimontato a fini didattici, era stato ricostruito da Norberto in meno di due ore. Qualcuno ti ha aiutato? chiese il padre stupito. No. E come hai fatto? Non era difficile". Me l'hai fatto vedere tante volte... Pareva proprio impossibile che Norberto avesse fatto tutto da solo, ma Lanfranco, pensandoci, non pot dubitarne, perch suo figlio non mentiva mal, neppure per salvarsi, e anche questo lo preoccupava parecchio perch le bugie, almeno quelle veniali e di formato ridotto, erano indispensabili per difendersi un poco nel groviglio del mondo, pieno di trappole e di raggiri. Il padre prov il motore, che funzionava perfettamente, e non seppe cosa

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pensare. Quel gesto del figlio non lo convinceva, aveva qualcosa di freddo e di strano, come la memoria incredibile di certi individui, che conoscono tutte le date, senza tuttavia possedere alcuna particolare inclinazione per la storia, e non la utilizzano a scopi concreti. Per Norberto la meccanica continuava a essere una cosa astratta e lontana. Erano altre le cose che lo interessavano, per esempio le memorie di famiglia, i diari inediti, scritti dai Cassinberg nel corso dei secoli, e soprattutto nell'Ottocento, o l'albero genealogico della famiglia che aveva dipinto sulla parete di uno stanzone vuoto del castello. Visto che in montagna andava volentieri, riprese a salirci assieme a Veronica. Una volta Norberto, Lanfranco e la ragazza si diressero al ghiacciaio del Giogo di Mezzanotte. Non era molto grande, anzi decisamente piccolo, per sembrava essere piuttosto antico, anche se adesso si stava lentamente riducendo, e la cosa pareva riguardare tutti i ghiacciai delle Alpi, dell'Europa, e del mondo intero, perch la temperatura della terra si andava riscaldando. Soprattutto Veronica voleva raggiungere il ghiacciaio a ogni costo, quasi che un sentimento profondo e irrinunciabile la chiamasse da quella parte. Era tutta eccitata. Ma che diavolo aveva? Die Begeisterung disse Lanfranco. L'entusiasmo tradusse Norberto. Dobbiamo arrivarci a ogni costo fece la ragazza. Non us altre parole, ma avrebbe potuto farlo tranquillamente perch era come se una voce l'invitasse in quel luogo. Da anni e in modi sempre pi chiari, Veronica a volte sentiva richiami fortissimi, che le impedivano di fare o di non fare certe cose, spesso le pi singolari. Lei, dentro di s, le chiamava "le voci", ma non erano proprio tali, n si articolavano in parole precise. Non avevano realt fuori di lei e non venivano percepite dai timpani delle sue orecchie. Erano chiamate interiori, cui lei stessa dava sostanza, ripetendole in s con le parole del linguaggio quotidiano.

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Adesso la "voce" attirava in modi impetuosi Vernica verso il ghiaccio, e a lei pareva di camminare troppo lentamente, perch lass era come aspettata da qualcuno o da qualcosa. Quale entit la spingeva? Uno spirito? Per esempio quello di suo padre, che lei sentiva sempre attorno a s, custode delle sue giornate e dei suoi comportamenti? Chi poteva saperlo? Arrivarono al punto in cui il ghiacciaio cominciava a sciogliersi, generando un ruscello di acqua freddissima. L'ansia di Veronica si era placata. In seguito la ragazza sul ghiacciaio ci torn spesso, con Norberto. Di queste gite alla gente interessava soprattutto una cosa, ossia che Veronica salisse lass in compagnia. Cosa facevano quei due, in alta montagna? Erano grandi, o almeno grandicelli, e dunque avevano ogni nozione sui misteri di ci che a Monterosso veniva chiamato, con formula semplificata, "il vivere del mondo". vero che Norberto pareva un sonnambulo, ma era pur sempre un uomo, e non si poteva mai sapere. Le donne di casa ebbero pi volte intenzione di fare quel discorso a Veronica, ma rinunziarono all'ultimo momento, impedite da un pudore improvviso. Veronica pareva aver acquistato negli ultimi tempi una ventosa pensosit e uno spessore d'interiorit che metteva soggezione. Farle domande di quella natura sembrava sconveniente. Cominci un periodo in cui Veronica saliva in montagna regolarmente, una volta alla settimana, sempre nello stesso giorno e sempre con Norberto, anche se minacciava la pioggia o il temporale. Sua madre le diceva: Guarda che non giornata. Guarda che ti bagnerai. Non credo. Alle undici ci sar un sole sfolgorante. Porta almeno la giacca a vento. Va bene. Dammela pure. Per nessuna ragione voleva mancare all'escursione. Il giorno di san Bartolomeo le venne una febbre altissima, durante la quale ribad che l'indomani sarebbe dovuta salire verso il rifugio Edelweiss, perch l'"aveva promesso".

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Promesso a chi? Matilde ed Emma si guardarono preoccupate, con uno sguardo avvilito, che significava: "Non sa pi quello che dice". Figurarsi! Ci sarebbero voluti cinque o sei giorni soltanto per farle passare la febbre, e poi altri di convalescenza, prima di poter mettere i piedi fuori della porta... All'ultima misurazione Veronica fece saltare il termometro e le donne, spaventatissime, chiamarono il medico. Costui us il suo strumento e anche quello si spezz. L'uomo impallid e s'inform se anche in passato la ragazza avesse avuto febbri cos eccezionali. Una volta ebbe quarantadue. Ma subito le pass. In seguito ci convincemmo di aver guardato male disse Matilde. Anche adesso ha la febbre molto alta. Per il suo stato generale buono. Non so cosa pensare. A guardarla sembra un fiore... Poi, per consolare le donne, disse che certi individui avevano avuto livelli di febbre che avrebbero ucciso qualunque persona normale. Casi di ipertermia. Quale fosse la temperatura di Veronica non si pot sapere perch i comuni termometri non riuscivano a registrarla. Matilde ed Emma non osarono neppure cambiarle le lenzuola, per timore di farle prendere freddo e di peggiorare la situazione. Il dottore disse che lui non sapeva cosa decidere, e che se la febbre non scendeva era meglio affidarsi all'ospedale. Che sia polmonite? chiese Emma apprensiva. No. Deve trattarsi di un fatto intestinale. Forse una salmonellosi... Un bel rompicapo. A Monterosso nessuno aveva mai udito parlare di una febbre che spaccava i termometri, e "ipertermia" era una parola mai sentita n vista neppure sul vocabolario. Di notte le due donne si diedero il turno per vegliare la ragazza, e ogni tanto le toccavano la fronte. Scottava terribilmente, ma Veronica dormiva tranquilla, e anche alla luce della lampada mostrava i colori della salute. All'alba la febbre sembr discendere ed Emma and fi

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nalmente a dormire. Dopo due ore Matilde corse a svegliarla, per dirle che Veronica non era pi nel suo letto. Nelle lenzuola aveva trovato palline rotolanti, il mercurio dei due termometri spezzati. Emma salt su a sedere, con gli occhi sbarrati. Sar andata in bagno disse. Ho guardato. Non c'. Allora nello sgabuzzino. O in cantina. Veronica fu cercata diligentemente in ogni spazio della casa, ma le due donne sapevano benissimo che s'era alzata, vestita di abiti pesanti, aveva indossato la giacca a vento e s'era lasciata scivolare in cortile lungo il tronco del glicine, dalla finestra di camera sua, perch la porta d'ingresso, di solida quercia, era ancora chiusa dall'interno. Bisognava per forza dedurne che Veronica fosse salita in montagna, come faceva ormai da settimane, ogni gioved, che fra l'altro era il giorno in cui si riunivano le streghe di Monterosso, ai tempi dei tempi. Come era possibile che fosse uscita, con quella febbre? Le due donne credettero d'impazzire. Correvano su e gi per la casa come gatte spaventate da un incendio, e ogni tanto si davano sonore manate sulla fronte, come si fossero ricordate all'improvviso qualcosa di normale e di evidente. Si accusarono l'un l'altra di pochezza, di ottusit, per non aver saputo prevedere la fuga di Veronica. La ragazzetta aveva sempre fatto ci che prometteva, e non v'erano mai state circostanze di forza maggiore che le avessero impedito qualcosa. Tra le tante qualit della sua indole v'era anche una tenacia di granito.

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VII Il convento

A un certo punto Matilde, piena di furore per Emma, che considerava responsabile della situazione, disse alla figlia: Veronica ha preso da te! Da me? Ma guarda! Dove la trovi una pi testarda di sua madre? Pensa solo alla cocciutaggine che hai avuto nel voler sposare tanto in fretta Osvaldo! E tutte le nostre disgrazie sono venute da l! Ma smettila! E tu non hai forse fatto fuggire pap in America? Non gli lasciavi nemmeno l'aria da respirare! Matilde, che vedeva le cose pi lontano di Emma, si rese conto dell'inutilit del litigare, mentre Veronica saliva in montagna con una febbre che spezzava i termometri. Non bisognava far guerre tra loro, ma piuttosto unire le forze per trovarla. Telefon a Doralice, da cui apprese che Norberto era andato pure lui verso i boschi, con Veronica. Ma che imbroglio c'era mai sotto? Cosa speravano di trovare in montagna quei due pazzi? Si erano messi a esplorare le vecchie miniere? E adesso cosa si doveva fare? Si mobiliter una spedizione di soccorso. Speriamo di trovare qualcuno. Avvertiamo i Carabinieri e i guardaboschi. Veronica di sicuro svenuta lungo il sentiero... Fecero un mucchio e mezzo di telefonate ad amici e conoscenti, ma nessuno pareva voler condividere il loro catastrofismo, e nessuno era disposto a credere alla febbre

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da lupo, sicch tutti consigliarono di aspettare tranquillamente il ritorno della ragazza. Emma propose alla madre di andare loro stesse in montagna, e Matilde la guard come se l'ansia per la figlia le avesse fatto smarrire il comprendonio. In sostanza non riuscirono a prendere alcuna decisione. Alle due del pomeriggio Veronica ritorn, un po' sudata, rossa in viso, con i colori della salute, come sempre. Era solo un po' stupita e come persa in pensieri vagabondi, cosa che del resto avveniva sempre durante quelle gite in montagna. Come stai? la incalz Emma. Benissimo. Sono affamata. Fame? Con la febbre che hai avuta? Come hai fatto a uscire? Perch sei cos matta? Poteva venirti un collasso! Febbre? Di che febbre parlava, sua madre? Ah, gi, aveva davvero la febbre, ora se ne ricordava, ma l'avvenimento le pareva una cosa lontana, anzi lontanissima, dopo tutto quello che era accaduto durante la mattinata. Matilde pretese che misurasse la temperatura, con il termometro di riserva, ed essa risult del tutto normale. Veronica era dimagrita? Emma volle che salisse sulla basculla della bilancia, ma anche il peso della ragazza era quello di sempre. A quindici anni Veronica era ormai mezza spanna pi alta di sua madre e di sua nonna, bench fosse venuta al mondo piuttosto piccolina, con quello strano parto in due tempi, come per prendersi un riposo a met della faccenda. Adesso era una ragazza alta e ben fatta, di quelle che sono seguite per la strada dai fischi dei giovinotti. Si pu sapere dove sei stata? In montagna. Con chi? Con Norberto. A fare che cosa? Dovevo andarci. L'avevo promesso. Promesso a chi?

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A me stessa, prima di tutto... E poi? Non ho voglia di parlarne... La madre e la nonna non ci capivano niente. Emma inseguiva l'idea di usare le maniere forti, come quando Veronica era bambina, ma capiva che non era pi possibile. La sua et e la sua statura, che escludevano quei sistemi, a Emma sembravano un trucco, una nuova diavoleria di Veronica per sfuggire ancora al suo controllo. La ragazza era uscita per sempre dalla sua giurisdizione. Non avrebbe potuto controllarla mai pi, perch la figlia ormai era completamente padrona di s. Ancora la incalzarono di domande, e Veronica faceva la riservata, anzi si accigliava, come tentassero di forzare la sua sfera spirituale. Cos le donne decisero di svelare il mistero delle gite in montagna seguendo un altro itinerario. Con una scusa s'incontrarono con Norberto e lo sottoposero a un vero e proprio interrogatorio. Il ragazzo rispose a fatica che lui accompagnava Veronica fino ai ghiaioni, e poi lei lo pregava di aspettarla, mentre proseguiva verso il rifugio. Restava in attesa per circa un'ora, poi ella riappariva, taciturna, con gli occhi esaltati, come un po' fuori di s. Ma dove va? A fare cosa? Non so pi di questo. Non sei curioso di saperlo? Certo. Per le ho promesso di non seguirla. Matilde lo guard con una sorta di commiserazione. Non si ricavava nulla da quello l, per lui una promessa era una specie di giuramento con la mano sul Vangelo. Cos le donne ne sapevano esattamente come prima. L'unico elemento nuovo era la faccenda portentosa della febbre, che in lei saliva e scendeva in modi da farla sembrare un fenomeno da baraccone. Che avesse un innamorato in un'altra vallata? Ma da quando in qua una ragazza s'incontra con uno spasimante in alta montagna, vicino al regno delle nevi e dei ghiac

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ci? Che si vedesse con un contrabbandiere, una specie di fuorilegge, un fuggiasco che viveva alla macchia? Che facesse parte di qualche strano gruppo di giovani protestatari, come quelli che si venivano formando in America? Veronica stramba lo era sempre stata, ma adesso era del tutto impenetrabile. Era sanissima, mangiava con appetito, dormiva nove ore filate, non v'era pi alcun episodio di ipertermia, per non era neppure la Veronica di un tempo. Neanche alla lontana. Stava per lo pi in camera sua, raccolta in se stessa, silenziosa, leggendo libri che le donne di casa non avevano mai visto prima. La mattina usciva prima delle sette, e rincasava circa un'ora pi tardi. Regal tutte le bambole e gli altri giocattoli ai bambini di Monterosso, e ci fu in casa una specie di processione, perch la voce si era diffusa. Ogni tanto, senza dire una parola, si metteva a carezzare sua madre, come stesse per abbandonarla e andare chiss dove, per sempre. Faceva ancora qualche passeggiata con Wolf, che peraltro cominciava a invecchiare, ma era evidente che l'interesse per l'animale intelligentissimo era molto diminuito. Era anche possibile che covasse qualche malattia della psiche; o forse si stava sviluppando in lei, a scoppio ritardato, un'anomalia genetica, legata arcanamente alla profezia della nonna cheyenne. Pareva che Veronica avesse perso il contatto con la realt, o almeno che vedesse le cose del mondo come attraverso un vetro di enorme spessore. Era entrata in un luogo di silenzi e di rarefazioni da acquario, a lei molto inconsueti. Sorrideva ancora, ma la sua risata contagiosa, che pareva lo scoppio di un fuoco artificiale, era scomparsa. Nella sua vita c'era stata una sorta di virata, un giro di boa, e lei stava navigando verso una meta sconosciuta. Per breve tempo si fece anche l'ipotesi che avesse avuto uno choc, magari cadendo malamente in montagna, che aveva provocato una deviazione clamorosa del suo modo di pensare e di sentire. Sua madre, carezzandole il capo, come spesso faceva,

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aveva sentito all'improvviso una sporgenza ai lati della nuca, come quelle che di solito sono provocate da cadute. Cos' questo? Hai battuto la testa? le chiese Emma. Tante di quelle volte... In questo punto qui? No. Quello un difetto dell'osso. Ce l'ho dalla nascita. Insomma, neppure da quella parte si riusc a cavare un ragno dal buco, e bisogn investigare in altre direzioni. Anche nell'armadio dei suoi vestiti Veronica aveva introdotto mutazioni strepitose, ficcando tutti quelli pi vistosi e colorati in una cassapanca, e lasciando in vista soltanto quelli pi lunghi, accollati e castigati. Veronica andava ogni mattina prestissimo nella Cattedrale, per seguire la prima messa. La ragazza, sempre stata molto bizzarra, andava "a periodi", e questo era, evidentemente, quello della religiosit. Le esecuzioni all'organo avvenivano, beninteso, con il consenso di monsignor Redento Filippin, che pareva in questo momento in grande sintonia con lei, e partecipe di ogni suo segreto. Nessuno dubit pi che Veronica fosse entrata nel tunnel di una crisi mistica, di cui si cominciava a scorgere i contorni. Forse saliva in alta montagna perch i frequentatori di quei luoghi riferivano che nei boschi stavano tornando animali fuggiti da decenni o da secoli, per effetto della presenza umana o della caccia. Erano tornati gli stambecchi e le linci, e si moltiplicavano le marmotte e i castori. Gli uomini avevano abbandonato l'alta montagna, e gli animali ora vivevano senza timori e senza contrasti. Chiunque poteva vedere falchi e poiane nel cielo, dove si lasciavano trasportare in larghissimi giri dal vento, con le ali immense e le piume distanziate tra loro in cima, come le dita di una mano. Gli animali tornavano nei boschi, non v'era dubbio, riprendevano possesso delle loro tane abbandonate, da signori del bosco, degli alberi e degli spazi. Le escursioni di Veronica continuarono per molte settimane, sempre il gioved. Norberto l'accompagnava, poi veniva pregato di fermarsi ai piedi dei ghiaioni, secondo

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un rituale ormai collaudato. E poi, cosa succedeva? Nessuno riusciva a immaginarselo, e il fatto era visto come una cornice vuota che ognuno poteva riempire con la propria fantasia. Le ipotesi pi ambigue nei confronti della ragazza venivano da Rebecca, invidiosa di lei e maldicente per natura. A quegli appuntamenti, sempre che fossero tali, Veronica si recava vestita con pantaloni di tela azzurra, giubbotti di cuoio, o giacca a vento, tutti abiti adatti alle escursioni. La questione sembr finalmente uscire dal binario morto lungo il quale si era avviata, quando Veronica disse una volta di aver raggiunto il rifugio Edelweiss. Ma che andava a fare lass, in quei luoghi da rocciatori? Emma era molto preoccupata e rivolgeva domande sempre pi ansiose alla figlia. Cosa le succedeva esattamente? Sento delle voci ammise Veronica. Ma che voci? Parole? Qualcosa di simile. Quali parole? Non proprio parole... E allora cosa? Non lo so. Erano cose che non si potevano spiegare, era possibile soltanto sentirle e non tolleravano di essere raccontate con frasi di tutti i giorni. Veronica su questo punto era sempre molto sfuggente e indefinibile, e perci gli altri tagliavano corto, scuotevano la testa e la ritenevano una mistificatrice. In che consistesse la sua impostura non lo sapevano, non avrebbero potuto indicarlo con precisione, per in lei era questo che fiutavano, e continuavano a scuotere la testa. Erano convinti che fosse necessario tenerla d'occhio, che non si potesse mai perderla di vista, perch intuivano che stava per sviluppare altre stranezze. Da quella l v'era da aspettarsi di tutto. Difatti un giorno si chiuse in camera, prese le forbici e con pochi colpi ben assestati si tagli i lunghi capelli rossi. Poi si mise un fazzoletto sulla testa e usc per andare dalla

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parrucchiera che, vedendola in quello stato, fu presa da un singhiozzo nervoso. Aveva l'impressione di una violenza e quasi di uno stupro. La ragazza le fece un taglio con frangetta, l'unica soluzione possibile, dopo lo scempio. Veronica torn nella sua camera, senza essere scorta da nessuno. Rivedendo la treccia dei capelli, riposta in un cassetto e legata con un nastro viola, si mise a piangere silenziosamente, con l'impressione di aver compiuto un gran sacrificio. Era come avesse pronunziato dei voti misteriosi e fosse entrata in un invisibile convento, la cui regola fosse nota soltanto a lei. Nella sua mente girava e rigirava una canzone di montagna: Giovinoti piangete, piangete, m'han taliato i miei lunghi capeli eran lunghi, eran biondi, eran beli monachela mi fecero andar... Il suo sconosciuto ordine monastico le imponeva una curiosa divisa conventuale, ossia abiti maschili, sgraziati, pesanti, rigidi, che mortificavano al massimo le sue forme. Esso le imponeva di rinunziare alle cose pi attraenti della vita, e cos regal clandestinamente tutti i suoi abiti pi eleganti a Rebecca, che subito li afferr con una sorta di voracit, e li ripose in nascondigli segreti, ma senza alcuna gratitudine per la donatrice, come se Veronica avesse voluto mortificarla e umiliarla con la sua generosit. Trov anche il modo di farci sopra un commento malevolo e caricaturale. Veronica pens di gettare via la treccia recisa, ma poi fu trattenuta da un imperioso "no" interiore, e la voglia di piangere su se stessa e il suo disadorno destino la riprese. La madre e la norma restarono folgorate, vedendo nel taglio dei capelli l'atto finale del mutamento enigmatico di Veronica, la quale, proprio nel momento in cui la natura aveva cominciato a mandare in lei i suoi squilli pi trionfali, rinunciava alle sue grazie e quasi perfino a se

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stessa. Ma perch? Cosa le era successo? Cosa si era spezzato dentro di lei? La gente di Monterosso non finiva pi di occuparsi delle cose di Veronica. Che sentisse delle "voci" per davvero era garantito, in qualche modo, dal fatto che Veronica partecipasse di altri fenomeni paranormali che tutti sapevano essere accaduti a medium celebri o a famosi santi. Una cosa garantiva l'altra. Dunque voci, chiaroveggenze, febbri che sfondavano i termometri, capacit d'ipnotizzare gli animali con lo sguardo, percezione di fantasmi del passato... Poich Veronica le "voci" le sentiva in alta montagna, e soltanto lass, a tutti venne spontaneo di ricordare che da quelle parti qualcuno era gi apparso, sette secoli prima, a una ragazza che aveva perduto il sentiero e non riusciva pi a ritrovare quello di casa. Era la Madonna della Neve.

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Vili Jeanne

Proprio per quell'apparizione era stato costruito nel tredicesimo secolo quel piccolo gioiello tardogotico che era la cattedrale di Monterosso. L'architetto che l'aveva disegnata e ne aveva cominciata la costruzione era stato un monaco templare, Ulderico di Cassinberg, un antenato di Norberto. Nacque spontanea una domanda: la Madonna era apparsa anche a Veronica? La voce cominci a diffondersi prima timidamente, poi sempre pi apertamente. Per qualcuno la cosa era certa e quasi ovvia, mentre per altri era assolutamente impensabile, e non volevano nemmeno sentirne parlare, come fosse un argomento sgradevole. Veronica non si pronunciava, quasi che lei medesima su quel punto non avesse alcuna certezza. In montagna continuava ad andare. Saliva fino al rifugio Edelweiss e ridiscendeva in tempi molto rapidi. Come era possibile? Ad alcuni veniva naturale pensare che le streghe di Monterosso, o di qualsiasi localit, avevano sempre risolto con molta disinvoltura il problema delle distanze, salendo a cavallo di caproni neri, cinghiali, gufi reali; o trasformando se stesse in uccelli notturni. Comunque su una cosa non v'erano pi dubbi, la Madonna della Neve era tornata. Veronica era salita in montagna ogni gioved per sette volte di seguito; cos'altro poteva averla mossa e costretta a quella fatica, se non la voce e l'apparizione della Madonna?

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Ella era riapparsa dopo tanto tempo, si era di nuovo interessata a Monterosso, che con quell'evento poteva perdere finalmente l'attributo di "paese delle streghe", per acquistare quello di "paese delle apparizioni". Ancora una volta Nostra Signora era apparsa, e ancora ima volta sulla neve. Cos Monterosso diventava una specie di Lourdes o di Fatima, e in certo modo anche qualcosa di pi, perch qui la Madonna era apparsa due volte, sia pure a distanza di molti secoli. Adesso v'era solo da aspettare il seguito naturale del fenomeno, ossia un po' le stesse cose avvenute in Francia e Portogallo. La gente cominci a salire al rifugio Edelweiss, ma oltre il ponte si trovava un po' spaesata e smarrita, perch non conosceva il luogo esatto dell'apparizione, ammesso che ci fosse stata. Veronica non lo indicava. Non rispondeva ad alcuna domanda, e stava tappata in casa il pi possibile. La nonna e la madre rispondevano che non c'era, a chi voleva interrogarla e intervistarla. Si trovava in casa di una lontana parente, per riposarsi. Non v'era niente che potesse distinguere il luogo della presunta apparizione dagli altri. Non uno speco, un arbusto, un masso, una fontana miracolosa, o almeno un abete o un larice solitario. Soltanto ghiaioni, piccole valli erbose, mucchi di neve che sgocciolava di sotto, formando una pozza e un rigagnolo. La mancanza di un luogo deputato induceva a pensare che vi fosse stata soltanto una problematica visione soggettiva. Chi si recava lass tornava a casa piuttosto deluso. Alcuni si rifiutavano decisamente di andarci perch, secondo loro, la Madonna non si era mai sognata di apparire, neppure nel Duecento, all'epoca in cui Riccardo Plantage- neto, detto Cuor di Leone, era passato attraverso la regione, di ritorno dalla Terza Crociata. Nella leggenda della Madonna della Neve le due cose erano difatti connesse tra loro. La Madonna appariva soltanto a visionari, nevrotici, esaltati, mai alle persone normali, perch anche lei era una donna come tutte le altre, e dopo la morte aveva subito il destino di ognuno. V'erano dunque molti scettici, i

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quali erano convinti che il sovrannaturale fosse lontanissimo dal mondo dei vivi e della natura, e non si rivelasse mai. Fra la terra e il cielo v'era un abisso insormontabile, una distanza che non si riusciva nemmeno a concepire, come quella della vastit dell'universo. In certo modo avevano il segreto desiderio che l'Aldil non si svelasse nemmeno, perch se l'avesse fatto avrebbe perduto il suo fascino di mondo "autre", e si sarebbe declassato e ridotto a una cosa quotidiana e sperimentabile. Veronica continuava a tacere. Era un enigma vivente. A scuola aveva smesso di andarci. S'era chiusa dentro un comportamento difensivo come in un'armatura medioevale. Era diventata devotissima alla Vergine. Per pregarla andava nella Cattedrale, e restava a lungo inginocchiata sotto la statua di legno della Madonna, un'antichissima scultura intagliata da qualche artigiano di Carinzia o di Stiria. La chiamavano Madonna della Neve, ma con la neve non aveva proprio nessun rapporto. Sembrava, alla prima occhiata, non avere niente di particolare, eppure, guardandola a lungo, pareva di capire perch, nel Due e Trecento, v'erano stati uomini che abbandonavano il mondo per diventare fedeli della Vergine e far sorgere bianche cattedrali di pietra in suo onore. Anche Veronica volle offrire una cosa preziosa alla Madonna, un anello con smeraldo, che Matilde le aveva regalato per il quindicesimo compleanno. Monsignor Redento cerc di dissuaderla. La Madonna non se ne fa nulla le disse il prelato. Le persone devote hanno sempre regalato le loro cose pi preziose alla Vergine ribatt Veronica. Le regalano anche a Sofia Loren, se per questo. A me piace farlo e lo faccio. Se non lo accetta lei, vado in un'altra chiesa... Monsignor Redento le disse allora che l'unico modo di utilizzare il gioiello era di venderlo per sanare qualche miseria. Ma Veronica tenne duro, e il gioiello fu donato.

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Mentre le mani lo consegnavano, gli occhi s'inumidirono, un po' come quando si era tagliata da s i magnifici capelli. A Veronica sembrava che tutto ci che si sviluppava e assumeva voce e contorni precisi dentro di lei la spingesse lentamente ma inesorabilmente verso il convento. Veronica accettava la situazione, ma l'addio progressivo al mondo la riempiva di malinconia. Adesso bastava un niente perch i suoi occhi grigi si velassero di lacrime. Tent poi di donare alla Madonna tutti i gioielli in suo possesso, ma questa volta Monsignore si oppose decisamente. Le rimise in mano il pacchetto, confezionato con carta da regalo, e disse: Ti permetter di offrire queste cose tra due anni, se sarai sempre della medesima idea. Insisto per offrirle subito disse Veronica. No, mia cara. Noi, gente di Chiesa, non abbiamo mai fretta. Ho detto due anni. Non le chiese niente su quello che era veramente accaduto in montagna, pensando che se v'erano cose che valevano la pena d'essere riferite, Veronica le avrebbe dette da s, senza alcuna sollecitazione. Era inutile tormentare la ragazza, che pareva piuttosto provata, inquieta, confusa, logorata da un rovello interiore. Le faceva capire tuttavia che lui era pronto ad ascoltare le sue confidenze e a darle una mano. Ma Veronica non avrebbe saputo con esattezza cosa dire. La sua sensazione pi netta era questa: se avesse raccontato per filo e per segno quello che le era accaduto, le sue parole sarebbero diventate subito poco credibili a lei medesima. Si sarebbero fatte inconsistenti, logore, comuni, poco degne di essere pronunciate. Sentiva delle "voci", ma non con l'udito. Le sentiva dentro di s, quando si trovava da sola, concentrata e silenziosa, nella solitudine assoluta dell'alta montagna. L'istinto l'aveva spinta a salire lass, ogni gioved, per sette settimane, e lass le voci si potenziavano e diventavano pi forti e distinte, come se l si trovasse la loro fonte. Erano certo voci di Nostra Signora, ma di esse non riu

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sciva a ricordare n il timbro n la qualit. E la Madonna l'aveva vista o no? Ecco il punto centrale. In realt non lo sapeva, e le sarebbe parso di mentire sia se avesse detto di s, come se avesse detto di no. Tutte le salite in montagna nella sua memoria erano diventate un lungo sogno impreciso, in cui ogni immagine si legava e si fondeva con quella precedente e quella seguente. Aveva certezze soltanto nelle cose connesse con il mondo della natura e sue leggi. In lei v'erano potenzialit inaudite, del tutto fuori della norma, ma non sapeva minimamente perch. Se tutti gli uomini, o tutte le creature viventi, erano degli enigmi a se stessi, e non sapevano come e perch vivevano e morivano, lei era un mistero elevato a potenza. Forse soltanto la Madonna glielo poteva rivelare, ma non l'aveva fatto perch Veronica non ne era degna. Era troppo legata alle cose di questo mondo, e non era capace di rinunce eroiche. Era pi vicina al mistero del mondo e alla sua fonte, ma anche pi lontana, perch dentro di lei v'erano pi cose inesplicate che negli altri uomini. Ogni volta che faceva imo sforzo per costringere il suo ricordo ad assumere un volto esatto, esso minacciava di diventare anche pi impreciso e di dissolversi come una nuvola. Aveva rinunciato ai capelli, agli abiti, ai gioielli, ai giocattoli, alla scuola. Si era liberata di tante cose, ma non bastava. Cominci a essere incerta di s e del proprio avvenire, che non sapeva immaginare. L'interesse e l'entusiasmo della gente di Monterosso per la sua vicenda andava rapidamente declinando. Non v'era neppure il pi piccolo segnale che l si verificassero le cose accadute a Lourdes e a Fatima. I luoghi dove la Madonna era apparsa veramente, subito avevano acquistato una risonanza straordinaria, e la gente aveva cominciato a recarvisi in processione. Era nato qualcosa di speciale e di incredibile in essi. Si era creato una sorta d'immenso campo magnetico, con suggestioni di grande latitudine. Lourdes e Fatima avevano qualcosa che Monterosso non aveva mai posseduto, n lo avrebbe avuto in futuro. Nei luoghi del

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miracolo arrivavano treni di pellegrini e di curiosi da ogni angolo d'Europa. Venivano malati senza speranza, ma in realt non ancora del tutto rassegnati alla morte. Sorgevano chiese e ospedali, si verificavano portenti, prosperavano le botteghe dei souvenir, e fioriva persino il fenomeno dei ciarlatani e degli imbonitori. Anche questi, strano a dirsi, erano appendici inevitabili del miracolo, ma pure riprove indirette di esso. A Monterosso non succedeva niente di simile. Il flusso dei curiosi dalle parti del rifugio Edelweiss si era gi stagnato e l'episodio dell'apparizione aveva gi cessato d'impressionare la gente. Monsignore disse a Veronica, con aria severa: I giovani cui la Madonna apparsa hanno avuto tutti il medesimo destino. Quale? chiese la ragazza. Sono morti giovani, o sono entrati nella vita religiosa. O l'una o l'altra cosa. Cos stato di Bernadette, e cos di Francesco, Giacinta e Lucia, i ragazzi di Fatima. Non vedo un rapporto tra le due cose. A me pare evidente. Chi ha un'esperienza mistica, difficilmente riesce poi a sopportare la terra. E' lass che desidera andare. Veronica rest impressionata. Cominci a documentarsi. Lesse dei libri sui veggenti di Lourdes e di Fatima, e nacque dentro di lei la vaga paura che una sorte analoga l'attendesse. Ma ci che temeva di pi era di finire in convento, dietro le grate di ferro di una clausura che a lei era sempre parsa simile a quella di una prigione. Questa paura le produceva un senso di soffocamento e un immenso desiderio di liberazione e di fuga. Si rese conto di avere su di s gli sguardi di tutto il paese, che la spiava per vedere se e come maturasse la sua vocazione. I capelli se li era tagliati da sola, un abito monacale l'aveva gi indossato, anche se molto bizzarro, perch non apparteneva a nessun ordine monastico femminile del mondo, essendo un vestito maschile. Solo Jeanne

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d'Are l'aveva preceduta in questo, e lei ci pensava con molta seriet, perch Jeanne era il suo modello e il suo spirito guida. Guard intensamente negli occhi Matilde, Emma, Norberto, Rebecca, Lanfranco, Doralice, e in tutti le parve di leggere la medesima domanda: "Quando entri in convento? Quando comincerai il tuo noviziato?". Forse anche monsignor Redento si aspettava da lei la medesima cosa; o forse lui, lui solo, aveva voluto metterla in guardia e farle capire che stava scherzando col fuoco. Lui a suo modo aveva voluto proteggerla, rifiutando di accettare i gioielli offerti alla Madonna. Cerc di leggere pi in profondit la sua situazione, e si rese conto del dilemma che si stava chiudendo su di lei come una forbice. O lei era sincera, quando diceva di sentire le "voci" della Madonna, e allora il suo unico destino era il convento. Oppure continuava a vivere come tutte le ragazze di questo mondo, e con ci implicitamente ammetteva che tutta la storia delle "voci" era un'illusione dei sensi e dello spirito. Quel bivio non le dava requie. Qualcosa stava facendo scattare la trappola. Si sent come la volpe con una zampa prigioniera, che lei aveva liberato. Un giorno di novembre, nel colmo dell'estate di san Martino, disse alla madre: Voglio subito ritornare a scuola. Ah! Dio sia lodato! Finalmente torni a ragionare! Facciamo ancora in tempo per l'iscrizione? Ma certo. Si sempre in tempo. Volo subito in segreteria... Tornando in classe le sembr che il suo destino si voltasse immediatamente verso la direzione della normalit, e prov una acuta nostalgia per aver detto addio a uno stato di perfezione sognata... Dentro di lei v'erano ancora subbugli impetuosi e venti laceranti. Succedevano fatti che rivelavano ancora le differenze di potenziale che esistevano nella sua anima. Non riusciva pi a indossare un vestito senza che sfondasse un'asola o staccasse un bottone. Le chiusure lampo non funzionavano mai, s'incanta

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vano di colpo, come se uno spiritello, il pi piccolo di cui disponeva la mitologia popolare, impedisse l'operazione con la sua microscopica coda. Successe quattro o cinque volte, finch Veronica sbott: Queste cerniere sono maledette! Aspetta. Lascia fare a me. Provo io disse Emma. Il tocco della sua mano era sufficiente per far tornare la lampo alla ragione e farla scorrere docilmente, come fosse stata lubrificata. Ma certe volte non succedeva, ed Emma doveva lavorare a tappe forzate per sostituirla rapidamente. Presto cominciarono anche a saltare le lampadine. Il loro filamento dava un forte guizzo, che uno spirito poetico poteva interpretare come una specie di canto del cigno, di natura luminosa, e poi si spegneva. A volte il bulbo scoppiava veramente, con un piccolo botto, seguito da un rumore di vetrini che s'infrangevano sul pavimento. Era una specie di "cancro delle lampadine", una seccatura inaudita, perch comportava una spesa non indifferente, e si doveva correre ogni momento al negozio dell'elettricista per sostituire quelle fulminate. Poi si dovette cominciare a tenerne in casa una scorta vera e propria. Fu rifatto l'intero impianto elettrico, e l'unico risultato fu quello di sfilare parecchie carte da diecimila dal portafogli di Matilde, perch le lampadine seguitavano a bruciarsi o a scoppiare ogni momento. Gli oggetti di casa di continuo cambiavano di posto senza che nessuno li toccasse. Le donne guardavano Veronica con occhi inquisitori, ma lei ricambiava con un'occhiata innocente, per far sapere che ignorava del tutto l'origine dei fenomeni. Forse Veronica era sonnambula, e faceva queste cose senza saperlo o senza ricordarsene. Emma di notte chiudeva dall'esterno la porta della camera della figlia, ma i fenomeni non cessavano. A questo punto fu chiaro che il folletto era entrato in casa e ne combinava una per colore. La dimora dei Caste- netto era diventata un luogo infestato dagli spiriti. Lan

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franco, informato dei fatti, trov subito il nome giusto per i fenomeni. Il Poltergeist! disse. Ossia? chiese Emma. Uno spirito burlone e dispettoso, che fa dannare la gente di casa. Pareva che il tedesco fosse la lingua in grado di rivelare gli enigmi. Bisognava raccontare ogni cosa a Monsignore e far benedire le stanze, perch ormai era chiaro, al di l di ogni dubbio, che esse erano inquinate da presenze demoniache. Non passava anno che a Monterosso non si verificasse qualche fenomeno di questo tipo, da una parte o dall'altra. Emma e Rebecca credevano si trattasse di un diavolo vero e proprio. Certo, si poteva anche dargli un altro nome, si capisce, per le cose non cambiavano, e si trattava soltanto di una questione di parole. Si poteva anche cancellare il nome del diavolo, dal linguaggio comune e dai vocabolari, per le ossessioni, le perversioni e il male non sparivano dal mondo. Monsignore non accett subito di dare la benedizione, bench fosse un esorcista provetto. Chiese invece a Matilde e a Emma: I fenomeni si verificano anche quando Veronica non c'? Secondo lei, la causa sarebbe Veronica? probabile... Lei crede che Veronica sia indemoniata? Non dite sciocchezze. Veronica ha delle febbri che arrivano con facilit a quarantasette gradi, ipnotizza gli animali con lo sguardo. senz'altro una medium potente... Non l'avete ancora capito?

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L'anima del mondo Monsignor Redento, che si dilettava anche di studi del paranormale, raccont alle signore che erano noti casi di ragazze o di giovani, medium inconsapevoli, che scatenavano in casa il pandemonio senza neppure saperlo, quando il loro spirito era lacerato da conflitti interiori, per esempio passioni amorose contrastate, imposizioni autoritarie, e simili cose. Ah, ecco! Adesso tutto si chiariva! Ma certo! Tutto era limpido come il sole! Era evidente la guerra interiore di Veronica la quale, povera ragazza, non sapeva decidersi se entrare in convento, o vivere come tutte le donne della sua et... Poich Matilde ed Emma lo chiesero con insistenza, Monsignore, anche se un po' riluttante, benedisse la casa, e in particolare la stanza di Veronica. Non volle farlo anche con lei, per non provocarle un trauma supplementare, perch ci che mulinava dentro Veronica era pi che sufficiente. La ragazza doveva risolvere da sola, in santa pace, il problema che l'assillava. E infatti decise. And a messa nella chiesetta del convento delle Carmelitane, in un paese di pianura, e vide al di l delle sbarre le suore, che cantavano con voci d'argento. I loro visi erano bianchi come la cera, le loro figure sottili come candelabri, mentre lei era formosa, e i suoi seni generosi non sarebbe riuscita a nasconderli nemmeno se avesse indossato una cotta d'acciaio. Il suo posto non sarebbe mai stato oltre quella cancellata, in un luogo che non era pi il mondo

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normale, ma una sorta di eden non fatto per lei. Al convento, ne era sicura, era appartenuta in altre vite, ma adesso non poteva tornarvi, e per esso provava soltanto un'intensa nostalgia. Chin la testa sul banco e pianse a lungo, silenziosamente, travagliata e nervosa. Alla fine s'addorment. Al suo risveglio non v'era pi alcuna traccia di suore, nemmeno un'eco del loro canto e delle loro voci chiare, che parevano una sola voce. Nella chiesa era rimasta soltanto Veronica, che nessuno per delicatezza aveva voluto svegliare. Prov un vago senso di smarrimento, ma anche di serenit, perch finalmente si sent in pace con se stessa. Dalle finestre della chiesetta si vedevano salire le ombre della sera, che andavano cancellando gli ultimi segni di un tramonto rosso e vinato. In chiesa soltanto un odore d'incenso rivelava che la messa c'era stata davvero. Guard la statua di legno della Madonna, una scultura moderna della Valgardena; pens che la Vergine era il modello di tutte le donne, vissuta in ilio tempore, ossia il tempo del mito, e riproposto da secoli da un magnetismo fortissimo, pi robusto di qualunque insieme di idee che attraversi la storia. Ma nessuna donna poteva essere come lei; doveva scegliere, perch non dato essere vergine e madre nello stesso tempo. O l'una o l'altra cosa. Veronica aveva scelto, sarebbe diventata sposa, perch la sua vocazione la spingeva da quella parte. Adesso ne aveva la certezza. Sent gli occhi umidi, perch stava salutando quella parte di lei che non poteva pi essere. Aveva deciso, o quasi deciso, perch le grandi decisioni sono un po' come le tempeste, che portano con s sempre una turbolenza prolungata e un periodo di assestamento. Monsignore aveva ragione circa l'infestazione della casa. Dopo che Veronica ebbe ritrovato la pace dello spirito, il Poltergeist and quietandosi. Il telefono non squill pi senza motivo, n lo scoppio delle lampadine increment i profitti degli elettricisti di Monterosso. Nessun oggetto

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vol pi per la casa, neppure quelli leggeri, per cui era possibile ritenere che il loro motore fosse semplicemente il vento. Niente pi scricchiolii a mezzanotte, o nelle ore piccole delle tenebre. Al massimo qualche colpo secco di un'asse di legno che si spezzava, in ima cassapanca vecchia di secoli, e i gridi notturni delle civette e dei gufi, su nel granaio. Per Veronica cominci un tempo diverso. I capelli rossi tornarono a crescere rapidamente, e lei adott un taglio sobrio ma molto grazioso, ispirato a modelli francesi. Fin l'esilio dei rossetti, delle creme e dei profumi. Respinse i calzoni, i giubbetti rigidi e duri, che sembravano cuciti con tela da tenda o da vela, e restitu il suo corpo alle lane, ai lini, al cotone e alla seta, che seguivano docilmente le sue linee, e mettevano in evidenza le sue forme. Riprese ad aver cura del suo corpo in piena luce, con imo slancio allegro, e mentre era impegnata in queste cose, dal bagno giungeva lo zufolare allegro di canzonette e musica classica. Torn anche a dedicarsi saltuariamente alla chitarra. Nel tempo libero riprese ad andare nei boschi perch l, tra le piante e gli animali, si sentiva pi viva, ricca di estro e vicina alla sua vera natura. Continuamente le tornavano alla memoria le sue avventure selvatiche, la liberazione della volpe, il belato del capriolo morente in fondo al burrone. Wolf la seguiva nelle scorribande. La sua vecchiezza ormai si faceva evidente, tuttavia la sua presenza serviva a rompere il ghiaccio nell'avvicinare gli animali. Alcuni, come lepri e scoiattoli, continuavano a fuggire. Altri, specie quelli di dimensioni maggiori, si lasciavano avvicinare, e se Veronica riusciva a incrociare il loro sguardo, subito li soggiogava, perch le doti magnetiche producevano effetti immediati. Addormentatosi il Poltergeist, dispettoso e irritabile, s'era risvegliato potentemente il fluido ipnotico che catturava gli animali. Wolf, nel casotto del cortile, mentre si scaldava nel sole, aspettava con ansia l'invito di lei. Wolf, vieni, andiamo!

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Lui rispondeva con un uggiolio di entusiasmo, che tradotto in linguaggio umano voleva dire che era pronto a morire per lei, avesse dovuto pure affrontare orsi o aquile. Via, via per le strade, attraverso orti e giardini, fino al limite della cittadina, fino ai casali pi periferici! Le aiuole dei fiori incontrati nelle loro passeggiate provocavano in Veronica fiotti di felicit per la forza evocativa dei colori. Pi erano carichi e forti, pi ne subiva l'influsso. I fiori di gran lunga prediletti erano le zinnie, specie quelle di grande formato, che la gente chiamava "i soldati", perch fiere e forti come loro. Ma s'appassionava anche di dalie, ortensie, bocche di leone, iris, genziane, petunie, viole del pensiero. Una forte simpatia la spingeva verso i fiori pi colorati. Il fiore era la parte che assicurava la continuazione della vita nella pianta; i fiori erano colorati, spesso coloratissimi, perch dovevano attirare gli insetti, api, vespe, calabroni, i quali favorivano l'impollinazione e quindi la riproduzione dei fiori. Era un'astuzia della natura per realizzare i suoi fini. Per la stessa ragione le ragazze vestivano abiti colorati e scollati, per attirare l'attenzione dei giovinotti; per il medesimo motivo i pavoni, le pernici di monte e i galli cedroni facevano la ruota, e le cerbiatte intessevano misteriose danze nuziali. V'era dunque, anche tra le piante e gli animali, un'organizzazione e una pianificazione complessa per raggiungere il fine della vita, ossia la continuazione di se stessa. La viola non era tale soltanto per una bizzarria del caso, per cui le linfe e i sali attinti dalla terra si mutavano e sviluppavano quel colore a casaccio. Niente affatto. Il viola era un colore bellissimo, che attirava gli insetti, e questo era voluto dall'intelligenza universale della natura, che conosceva il modo di produrre effetti che gli uomini non avrebbero saputo mai ottenere. Era sbalorditivo. Sembrava scontato e naturale, e invece era un mistero strepitoso. Si spiegava soltanto pensando a uno psichismo ignoto, diffuso nella natura in modi universali, a una penetrazione della forza cosmica che piegava la natura ai suoi fini.

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In nessun luogo come nel bosco Veronica era sorpresa dalla sensazione di partecipare della sostanza impenetrabile delle maghe di Monterosso, sorelle misteriose che l'avevano preceduta dentro lo spessore inconoscibile del tempo. Cominciava a provare il sapore di una potenza ignota, radicata in lei. Sentiva concentrare in s un'energia carica di facolt esplosive, e vedeva se stessa un po' come Erittone, la maga tessala che riusciva a riportare l'anima dentro i corpi dei soldati morti nella battaglia, incontrata nei versi della Farsaglia. A Veronica piaceva arrivare fino al Duss e guardarne a lungo la corrente, immedesimandosi con la potenza dell'acqua. Le era gradito stare nella valle del fiume, piena di echi, che era stato uno dei suoi feudi fin da bambina. Secondo il racconto di Norberto, era stata questa l'origine pi probabile di una famosa generazione di liutai di Monterosso, che poi avevano cercato fortuna negli Stati Uniti. Si diceva che la valle del Duss, in un certo punto, mostrasse dall'alto vagamente la forma di un gigantesco violino. Era vero senz'altro, perch per lei il territorio di Monte- rosso poteva generare ogni meraviglia. Monterosso era il luogo dove miti e fantasie producevano cose reali, e qui tutto poteva accadere, perch aveva attraversato l'et industriale senza subire grandi modificazioni. Ora per Veronica aveva un modo diverso di guardare la valle del Duss, la miniera di zinco e di pirite, il complesso delle montagne e lo stesso paese. Li ripensava come impastati delle infinite vicende che in essi si erano verificate. Adesso continuamente le veniva da pensare che le risonanze della valle erano gi state ascoltate dagli antichissimi celti. In quei giorni sal pi volte al castello dei Cassinberg per una ragione piuttosto singolare. Il padre d Norberto ed Emma infatti avevano prenotato un posto sul medesimo pullman per fare una gita in Umbria. All'origine dell'evento c'era proprio lei, Veronica, che aveva esortato sua

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madre a prendersi una vacanza, perch nutriva una segreta speranza. No, no. Ma figurati! Sono anni che non viaggio! aveva detto Emma. E con ci? Non sei mica vecchia! Lo dici tu. Non mi sento di viaggiare. E poi da sola... Sola non saresti. Ci va anche il padre di Norberto. Davvero? Mi piacerebbe. una persona simpatica... Proprio questa circostanza l'aveva decisa. Il viaggio a Gubbio, Assisi, Spoleto, Todi, e in tante altre citt umbre le era sembrato subito attraente e luminoso, come venisse a svecchiare una situazione dentro la quale stava inaridendo. Cos era partita. Un viaggio di otto giorni. A casa telefonava tutte le sere. Veronica si sentiva, da parte sua, incentivata a salire al castello, come per verificare assieme a Norberto se quel viaggio che avvicinava i loro genitori fosse una cosa cui pensare con allegria e intima soddisfazione. Norberto sentiva la mancanza della madre, scomparsa quando lui aveva quattro anni soltanto. Una delle cose che ricordava di lei era il suo entrare in una carrozza rossa usata per la sfilata in costume, che avveniva a Monterosso il giorno della Befana. La madre metteva il piede sul predellino, lo salutava sorridendo, mentre spariva dentro la vettura, in un brillio di sete e di broccati viola e verdi. Una rapida malattia gliela aveva strappata proprio a quell'epoca, e cos in Norberto era nata la strana impressione che la carrozza dipinta gliela avesse rapita, per non restituirgliela mai pi. Ad ambedue pesava, come una balorda anomalia, l'incompletezza della propria famiglia. La notte di san Lorenzo Veronica si svegli in preda all'inquietudine pi viva. Non riuscendo a prendere sonno si alz e cominci a girare per la casa. Ud la nonna russare tranquillamente in camera sua. Si affacci a una finestra e vide un lume nella bottega di uno scalpellino, che ancora lavorava a quell'ora. Torn a letto, ma si addorment con fatica. L'indomani mattina prov pi volte il

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desiderio di piangere, e il perch lo seppe soltanto alle otto, quando apprese dal telegiornale che un pullman di gitanti della sua regione era precipitato in ima scarpata nei pressi di Norcia. Purtroppo v'erano delle vittime. Due di esse, una signora sui quarant'anni e un uomo sui quarantacinque, erano stati trovati abbracciati tra loro, e per ore la polizia della strada aveva ritenuto si trattasse di due coniugi. Poi, dopo lunghe ricerche, esaminati i documenti di ciascuno, si era accorta che i due non erano sposati, e quindi si era passati all'opinione che fossero amanti. Veronica non ebbe bisogno di ulteriori informazioni per conoscere la loro identit. Lei certe cose le sapeva prima di apprenderle. Il matrimonio di sua madre e di Lanfranco, da lei sempre sognato, nel salotto rosa della sua fantasia, era avvenuto per davvero, non dentro la cornice della vita, bens in quella nera della morte. Intontita dal dolore, Veronica pens che tutti i nomi degli uomini sono scritti con l'inchiostro simpatico, e possono sparire all'improvviso, risucchiati da quella sfera che a noi, abitatori del tempo e dello spazio, pare quella del nulla, perch sfugge ai nostri sensi. Ma non vediamo neppure gli ioni dell'elettricit o le onde hertziane, rivelati dalle lampadine o dalla radio. Veronica aveva la mente simile a una lampada, o a un apparecchio ricevente, e fu subito certa che Emma e Lanfranco non si erano dissolti nel niente, che del resto non esisteva neppure. La nonna Matilde l'abbracci e disse: Ora siamo noi due sole tutta la famiglia. Siamo la parte visibile, nonna. Ma poi c' quella che non si vede. Certo, mia cara. Ma Emma dov', adesso? Me lo sai dire? Perch non la vedo? Perch non posso toccarla? E' vicinissima a noi. Dove siamo noi anche lei. C' pure Osvaldo, e tutti i nostri morti. Matilde disse di s, ma era molto triste. Si sent vecchia all'improvviso. Aveva settant'anni, ma prima di allora

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non aveva mai badato alla sua et, ed era sempre vissuta lavorando intensamente tra mucchi di carte bollate. Sia il genero che la figlia erano stati rapiti da una morte violenta e improvvisa, risucchiati entrambi da un burrone, come se il destino si fosse trovato a corto d'iniziativa, per essi, o come avesse voluto cancellare con due voragini, lontane tra loro, ma simili nell'aspetto, la vergogna di un amore sgradito alle stelle, e seppellirla nelle viscere della terra. La stanchezza di Matilde si riflett anche nel lavoro. A partire da quel momento lo sent come un peso, una necessit, perch, bench vecchia, doveva badare alla ragazza. Possedeva risparmi consistenti, e tuttavia ci che aveva le sembrava insufficiente per garantire la sicurezza di Veronica. Quello che le era sempre parso una fortezza, ossia la sua condizione, ora la vedeva come una bicocca cadente, dalle malte sfarinate. Cos lavorava molto, con assillo, anche perch temeva che Veronica fosse dominata dalle medesime insicurezze e le medesime angosce. Invece la nipote non era fatta per la tragedia. Tutto ci che accadeva ora nella sua famiglia lo collocava e lo rielaborava dentro i suoi vasti spessori mentali, che imbalsamavano le cose all'interno di ima trasognata serenit. La scomparsa di Emma ebbe, senza dubbio, effetti anche su di lei. Crebbe il bisogno di sentirsi amata dalla gente. Si guardava attorno, come per osservare a chi avrebbe potuto affezionarsi di pi. La nonna, naturalmente, era in vetta alla lista. Matilde la guardava, pensando che c'era almeno una cosa buona, nell'insieme delle tragedie, ossia che Veronica non ne aveva risentito pi che tanto, e che un istinto felice la conduceva a riempire rapidamente i vuoti che si producevano nella sua esistenza. Cominci a ritenere che dal destino bisognava difendersi con tutte le armi a disposizione. Le pi efficaci erano quelle che provavano la solidit economica della famiglia, sicch prese a indossare tutti i giorni i gioielli pi preziosi che aveva, per esempio una collana di diamanti, ereditata da una sua antenata, moglie di un de

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putato al parlamento austriaco, che aveva partecipato da giovane a molti ricevimenti di Francesco Giuseppe, sia alla Hofburg che a Schonbrunn. Prese l'abitudine di ornare i lobi delle orecchie con brillanti grossi come perle, mentre prima si metteva soltanto gioielli modesti. Indossava tutti i vestiti pi lussuosi che aveva dismesso quando il marito l'aveva abbandonata per fuggire in America. La sua messinpiega, fissata dalla lacca, era cos perfetta, che Matilde non sembrava nemmeno una donna reale, ma piuttosto un ritratto di se stessa, uscita da una cornice ovale dell'Ottocento. Sotto l'abito nero portava camicie con pizzi valencienne, quelli che ormai usavano soltanto le chellerine di Vienna, nei caff frequentati dai turisti. Quando sedeva sui seggioloni di legno scuro o di cuoio, nello studio di notaio, rigida e compassata, sembrava una statua, e a Monterosso godeva di una larga e solida considerazione, anche per tutto questo. Provava una dura resistenza a credere che la nipote possedesse doti medianiche. A mano a mano che il tempo passava era sempre pi incline a credere che l'infestazione della casa, che si era verificata all'epoca della crisi religiosa di Veronica, fosse frutto di suggestione. Matilde era fermamente religiosa, ma stentava ad accogliere in s l'idea che le potenze cosmiche si presentassero a scherzare con gli uomini. L'unico argomento probante, in questa faccenda, era che essi in genere possedevano una mentalit da bambini? A Veronica Matilde cercava di mettere le briglie e il morso, che lei rifiutava, come una puledra selvaggia. Cos tra loro s'accendevano tensioni e crisi acute. Bench si volessero bene e si cercassero continuamente, scoccavano scintille impressionanti, perch erano poli di carica diversa, e grande era la differenza di potenziale. Spesso la nonna taceva a lungo, e fingeva di non vedere certe cose, poi di colpo tra lei e la nipote scoppiavano temporali violenti, come quelli che risciacquavano sovente la valle del Duss. Ci che Matilde combatteva erano soprat

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tutto l'eccessiva libert di comportamento di Veronica, e le sue continue concessioni alla crescente licenza dei tempi. Quando venne di moda la minigonna, Veronica subito l'accett sicch, per contrasto, a Monterosso molti si ricordarono dei tempi in cui sembrava che la ragazza si trovasse a tre passi dal convento. Matilde si sent quasi offesa. Non ti credevo sciocca come le ragazzine di oggi disse. Perch? una moda sana e sportiva. provocante. I ragazzi cominceranno ad aggredirvi per la strada. Non me, di sicuro. Conosco molte tecniche di difesa. Matilde era anche indispettita dal fatto che con la nipote non riusciva mai ad avere l'ultima parola, a meno che non pronunziasse una frase mentre stava chiudendo la porta alle sue spalle. Del resto Veronica stessa, di frequente, per non ricominciare il conflitto, levava le tende e s'allontanava. Matilde non si rassegnava che ci fosse in Veronica un'inclinazione verso il gusto popolare, e la giudicava leggera e irrazionale. Veronica alzava le spalle. Il suo spirito d'indipendenza era totale, e reclamava per s la pi completa libert di scegliersi da sola le strade da seguire. Utilizzava figure mitiche e simboli strani per dare un volto e una riconoscibilit alle forze ignote che agivano in ogni lato del mondo, e anche dentro di lei. Da dove venivano queste facolt straordinarie? Dalle sue lontane antenate? Dalla nonna indiana, che leggeva il futuro nella pelle dei bisonti? Nelle soffitte di casa facevano ancora il nido le civette, e i loro occhi tondi e grandi provocavano sui volatili di piccole dimensioni lo stesso incantesimo che quelli di Veronica sviluppavano su animali di ogni tipo. La ragazza aveva l'impressione di aver fatto parte, in altre epoche geologiche, della grande famiglia degli uccelli, cos come forse essi si ricordavano d'essere stati rettili e di aver respirato con le branchie, nei laghi e negli stagni di terraferma.

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Il DNA A scuola Veronica era molto popolare. Non che fosse una campionessa in tutte le materie. I voti erano un saliscendi bizzarro, per la sua presenza e la sua assenza si notavano in modi strepitosi, perch la sua persona possedeva poteri galvanizzanti. Dava sapore alle cose, come il sale e il pepe. Veronica, Egidio e Norberto andavano a scuola nel capoluogo, salendo sulla medesima corriera, perch a Monte- rosso non v'erano le classi superiori. I due maschi frequentavano l'ultimo anno del liceo. Invece Rebecca aveva abbandonato la scuola, che peraltro non l'aveva mai attirata. S'era messa ad aiutare sua madre, che faceva un po' di tutto, guaritrice, tiraossi, chiromante, infermiera. Il richiamo che Veronica esercitava sui ragazzi provocava antipatie istintive nei suoi confronti in alcune professoresse, specie quelle anziane, che la giudicavano troppo libera e provocante. Le sue minigonne non superavano quelle delle compagne, ma davano nell'occhio molto di pi. Il suo trucco, non pi vistoso di quello delle amiche, saltava agli sguardi come un quadro fauve, e sembrava ima riprova visibile della sua vitalit. Non era veramente ci che molti credevano che fosse, ossia una ragazza scatenata e troppo audace nel costume. Era soltanto vittima di apparenze e di deduzioni sbagliate, che non scaturivano da fatti, ma soltanto da attrazioni o rifiuti istintivi. Era sempre accompagnata da un ginepraio di dicerie, che nessuno si preoccupava di accertare.

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Una di esse asseriva che il padre di Norberto si era innamorato di lei, senza speranza, e allora aveva deciso di sposare sua madre solo per poterle stare vicino. Poi il suo progtto era stato spezzato di colpo dall'intervento brutale del destino. Si diceva che molti cuori maschili battessero per lei a Monterosso, e tra essi vi fosse quello di Quinto Sgubin, un liutaio noto al di qua e al di l dell'Atlantico. Egli apparteneva a una famiglia di artigiani famosi. Il pi celebre di costoro era stato suo padre, Quarto, che aveva fabbricato anche i violini di Rubinstein e di Toscanini. Alcuni in America si resero conto delle qualit eccezionali dei due strumenti, e chiesero ai maestri notizie sul loro fabbricante. Il violino di Quarto non era proprio uno Stradivari, e neppure un Guarnieri, ma era certo quanto di meglio fosse stato prodotto in quel territorio nel nostro secolo. Cos alcuni americani lo invitarono a metter su una fabbrica a Boston. Quarto accett, e si trasfer in America. Onestamente, come era nella sua natura, applic tutti i suoi segreti alla produzione in serie. La fabbrica aveva un lungo capannone, in cui i bischeri e le casse erano stesi ad asciugare e a stagionare come fossero dei prosciutti. Dalla fabbrica uscivano violini di buon livello, i quali per non reggevano il paragone con quelli prodotti a Monterosso. Il legno era il medesimo, ossia l'abete rosso dei suoi boschi, le stagionature, le colle, le vernici, le corde, il sistema di lavorazione era lo stesso, ma il risultato finale era diverso. Come mai? Forse i violini erano come i vitigni e i loro prodotti, che cambiano caratteristiche mutando localit. Quarto si rese conto del proprio errore, ma non os porvi rimedio. Quel coraggio lo trov invece suo figlio, Quinto, che a quarant'anni abbandon Boston, e ritorn a Monte- rosso. Era ancora scapolo, o meglio lo era ridiventato, perch la moglie americana lo aveva piantato, dato che lui non amava abbastanza le banconote verdoline che in America vengono prima di ogni sentimento e di ogni filosofia. Del resto si era sposato di fronte a un giudice di pace troppo allegro e chiacchierone, che emanava un forte

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odore di gin, per cui il suo matrimonio non gli era parso una cosa seria e vera, ma una messinscena di istrioni che avessero ricevuto una manciatella di dollari per recitarla. Cos, appena rimpatriato, tutte le donne nubili di Monte- rosso videro Quinto come un partito. Egli, recuperato il suo paese e l'aria risonante della valle, si sent allargare i polmoni, e riapr l'antica bottega dei suoi nella piazza del Municipio, ricomprando per due soldi le stanzette e il laboratorio che erano appartenuti alla singolare dinastia di liutai. L'arrivo di Quinto riemp Veronica di allegria. Era un segnale che a Monterosso ritornavano gli emigranti e gli artigiani, come gli animali ripopolavano i boschi. Cos in citt molti pensarono che vi fosse qualcosa tra Quinto Sgubin e Veronica Castenetto. Non c'era niente. Da vicino quelle dicerie diventavano inconsistenti come la coda di una cometa. Era impossibile attribuire a Veronica sentimenti di natura ambigua, perch era una creatura solare, e anzi impastata di strana ingenuit. Restava il fatto che tutto ci che la riguardava assumeva sempre dimensioni spropositate. Il pi emozionato nell'apprendere le notizie su di lei era Norberto, il cui cuore batteva per Veronica, ma con la pi salda consapevolezza di quanto fosse invano. Veronica per lui era un luogo proibito, come certi parchi misteriosi, che si trovano nel cuore di una citt, ma sono sempre chiusi da mura scalcinate e da cancelli rugginosi e incatenati. Fra i ragazzi del liceo Norberto era l'unico a non farle la corte perch sapeva che il suo tentativo era perduto in partenza. Nell'intimo rinunci a Veronica definitivamente, provando persino un certo sollievo, perch non doveva pi inventare modi complessi per avvicinarla, che a suo giudizio era una tra le cose pi difficili, per la sua indole di uomo di nebbia e di fumo. Si limitava perci a guardarla da lontano, come si pu fare con un quadro o una statua collocati in un museo, che si possono contemplare ma non possedere. Veronica era la destinataria mentale di tut

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te le cose migliori che era in grado di fare. Per s soltanto non faceva nulla, perch ai propri occhi la sua individualit non possedeva alcun valore. Ora che anche suo padre era scomparso, Norberto si era fatto pi discreto di un tempo, e zia Doralice ne era piuttosto contrariata. Perch non dici mai niente? gli chiedeva. Forse perch non ho niente da dire, zia. Non lo credo. Io parlo con la gente, ma soltanto dentro di me. E perch mai, stupidello? Non lo so. Doralice naturalmente non capiva. Lei era cordiale, espansiva, amava discorrere e avere contatti con le persone. Uno dei suoi crucci infatti era quello di vivere nel castello dei Cassinberg, ossia in un ambiente troppo grande in rapporto ai suoi sperduti abitatori. Le sarebbe piaciuto poter abbracciare un grappolo di figli o di nipoti, e invece con lei v'era soltanto Norberto, il cui atteggiamento, per di pi, era tuttaltro che incoraggiante. Se lo abbracciava e lo baciava, anche quando tornava da una lunga assenza, lui sembrava chiedersi perch mai lo facesse. Cos in Doralice quel desiderio subito si raffreddava, e lei doveva trattenersi. Del resto aveva cose pi serie a cui pensare. V'era in casa qualche difficolt economica, perch l'unica rendita di una certa consistenza era quella che veniva dal brevetto di Lanfranco. Infatti l'officina era stata venduta subito dopo la sua morte. A Monterosso ben pochi, tranne la gente di casa, poteva parlare dell'invenzione senza far seguire le parole da un sorriso di compatimento. Si contavano sulle dita quelli che credevano che un meccanico sconosciuto potesse essere arrivato l dove non erano giunte le ricerche sovvenzionate delle pi grandi fabbriche dell'Occidente. Invece l'invenzione di Lanfranco aveva una indubbia efficacia, e perci aveva trovato recentemente un'applicazione importante in Scandinavia. Adesso non v'era quasi

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peschereccio norvegese, danese, svedese e finlandese dove la magica scatola di Lanfranco non fosse stata usata con notevole risparmio di carburante e diminuzione di gas velenosi. Era una cosa molto piacevole per gli eredi. V'era un piccolo esercito di capitani di battello, con gli impermeabili gialli o grigi e il cappello da balenieri, che pescavano lo stoccafisso usando motori dotati del congegno elettronico inventato da Lanfranco. Ai Cassinberg a volte giungevano lettere scritte in inglese dalla ditta che aveva acquistato il brevetto. Soprattutto lo assicuravano i guadagni che giungevano alla banca di Norberto e Doralice ogni dodici mesi. Se la famiglia poteva vivere con relativa tranquillit, e Norberto frequentare le scuole superiori, era dovuto al fatto che la scatola di Lanfranco faceva silenziosamente il suo dovere in centinaia di battelli da pesca che solcavano il mare del Nord e il golfo di Botnia. Norberto provava un intenso orgoglio postumo per suo padre. Al giovinotto pareva che una fiammella della misteriosa sostanza spirituale di Lanfranco sopravvivesse in ogni peschereccio scandinavo, e ci sarebbe durato nel mondo finch ci fosse stata della gente che si nutriva volentieri di stoccafisso. Grazie all'invenzione del padre a lui e alla zia era assicurata una vita modesta ma dignitosa. Per questo non poteva sottrarlo al pensiero che lui stesso doveva mettersi al pi presto a guadagnare. Perci in Norberto avveniva un fitto lavorio mentale, di cui nessuno era in grado di apprezzare l'intensit. Forse qualcuno riteneva che non fosse neppure in grado di lavorare, per certe apparenze che inducevano in errore, come l'attitudine a tenere la bocca troppo aperta, o gli occhi lievemente orientali. Fortemente miope, Norberto senza occhiali era perduto. I compagni si divertivano a nasconderglieli, per vederlo brancolare con gli occhi semichiusi, come un pesce che non riconosce pi la sua ansa di fiume. Allora Norberto diventava rosso in faccia, per l'emozione e l'ira, e scivolava anche dentro il territorio sgradevole della balbuzie.

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Sotto l'impulso di sentimenti molto forti la sua parola, gi scarsa e inceppata, si ingorgava come il liquido nel collo di un fiasco rovesciato. Se fosse intelligente o sciocco era un problema di non facile soluzione, e infatti i professori finivano per parlarne a ogni consiglio di classe A volte, quando era interrogato, non apriva quasi la bocca, come non avesse dato al libro neppure un'occhiata. Tutti erano certi che, al contrario, avesse studiato con molta diligenza, come era nella sua natura. La verit era che a volte quella di esprimersi era per lui una difficolt al di sopra delle sue forze. La timidezza gli provocava improvvise emicranie, quasi dei conati di vomito, come fosse la conseguenza di un rifiuto del reale, nella sua totalit, perch a esso si sentiva inadeguato. I malesseri certe volte avevano inizio prima ancora di uscire di casa. Zia Doralice lo teneva d'occhio e si sentiva responsabile per lui. Stai poco bene, Norberto? gli chiedeva. Ho lo stomaco in disordine. Ho capito. Devono interrogarti in qualche materia? Veramente s, ma questo non c'entra. Allora resta a casa, per oggi. Era una cosa molto irritante, e la sua finestra dava sul cortile della vilt. Non voleva cedere, e si recava a scuola regolarmente. Era un po' indispettito che sua zia lo trattasse come fosse ancora uno scolaretto. Per i compagni era una specie di babbeo, dotato di inesplicabili conoscenze. I suoi scrupoli in ogni cosa lo collocavano sempre in fondo alla fila, e dissolvevano le sue chance in ogni circostanza, escludendolo in partenza da tutte le avventure dei compagni, che lo lasciavano in disparte, come se non esistesse. Ciascuno era convinto che le ragazze non lo attirassero solo perch, a differenza degli altri, non cercava di mettere loro le mani addosso, n di spiarle nella loro intimit. Cos, in modi molto naturali, divent il reggitore di candele nelle storie amorose che si venivano annodando e sciogliendo tra corridoi e aule scolastiche. Per la sua totale

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discrezione raccoglieva le confidenze spontanee di molti. Su ci che veniva chiamato "il vivere del mondo", come si gi ricordato, aveva informazioni eccellenti, anzi sovrabbondanti. Doralice non glielo aveva mai spiegato, e lui pareva privo di curiosit, nel campo dell'eros; per glielo aveva esposto Rebecca, con larghezza di particolari, quando entrambi avevano solo sette anni, ossia nell'et in cui si pu credere ancora a qualsiasi leggenda. Non ci aveva neppure badato pi di tanto, e che i bambini nascessero sotto i cavoli o dal ventre delle madri per lui era in fondo la stessa cosa. La sua attrazione per l'altro sesso era del tutto normale e ci che lo tratteneva dall'esporsi, invece, era il timore di offendere, di combinare disastri, e soprattutto di essere respinto perch indegno di attenzione. Doralice non si preoccupava neppure della questione, da quando si era accorta che il nipote possedeva informazioni precise, ben connesse e pi complete delle sue. Lei preferiva occuparsi della casa, dei ricami e dei merletti, cui si dedicava tranquillamente, come ima signora dell'Ottocento. Nel liceo qualche buontempone, anni prima, aveva diffuso voci stonate sulla credulit di Norberto, per cui i compagni si sentivano autorizzati a fargli i discorsi pi strampalati. Egidio soprattutto. Una volta cerc di convincerlo che esistevano casi molto rari di gravidanze che duravano sette anni. Sette mesi, vorrai dire replic Norberto. Non ci credi? Lo sai che c' un mago americano che mette incinte le ragazze soltanto con lo sguardo? Certo. Sono gravidanze psicologiche. Somatizzaziorii. Egidio rimase un po' sorpreso, perch questa parola gli era sconosciuta. Gli raccont allora che gli spermatozoi degli uomini avevano la forma di bambini in miniatura, e se venivano osservati al microscopio si potevano scorgere in loro la testina, le braccia, le gambe, e persino la piccola cosa che stava tra esse. Tutti i ragazzi risero, tranne Norberto, e da ci alcuni dedussero che forse ci aveva creduto. Ma il ragazzo li tolse presto da quell'illusione. Lui il

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microscopio ce l'aveva per davvero. Era appartenuto a suo padre, l'inventore, che aveva dovuto servirsene spesso per fabbricare la scatola magica che facilitava la combustione della benzina nei motori. Con il microscopio Norberto aveva osservato un'infinit di cose, le ali di una mosca, gli occhi di un'ape, le antenne di una formica. Raccont che con un altro tipo di microscopio, quello elettronico, si poteva osservare il DNA di ogni cellula, e quindi anche dello spermatozoo. E cos'era il DNA ? Era la spirale della vita. Era un acido organico, che conteneva tutto il progetto di sviluppo dell'uomo. Cos lo spermatozoo poteva per davvero essere visto come un bambino in miniatura, anche se in modi molto diversi da come Egidio raccontava. Inventandosi una cosa per ridere alle sue spalle Egidio aveva in certo modo colto nel segno e azzeccato una straordinaria verit. I ragazzi ci pensarono su, stupiti che Norberto sapesse quelle cose, e che per lui fossero dotate di grande interesse scientifico, mentre per loro erano soltanto materia di riso, di malizia e di erotiche fantasie. Veronica era rimasta colpita dalle parole del ragazzo. Le era parsa una meraviglia straordinaria che nel seme ci fosse gi, tutto intiero, il piano della vita, e la capacit della materia di progettare se stessa, per creare organismi viventi. Ancora una volta, e pi intensamente, riflett che doveva esistere un'intelligenza assolutamente incomprensibile che, pur non avendo un intelletto per ragionare e pianificare le cose come l'uomo, tuttavia ragionava e pianificava ci che per noi non era nemmeno pensabile. Veronica si sent percorsa dallo status magico cos spesso sperimentato. Era in sostanza l'intuizione che a monte degli esseri viventi, nella natura, esisteva un'arcana progettualit, con la quale lei si era sempre sentita in profonda armonia. Veronica stessa, come tutti gli uomini, era un frutto di quella pianificazione. Prima di lei, di sua madre o di sua nonna, infinitamente prima di ogni possibile antenata, venivano i piani estremamente complessi della natura.

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Di ogni cosa esistente v'era il progetto, dell'albero come del topo, del lupo come dell'uomo; esisteva il piano gi tutto intiero nel polline, nell'uovo, e tutto veniva concepito, cresceva e si sviluppava secondo la spirale del DNA. La sua stessa vita biologica si svolgeva secondo una regia misteriosa, che consisteva nella struttura dell'acido miracoloso. E per la natura, e per i corpi viventi, generare del seme, le cui cellule contenevano gi tutto intiero il piano della vita, era la cosa pi facile del mondo. Era una magia senza confine. Veronica pens a tutte queste cose, e ne concluse che il suo DNA era pi complesso di quello degli altri, perch riusciva a fare tante cose oltre i limiti di natura. Le venne in mente che forse il progetto sepolto nel suo DNA era simile a quello di Giovanna d'Arco, la sua misteriosa sorella di cinque secoli prima. Anche Jeanne sentiva delle voci misteriose, come lei. Aveva trovato sulla bancarella di un mercato un libro di Charles Pguy su Jeanne, e ne era stata subito potentemente attratta. Prov per la ragazza francese una simpatia cos forte che le lacrime le salirono agli occhi. Forse anche a lei, Veronica, era riservata la sorte di morire per fuoco, come Jeanne. Gi il fulmine ci aveva provato, a bruciarla, senza riuscirci. Ma no, cosa andava a pensare? Lei, invece, doveva vivere per s e anche per Jeanne; doveva portare a maturazione il destino di Jeanne, che non aveva potuto fiorire fino in fondo in qualche villaggio francese, accanto a un fiume tranquillo della Lorena. Forse era quello il piano remoto di Jeanne. Appena liberata la Francia, fatto incoronare il Delfino, figlio del Re pazzo, Carlo VI, e guidato gli eserciti a cacciare gli inglesi, nella giornata d'Orlans, lei sarebbe tornata nel suo villaggio, per sposare il giovinotto che amava e avere dei figli da lui. Realizzato il suo compito, la castit non serviva pi, e Jeanne tornava a desideri di ragazza piena di vitalit, come Veronica stessa, che tra l'altro adesso aveva esattamente la medesima et della Pucelle, quando era cominciata la sua incredibile avventura.

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Forse, come Giovanna, anche lei aveva un compito assegnato dal destino, solo che non sapeva ancora quale fosse. Quando avesse conosciuto l'amore, l'avrebbe fatto anche per Giovanna, cui era stato negato per sempre dal rogo di Rouen. Era convinta di essere arrivata a una arcana maturazione. Era nella pienezza dell'et, e il sole aveva raggiunto il culmine dell'arco nel suo cielo privato. Era tempo che le succedesse qualcosa nel territorio dell'amore. Forse era gi innamorata, ma non lo sapeva nemmeno. Per lei l'amore veniva molto prima dello studio. Aveva momenti di attrazione per un certo numero di ragazzi, e non solo quelli conosciuti a scuola. Non era difficile stringerla fra le braccia e baciarla, perch era quello per lei il modo di riuscire a trovare l'uomo giusto, una specie di assaggio e di anticipazione. I suoi approcci fuggevoli e subito dismessi erano numerosi. Cos fu ribadita nella scuola e a Monterosso la voce che fosse una ragazza di facile costume. Molti affermarono di averla vista con ragazzi in luoghi appartati, una soffitta, la cabina di un camion, uno sgabuzzino per le scope, il retrobottega di un negozio. Si fece un gran parlare di un armadio di grandi dimensioni che stava nel corridoio della scuola da tempo immemorabile, e non serviva praticamente a niente. La fantasia di Veronica gli aveva subito trovato un impiego. Cos un bidello lo apr casualmente, e scopr dentro lei ed Egidio teneramente abbracciati. Veronica ebbe la presenza di spirito di tirarsi sul viso i lunghissimi capelli, per rendersi irriconoscibile, ma quando la voce si diffuse non fu difficile arrivare alla sua identificazione. Non erano molte in tutta la scuola le ragazze dalla chioma color fiamma come la sua. Questa voce provoc reazioni scandalizzate. A qualcuno si rizzarono i capelli in testa; Dio mio, era quella la ragazza che sentiva le "voci", quando saliva in alta montagna, vicino al rifugio Edelweiss? Era quella che tutti si aspettavano si chiudesse in convento? Coloro che avevano sperato vi fosse un incremento nel destino turistico di

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Monterosso, e che il paese potesse conoscere una notoriet di natura religiosa, furono crudelmente delusi. Per costoro fu chiaro in modo definitivo che Veronica era soltanto una visionaria o una bugiarda.

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XI Le donne

Se due benpensanti s'incontravano e il loro discorso scivolava su Veronica, subito cominciavano a crollare malinconicamente la testa. Io me la sentivo diceva uno. E io pure. Mai visto un segnale di santit, in quella ragazza. Neppure un indizio. Se poi si pensa da che famiglia proviene... Gi. Ah, le Veroniche dei secoli andati! Il discorso seguitava traballando, tra scuotimenti di testa e profondi sospiri, un po' desolati ma anche compiaciuti. Addio speranze che Monterosso diventasse qualcosa di simile a Lourdes o a Fatima! A molti pareva piuttosto che il contributo di Veronica fosse quello di spingere il destino del paese nella direzione di Ninive o di Babilonia. Ma anche questi si sbagliavano in modi grossolani, e Veronica, nonostante esuberanze sentimentali, era devota e continuava a frequentare la Cattedrale. Nel duomo di Monterosso dominavano ancora i muri massicci, come nel romanico, forse perch sorgeva in una zona dove difendersi dal freddo era una necessit. In pi quella era anche una regione di terremoti. Tuttavia l'architetto che l'aveva disegnata, Ulderico di Cassinberg, frate del Tempio, aveva concesso al nuovo stile, che veniva dal Nord, tutto quello che era possibile concedere. Il gotico si rifugiava soprattutto nei particolari, per esempio nei doccioni e nelle canalette di pietra dei contrafforti,

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scolpiti da lapicidi locali, i quali avevano scatenato la loro fantasia nel modellare diavoli, unicorni, chimere, draghi, leoni, caproni, o nel portale dalla profonda strombatura, che rappresentava scene della Bibbia; o nei finestroni alti e solenni, contornati di pietra scolpita e chiusi da vetri multicolori. Anche l'interno della Cattedrale era uno splendore. Il pulpito di pietra e l'arca, che chiudeva le spoglie mortali di un Patriarca, erano degni dello scalpello di Nicola e Giovanni Pisano. Ma ci che pi incantava il visitatore erano gli affreschi del coro e dell'abside, dipinti da un geniale seguace dell'Altichiero, e di cui purtroppo s'era perduto il nome. Erano scene tratte dalla vita della Vergine, ricavate anche dalle favole dei Vangeli apocrifi. In quegli affreschi v'era un lontano ricordo della maniera giottesca, rivolta all'amore per la realt e al gusto della vita concreta che il sigillo dominante dell'Altichiero. Per nei cieli di lapislazzuli, nei castelli rossastri e nei cavalli lilla o azzurrini v'era anche un forte richiamo fiabesco. Era un ciclo pittorico straordinario, e studiosi e appassionati dell'affresco venivano da lontano per vederlo. Veronica si recava spesso nella Cattedrale anche per questo. Non era la basilica di Chartres, n quella di Reims, n Notre-Dame di Parigi, n quella di Bruges, ma tuttavia era una gran bella chiesa, costruita nella stessa epoca in cui in tanti luoghi d'Europa erano cominciate a sorgere cattedrali dedicate a Nostra Signora, per l'entusiasmo di san Bernardo e dei monaci templari. Veronica era sempre devotissima alla Madonna, anche se la memoria delle "voci" udite in alta montagna si era un po' affievolita, e se il fenomeno restava per lei assolutamente misterioso. Monsignor Redento le disse una volta che Maria era la madre di tutti. Io la sento come una sorella disse Veronica. Perch? chiese il sacerdote con una certa sorpresa. Non saprei. L'ho sempre sentita cos. Una sorella maggiore.

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E va bene. Va bene anche cos. C' un sentimento molto forte in me, in questo senso. Un sentimento di fratellanza? Io direi, piuttosto, di "sororit". E' una parola che non esiste sorrise Monsignore. Perch la lingua maschilista. Ma sono convinta che il sentimento di fratellanza delle donne pi ampio e pi diffuso di quello degli uomini. Meriterebbe d'essere chiamato come dico io. Fai come vuoi. L'importante possederlo. Veronica con intensa commozione pens alle donne di Monterosso che avevano combattuto la loro battaglia femminile, dichiarandosi tutte streghe, allattando i loro figli in chiesa, togliendosi una sottana nella piazza del Palazzo comunale, o tentando di scalare una montagna su cui non salivano neppure gli uomini, all'inizio dell'Ottocento. Decisamente, si sentiva una di loro. La nonna non esercitava pi la professione di notaio, perch la legge le aveva imposto la pensione, per limiti di et. Cos l'attivit era stata improvvisamente sostituita dal non saper come passare il tempo. Come spaventata, invasa dall'ansia per quel "vuoto" improvviso, s'invent un altro lavoro, che consisteva nel progettare viaggi in ogni continente. Matilde si era resa conto all'improvviso di aver trascorso quasi tutta l'esistenza a Monterosso. Una grande finestra panoramica si era spalancata davanti a lei, e nella sua cornice si affollavano i luoghi pi famosi del mondo, di cui aveva sentito parlare per decenni, e che aveva sognato di visitare. Progett di vedere le rovine degli imperi inca e azteco, ma poi devi il suo interesse verso la pi umile archeologia di Spina, citt etrusca alle foci del Po. Decise di recarsi in Grecia, ma poi si content di visitare l'Arena di Verona. Qualcosa non funzionava nei suoi progetti. I viaggi abortivano, si restringevano, si ridimensionavano, e Matilde si rese conto che voler vedere il mondo alla sua et, con le noie della salute e degli anni, era un'impresa scor

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butica e irta di difficolt. Cos cominci a rinunciare ai viaggi veri e propri, contentandosi di studiare il loro progetto. A tutte le agenzie di viaggio rivolgeva la medesima preghiera, ossia di spedirle i loro opuscoli, ed ella veniva sempre gentilmente esaudita, in vista di futuri guadagni. Cominci a esaminare minutamente mucchi di fascicoli turistici, con un'ansia lievemente ossessiva. Voleva cose opposte e inconciliabili, ossia trovarsi a Parigi o a San Francisco, ma nello stesso tempo anche a casa per difendere e proteggere Veronica, contro la quale vedeva sollevarsi sottili minacce di ogni genere. Poich la nipote era molto vivace e appariscente, lei scorgeva la figura di un ladro in tutti i giovani che potevano progettare di portarla via, con la scusa del matrimonio. Pensava alla sua come alla famiglia che non c'era pi. In casa Castenetto v'erano pi ombre di morti che presenze di vivi. Per ragioni misteriose Veronica era rimasta senza padre. E la povera Emma, come era finita? Meglio non pensarci. La famiglia di Veronica era lei, adesso. Era una responsabilit superiore alle sue forze, e non sapeva come essere all'altezza. Queste cose non le pensava in modo costante, ma soltanto quando usciva dal mondo colorato e patinato dei cataloghi turistici, e recuperava nel pensiero le realt pi vicine e quotidiane. Ogni tanto cadeva in un incantamento nebbioso, e guardava davanti a s senza vederle. Che hai, nonna? Stai poco bene? si preoccupava Veronica. No. Perch me lo chiedi? Sembri assente. Sembri chiss dove. Sto pensando a cose mie. A cose nostre. Senza neppure piegare lo sguardo, diceva con voce uguale che c'era un mondo dei vivi e un mondo dei morti. In questo senso tutte le famiglie erano complete, e loro due lo sapevano da sempre. Ma questa consapevolezza era insufficiente. Ambedue avvertivano il gran vuoto che le circondava. Il sussurro delle ombre era esilissimo, im

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percettibile, e forse solo una come Veronica era in grado di sentirlo. In forme tenui e rarefatte, lei vedeva la precariet e l'incertezza della sua situazione. Finito il liceo, non sapeva come pianificare il suo futuro. La vocazione pi forte era quella di formarsi una famiglia. No. Devi prima frequentare l'universit disse la nonna. E se invece mi cercassi un impiego? ribatt Veronica. Ora il tuo lavoro quello di studiare. Non temere. Vivr abbastanza per mantenerti agli studi e vederti laureata. I mezzi non ti mancheranno. L'universit? Ma quale facolt? In quel momento in lei v'era un'assenza desolante di "voci" e di suggerimenti interiori, e l'idea di possedere un compito s'era grandemente sbiadita. Essere consigliati e sostenuti era una cosa molto bella e piacevole, e perci prov per la famiglia perduta un'intensa nostalgia. Sempre le tornavano in mente i preparativi di Emma per il suo ultimo viaggio, che era stato un andare incontro alla morte. Cerc di parlare con la nonna, ma lei sembrava assente, incapace di darle ascolto. V'era in Matilde come una stranita intermittenza, per cui ora era affettuosa e pronta ad ascoltarla, ora persa nei suoi progetti chimerici. Con chi poteva parlare e confidarsi? Con Egidio? Ma anche lui era rivolto ad altre cose. Frequentava la facolt di giornalismo a Urbino, e questa per lui era per il momento la faccenda di gran lunga pi importante. Cos Veronica preferiva parlare dei suoi problemi con i morti di famiglia e aspettare una risposta da loro. Essa non si fece attendere. Una notte la ragazza sogn Emma, che dall'obl di una nave che passava al largo, le diceva sussurrando: Architettura! Architettura? Ne sei convinta? chiese Veronica. Certo. Dove sono io non esistono incertezze. Va bene. Far come dici. Grazie, mamma... Ma Emma non le badava pi. Era rientrata nella nave

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immensa, che correva in un mare sterminato, di colore quasi nero, perch era una notte senza lima. La sua forma era disegnata in qualche modo dalle infinite luci degli obl, disposte parallelamente lungo i vari ponti, dalle luci delle murate e dalle plance, e correva lontano per perdersi nel buio. Era davvero lo spirito di Emma che aveva parlato, o era una parte della mente di Veronica, che aveva dato una risposta a se stessa? Almeno una cosa era chiara, ossia che Veronica non conosceva strati intieri del suo spirito e v'erano livelli di pensiero ignoto, che lei veniva conoscendo un po' alla volta, con esasperante lentezza. Veronica era un enigma a se stessa, inserito in un altro, infinitamente pi vasto, che era l'arcano del mondo medesimo. Gi che sapeva di s e dell'Essere in generale era come una candela per illuminare la notte di una citt medioevale. Era la fiammella che i ragazzi di Monterosso mettevano dentro la zucca.vuota, nell'androne scuro delle case pi antiche, la notte dei morti, o nei giorni culminanti del carnevale. Le cose note servivano soltanto a dare una vaga sensazione della dimensione smisurata di quelle sconosciute. Si iscrisse alla facolt di architettura a Venezia e la frequent senza difficolt. Le lezioni universitarie provocarono in lei, per reazione, quasi per compenso, un desiderio pi forte di sentieri, di boschi e di montagne. Di ritorno da Venezia era pi che mai attratta dalle faggete che in autunno trasformavano la collina di Monterosso in una sorta d'incendio dalla fiamma color cuoio scuro. Di colpo le parve di capire perch Monterosso si chiamasse cos. I laghetti e le pozze d'acqua che si trovavano in alto avevano per lei la stessa attrazione che possedevano sulle agne delle fiabe popolari. Per le dava un certo disagio essere sempre sola, da quelle parti. Desider di avere accanto a s misteriose sorelle, conosciute in altri tempi e ora scomparse. In montagna alzava spesso il capo come per vedere se c'erano, ma quel gesto non faceva che ribadire la sua solitudine. Qual

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cosa dentro di lei sviluppava la sensazione dispersa, appena percettibile, di aver sbagliato giornata e di aver permesso che le sorelle del bosco l'avessero aspettata invano. Erano state in attesa di lei, sedute su grandi tronchi caduti, o ai margini di uno stagno, scherzando e giocando tra loro, risciacquando le lenzuola del loro bucato, e poi, stanche dell'aspettativa frustrata, si erano dileguate per cento sentieri diversi, e si erano dissolte nell'aria. Forse erano tornate in Germania, o si erano radunate sulle cime di una montagna, oppure dentro la miniera abbandonata. Erano fate laboriose, le agne, perch erano state pensate dall'immaginario collettivo di un popolo che amava il lavoro, e modellate sulla figura di donne di casa. Forse le sorelle c'erano ancora, ma disperse qua e l, con aspetto mutato. S'erano fatte lepri, linci, volpi, marmotte, trasformate da un mago mille volte pi potente di Merlino o di quello di Oz. Lei, anche come donna, era ima medium del prodigio sterminato dell'universo. Dopo la fine del liceo, Norberto non era mai pi venuto a casa sua, cos toccava a lei salire al castello semivuoto dei Cassinberg. Egli a volte usciva dal suo bozzolo di giovane riservato e aveva delle cose singolari da raccontare. Un giorno si diffuse a descrivere la storia del ritorno di un suo antenato dalla sventurata campagna di Russia. Si chiamava Ubaldo; si era infatuato di Napoleone e delle sue fortune, e cos, quando il Corso aveva fatto suonare le sue trombe in Italia, si era lasciato sedurre ed era diventato un ussaro. Si era trovato coinvolto in tutte le grandi battaglie napoleoniche, da Austerlitz alla Beresina. Solo a questo punto aveva fatto ritorno in patria, tra mille difficolt, salvando la vita per puro miracolo, carico di delusione. Era arrivato, nel ritorno, fino al lago dei Tre Comuni, e l'aveva trovato intieramente ghiacciato. L'inverno del 1813 era stato freddissimo, e tutti i laghi della regione erano stati sigillati dalla morsa del ghiaccio. L'ussaro aveva tentato di estrarre la sciabola dal fodero, per tagliarsi una fetta di carne di capra, ma essa era gelata, co

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me tutto ci che lo circondava. Il suo cappotto liso e lacero lo riparava malamente dal freddo. In basso era anche bruciacchiato e attraversato da un foro. L'ussaro era tornato, con la morte nel cuore, nel castello dei Cassinberg, diventando il primo del suo casato a capire che un'epoca storica si era irrimediabilmente conclusa. Niente pi sogni di nobilt e di gloria, e i Cassinberg, diventati a Monterosso uomini come gli altri, dovevano guadagnarsi la vita giorno per giorno con i mestieri e le professioni di tutti, e con molta fatica. Per avevano continuato a vivere nel castello, nonostante i suoi torrioni vuoti e malridotti. Bench nei grandi stanzoni ci fosse al massimo un caminetto di pietra, un tavolo e lo strombo delle finestre, come elementi di arredo e di ornamento, lo spazio pareva in qualche modo occupato da persone che non c'erano, ma che erano state, ed erano vissute l dentro in molti secoli. Sembrava che esse fossero ombre discrete, fantasmi intimiditi da ogni evento o da ogni rumore. Appena un estraneo superava la soglia del castello, subito si ritiravano dietro le foglie dell'albero genealogico, dipinto da Norberto su una delle grandi pareti, e ridiventavano soltanto un nome e una data. Una sera Veronica suon il campanello di bronzo, dando uno strattone al fildiferro, e la zia and ad aprirle. La donna era tutta sottosopra. Che successo, Doralice? le chiese con apprensione. Abbiamo avuto un'invasione di vespe! Era un evento quasi periodico, per cui aveva dovuto chiamare pi volte i pompieri. Ma a voce pi bassa le raccont che adesso erano soggetti a un'altra invasione, periodica anch'essa, e forse pi pericolosa della prima, quella di Rebecca. La donna vedeva la ragazza, sempre sguaiata e zingaresca, come un essere deforme e bugiardo. Raccontava menzogne anche su di lei. Allora non voglio saperle! esclam Doralice. Invece te le dico. Ecco, si trattava di questo, Rebecca aveva raccontato in

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paese che Doralice non era la vedova di un aviatore, caduto col suo aereo militare in un bosco della Normandia, durante un'esercitazione della Nato, come aveva raccontato la zia di Norberto. L'aviatore non era stato il marito, bens l'amante della donna. Costei portava l'anello al dito, per la sua vedovanza, ma era un abuso per ingannare i creduloni di Monterosso. Quel matrimonio, in realt, non era mai avvenuto. Alla povera zia di Norberto una simile maldicenza pareva peggiore dei malocchi e malefici che si attribuivano a Rebecca. Ah, che vipera! Che malalingua! Che pericolo per tutti, una creatura di quel genere! Doralice aveva anche un timore in pi, ossia che la malignit di Rebecca potesse avere effetti negativi anche su Norberto, perch era riuscita a stabilire un rapporto stretto con suo nipote. Gli stava addosso come una sanguisuga quando s'attacca a una vena. E perch Norberto non se ne libera? chiese Veronica. Perch? Lo sai pur com' fatto! troppo gentile per riuscirci. C' qualcosa tra di loro? Chi lo sa. Deve averle fatto una promessa. E lui per niente al mondo mancherebbe alla parola data. Tu lo conosci bene...

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XII Arlecchino

Veronica si propose subito di far qualcosa per salvare l'amico. Sapeva per esperienza che Rebecca era una presenza sgradevole, che guastava persino l'aria attorno a s e la rendeva pesante. Mentre guardava il paesaggio da una finestra, Doralice spar. Veronica non ud i suoi passi, ma voltandosi s'accorse di essere rimasta sola. Sorrise e si mise a cercarla, sentendosi un po' come una smemorata, o una sonnambula, perch il castello era troppo grande e lei non riusciva mai a ricordare la successione di stanze, stanzoni e corridoi. Sal delle scale ripidissime e si trov di fronte una porta chiusa, di legno grigio, corrosa dal tempo. L'apr. Dentro la stanza Norberto stava dipingendo su una tela un quadro di cui teneva sotto gli occhi una grande riproduzione a colori. Si trattava di una Adorazione dei Magi. Veronica ebbe subito l'impressione di aver gi visto il dipinto da qualche parte. La luce del riflettore illuminava soltanto il pittore, la tela e la fotografia che veniva copiando, mentre il resto dell'ambiente rimaneva in ombra. Norberto, un po' sorpreso, rest col pennello in mano. Non sapevo che tu fossi pittore disse Veronica. Non sto dipingendo. Sto solo facendo una copia. Il quadro di chi ? Di Gherardo delle Notti. E perch lo rifai? Per conoscerlo bene. E forse anche per altre ragioni...

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una copia perfetta. Sei molto bravo. S. una cosa che mi riesce bene. Non v'era dubbio. La fedelt all'originale era grandissima. A Veronica Norberto non pareva un pittore, ma piuttosto un illusionista, come se il rifacimento non fosse stato eseguito con pennelli e colori, ma con sistemi alchemici. Sapeva che esistevano quadri dipinti in trance da medium che non s'intendevano affatto di pittura. La tela di Norberto, ormai finita, non era sbiadita, smorta e banalizzata, come per solito accade nelle riproduzioni, ma viva e in certo modo pi vera dell'originale. La pennellata era fresca e lo stile un po' mosso e impressionistico, anche se molto fedele. Ci volle un po' di tempo perch Veronica riuscisse a smaltire la sorpresa per la scoperta. Ma perch dipingi di notte, con la luce artificiale? gli chiese. I caravaggeschi sono pittori della notte. Nei loro quadri c' sempre una luce notturna. Veronica guard e riguard la tela, con inesausta curiosit. Non era la prima volta che Norberto la lasciava a bocca aperta. Non riusciva a conciliare quell'abilit prodigiosa con la sua personalit sbiadita, sempre inadeguata alle situazioni della vita, n con i suoi occhi lievemente orientali. Ma, in quel lavoro, le parve di cogliere pure qualcosa di tipico del suo ex compagno di giochi, perch si rese conto che la sua fatica pittorica non aveva alcuno scopo. Forse Norberto l'avrebbe esposta in uno degli stanzoni spogli del castello, per dargli un minimo di vita e di ornamento. Comunque, poich il quadro senza dubbio aveva richiesto chiss quanto tempo e impegno, pareva fosse la testimonianza viva e concreta della mentalit priva di senso pratico del giovinotto. Per un attimo stabil un rapporto tra l'abilit incredibile di falsario, che Norberto dimostrava, e quella di certi calcolatori prodigio, che eseguivano mentalmente conti complicatissimi, senza alcuno scopo

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n utilit, perch i computer a pila erano pi veloci e pi esatti di loro. Per solito quei tali erano individui privi di genialit e di inventiva, strani scherzi della natura. Guard Norberto con un sentimento di sottile piet, perch continuava a vivere nell'irrealt, come quando era un bambino. Prov un gran desiderio di svegliarlo e di farlo entrare finalmente nel mondo reale. Come? Quale poteva essere il mezzo pi adatto? Veramente un'idea ce l'aveva, portarlo con s nella sua stanza da letto e fargli scoprire la donna, che per lui era ancora un essere ideale, caricato di troppe perfezioni. Forse una notte in quel castello silenzioso e troppo disabitato lo avrebbe destato e tirato fuori dalla sua astrazione, ma non si poteva. L'amore era sacro, era il mistero sovrano della natura, e con esso non si poteva scherzare. V'era anche dell'altro, qualcosa che aveva quasi difficolt ad ammettere e a pensare. Norberto svegliava sempre in lei un sentimento che s'avvicinava piuttosto alla fratellanza, o meglio alla "sororit", che all'amore. Forse era dovuto al fatto che aveva pensato a Lanfranco, il padre di Norberto, come a un possibile padre anche per s. Eppure era convinta che doveva fare qualcosa per Norberto, che dormiva in un bosco incantato fin dalla nascita. Hai copiato altri quadri? gli chiese. S. Un certo numero. Vuoi vederli? Ma sicuro. Norberto li alline contro la parete della soffitta, e orient verso di loro la luce del riflettore. Veronica credette di sognare perch si vide sotto gli occhi una serie di capolavori della pittura, che s'erano radunati da alcuni dei musei pi noti del mondo nella soffitta di Norberto, come per un fenomeno di bilocazione. Erano tutti quadri di dimensione abbastanza modesta, le cui misure reali erano state per fedelmente rispettate. A Veronica venne da sorridere perch il lavoro di Norberto le parve di quelli che

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mettevano l'autore al riparo da ogni pericolo di guadagnare dei soldi. Non poteva certo ricavare quattrini copiando alcuni dei quadri pi celebri del Prado, del Louvre, degli Uffizi, del British Museum o dell'Ermitage. Forse il suo destino era quello di essere mantenuto con il brevetto di suo padre fino alla fine dei suoi giorni. Il pane non gli sarebbe mai mancato finch ci fossero stati dei battelli da pesca sui mari del Nord. All'universit Veronica cominci a rendersi conto che ci che le interessava veramente non era l'architettura moderna, bens quella primitiva e spontanea delle campagne. Proprio perch usciva spesso dalla sua citt per recarsi a studiare in un'altra, cominci a sentire che era Monte- rosso il luogo cui aderivano le radici pi profonde della sua anima. Lo guardava con occhi diversi, attraverso le sue nuove competenze. Gli elementi architettonici cominciarono ad avere su di lei una suggestione che non era pi generica, come l'antica, ma molto pi ricca e motivata. Scopr che Monterosso era molto bella e che lontano da essa Veronica avrebbe perduto gran parte della propria identit. Lei apparteneva alla famiglia dei Castenetto, e questa a una casa che era inserita nell'urbanistica di Monterosso. Le due entit insieme formavano un'armonia che non si poteva a nessun patto intaccare. Le case attorno alla piazza principale erano tutte percorse da portici, dall'aria veneta e tranquilla. Erano dipinte di colori vivaci, rosso mattone, verde tenero, rosa ciclamino, viola delicato, terra di Siena. Gli uomini di Monterosso avevano un gusto del colore senza riscontro nelle altre citt della regione, e le sue case ricordavano un po' quelle di Murano e di Burano, o delle altre isole della laguna, dove erano nate perfino delle scuole di pittura perch i colori, le forme, le trasparenze e la luce sembravano determinare il destino stesso della gente. In essa tutto era singolare, le fontane di pietra, le scalette con le ringhiere che servivano per superare i dislivelli, tutti i particolari architettonici della Cattedrale, e persino la "co

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lonna infame", dove in altri tempi persone sospette, come le streghe e gli untori, erano state tenute alla gogna. Di notte alcuni riflettori illuminavano la facciata del Duomo, quella del Municipio e la fontana della piazza principale. Che quei fari avessero cominciato a gettare le loro luci nella notte a lei parve il segno che la gente aveva scoperto finalmente la bellezza della propria citt. Prima forse non molti se n'erano accorti, e infatti l'avevano abbandonata per andare a cercar fortuna lontano. Andarsene da Monterosso era quasi una fatalit, secondo Egidio. L'aveva pensato fin da quando era ragazzo, e giocava nella casa di Fabrizio Mattioni assieme a Veronica, Rebecca e Norberto. Ma allora sembrava cosa remota, di l da venire, mentre ora la situazione era cambiata. Egidio a Urbino aveva, se cos si pu dire, assaggiato il pomo della lontananza, e respirato l'atmosfera di un ambiente di alta cultura. Ogni volta che vedeva sparire all'orizzonte la collina del paese, gli pareva che il sangue gli corresse pi veloce e pi limpido nelle vene. Neanche Urbino era una metropoli e, per certi versi, aveva persino dei punti di contatto con Monterosso. Per gi il viaggio in s era un distacco e un evento positivo. Bisognava muoversi, abbandonare il proprio ambiente, perch viaggiare e vedere cose nuove era un po' uscire dalla propria antica pelle, o addirittura rinascere. Se fosse rimasto sempre a Monterosso si sarebbe sentito invadere da una forma di claustrofobia. Esagerato! disse Veronica. S, forse esagero replic Egidio, ridendo a bocca spalancata. Egli ammetteva ogni cosa che gli veniva imputata, perch sapeva bene, scaltramente, che la confessione implicava sempre il perdono. Per uscire dal proprio ambiente pu essere anche piacevole, a volte. Devi ammetterlo. Soprattutto per andare a Venezia o a Urbino. Gi. Forse quella la ragione. Ma dopo aver ammesso la sua tendenza all'eccesso, le iperboli di Egidio ricominciavano.

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L'ultimo anno di universit, a carnevale, pens che era venuto per lui il momento di organizzare qualcosa di memorabile. Aveva le tasche sempre piene di soldi, perch ricco di famiglia, ma anche per la sua tattica di Arlecchino servo di due padroni, che si faceva pagare dall'uno e dall'altro, tradendoli poi tutti e due. I due padroni erano suo padre e sua madre. Lui era un grosso commerciante di scarpe e lei proprietaria di un patrimonio ragguardevole. Infatti la sua famiglia aveva costruito una piccola centrale elettrica alimentata dalle acque del Duss, abbondantissime in ogni stagione. Essa era stata espropriata all'epoca della nazionalizzazione dell'energia e in cambio aveva ricevuto un cospicuo indennizzo. I rapporti tra i coniugi erano pessimi, e ognuno aveva sempre i propri "cahiers de dolances" da presentare all'altro, ogni volta che s'incontravano. Cos le incrinature s'erano fatte crepe, le crepe fratture, le fratture faglie e burroni, finch si era arrivati al divorzio, definitivo e irreparabile. La madre di Egidio era andata ad abitare in citt, in un appartamento lussuoso e fornito di ogni comfort. Il padre invece, pi laborioso e campagnolo, era rimasto a dirigere un immenso emporio di scarpe costruito ai bordi della strada nazionale, molto frequentato anche da stranieri di passaggio. Egidio possedeva scaltrite strategie e tattiche di comportamento per ottenere il massimo dall'uno e dall'altro dei genitori. Non si trattava in realt tanto di un Arlecchino servo di due padroni, quanto piuttosto di un padrone che sfruttava due Arlecchini. Quando stava con l'uno o con l'altra fiutava d'istinto i modi per irrobustire il suo conto in banca, facendo valutare al genitore che temporaneamente lo ospitava come fosse facile per lui, Egidio, passare all'altra sponda, che per ognuno di loro era una specie di trincea, data la situazione di guerra perenne. Cos giocava con i genitori un poker senza fine, nel quale vinceva sempre ogni posta. Decise di organizzare una festa, che doveva essere l'addio alla sua condizione di studente. Impazzava il carneva

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le scatenato e strepitoso di Monterosso. Egidio si butt a capofitto nella organizzazione e nella spesa. Era carico d'invenzioni e di spirito spumeggiante come se bevesse in continuazione da un'invisibile bottiglia di champagne. Ball con Veronica, in costume settecentesco, e poich lei si lasciava stringere tra le braccia, cominci a declamare dei versi in inglese. Questa una poesia che parla di treni... fece Veronica. Giusto disse Egidio ridendo. ... di un poeta americano. vero. Walt Whitman. Lo conosci? Io non conosco neppure l'inglese... E allora, come hai fatto a capirlo? Chi lo sa... Ma non era affatto un'intuizione qualunque e quotidiana, era una folgorazione di Veronica, ossia di quelle che gettano le loro radici in profondit abissali del mondo. Veronica stessa, bench abituata a violare molte leggi del reale, fu scossa dalla novit e dalla rivelazione improvvisa del suo spirito enigmatico, perch per la prima volta era stata in grado di capire una lingua a lei sconosciuta. Forse le era stata rivelata all'improvviso perch essa era stata ben nota a Osvaldo, suo padre, o a suo nonno, che aveva abbandonato Matilde e l'aveva tradita con donne americane. O forse perch era attratta fortemente da Egidio. S, era cos. Egidio l'aveva sempre molto impressionata, fin da quando lei aveva costretto le suore dell'asilo a esporre sul filo di ferro le grandi lenzuola bianche della resa alle sue trame di bambina. Egidio era cos bello che le ragazze di Monterosso gli avevano dato il soprannome di Errol Flynn, per via dei recenti baffetti. Se l'inconscio di Veronica, immensamente intuitivo, aveva sollevato il sipario che le nascondeva la lingua straniera che Egidio amava di pi, non poteva esserci che una sola spiegazione. Quel prodigio poteva essere stato operato soltanto dall'amore. Si allontanarono dal tavolato, insoddisfatti dei baci che s'erano scambiati, perch il campo d'azione delle loro

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labbra era limitato dalle maschere che indossavano. Veronica disse: Ventiquattro anni fa, mio padre e mia madre s'incontrarono proprio qui, nel medesimo posto. Lascia perdere i fantasmi. Tra noi due tutto diverso. Passarono insieme la giornata, e Veronica cap che il gran giorno era arrivato, e che l'amore aveva bussato con forza alla sua porta. Non aveva pi senso continuare a tenerla sbarrata a Egidio. Quella notte egli rest a dormire nella casa dei Castenetto, e se ne and soltanto all'alba, prima che nonna Matilde si levasse. Il suo istinto gli diceva di tenersi lontano da lei, perch le sue rimostranze l'avrebbero messo in forte imbarazzo. Veronica fu stupita e sorpresa da ci che le era accaduto. Si era maritata! Aveva celebrato nozze segrete, come era capitato anche a un paio di sue antenate, per ragioni di censo, di politica, o d'intrighi familiari... Lei non amava i segreti, tuttaltro. Le sarebbe piaciuto pubblicare con le trombe e i tamburi ogni cosa che la riguardasse, anche se minima. Le nozze erano una cosa importantissima, e senza uguali nella vita, come il nascere e il morire. Lei aveva inoltre la massima stima e considerazione di ci che viene chiamato il versante "rosa" dell'esistenza. Veronica riteneva che il suo matrimonio, anche se avvenuto di notte, senza alcun testimonio, nemmeno la nonna, fosse molto pi importante della laurea appena conseguita in architettura rurale. Essere una sposa segreta, come se il matrimonio fosse una sorta di congiura e di complotto, andava per contro tutte le sue attese e speranze. Lo dico almeno a Matilde propose a Egidio. Si metter a strillare rispose il giovinotto. Non credo. Mi vuole molto bene. Ma io per lei sono un estraneo. Far mille storie. Perci non dire niente a nessuno. Per ora una cosa che appartiene soltanto a noi due. La notte successiva Veronica port due cerchietti d'oro, e se li infilarono reciprocamente nell'anulare della sini

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stra. Per Egidio fu un gioco cui non poteva sottrarsi, mentre per lei fu un rito sacrale. Veronica teneva la fede di notte, e di giorno se la toglieva. Pens a quale delle sue amiche potesse fare la grande confidenza. Due di esse erano andate a vivere con un uomo, senza alcuna cerimonia, e anzi per loro maritarsi in forme solenni era cosa antiquata e quasi di cattivo gusto. Molti giovani ormai si univano e si lasciavano senza alcuna formalit, come si trattasse di cambiare un impermeabile. Ma per lei non era affatto cos. Ci che agli altri pareva normale e quasi scontato, a Veronica sembrava penosamente squallido e disadorno. La tela del suo cuscino assorb molte lacrime segrete, la prima notte che trascorse da sola. Perch Egidio non era venuto? Si rese presto conto che la sua era un'impostura, una situazione spuria, come un prolungamento del carnevale e della recita sul tavolato. Accenn a Egidio il suo desiderio di sposarsi con tutte le solennit previste dal costume, e lui non fu d'accordo. Io non ho ancora un lavoro. E tu nemmeno. Non siamo ancora indipendenti. E con ci? Mica siamo dei poveri.

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Per sposarci ci vuole una casa e un posto. Se no sono da preferire le nozze segrete.Ci che a lei dava fastidio non disturbava Egidio minimamente. Per lui il problema non esisteva, e non se ne dava alcun pensiero. Tutto il suo impegno era rivolto alla ricerca di un lavoro nei giornali. Veronica si sforz di trattare il suo problema come fosse un lenzuolo o un asciugamano che si stira, si piega e poi si ripone in un cassetto per quando servir. Si rassegn al fatto che le sue nozze dovessero avvenire in due tempi, come tante cose che le erano capitate, a cominciare dalla sua stessa nascita. Cerc di occuparsi d'altro, e soprattutto di ci che le stava maggiormente a cuore, nel presente, ossia le case contadine di Monterosso e dei paesi vicini. Per sempre le tornava in mente la questione delle nozze imperfette, che per

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lei erano qualcosa di stravolto e di deformato, che non riusciva ad accettare. Una sera Egidio le telefon con voce alterata dall'emozione. Aveva una novit da comunicarle, una cosa molto grossa, quasi incredibile, una fortuna nella quale non sperava nemmeno pi. E qual era? N no, per carit, al telefono non poteva dirla. Non era una di quelle che si possono affidare a una cornetta di plastica, doveva dirgliela a viva voce. Veronica esult. Certo Egidio aveva trovato una sistemazione, un lavoro ben retribuito, ed era venuto il momento di passare dalle nozze nascoste a quelle pubbliche. Egidio arriv trafelato, al colmo dell'entusiasmo, e disse finalmente in che consistesse la grande novit. Aveva vinto una borsa di studio negli Stati Uniti, ed esattamente alla Columbia University di New York. E hai deciso di accettare? Lo credo bene. Ma non puoi. Sei sposato. Appunto per questo. Un perfezionamento in America mi apre grandi possibilit. Non te lo immagini neppure. Allora vengo con te. Ma la borsa di studio non per sposati. Se cos, devi rifiutarla. Egidio non l'ascoltava nemmeno. Le obiezioni di lei gli sembravano un ronzio insignificante di zanzara, e non riusciva nemmeno a capire il suo modo di ragionare. Di fronte alla prospettiva di andare in America, il paese dalle infinite possibilit, all'avanguardia in ogni tecnologia e in ogni ricerca, qualsiasi problema acquistava le dimensioni del formicaio, e non gli pareva nemmeno dignitoso prenderlo sul serio. Le resistenze di Veronica gli sembravano lievemente folli, incomprensibili come una lingua asiatica mai sentita. E quando partiva? Tra un mese? No, domani stesso; aveva gi acquistato il biglietto dell'aereo e le valigie erano pronte. Per Veronica non v'era neppure il tempo di decidere alcunch, o di reagire in qualche modo meditato e

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progettato. Lui la salut, pieno di euforia, mentre lei si irrigidiva, e compiva sforzi affannosi per non permettere alle lacrime di tradirla. Ebbe voglia di fare con lui perlomeno una gran litigata, crivellata da accuse roventi e lancio di oggetti, insomma qualcosa degno di una donna di Monterosso. Ma nemmeno questo fu possibile, perch Egidio corse via, avendo mille cose da fare e preparativi da ultimare. Litigare da sola, sdoppiandosi in due, come quando era bambina, non era possibile, e cos Veronica si sent derubata persino della possibilit di sfogare una riserva di energie che reclamavano un'esplosione. Per giorni e giorni si aggir nel labirinto dell'indecisione, perch non sapeva se doveva recitare la parte della moglie con un marito emigrante, o quella della donna abbandonata, che reagisce e comincia a rivedere tutti i suoi progetti. In principio cerc di convincersi che Egidio non avrebbe potuto fare in altro modo. Era una occasione d'oro, non rinunciabile, e quindi lei non poteva far altro che attendere il suo ritorno, con pazienza, come tutte le mogli di emigranti avevano fatto da sempre. Forse all'inizio era stato anche l'atteggiamento di sua nonna, e solo in un secondo tempo le cose erano mutate, quando aveva cominciato a indossare la maschera della tragedia, con la bocca piegata verso il basso e gli occhi dilatati. Questo dur finch Egidio continu a scriverle regolarmente, e con il solito entusiasmo per il suo lavoro, che lo impegnava moltissimo. Disse che gli americani concepivano il perfezionamento come una corsa perpetua tra l'universit e il giornale, per l'apprendistato. Per fortuna lui conosceva gi perfettamente l'inglese, al punto che era in grado di correggere persino errori ortografici dei colleghi. Quando riceveva la lettera, Veronica si chiudeva in camera sua a leggerla e a rileggerla, anche se quasi subito l'imparava a memoria, e perci il foglietto scritto a macchina non era pi in grado di rivelarle alcuna novit. Entrava dentro una nuvola d'emotivit e s'immergeva nell'impegno lunghissimo della risposta. Pi le lettere di

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Egidio diventavano brevi, pi le sue si dilatavano. Cess di scrivere tanto a lungo quando cominci ad avere il sospetto che suo marito non leggesse nemmeno fino in fondo, perch non rispondeva a tono. Allora fu percossa da un'ansia d'impotenza e da un desiderio fortissimo di prendersela con qualcuno. Ma con Egidio era impossibile. Al telefono non lo trovava quasi mai, per la difficolt dei fusi orari, ma anche perch pareva non fosse dove sarebbe dovuto essere, e il suo lavoro includesse un massimo d'imprevedibilit logistica. Diventava sempre pi inafferrabile, come si fosse mutato in un'anguilla. Veronica cominci ad avere dubbi su se stessa, perch non era stata capace di trattenerlo e di legarlo pi saldamente a s.

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XIII La villa

Veronica pens che le mancava qualcosa, perch il suo matrimonio era gi zoppicante e pieno di fessure, incompleto, lontano dalla sua vera natura. In esso v'era un vizio segreto, che non riusciva a riconoscere. Si svilupparono in lei nicchie di tristezza, che ogni tanto arrivavano fino alle lacrime. No, cos non andava. Non si riconosceva pi. Non era pi Veronica, quella autentica, quella cui era abituata, ma una copia scadente di se stessa. Infatti, per ci che sapeva di s, era convinta di disporre di un'elastica autonomia, che la faceva sentire in armonia con se stessa e con il proprio destino. Cominci a raccontarsi storie a lieto fine di s e di Egidio, perch la letizia e l'allegria le erano indispensabili come l'acqua da bere. Decise che Egidio non le scriveva lettere pi lunghe di cos perch non aveva il tempo di farlo. L'universit, l'apprendistato in un giornale e tutto l'insieme di cose in cui era entrato non gli lasciavano gli spazi di libert sufficienti. L'America era un luogo pieno di richiami, da lontano, ma poi afferrava un estraneo, con i suoi tentacoli, gli spegneva progressivamente l'autonomia e lo costringeva a lavorare in modi affannosi, o forsennati. Con la scusa del garzonato certo il lavoro di Egidio veniva malamente sfruttato, cos lei sperava che avrebbe deciso di liberarsi dell'America, come si fa con un'organizzazione di malavita, e di tornare a casa sua. Tagliava tutti i le

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gami che lo stringevano, strappava le corde e saliva di corsa sul primo aereo, per ritornare. Altre volte immaginava una soluzione del tutto diversa. Egidio in America veniva riconosciuto per il suo talento, vinceva le gare coi giornalisti locali, e gli offrivano un posto importante in un quotidiano di grande diffusione. Un lavoro a sua scelta. Lui, naturalmente, decideva di fare il cronista dall'Italia, e subito chiamava sua moglie con s, in una citt come Milano o Roma. Ma quel finale non le piaceva, perch le grandi citt non le andavano. Era convinta che mai e poi mai avrebbe saputo orientarsi in esse. Non sarebbe riuscita nemmeno a imparare il nome delle strade. Le metropoli parevano come le altre citt, soltanto pi grandi, ma in realt erano labirinti dove una provinciale come lei si sarebbe subito perduta. Poi anche raccontarsi delle favole di questo tipo divent un'operazione noiosa, e cominci a cercare altri diversivi per le ore di libert. Con un'amica, una cugina di Rebecca, prese a frequentare le balere e le feste popolari, come prima che Egidio partisse. Si lasci attrarre dai fumi delle cucine all'aperto, dove ragazze della sua et friggevano salsicce o frittate dentro tegami di dimensioni vertiginose. Mangi bistecche tagliate dal bue arrostito in piazza, sopra un girarrosto gigantesco, tra bambini schiamazzanti e ragazze in minigonna. Le feste di Monterosso, dedicate a santi celebri, come Martino, o del tutto sconosciuti, come Ermacora, Fortunato e Cromazio, avevano qualcosa di molto vivace, per l'inclinazione della gente alla mascherata e al divertimento. Vi erano stati ospiti e osservatori venuti da fuori che avevano paragonato Monterosso, mutatis mutandis, alla citt di Napoli, per l'inventivit e la tendenza alla festa, e soprattutto per l'inconscio collettivo della gente, che si sbrigliava, scalpitando e strepitando, in tutte le direzioni. Durante il carnevale apparvero per le strade mascheroni fantastici di diavoli, streghe, draghi, unicorni, chimere, sfingi, che richiamavano le figure di pietra scolpite nella

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Cattedrale. Qualcuno pens che non fossero stati comprati chiss dove, bens fabbricati da abili artigiani locali. La cugina di Rebecca una volta convinse Veronica ad andare in una discoteca, gi in pianura. Costei era figlia del giostraio cui anni addietro era capitato un terribile incidente d'auto. Uno scontro frontale. Il suo cuore si era fermato, e l'avevano lasciato per molti minuti come morto in un corridoio dell'ospedale. Ma un giovane medico, tanto capace quanto ostinato, aveva cominciato a praticargli il massaggio cardiaco, e poi una gigantesca trasfusione, perch aveva perduto moltissimo sangue. Dopo una diecina di minuti il cuore dell'uomo aveva ripreso a battere. Insomma, era un redivivo, tornato di qua dopo una lunga passeggiata nei territori della morte. A Monterosso l'avevano considerato un miracolato. Mentre ballava gli occhi di Veronica erano offesi dalle luci guizzanti, che erano come un succedersi continuo di lampi al magnesio. I balli, anche se non li conosceva, li assimilava di colpo, come quando da bambina si era messa a danzare la tarantella, sul sentiero che portava al fiume. Era una ballerina nata. Nella danza sentiva il sapore di una liberatoria ritualit. Provava il piacere che il suo corpo si muovesse scioltamente nello spazio. Era come abbandonare il peso terrestre e trovarsi nell'anticamera della levitazione. Non erano quelli da discoteca i balli che le piacevano, che rispondevano al suo gusto, ma pazienza. Si adattava sempre a ci che passava il convento. A lei piacevano la tarantella, la monferrina, la polca, la mazurca, la quadriglia, il valzer, o anche balli esotici, come il samba, il mambo, la bossanova, mentre aveva scarsissima simpatia per il rock, il twist, e in particolare tutti quelli che erano conseguenza della sterminata colonizzazione americana. La discoteca sorgeva in un luogo isolato, lontano dai paesi, immersa nel silenzio bisbigliante della campagna. I ballerini, per solito molto giovani, erano tutti gentili e galanti con lei, e Veronica si lasciava un po' incantare, fino a

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concedere libera uscita al sentimento di difesa e di allarme, perch era sedotto il suo istinto di simpatia. Cominci a ballare costantemente con un piccolo gruppo di giovani dai capelli molto corti e dalle lunghe basette. Uno di essi, alle tre del mattino, le propose di uscire con loro per prendere una boccata d'aria fresca. Possedeva una villa nelle vicinanze, aperta soltanto d'estate, ma in essa v'era tutto ci che poteva servire per finire la festa in bellezza. E poi, come ritorno a casa? domand Veronica. Ti porta il mio amico Arturo, che abita dalle tue parti rispose uno di loro. Ma allora si sta su tutta la notte. La giornata di domani perduta. Vuoi dire che guadagnata. Dipende dai punti di vista. Le si fecero pi vicino, la incalzarono con varie galanterie, che lei accettava come se Egidio fosse presente e volesse ingelosirlo, per punirlo di averla lasciata sola. Era per ancora restia ad accogliere l'invito e a separarsi dalla cugina di Rebecca. Fin per cedere quando scopr che uno del gruppo si occupava di architettura spontanea, come lei. Davvero? Proprio di quello? Eh, gi. Forse aveva trovato un collega con il quale poteva metter su uno studio. La possibilit le sembr della massima importanza, perch ormai era certa che la sua vocazione fosse legata all'architettura contadina delle campagne. Il suo compito misterioso, fiutato tante volte dentro gli spazi del suo destino, era quello, e su ci non nutriva pi dubbi di nessun genere. Hai dei libri? chiese all'architetto. Quanti ne vuoi. Fu l'argomento decisivo. Uscirono all'aperto, salirono sulle loro motociclette e indossarono i caschi e i giubbotti di cuoio, tranne l'architetto, che aveva l'automobile, e fece sedere Veronica accanto a s. La villa era un casolare di contadini trasformato con molto gusto. Bella, straordinaria! Veronica entr in un'atmosfera spe

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ciale, e tutto ci che vedeva aveva un grande potere di seduzione ai suoi occhi. Il padrone di casa port una pila di libri fotografici e li colloc sul divano accanto a lei, che si perse a sfogliarli. Non vuoi bere qualcosa? le chiese. S, grazie. Un bicchiere di birra. Birra non ne abbiamo. Solo liquori. Beh, datemi quello che avete. Bevve senza badare pi che tanto alla quantit, totalmente affascinata dalle fotografie di diecine di casali e di fattorie di paese, con i muri di sassi di fiume, risanate e trasformate in ville accoglienti. Fu bruscamente interrotta quando cominci a sentire rumori sospetti venire dalle stanze di sopra. Cos'era? Niente, proprio niente di allarmante, i suoi amici si divertivano con altre ragazze. Erano sempre cos che finivano le serate in discoteca, e loro ci venivano proprio con quello scopo. Perch non si divertiva anche lei? Non era venuta con quel programma? No, no. Io non cerco emozioni disse allarmata. Non ti piace far l'amore? Certo che mi piace. Ma sono sposata. E vai in discoteca? Come diversivo. Mio marito in America, con una borsa di studio. Fa il giornalista. Non vedo nessun anello alle tue dita. vero, ma ce l'ho in tasca. Veronica subito lo infil, ma non serv a molto, perch quelli erano decisi a divertirsi anche con lei, compreso l'architetto. La villa si chiamava Dolcevita, e finora non avevano mai condotto fin l una ragazza che non ci stesse. Scesero anche i due dalle stanze superiori, e cominciarono ad avvicinarsi a lei con modi irritanti e decisi. Pareva che la volont di Veronica non potesse avere alcun peso sulle loro decisioni, e che lei dovesse accettare il gioco per amore o per forza. La ragazza si avvicin alla porta e apr i catenacci, ma essa era chiusa anche con la chiave. Ah, ma allora era pro

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prio un complotto! Avevano pensato a tutto, e volevano la guerra! Scatt dentro di lei l'allarme rosso, che mise in movimento tutti i suoi spiriti vitali. Si sciolse la lunghissima chioma rossa, come fosse stata una bandiera da far garrire al vento, il che li eccit ancor di pi, e introdusse lo scompiglio nei loro pensieri. Cominci a riscaldarsi come una caldaia sotto pressione, e il suo fisico fu percorso da energie addormentate. L'afferrarono in tre e le spinsero una polverina bianca sotto il naso, ma lei la soffi negli occhi degli aggressori. Prese a fuggire con salti da ghepardo, ma quelli si ostinarono nell'inseguimento. Veronica si rese conto che nel buio avrebbe goduto di molti vantaggi. Guard fissamente le luci del lampadario, e subito si scaten nella stanza il Poltergeist che aveva infestato la casa di Monterosso, quando il suo inconscio opponeva una strenua resistenza all'idea di finire in un convento. Le lampadine saltarono una dopo l'altra, con crepitio di vetri infranti, in successione di mitraglia. Saltarono anche le luci smerigliate delle applique. La strage delle lampadine scaten in lei una ventata di allegria, che si manifestava in un sentimento di potenza e di dominio sopra gli uomini e le cose. Era vulnerabile soltanto quando non era in allarme, n sulla difensiva. Veronica non diffidava mai di nessuno, e il suo sentimento primario e soprano era sempre quello della simpatia. Ma se si metteva sul chi va l, ed era costretta a disseppellire l'ascia di guerra, era in grado di scatenare il pandemonio. Tante luci accesero gli aggressori, nelle varie fasi dell'inseguimento, altrettante lei ne fece saltare. Il Poltergeist era tornato, pronto al suo richiamo, come fosse uno spirito d famiglia, legatissimo al nome dei Castenetto, e pronto esecutore dei loro ordini. Tutti ormai avevano capito che Veronica era una medium, e tuttavia non volevano arrendersi. Gli aggressori vedevano molto meno di lei, al buio, perch la ragazza aveva occhi da gatta. Quando uno di essi le capitava a tiro, non si sa come, lo faceva volare

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sui tappeti, come se da sempre conoscesse le mosse pi micidiali delle arti marziali giapponesi. Raggiunse il primo piano, apr una finestra e salt planando con levit sull'erba vellutata del giardino. Poi mont sull'auto dell'architetto, che aveva lasciato la chiave nel cruscotto. Al buio e al chiuso gli aggressori capirono che stava fuggendo soltanto quando sentirono il rombo potente dell'automobile. Si affacciarono alle finestre in tempo per vedere la macchina gi lontana. Veronica lasci l'auto rubata fuori della discoteca, e torn a Monterosso con quella della cugina di Rebecca. Appena arrivata a casa fece la denuncia ai carabinieri, indicando la villa Dolcevita. In tal modo si sent pi leggera e liberata. Adesso quella faccenda non le apparteneva pi, e diede l'addio definitivo alle discoteche. And ancora a ballare, ma soltanto dove si danzava di giorno. La sua natura di ballerina era repressa, e cercava periodicamente di togliersi la ruggine e la polvere di dosso. Ogni volta che scriveva o telefonava a Egidio faceva cenno alle sue puntate nelle balere, sperando che in lui fiorisse la pianta gialla della gelosia. Ma egli reagiva in modi esattamente opposti a quelli sperati. Sono contento. Fai bene a divertirti. Ho conosciuto molti giovani, tra cui un architetto. Avrete parlato di lavoro? No. Abbiamo ballato tutta la notte. Ma con te che vorrei ballare. Egidio cambi subito argomento. Disse che si stava perfezionando in ogni ramo giornalistico, dalla cronaca all'economia, e pensava di specializzarsi appunto in quest'ultimo. S'era buttato a leggere tutti i classici dell'economia, e aveva acquistato ima familiarit perfetta con ogni genere di computer. Si era persino fatto una tessera per accedere a tutte le sale dove ci fossero calcolatori a noleggio, ed era ormai di casa in questi luoghi. Gli era venuta anche la passione del viaggiare, e saliva su un aereo ogni volta che gli era possibile. Veronica riceveva cartoline da Palo Alto,

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San Diego, San Antonio, Los Angeles, le cascate del Nia- gara, il Parco di Yellowstone, dove Egidio si fece fotografare con un giovane orso, scrivendo sulla foto che ricordava l'amore di Veronica per quel genere di animali. Spesso le cartoline erano invase e segmentate da firme pi o meno leggibili di individui che si chiamavano Scott, o Nebraska, o Tennessee, ma di nome, e cos lei non riusciva nemmeno a capire se si trattasse di uomini o di ragazze. Non era affatto tranquilla su quel punto. Non avrebbe per niente messo la mano sul fuoco per garantire la fedelt di suo marito. Lei aveva ben presente che erano sposati, ma forse Egidio se ne dimenticava. Teneva la vera al dito, come faceva lei? Possedeva la sua convinzione di ferro che erano moglie e marito di fronte all'Onnipotente? Non ne era convinta. Lei ed Egidio non stavano sul medesimo gradino della scala, per ci che riguardava il sentimento della famiglia, ma a livelli molto diversi. Lei poteva anche ammettere qualche infedelt sporadica, spiegabile con il desiderio a lungo inappagato e la lontananza. Ci che temeva invece era che Egidio in America piantasse le sue radici, che prima o poi si lasciasse prendere nella rete dei miti americani. Finito l'anno di perfezionamento, Veronica gli disse: Ora ritornerai, finalmente. Purtroppo non ancora. Come no? Non erano questi, i patti? D'accordo. Ma forse mi daranno un posto in un giornale importante. Il posto lo cerchi in Italia. Certo, se mi fanno fare il corrispondente da Roma. Ma cosa dici? Che discorsi sono questi? Tu sei mio marito, e devi tornare al pi presto. Sicuro. Beninteso. Veronica ebbe consapevolezza che per riportare Egidio in Italia ci voleva abilit e non durezza di parole. Doveva recuperarlo, fargli ripassare l'Atlantico e poi non lasciarlo partire mai pi. L'America glielo aveva rubato, come ave

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va sottratto suo nonno a Matilde, e come si era presa anche Quarto, il liutaio, perch l'America era ladra, e per gli uomini era una tentazione cui non sapevano resistere. O forse la vera ladra era l'emigrazione, che aveva sempre suonato lo zufolo magico sopra la gente della sua terra, che lo ascoltava allocchita e accettava di andare a lavorare alla fine del mondo, anche nei luoghi dove erano i confini della civilt, e cominciavano posti semiselvaggi, con laghi immensi e sterminate foreste. Era certo la necessit di lavorare, ma anche qualcosa di pi. Era un quid indecifrabile, che lei non riusciva a penetrare. Era come un'onda hertziana portata dall'etere, che su di lei non aveva alcuna presa, ma per gli uomini, o alcuni di loro, diventava come la musica irresistibile del violinista magico di una favola monterossina. Le lettere di Veronica non servivano a niente. Le parole pronunciate al telefono erano solo uno sbuffo di vento. Forse avrebbe dovuto guardare Egidio negli occhi, perch nello sguardo, se voleva, poteva concentrarsi la sua potenza magnetica. Fare una puntata in America? Ma lei detestava viaggiare, e l'idea di metter piede sulla scaletta di un aereo di linea le faceva venire la nausea e il giramento di testa. Egidio stette per un po' senza scrivere, solo qualche cartolina di tanto in tanto, dalle quali risultava che non era nemmeno pi a Nuova York, ma in altre citt, che Veronica a volte non aveva neanche sentito nominare. Poi ricominci a scrivere lettere parlando della sua attivit di giornalista e di veri e propri scoop. Le sue missive, oltre che lunghe, diventarono anche estrose, ottimistiche e piene di verve. Accennava a successi personali all'interno di un giornale e ai suoi compensi, pi che cospicui. Potremmo metter su famiglia qui le disse al telefono. Non era questo il nostro progetto fece Veronica. vero. Per un progetto si pu anche modificare. Io lavoro a Monterosso. E poi c' mia nonna. Subito Veronica cambi argomento, perch era fin trop

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po facile prevedere che lui poteva sentirsi sprecato in Italia. Le ragioni di Egidio pesavano quanto le proprie. Ah, la faccenda si complicava! La pianta dell'incomprensione cresceva, irrobustiva il fusto e le radici. Lui diceva sempre di voler tornare, ma non veniva mai, nemmeno in vacanza. Lei cercava di non pensarci, di gettare dell'acqua sopra i suoi sentimenti pi vivi e brucianti. Pi che mai si considerava moglie di Egidio e dedicava parte del suo tempo libero a preparare la casa per il ritorno del marito. Lui, rientrando a Monterosso, doveva trovare non una casa qualsiasi, ma una reggia. La villa dei Castenetto era molto antica e aveva bisogno d'essere risanata. Veronica propose alla nonna di farlo, per Matilde era perplessa, e non ci sentiva molto da quell'orecchio. Se aveva un po' di soldi da parte, non era meglio conservarli? E infatti chiss quanti ne sarebbero serviti per la vecchiaia! Veronica trasecol. La nonna Matilde dunque non si era accorta che vecchia lo era gi, e che aveva bisogno della sua assistenza... Nonna, ti prego, ascoltami. Bada alle mie parole. Se hai dei risparmi, bisogna risanare la casa. necessario rifare completamente il tetto, credi a me. E ci sono cento altre cose da sbrigare. Gli impresari sono tutti ladri, mia cara. Pu darsi. Ma io li controller. Lo sai che me ne intendo. Per qualche mese la nonna non ne volle sapere. Non riusciva a giudicare le situazioni con il necessario realismo, perch viveva in un mondo visionario, dove c'erano soltanto o soprattutto le cose che stavano a cuore a lei. Quelle avevano veramente importanza, e le altre non ne avevano alcuna. Veronica insisteva, l'abbracciava, sia perch provava un bisogno fisico di stringere qualcuno tra le braccia, sia perch era convinta che l'affetto fosse pi efficace delle parole. Erano due donne sole, una troppo vecchia e una troppo giovane, dovevano decidere e fare tutto da s, e potevano

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contare soltanto sopra se stesse. Non avevano amici. V'erano Norberto e Doralice, che ogni tanto andavano a trovare, ma anche quei due erano come persi dentro le stanze troppo grandi del castello, e non potevano dare un appoggio concreto. Una sera Matilde le disse: Io sono vecchia. Non so pi decidere niente. E allora fallo tu per me. Cio? Tutto quello che mio da oggi ti appartiene. Ai miei risparmi pensaci tu. Per la casa fai come ti pare. Ma non aspettarti alcun aiuto da me. Io non me la sento pi. Hai capito? Non dire cos, nonna, sei ancora in gamba. La tua salute intatta. Sembri una donna di settant'anni. Ma ne ho quindici di pi. Io so di essere vecchia. Sono vecchia qui dentro e indic la fronte. qui che le cose non vanno pi come dovrebbero. Certe volte mi sembra di essere gi morta e discesa sottoterra. Capisci? Matilde insistette per darle la procura generale di tutto ci che possedeva. Veronica non voleva, ma fin per accettare. Dette un'occhiata alle carte della nonna, e si sent presa quasi da una vertigine perch Matilde in tanti anni di lavoro aveva accumulato un patrimonio impressionante. Il suo studio notarile aveva avuto cospicui guadagni, e inoltre lei era una formichina risparmiatrice, che metteva da parte con diligenza le somme non spese. L'unico suo lusso erano i gioielli, ma anche quelli li aveva quasi tutti ereditati. Aveva investito i risparmi in titoli di stato, che avevano avuto un ottimo rendimento, e cos adesso possedeva una somma ingentissima. Veronica pot subito dedicarsi alla casa dei Castenetto, e si abbandon al suo estro creativo e al piacere di modificarla come aveva sempre sognato. Progett prima di tutto pilastri di cemento armato, perch non si fidava pi della statica dell'edificio. I vecchi muri vennero conservati, ripuliti delle malte scadenti e rinsecchite, e stuccati col cemento. Nel cortile fu ripristinato il portico, abbattendo i

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muri aggiunti alla fine del Settecento, per ampliare lo spazio della casa. Sostitu il muro di cinta con cancellate in ferro battuto, e alla fine la casa non sembrava pi quella che era. Possedeva un aspetto di villa antica, elegante e grandissima. A Monterosso tutti seguirono i lavori con attenzione, dato che nel paese i fatti degli altri erano un po' sentiti come i propri. Veronica mise in movimento gli artigiani rimasti, scalpellini, carpentieri, pittori, fabbri ferrai, doratori, stuccatori. Tutti ebbero l'impressione che Veronica avesse fatto un lavoro coi fiocchi, avendo riportato alla luce una bellezza che gi esisteva, ma che prima era malamente nascosta e dissimulata, per le modifiche eseguite al tempo dell'invasione francese. Secoli prima la casa era stata un piccolo convento, poi trasformato per togliere ai soldati di Napoleone ogni scusa per sequestrarlo. Lei aveva riportato alla luce quella bellezza, perch in fondo i cambiamenti erano stati molto limitati. La gioia del lavoro finito, che aveva intaccato soltanto una minima parte dei risparmi, fu per incrinata dallo smarrimento della fede d'oro, che ogni tanto Veronica s'infilava al dito per assecondare il gioco del matrimonio. Quella perdita la preoccup, la incup, quasi la spavent, e subito volle rimediarvi. And da un orefice del capoluo go, dove nessuno la conosceva, e il giorno successivo si rec nella Cattedrale indossando un abito bianco, appena il sagrestano ebbe tolti i catenacci al portone di quercia. Non v'erano fiori sugli altari, n ai piedi di essi. I precedenti, non pi freschi, erano stati eliminati per far posto a quelli che sarebbero venuti, perch le donazioni non conoscevano intermittenze. La chiesa era vuota, e forse monsignor Redento e il cappellano stavano ancora nel caldo del letto, perch era pieno inverno, e da poco una nevicata gigantesca aveva trasformato Monterosso in un paese del Grande Nord. Dopo aver pregato un po' Veronica tolse dalla scatolina di velluto la fede, e se la infil all'anulare, rivolgendo alcune parole all'Onnipotente. Stavol

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ta non era soltanto un gioco; ora si sentiva veramente maritata, anche se monsignor Filippin non c'era, n la nonna, n i testimoni, n i fiori, n il libro delle firme, n la poltroncina di damasco; v'erano soltanto gli spiriti degli antenati, radunati, l su un banco con la targa di ottone, che recava inciso il nome dei Castenetto. I testimoni delle nozze erano i morti. Questo lo sentiva con chiarezza, con il suo intuito di medium, perch lei era il traghetto misterioso che collegava il mondo visibile con l'Aldil. Poi usc Monsignore da una porta, che collegava la chiesa con la canonica, e disse la messa, servito dal vecchio sagrestano. Nella Cattedrale v'erano forse sette o otto persone. Veronica era tutta presa dai suoi pensieri e dalla piet per quel prete che non aveva ascoltatori, per Egidio, lontano migliaia di chilometri, per i suoi antenati defunti, ma anche per se stessa, perch era costretta a celebrare il matrimonio da sola, in assenza perfino del marito. Mai come in quel momento aveva sentito la necessit e l'urgenza di avere una famiglia. Ogni uomo e ogni donna desiderano appoggiarsi ad altri e amare qualcuno. Lo confermavano perfino gli splendidi affreschi dell'allievo ignoto dell'Altichiero, che aveva dipinto nell'abside, tra le altre scene, lo sposalizio della Vergine e le nozze di Cana.

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XIV

Gli antichi artigiani

Matilde si accorse subito della fede matrimoniale, che ora Veronica teneva stabilmente al dito, e la nipote le disse che aveva fatto un matrimonio per procura, in attesa del ritorno di Egidio. Questo che vuol dire? Che andiamo in America? chiese la nonna preoccupata. No. Restiamo qui, stai tranquilla. Ma Egidio non ci aspetta? Casomai aspetta me, non certo te. Allora tu lo raggiungerai, e mi lascerai qui, in un ospizio! Ma no! Perch mai? Sar lui a ritornare. Per Matilde s'era messa in allarme. Spiava le cose attorno a s per vederne gli indizi nefasti in qualche punto dell'orizzonte. Era un orizzonte da vecchia, che si restringeva sempre pi. Sorvegliava Veronica da vicino, per controllare se preparasse valigie in camera sua. Distrusse col fuoco tutti i dpliant turistici che aveva accumulato in quindici anni, e lo fece con fastidio, come fossero riviste scandalose e fonte di deformi tentazioni per la nipote. Cominci a vivere nell'assillo di essere abbandonata in un ricovero per vecchi come un cassone in una soffitta, quasi avesse dimenticato d'essere proprietaria di un patrimonio e di una casa principesca. Si sentiva un ostaggio nelle mani di Veronica, pur sapendo bene che non l'avrebbe tradita. Per c'era di mezzo quell'Egidio, per di pi fuggito in America, e

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cos era certa e incerta del proprio destino nel medesimo tempo. Non si fidava nemmeno della sorte. La cornice solenne della sua vecchiaia cominci a creparsi in molte parti, persino nella sua messinpiega. L'eccesso di lacca cominci a cementare non una chioma perfettamente pettinata, ma un accumulo sciamannato di capelli scompsti. Prese a ornare i padiglioni inariditi e cartilaginosi con orecchini spaiati, mentre le collane le lasciava nel cofanetto, perch temeva di perderle e persino di esserne derubata. Preoccupata di mille cose, che Veronica non vedeva, ma che per lei erano fantasmi carichi di minaccia, si aggirava perennemente per le stanze e per i tinelli, aprendo cassetti e frugando nella libreria, per ragioni incredibili. Cosa cerchi, nonna? Il vocabolario tedesco. Perch? A cosa ti serve? Non mi ricordo pi come si dice "nano". Stai leggendo un libro tedesco? No. Non leggo nessun libro. Se leggo, mi viene in mente che forse non potr arrivare fino in fondo, e allora mi passa la voglia. Dunque non ti occorre nessun vocabolario. No no. Mi indispensabile, invece. Voleva sapere come si dice "nano" perch non voleva dimenticare il tedesco, n il francese, perch la conoscenza di quelle due lingue era stata uno dei vanti della sua vita. Matilde era un notaio speciale, poliglotta, anche se ci non aveva la minima importanza per il suo lavoro. Era solo uno splendido ornamento, come le collane di diamanti, gli orecchini o la messinpiega. Ma adesso andava perdendo la lingua. Si svegliava nelle ore piccole della notte, e negli ostinati ripassi mentali che andava facendo si accorgeva di aver dimenticato delle parole. Subito si svegliava in lei l'ansia affannosa di recuperare il suono perduto. Spesso riprendeva in mano anche il codice civile, che un tempo conosceva come il Paternoster. Si sentiva derubata continuamente da barbari misteriosi, che ponevano a sacco la sua

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mente e progressivamente la impoverivano. Eh, s purtroppo, quello era il destino dei Castenetto e della sua gente, di essere messi a sacco dai barbari! Durante la sua lunga vita casa Castenetto era stata depredata due volte, nel '17 dagli austriaci, dopo il disastro di Caporetto, e nel '44 dai cosacchi, che si erano sistemati nella villa perch pretendevano che appartenesse a loro e che la regione fosse la nuova patria, in cambio di quella perduta nelle Terre Nere di Ucraina, secondo la bieca promessa dei tedeschi. Ma non era finita con i saccheggiatori, adesso ve n'erano di invisibili e invincibili, che agivano dentro di lei. Erano l'indurimento delle vene, i radicali liberi che invecchiavano i tessuti. I globuli bianchi del sangue, le sentinelle della salute, che avrebbero dovuto fermare sul confine ogni microrganismo straniero, attaccavano invece i tessuti sani, contribuendo a distruggerli perch, come vecchi balordi, non sapevano pi distinguere gli amici dai nemici. V'era un disordine terribile nel suo corpo, una specie di anarchia militare, come ai tempi del Basso Impero. Matilde sapeva bene quello che succedeva dentro di lei. Sapeva che la vecchiaia era una battaglia perduta in partenza, e i suoi occhi riflettevano perennemente la malinconia di questa situazione. La sconfitta era certa. D'incerto v'era soltanto il giorno dell'ultima battaglia. Veronica sentiva l'impulso di abbracciarla spesso, e sempre Matilde ricadeva nel timore che fosse l'abbraccio che precedeva la fuga in America. Ogni parola usata da Veronica per dissolvere il suo timore era vana, e cos la ragazza cominci a ritenere che Matilde vedesse le cose, almeno in quel lato, meglio di lei. Forse per davvero era inevitabile che un giorno dovesse andare in America, se Egidio glielo avesse chiesto. Come poteva dirgli di no? La sua tendenza era di obbedire al marito nelle cose ragionevoli; era l'eterno istinto delle donne della sua terra, che reggevano tre angoli della casa, e pure erano soggette all'uomo, e gli lasciavano sempre il bastone di comando nelle grandi decisioni. Lei sentiva in modi netti questa an-

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cestralit, e si rese conto che bisognava collocare il suo viaggio in America tra le cose possibili. Per esisteva anche l'eredit genetica di segno opposto, che l'invitava a restare in casa e a custodirla, in attesa che il marito tornasse. Cos, nel profondo, sentiva di essere una donna in bilico, e non sapeva bene quale fosse il suo destino. Comunque nelle balere non andava pi. Adesso si sentiva proprio una sposata, cui s'imponeva ima fedelt assoluta. I giovani di Monterosso le telefonavano, o venivano in casa, per invitarla. Ma lei rispondeva: Non se ne parla neppure! Perch? Perch cos. Punto e basta. Ma vieni, sciocca! Non perdere le occasioni. Quando torna Egidio, addio bella vita, cara mia! Le dicevano frasi insinuanti e allusive, per convincerla. La giovent faceva presto a passare, e anche la voglia di divertirsi e di essere spensierati. Lei sentiva le loro ragioni, le cose stavano proprio come dicevano, e alla sua et la spensieratezza e il divertimento erano quasi obbligatori, ma non poteva fare diversamente. Egidio non aveva nessuna intenzione di ritornare. Aveva trovato un buon posto in un giornale importante, e questo gli permetteva di vivere agiatamente in America. Quando lei telefonava non si sognava neppure di condurre il discorso sul terreno infido e scivoloso del ritorno. Ci che gli stava a cuore era invece il suo lavoro. Concepiva la sua carriera di giornalista come una lotta, fatta non di re sistenza e di trincea, ma di continui assalti e colpi di mano. Veronica non osava pi nemmeno toccare il tasto dolente, e casomai lo sfiorava con allusioni reticenti e piene di cautela. Egidio per non le coglieva neppure. Ho sistemato la casa. diventata bellissima disse Veronica. Bene. Cos hai trovato il modo di passare il tempo. piaciuta a tutti. Perci molti mi hanno chiesto di ristrutturare la loro.

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Soldi sprecati. Meglio sempre costruire ex novo, come fanno qui. Egidio disse che il futuro non era in Italia, e nemmeno in Europa, ma in America. L tutti pensavano all'avvenire, e mai al passato. Il passato era sempre una remora. Sai cos'? le domand. Un pesce mitologico, che fermava le navi. Gi. Ma una metafora. Vuol dire soprattutto esser troppo legati al passato. Allora anch'io ho la mia remora disse Veronica. Gi. Vieni in America, e vedrai che essa svanir. E il mio lavoro? E la nonna? Devi fare una scelta. Ma lei la scelta l'aveva gi fatta. Restava a Monterosso. Il suo mondo era l. La nonna non era forse la ragione determinante, ma solo lo schermo dietro cui nascondere la motivazione pi vera e profonda del suo rimanere. Per difendere la sostanza della sua persona doveva restare a Monterosso. Questo era il senso del futuro. Solo gli uomini senza passato e senza fantasia potevano credere che si vivesse ancora nell'epoca dello sviluppo senza limiti, e invece esso cominciava a incrinarsi e a entrare in crisi da tutte le parti. C'era molta disoccupazione e cos i giovani si inventavano un mestiere artigianale. Anche gli antichi artigiani ritornavano a Monterosso. Recentemente era rimpatriato un fabbro, specialista nel ferro battuto, cogliendo al volo l'occasione che la fonderia in cui lavorava in una grande citt aveva dovuto chiudere i battenti per eccesso di produzione. In paese l'uomo aveva riaperto l'antica officina di suo nonno (di cui Veronica da bambina aveva creduto di vedere il fantasma) costruita lungo il corso del Duss. Era infatti il nipote di Barbanera. Anche Quinto Sgubin era tornato, abbandonando la fabbrica dei violini in serie a Boston, ed era ritornato Raffaele Marinig, un fonditore di campane che da ragazzo aveva disertato l'officina del padre per fondare a Torino una fabbrica di suonerie elettriche. Ma il giorno di san

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Giuseppe del '76, nel momento preciso in cui un fulmine colpiva la pigna del campanile di Santa Maria Ausiliatri- ce, si era aperta in lui come una voragine improvvisa. Non era possibile produrre suoni di campane con marchingegni di orologeria artificiale, cos se n'era andato in pensione, e con i quattrini della vendita aveva riaperto l'officina di Monterosso. A Veronica tutto questo parve l'inizio di un'epoca nuova. Qualcuno abbandonava ancora il paese, perch era troppo miope per riuscire a leggere il futuro, ma altri ritornavano, e questo era un fatto gravido d'importanza. Fabrizio Mattioni, quando se n'era andato da Monterosso, subito dopo la laurea, aveva pronunziato ima frase che in paese molti ricordavano, allorch era salito sulla corriera azzurra che lo portava a Trieste, per imbarcarsi sul Vulcanici, che allora percorreva le rotte atlantiche. A un amico che gli chiedeva perch partisse aveva risposto: Perch gli dei hanno abbandonato Monterosso. Pochi avevano capito quella frase di Fabrizio, ma Veronica riteneva di esserci riuscita. Gli "dei" erano lo spirito della storia. Ma adesso forse, silenziosamente, gli "dei" stavano ritornando, travestiti da mendicanti, per non farsi riconoscere, come aveva fatto Ulisse dopo essere sbarcato sulla sua isola rocciosa. Veronica era certa che anche Egidio avrebbe capito, prima o poi, che il vento soffiava dall'altra parte, un giorno lo spirito nuovo del mondo si sarebbe rivelato pure a lui, e allora avrebbe fatto ritorno. Lei, nel frattempo, sarebbe vissuta come le donne di Monterosso, e di tutta la regione, che avevano avuto il marito lontano. Cominci ad avere molto lavoro per risistemare vcchie case, o casali di campagna abbandonati dagli emigranti o svuotati dalla morte. Chi aveva un po' di soldi li impiegava volentieri in quel modo, perch la gente ricominciava ad amare la campagna e ad abbandonare invece le citt, troppo affollate e caotiche. Da quelle vecchie case, costruite con sassi di fiume e malte magre e povere, emanava un'attrazione che soltan

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to Veronica poteva capire fino in fondo. Per costruire la loro abitazione i contadini non s'erano mai rivolti a un architetto e neppure a un geometra. Per fare una cosa di quel genere mancavano loro non soltanto i soldi, ma anche la cultura. Avevano sempre fabbricato la casa da s, andando a prendersi i sassi nei torrenti e la calce nelle fornaci. Avevano squadrato i castagni e gli abeti da soli, con la scure grande, simile a quella del boia, al fine di ricavarne travi per il tetto e i pavimenti. Poi aggiungevano altre stanze, a seconda delle necessit familiari, delle camere, un fienile, una stalla. Quelle case erano cos spontanee e naturali che sembravano essersi costruite da s, per effetto di una magheria, come nei film di cartoni animati. Veronica ebbe presto molti contatti con operai di ogni genere. Indossava i jeans, scarpe di gomma, blusette o giubbotti di cuoio, a seconda della stagione. Raccoglieva i capelli rossi in uno stretto chignon, inchiodato sulla nuca con le forcine. Poich le succedeva continuamente di salire su granai, o di scendere in umide cantine, aveva sempre sugli abiti tracce di polvere o di ragnatele. Persino la nonna se ne accorgeva, e le brontolava dietro indispettita: Veronica, ma come ti sei vestita? In tenuta da lavoro. Hai una macchia di fuliggine sul collo. Per una! Stasera far il bagno. Ma non puoi andare in giro cos, combinata come un operaio... Invece si poteva questo e altro. Matilde sembrava non saperlo perch tra lei e Veronica v'era uno scarto di due generazioni, e la nonna non si era quasi accorta che tante cose erano cambiate. Matilde era convinta che passare la giornata intiera tra muratori, fabbri, carpentieri e scalpellini comportasse anche un automatico degrado, uno svilimento strisciante. Sua nipote era diventata un architetto, e secondo lei questo doveva comportare un lavoro in uno studio elegante, tra disegni e rotoli di carta millimetrata, non continui sopralluoghi in botteghe artigiane. Del lavo

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ro della nipote, insomma, aveva un'idea molto aristocratica. Veronica si divertiva. Beh, nonna, cosa vuoi. Faccio quello che c' da fare. In questo lavoro non ci si pu tirare indietro, n fare cerimonie. Dai troppa confidenza agli operai. Poi magari trovi quello che ne approfitta. Niente paura. Mi so difendere benissimo. Riflett che le ansie di Matilde sarebbero state tutte decapitate, o almeno diminuite di molto, se l'avesse vista all'opera nella villa Dolcevita, e avesse conosciuto tutte le sue risorse. Ma non diceva verbo, consapevole che con le persone anziane la maggior parte delle parole sprecata. Tutte le sue attenzioni erano rivolte ai casolari che venivano recuperati, e accanto ad essi, a volte, era attraversata dalla percezione di fatti che l dentro si erano verificati cento o duecento anni prima. In uno ebbe una visione di soldati stranieri, francesi, austriaci o russi, che aggredivano gli abitanti, urlavano come aquile, e poi gettavano degli oggetti nel pozzo. Forse erano eventi accaduti all'epoca in cui si era verificato il famoso ritorno dell'ussaro antenato di Norberto di Cassinberg, nell'inverno freddissimo che aveva gelato il lago dei Tre Comuni, e bloccato persino la sua spada dentro il fodero. Di queste visioni non diceva niente agli operai, temendo che fossero superstiziosi, e stava ben attenta a non sovraccaricare lo scintillio medianico che gi circondava la sua persona. Ci che intuiva in modi misteriosi fingeva di saperlo per via d'informazione storica. Da qualche tempo le sue intuizioni per lo pi riguardavano cose del sottosuolo. Avvertiva scosse, brividi di umidit, nel suo intimo, ed erano segnali dell'esistenza di falde acquifere nei luoghi dei lavori. Erano sensazioni rabdomantiche. Veronica sapeva sempre quando era il caso di scavare un pozzo o di approfondire quello che gi esisteva, perch tra lei, la terra e il sottosuolo esisteva una corrente magnetica d'informazione. Si chiese perch mai tra le tante percezioni straordinarie

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che l'attraversavano ora quelle che riguardavano il sottosuolo fossero prevalenti. Un giorno and a bere a una fontanella d'acqua che sgorgava da una fessura della roccia, e si accorse che era tiepida, anzich fredda come sempre, quasi che l'acqua avesse cominciato a provenire da una falda mille metri pi profonda del solito, e quindi pi vicina al livello del magma. Come era possibile che Monte- rosso potesse essere una zona di acque termali? Non lo era mai stata, in tempi storici. Che fosse da attendersi qualche sorpresa? La sorpresa ci fu, ma non di tipo tellurico. Consistette nel ritorno improvviso di Egidio dall'America. Dopo averlo aspettato invano tanto tempo ecco che adesso ritornava davvero, contro ogni speranza. Esplose la gioia di Veronica. Il suo versante di moglie, che aveva dovuto riporre in qualche cassetto segreto, torn fuori in primo piano, felice, spensierato, come un ragazzino cui sia stata data licenza di fare quello che vuole. Insistette subito per accoglierlo in casa, gi preparata per questo, come fosse un marito consacrato da ogni possibile cerimonia. Veronica aveva lasciato vagamente intendere agli amici che v'era stato un matrimonio per procura, confermato dal fatto che portava sempre la fede al dito. Matilde chin il capo e accett la situazione. Cominci la luna di miele, quella sera, perch la precedente era stata ammaccata e deformata da cento fatti diversi, e neanche Veronica ricordava bene perch. Egidio disse che sarebbe rimasto. Avrebbe cercato un posto in Italia. Allora adesso sei a spasso? Gi. Beh, che importa? Tanto lavoro io. Del resto Egidio era padrone del proprio mestiere. Conosceva perfettamente l'inglese e l'uso del computer. Aveva l'aria di un vecchio lupo di redazione, navigato ed esperto, carico di conoscenze tecniche e umane, e possedeva il gergo giornalistico, sia americano che italiano. Ci produceva un'ottima impressione dovunque si recasse e

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facesse cenno che stava cercando un posto. Si Compr un macchinone americano usato, poco adatto alle nostre strade, e sul parabrezza applic il cartellino con la scritta "Press-Stampa", per poter andare dove voleva e posteggiare senza difficolt. Infatti rifiutava di essere uno di quegli individui che accettano le regole e le complicazioni del vivere. Lui era un uomo speciale, di pasta diversa, di fronte al quale si dovevano aprire tutte le porte. Dovunque andasse, qualunque cosa facesse, agli occhi altrui era circondato dal fascino del lungo soggiorno americano. Usava spesso parole anglosassoni, come se gli venissero pi spontanee di quelle italiane. La nostra lingua la sentiva come un dialetto, che usava soltanto per la necessit di farsi capire. Il suo modo di comportarsi, di parlare, di vestirsi e persino di stare a tavola era molto yankee, e non v'era situazione di fronte alla quale non mostrasse un ottimismo solido e inattaccabile come una roccia. Non conosceva inquietudini di alcun genere. Aveva anche qualche ragione per tenere quei sentimenti fuori dalle sue cancellate, perch le cose riusciva sempre a sistemarle con un massimo di vantaggio personale. Presto trov lavoro nel giornale della regione, e nell'ambiente si form attorno a lui un alone di stima e di grande rispetto. Sembrava in grado di dare dei punti an che ai colleghi pi anziani, sempre per il fatto che aveva imparato il mestiere in America. Veronica era felice. Era come se tutte le campane di Monterosso e dei paesi vicini si fossero messe a suonare dentro di lei. Ogni giorno era un giorno di festa, ornato di fiori e illuminato da luci gloriose. Guardava i visi degli altri come se anche in loro potesse cogliere il riflesso della sua gioia.

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XV

Il Re Plantageneto

Veronica dedicava al marito tutto il tempo possibile. Cercava di capire quali fossero per lui i cibi pi ghiotti, ed era lieta di prepararli con le sue mani, rubacchiando qualche mezzora al suo lavoro. Si sforzava d'intuire quali fossero i vestiti che la rendevano pi piacevole ai suoi occhi, e li indossava con l'intima persuasione di essergli gradita. Lei tendeva a fare ogni cosa con grande convinzione, calandosi nelle situazioni tutta intiera, perch proprio in questo era il segreto di ogni riuscita. Dovunque andasse, con chiunque venisse a contatto, per prima cosa parlava del ritorno di Egidio, ed era convinta che anche gli altri ponessero la cosa ai vertici dei loro interessi, cos come lei aveva sempre avvertito con molta forza le ragioni degli altri per essere tristi o felici. Il ritorno di Egidio le parve un motivo di letizia per tutto il paese. Lei non era soltanto Veronica, ma Veronica di Monterosso, e aveva ragione di definirsi cos, perch era sempre stata popolarissima in citt fin da quando era bambina e il fulmine era riuscito soltanto a bruciacchiarla e a strinarla qua e l, senza recarle seri danni. Cominci ad andare a trovare tutti gli amici e le amiche, mostrando loro Egidio come l'ottava meraviglia del mondo. Era un giro trionfale, come quello che fa il vincitore del Tour de France al Parco dei Principi di Parigi. A Egidio pareva una stranezza, ma l'accettava senza battere ciglio, sfoderando sempre cordialit e sorriso. Veronica era fiera

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del suo uomo e si aspettava, sotto sotto, che le altre ragazze glielo invidiassero, e vedessero in lui tutto quello che vi scorgeva lei stessa. Per a Monterosso la gente rest piuttosto indifferente nei confronti di Egidio, perch lo conosceva da sempre. Non era per niente una novit, nemmeno con la verniciatura statunitense. Tutti lo chiamavano l'"americano". La persona pi impressionata dal ritorno di Egidio fu, stranamente, Norberto di Cassinberg. Quando Veronica gli disse che era suo marito, Norberto fu l'unico a credere alle sue parole, senza la minima riserva mentale. Altri, specialmente le donne, si chiesero come e dove poteva essere avvenuto il matrimonio, visto che Veronica in America non era mai stata, e a Monterosso nessuno aveva mai visto le pubblicazioni. Si erano sposati da qualche altra parte? Ma perch nessuno ne aveva mai saputo niente? Norberto invece non si pose alcuna domanda. Ci che diceva Veronica per lui era vero come la Bibbia, e metterlo in dubbio in qualche maniera gli pareva un affronto. Chi l'avrebbe detto, eh?, che un giorno avrei sposato proprio Egidio? Non una cosa strana? disse Veronica. Non direi. Era una cosa che si capiva, fin dal liceo. Davvero? Chi la vedeva? Tutti. Si vedeva che facevate una coppia... Dici sul serio? Voi lo vedevate? Solo io non lo vedevo? Non molto strano, tutto questo? Norberto non rispose. Il giudizio del giovane per lei era sempre molto importante, n riusciva a capire bene perch, dal momento che lo giudicava un po' una sorta di selenita o di marziano. Di fronte a lui scattava il tracimante sentimento della "sororit". Accanto a Norberto la convinzione interna per la sua decisione diventava qualcosa di molto diverso, ossia una sorta di meraviglia per tutta la vicenda del suo "matrimonio", di stupore per la sua scelta e per aver speso in quel modo la grande carta che in possesso di tutte le ragazze.

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Giocata quella, il destino di una donna mutava completamente. Ormai era sposata, e la sua giovinezza era finita per sempre. Forse aveva ragione la canzone popolare, che l'allegria era dei giovani e non dei "vecchi" maritati, che l'avevano perduta il giorno stesso in cui erano tornati dalle nozze. Era cominciata un'epoca nuova nella sua vita, pi seria e consistente. Niente pi follie, divertimenti, bizzarrie. Adesso doveva cambiare tante cose. Il modo di vestire, per esempio, e certi cameratismi nei confronti degli operai e degli artigiani che lavoravano con lei. S, tutto questo era molto strano. Aveva compiuto una scelta fondamentale con la stessa leggerezza con cui si acquista un abito. Comunque era fatta, e indietro non si tornava. Del resto nella famiglia tutti trovavano il rimedio pi solido alla loro solitudine irrimediabile e i puntelli pi validi per sentirsi sostenuti nella traversata avventurosa dell'esistenza. Per tutta l'adolescenza e la giovinezza aveva coltivato il proposito che lei, con estrema diligenza, avrebbe evitato di trovarsi nei guai, in quel territorio, come era toccato alla nonna e ai suoi genitori. Avrebbe fatto molta attenzione. Avrebbe avuto cento occhi, aperti in tutte le direzioni e la cautela di un gatto. Avrebbe soppesato mille volte le cose dentro di s, come un avaro fa col suo denaro, prima di spenderlo. Ma poi tutti i propositi e i programmi erano saltati, e lei si era ritrovata dentro il matrimonio alla cieca, o almeno con la testa nel sacco. Abbracci Norberto. Fammi gli auguri gli disse. Certamente fece lui, con convinzione. Tu mi porti fortuna. A te s. Non a me stesso, per. Che cosa vuoi dire? Niente d'importante. Aspetta un momento. Ti ho preparato un piccolo regalo. Ora te lo porto. Usc per pochi istanti e torn con una scatola larga e bassa, simile a quelle in cui nei negozi di mercerie ripongono le camicie di qualit. Era avvolta con una carta da

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regalo, luccicante e colorata. Disse che non doveva aprirla subito, ma soltanto quando fosse stata a casa sua. Curiosa come i bambini, Veronica lo ringrazi e corse via. Si chiuse nella sua stanza, sciolse il nastro, apr la scatola, e vide che conteneva un antico codice miniato, con ventisei fogli di pergamena. Il monaco che aveva illustrato quei fogli non aveva ancora neppure il sentore che vi fosse stato un pittore come Giotto di Bondone, a far entrare una potente ventata di aria fresca nel mondo dell'arte. Il testo era redatto in una scrittura gotica corsiva. In Veronica corse un brivido da sensitiva, che la trasport lontanissima nel tempo, perch si ricord che il nome dell'autore, Ulderico di Cassinberg, era quello dell'avo di Norberto, monaco templare, che aveva disegnato il progetto e poi iniziato la costruzione della cattedrale di Monterosso. Non serv alcuno sforzo per decifrare il testo, redatto in altotedesco, ossia pressapoco nel linguaggio dei Minnesanger, perch Norberto aveva aggiunto al codice un opuscolo scritto a macchina, con la traduzione. Con un lessico un po' astratto, tipicamente medioevale, l'antico Templare raccontava i modi e le circostanze in cui la chiesa era sorta. Non era stata una iniziativa di Monterosso e neppure dei Cassinberg. Essa era nata invece per una convergenza di situazioni singolari. La prima di esse era stata il passaggio di Riccardo Cuor di Leone a Monterosso. Il Re Plantageneto, di ritorno dalla Terza Crociata, detta la Crociata dei Tre Re, aveva seguito itinerari tortuosi per tornare in Inghilterra, essendo stato informato che lass era corsa, diffusa ad arte, la voce della sua morte. Suo fratello, Giovanni Senzaterra, stava tessendo aggrovigliati complotti per usurpargli la corona. Cos Riccardo, invece di far vela direttamente per Albione, seguiva direzioni stravaganti e tappe circondate da enigmatici silenzi. Viaggiava con un seguito molto esiguo, soltanto gli armati necessari per rimediare le cose, nel caso sfortunato che il drappello avesse incontrato una banda di ladroni in un bosco. Era travestito da monaco templare, e

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teneva nella bisaccia una Bibbia e un salterio in latino. Attraversando il lembo orientale dell'Italia, prima di valicare i passi alpini, per passare in Carinzia e risalire il Danubio, Riccardo era stato ospitato in un convento di Templari, a San Giorgio del Tempio. Qui, nel giro di pochi giorni, era sorta una singolare amicizia tra lui e Ulderico di Cassinberg, ossia tra il Templare simulato e quello autentico. Tra loro si erano svolte lunghe conversazioni sulla Madonna. Ulderico e Riccardo non dicevano mai "la Madonna", oppure "la Vergine", ma sempre "Domina nostra". Il Plantageneto era convinto nell'intimo di dovere a lei il favore di poter ritornare sano e salvo alle sue terre da quella crociata senza fortuna. L'imperatore svevo, Federico Bar- barossa, aveva certo avuto sorte peggiore, perch era annegato nel guado di un fiume dell'Asia Minore. Insomma, per dirla in breve, l'animo di Riccardo traboccava di gratitudine per Nostra Signora, e dentro di s aveva promesso di edificarle un tempio, appena avesse posato il piede sulla terra degli avi normanni. La stessa ambizione nutriva anche il Templare, che aveva vaste conoscenze di natura architettonica, e aveva visitato e studiato nel dettaglio tutte le grandi cattedrali del suo secolo. Riccardo, nell'apprendere queste cose, si sent sollevare al settimo cielo per l'entusiasmo; discorsi appassionati furono tessuti anche sopra l'arte edificatoria e i suoi nuovi stili di Francia, di Germania e dei Paesi Bassi. Poi Ulderico di Cassinberg sal nella sua cella e ritorn gi nel chiostro, presso il falso Templare, per mostrargli un progetto di cattedrale al quale lavorava da vent'anni. Ogni particolare era stato definito e disegnato con inchiostro di seppia, la facciata, le fiancate, i contrafforti, le guglie, i finestroni, i doccioni. Il falso Templare propose a quello vero di seguirlo in Inghilterra e d'impiantare la fabbrica di quel tempio a We- stminster, appena avesse recuperato il suo trono. Ulderico scosse la testa. No no, non sarebbe andato cos lontano dai

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suoi luoghi. Ormai era un uomo anziano, gli inconvenienti alla sua salute diventavano sempre pi numerosi, e gi si trovava nell'et in cui per gli uomini diventa un travaglio persino liberare la vescica. Che peccato! Il templare poi accompagn il Re verso il valico alpino di Montecroce. Prima di arrivarvi fecero tappa a Monte- rosso, e passarono la notte nel castello dei Cassinberg, dove il padrone di casa era Ottone, fratello di Ulderico. Il Re Plantageneto durante la notte fu visitato da un sogno. Il suo lungo viaggio di ritorno, che procedeva per grandi giri diversivi, era diventato un vagabondaggio alla ricerca di un Luogo Felice per l'edificazione del Tempio, e la mattina dopo si dest, invaso da un febbrile fervore religioso. Infatti gli pareva che il luogo pi adatto per il suo progetto, il luogo dei luoghi, fosse proprio Monterosso, a un tiro di balestra dal castello dei Cassinberg, la grande piazza- balconata che s'affacciava sulla pianura. E cos la cattedrale di Nostra Signora della Neve, troppo bella e grande per un paese, o una piccola citt, sia pure di origini nobili e antiche come Monterosso, era cominciata, per i munifici donativi di un re straniero, che aveva sperimentato l'ospitalit e la bellezza di quelle contrade. Del resto tutta Monterosso desiderava da anni l'edificazione di quel tempio, per onorare Nostra Signora, apparsa in alta montagna alla giovinetta che aveva smarrito il sentiero. Veronica lesse la traduzione del racconto, e non seppe tenere del tutto dentro di s la letizia per il magnifico regalo di nozze. Fu come se un vento impetuoso avesse gonfiato le vele, da tempo inerti e afflosciate, sulla nave di lei. Le miniature pregiottesche la mandarono in visibilio. E la generosit di re Riccardo, sopra la quale si fondava l'esistenza della Cattedrale, aggiungeva un tocco in pi alla sua ammirazione di sempre. Propose a Egidio di scrivere sull'argomento un paio di articoli, ma lui scosse il capo. solo una leggenda. L'invenzione di un frate disse. E se anche fosse? A me pare una storia stupenda. Io mi occupo soltanto di fatti concreti.

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Per una volta fai un'eccezione. Egidio prese in mano l'opuscolo, ma la lettura lo annoi, e non arriv neppure alla fine. A lui interessava soltanto ci che accadeva "qui" e "ora". Le cose lontane, e per di pi incerte, gli parevano avvizzite e morte come le ossa di antichi cimiteri. Il passato gli sembrava defunto, buttato dentro cisterne profondissime, da cui non valeva pi la pena di tirarlo fuori. Tutta la sua attenzione era rivolta soltanto a ci che succedeva dentro la lucida e scientifica societ contemporanea. Vero e importante era per lui quello che poteva essere subito classificato con i criteri di giudizio e le misure del nostro tempo. Il resto ai suoi occhi sbiadiva e tendeva a dissolversi nel nulla. Con Egidio dunque non ci fu niente da fare. Pazienza. Ma Veronica prov una gratitudine profonda per Norberto, che le aveva regalato per le nozze probabilmente la cosa pi preziosa che fosse contenuta nei grandi spazi semivuoti del castello. Era ima storia dei Cassinberg, di un suo antenato, e l'aveva donata a lei in occasione del suo matrimonio, consumatissimo ma mai celebrato. Sarebbe stato pi giusto restituirglielo, perch certo il suo spirito aveva sanguinato a separarsene. Ma desiderava anche tenerlo, per cento ragioni acuminate come spade. Divent per lei una dolce ossessione quella di restituire il codice a Norberto, pur tenendolo per s. Esisteva un modo possibile? Per saperlo interrog il lato mitico della sua persona. Non lo trov. Non si dette per vinta. Forse esisteva una sorta di bilocazione anche per gli oggetti, come per sant'Antonio da Lisbona. I problemi che non riusciva a risolvere per Veronica non erano sconfitte, ma solo questioni rimandate nel tempo. Prima o poi la soluzione sarebbe venuta, lei ne coltivava la speranza; Veronica apparteneva a un genere speciale di creature, di cui Monterosso era sempre stato generatore felice, per le quali le cose desiderate e sognate sembravano pi vere del vero. Perci v'erano giorni in cui il brusio magico ricominciava a sussurrare dentro di lei, e sentiva una nostalgia incontenibile, perch

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le pareva di dover essere altrove, e di avere impegni diversi e molto pi ricchi di quelli reali. Il giorno di san Giovanni il rimescolio fatale non l'abbandon neppure un minuto. Veronica eman come mai il suo richiamo di donna, sicch Egidio non vedeva l'ora che venisse la notte, per fare l'amore. Ma pareva che il sole si fosse dimenticato di tramontare, trattenuto nel cielo da un cosmico sortilegio. Del resto il giorno di san Giovanni coincide con quello del solstizio d'estate, ed il pi lungo di tutta l'annata. Pareva che l'astro, rifiutandosi di tramontare, si divertisse a esasperare Egidio. Veronica a cena baciava ogni momento il marito, ben sapendo ci che provocava. I capelli rossi e i suoi seni freschi e tremolanti lo facevano impazzire. Mai, da quando era tornato dagli Stati Uniti, aveva sentito un trasporto altrettanto impetuoso. Diavolo, ma perch era rimasto in America per tanto tempo? Perch invece non era tornato al pi presto qui, dove aveva dimenticato quel tesoro di prim'ordine? Come era potuto essere tanto sciocco? E pensare che aveva abbandonato l'America soltanto perch era stato costretto a farlo, come un cane bastonato. Una faccenda sfortunata e complicatissima, che in Europa non aveva confidato neppure all'aria, finora... Veronica cap lo stato di Egidio, ed ebbe l'impressione che il sole, che si rifiutava di tramontare, fosse un suo fantastico alleato. Il solstizio e le circostanze astrali, orchestrate dalla remora cosmica, la favorivano. Le stelle erano con lei, perch era una maga potente, che teneva in pugno gli arcani del cielo. In quel momento capiva perfettamente cosa voleva dire essere strega. Le streghe erano donne profondamente e perfettamente connesse con la natura, le piante, gli animali, la terra, le stelle tutte quante, il cosmo nella sua totalit. Le sue radici terrestri erano cos profonde da arrivare fin dentro il camino dei vulcani, anzi fino al centro della terra. Strega voleva dire essere in rapporto con il Tutto, essere un concentrato e un'ampolla preziosa della Forza cosmica che percorreva l'universo. La sua na

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tura era qualcosa di eccezionale, distillata sette volte negli alambicchi del Grande Alchimista che aveva inventato l'immenso illusionismo del mondo. Questo pensiero la mise in allegria. Finalmente il sole tramont, per subito sostituito da una luna piena, che acutizzava l'esaltazione di Veronica e la ubriacava della sua luce, tersa e fredda, come se in lei ci fosse anche il sigillo di una indefinita licantropia. Sal nel granaio, dove erano riposte le cose di sempre, e guard la luna da una finestrella. Ebbe la certezza che se si fosse buttata di sotto, non sarebbe caduta nell'orto del vicino, ma sarebbe rimasta sospesa in aria, come san Giuseppe da Copertino. Forse avrebbe potuto volare chiss fino a dove. Ridiscese accanto a Egidio, che voleva condurla in camera da letto. Subito. Ma prima andiamo alla fontana disse Veronica. A far cosa? Lo vedrai. Egidio la segu, e accanto alla vasca di pietra dovette unire il suo mignolo sinistro con quello di lei, e immergerlo nell'acqua. Che sciocchezze sono queste? Non ti ricordi? Lo facevamo da bambini. S, ma adesso siamo cresciuti. Gi. Ora siamo maritati. Siamo maritati per davvero. Lui ebbe il sospetto di essere caduto in chiss quale trappola e di non poter pi riuscire a liberarsi, se lo avesse desiderato. Ma non lo desiderava, anche se veniva prendendo consapevolezza che Veronica lo stava tenendo completamente in sua balia. La voglia di far l'amore rinasceva in lui continuamente, come in America non era mai accaduto con nessuna ragazza. Stava bene con Veronica. Le propose, durante le ferie, di fare un viaggio di nozze, lui ai viaggi era abituato, ed essi gli parevano un aspetto indispensabile della vita. Era avvezzo a trovarsi negli aeroporti, a leggere scritte e cartelli in inglese, sedere sulle poltroncine e allacciarsi la cintura di sicurezza. Gli piaceva vedere davanti a s le hostess e gli steward che gli of

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frivano riviste e bicchierini di liquore. Per gli aerei sentiva un'intensa nostalgia... Lei invece preferiva di gran lunga aggirarsi nei suoi luoghi, nei boschi, nei prati e nelle montagne di Monte- rosso. Vedere un ghiacciaio che si stava progressivamente sciogliendo, e poteva nascondere incredibili sorprese, per lei era un'avventura e recarsi invece a Sydney o a Melbourne era una banalit. Veronica credette di cogliere in Egidio un'uggiosa malinconia, come una nebbia che evaporava da un luogo imprecisato, collocato dentro di lui. Quando si sarebbe finalmente deciso a sposarla davanti a un altare? Per ora lei aveva tamponato la curiosit e stagnato le malelingue del paese con l'invenzione del matrimonio per procura, ma sapeva bene che la questione sarebbe presto tornata alla ribalta. Sarebbe stato bene che lei si fosse sposata prima che questo accadesse. Non osava parlarne a Egidio, e del resto coltivava una grossa speranza che lui, prima o poi, ci avrebbe pensato da s. La nonna faceva raccontare a Egidio tutto ci che lui ricordava dei posti che aveva veduti, le cascate del Niagara, il parco di Yellowstone, i grandi laghi canadesi, i deserti dell'Arizona, le Montagne Rocciose, la valle del Colorado, i monti Allegheni, i grattacieli di Manhattan. Egidio era divertito dal fatto che Matilde possedesse informazioni molto dettagliate su quei luoghi, ma non derivate da esperienza diretta. Sapeva per esempio i controlli che venivano fatte negli aeroporti ai bagagli, o come erano arredate le sale di attesa nell'aeroporto Fiorello La Guardia o John Fitzgerald Kennedy. Conosceva in quali equivoci o tranelli poteva cadere il viaggiatore inesperto. Aveva appreso queste cose anche meglio di Egidio, sapeva in modi approssimati il prezzo dei biglietti e gli sconti operati sui voli charter per comitive. Ma poi si dimenticava di queste cose, e tornava a essere invasa dal timore di nemici invisibili, i germi, i radicali liberi, gli anni, il tempo, tutte cose ostili a ciascuno, ma a lei

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in particolare, perch era vecchia, il suo tempo era consumato, e ormai la morte aveva cominciato a farle la posta dietro ogni muro e ogni cantone. Lei aveva fatto una vita sana e morigerata, ma il suo fisico si era logorato lo stesso. Diceva ai due giovani, come se il suo scopo fosse quello di guastare in qualche modo la loro letizia di innamorati: Io non ho mai fumato una sigaretta, n bevuto un bicchierino di grappa, e adesso ne sono pentita. Perch, nonna? Perch sono diventata vecchia lo stesso. Essere virtuosa e senza vizi non servito esattamente a niente. Non vero, nonna. E poi tu sei sanissima. falso. Le mie vene sono invecchiate. Sono intasate come i tubi di una lavatrice. Ho la pelle tutta grinzosa. Non posso pi guardarmi allo specchio. Non mi piaccio per niente. Non mi sopporto. Mi sembra di non essere pi nemmeno io. Non mi riconosco. "Chi quella vecchiaccia?" mi chiedo ogni volta. A Matilde spuntavano le lacrime, perch era diventata anziana senza accorgersene, pian piano, mentre lavorava dieci ore al giorno al suo tavolo di notaio. Forse si invecchiava anche dormendo, perch il tempo era il pi subdolo dei ladri. Non riusciva ad accettare il fatto d'essere di-' ventata decrepita, specialmente da quando aveva smesso di credere che adesso avrebbe potuto dedicarsi ai viaggi perch era in vacanza perenne e poteva fare ci che le piaceva. I viaggi si erano rivelati un'illusione, e cos adesso Matilde non sapeva bene perch viveva. Un tempo si era detta che lavorava per la nipote, poi per viaggiare, ma adesso non sapeva pi inventarsi alcun motivo. Viveva soltanto per vivere, e questo era tutto... I costumi della gente in un decennio erano molto cambiati, ed erano ormai numerose le coppie che decidevano di mettersi insieme, senza cerimonie di alcun genere, senza riconoscimento delle istituzioni, considerando il fatto una cosa totalmente privata. Ma per Veronica era diverso. Veronica era guardata in modi speciali dalla gente di Monteros-

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so. Aveva sentito le "voci", tutti ricordavano le sue enigmatiche gite in montagna, le sue visioni, e invece ecco che, dopo dieci anni, o poco pi, si era tirata in casa un giornalista e andava a letto con lui. Rebecca, che pure in quel lato aveva molte cose da farsi perdonare, soffiava sul fuoco. Faceva, in modi coperti e sotterranei, una quantit d'ironie. Ha visto? La santa! La miracolata! Era tutta una messinscena per prendere in giro la gente disse a Doralice. Veronica non mente mai. Lo fa ogni volta che le torna utile, come tutti. falso. Ma Doralice era la sola avvocata d'ufficio, in tutto il paese. Perch? Il motivo era molto chiaro, andava dicendo Rebecca alle donne di Monterosso, almeno a quelle che la volevano ascoltare. Andava a cercarle apposta, per parlare di questo, nelle cantine o nelle liscivaie, ancora sporche di fuliggine dei decenni trascorsi. Anche Doralice aveva avuto le sue scappatelle e le sue cose da farsi perdonare. Sia Veronica che Doralice erano ricorse all'espediente della fede al dito, un trucco vecchio come l'arca di No, che ormai non poteva pi ingannare nemmeno i bambini. E Rebecca, raccontando queste cose, scoppiava in una serie di risate sarcastiche, che la facevano sembrare un'invasata. Doralice si sgomentava, sentendone il suono inconfondibile, anche perch le veniva spontaneo di confrontarle con quelle di Caterina, che continuava ad apparirle in sogno. Caterina, anzi Caterinetta, era la sua sorellina gemella, morta a dieci anni o poco pi per un attacco di meningite. Caterina aveva una natura beffarda, e Doralice era succuba della sorella, come paralizzata dal suo modo di ridere, aggressivo e scomposto, che le sembrava dissacratorio anche quando non conosceva neppure il significato di questa parola. Scomparsa Caterinetta, Doralice era rimasta come viva a met, mentre l'altra met della sua vita era stata seppellita assieme alla piccola bara bianca della sorellina.

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Le pareva che Caterina non fosse sottoterra, ma sempre vicino a lei, invisibile, inudibile, tranne quando esalava lo squittio di volpe delle sue risate, di cui Doralice credeva di sentire ancora l'eco e la risonanza. Rebecca rideva alla stessa maniera. Perci Doralice si vedeva ancora come controllata e giudicata da Caterinetta. Ogni volta che stava per prendere una decisione importante, avvertiva attorno a s il riso della sorellina, che la bloccava, e spegneva in lei ogni desiderio di fare una scelta definitiva. Cos si era abbandonata alla vita come un pezzo di legno alla corrente di un fiume. Aveva imparato a ricamare, a lavorare con il tombolo, le navette e l'uncinetto. Era molto brava a fare le torte di mele, i budini, il pasticcio, ma tutte queste cose non erano un mestiere con cui si potesse vivere. Doralice era rimasta un po' infantile, anche se il suo corpo era diventato quello di una donna desiderbile. Le piacevano ancora i cibi che mangiava da bambina, i giochi che faceva allora, prima della guerra. Le cose legate all'infanzia e all'adolescenza avevano per lei un fascino indistruttibile. Il suo pensiero e il suo ricordo scivolavano al- l'indietro, a quegli anni felici, mentre nel presente le cose erano sempre troppo complesse o avvilenti. Tutto ci che d'importante le accadeva la riempiva di meraviglia, come se prima non ne avesse mai avuto nozione. Non riusciva ancora a rendersi conto di come fosse potuta succedere la disgrazia che le aveva portato via suo fratello Lanfranco. La morte... Gi, c'era anche lei...

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XVI Le voci

La morte, nell'immaginazione di Doralice, era strepitosa. Possedeva un abito nero coperto di campanelli, che suonavano tutti insieme per denunciare il suo arrivo. Ma Lanfranco era mancato lontano, silenziosamente, almeno per lei, come se la morte avesse astutamente imbottito di cotone tutti i tintinnaboli. Le sembrava che vivere in punta di piedi, con le pantofole, per non far rumore e non svegliare l'attenzione della sorte e della morte nei suoi confronti fosse la cosa migliore. Essere dimenticati da quelle due, vivere nell'ombra e nella tana, come gli animali selvaggi feriti e troppo stanchi di fuggire, stare nascosta e silenziosa per far perdere le sue tracce alle inseguitaci. Non venire mai allo scopertoVeronica le era molto affezionata, e la chiamava "zia Doralice", come se in questo si immedesimasse con Norberto. Ormai da anni lei viveva le cose che accadevano nel castello dei Cassinberg come eventi della sua medesima casa. Sentiva la propria e quella di Norberto come due famiglie dimezzate che avrebbero potuto arrivare a una sorta di completezza se si fossero sentite pi unite fra loro. Gettando tra le due una sorta di ponte mentale, da due monconi poteva uscire una sorta di unit, e cos ogni avvenimento, sia per Doralice come per Veronica, aveva ima duplice risonanza. Esse erano attente custodi di tutte le memorie e di tutti i morti di casa.

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Per Veronica le messe in ricordo dei suoi defunti erano molto importanti. Durante la cerimonia le veniva spesso una sorta di affanno perch la sua evocazione non era soltanto un fenomeno della mente ma molto di pi. Tutti i suoi sensi ne erano in qualche modo coinvolti. Udiva lo scalpiccio e il calpestio dei loro passi sulle pietre della Cattedrale, il tono delle loro voci, avvertiva l'odore della loro pelle, sentiva i loro sospiri, come fossero realmente tornati, in carne e ossa. A volte lo diceva sottovoce alla gente di Monterosso, che per non le credeva, e sorrideva con ironia. Da parte sua Egidio era disposto ad ammettere qualunque fenomeno paranormale, passeggiate nel vuoto, spostamenti attraverso porte chiuse, possibilit di trovarsi in due luoghi diversi nel medesimo istante, purch si trattasse di forze irradiate dal corpo di un vivente. L'importante per lui era non ammettere che i fenomeni provenissero dall'esterno, ossia dal mondo dei morti. Veronica continuava a sbalordirsi. Ma scusami. Che differenza c' tra ammettere che io sia in possesso di facolt medianiche strepitose, che la scienza non sa assolutamente spiegare, e che queste facolt vengano da fuori di me? gli chiedeva. Moltissima differenza. Per niente. la stessa cosa. Nossignore. Siamo noi i veri contenitori di ogni facolt segreta del mondo. Gli dei siamo noi. Ma non ci siamo fatti da soli. Noi stessi proveniamo dagli strati pi ignoti della vita. Siamo il frutto di forze cosmiche sterminate e incomprensibili... Egidio scuoteva la testa con ostinazione. Non esisteva nessuna altra dimensione del mondo, n alcun noumeno. Veronica lasci cadere l'argomento, perch non voleva irritare il marito. Lei sapeva, nell'intimo, che vi era un'ora per ogni cosa; non era ancora giunta quella in cui Egidio potesse capire qualcosa che non fosse in sintonia con la cultura del tempo. Doveva attendere, con la pazienza af

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fabile di una sposa. Del resto lei stessa credeva e in pari tempo non credeva, e non riusciva a capire perch. Com'era l'Aldil? Non riusciva a immaginarlo. Forse, pressapoco, come un cielo senza pi mutamenti, senza pioggia, venti, temporali, nebbia, foschie. Allora, nell'intimo, si attaccava disperatamente alla vita, ed esorcizzava l'idea stessa che un giorno dalla vita sarebbe dovuta uscire per sempre, perch l'amava appassionatamente, con tutto l'ardore dei suoi anni, e per istinto l'idea della fine la conduceva all'ingresso nel mondo delle cose grigie e prive di attrazione. Cos in certo modo veniva a confluire nella stessa direzione di Egidio, ma attraversando sentieri diversi. Il fatto di essere legata in modi fortissimi a questa vita indeboliva la speranza, e l'idea stessa che potesse continuarsi in un'altra, neutra e sbiadita. Il sentire in forme tanto sapide la vita terrena faceva s che l'altra diventasse un'ombra, alla quale non valeva la pena di dare credito eccessivo. Egidio intanto si era messo in evidenza al giornale con i suoi articoli. La lunga esperienza americana cominciava a dare i frutti sperati. Presto il direttore del giornale cominci ad accorgersi di lui. Egidio era molto compiaciuto di s; anche in quell'angolo sperduto del mondo, tagliato fuori dall'evoluzione tumultuosa della storia, sepolto in una sorta di notte conservatrice e superstiziosa, dove il nuovo era temuto, e la gente si aggrappava al ricordo dei celti, la sua personalit cominciava a venir fuori. Una serie sfortunata di accadimenti aveva provocato di necessit la sua fuga affannosa dall'America, dove era stato costretto a lasciare anche tutto il denaro guadagnato. Forse il successo americano, che lui aveva banalmente sciupato per un eccesso di fretta e di precipitazione, stava coagulandosi e materializzandosi nuovamente attorno a lui. Veronica gli portava fortuna. Il suo umore miglior decisamente. Ci ebbe conseguenze anche nel rapporto con la ragazza, perch l'eros era sostenuto dai formidabili pilastri del successo.

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Veronica, da sempre contagiata dai germi della simpatia, lo ripagava in modi generosi. Del resto, da quando aveva sentito i corridoi freddi del convento delle carmelitane come un luogo da fuggire, Veronica si era convinta che l'eros era la forma con cui la vita si manifestava nei modi pi intensi alle sue creature. Cos si affidava a esso come a un amico sicuro. L'amore era gioia di esistere, letizia, felicit, slancio vitale, e forse la sua ombra era cos vasta che nei suoi confini rientrava la vita intiera, per cui esso e l'esistenza erano la medesima cosa. L'eros era la punta di iceberg della magia universale del mondo. Rinacque in lei l'impressione che il reale avesse punti di contatto con la miniera di pirite e di rame che era stata scavata nella montagna sopra Monterosso, fin dalla preistoria. Nessuno lavorava pi, l dentro, con il casco sormontato dalla lanterna ad acetilene o a pila, e cos lei si poteva immaginare che i minatori fossero un popolo fantastico di spiriti festanti, che non si vedevano, ma erano la causa invisibile degli entusiasmi o degli stupori della gente. Lei, nella fantasia, continuava a scavare all'interno della miniera, perch era la metafora dell'immenso scrigno che era l'immaginario collettivo, da cui attingeva a piene mani da sempre. Anche l'amore, come tutte le cose, aveva in quella miniera le sue radici e la propria fontana inesauribile. Quand'era in pubblico, Veronica era pudica all'estremo, ma in privato si scatenava. Il pudore era bello e prezioso appunto perch a un certo punto doveva sparire e cedere il terreno al suo opposto. Era evidente la sua intenzione di essere per Egidio tutte le donne possibili, concentrate in una dal pi forte degli infiniti sortilegi del destino. Quando aveva tempo libero, e si concedeva una pausa nel suo lavoro, si dedicava a lui completamente. Teneva sempre d'occhio Egidio perch aveva capito che era vulnerabile, minacciato dalle invisibili termiti della vita, e v'era dentro di lui il fantasma impreciso di un essere che tendeva ad annoiarsi. Le cose che lo circondavano

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non gli bastavano mai. Veronica fiutava, come una pitonessa sospettosa, che in lui strideva il meccanismo rugginoso della mutevolezza e della saziet. Questo non doveva succedere, lei sapeva tenere in pugno i congegni del suo spirito, dominati dall'ombra del fastidio. Ma certe volte il modo di vestire e di presentarsi di Veronica era carico di ammonimento. Nel suo guardaroba v'erano anche abiti da sera, per esempio uno nero e uno violetto, che lei ogni tanto indossava per casa, cedendo a un desiderio di gioco cupo e quaresimale, in cui erano da vedere in filigrana anche cose minacciose e cariche di significati. Stesse bene attento, Egidio, lei non era donna da sottovalutare! Da lei, se era il caso, potevano anche scoccare le frecce velenose della vendetta. V'erano aspetti irritanti nella personalit del marito, per esempio la tendenza a farsi beffe del prossimo. Quando vide le copie di quadri famosi eseguiti da Norberto, come quello di Gherardo delle Notti, l'uomo fu l l per scriverci sopra un articolo di tono sarcastico. Lasci perdere soltanto per la dura insistenza di Veronica, convinta che le opere di Norberto possedessero una loro dignit, anche se difficile da definire. Il tempo le diede ragione. Infatti la copia dell'Adorazione dei Magi del pittore olandese non era pi nella soffitta del castello, e quando Veronica chiese a Norberto dove fosse finito, le giunse una risposta sorprendente: Al Museo degli Uffizi. Come, agli Uffizi? Com'era possibile? Semplice. Quella Galleria aveva deciso di far restaurare il quadro originale, ed esso perci era destinato a restare assente per tre anni almeno, essendo un lavoro di grande impegno. Aveva cominciato a prendere piede, tra i direttori dei grandi musei del mondo, l'idea di sostituire i quadri spediti nelle botteghe di restauro con delle copie, qualora ne esistessero. Meglio una copia ben fatta che la parete vuota. Se essa era di grande livello, poi, come quelle di Norberto, si poteva scommettere un occhio che solo i veri specialisti si sareb

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bero accorti della sostituzione. Talvolta non se ne accorgevano neppure loro, come dimostrava la nota vicenda del pittore olandese, che aveva dipinto dei falsi Vermeer, acquistati poi dal museo di Amsterdam e dell'Aia, e anche da nazisti amanti dell'arte. Cos la copia di Norberto era in questo momento agli Uffizi, un'altra era al Prado e una terza al Louvre, perch aveva dipinto anche un Velzquez e un Courbet. Attualmente stava falsificando su commissione del Louvre un Delacroix e un Gericault. In tal modo Norberto fin davvero sulle pagine culturali dei quotidiani, non nella forma che Egidio aveva immaginato, ma in maniera assai diversa. Tutti parlarono del fatto e del giovane Cassinberg, visto come un riproduttore di straordinaria abilit. Vi furono storici dell'arte e filosofi dell'estetica che approfittarono dell'occasione per dire la loro sul fenomeno, sempre esistito nel mondo dell'arte. Che valore si poteva attribuire a una copia? Era un lavoro da valutare in rapporto alle ore consumate per eseguirla, come un qualsiasi prodotto artigianale? O v'era da scorgere in essa un qualche plusvalore artistico? Veronica non ebbe dubbi di alcun genere, e da quel momento riusc a vedere in Norberto qualcosa che prima non sapeva scorgere. Era crollato un sipario. S'era spalancata una paratia di ferro. Un lavoro, che finora le era parso astruso, o molto vicino a esserlo, le si era rivelato come dotato di una funzione utilissima. Ma che significato aveva il riprodurre dei quadri con tanta perfezione ed estro artistico? Non lo sapeva. Intuiva soltanto che quelle copie prodigiose diventavano per lei un geroglifico che non era in grado di decifrare. Le sembr d'intuire che Norberto, in realt, fosse un artista, un creatore, ma dotato di un pudore cos forte che lo obbligava a non osare esserlo in proprio. Del resto anche i grandi artisti di ogni tempo, fino all'Ottocento, si erano considerati imitatori della natura, e quindi dell'opera di Dio. Egidio non riusciva a capire un bel niente di Norberto. Continuava a vedere in lui soltanto uno sciocco, con qual

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che dote strana, rarissima e inutile. Ma Veronica, per contro, aveva il sospetto che un giudizio molto diverso si era indotti a formulare su Norberto, se si pensava a lui come a un personaggio di sostanza medioevale. Lui stesso sembrava interessato a favorire negli altri quel tipo di giudizio. Per esempio la sua pettinatura, con la frangia sul davanti, richiamava quella dei paggi e dei gentiluomini medioevali nella pittura di Fouquet. Tutto in Norberto sembrava mettersi in rapporto con una essenza spiritualistica, che il materialismo dei tempi definiva stupidit. Soltanto una cosa in lui sembrava costituire un'eccezione, ossia il fatto che frequentasse Rebecca. Era pensabile che una donna come quella avesse tessuto un "piano" sopra di lui, per catturarlo per sempre. Rebecca era infatti riuscita a entrare nel cuore del giovane con una grande menzogna e una curiosa verit. La menzogna riguardava il suo patrigno, un norcino, e la verit il suo interesse per il disegno. Aveva raccontato a Norberto che l'uomo le faceva la posta e meditava di assalirla. In realt costui aveva fatto alla figliastra niente di pi di qualche complimento, un po' grasso e scivoloso, come le cotenne dei maiali da lui scannati. Ma Rebecca s'era inventata una storia di cupi agguati, e, abituata com'era alla sofisticazione, esaltata e maligna, s'era anche convinta che le sue fantasie fossero vicine alla verit. Aveva desiderato di essere assalita per davvero dall'uomo, in una carbonaia o in una cantina. Ma il patrigno, provocato da lei, l'aveva in realt respinta con uno strattone, urlandole maleparole. Allora in Rebecca si era scatenato un impulso da bestia ferita, un arcaico istinto di lupa, e aveva cominciato a urlare la sua rabbia e il suo odio, con maledizioni e imprecazioni da trivio. Norberto l'aveva presa sotto la sua protezione proprio per salvarla dal patrigno. Pi volte i malefizi di Rebecca avevano avuto un esito preoccupante, a cominciare da quello che colp proprio il suo patrigno. Aveva scritto il suo nome su un biglietto, bruciato nel fuoco della liscivaia, mentre recitava contro

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di lui gli scongiuri pi micidiali che conoscesse. Poco dopo l'uomo fu morso da un piccolo maiale che stava castrando, tenuto per le zampe da due contadini. Lui rise della cosa, ma neppure dieci giorni dopo il poveraccio mor, urlando e contorcendosi in un letto di ospedale. Si trattava di rabbia o di tetano. Una rivale del mestiere, con la quale Rebecca aveva litigato in piazza, con graffi e strattoni di capelli, dopo i suoi scongiuri era scivolata lungo un sentiero ghiacciato, su in montagna, rompendosi il filo della schiena, sicch ora era costretta a dare i suoi responsi sedendo in carrozzella. Cos Rebecca s'era convinta di essere in possesso di una potenza sterminata, che lei medesima in qualche modo temeva.

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XVII

Il Paese del Ritorno

Rebecca era diventata una donna prosperosa, e non erano pochi quelli che speravano di portarsela nel proprio letto. Ogni tanto le venivano febbri improvvise, e allora si chiudeva nella sua stanza, smaniando e lamentandosi come una donna nelle doglie del parto. La si diceva affetta da qualche male rarissimo, forse il ballo di San Vito. V'erano giorni in cui guardava le cose senza vederle, con occhi da folle, e faceva gesti imperiosi, come avesse ogni signoria sulla natura e sugli elementi, e potesse scatenare temporali o grandinate. Molti a Monterosso ridevano di lei, ma sotto sotto nessuno avrebbe voluto incontrarla come avversaria sulla strada maestra del proprio destino. Lei cercava di mascherarsi, di apparire quello che non era, per la cosa le riusciva soltanto a met, perch era quasi sempre d'aspetto sciatto, disordinato, e aveva qualcosa di urtante e sgradevole in ogni particolare. Sua madre, strabica e piena di tic, era soprattutto un'infermiera di agonizzanti. Quando uno era ridotto al lumicino, le famiglie facevano venire lei per vegliare la notte, praticare i servizi pi pesanti e ripulire i corpi devastati dalla malattia. Proprio quelle cose che respingevano gli altri sembravano attirarla. Lei prendeva quasi possesso del malato, della sua camera, di tutto ci che serviva a lui, termometri, borse del ghiaccio, bombole di ossigeno, spray per cacciare cattivi odori, enteroclismi. Tutti a Monterosso sapevano che lei veniva dopo i medici, dopo l'o

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spedale, dopo ogni tentativo della scienza, e l'abbandono di ogni speranza. La sua presenza era considerata come il preludio della fine. Rebecca aveva due sorelle, assetate e affamate d'amore, cui gli uomini di Monterosso si rivolgevano quando le loro fortune erotiche erano in declino. Facevano le operaie in una fabbrica di mobili. Allorch si attaccavano a un uomo, costui aveva il suo daffare per liberarsene, perch erano pi ostinate delle sanguisughe. Ma in pari tempo erano cos semplici e ingenue che finivano sempre per perdere i loro fidanzati. E ogni volta facevano una gran scenata, piangevano grosse lacrime e si strappavano i capelli, ma finivano presto per dimenticarsene e per immergersi nei loro giornali rotocalchi pieni di scandali, di cui andavano ghiotte, consolandosi delle sconfitte con una serie di fantasie e di evasioni che ricordavano vicende di regnanti o di celebri dive. Da tutto ci si pu ben capire come Doralice fosse carica di preoccupazione per il nipote e il suo legame con Rebecca. Devi liberarti di lei, ragazzo mio diceva a Norberto. Perch, zia? cos volgare. Con me gentile. Non una ragazza del nostro genere. Non sarebbe piaciuta a tua madre e a tuo padre. Qui da noi fuori posto. Almeno non portarla in casa. Norberto non rispose, ma sentiva nell'intimo che la zia aveva ragione. Rebecca era un po' come una macchia d'inchiostro sulla pagina di un quaderno. Eppure lui sentiva di esserle legato. Norberto era attirato da lei anche per la strana faccenda che riguardava suo zio, il venditore ambulante e giostraio che aveva avuto quel terribile incidente d'auto, ed era stato lasciato come morto per tanti minuti nel corridoio di un ospedale. Lo zio Epaminonda, da allora, non invecchiava pi. Aveva ormai pi di sessantanni, e tutti gliene davano quaranta, ossia quelli che

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aveva all'epoca dell'incidente. Non uno solo dei suoi capelli era diventato grigio, n la pi piccola ruga o solco si erano scavati nel suo viso. Il suo estro amoroso era ancora quello di un giovinotto, e insomma era come se l'uomo avesse firmato un patto col Diavolo. Per non dispiacere alla zia, Norberto cominci a recarsi lui a casa di Rebecca, una vecchia bicocca di campagna, dove i camini spurgavano e le pareti erano annerite dal fuoco. Rebecca si avvide che negli occhi di Norberto v'era uno strano smarrimento per l'aspetto sciatto che aveva l'ambiente, e da furba qual era cominci a modificarlo. Elimin ogni cosa superflua, applic le tendine alle finestre, gett sopra il letto un copertoio a uncinetto, fatto da una sua nonna. Cos la stanza cominci ad avere qualcosa in comune con quella di Doralice, dove i pizzi eseguiti a fusello e chiacchierino abbellivano tutti i mobili. Qui tante cose facevano sussultare Norberto all'improvviso. Poteva essere uno scoppio di risa, o un urlo della madre, o le grida di una lite improvvisa. A volte, mentre dormiva con Rebecca, udiva di colpo lo strido rauco di un gufo, o lo squittio di un topo in cantina, o un grido di paura lanciato nel cuore della notte da una delle sorelle, che aveva avuto un incubo. Tutti in quella casa erano dei primitivi, e ognuno sfogava i suoi sentimenti ad alta voce, in modi clamorosi, non sapendo minimamente trattenersi o controllarsi. Il povero Norberto era disorientato e frastornato, ma si asteneva da ogni giudizio. Rebecca cercava di distrarlo, attirando la sua attenzione su di s, e cos il giovinotto aveva la sensazione che lei fosse l'unica donna del mondo. Cerc di assimilare il suo interesse per la pittura e anche quello per gli antenati. Sostenne che a scuola era brava in disegno e nella pratica dimostr che non aveva mentito. A lui disse che voleva migliorare, e fu per Norberto un altro motivo per essere attratto da lei. A volte Norberto si dimenticava, durante le strane lezioni, chi fosse veramente Rebecca, e si entusiasmava a parlare di pittura con lei, scordando la propria

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nativa timidezza. Poi alla fine del discorso gli pareva di tornare alla realt quotidiana. Davvero ti interessano queste cose? le chiedeva. Certamente. Del resto non si vede? S. Disegni discretamente. Ma ti manca il gusto e il senso del colore. Imparer anche quelli. Non dubitare. Rebecca era sempre molto sicura di s, e riteneva di poter arrivare dove volesse. Per lei non v'erano porte chiuse e portoni proibiti, perch possedeva misteriosi passepartout che glieli aprivano quando volesse. Sapeva di poter esercitare su Norberto ima signoria dispotica e universale. Solo una cosa gliela poteva contrastare, ossia la suggestione che Veronica esercitava su di lui, anche da lontano. Era un'altra ragione per cui Rebecca odiava la Castenetto. L'aveva sempre detestata, e ora, nel chiuso della soffitta, eseguiva contro di lei i malocchi pi micidiali. A Norberto non diceva una sola parola, perch ogni volta che era accaduto l'aveva visto cambiare di colore e sfuggirle di mano. Ma non si sentiva tranquilla, e sapeva che non avrebbe avuto requie finch Veronica fosse rimasta una possibile rivale. Talvolta arrivava a provocarlo, quando lo vedeva serio e immerso in pensieri indecifrabili. Stai pensando a Veronica, non vero? Io penso a tante cose. A volte anche a lei. Ma perch non hai detto di no? Perch non sai mentire? Gi. Proprio il fatto che non sapesse fingere la metteva in furore. A lei niente veniva pi spontaneo della menzogna, e anzi di essa aveva in certo modo necessit. Di bugie si alimentava come fossero l'aria o il pane quotidiano. Le cose limpide e sincere l'annoiavano. La vita scoloriva e sbiadiva terribilmente, se non s'introduceva in essa il condimento della doppiezza e della falsificazione. Cercava di suscitare sentimenti loschi e attorcigliati in Norberto, e si aspettava che diventasse almeno un falsario di quadri e un contrabbandiere di cose d'arte. Niente da fare.

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Se la Castenetto era un po' il chiodo fisso dei pensieri di Rebecca, Veronica invece rivolgeva molti dei suoi a Fabrizio Mattioni. Aveva cominciato a concepire grandi speranze che lui pure ritornasse a Monterosso, perch ormai il suo era il Paese del Ritorno. Erano tornati il fonditore di campane, l'artigiano del ferro battuto, un paio di scalpellini e soprattutto Quinto Sgubin, il liutaio per antonomasia, il Guarnieri, lo Stradivari del nostro tempo. Era come se una pietra preziosa fosse stata di nuovo collocata nel suo antico castone. V'era in questi fatti, e non soltanto per Veronica, il sentore di un'armonia ripristinata. Gli dei non abbandonavano pi il paese, come aveva detto Fabrizio, partendo per la California, ma vi ritornavano. E allora perch non poteva tornare pure lui? Vi erano grosse motivazioni perch questo avvenisse. Sui mercati, specialmente quelli forestieri, si cominciava a preferire prodotti fatti a mano. Erano venuti a noia quelli fabbricati in serie, e le mille cose inutili che uscivano dalle catene di montaggio, che si finiva sempre per comprare, per ingordigia del possedere, ma che poi non si usavano perch non servivano veramente nella vita quotidiana. I magazzini erano pieni di merce invenduta, i mercati saturi e le fabbrichette, come uccelli con le ali appesantite da qualche morchia oleosa, non riuscivano a sollevarsi e a decollare. Molti lavoratori lasciavano gli opifici, pi o meno in crisi, che spesso erano costretti a chiudere i battenti, e tornavano alle botteghe artigianali. Le case vuote di Monterosso venivano riaperte. Ma a questo andamento generale delle cose mancava il vero coronamento, la chiave di volta, ossia il ritorno di Fabrizio Mattioni, il cittadino pi illustre di Monterosso, quello di cui i giornali avevano parlato pi spesso. Egidio l'aveva conosciuto negli Stati Uniti, durante i suoi viaggi e spostamenti di corrispondente. Una volta l'aveva anche intervistato a Nuova Orleans. L'aveva incontrato in un albergo della citt vecchia, uno di quegli hotel con le ringhiere di legno dipinte, simili a quelle dei battelli che

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scendevano e risalivano il Mississippi, con le orchestrine di jazz, il salone per il gioco d'azzardo e le cabine di lusso, per gli incontri amorosi della gente pi ricca. Avevano percorso insieme un paio di strade piene di negri anziani con la barba bianca, o anche giovani, vestiti con le fogge pi fantasiose e inverosimili, per esempio con il cappello a cilindro azzurro e lo smoking viola, che suonavano la tromba, il sassofono o la batteria. Spesso improvvisavano della musica l per l. La citt vecchia era d'aspetto sudicio, coloratissima, risonante di jazz come un'immensa balera. Qua e l erano sparse passeggiatrici con i capelli ossigenati e le sottane cortissime, ciarliere e invitanti, legate tra loro da perenni conversari. Vede? Molte di quelle sono state ballerine famose aveva detto Fabrizio. Davvero? Senza meno. Qualcuna ne ho conosciuta anch'io, ai tempi della loro gloria, quando avevano i pi ricchi uomini d'affari ai loro piedi. Ma poi sono finite sulle strade. Purtroppo. Spendono tutto perch sono prodighe come cicale. Per loro non esiste il domani. Ma sono ancora allegre, come quando ballavano il can can nel teatro francese. Il palcoscenico o la strada, per loro fa quasi lo stesso. Le vie erano piene di drogati, di ladruncoli, truffatori, e ognuno dei suonatori che; usciva dalle cantine poteva anche essere un ladro o un assassino, ma suonava il sassofono o la tromba come un dio. Nuova Orleans era una citt fatta cos. Tuttavia Fabrizio sembrava preferirla di gran lunga a Hollywood, che aveva abbandonato da anni, ben deciso a non rimettervi piede, dato che laggi non riusciva pi a lavorare. Perch? Non era capace di trovare finanziamenti e produttori? Anche. Ma soprattutto qualcosa si era inceppato e arrugginito dentro di lui. Il grande fervore creativo di un tempo si era mutato in un'apatia inaridita e in un'indecifrabile svogliatezza. Nessun giornale parlava pi di lui. I suoi film, cos sapientemente am

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bientati, cos vicini al documentario, gi proiettati nelle sale e nei cineclub di mezzo mondo, venivano ricordati sempre pi raramente e stancamente. Nessuno accostava pi il suo nome a quello di Joris Ivens o dell'Eisenstein di La linea generale. Fabrizio aveva anche parlato, in modi allusivi, di un film documentario sulla parte francese di Nuova Orleans, ma era un lavoro che non si decideva mai a cominciare, e lui stesso non sapeva perch. Egidio poi l'aveva subito perduto di vista, perch lui e Fabrizio s'interessavano di cose molto diverse. Dai discorsi di suo marito Veronica si era resa conto che anche il ritorno di Fabrizio doveva essere imminente, o almeno probabile. In sogno, ebbe la visione di Fabrizio coinvolto in un confuso andirivieni di gente, che gridava e correva. Al risveglio fu in grado di ricordare soltanto poche cose, ma bastarono per farle ritenere che Fabrizio fosse in pericolo di vita. Aveva visto dei morti accanto a lui? Questo Veronica non riusciva a decifrarlo. Temeva e allo stesso tempo desiderava sapere qualcosa di pi preciso sul significato di quell'incubo. Poi fu distratta da qualcosa e se ne dimentic. Per era sempre molto agitata. Quella sera, verso le nove, ebbe la sensazione che la casa ballasse, e per istinto guard verso il lampadario. Oscillava. Era un lieve terremoto. "La nonna!" pens Veronica, e corse verso la stanza di Matilde. La trov seduta sul letto, avvolta in uno scialle. Ho sentito una scossa, nonna, usciamo disse Veronica. Vestita cos? fece Matilde. Certo. Ma subito. Pu venirne un'altra. Non so dove ho messo le scarpe nere. Cosa dici? Prendine un paio qualunque. Per la nonna non si muoveva, non si spostava neppure di un dito, e aveva assunto un atteggiamento da statua, come spesso faceva. Nonna, nonna! Ti prego, dobbiamo uscire! Prima devo finire di vestirmi.

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In realt fece una cosa soltanto, si mise al collo una collana di diamanti, la pi bella e preziosa che avesse, e poi orecchini e braccialetti. Sembrava che si preparasse a una festa aristocratica di altri tempi. Quando non seppe pi dove applicare altri gioielli a se stessa, disse che lei non intendeva affatto uscire. Se fosse venuto un sisma tanto forte da distruggere la casa dei Castenetto, appena riassestata, nella quale aveva abitato per tutta la vita, allora desiderava finire con essa. Non dire queste cose, nonna disse Veronica. Io resto qui, in ogni caso. Eccola, eccola! Ti prego, vieni fuori! Infatti cominci una scossa fortissima. Veronica intensific lo sforzo di convincere la nonna a correre in cortile, ma la vecchia, immobile, tutta ritirata in se stessa, aveva perso ogni istinto di sopravvivenza. Veronica cerc di sollevarla e di trascinarla. Non ci riusc. Allora si gett all'aperto, mentre il sisma ancora durava. Raggiunse il cortile e la strada, sentendo l'urlio confuso e spaventato della gente di Monterosso, che cercava la salvezza. Vide vecchie case crollare, e dalle macerie levarsi globi immensi di polvere. Sent che il terremoto stava vibrando una ferita mortale a Monterosso, e a chiss quanti paesi e cittadine di tutta la regione. Certo v'erano morti e feriti. Le case, le antiche case di sasso dei contadini e dell'architettura spontanea, ma anche quelle pi eleganti degli artigiani e dei negozianti, anche i palazzetti con archi e logge del Quattrocento e del Cinquecento stavano crollando, o erano gravemente danneggiati. La Scossa Grande, che a tutti sembr durare un'eternit, finalmente cess. Era durata novanta secondi. Ne seguirono altre, molto minori. La casa non ebbe danni, solo qualche crepa qua e l, pochi calcinacci che Veronica, pi che vedere, indovinava sotto le suole delle scarpe, perch la luce era subito mancata. "Avevi ragione, nonna! Tanto valeva non uscire di casa, nonna, sei stata pi indovina di me!" Rientr, corse nella camera di Matilde, assolutamente intatta, ma la nonna

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non c'era pi. Naturalmente era ancora l, ma non poteva sentire la nipote, perch se ne era andata per sempre. Ci volle molto tempo perch Veronica se ne convincesse, a lungo le tast il polso e la vena del collo. Matilde era seduta in poltrona, con i gomiti sui braccioli, composta e solenne nel buio. Sembr a Veronica che non avesse voluto sopravvivere alla fine di Monterosso. Si era adornata dei suoi gioielli pi preziosi, come per un raffinato saluto a lei, ai suoi conoscenti e a tutto il paese. Veronica cerc di spostare la poltrona, di accostarla al letto, e in qualche modo riusc a distendere la nonna sulle coperte. L'abbracci e la baci. Era appena un po' pi fredda del normale. Veronica sper che Egidio, che era al giornale, subito tornasse, ma non accadde. Cap che lo avrebbero trattenuto forse anche per tutta la notte, con quello che era successo, ma pens pure che il marito non era mai vicino a lei, quando accadeva qualcosa di grave. Era destino. Veronica si sedette accanto al letto della nonna e le tenne la mano, come fosse gravemente malata, ma ancora viva. Da fuori, ovattati, come trasognati, arrivavano i rumori e le grida generate dalla Grande Sventura. Non venne nessuno. Lei era sola nella veglia funebre. Cerc d'immaginare quante potessero essere le vittime, e non riusc a farsene un'idea. Gir per la casa, trov un paio di candele e le accese sui due comodini per trasformare la stanza in una camera ardente. Norma, io vado a vedere le dimensioni del disastro disse alla morta. Poi usc di nuovo, ma con stupore e letizia crescenti apprese che non v'erano stati morti. Qualche ferito soltanto. La scossa di preavviso aveva fatto uscire tutta la gente per le strade, perch ognuno a Monterosso conosceva il terremoto, spesso per esperienza diretta, perch ve ne era stato uno solo cinquant'anni prima. Oppure ne aveva, per cos dire, l'archetipo nel sangue, lo conosceva per ragioni genetiche perch esso ritornava periodicamente da sempre. Sottoterra, a migliaia e migliaia di metri, v'era un orco, che si svegliava ogni tanto, dopo un lunghissimo sonno.

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Cos moltissime case erano crollate, perch costruite con sassi di fiume, ma non c'erano state vittime. La distruzione era passata nel paese, con un rumore assordante, e la carrozza della morte era corsa per le vie intasate di macerie, con i suoi neri cavalli, con i campanellini squillanti a distesa, ma si era contentata di una sola vittima, e per di pi indiretta e trasversale, rispetto al terremoto, ossia la nonna, morta per un attacco di cuore. Il disastro provoc a Monterosso una fortissima aggregazione della gente. Tutte le famiglie si riunirono, quella stessa notte, si contarono, si abbracciarono per la gioia di essere sopravvissute. Ognuno and a cercare amici e parenti, scavalcando o aggirando le macerie, con affannosa speranza e con il desiderio di trovarli senza danni. Tutti scoprirono di colpo che i legami familiari erano molto pi importanti di quanto avrebbero potuto supporre. Veronica, poich non aveva accanto a s il marito, non raggiungibile neppure col telefono, che non funzionava pi, and a cercare i Cassinberg. Il castello era stato seriamente danneggiato, s'erano aperte crepe larghe anche molte dita, ma Norberto e Doralice stavano bene. Per le strade tutta la gente parlava a voce alta, come per una irresistibile necessit, o scoppiava in risate e pianti improvvisi. I gesti di affetto non si contavano. Molte case avevano resistito, tutte quelle che erano state ristrutturate ed erano sostenute da pilastri di cemento armato. I coniugi e gli amanti, dopo aver girato per le strade due o tre ore, dopo aver parlato in modi torrenziali, dopo aver riso, pianto, urlato, per dissolvere in qualche modo la paura e la sorpresa, si rifugiarono nelle stanze interne delle case le pi sicure, le meglio conservate, e fecero l'amore, cercandosi nel buio, dominati dall'istinto primordiale della sopravvivenza.

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XVIII Il risveglio

Anche Veronica, come tanti altri, desider far l'amore, ma Egidio non c'era. Adesso era proprio assolutamente sola. Tutta la sua famiglia se n'era andata. Il suo cuore trem, e per reagire alla solitudine e alla paura si rimise a parlare alla nonna morta, nella luce delle candele. Non ebbe nemmeno necessit di rivestirla. Lei si era gi vestita e preparata per conto suo, come avesse saputo che aveva l'appuntamento con la morte, alle nove della sera. Veronica parl con la nonna e gli altri morti di casa, e da quei discorsi silenziosi attinse la forza di non lasciarsi andare alla disperazione. Egidio non le fu di aiuto. Il giornale lo tene-va sempre mobilitato, ma il suo lavoro era richiesto anche da quotidiani e rotocalchi di Milano, perch era il nome pi noto del giornalismo locale. Era sempre sotto pressione. A casa ci stava pochissimo, e spesso non riusciva neppure a incontrare sua moglie la quale, dopo il funerale di Matilde, era stata lei pure reclutata per risolvere una quantit di problemi generati dal terremoto. Quali erano le case da abbattere e quali da conservare?

Cos Veronica ed Egidio erano sempre una da una parte e uno dall'altra. Il marito cap che il terremoto, che poneva la zona sinistrata in primo piano, nella cronaca d'Italia, e in misura minore anche d'Europa e del mondo, era la sua nuova grande occasione. Per lui esisteva soltanto il Grande Evento, dai mille volti e dalle mille conseguenze, per ognuno dei quali ci voleva un intervento giornalistico,con la sua firma in fondo. Se i cani da valanga riuscivano a trovare un terremotato ancora vivo sotto le macerie, lui stava l con i pompieri e i soldati, che scavavano tutta la notte. Riusc a intervistare una signora da cui lo separavano molti metri di macerie. Pareva sempre il meglio informato, il pi tempestivo ed efficiente dei giornalisti. In ogni momento era possibile apprezzare in lui i risvolti dell'esperienza professionale assimilata in America. Fu lui a intervistare un vecchio parroco con il morbo di Parkinson, che aveva previsto il terremoto e ne aveva parlato una settimana prima che avvenisse, perch Croma- zio, il custode del cimitero di Monterosso, gli aveva accennato a un misterioso ribollimento delle acque nel lago dei Tre Comuni. Per le intuizioni di Egidio fu possibile salvare un uomo sepolto da cinque giorni sotto le macerie. Il suo nome acquist in pochi giorni fama e autorit, ed era spesso a lui che si rivolgevano i giornalisti forestieri pi importanti, per orientarsi e riuscire a cogliere le novit sostanziose. La sua figura apparve pi volte sulle reti televisive nazionali. Era passato soltanto un mese dal terremoto, quando i suoi articoli cominciarono ad apparire sul "Corriere della Sera". Aveva litigato con il direttore del giornale regionale, con parole pesanti, ma soltanto per giustificare il suo passaggio al 183

quotidiano pi prestigioso d'Italia. Aveva gi in tasca il nuovo contratto, e stavolta corse a casa perch era ansioso di farlo vedere a Veronica. La donna era intenta a mettere un po' d'ordine. Stava buttando via montagne di rotocalchi e di dpliant turistici che la nonna aveva ammucchiato dappertutto, negli ultimi sedici armi. Leggi questo disse trionfante a Veronica. Cos'? chiese lei. Un contratto. Mi danno, per ora, un compenso per ogni articolo. Ma poi forse mi prenderanno come redattore. Allora ci dovremo trasferire a Milano? probabile. E quando?

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Non subito. Vedremo. Lui a metter su casa a Milano ci aveva pensato, ma soltanto un monolocale per s. L'idea di spostarsi a Milano assieme a Veronica non l'aveva neppure sfiorato. Non era sua moglie, anche se lei si metteva al dito quel ridicolo cerchietto d'oro. Poteva raggiungerla a Monterosso, nei fine settimana, con un treno rapido, o meglio ancora con un'auto sportiva. Ci teneva a conservare intatta la sua libert, almeno da questa parte dell'Atlantico, perch dall'altra aveva gi avuto i suoi guai con le donne e non voleva ricominciare. Che Veronica vedesse, nel suo contratto, la necessit di metter su casa con lui a Milano gli rivel che non era affatto entrata in un costume e in un ordine d'idee moderni. Era ima donna all'antica, e non per niente era cos legata a tutte le favole e le magherie di Monterosso e della sua terra. L'archetipo tribale del matrimonio non era stato ancora minimamente scalfito nel suo pensiero. Questo fatto poteva tramutarsi in un bel guaio, data la sua situazione, perch prima o poi essa sarebbe saltata fuori. Doveva lasciare Veronica e trasferirsi a Milano? Doveva cogliere l'occasione al volo? Prov a pensarci, ma non seppe prendere quella decisione. Intanto la prospettiva di doversene andare da Monte- rosso, per salvare l'unit familiare, aveva introdotto nella mente di Veronica un esercito di tarli, che la tormentavano per ogni verso. Andarsene significava abbandonare la casa dei Castenetto, che il terremoto aveva lasciata intatta, e tutto il suo mondo, non occuparsi pi dell'architettura spontanea, ossia il suo vero compito. Voleva dire voltare le spalle al terremoto e vivere come non ci fosse stato. Significava chiudere in un forziere corazzato le "voci" allusive e la sua vocazione, che era quella di riportare Monte- rosso sulla via maestra della Storia. Era dire addio a un mondo intiero, chiudere un'altra volta la miniera di pirite e di rame, eliminarla anche come metafora, dimenticare per sempre la sensazione di essere circondata da spiriti

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dei boschi, elfi, trll, agne, ossia voltare le spalle al fantastico e al misterioso. Lasciare Monterosso, in altre parole, era la catastrofe. Ad esempio non riusciva a immaginare il ritorno di Fabrizio Mattioni, in propria assenza. Lei non poteva mancare a quel ritorno, in nessun modo... Ma forse, triste realt, ormai Monterosso era una citt messa in ginocchio dal sisma. Nessuno avrebbe pi pensato di ritornarvi. Le scosse l'avevano giustiziata. Un terzo delle case era stato distrutto, le loro macerie erano gi state sgombrate e i sassi restituiti ai fiumi, con ima processione sterminata di camion. Che Monterosso potesse tornare com'era costituiva soltanto un sogno strampalato. Terribili vuoti si aprivano tra casa e casa. Quasi tutte le costruzioni rimaste mostravano ferite, crepe, scalcinature preoccupanti, che non potevano non alimentare un segreto desiderio di fuga e di diaspora. Del resto come era possibile restare a Monterosso, se perfino la famosa Cattedrale era andata distrutta? Gi. Questa era infatti la melanconica verit. Gli dei non potevano ritornare a Monterosso, dovevano rimandare la loro venuta, perch anche i loro templi erano andati disfatti. La Cattedrale era in pezzi. Il tetto era sprofondato, i contrafforti esterni s'erano disuniti ed erano diventati un cumulo di pietre scheggiate e malridotte. Il campanile aveva perduto la cuspide e la cella, e le campane erano un mucchio di rottami, perch il bronzo fragile come la ghisa e la pietra. I muri erano smozzicati e sbriciolati, gli intonaci scalcinati, gli altari sbrecciati e in rovina. Le statue erano crollate sui gradini, per diventare torsi decapitati, privi di braccia e di gambe, come i poveri di una medioevale Corte dei Miracoli. Le navate s'erano ridotte a uno spicinio di travi smozzicate, di coppi fracassati e di graticci scalcinati. I famosi affreschi erano una carrata di schegge colorate. La sorella minore delle cattedrali pi belle di Francia, del Belgio e delle pi antiche citt renane, nata dalla genialit e dalla fede di un frate templare e dalla generosit

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di Riccardo Plantageneto, era in rovina come una terrina di coccio caduta sul cemento. Nostra Signora della Neve, vista un po' da lontano, in una giornata nebbiosa, pareva un ghiaione di massi staccatisi da un'alta montagna. Era un segno della fine di Monterosso, un invito universale a lasciare il regno delle apparizioni, della fantasia, della maga, un monito, anche per Veronica, di andare a cercare altrove la sua fortuna. Doveva dunque seguire suo marito a Milano? Del resto da sempre le mogli seguivano i mariti, dove li chiamavano le esigenze della vita e i giochi impetuosi del destino. Per lei attorno alla famiglia v'era un alone di sacralit, e quindi era facile intuire cosa l'aspettasse nel futuro. Ma esso cominci a logorarsi quando Veronica venne a sapere da un giornalista statunitense che aveva conosciuto Egidio negli Usa la ragione vera per cui egli aveva lasciato quel paese e la promettente carriera americana. Era stato costretto ad andarsene dopo la faccenda del bambino rimasto prigioniero nella miniera. Cos si espresse l'uomo, come si trattasse di un evento ben conosciuto da Veronica. Lei stette al gioco, fingendo che ogni cosa le fosse arcinota, ma abilmente lo fece parlare, incalzandolo con domande dissimulate e trasversali

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.Apprese che Egidio aveva scritto per un giornale americano alcuni articoli su un caso che aveva gettato nell'angoscia tutto lo stato dell'Arkansas. Un bambino era entrato per gioco in una miniera abbandonata, poi era rimasto intrappolato per il crollo di alcuni puntelli. Riusciva a comunicare con Egidio attraverso un tubo per l'aerazione. Era corsa la voce che, per prolungare il caso, e sfruttarlo fino in fondo, Egidio avesse pilotato i soccorsi in modo che i vigili del fuoco raggiungessero il bambino il pi tardi possibile. Nel frattempo per egli era morto. V'era stato un processo, ed Egidio era stato assolto per insufficienza di prove. Ma intanto il suo giornale lo aveva licenziato, e cos era tornato in Italia precipitosamente. Si diceva che

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avesse dato tutti i suoi risparmi ai genitori della vittima, perch ritirassero la denuncia. Veronica ebbe la sensazione di cadere dall'alto di una montagna. Tuttavia le parve di aver avuto una qualche premonizione sul fatto, come se esso fosse implicito in certi comportamenti di Egidio. Forse era la sua eterna impressione del "dj vu", perch a lei la vita un po' sempre pareva un sogno di cui era rimasto nella mente uno sbiadito ricordo. Per in Egidio non riusciva mai a vedere chiaro, perch lo amava. Si sent un nodo alla gola. Ebbe l'impressione di essere un po' lei stessa colpevole di quella morte, come se i peccati del marito ricadessero anche su di lei. Egli invece non ci pensava per niente, e il fatto lo aveva quasi dimenticato. V'erano accadimenti americani che gli davano pi molestia, almeno in rapporto con Veronica. La moglie lo interrog a lungo su quel tragico evento. Ho consigliato il modo pi sicuro. Ci che meno pericoloso anche pi lento, di solito lui rispose. Ma un bambino ci ha rimesso la vita. Non correva nessun pericolo immediato. Praticamente morto di paura. Egidio pensava al fatto come quello in cui il massimo della sua fortuna era coinciso con il vertice della sua disgrazia. Era riuscito con i suoi articoli ad attirare l'attenzione di mezza America, ma quello era stato anche l'evento che l'aveva fatto licenziare dal giornale, per colpa dell'eterno puritanesimo statunitense. Erano scattate contro di lui anche le perenni molle dell'invidia, perch era uno straniero. Il successo era qualcosa di cui gli americani si consideravano proprietari esclusivi, da cui gli stranieri dovevano girare al largo. Veronica era molto confusa. Si immagin una congiura dell'invidia attorno a Egidio, e in fondo la colpa di tutto era lei, che non lo aveva seguito e protetto nell'altro continente. Ora bisognava al pi presto trasformare la loro posizione in un vero matrimonio, ma Egidio non ci sentiva da

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quell'orecchio. Sposarsi, per poi divorziare, magari, come i suoi genitori... Perch tante formalit? Loro erano insieme, si volevano bene, erano legatissimi l'uno all'altra, e non serviva nient'altro, n testimoni n cerimonie. Il matrimonio era un fatto privato tra un uomo e una donna. Perch le donne erano tanto formaliste? Perch non si sentivano mai abbastanza sposate, se non celebravano il matrimonio con i fiori, l'abito bianco, i testimoni, la chiesa e le musiche d'organo? Tutte romanticherie. La sua filosofia era molto differente. Due dovevano stare assieme finch ne avevano voglia, poi ognuno se ne andava per la sua strada. Nessuno poteva impegnarsi per tutta la vita, per una cosa qualsiasi, perch nessuno, in certo modo, era padrone completo del proprio avvenire. Non era meglio vivere ognuno per s, in casa propria, e poi trovarsi quando se ne aveva voglia? La famiglia ideale per lui era quella del single, in cui ognuno si organizzava come voleva. Veronica quasi non si capacitava, perch lei della famiglia aveva un'idea diversissima. La famiglia era la vetta dei suoi sogni e dei suoi progetti, e per lei faceva tuttuno con la casa, che era il vero luogo della vita, la struttura dentro la quale soltanto l'esistenza rivelava le sue segrete possibilit per intiero. Era una sorta di idea platonica, sempre esistita nella mente di Dio, prima ancora che nascesse la prima coppia nell'eden. Era un archetipo, un progetto eterno del Creatore. Ma Egidio era refrattario a tutte le sue argomentazioni. Veronica preferiva non insistere, per evitare fratture e aspettare tempi migliori. Era meglio dedicarsi ad altre cose, nel frattempo, e attendere che soffiasse un vento pi propizio, per incrementare e rafforzare la sua famiglia, tanto sognata e pure mezzo fallita, come quella dei suoi genitori, anche se per cause tanto diverse. In quel periodo le sorprese pi gradite non venivano da Egidio ma piuttosto da Monterosso. Dopo il terremoto stava verificandosi un fenomeno del tutto inaspettato, os

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sia che la gente del posto non sceglieva di andarsene, ma piuttosto gli emigranti decidevano di ritornare. Chi aveva parenti all'estero, ed erano moltissimi, riceveva offerte di andare a vivere con loro, in Canada, negli Stati Uniti, in Australia, almeno per un periodo, finch la casa fosse stata rimessa in sesto. Nessuno accettava. Veronica si sent percorsa da una zufolante allegria. Monterosso non moriva. La citt era stata profondamente ferita, ma aveva pi che mai voglia di vivere e di ricominciare. Monterosso non finiva, cos come non moriva la civilt alpina e contadina, che fabbriche e ciminiere parevano aver sconfitto e cacciato dal versante vivo della storia. Al contrario, era la civilt industriale che era entrata in affanno e mostrava tutti i suoi lividi e le sue scuciture. V'erano centinaia di case da ripristinare e rafforzare, soltanto a Monterosso, e molte migliaia in tutto il territorio colpito dal terremoto. Veronica progettava ristrutturazioni di vecchie case e risanamenti per quelle lesionate. Entrava nelle case e parlava con la gente, a cui diceva ci che essa voleva sentire. Andarsene da Monterosso? Mai pi! Al contrario, bisognava mobilitare ciascuno su questo punto, far tornare gli emigranti e preparare le case anche per loro. Gli aiuti dello stato c'erano, arrivavano in abbondanza, e pochi mesi dopo la catastrofe la ricostruzione navigava a pieno ritmo. La gente rispondeva e Monterosso era un grande cantiere. La vita del paese si stava riprendendo. Le messe venivano celebrate nella seconda chiesa di Monterosso, che aveva resistito al terremoto perch di costruzione recente, con muri non di sassi ma di mattoni. Il municipio, la posta, la pretura avevano soltanto crepe trascurabili. La maggior fonte di difficolt, nei piani della ricostruzione, veniva dalle rovine di Nostra Signora della Neve. L veramente il disastro era universale, e non v'erano soldi per ricostruire. Ve n'erano per le fabbriche e le case ma non per le chiese, almeno non ancora, perch le chiese venivano per ultime nei programmi della ricostruzione. La Catte

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drale faceva pena. Era per Veronica come una persona gravemente ferita, che nessuno pensasse di ricoverare in sala operatoria, e aspettasse pazientemente il suo turno sopra una barella, in un corridoio dell'ospedale. Alcuni arredi, la statua lignea della Madonna, e poche altre cose, erano stati salvati, e Veronica si era offerta di ospitarli "sine die" nella grande casa dei Castenetto. Una sera d'estate la donna pass nelle vicinanze della Cattedrale e si ferm a osservare la chiesa. Entr nel recinto delle mura e si sedette sui gradini dell'altare maggiore, smozzicati e sgretolati. Guard in alto, e vide costellazioni molto luminose attraverso il tetto sfondato, perch quella era una notte astronomica. I grilli cantavano e si avvertiva nell'aria odore di fieno. Veronica torn all'aperto, lentamente, scavalcando mucchi di rovine. Stava per andarsene quando vide dall'altra parte della piazza un'ombra nera, curva sopra le pietre. Si nascose come fosse stata sorpresa a fare qualcosa di irregolare. L'ombra si chinava, stava un po' ferma, poi si rialzava... Subito intu chi potesse essere. Appena spunt la lima pot verificare che il suo pensiero era giusto. Era Norberto. Veronica sorrise e gli and incontro. Che fai qui, tutto solo, a quest'ora? gli domand. Pressapoco quello che fai anche tu, ritengo. Io mi limito a guardare. Io faccio anche un'altra cosa. E cio? Scrivo dei numeri sulle pietre, a seconda della loro collocazione originaria. E come fai a saperla? Con la pazienza. Norberto aveva disteso sulle pietre grandi fogli col progetto della Cattedrale, rifatti su quelli originali dell'antenato templare. La consultava pazientemente, per orientarsi e riconoscere la collocazione di ogni pietra modellata, fosse dei contrafforti, dei finestroni, dei doccioni o delle canalette. Molte pietre erano pressoch intatte, e quindi

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potevano essere riutilizzate nella ricostruzione, quando fosse venuta. Il fatto di recare sul dorso, dipinto con vernice rossa, ben grande e visibile, un numero d'ordine, sembrava un segno magico che le avrebbe difese da ogni ulteriore danneggiamento. Era un lavoro da certosino, adatto all'indole di Norberto. Continu a lavorare tranquillo, nonostante la presenza di Veronica. Quelle pietre disperse, disordinate, spesso sbrecciate e ferite, lo legavano a s con la stessa intensit con cui le aveva disegnate Ulderico di Cassinberg, sette secoli prima. Da un ramo all'altro dell'albero genealogico si era trasmesso l'amore per la Cattedrale, n esso era diminuito adesso che l'edificio era in rovina. Per ora la speranza di poterla ricostruire era sottile come un filo di seta, che soltanto Norberto riusciva a scorgere chiss dove, in un punto del suo orizzonte stralunato. Egli stava in qualche modo trasformando l'ambiente della Cattedrale perch, con quei numeri dipinti sul dorso delle pietre, una rovina cominciava a prendere l'aspetto di un cantiere. Veronica aiut Norberto fino oltre la mezzanotte, poi and a dormire, perch non si reggeva pi dal sonno. Norberto rimase solo e, instancabile, come fosse la coscienza del paese e non dormisse mai, seguit a numerare le pietre. Per la gente venuta da fuori, a lavorare, la ricostruzione di Monterosso era un lavoro come tanti. Il paese era imo dei molti semidistrutti dal sisma. Per Norberto e Veronica, invece, Monterosso era un luogo unico al mondo. Non era confrontabile con nessun altro. A loro due questo fatto pareva cos evidente e strepitoso che non era neppure il caso di farvi cenno. Per Veronica "Monterosso" era una parola chiave. Pronunciarla, o sentirla pronunciare, voleva dire tante cose, a volte difficili da cogliere anche per lei. Spesso diceva quel nome quando stava con Egidio, per evocare gli stessi sentimenti anche in lui, che era figlio di Monterosso. Non ac

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cadeva. Egidio si recava a Milano almeno una volta ogni quindici giorni per incontrare il direttore e i redattori del "Corriere". Aveva fame e sete di grandi citt. Tuttavia Veronica non vedeva i suoi viaggi e le sue assenze con ostilit e pregiudizio. Essi erano piuttosto sempre una sorta di incognita. Forse tornando avrebbe mostrato qualcosa di nuovo, di fantasioso e di piacevole. Forse le avrebbe portato uno splendido regalo e le avrebbe chiesto scusa. Scusa di che? Di tante piccole cose, o anche di cose grandi e drammatiche come la faccenda del bambino seppellito vivo nella miniera americana. Egidio certo non aveva alcuna colpa di quell'evento maledetto, per sarebbe stato bello che si fosse scusato lo stesso con lei, porgendole un involto in carta da regalo, con un nastro colorato. Carezzava l'idea che Egidio scrivesse ima serie di articoli col fine di reclamizzare la ricostruzione della Cattedrale e di far affluire offerte a quello scopo. Ma non v'era nessun indizio che la cosa accadesse. Egidio era gi, mentalmente, lontanissimo dal terremoto, perch la gente non coinvolta dal sisma lo aveva presto dimenticato. Nel frattempo, nei mesi successivi, erano accaduti molti altri fatti rilevanti, di grande spessore e sostanza, ed erano quelli che il pubblico inseguiva, leggendo i giornali. La storia una sorta di eterna rincorsa, un inseguimento ad aquiloni dalle code colorate, che si mostrano per un po' e poi scompaiono, sostituiti da altri. Egidio, calato completamente nella sua professione, si occupava dei fatti pi in vista e pi segnalati, ed era anche pieno di entusiasmo, come fosse sul punto di afferrare quelle code per davvero. Adesso seguiva con passione la vicenda della diossina, che aveva avvelenato il territorio di Seveso, pronto a dimenticare anche quello per un avvenimento pi recente.

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XIX Il forziere

In quel periodo a Monterosso apparve un personaggio che colp l'immaginazione di molti, perch sembrava possedere una sostanza indecifrabile. Prese alloggio nell'unico alberghetto della cittadina. L'uomo mostrava almeno una sessantina d'anni. Era alto, aveva una folta criniera di capelli grigi, e una barba arricciata e selvosa. Vestiva da montanaro, camicie scozzesi di flanella e abiti di velluto marrone. Amava stare per conto suo. Lo si vide pi volte nei pressi della Cattedrale distrutta o per i sentieri che conducevano in montagna, al Giogo di Mezzanotte, o al rifugio Edelweiss. Portava un grande cappello di feltro color terra di Siena. Chi era? Cosa faceva? Perch era venuto a Monterosso? Subito l'uomo suscit attorno a s la massima curiosit, perch la gente del paese, per cos dire, non ammetteva di avere dei clandestini a bordo della propria nave. Lo straniero usciva di casa, se ne stava fuori per ore intiere, ma certo non andava lontano, dato che usava sempre e soltanto il cavallo di san Francesco. La gente fu piuttosto delusa. Aveva pensato che l'uomo potesse essere un personaggio speciale, per esempio un ingegnere venuto a verificare se fosse il caso di riaprire la miniera, e di ricominciare a sfruttarla con metodi pi moderni e redditizi; oppure un ispettore governativo, incaricato di controllare l'andamento della ricostruzione, o almeno un pezzo grosso del mondo imprenditoriale, venuto a stu

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diare l'ambiente, per verificare la possibilit di sviluppare nella zona una grande iniziativa industriale. Invece l'uomo si dedicava a cose futili e insignificanti. Stava quarti d'ora a osservare falchi e poiane con un binocolo, o cercava nei boschi tracce di animali ritornati, dopo decenni di assenza, come il lupo, l'orso o la lince. Dopo giorni e giorni non aveva ancora scambiato una parola con nessuno, fatta eccezione per la tabaccaia, dalla quale si recava per comprare dei sigari di lusso, che fumava con lenta solennit. Rebecca diede una sbirciata attraverso la finestra della sua camera, situata ai pianoterra, e vide che era piena di libri e di manifesti cinematografici. Anche Veronica, su suggerimento di Rebecca, and a curiosare, e subito intu di chi si trattava. Fabrizio Mattioni, il regista disse all'altra. Sulle foto non aveva la barba fece Rebecca. Che vuol dire? Se la sar fatta crescere. Non era nemmeno cos massiccio. Gli anni lo avranno cambiato. Dopo l'identificazione di Veronica, a tutti parve che fosse proprio il famoso cineasta, e ognuno si chiese come mai c'erano voluti tre giorni per capirlo. Diversi invece i pensieri di Veronica. Per lei il ritorno di Fabrizio, che aveva sognato, desiderato, auspicato, era un evento che si collocava sopra gli altri, che campeggiava dentro una cornice luminosa e straordinaria, come una aurora boreale. La sua foto apparve sui giornali locali, accanto ad articoli che facevano un po' di luce sulla sua vita in America, e in particolare sugli ultimi dieci anni, in cui pareva essere stato inghiottito da un enigmatico buco nero. Se non fosse stato per Egidio, che lo aveva incontrato laggi, nessuno avrebbe saputo nulla neppure del suo soggiorno a Nuova Orleans. Per la strada, molti lo osservavano con attenzione, ma senza alcun cenno di saluto. Tutti ormai sapevano chi era, e lui l'aveva capito. Tuttavia ognuno sembrava rispettare il suo desiderio di anonimato come se volessero dirgli: "Tanto ormai sappiamo chi sei, e quindi non v' pi nessuna

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fretta che stabiliamo dei rapporti". Aspettavano che fosse lui a fare la prima mossa. Infatti Fabrizio si rivolse presto a Veronica, per avere informazioni sul futuro della sua casa, molto danneggiata dal terremoto. L'avrebbero abbattuta? No. Perch mai? Si pu risanare disse Veronica. Bene. Anzi benissimo. ancora abitabile? Direi proprio di s. Fabrizio ebbe la sensazione che la questione era stata collocata in buone mani. Evidentemente giudic che il recupero dei luoghi era arrivato a un punto soddisfacente, perch trasport le sue cose dall'alberghetto alla sua vecchia abitazione. Il particolare che lo attir di pi, nella casa della sua giovinezza, fu il pozzo, che cominci a sondare con un secchio zavorrato. Come molti altri, esso era ingombro di chiss quali materiali perch il recipiente nel fondo trovava inesplicabili resistenze. Quasi per divertimento Fabrizio chiam una ditta specializzata, e ci che ne segu diede inizio a un capitolo nuovo e sorprendente nella storia di Monterosso. La draga riport alla luce oggetti che si erano gi visti in occasioni consimili, tre baionette austriache e francesi, giberne di cuoio, vecchie pentole, cocci di ogni genere, mattoni bruciacchiati, un vecchissimo alambicco di rame, una palla di ferro con i manici per abbrustolire l'orzo e il caff, e tante altre cose. Sembr che il pozzo di Fabrizio Mattioni, il pi profondo del paese, fosse un deposito di anticaglie, che potevano anche fornire qualche notizia sulle vicende di Monterosso attraverso i secoli almeno quanto il famoso codice di Norberto. L'ultimo giorno di scavo le draghe portarono alla luce l'oggetto pi sorprendente, che tolse ogni freno e ogni controllo alla fantasia collettiva, e richiam l'attenzione di tutti, perfino di Egidio, il che come dire della grande stampa nazionale: un forziere di ferro, sigillato con una catena arrugginita. Fabrizio, presente al recupero, lo sollev con fatica, e lesse negli occhi degli operai e dei circostanti una curiosit carica di cupidigia. Non poteva aprir

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lo sotto gli occhi di tutti, perch era un oggetto troppo carico di promesse. Fabrizio invit Veronica e Norberto in casa sua, perch gli sembravano i pi qualificati a presenziare al rito dell'apertura. La catena era cos arrugginita che fu sufficiente uno strattone con un palo di ferro da vigna per costringerla a cedere. Cosa pensa che troveremo qui dentro? chiese Fabrizio. Monete d'oro rispose Veronica con sicurezza. Nientemeno. Saranno di rame, o magari di stagno. Vediamo un po'. Ma gli occhi di Veronica avevano qualcosa di pi potente dei raggi x, e infatti il cofanetto conteneva davvero antiche monete del prezioso metallo. Non marenghi, n zecchini, n ducati veneziani, bens fiorini della fine dei Trecento. Il giglio di Firenze era chiaramente leggibile, mentre lo scudo dei Medici non figurava ancora, e quindi erano certamente stati coniati prima dell'inizio della Signoria. Fabrizio e Veronica chiesero qualche lume a Norberto, che sapeva tante cose di Monterosso, perch si intrecciavano a quelle dei Cassinberg. Norberto forn subito un'ipotesi molto verosimile. A partire dal secolo quattordicesimo il Patriarcato aveva invitato un certo numero di banchieri toscani a venire lass, per insegnare alla gente locale il mestiere di cambiatori e di prestatori di soldi, di cui essa, rozza e incolta, nulla sapeva, e nel quale i toscani invece erano maestri in tutta l'Europa. Infatti l'arte bancaria era ima loro invenzione. I Mattioni, ossia la "gens" di Fabrizio, erano appunto una famiglia di banchieri fiorentini. Forse uno dei Mattioni aveva nascosto nel pozzo il tesoro della banca, in un momento pericoloso, per tumulti di popolo, guerre nobiliari o invasioni. Forse si trattava dell'occupazione veneziana del 1420, che aveva segnato la fine del Patriarcato. Forse il pozzo di casa era parso la cassaforte pi sicura. Era possibile che il banchiere, nell'attesa che tornassero tempi pi tranquilli, fosse stato sorpreso dalla morte prima di poter recuperare il suo tesoro.

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L'ipotesi aveva fondamento e Fabrizio subito se ne affezion e l'adott. Del resto non era ammissibile entrare in possesso di un tesoro di quel genere senza fabbricare un mito per spiegarne l'origine. Veronica concentr pi intensamente la sua attenzione su Fabrizio. Era convinta che avrebbe capito veramente chi era da ci che avrebbe fatto con quel tesoro inaspettato. Egidio lo intervist per il "Corriere", con la speranza di scoprire in lui qualche sintomo della febbre dell'oro. Ma Fabrizio aveva piuttosto un altro tipo di febbre, quella del ritrovamento. Nel carattere egli era pi affine all'archeologo che al cercatore del metallo che fa impazzire la gente. Cosa avrebbe fatto con quel mucchio di fiorini? Ne regal imo a Veronica, uno a Norberto, uno a Doralice, uno al museo di monete del capoluogo, uno alla ditta che aveva ripulito il pozzo e uno a Monsignore. Gli altri furono affidati a una banca. Si trattava di un vero tesoro, perch al valore intrinseco del metallo si aggiungeva quello numismatico. Bench il fiorino fosse stata una moneta molto diffusa in tutti gli stati europei, attualmente non ne esistevano molti in circolazione. Dopo l'articolo di Egidio sul "Corriere", su Fabrizio cominciarono a piovere richieste di acquisto dai collezionisti e dai musei di ogni parte del mondo. Se fosse riuscito a venderli tutti, ne avrebbe ricavato una somma da capogiro, addirittura superiore a quella che Matilde aveva accumulato in una vita intiera. Ma Fabrizio parlava di quell'oro come se non gli appartenesse. Non diceva mai il mio tesoro ma il tesoro di Monterosso. Le parole facevano intendere che su di esso Fabrizio aveva un piano. Veronica lo venne a sapere quasi contemporaneamente al fatto che lei non era la vera moglie di Egidio, come aveva sempre ritenuto. Quando Fabrizio le confid che contava di utilizzare i fiorini per avviare la ricostruzione della Cattedrale, come aveva fatto in altri tempi Riccardo Plantageneto, lei subito immagin che sarebbe stata la prima sposa della chiesa riedificata. Cominci pure a fare

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progetti su come sarebbe stato il suo abito nuziale. Aveva in mente i pizzi e i ricami di cui Doralice era maestra. Lo disse a Egidio, il quale aveva la luna per traverso, e la guard torvamente. Aveva appena appreso che non sarebbe stato lui il nuovo inviato del giornale negli Stati Uniti, e aveva reagito alla notizia secondo il costume americano, ossia versandosi bicchierini di whisky in numero eccessivo. Il matrimonio? Non hai in testa nient'altro! sibil. Ho molte cose. Ma questa la pi importante. Non l'hai ancora capito? Io non ti sposer mai. Non posso farlo. Perch? Semplice: perch la mia donna americana non vuole concedermi il divorzio. Cosa? Tu... tu sei gi sposato? Egidio rispondeva quasi a fatica. Aveva la bocca impastata e la lingua troppo pesante. Sulle prime l'alcol gli dava una impressione di libert, per poi fargli sentire pesantemente che uno era ostaggio di esso. L'alcol non un liberatore ma sempre un padrone, e invano gli antichi chiamarono il vino, oltre che Bacco, anche "Lieo", ossia affrancatore. In realt il vero nome di Bacco "Krios", ossia signore e padrone. Egidio era fortemente irritato con se stesso e con l'andamento delle cose. Che Veronica avesse finalmente appreso la verit gli sembrava nello stesso tempo una cosa naturalissima ma anche uno scherzo del destino, come se la donna l'avesse risaputo non da lui ma per vie traverse. Gli era parso ovvio supporre che Veronica, in tanto tempo, avesse capito da s che lui tirava in lungo soltanto perch era gi sposato. Invece lei cadde dalle nuvole pi alte e nella maniera pi pesante. Lo incalz. Pretese spiegazioni. Egidio s'impigli in discorsi che non riusciva a concludere. Non era in grado di dominare a suo talento la situazione e a inquadrarla in modi razionali. Siccome Veronica, per punzecchiarlo, aveva spesso parlato delle sue "donne americane", delle

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sue "Petronille", di cui lui era stato l'"Arcibaldo", era quasi sicuro che lei avesse intuito la verit. Le donne americane erano veramente una peste. Lui era inciampato in una che aveva preteso assolutamente di essere sposata, per dormire nel suo letto, e lui aveva finito per acconsentire, convinto che in America i matrimoni si potessero fare e disfare come i nodi di uno spago. Invece la donna si era rifiutata in modi perentori di divorziare, sicch lui non sapeva come sbarazzarsene. In realt si chiamava Dorothy, ma la sua essenza era appunto di "Petronilla". Aveva rinunciato persino agli alimenti, pur di non concedergli il divorzio, e adesso stava tessendo trame avvocatesche e complotti da tribunale per riuscire a riportarlo negli Stati Uniti, dentro una cassa o un pacco postale, se necessario. Al discorso smozzicato di Egidio Veronica cambiava colore ogni momento. Lei mai avrebbe supposto una cosa simile, tanto le pareva enorme e inaccettabile. Si sent discendere dal rango di moglie a quello di infima concubina, e come tale di essere stata considerata. Egidio non era pi suo marito, ma soltanto uno scapolo disinvolto e predace, un impostore, che l'aveva tenuta accanto a s come una ruota di scorta. Le venne una furia incontenibile, da mon- terossina. I suoi occhi furibondi si scaricarono di malefizi come quelli di un'autentica strega. Ma disse soltanto: La nostra storia finisce qui. Al mio ritorno non ti trover pi in casa mia. Siamo intesi? Usc, per dargli la possibilit di ritirarsi con un minimo di dignit. Avvert che un ciclone, un uragano dei tropici era entrato nel suo spirito, buttando tutto all'aria. Ogni ricordo era sovvertito. Egidio non era pi suo marito, di fronte a Dio, ma un tagliaborse, un ladro, entrato in casa sua con le pantofole, i guanti e la maschera nera, per rubare il suo amore ed entrare nel suo letto. Era un truffatore gigantesco, calatosi attraverso il camino in una delle pi antiche e rispettate famiglie del paese. La sua storia d'amore, cui lei si era data con slancio im

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petuoso, era tutta una farsa, una pochade alla francese. Il suo matrimonio, attorno al quale aveva edificato tanti sogni e progetti, conteneva un vizio di origine come quello dei suoi genitori, e forse anche peggio. Un edificio, che lei riteneva solidissimo, era crollato in pezzi. Fremeva tutta per la scossa nervosa. I suoi nervi stridevano, come traversati da scintille elettriche di un corto circuito. Tre anni della sua vita franavano in segatura, come un vecchio legno marcito dai tarli. Erano diversissimi da come lei aveva immaginato. Il suo matrimonio era soltanto un lungo inganno, una sterminata guitteria, un furto prolungato d'amore. Era stata derubata delle cose pi preziose che possedeva, i suoi sentimenti e la fiducia sconfinata nel prossimo. Si era data a un arrivista che faceva la spola al di qua e al di l dell'Atlantico, usando bugie da collegiale per prendersi gioco di lei. Ah, che disastro! La sua vita era distrutta, come una campagna dopo ima grandinata! Per tutto il giorno non riusc a tenere la testa nel lavoro. Eternamente ritornava sopra l'inganno subito, arrossendo come se Egidio l'avesse pagata di fronte a una folla di monterossini. Riusciva a calmarsi un po' solamente pensando che, ritornando a casa, non l'avrebbe pi visto. Invece lo trov ancora l, che stava preparandosi un caff, come niente fosse successo. Non te ne sei ancora andato? grid furibonda. Non fare melodrammi. Parliamo con calma. Devi andartene immediatamente. Questa casa mia. Non essere cos impetuosa. Rifletti un momento. Vattene subito. Non tengo estranei in casa, io! Allora vuoi farmi proprio arrabbiare... Non vuoi andartene? Non ci penso nemmeno. Veronica usc, ma soltanto per entrare nello studio di lui, afferrare un fascio di carte, di appunti, di notes, o quello che fosse, e gettarlo fuori della porta d'ingresso, ritornando subito sui suoi passi per mettere mano a un

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nuovo carico. E lui, vedendola uscire, aveva sperato che il peggio fosse passato! Ma che fai? Sei diventata matta? Ti aiuto a sloggiare, visto che non ti decidi! I miei appunti! Il mio lavoro! Metti gi, scriteriata! Corse fuori per raccattare i suoi preziosi taccuini, ma quell'errore gli fu fatale, perch Veronica con uno spintone richiuse la pesantissima porta di quercia. Lui suon il campanello, picchi i pugni, inve, supplic. Tent di toccare tutte le corde del sentimento, del ricordo, dell'affetto, dell'onore, della convenienza, delle forme da salvare, ma invano. Sopra di lui era sceso un cupo sortilegio, che lo aveva derubato di ogni possibile forza persuasiva agli occhi di lei. Era come se tutte le luci e i riflettori, che per anni Veronica aveva acceso sopra Egidio, fossero stati spenti. Lui cap che era finita, e che doveva proprio andarsene. Si sedette sui gradini, sconsolato, distrutto, riflettendo se ci che aveva combinato meritava davvero una reazione cos violenta. Di cosa era colpevole, in fin dei conti? Di una bugia, anzi un'omissione. Aveva trascurato di raccontarle il suo matrimonio americano, tutto l. Non riusciva a capire la portata del suo misfatto e trovava cento giustificazioni per se stesso. Veronica continuava a buttare le sue cose, i vestiti, i libri, gli appunti, le cravatte, le raccolte di articoli dalla finestra del primo piano. Quelle di sotto non le voleva aprire, temendo un tentativo di Egidio di rientrare in casa con la forza. Non cos, ti prego! Me ne vado. Adesso basta! Egidio sgombr il campo. Solo quando si fu convinta che lui aveva davvero tolto l'assedio Veronica cerc di calmarsi. Continu ad accumulare le cose di lui accanto alla porta d'ingresso, ma con un certo ordine. Si rese conto che era venuta fuori in lei, fino in fondo, la sua natura di donna di Monterosso, di quelle che si erano dichiarate streghe in massa, per sconfiggere l'Inquisizione, o quelle che avevano cominciato a vendicarsi dei tradimenti maritali arrivando a togliersi di dosso le prime sottane, nella piazza di

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Monterosso, o ad allattare i figli nella Cattedrale, durante la predica pi solenne della domenica. Egidio nel cuore della notte si port via con l'automobile tutte le sue cose. Per qualche settimana si sistem da suo padre, il grossista di scarpe. Poi scomparve da Monte- rosso, e le voci riferirono che si era trovato un appartamento nei pressi di Milano. V'era la possibilit di fare la pace con Veronica? Non riusciva a vedere nessun modo praticabile. Quella furia che lui aveva scatenato senza volere non si sarebbe mai dissolta completamente. Si rese conto che si era macchiato di un reato molto grave, scritto nel codice dell'onore: aveva tradito con freddo intendimento la fiducia e i sentimenti di chi lo amava. Dentro casa, subito dopo la scenata, Veronica cominci ad aprire le finestre, come volesse rinnovare totalmente l'aria contaminata. Ogni volta che trovava una cosa appartenuta a Egidio, fosse pure soltanto un foglio di carta con un appunto, o un'agenda con qualche riga di scrittura, se ne liberava col fuoco o col secchio della spazzatura, come si trattasse di materiale appestato. Il suo furore stentava a sbollire. Sgranocchiava in continuazione qualcosa, senza rendersene conto, per effetto del nervosismo. Si guardava con frequenza negli specchi, come per verificare se il grande mutamento avesse cambiato qualcosa nel suo viso. Era sempre lei, proprio lei, o era un'altra? Non volle parlare con nessuno, n essere consolata da chicchessia. Come era possibile che lei, capace di incredibili intuizioni, non si fosse accorta che Egidio aveva una moglie americana? Perch a volte riusciva a scendere fin nel cuore pi nascosto delle cose, e altre non sapeva scorgere nemmeno quelle che saltavano agli occhi? Era il suo istinto fanciullesco a fidarsi della gente. Ma era soprattutto l'amore a farle velo, e una medium innamorata diventava una donna come le altre. Ma perch gli uomini si comportavano come predoni? Perch erano percossi e trafitti dal complesso dell'infedelt, come ridicoli sultani? Non sapeva darsi pace.

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Si mise a letto, ma il mostro dell'insonnia le stava davanti, con gli occhi verdi spalancati nel buio. La famiglia che aveva creduto di creare si era dissolta nella farsa, come quella dei suoi si era disfatta nella tragedia. Dopo molte ore fin per addormentarsi, e dorm fino a mezzogiorno dell'indomani. Al risveglio si sent fresca e pronta a ricominciare. Pens di essere stramba e mutevole come la luna piena. Le parve di essersi affrancata da Egidio e anche dal suo ricordo, come avesse bevuto un filtro liberatorio, o alla fontana dell'odio, come le eroine del Boiardo e dell'Ariosto. Prese una settimana di vacanza. Si fece un lungo bagno tutti i giorni, come per togliersi di dosso ogni traccia e perfino l'odore di Egidio, e cambi ancora il taglio dei capelli. Poi fece ridipingere la casa, rinnov il guardaroba, e in questo modo le parve di rinnovare anche se stessa. Si concesse anche un breve viaggio, ma subito cap che non era questo che cercava. Ci che desiderava era di trovare un marito vero, privo di imposture e di inganni. Lei non era nata per vivere sola, e se c'era una cosa che la faceva scoppiare dalle risate, era l'elogio della condizione di single, che leggeva sui giornali, o sentiva fare dai seguaci della moda. In lei ogni momento urgeva il desiderio di comunicare le sue emozioni, di abbracciare qualcuno, di fare l'amore, di occuparsi degli altri. Fu presa da un'emozione improvvisa al pensiero che era ritornata ragazza, con le possibilit ancora intatte per ci che riguardava il futuro e la famiglia. Era certissima che si sarebbe sposata, e stavolta per davvero. Mai avrebbe accettato l'assurda condizione di Emma o di Matilde. Da qualche parte c'era un giovane che sarebbe stato suo marito. Lei era una "figlia da maritare", una ragazza con un destino sentimentale ancora intatto. Un'adolescente fresca, tuttora piena di sogni, ritornata vergine come una bambina. Lei non era stata di nessuno, non aveva mai dormito con un uomo, ma con un fantasma, un manichino, un essere di fumo. Era come se la macchina del tempo

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fosse tornata indietro per effetto di una operazione stregonesca, e le fossero stati restituiti gli anni perduti che Egidio le aveva rubato, da lestofante qual era. Il suo futuro marito esisteva gi, da qualche parte. Ma dove? C'era gi il posto a lui destinato nel suo letto, la sua sedia a tavola, una stanza vuota per farne uno studio. Forse era uno degli architetti o degli ingegneri della ricostruzione... Chiss!

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XX

Gli spaventapasseri

Si sentiva sola, esposta a tutti i venti, nella grande e antica casa dei notai di Monterosso. L dentro era successo di tutto. Nel Settecento, in cantina, lo stalliere di un suo antenato aveva assassinato un pellegrino per prendergli la borsa degli zecchini. A dormire tutta sola, anche se difesa da robuste porte d quercia, aveva un po' di paura. La casa la proteggeva, senza dubbio, ma fino a un certo punto. Anche i morti le facevano compagnia, e ogni tanto sentiva le loro voci. Pregava e faceva dire delle messe per loro. Era convinta nel profondo che doveva credere alla loro sopravvivenza, altrimenti le sarebbe parso d'impazzire. Adesso era completamente sola, e forse per questo risentiva le "voci" che aveva udito da adolescente. Risentiva la sua arcana somiglianza di destino con Jeanne d'Are, che tornava a essere il suo archetipo, il suo "spirito guida", e sapeva di far parte di una gilda medioevale, ma non le era noto quale fosse. Le streghe avevano una loro corporazione? Sentivano se stesse come "gruppo", diverse dalle altre donne? Quelli di Monterosso certamente tendevano a vederla come ima maga. I bambini la mostravano col dito, quando passava. Molti adesso sussurravano che aveva liquidato il marito, o amante che fosse, per puro capriccio di femmina incostante, e aveva scagliato in cortile persino la sua macchina da scrivere. Lei per non ci badava granch. Adesso le case di Monterosso erano quasi tutte restaurate, e il grande problema era costituito invece dalla Cat

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tedrale. L'ingente somma offerta generosamente da Fabrizio Mattioni bastava soltanto per incominciare. Come si sarebbe potuto fare? Aprire una sottoscrizione? Creare una lotteria? Rivolgersi all'associazione degli emigranti di tutta la regione, sparsi nelle mille citt del mondo? Ma, mentre pensava a queste cose, cominci a rendersi conto da piccoli segni che la ricostruzione della Cattedrale era gi in certo modo ricominciata. La numerazione delle pietre era completata, e ormai Norberto sapeva quali erano andate irrimediabilmente perdute, inutilizzabili, e si dovevano per forza rifare. Pi volte le capit di passare davanti alle botteghe di scalpellini del paese, e si avvide che stavano rifacendo pietre destinate ai contrafforti, ai finestroni gotici o al grande rosone della facciata. Ma come faremo, senza finanziamenti? chiese a Norberto. Qualcosa abbiamo. Ci vorr molto di pi. Intanto bene incominciare. Se aspetti di avere tutto, non cominci mai niente. Il suo volto era perfettamente sereno. I soldi erano per lui una questione secondaria, di leggerezza metafisica, affidata a fattori imponderabili, e aveva ragione, in certo modo, perch venne in chiaro che gli scalpellini, convinti da Norberto, avevano accettato di prestare la loro opera per un prezzo minimo, poco pi alto delle spese vive. Del resto le pietre da rifare non erano moltissime. La Cattedrale, franando al suolo, sembrava averlo fatto con una sorta di levit, per cui il materiale aveva subito un danno limitato. Di essa esistevano infinite fotografie, che furono ingrandite in ogni dettaglio. Tutti coloro che contavano nel problema della ricostruzione, ossia il sovraintendente alle Belle Arti, il ministro dei Beni culturali, monsignor Redento Filippin e il Consiglio dei fabbricieri della Cattedra

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le, Norberto e Fabrizio furono d'accordo che Veronica era la persona pi adatta a dirigere la ricostruzione. Sono troppo giovane. Non ho esperienza si scherm Veronica. I progetti sono completi. Si tratta soltanto di controllare l'esecuzione dei lavori. Ci sono moltissimi calcoli tecnici da fare. Per questo sarai affiancata da un ingegnere edile disse il presidente della fabbriceria. Ma ugualmente sar un'enorme responsabilit. La Madonna ti aiuter disse Monsignore. Devo pensarci. Lasciatemi almeno una settimana di tempo. La Madonna... Gi. C'entrava anche lei nella questione, e forse ci che voleva era proprio questo. Non che si tagliasse i capelli ed entrasse in un convento, dietro le sbarre della clausura, ma che dirigesse la ricostruzione della Cattedrale, e ci da quando aveva sentito per la prima volta le "voci", e si era formato in lei il fantasma dell'idea di avere un compito da realizzare. A questo scopo un pozzo medioevale aveva restituito il forziere che conteneva un piccolo tesoro. Si interrog con onest, e vide che per lei non c'era altra soluzione. Ricostruire Nostra Signora della Neve toccava a lei. Cap che tutti gli eventi e i tasselli della sua strana vita tendevano a questo, e che lei non poteva pi sottrarsi, perch era collocata al centro di una trama e una strategia della sorte singolare. Cos chin il capo e disse di s, con umilt, come avesse accettato qualche bizzarra regola monacale. Certo era un impegno da far tremare. Aveva abbastanza dottrina per farlo? Se interrogava la sua ragione, quasi si smarriva, cadeva in confusione, tentava di sottrarsi e di scantonare, continuava a recalcitrare e a dire di no, come un puledro selvaggio che rifiuta la sella; ma in realt il suo inconscio aveva gi accettato, e si era chinato per ricevere il carico sopra la propria schiena. Era questo il compito verso il quale si dirigeva da sem

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pre. Si sentiva un semplice strumento. Lei questo lo sapeva benissimo, era facile immaginarlo. A questo tendevano le "voci" che aveva sentito, come era successo a Samuele, o a Jeanne. Per questo le forze cosmiche avevano pensato di farle dono di tante misteriose facolt e di ilari poteri. A questo tendeva il fluido magnetico che emanava da lei, che spezzava a distanza le lampadine, scatenava il pandemonio, aveva intuizioni e chiaroveggenze incredibili, leggeva nel pensiero. Per questo aveva potuto essere investita da un fulmine senza subire alcun danno, come se il suo corpo fosse protetto da una gabbia di Faraday in veloce movimento. Il risultato finale di un arcano gioco del Grande Illusionista dell'universo, che faceva ogni cosa per mezzo della natura e degli uomini, mentre Lui si limitava a inventare un allegro piano dentro di s. Veronica non poteva assolutamente sottrarsi, cos fin per acconsentire. In quello stesso momento avvert che la sua giovinezza era conclusa. Cominciava la maturit. Quello era un addio a tante cose, alla tarantella, alle balere, alle canzoni, alle villotte, ai cento giochi cui aveva partecipato e ai tanti che aveva inventati. O forse il gioco continuava, ma con un volto diverso. La Cattedrale entr in lei e domin i suoi pensieri e sentimenti. Fu la signora delle sue notti e dei suoi sogni, in modi lievi ma inflessibili. Divent la cosa pi importante della sua vita. Cominci a studiare i disegni rifatti da Norberto, ad assimilarli come fossero un prodotto felice della sua stessa fantasia, apprese la collocazione di ogni pietra, sia di quelle allineate nel cantiere della Cattedrale, sia di quelle che andavano prendendo forma nelle botteghe degli scalpellini, sulle quali venne pure dipinto un numero in rosso. Le linee della Cattedrale divennero per lei come uno status interiore, un flusso del sangue. In certo modo lei e la Cattedrale diventarono la medesima cosa. Presto tutte le pietre si sarebbero riunite, e il progetto architettonico avrebbe ripreso forma. Nessuno le chiese quale sarebbe stato il suo compenso, n lei domand nul

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la in proposito. Coloro che lavoravano per la Cattedrale si contentavano di qualche anticipo ogni tanto, e Fabrizio Mattioni non riusciva a rendersi conto di come ci fosse possibile, sicch pensava che ci doveva essere sotto qualche altra componente invisibile, che lui non riusciva a decifrare. Cos'era mai? Era qualcosa di connesso con la misteriosa temperie di Monterosso? Se era cos, lui doveva riuscire a capirlo, perch in fondo Fabrizio era uno di quella citt. Veronica si gett a capofitto nello studio delle cattedrali europee, le "sorelle maggiori" di Nostra Signora della Neve, ma in realt la cattedrale di Monterosso non era cos ricca di ornamento come le grandi chiese di Francia, Belgio e Renania, e la ricchezza e lo slancio della fantasia era visibile soprattutto nei portali, nei finestroni gotici e nei rosoni. Invece i muri maestri erano semplici e massicci come quelli dell'architettura romanica. In fondo il gusto dei Templari era rimasto piuttosto semplice, quadrato, la loro architettura si fondava soprattutto sull'angolo retto, e forse la costruzione pi tipica, da questo punto di vista, era quella di Tornar in Portogallo, o della Torre Caver a Salamanca. Ulderico di Cassinberg, senza dubbio, condivideva pi o meno il gusto edificatorio dei confratelli. Norberto parlava dei Templari sempre con entusiasmo. Li considerava i pi veri rappresentanti dello spirito medioevale, grandi difensori della donna e della sua dignit, e proprio per questo tutti intensamente devoti di Nostra Signora, che rappresentava il vertice di perfezione del genere femminile. Tutte le grandi cattedrali erano nate da quella venerazione, e dalla trepidazione di quei monaci combattenti per la bellezza e l'attrazione della donna, cui avevano rinunciato, per vivere in castit. Ma ogni volta che Norberto pensava a loro, avvertiva anche l'assalto della malinconia per la terribile fine dell'Ordine, sterminato dalle male arti e dal tradimento del re di Francia Filippo il Bello, divenuto ingordo delle loro enormi ricchezze e geloso del loro potere.

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Il grande maestro, Jacques de Molay, le aveva trasportate da Cipro a Parigi, nel Tempio dalle Sette Torri, che sorgeva nell'Ile de France, accanto a Notre-Dame. Costui, purtroppo, aveva una volta mostrato al Re, che era ospite del Tempio, gli infiniti forzieri del loro tesoro. Da quel gesto era nato il primo fantasma della tragica rovina dei Templari. L'aspide dell'avidit aveva punto il cuore del Re, le cui casse erano esauste. Non possedeva pi oro per coniare le monete del suo regno, e aveva messo in circolazione soldi cos miseri e vergognosi che parevano di ottone e di latta. Per questo temeva una insurrezione di popolo, e s'era rifugiato nel Castello dei Templari, in cerca di protezione. Per questo i sudditi lo avevano chiamato Filippo il Falsario. Per rovinare i Templari e allungare le sue unghie rapaci verso le loro ricchezze, aveva montato contro di loro un'inaudita macchina di menzogne e di false accuse, spalleggiato dal ministro Guglielmo di Nogaret, dall'Inquisizione e persino da papa Clemente V. Costui aveva finito per accettare il Grande Inganno perch, nel suo esilio avigno- nese, era succubo del Re, e distratto dalla cura eccessiva per la propria salute precaria. Cos i Templari erano stati accusati di cento nefandezze chimeriche, eresia, simonia, sodomia, apostasia, di aver rinnegato Cristo e di adorare in sua vece un dolo ridicolo, una specie di diavolo, in forma di gatto o di donna, il famoso Bafometto d'argento, trovato nella stanza del tesoro. Forse Bafometto era nient'altro che la corruzione di Maometto. Le voci che giravano erano infinite. Molti Templari, distrutti spiritualmente dalle torture, avevano confessato quei delitti assurdi e ridicoli, ed erano stati bruciati sul rogo, a cominciare da Jacques de Molay, che morendo aveva maledetto la stirpe dei Capetingi, e profetizzato la morte prossima dei suoi grandi persecutori. Il Papa era morto dopo un mese e il Re dopo un anno. Norberto, raccontando queste cose, aveva il viso ancora pieno di costernazione, come se la tragica vicenda dei Templari fosse accaduta ieri, e avesse appreso la notizia

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dal telegiornale del mattino. Veronica lo guard pensosa. Che uomo singolare era Norberto... Non sapeva pi cosa pensare di lui, come definirlo dentro di s, e la sua persona la riempiva ancora di meraviglia, come quando era bambina. Questi pensieri tornarono e ripresero lena dentro di lei, quando si verific a Monterosso un altro episodio bizzarro. Si cominciarono a vedere nelle campagne attorno al paese, o piccola citt, uomini intenti a fare il loro mestiere di arrotino, ombrellaio, falciatore, ciabattino, e cos via. Perch si erano messi a lavorare in mezzo a un campo deserto? Ma... erano uomini veri e propri o manichini? Infatti erano immobilizzati in un gesto che non mutava mai, quello del loro mestiere. Nessuno di essi rispondeva ai richiami. Finalmente qualcuno li avvicin, e vide che si trattava di statue di cartapesta, modellate e dipinte con realismo fedele, e verniciate in modo che la pioggia nulla potesse sopra di loro. Le sembianze erano incredibilmente simili a quelle di antichi artigiani di Monterosso, scomparsi da tempo assieme ai loro dimenticati mestieri. Erano nient'altro che spaventapasseri... Parevano morti ritornati dall'Aldil, piovuti in mezzo alla campagna per qualche stranezza del destino. Fabrizio Mattioni ne fu straordinariamente colpito. Tra le statue di cartapesta infatti aveva riconosciuto un impagliatore di sedie, macchietta notissima nella Monterosso della sua infanzia, perch spirito allegro e burlone, collocato in un campo di trifoglio, immobilizzato nel gesto di avvolgere il cordone di saggina con la paglia colorata. Straordinario, stupefacente! Fabrizio corse in casa sua, a prendere la sua macchina da presa personale, che non toccava da tanto tempo, e film il curioso spaventapasseri da tutte le possibili angolazioni. Smise di farlo soltanto quando si rese conto che non stava riprendendo un attore, ma un manichino. Fu proprio in seguito a questo che in paese aument l'interesse e la meraviglia per la vicenda degli spaventapasse

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ri. Molti, appunto, drizzarono le orecchie, dopo che ebbero sentito Fabrizio affermare che Monterosso era l'unico paese al mondo che potesse vantarsi di avere nelle sue campagne degli spaventapasseri degni di una galleria d'arte. Infatti essi vennero acquistati in blocco dal Museo delle Tradizioni Popolari del capoluogo. I lettori sanno immaginare a chi andarono i compensi. Gi. Appunto, a lui. Norberto nel modellare la cartapesta mostrava la stessa abilit che aveva nel riprodurre quadri di pittori celeberrimi. Per su di lui persisteva ancora un residuo di dubbio. In fondo anche come scultore rimaneva sempre un riproduttore fedelissimo di realt esistenti o esistite, e cos ci si chiese di nuovo se Norberto fosse da considerare un artista o piuttosto un fenomeno da baraccone. Alcuni si avvicinarono, nella luce incerta dell'alba o del tramonto, agli spaventapasseri, che sembravano fantasmi stupiti, astruse incarnazioni della propria arcana malinconia per un tempo dissolto, e quindi autentiche opere d'arte. S, forse Norberto era un artista vero e proprio... Allo stesso modo non ebbero dubbi coloro che videro il breve documentario girato da Fabrizio Mattioni sui simulacri di cartapesta, un film di una diecina di minuti soltanto, intitolato Resurrezione. Era un titolo strano. Che intendeva con questa parola? Resurrezione degli antichi mestieri e del mondo artigianale? O intendeva un'altra resurrezione, per esempio quella della sua voglia di fare il regista? Di fatto in Fabrizio stava avvenendo una sorta di progressivo scongelamento. Per giorni e giorni, dopo il suo ritorno, non aveva parlato con nessuno. Ora invece accettava di farlo, nell'osteria, al bar, o nella passeggiata sotto i portici di Monterosso, tra le case dalle facciate colorate come quelle di Burano, con gente qualsiasi, purch fosse disposta a parlare di argomenti qualunque, e non di cinema, di mondanit o di attori. Se qualcuno tentava di farlo, anzi, lui subito lo piantava in asso, e se ne andava. La sua personalit si era arricchita di un nuovo particolare, il mo

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do brusco con cui interrompeva un discorso e si allontanava quando esso prendeva una direzione sgradita. In altri conversari, per contro, sembrava mostrare interessi e suggestioni molto intensi, e non avrebbe voluto abbandonarli mai. Cos avvenne ad esempio con quello che Veronica chiam il "discorso dei lupi". Di essi la ragazza parlava spesso, perch questi animali erano ritornati nella valle del Duss. Lei disse di averne visti parecchi in alta montagna. S, sono proprio ritornati replic Fabrizio. Da come lo dice, si direbbe che ne ha visti anche lei fece Veronica. Infatti. E dove? Ho passato una notte al rifugio Edelweiss. Ho sentito un lupo lamentarsi per tutta la notte. Forse era un cane. A quella quota? No no. Era proprio un lupo. Disse che s'era svegliato pi volte, durante la notte, e sempre aveva sentito il lupo ululare nel freddo e nel buio. La mattina dopo s'era armato di un Alpenstock con la punta di ferro e si era diretto da quella parte, sperando di trovare la spiegazione del misterioso lamento. Cerc a lungo e alla fine trov. Seminascosta nella neve, vide una trappola per lupi, che era scattata. La fiera per non c'era pi. Le due ganasce di ferro trattenevano soltanto uno zampino insanguinato. L'animale si era liberato strappandolo a morsi, perch amava di pi la libert che l'integrit del suo corpo. Aveva fatto per la libert ci che gli uomini probabilmente non avevano mai osato. Veronica si turb. vero. A volte lo fanno anche le volpi. Molti animali selvatici disse Fabrizio. Veronica pensava al lupo e al suo lamento, che aveva riempito la notte dell'uomo, e le parve un'altra manifestazione del "dolore del mondo". Anche Fabrizio lo aveva notato, il "dolore del mondo", che era pi vistoso e cla

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moroso proprio quando riguardava gli animali, chiss perch. Il fatto che anche Fabrizio avesse elaborato quell'idea lo collocava assai vicino a lei. Fabrizio aggiunse che il lamento del lupo gliene aveva ricordato un altro, un canto di negri sentito nelle vicinanze di Nuova Orleans quando stava girando un film sul lavoro degli operai di colore nelle piantagioni di cotone. Era una nenia simile in tutto e per tutto a quelle che essi cantavano quando esisteva ancora la schiavit, ed esprimevano l'immenso dolore di vivere. Non questo o quel dolore in particolare, ma un dolore universale, cosmico, che riguardava gli schiavi, gli animali, le piante, e forse anche le pietre e gli strati, ossia il pianeta medesimo. Il dolore immenso di tut to ci che viveva e respirava sotto la volta del cielo, e anche di ci che sembrava non vivere e non respirare. Allora per i negri non era cambiato nulla, con la fine della schiavit? No, era cambiato quasi tutto. Tante cose mutavano nella stria, e gli uomini sempre pi andavano verso una maggiore libert e verso l'affrancamento dal bisogno. Ma ci non significava per nulla che il "dolore del mondo" scomparisse. Il Weltschmerz restava, era sempre l, nonostante la lunga marcia dell'evoluzione verso una vita pi alta e felice. Anche in lui era entrato quel dolore. Aveva colpito pure il regista, o meglio non proprio lui direttamente, ma la sua compagna, la mulatta dalle forme stupende, di cui Veronica da bambina aveva visto una fotografia nella casa deserta di sua madre. Di lei ricordava soprattutto la pelle color creta, un vestito rosso e un grande fiore viola tra i capelli nerissimi, tanto neri da sembrare quasi blu. Un sorriso spalancava la sua bocca larga, mostrando una duplice fila di denti luminosi. Pareva il ritratto della salute, della giovinezza e della voglia di vivere, ma era soltanto apparenza. In realt nei polmoni della bellissima si era scatenata una cupa congiura di cellule e di tessuti, un male galoppante che aveva condotto la donna in un sanatorio lontano, tra le montagne del Vermont. Fabrizio andava a tro-

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varia, e lei gli sorrideva. Ma una volta non volle aprirgli la porta, perch si sentiva male, aveva avuto una brutta emottisi, e lui, che era rimasto l, l'aveva sentita cantare gli spiritual degli antichi raccoglitori di cotone, perch anche lei era stata raggiunta dal Weltschmerz, che non l'avrebbe lasciata mai pi. Consuelo si chiamava, ed era cattolica. Spaventata dalla prospettiva di morire, era fuggita dal sanatorio, sperando in tal modo di riuscire a far perdere le tracce di s al mostro da cui si sentiva inseguita. Si era smarrita chiss dove e Fabrizio non era riuscito mai pi a ritrovarla. La parte buia e notturna del mondo l'aveva ingoiata e fatta sparire. Veronica ascolt, con la faccia triste e addolorata, e sent battere il cuore con un ritmo pi frettoloso. Era la coscienza di essere inseguita ancora una volta dal misterioso ululato del Dolore del Mondo. Forse lei stessa stava per essere raggiunta da esso. O si trattava di qualche altra cosa? Era la corrente sempre viva della sua simpatia, che si faceva sentire, e la faceva patire per la sofferenza di un altro? Non lo sapeva. Anche Fabrizio era convinto che non sapeva niente della sostanza vera del mondo, che gli uomini in generale non conoscessero nulla e si limitassero soltanto a immaginare, che la fantasia fosse la loro unica ricchezza. Ci che attirava Veronica verso Fabrizio, che aveva il doppio dei suoi anni, era che lui portava sempre una meraviglia infinita dipinta sul viso largo di fanciullo enigmaticamente invecchiato. Fabrizio doveva avere una qualche bislacca calamita psicologica dentro di s, perch, dove arrivava, i tipi pi lunari si radunavano subito attorno a lui e gli andavano dietro, come attirati da una musica irresistibile. Erano inventori, geni incompresi, indovini, astrologi, visionari, profeti, scopritori di strani marchingegni, storpi, zoppi, nani. Fabrizio cercava di liberarsene. Ma insomma, cosa diavolo volevano da lui? Via, via! Lo lasciassero in pace! Anche lui aveva i suoi guai! Era tornato dall'America an

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che per vivere tranquillo. Ma poi finiva per mettersi a conversare con loro, la sua curiosit per le cose umane, anche se tristi, era inesauribile. Tutti ci provavano, perch era incapace di maltrattare la gente e di metterla alla porta. Rivel una notevole tolleranza anche nei confronti di Rebecca, che cerc subito di acquistare un grande ascendente su di lui, perch scoperse che era attratto dal paranormale. Le mezze frasi che Rebecca venne dicendo su Fabrizio ottennero di incrementare il clima di stranezza che l'aveva circondato fin dall'inizio del suo ritorno. Gli si attribuivano le cose pi inverosimili. Correva voce che fosse ricco, e avesse fatto i soldi in America creando una setta religiosa di Adoratori del Sole, una delle tante variazioni del culto di Mitra, che sua moglie fosse stata una mulatta dai poteri magici cos potenti che ipnotizzava gli uomini anche se stavano al di l di una parete; che a Nuova Orleans fosse stato comandante su uno dei battelli che correvano sul Mississippi, trasformati in bordelli, case da gioco galleggianti, e templi dello spiritismo. Era, quel battello, una delle basi della sua fortuna. Si diceva che avesse assistito a straordinari riti vud. Queste voci erano messe in giro da Rebecca, e fu presto chiaro a molti che erano tutte invenzioni fantasiose di Fabrizio per mostrare che lui, in fatto di stregoneria, era pi informato di lei. D'altronde era evidente che questo genere di storie lo divertiva e alimentava il suo spirito estroso.

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XXI

La Cattedrale

L'unica cosa vera di tutte quelle dicerie era che, nel suo inquieto vagabondare, Fabrizio era vissuto per molto tempo su uno dei battelli che percorrevano eternamente il Mississippi, nelle due direzioni. Tipi bislacchi, che vivevano in ostinate solitudini, si facevano ricevere da lui per raccontargli la loro vita, la quale era sempre "un vero romanzo". E io che dovrei fare? chiedeva Fabrizio sorridendo. Giri un film su di me. Non faccio pi il regista da molto tempo. Non sia troppo modesto. Sappiamo tante cose di lei. Ma la pura verit. N ho mai girato un film, come lo intende lei. Soltanto documentari. Nessuno gli credeva. Erano convinti che amasse farsi pregare, o che fosse una specie di gatto sornione con il gusto del gioco, e volesse farsi lisciare a lungo secondo il pelo. Cos l'assedio da parte dei tipi strampalati continuava. Un giovinotto magro, con due profondi calamari viola sotto gli occhi, venne a proporgli di fare un film su Elvis Presley, che secondo lui era ancora vivo, e di ci possedeva tutte le prove. Non serviva alcuna sceneggiatura, perch l'aveva gi bella e pronta lui, provvista di tutti i trucchi di scena e le astuzie pi raffinate per far colpo sullo spettatore. Un altro gli propose di fare un lungometraggio sopra un diario inedito di Cagliostro, che era stato posses

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so di suo zio, un generale degli alpini a riposo, e ora arrivato nelle sue mani. Fabrizio sorrideva di questi ospiti stravaganti, che venivano a cercarlo in casa. Da tutto ci ricavava un auspicio felice, e sentiva che la sua fantasia, inaridita in tanti anni di soggiorno americano, riprendeva estro e vitalit. Adesso era di nuovo pieno d'idee perch a Monterosso esse sembravano sprizzare come scintille dalle selci percosse dai cavalli. Ormai la zona della Cattedrale era diventata un cantiere imponente. L'ingegnere che elaborava i calcoli aveva assicurato che potevano essere utilizzati i mozziconi dei muri rimasti, se opportunamente rafforzati con pilastri di cemento armato, che i grandi spessori permettevano di nascondere con facilit. Cos i muri avevano ricominciato a salire molto pi rapidamente di quanto non fosse avvenuto ai tempi di Ulderico e di Riccardo Plantageneto. Il tetto fu rapidamente rifatto, con grandi travi di legno, sagomate nella parte esterna, con lo stesso disegno che avevano avuto nel Medioevo. Restavano i vani vuoti, in cui dovevano essere ricollocate le pietre numerate dei fine- stroni e del rosone. V'era urgenza di trovare nuovi finanziamenti, perch i fiorini del banchiere medioevale andavano rapidamente esaurendosi. Veronica e Fabrizio scartarono l'ipotesi di una lotteria, anche di quelle sul modello "gratta e vinci", che erano state sperimentate all'estero con molto successo. Non restava che la soluzione del prestito o della colletta, perch il contributo statale sarebbe certo venuto, ma chiss quando. Fabrizio pens che spettava a lui intervenire, anche perch ormai era entrato profondamente nello spirito di Monterosso. Quello spirito egli lo avvertiva quasi fisicamente, come fosse un ronzio di sottofondo, uguale, potente, solenne, un po' simile a quello che sentiva durante la guerra, trentacinque anni prima, ed era il rumore delle gigantesche Fortezze Volanti, che andavano a bombardare le citt di Germania. Quel ronzio, che egli conservava in

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tatto nel cuore e nel ricordo, era lieto, perch era s un rumore di guerra, ma anche uno che preludeva alla prossima fine del conflitto. Era stata, quella, un'epoca di grandi attese. Scrisse una lettera circolare alle associazioni di conterranei che risiedevano negli Stati Uniti o in Canada, con i quali era rimasto in contatto per tutti gli anni del soggiorno americano. Cominciarono a fioccare le offerte, che non erano certamente sufficienti per finire il lavoro, ma comunque bastavano per tirare avanti. Una piccola banca di Monterosso, filiale di un grande istituto nazionale, raccoglieva le tante modeste offerte che arrivavano da tutti i cinquantuno stati degli Stati Uniti, dal Canada, dall'America meridionale, dall'Australia, e tutte assieme costituivano una somma rispettabile. Certo non si trattava di un lavoro qualunque, che avesse il suo fondamento in un finanziamento regolare. Si reggeva su elementi imprevedibili, aleatori, su un fattore sottilmente sentimentale, che era la reverenza infantile di tanti adulti, immersi senza respiro negli affari e nella produzione, per qualcosa che ammiravano da sempre. Era un po' come se avesse chiesto loro di riempire la calza di un popolo di bambini nella notte della Befana. Molti avevano sentito parlare della cattedrale di Monterosso e tanti, magari decenni prima, l'avevano visitata e ammirata, e conservavano il ricordo degli affreschi dell'abside. A distanza di anni o di decenni, quei ricordi scattavano e mettevano in movimento il piccolo slancio di mecenatismo che dorme in ognuno di noi. Volevano che la Cattedrale risorgesse. Non tolleravano che il centro e il supporto di tante leggende e di tanti fatti lontani continuasse a essere soltanto un mucchio di rovine. Non era possibile deluderli. A ognuno di loro era necessario spedire, al pi presto, una fotografia della Cattedrale con il tetto ricostruito, perch si rendessero conto con i loro occhi di quanto era gi stato fatto. Le spese erano sempre ridotte al

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minimo. V'erano operai e carpentieri che vi lavoravano il sabato e la domenica, contentandosi di quattro soldi. Tutti quelli che si dedicavano alla rinascita della Cattedrale vivevano come dentro l'effetto di una luce emanata da un riflettore teatrale. Ma la luce poteva interrompersi all'improvviso, qualcuno poteva spegnere l'interruttore di colpo, e Fabrizio temeva che accadesse da un momento all'altro. Nel procedere della ricostruzione di Monterosso venne il tempo in cui il regista dovette lasciare la sua casa, perch i lavori di risanamento di essa erano ormai imminenti. Certo non v'erano pericoli immediati, ma ormai tutte le case della zona dovevano essere accuratamente revisionate. Fabrizio evit il fastidio di dover andare in un prefabbricato, o tornare in albergo, perch sia Doralice che Veronica gli offrirono ospitalit. Lui ringrazi, e prese un giorno per decidere. Il pomeriggio di quello stesso giorno and a passeggiare sulla collina di Monterosso, dove i faggi creavano effetti rosso cupo per via dell'autunno inoltrato. Con sorpresa scorse Veronica davanti a s, sicch la raggiunse e si misero a parlare della Cattedrale. Fabrizio, che teneva d'occhio il lavoro degli scalpellini, disse che ormai tutte le pietre lavorate erano pronte e che ci si avviava verso la fine del lavoro. Ma le casse sono vuote disse Veronica con malinconia. Presto si riempiranno un'altra volta. Parla sul serip? Ci sono novit? Una splendida novit. Si trattava di questo. Un tale Frank Del Fabbro, il cui nonno era di Monterosso, aveva trovato una diecina di anni prima un importante giacimento petrolifero nei pressi di Ancorage. Aveva sognato la cattedrale di Monterosso per tre notti di fila, forse perch colpito da qualche notizia sul terremoto, riportata dai telegiornali, forse perch sapeva tutte le leggende e le storie che la riguardavano. Suo nonno gliele aveva raccontate, nelle notti freddissime e bianche del Grande Nord, mentre si asciugava i calzoni di

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fustagno da boscaiolo davanti al caminetto acceso. Gi a quel tempo ci aveva creato nel giovane Frank il desiderio di vedere la Cattedrale. Ma il suo desiderio era rimasto insoddisfatto. Diventato ingegnere minerario, aveva trovato il petrolio, e quando uno scopre un giacimento petrolifero rispettabile in grado di soddisfare tutti i desideri, anche i pi strampalati. Cos gli era piaciuta l'idea di diventare il patrono della ricostruzione della Cattedrale. Aveva deciso di essere il Riccardo Plantageneto del secolo ventesimo. E ci, in fondo, era un po' come essere diventato un architetto di chiese, almeno dentro una visione americana del reale, secondo la quale il costo di una cosa s'identifica in gran parte con la cosa medesima. Insomma, a farla breve, non v'erano pi difficolt per finire la chiesa di Monterosso, perch d'ora in poi il petrolio dell'Alaska avrebbe provveduto i mezzi fino alla fine del lavoro. La notizia provoc un incredibile scatenamento di energia in Veronica, che per l'entusiasmo si precipit a tutta velocit lungo il sentiero in discesa, urlando di gioia. La chioma ramata saltava sulle sue spalle ora da una parte ora dall'altra, come una coda di cavallo al galoppo. Quando la raggiunse, Fabrizio ansimava per la fatica. Ha corso troppo velocemente disse Veronica. Si fa fatica a star dietro a una ragazza fece il regista. Mi scusi. Non me ne rendevo conto. Si figuri. La colpa solo mia. Sono troppo vecchio per queste cose. Erano almeno vent'anni che Fabrizio non s'abbandonava a una corsa sfrenata come quella, e cos scopriva di colpo che non era pi in grado di lanciarsi al modo dei giovani, e che la sua agilit era soltanto un ricordo. Non si era mai accorto d'essere passato silenziosamente dalla categoria dei giovani a quella degli anziani. Infatti questo avviene dentro di noi senza alcun segno particolare, e in mancanza di verifiche uno non si accorge di nulla, tanto pi che tutti hanno la tendenza a ritenere che lo specchio

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sia un poco bugiardo. Ma proprio per questo, mentre ogni suo desiderio e ogni sua volont inseguivano Veronica e desideravano raggiungerla e intrattenersi con lei, sedotto al suo fascino, decise saggiamente di accettare l'offerta di Doralice. Riemp un paio di valigie di biancheria e sal al castello di sera, mentre stormi di rondini si preparavano a migrare verso i tropici, e gli stornelli facevano impazzire le chiome degli alberi con le loro strida. Doralice gli mostr la sua stanza. Non erano molti i locali abitati del castello, i cui cameroni parevano spesso casse di risonanza, non per di rumori, o di suoni rari e spaesati, ma piuttosto dell'eterno silenzio dell'ambiente. In una di quelle sale vuote v'era il grande affresco dell'albero genealogico dei Cassinberg, dipinto da Norberto. Fabrizio lo guard con attenzione, partendo dal basso, dai tempi di Ulderico il Templare e dei suoi fratelli, che avevano ospitato nel castello nientemeno che un monarca d'Inghilterra e su su, attraverso diecine di generazioni, fino a Doralice. Accanto a lei c'era una casella vuota, e cos sembrava che la donna non fosse n vedova n nubile. In certo modo era vero, perch nella giovent della donna, ormai piuttosto lontana, c'era stato l'aviatore caduto in Normandia, durante un'esercitazione di caccia della Nato. Doralice non ne parlava mai, ma a Fabrizio fece vedere la fotografia del giovane, custodita da una cornice d'argento. Si chiamava Gabriele. Sono stata a trovarlo proprio ieri. Come a trovarlo? sepolto nel cimitero di Monterosso. Fabrizio si mise a parlare di aerei, specie di quelli a due ali, con cui si facevano le acrobazie quando lui era un ragazzo, negli anni Trenta. Raccont la famosa trasvolata atlantica dei "Sorci verdi", comandati da Italo Balbo, che era avvenuta quando Doralice aveva soltanto tre anni, e la donna era piena di ventoso entusiasmo, tanto da avere le

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guance rosse come ima mela delicious. Doralice non aveva mai messo piede su un aereo, e neppure su un campo di aviazione da dilettanti, ma sapeva tutto sugli aeroplani. Possedeva una storia dell'aviazione in dispense, con moltissime illustrazioni, che aveva letto e riletto, fino a conoscerla quasi a memoria. Tutto il suo rapporto con l'aria consisteva nell'aver aiutato Norberto a fabbricare un gran numero di aquiloni, quando lui aveva pochi anni. Indossava allora vestiti con disegni a fiori, che le api scambiavano per fiori veri e propri, e quando stava nel giardino, o nell'orto del castello, ve n'era sempre qualcuna che le ronzava attorno, sperando di cavarne del nettare. Talvolta tentavano di farlo anche le vespe, che lei temeva e detestava, perch sterili e aggressive. Pi volte esse avevano fatto il nido in questo o quell'angolo del castello, come si visto, ed erano diventate cos numerose e pericolose, che per liberarsene era dovuta ricorrere ai pompieri, i quali peraltro salivano sempre volentieri al castello, per qualunque necessit. Lo stesso accadeva con gli operai e gli artigiani di ogni tipo, cui Doralice era spesso costretta a ricorrere per risolvere questo o quel problema della grande costruzione medioevale. La ragione di ci era da ricercare nelle cantine dei Cassinberg, grandi e fresche, dove c'era tuttora una cospicua quantit di bottiglie di vino, allineate sulle rastrelliere di legno, perch il padre di Doralice e di Lanfranco aveva avuto un'intensa passione per i vigneti. Di quelle bottiglie esisteva ancora una grande raccolta, perch n Lanfranco, n Doralice, n tanto meno Norberto erano bevitori. Spesso si dimenticavano per settimane che la cantina esistesse, e si concedevano qualche bicchiere soltanto in compagnia degli ospiti pi distinti. Doralice era sempre gentile e generosa con operai e artigiani, i quali cercavano di ricambiarla, sforzandosi in sua presenza di ripulire il pi possibile il linguaggio da ogni espressione troppo cruda e volgare. Quando la donna si accorse che la sua attenzione per

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Fabrizio aveva oltrepassato la soglia di guardia, cominci a preoccuparsi seriamente. Not con un certo disorientamento che il regista le stava facendo dimenticare la figura ormai remota dell'aviatore. Per ora non aveva sentito ancora nessuna risata allarmante di Caterinetta, ma per quanto quel silenzio sarebbe ancora durato? Cominci a recarsi al cimitero tutti i giorni. Il giovane aviatore le sorrideva, dalla fotografia di maiolica cementata sulla lapide, come gi sapesse quello che le stava accadendo. Fece celebrare delle messe per lui, abbandonandosi ogni volta a una generosa offerta, con i soldi che arrivavano silenziosamente in casa sua dalla grande flotta dei pescherecci scandinavi. Ci che le stava accadendo per era troppo importante perch la faccenda potesse essere vissuta soltanto da lei. Perci l'aveva subito affidata a Nostra Signora della Neve, assieme a san Martino, a sant'Ermacora, a Cromazio e a Fortunato protettrice di Monterosso. A partire da quel momento le parve che le cose non potessero pi presentare alcun margine di rischio, e si sent abbastanza tranquilla. In seguito Doralice non temette la vicinanza di Fabrizio, che la faceva parlare di questo e di quello. Pi di una volta il discorso scivol verso la vicenda di Veronica, ingannata da Egidio, che si era ficcato in casa sua quando aveva gi una moglie americana, che continuava a reclamare i suoi diritti. Egidio, Dio mio! Che razza d'impostore! La gente ormai non sapeva pi neppure cosa voleva dire essere di parola, poteva ormai mentire con facilit invereconda, e l'antica lealt si era perduta. Era d'accordo, Fabrizio? Eh, s, lo era, eccome. Anche lui in America aveva avuto avventure e disavventure, piccole e grandi, e in ogni tempo del soggiorno americano aveva dovuto subire l'assalto delle donne, e soprattutto delle "piccole volpi", che costituiscono la maggiore minaccia per la vigna dei galantuomini. Quelle che lui chiamava "le piccole volpi" ricevevano da Doralice il nome di "vespe", ma l'oggetto indicato era il medesimo. Per fortuna accanto alle "volpi" e alle

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"vespe" vi erano anche le api e i castori, per esempio tutti coloro che lavoravano per la Cattedrale, e anche, perch no, quel petroliere dell'Alaska, che con il suo intervento aveva dissolto ogni difficolt economica nella faccenda. Cos si poteva trarre la conclusione che bisognava fare una specie di somma algebrica degli uni e degli altri, delle piccole volpi e dei castori, e consolarsi a questo modo. Tra i castori pi dotati v'era certamente Veronica. Ora che non esisteva pi la penuria dei finanziamenti, pareva che Veronica avesse ai piedi le piccole ali di Mercurio. Per la ricostruzione della Cattedrale era cominciato un altro ritmo, non pi un lento adagio, ma piuttosto un andante con brio, che stava correndo e tramutandosi in un crescendo rossiniano. Scalpellini dalle mani d'oro andavano sistemando le pietre scolpite, ima accanto all'altra, per formare le cornici scanalate dei finestroni gotici. Altri, arrampicati sopra le impalcature di ferro, stavano inserendo le pietre del rosone, nel grande foro rotondo, come fossero diamanti da sistemare in un castone. Il rosone torn a splendere nel centro della facciata, con i suoi trafori e i suoi merletti di pietra piasentina. I lavori di ricostruzione adesso stavano volando verso la fine, almeno per quanto riguardava l'esterno della Cattedrale. Il tetto era ormai ultimato, e i coppi ricurvi erano in parte quelli antichi e anneriti dal tempo, in parte nuovi, appena usciti dalle fornaci della regione. L'effetto generale era piacevole. Anche le travi, dipinte di vernice scura, per aumentare la loro durata, sagomate nella parte terminale, erano gradite alla vista. La chiesa aveva qualcosa di antico e di nuovo nello stesso tempo. Non pareva una costruzione vera e propria, quanto piuttosto un immenso modello, una sorta di giocattolo gigantesco, eseguito in grandezza naturale. Sarebbe stato abbastanza difficile indicare il motivo di questa sensazione. Pareva qualcosa di nato all'interno di una cornice particolare, formata da uno spirito del gioco e del sortilegio, ossia l'atmosfera che tutti

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gli stranieri avevano la sensazione di respirare a Monte- rosso, e di cui gli indigeni invece non sembravano accorgersi neppure, perch ce l'avevano nel sangue. Attorno alla fabbrica non v'era pi una sola pietra col numero scritto in rosso sul dorso, tutte essendo state allogate al loro posto preciso. Questo per non voleva dire che il lavoro fosse finito. V'erano ancora le statue da ricollocare, tutti i doccioni e le canalette di pietra da sistemare sui contrafforti, perch avessero la funzione di grondaie e impedissero alle acque di scendere lungo i muri e di rovinarli. Essi erano importanti perch, come si detto, scolpiti nella forma di animali fantastici, draghi, lonze, chimere, sfingi, unicorni, ippogrifi, leoni. Vi era nel complesso uno strano zoo fantastico, tutte le invenzioni degli antichi in fatto di animali, molti dei quali non erano se non una metafora del Maligno. Ulderico di Cassinberg, che aveva riservato ai muri maestri e alle parti pi importanti della costruzione la sobriet architettonica dei Templari, in questi particolari invece si era disfrenato. Altrettanto avevano fatto tutti gli scalpellini che obbedivano ai suoi ordini. L'antico Templare aveva attinto alla grande cisterna fantastica dell'immaginario popolare, ed era venuto fuori il volto pi inventivo e fantastico di Monterosso. Oggi nessuno si sforzava di dare un aspetto al diavolo. Nessuno ci pensava neppure, se non forse Rebecca, o qualche essere notturno e saturnino come lei. Eppure a ognuno sembrava importante che quelle pietre, scolpite in forme cos visionarie, fossero ricollocate al loro posto, perch senza di esse la Cattedrale sarebbe stata incompleta, e il paese stesso sarebbe stato privo di qualcosa. Non tutti su questo punto erano concordi. V'era anche chi traeva fastidio da queste presenze, e nella sua mente s'accendevano paure di morti e di torbide stregonerie. Doralice per esempio non poteva posare il suo sguardo sui doccioni, e quasi neppure il pensiero, perch subito le misteriose teredini della paura cominciavano a sforacchiarla, e la sua anima fanciullesca spalancava la porta al

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timore di assalti deformi contro di s, nelle zone pi vulnerabili del suo spirito. Persino le maschere di tiglio o di ontano, che intagliavano gli alpigiani di tutte le valli del Duss, con lingue sporgenti, occhi strabici, orecchie come corna, barbe prolisse, occhi di fuoco, erano sufficienti a spaventarla. Da bambina chiudeva gli occhi per non vedere. Cos immaginava che le maschere scomparissero, o addirittura non ci fossero mai state. Per Veronica invece le cose stavano molto diversamente. Lei a nessun patto avrebbe voluto rinunciare alla "zoologia fantastica" della Cattedrale, o alle maschere degli androni, e meno che mai all'immaginario collettivo, da cui quelle cose traevano la loro origine, perch esso era sentito da lei come una ricchezza, un vero serbatoio di fantasie, immagini e suggestioni, profondamente legate con l'arte. Le incarnazioni del fantastico e dello spettrale impressionavano anche lei, a volte, per mai avrebbe voluto rinunciarvi. Sentiva che facevano parte di s e di Monterosso, cos come di tutte le civilt di montagna e di campagna, e la loro dissoluzione sarebbe stata una perdita grave. Nessuna delle forme della conoscenza prescientifica e poetica della mentalit mitica era possibile distruggere, perch sarebbe stato come gettar via il patrimonio inesauribile degli archetipi, che si sono depositati dentro di noi attraverso i millenni. A quelle immagini elementari era legata la vita stessa della coscienza e le sue grandi scelte morali ed estetiche. Erano esse che legavano gli uomini alle loro radici. In quel patrimonio consisteva il nostro rapporto primigenio con le cose viventi, anche con tutto ci che eravamo stati prima di essere uomini, nella lunga scala dell'evoluzione, e con l'Essere medesimo. Erano da accettare anche le forme, in pietra, in legno, o in tele e colori, che erano generate dalla paura della morte, del dolore, e dall'attivit fantastica che riusciva a personificare il male e a creare il volto e l'aspetto del Principe delle Tenebre.

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Nelle settimane in cui rimase ospite del castello, Fabrizio fece un certo numero di scoperte. L'immenso repertorio di favole, miti, storie strane, figure e immaginazioni stregate, che abitavano in pianta stabile a Monterosso, si era destato di nuovo dentro di lui, e aveva ricominciato a tracciare nello spirito i suoi caleidoscopici vagabondaggi. Tutte le creature fantastiche della sua infanzia stavano tornando lentamente, alla spicciolata, col capo basso e lo sguardo a terra. V'era un intiero serraglio di spiriti mitici, di esseri strampalati e lunatici, che erano continuati a vi vere nella fantasia popolare, anche nel suo inconscio, e ora si ridestavano pure in lui, perch senza di essi ogni sentimento del vivere avvizziva e ogni emozione artistica inaridiva. Perci egli sentiva cos forte il desiderio di rimettersi dietro la macchina da presa, e di ricominciare a raccontare. Aiutato da giovinotti appassionati di cinema, stava girando un film, di cui nessuno conosceva i particolari. Il lavoro gli riusciva con facilit, adesso, mentre in America negli ultimi dieci anni non era stato capace di creare alcunch. Il suo battello era stato completamente bloccato dalla remora dell'aridit, diventata grande come un'orchessa o una balena. C'era davvero, la remora. Avevano ragione gli antichi. Esisteva per le navi cos come per gli uomini, e lui aveva trovato la sua, che l'aveva ingessato e reso sterile e secco come uno uadi tropicale. Cos'era? Chiss mai! Un'ombra, un fantasma, uno strido di tarlo dentro ima cassapanca, un niente. Era un disagio dello spirito, che ferma dentro di noi la circolazione delle idee e il flusso dei sentimenti. Ma quel niente, quel fantasma, era pi potente del pi forte sortilegio, e poteva bloccare ogni creativit.

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XXII

Il Templare

Fabrizio era fuggito da Hollywood, ma la remora non era scomparsa. Si era trasferito in piccole citt del Middle West, e la remora l'aveva seguito dappertutto. Da ultimo si era rifugiato a Nuova Orleans, la citt pi ricca di folclore di tutta l'America del Nord, ma la remora aveva resistito, forse perch non si trattava del suo folclore, ma di quello di un popolo diverso. Solo tornando a Monterosso essa era sparita e la lunga impotenza si era dissolta. Adesso si sentiva pi libero. Si era affrancato da parecchie grevi abitudini. In America non era in pace con se stesso, a meno che non acquistasse un pacco di giornali per essere informato sulla cronaca fangosa e imputridita di ogni giorno. Adesso di quotidiani ne leggeva uno soltanto, alcuni giorni dopo l'uscita, solo per convincersi che non ne valeva la pena, perch trenta ore pi tardi tutte le notizie erano gi invecchiate e diventate polvere, ed essi gi parlavano di tutt'altro. Si sent liberato dall'assillo del presente, che per tanti anni l'aveva stretto in una morsa e collocato dentro una gabbia con le sbarre di ferro. Cominci a essere attratto da avvenimenti accaduti in epoche lontane, in un tempo indefinito, che non era pi quello dei giornali e della televisione, ma piuttosto quello del mito. La gente lo vedeva girare nelle occasioni pi varie in compagnia degli aiutanti, con la macchina da presa. Ogni volta che in paese si verificava qualcosa di notevole, lui

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era sul posto, e i presenti potevano sentire il ronzio di zanzara della sua "camera". Quando vennero accesi i fuochi dell'Epifania sulle colline e le montagne, Fabrizio, invece di partecipare all'allegria degli altri, pass il tempo a cercare le inquadrature migliori nel mirino. Non c'era fase nei lavori della Cattedrale che lui non affidasse al tenace ricordo delle immagini registrate sul nastro magnetico. La parte esterna della chiesa fu ultimata. Il portale, gravemente danneggiato dal sisma, era stato restaurato in modi ingegnosi, ossia con l'inserimento di masselli di pietra e un paziente lavoro di scalpello, per rifare le parti mancanti. Vi lavorava ancora un piccolo plotone di operai e artigiani, arrampicati sulle impalcature di ferro. Scalpellini con raspe, bulini e martelline ritoccavano le pietre nelle zone critiche delle commettiture, in modo che non ci fossero scalini e asprezze, ma una fluida continuit. I maestri vetrai applicavano i vetri piombati e colorati ai finestroni, carichi di simboli religiosi. Era un lavoro vasto e complesso, che veniva avanti con l'impegno di tanta gente, esperta di cose diverse. La ricostruzione della Cattedrale era un po' come una sinfonia suonata all'organo, lo strumento che produce i suoni di un'intera orchestra, riuscendo a fonderli perfettamente nello spessore sonoro dei timbri. Anche all'interno i lavori procedevano con celerit. Il tetto era stato rifatto esattamente come prima, con il sistema delle capriate. Il gioco delle travi a vista comunicava un'impressione di solidit arcaica, simile a quella delle catapulte o delle torri d'assedio medioevali. Scalpellini lavoravano anche all'interno, impegnati a sostituire le parti danneggiate degli altari. Anche qui masselli di pietra venivano inseriti negli spazi vuoti con precisione da cesello, sicch il lavoro aveva un po' l'aspetto dell'intarsio, che si poteva distinguere unicamente per la diversit del colore della pietra. I rapporti tra i diversi gruppi di artigiani, scalpellini, carpentieri, pittori, muratori, fabbri, vetrai, erano tenuti da Fabrizio, Veronica e Norberto, che sempre guardavano

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le cose nel loro insieme. Il grande gioco d'incastro della Cattedrale veniva avanti quasi da solo, senza regie visibili e chiassose. Pareva che un genio uscito da una bottiglia suonasse un flauto alle cui note obbedivano le mani degli operai e le pietre stesse, che si collocavano al posto giusto da sole. A Fabrizio tutto ci non suscitava un'impressione di stranezza portentosa, perch in fondo anche i mondi, i pianeti e i satelliti si erano collocati nello spazio da s, dopo il grande big bang che era stato l'origine dell'universo, e si erano messi a girare tutti intorno all'orbita a loro assegnata da un'invisibile regia. Norberto sorvegliava anche i lati segreti del gioco della Cattedrale, perch rispondessero all'antico progetto anche nei particolari pi criptici e misteriosi. V'erano rispondenze celate tra cosa e cosa, simili ad accordi musicali. La luce doveva entrare attraverso le gotiche vetrate in un certo modo, in un dato giorno e a una data ora, andando a illuminare una striscia scritta, inserita nel pilastro pi vicino al coro, il giorno del solstizio d'estate, che era anche il giorno di san Giovanni. Nelle sette capriate del tempio v'era un ritmo che ricordava le sette note musicali inventate da Guido d'Arezzo. L'acquasantiera e il pulpito dovevano occupare un punto privilegiato dello spazio interno, suddiviso secondo il criterio della sezione aurea, descritta dai matematici antichi. Norberto non rivel i misteri delle segrete rispondenze se non all'unica persona che le doveva conoscere di necessit, ossia Veronica. In tal modo l'armonia segreta era rispettata, gli accordi enigmatici della Cattedrale erano realizzati, e si era obbedito fino in fondo alla volont arcana di Ulderico di Cassinberg, seguace in tutto e per tutto del pensiero di san Bernardo di Chiaravalle, che aveva dettato le regole dell'Ordine Templare nell'opera De laude novae mili- tiae. Quando Ulderico era morto, il suo lavoro alla direzione della Cattedrale era stato continuato da un altro Templare, Enrico di Cassinberg. Ma costui, in vita e in morte, aveva avuto un destino ben differente da quello di Ulderico.

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Come morto? chiese Veronica a Norberto. Come tanti altri suoi confratelli di Francia. Ossia? Sul rogo? Gi. Bruciato vivo, come Jacques de Molay. Allora anche i Templari italiani vennero perseguitati? No. Essi si salvarono tutti, bench la disposizione di Clemente V a tutti i principi fosse di processarli e di far confessare loro peccati ed eresie inesistenti. Fu il Patriarca, allora, che non obbed all'ordine della Chiesa? No. Il Patriarca non c'entra. Le cose sono avvenute molto diversamente. Fu in Francia che il povero Enrico and a mettersi da s tra le zanne del lupo. Ma non sapeva il destino dei suoi confratelli? Eh, gi! Era una vicenda un po' misteriosa. Quando la Cattedrale stava per essere ultimata, dopo un secolo giusto di lavori, Enrico di Cassinberg, il nuovo architetto, decise di chiedere ai Templari un prestito per completarla. I monaci del Tempio erano talmente ricchi da essere chiamati "i banchieri di Dio". La donazione di Riccardo Plantageneto purtroppo era finita da tempo. Ma quando Enrico giunse a Parigi, il tesoro non esisteva pi. Il re di Francia, Filippo il Falsario, aveva allungato le sue unghie voraci su di esso, e centinaia di Templari erano gi stati massacrati. Enrico di Cassinberg lo sapeva? Certamente. Era impossibile che non conoscesse queste vicissitudini dei suoi confratelli. Esse erano ormai notissime in tutta l'Europa, dove avevano suscitato infiniti commenti, e tanto pi note dovevano essere all'interno dei conventi, come quello di San Giorgio del Tempio. Ma Enrico si era recato in Francia lo stesso, a cavallo; si era spinto fino a Parigi e al castello dei suoi confratelli che ora, dopo la soppressione dell'Ordine, era stato assegnato dal Papa ai Cavalieri di Gerusalemme. Del tesoro nessuno pareva sapere pi niente, ma le voci diffuse universalmente accusavano il Re. Enrico chiese un'udienza a Filippo, domandandogli con insisten

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za un finanziamento per ultimare la cattedrale di Monte- rosso. Filippo fin per capire che si trattava di un Templare, anche se non portava il mantello bianco con la croce rossa, e diede ordini allusivi alle sue guardie, perch fosse arrestato. Tutta la procedura infame del martirio per lui fu accelerata, perch Filippo il Falsario ormai desiderava una cosa soltanto, che la vicenda dei Templari finisse al pi presto e cadesse nella dimenticanza. Nel giro di pochi giorni Enrico fu torturato, costretto a confessare d'aver abiurato Cristo, di aver sputato sulla croce e di aver venerato il diavolo sotto la forma del Bafometto. Il suo rogo venne allestito nell'isoletta della Senna, accanto a Notre-Dame. Enrico di Cassinberg accett il martirio a capo chino, senza una protesta, e al carnefice chiese una cosa soltanto, ossia che le sue mani fossero un po' pi libere dalle catene per poterle congiungere, e quindi rivolgere un'ultima preghiera a Nostra Signora. Ma perch Enrico era andato in Francia, tanto pi che era vecchio e malato, se sapeva della persecuzione contro i Templari? Ci and appunto perch lo sapeva disse Norberto. Come dire che cercava il martirio? Sentiva una specie di senso di colpa per essere ancora vivo, quando tutti i suoi confratelli erano morti. Gi. Mi sembra di capirlo. Non and in Francia solo per ottenere un finanziamento. Ci che lo attrasse fu soprattutto il canto funebre dell'immensa tragedia dei Templari. Era un canto che veniva da sottoterra. O da sott'acqua. Le ceneri dei Templari non vennero sparse nell'aria, ma gettate nella Senna. Nostra Signora della Neve era stata ultimata, perci, non con il tesoro dei Templari, che era stato rapinato fino all'ultima moneta, ma con le elemosine dei fedeli di Monterosso. Poi, nel corso dei secoli, i racconti avevano finito per confondere tra loro i due Templari, Ulderico ed Enrico, come fossero stati una sola persona. Veronica era turbata e i suoi occhi luccicavano. Anche

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lei sentiva quella vicenda come un filo della tela infinita che costituiva il "dolore del mondo". In realt non c'erano molte notizie sicure su Enrico il Templare. Forse era tutto un mito, nato come riflesso e risonanza della grande tragedia dei Templari, e forse Enrico di Cassinberg in realt era morto tranquillamente nella sua cella di frate, nel convento di San Giorgio del Tempio. La saggezza dei Patriarchi aveva impedito alla follia scatenatasi dovunque contro i monaci di Sion, di oltrepassare i confini del loro stato. All'improvviso Veronica si accorse che Norberto la guardava con desiderio. Si concentr su quel fatto, e dentro di lei avvenne un rapido rovesciamento di pensieri e di sentimenti. Non ti vedo pi con Rebecca gli disse. Non vuole pi saperne di me. stata la tua amante? S. Ma adesso ha un altro. Norberto tacque. Non voleva parlare di quell'argomento, per lui doloroso, che riaccendeva una sofferenza recente, e non spenta del tutto. Ma Veronica non voleva tacere. L era tornato improvvisamente quel gusto vitalistico e strepitoso che la rendeva aggressiva come le monterossi- ne dei secoli andati, e la spingeva ad andare fino in fondo alle cose. Ma tu l'ami o non l'ami? No... no! Davvero? Non hai mai avuto l'intenzione di sposarla? Appena le ho parlato di matrimonio, lei mi ha piantato in asso per mettersi con un divorziato. Vuoi dire che ama la trasgressione? Credo di s. Allora tu sei stato ingannato, come me. Io con Egidio sono vissuta tre anni. Mi sentivo sua moglie. Solo che non potevo esserlo, perch lui s'era gi sposato in America. In sostanza era un impostore e un bigamo. Mi molto dispiaciuto per te. Voleva farmi fare la parte di Butterfly.

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Non mi sembra la pi adatta per te. Lo credo bene. Appena l'ho saputo, l'ho buttato fuori di casa. Ho gettato la sua roba dalla finestra. Veronica fremette tutta a quel ricordo, e l'ira torn a bollire in lei, come il sangue di san Gennaro. Lasci perdere il ricordo del traditore. Norberto le parve invece la figura stessa della fedelt. Rebecca era entrata nella sua vita con armi subdole, lei che era perennemente attirata dal raggiro e dalla menzogna. Le cose limpide e pulite non le piacevano. Faceva parte della zona dove si concentrava la sostanza pi scopertamente notturna del mondo. Era il tipo di donna che aveva i suoi amici e alleati nelle figure inquietanti scolpite nei doccioni e le grondaie di pietra della Cattedrale. Preparava filtri amorosi, e forse anche in quel modo era riuscita a svegliare il lato protettivo di Norberto. Egli le aveva fatto da scorta anche troppo tempo, come accadeva ai campioni fedelissimi dell'Ariosto, che a volte scortavano le donne pi repellenti, e sostenevano duelli per loro, per non tradire le regole della Cavalleria. Comunque fosse, era tempo di sfatare quell'incantesimo balordo. Veronica si sent afferrata dalla furia ventosa dell'impazienza, e cominci nel pensiero a lanciare contro se stessa insulti pittoreschi, perch si era accorta all'improvviso che Norberto l'amava, da sempre, e lei nemmeno se ne era resa conto. Aveva amato soltanto lei, da quando giocavano insieme, e le aveva donato il cane Wolf, che era stato il compagno pi fedele e importante dell'infanzia di Veronica. Perch mi hai regalato la pergamena di Ulderico il Templare? Mi faceva piacere che l'avessi tu. Ma a te era molto cara. Perch l'hai data a me? Mi sembrato di doverlo fare. Perch mi ami? Norberto tacque e un poco arross. E' cos o non cos? Ognuno ha i suoi segreti. D'accordo. Per adesso me lo devi dire, perch il tem

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po dei segreti e delle attese finito. Adesso il momento di dire le cose come stanno, fino in fondo. Te lo dico domani. Devo tornare da mia zia. No. Non devi un bel niente. Tua zia con Fabrizio, ora, e non ha alcun bisogno di te. Di te ho bisogno io, adesso. Per devo sapere la verit. Ho gi sbagliato un matrimonio e non posso fallire una seconda volta. Hai capito? Non ci saranno pi errori, nella tua vita... Dovrai dimostrarmelo. Norberto sentiva le guance scottare, e anzi ardeva tutta la sua persona, perch quella sera gli stava accadendo una cosa che non riteneva possibile. Il calore che sentiva in s si proiettava anche sulle cose circostanti e le penetrava. Gli parve che la sua nostalgia di un mondo perduto si dissolvesse, e che quel qualcosa di misterioso che gli sembrava di aver sempre cercato ora fosse finalmente vicino. Era come se la carrozza rossa, di cui aveva sempre sentito rullare le ruote, su qualche bianca strada di campagna, con dentro sua madre, estremamente giovane, nella giornata della sfilata dell'Epifania, si fosse fermata, e il suo sportello si fosse aperto all'improvviso. Da essa per non scendeva sua madre, come un tempo, ma Veronica. Vieni con me disse la donna. Dove andiamo? Lo scoprirai presto. Fecero un centinaio di passi, e si trovarono sulla soglia di casa Castenetto. Nessuno li vide entrare, e in tal modo nessuno seppe per il momento che Veronica s'era di nuovo maritata. Non ne ebbe notizia neppure zia Doralice, perch la cerimonia del nuovo matrimonio si doveva ancora rimandare, come quella del primo. Norberto lasci la casa di Veronica prima dell'alba. Sempre pi spesso la gente di Monterosso veniva a vedere la Cattedrale rinata dalle sue rovine. Era quasi finita. Mancavano soltanto poche statue, che artigiani specializzati stavano rimettendo in sesto, incollando le parti spezzate con mastici miracolosi e applicando anime invisibili

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di ferro, che rendevano robusta e tranquilla la riunificazione di teste, braccia e gambe. La Cattedrale era l, con la sua aria di chiesa antica e rifatta nello stesso tempo, di modello a grandezza naturale, poderosa come una fortezza ma elegante come un ricamo. Adesso Che era ultimata pareva pi evidente la perdita che essa aveva subito, ossia il grande ciclo di affreschi del coro e dell'abside. Sotto i colpi di ariete del terremoto, esso si era purtroppo sfarinato, perch la sua malta era magra e ormai priva di collante. Anche prima del terremoto l'affresco era compromesso; era leggibile e mostrava la sua straordinaria freschezza soltanto nelle parti dove l'intonaco si era meglio conservato. Adesso la chiesa era stata coperta con impasti cementizi anche all'interno, tranne nei settori dove c'era il dipinto. Qui era stato fatto l'intonaco grezzo, ma non quello fine. Il secondo sarebbe stato applicato soltanto quando si fosse trovato un nuovo affrescatore. Gli spazi del coro e dell'abside parevano immense pagine bianche, in attesa che qualcuno osasse porvi mano. Tutti i pittori che andavano a visitare la Cattedrale subivano la tentazione di dipingervi le proprie emozioni, ma poi erano le stesse dimensioni delle pareti a spaventarli, e uscivano dalla chiesa con la mente confusa, sconfitti da un tentativo che era stato soltanto mentale, non confidato a nessuno. Anche da lontano veniva gente per rivedere la Cattedrale risorta. Essa era sempre stata una meta turistica, ed era anzi diventata qualcosa che i viaggiatori dovevano vedere per forza, trovandosi nella zona, altrimenti provavano una specie di sentimento di colpa. La guardavano da tutte le parti, poi pensavano con malinconia che non era ancora finita. Adesso ci voleva un pittore dall'estro fantastico e grandioso, che non si facesse impressionare dalle grandi superfici. Ma dove trovarlo? Era il cruccio di Monsignore, di Fabrizio, di Veronica, ma anche un po' di tutta la gente di Monterosso. Monsignore si decise a diffondere un bando.

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Esisteva tuttora una discreta somma per quel lavoro, e arrivavano ancora piccole e grandi offerte da tutte le parti del mondo, dagli emigranti che avevano fatto fortuna. Ma il problema dei costi non spaventava pi nessuno. I soldi si sarebbero trovati, come era accaduto finora. La chiesa adesso, volendo, poteva anche essere riconsacrata e riaperta alla gente e al culto. L'Arcivescovo, che abitava nel palazzo antico del Patriarca, nella capitale, lo sussurr a monsignor Redento Filippin una sera, mentre guardava con insistenza la luce di un lampadario, nel tentativo di far esplodere in s uno sternuto liberatorio. Monsignore per scosse il capo, lentamente. Prima vorrei che fosse finita del tutto. Che cosa manca ormai, Monsignore? Gli affreschi del coro e dell'abside. Poca cosa. Verranno anche quelli. Conviene confidare in Dio. Finora ci ha straordinariamente aiutato. Lo far ancora. Io sono impaziente di riconsacrare il tempio. Io pure, Eccellenza. Per vorrei prima finire i lavori. Non sono cos essenziali e determinanti, mi pare. Mi dispiace di doverla contraddire, Eccellenza... Monsignore la spunt. Sua Eccellenza era troppo anziano e preoccupato per la sua incerta salute per opporsi a un uomo sanissimo come Monsignore. Troppo faticoso. Redento Filippin aveva dato l'ordine che le impalcature del coro e dell'abside fossero conservate, come se l'arrivo dell'artista dovesse essere imminente. Poi fece chiudere con i catenacci a doppia mandata il grande portone di quercia dell'ingresso principale, che sarebbe stato riaperto soltanto quando la Cattedrale avesse avuto il suo coronamento pittorico, fosse stata riconsacrata e offerta all'ammirazione di tutti. Rifiutava l'idea di celebrare le funzioni e di cantare le lodi a Nostra Signora con le impalcature ancora in piedi, ed esse dovevano restare per finire i lavo

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ri. Era dunque un serpente che si mordeva la coda, come avviene spesso nelle cose del mondo. La ricostruzione del paese poteva dirsi compiuta. Quasi tutte le case erano state salvate, cos come erano, con i loro antichi muri di sassi di fiume, perch nel loro interno era stata inserita una struttura di cemento armato che ne garantiva la staticit. Era dunque il trionfo dell'architettura spontanea, sorretta e aiutata da quella razionale. Infatti, si sa, i palazzi si salvano sempre, senza badare a spese; sono le case della povera gente che per solito vengono demolite senza una sola perplessit o un filo di rimpianto. Le vicende di Monterosso si avviavano dunque verso una conclusione felice, su binari bene oliati, come i rulli su cui scivola la nave che viene varata nel grande cantiere. Anche la storia di Fabrizio si concluse secondo le aspettative di Veronica.

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XXIII

Il drago

Quando la sua casa fu perfettamente restaurata, restituita alla solidit di un tempo, Fabrizio, invece di ritornarvi, prefer restare al castello dei Cassinberg. Un artigiano del paese, carpentiere e intagliatore di cornici, che disponeva di un camion per il trasporto di manufatti e di tavole, con pochi viaggi trasfer tutto il mobilio di Fabrizio su al castello, dove serv a rendere un po' meno vuoto un paio di saloni e qualche stanza. Molti occhi di Monterosso, specialmente femminili, seguirono l'operazione, che aveva un chiaro significato per tutti. Il carpentiere anzi si occup anche di sistemare convenientemente cassepanche, biblioteche, sedie di forma antica, che Fabrizio veniva acquistando sui mercati antiquari di tutta la regione. Il regista comprava quello che piaceva a lui, ma soprattutto ci che era gradito a Dorali ce, di cui ascoltava il consiglio con molta attenzione. La donna arrossiva e si schermiva. Vuoi confondermi. Tu sai benissimo cosa scegliere disse la donna. S, ma sei tu la padrona di casa. Io non ho studi, e non me ne intendo. Questo falso. Hai molto gusto. Il buon gusto per i mobili non lo insegnano a scuola. Tu sei un artista. Io sono una casalinga... Per una casalinga particolare. Il buon gusto l'hai nel sangue.

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Ci che diceva Fabrizio era perfettamente vero. Doralice era una Cassinberg. Anche se essi avevano subito, nel Settecento e all'epoca di Napoleone, la catastrofe che si abbatt su quasi tutta la nobilt in seguito all'abolizione del maggiorascato e alla Rivoluzione Francese, era pur sempre una nobile, e possedeva per retaggio un'attitudine verso le cose belle e di fine fattura. La sua stanza da letto era molto semplice, ma anche raffinata. Il letto era di noce, a colonnine tornite, a baldacchino e a due posti, naturalmente, perch nell'epoca in cui era stato fatto, saggiamente, si pensava che il celibato andasse bene soltanto per i sacerdoti. Il mobile per la biancheria aveva i cassetti con testate ornate di intarsi a rombi, e le sedie a colonnine simili a quelle del letto, stile Luigi XIII. Le tendine alle finestre, poi, Doralice le aveva fatte da s, impreziosite di ricami eseguiti nel corso di tutta la sua esistenza. Tutte le stanze del castello avevano almeno ima bellissima tenda, ed era meglio di niente. Nelle lunghe sere d'inverno appena trascorso, Fabrizio e Doralice avevano avuto delle cose da dirsi, durante le ore passate vicino al fuoco. Fabrizio era occupato durante il giorno dalle riprese del film che stava girando, o faceva camminate nei boschi, per v'erano sempre ore un po' vuote da riempire. Cos i due mettevano le sedie una accanto all'altra e si raccontavano cose del passato, che, alla loro et, cominciavano a diventare quasi pi importanti dell'avvenire. Cos tra Fabrizio e Doralice le distanze si erano andate via via riducendo, finch sparirono del tutto quando l'uomo, passando davanti alla porta aperta della camera di lei, disse tranquillamente: Quel letto molto grande. Mi piacerebbe dormirci. E io dovrei cambiare stanza? chiese Doralice. No. Non mi sono spiegato. Vorrei che tu restassi dove sei. Mi credi dunque una donna che accetta di dormire con gli ospiti? Non con gli ospiti. Con me. Per questa notte?

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No. Per sempre. Per sempre? Ci hai pensato bene? la cosa cui ho pensato di pi, negli ultimi tempi. Vi furono altri colloqui dal contenuto simile a questo, in cui la faccenda venne affrontata sempre pi da vicino, e in modo mirato, finch la cosa si concluse nel modo auspicato da Veronica. Cos, dopo tanti anni, la ragazza riusc a ripristinare nel suo ambiente, in modi certamente approssimati, la figura del padre e della madre. In questo modo la geografia e lo schema della famiglia furono completati e la sua riserva di affetto conobbe la propria direzione e il proprio fine. Fabrizio recuper la serenit perduta negli ultimi anni del suo lungo soggiorno americano. Miglior anche la sua salute, se certi dolori alla vescica, che lamentava da tempo, parevano scomparsi. Come fosse avvenuto non si sapeva, ma era successo. L'essere ritornato a Monterosso gli pareva un ramo importante del suo destino, ora dominato dal tema del Grande Ritorno, e anche il suo matrimonio con Doralice era un momento di esso. Fabrizio e Doralice erano soli, nei vasti spazi del castello, perch Norberto era lontano. Si era trasferito a Venezia per seguire un corso di tecniche pittoriche e di restauro, o qualcosa del genere. Lui l'aveva anche spiegato nel dettaglio, ma Doralice non aveva capito bene, o aveva dimenticato. Aveva preso commiato da lui, lo aveva abbracciato stretto, come fosse suo figlio. Fabrizio ebbe i suoi dubbi su quella decisione, si chiese cio a che potesse servire a Norberto un corso sopra le tecniche della pittura, dal momento che le conosceva gi benissimo, e in certo modo anche troppo. Era la creazione che non conosceva, sicch sapeva essere soltanto uno che duplicava l'opera degli altri. Ma tutto questo lo tenne per s. Neppure Veronica saliva al castello, perch anche lei era partita, avendo accettato un lavoro piuttosto lontano. Stava dirigendo il restauro di una villa veneta lungo il Brenta, o almeno questo si diceva

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a Monterosso, perch nessuno era in possesso di notizie di maggior dettaglio. Ritornava a casa soltanto per il fine settimana, come del resto anche Norberto, come se i loro movimenti e spostamenti conoscessero un'inconsapevole simmetria. Talvolta si presentavano al castello insieme, la mano nella mano. Come va questo corso? chiese Doralice al nipote. Bene, zia. Sto imparando molte cose. E dove lo tengono? Alla Scuola di San Rocco. Gli insegnanti chi sono? Professori dell'Accademia. Qual la tecnica che ti piace di pi? Quella dell'affresco. E cosa te ne fai? Nessuno dipinge pi affreschi... Qualcosa ne far. Non si sa mai! Norberto sorrideva, ma era evidente che non aveva nessuna voglia di parlare dell'argomento. Pareva vivesse soltanto per tornare laggi al pi presto, e riprendere la sua attivit veneziana. Per ora il vero centro della sua vita era quello, un luogo che Doralice conosceva soltanto di nome. La Scuola di San Rocco lei la collegava mentalmente al Tintoretto, un pittore che le piaceva straordinariamente soprattutto per le sue scene notturne, come quella di santa Maria Egizaca e quella della Maddalena. A lungo la zia aveva ammirato un volume, appartenente a Norberto, sulla pittura dell'artista veneziano, di cui intuiva la grandezza, non per cultura ma per istinto. Per lei non v'era niente di pi magico delle scenografie lunari del Tintoretto. E proprio perch amava tanto le notti di Jacopo Robusti, le piaceva pure uscire a vedere le notti di Monterosso, ora che c'era chi l'accompagnava. L'estate stava montando su, verso il suo culmine, e nelle ore buie l'aria era sempre pi calda e vellutata, anche se la temperatura era abbassata e filtrata dall'altitudine della collina. Fosse caso o scelta, Fabrizio e Doralice finivano sempre per arrivare sul sagrato della Cattedrale

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rinata, che biancheggiava sopra l'erba verde. A volte spingevano il portone, per tentare l'ingresso, ma invano. La chiesa era chiusa e inaccessibile. Alla donna essa pareva un luogo felice, da cui tutti gli abitanti del paese, come i forestieri, erano esclusi per qualche decisione singolare della fortuna. Tutt'intorno la terra era stata lavorata, e seminata d'erba, che l'estate aveva gi infittito e che, rasata, formava un compatto tappeto verde e vellutato, come il panno di un biliardo. Faceva pensare un po' al Campo dei Miracoli, su cui sorgono il Duomo, il Battistero e il Campanile pendente di Pisa. Ma perch la Cattedrale non veniva riaperta al culto, visto che la ricostruzione era ormai completata? Perch Monsignore si ostinava a volere che fosse eseguito anche l'affresco? Va bene che Monterosso disponeva di una seconda chiesa, non meno vasta della Cattedrale. Per... Forse la stessa cosa pensavano anche altri, che si aggiravano nella notte attorno alla costruzione, camminando sull'erba e verificando ogni tanto la chiusura inesorabile dei portoni. La gente di Monterosso aveva l'impressione di dimenticarsi progressivamente l'interno della Cattedrale. Molti non ricordavano pi certi particolari, per esempio se sul- l'altar maggiore vi fosse la statua di san Martino o quella di sant'Ermacora. Non tutti avrebbero saputo dire con sicurezza se gli scalini per salire sul coro fossero due o tre. Forse fu proprio questa inaccessibilit a dare origine a voci curiose, per esempio che certe notti si fossero sentiti vaghi rumori. Riprese fiato la favola, mille volte smentita, che sotto il pavimento, a partire da un'antichissima lastra tombale, ci fosse un passaggio segreto che arrivava fino al castello dei Cassinberg, che sarebbe stato scavato all'epoca della persecuzione contro i Templari, onde permettere a questi, custodi della Cattedrale, una fuga in caso di necessit. Quinto Sgubin, il mago dei violini e dei violoncelli, raccont che una notte, alzatosi dal letto a causa di uno stra

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no malessere, aveva intravvisto per un istante una luce fioca accendersi dietro i finestroni gotici. Nessuno dette molto peso alla cosa. Poteva anche essersi trattato di un riflesso della luna, o di un lampeggiamento lontano. Gli scettici, come sempre, avevano buon gioco; gli altri si tenevano i loro timori, e ricordavano la fama un po' sinistra e stregata di Monterosso, e gli eventi stralunati che vi erano avvenuti in ogni epoca storica. Altro caso strano di cui si parlava molto a Monterosso era la faccenda della malattia di Fabrizio. A forza di analisi s'era scoperto che i disturbi di cui soffriva erano causati da un tumore. Per a lui accadde un po' come allo zio di Rebecca, il giostraio, che aveva smesso d'invecchiare, ossia a un certo punto si era bloccato. La malattia aveva intaccato anche l'intestino, ma l qualcosa di misterioso aveva agito sul freno. Non avanzava. Le cellule anomale, nel loro tumultuoso riprodursi, anarchico e senza legge, si erano improvvisamente fermate, e nessuno conosceva il perch. Da quando aveva saputo della malattia, Doralice aveva perso la serenit. Era come se avesse appreso che Fabrizio stava per precipitare nel vuoto e non cadesse mai, ma neppure si allontanasse dal ciglio del precipizio. Forse spettava a lei proteggerlo, ma non sapeva come, se non con l'invocazione alle Potenze Celesti. Esse peraltro non avevano funzionato. Se il disordine caotico e la proliferazione delle cellule folli si era arrestato, era segno evidente che le sue preghiere avevano avuto il loro effetto. Per l'invasione non era sparita. Si era semplicemente bloccata allo stato iniziale, come un processo sospeso, ma che poteva riprendere in ogni momento. Doralice era apprensiva, ma nello stesso tempo possedeva anche quantit insospettate di speranza, che non si arrendeva di fronte a nessuna ragione contraria. In questo era sorella nello spirito di Veronica. Fabrizio invece era tranquillo. Si sentiva protetto da un destino pi impenetrabile della corazza di un carro armato, perch niente poteva succedergli finch non avesse

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portato a termine il suo film, di cui girava uno spezzone ora qua ora l, nelle occasioni pi varie. Non avvertiva neppure la pi lontana nube sopra l'orizzonte della sua situazione fisica. Il sonno, l'appetito, la voglia di far l'amore e di andare avanti con il suo lavoro di cineasta erano eccellenti. Lui era uno di quelli che credono alla realt della malattia soltanto quando essa toglie le forze, o scocca gli strali acuminati del dolore. Poich non sentiva niente, la malattia la vedeva come un'entit irreale, lontanissima ancora dalla sua strada. I controlli medici in ospedale erano frequenti, e il loro responso era sempre il medesimo: la metastasi c'era, mostrava le sue tracce in pi luoghi del suo corpo, ma era congelata in uno stato iniziale. Le mani di un invisibile sciamano avevano fermato la malattia come Giosu aveva arrestato il sole. Ma una malattia bloccata non era pi una malattia, era soltanto una cosa anomala e stravagante, la quale per, essendo accaduta a Monterosso, era gi meno meravigliante e anzi sembrava normale.

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XXIV

Le campane

Ormai Doralice si era liberata dalle ansie e le angosce per la malattia di Fabrizio. Era certa che fosse guarito, felice che l'aria magica di Monterosso avesse avvolto nel suo sterminato mantello anche lei e Fabrizio. Adesso si sentiva, a maggior diritto, cittadina del suo paese, e le sembrava di essere sposata da sempre, o meglio da quando era ragazza. Tra la morte dell'aviatore e il matrimonio con Fabrizio, ossia venticinque anni, il tempo le sembrava vuoto, insignificante, e quindi privo d'importanza. Avvertiva che lineamenti inconfondibili e veri li aveva soltanto il tempo in cui lei poteva dedicarsi totalmente a un uomo. Il tempo autentico, dunque, cominciava con le sue nozze. Erano state nozze modeste, nella seconda chiesa di Monterosso. Doralice aveva evitato ogni spesa, anche quella del banchetto nuziale, le sue risorse economiche di provenienza scandinava essendo sempre piuttosto limitate. Facciamo un bel pranzo, ma a casa nostra aveva detto a Fabrizio. Come vuoi accett l'uomo. Io sono un'ottima cuoca. Me l'hai gi dimostrato. Invitiamo soltanto Norberto e Veronica. E poi naturalmente qualche amico. Chi per esempio? Quelli che vuoi. Per me va sempre bene. Fabrizio non si opponeva in nulla ai suoi desideri, an~

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che quando essi gli parevano eccentrici. Era evidente che tutto ci che riguardava le nozze, era per lei un gioco strepitoso, con molti passaggi obbligati cui non avrebbe potuto mai rinunciare. Ci si vide particolarmente quando la procedura matrimoniale tocc la questione dell'abito. Per Fabrizio andava bene un qualunque vestito da passeggio, ma Doralice non ne volle sapere. No, no, assolutamente. Lei conservava l'abito di nozze dai tempi in cui aveva sposato l'aviatore. Dopo la disgrazia Doralice l'aveva riposto in un armadio che non usava mai, con molte lacrime segrete, e non aveva voluto separarsene, come fosse il documento e la prova che s'era sposata per davvero. Solo una volta l'aveva prestato a un'amica, ma col patto preciso che le sarebbe stato restituito subito dopo l'uso. Il vestito le andava ancora benissimo, perch neppure i cinquantanni avevano portato modificazioni di rilievo alla sua figura. Fabrizio aveva indossato lo smoking che gli era stato cucito da un sarto di origine francese a Nuova Orleans, n aveva battuto ciglio per la richiesta di Doralice, anche se a lui era parsa piuttosto barocca. Gli anni gli avevano insegnato che al mondo tutto era naturale e assurdo allo stesso modo. Bastava dare una giratina all'occhiale del caleidoscopio, e ogni cosa cambiava volto. Aveva occasione di passare pi volte al giorno nel salone in cui Norberto aveva dipinto l'albero genealogico. Una volta accost un tavolo fratino, di noce massiccio, sotto l'affresco, intinse un piccolo pennello di Norberto nella tempera nera, mont sopra il tavolo, e accanto al nome di Doralice, scritto su una foglia verde, disegn il suo. Il segno risult incerto e pieno di sbavature. Mi venuto molto male disse alla moglie, rammaricato. Diremo a Norberto di rifarlo. Ci ho messo tutta la buona volont. Lo so. Va benissimo anche cos. come se mi avessi sposato un'altra volta...

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Una specie di rito civile, che si aggiunge a quello religioso. cos? Pressapoco. Tutto ci che stava accadendo a Fabrizio, dalle nozze in poi, era un po' come uno specchio nel quale poteva valutare le forme o le misure dei suoi mutamenti. In America, chiss perch, e a Nuova Orleans in particolare, non aveva mai pensato, neppure alla lontana, di prendere impegni definitivi con la splendida mulatta con cui aveva condiviso la stanza da letto. Poi l'aveva perduta, anche per colpa del clima sordido della citt. Nuova Orleans sembrava costruita, almeno nella parte vecchia, come uno scenario teatrale, adatto a nascondere perfettamente i propri peccati e i propri delitti. Qui a Monterosso invece gli sarebbe parso stranissimo non sposare Doralice. Il suo modo di sentire le cose mutava rapidamente. Si accorse che chiedeva spesso notizie di Norberto e che stava diventando ansioso per lui e per Veronica, come fossero parenti stretti, o magari un poco suoi figli. Voleva sapere di loro tante cose, che facevano, fino a quando sarebbero stati via di casa, se venivano pagati in modi accettabili, se lavoravano in condizioni di totale sicurezza. Aveva preso a rivedere il lavoro di Norberto, come pittore che copiava i quadri altrui, e osserv tutto ci che era uscito dal suo pennello con occhi diversi, quasi volesse scoprire in essi qualcosa di nuovo, che a un primo esame gli era sfuggito. Il giovane pareva cambiato. Il suo bizzarro taglio di capelli, che lo faceva assomigliare in qualche modo a un paggio medioevale, pareva un richiamo a qualcosa d'altro, che pi intimamente gli apparteneva. Norberto aveva un che di singolare, nel suo modo di vestire, e Fabrizio lo osserv finch si rese conto di cosa fosse. Era questo, gli abiti di Norberto erano sempre molto pi colorati di quelli della gente comune. Forse perch in qualche modo era un pittore, anche se finora, per lo pi, si era limitato a copiare dipinti di altri.

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Il venerd sera, sul tardi, Norberto e Veronica tornavano a casa dal loro lavoro, insieme, tenendosi sottobraccio o decisamente abbracciati. Doralice, pur senza chiedere niente, avvertiva che lo "spirito delle nozze" stava ritornando al castello, come aveva gi fatto recentemente con lei e Fabrizio. Era come se, guardando i due, qualcuno le ronzasse all'orecchio una storia gi sentita raccontare cento volte. A lei piaceva un tipo di vita gi vissuta e perfettamente prevedibile, perch aveva, secndo Fabrizio, il "complesso del pianeta". Che voleva dire? Il desiderio di percorrere eternamente la medesima orbita disse l'uomo. Vuoi dire che sono una donna noiosa? Al contrario. Significa che la noia ti estranea. Infatti non la conosco. Non so neanche che cosa sia. Sono le cose nuove, invece, che mi riempiono d'inquietudine. Le cose gi note e accadute tante volte piacevano a Doralice, e la interessavano come fossero recenti. Per lei niente diventava mai noioso. Aveva anche il "complesso del mito", e questo la faceva sorridere, perch il mito era una storia dallo schema notissimo, che tuttavia pareva sempre nuovo, come le fiabe, che pi venivano ripetute e pi sembravano svelare nuove ricchezze e nuove suggestioni, specialmente ai bambini. Un sabato, ritornando al castello, Veronica disse che voleva fermarsi l, perch non se la sentiva di tornare a casa, a dormire da sola nell'ambiente immenso e vuoto dei Castenetto. Anzi, non voleva pi vivere da sola, mai pi. Aggiunse che aveva intenzione di affittare la casa e di restare al castello per sempre, perch aveva deciso di sposare Norberto, che glielo aveva chiesto con insistenza. Doralice taceva. Non dici niente? chiese Veronica. Non credo che vi sia molto da dire. Lo sapevo. Te l'ha detto Norberto? No. Ma io ho buoni occhi per vedere.

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Bene. Sono contenta che tu lo sappia. Meglio cos. Veronica pens che, sposando Norberto, poteva realizzare l'antinomia di restituire il codice miniato al marito, pur tenendolo con s. Doralice le prepar una cameretta, la stessa che era stata occupata da Fabrizio i primi giorni dopo il suo trasferimento al castello, e mentre l'allestiva, pens che forse stava lavorando invano, perch Veronica avrebbe dormito con Norberto. Certo aveva gi scoperto che i giorni della vita sono sempre troppo brevi per l'amore, e che alle nostre spalle v' qualcosa che ci insegue al galoppo, e ci ricorda che non bisogna sciupare il tempo, come aveva fatto lei. Rivide Veronica in un corridoio, un paio di ore pi tardi, con la fiammata dei suoi lunghi capelli sciolti sulle spalle, sorridente e soddisfatta. Non ebbe dubbi che tra lei e Norberto fossero accadute le cose che danno maggior sapore ai nostri giorni faticosi e inquieti. Dunque, tutto per bene. Per troppo tempo aveva creduto che Norberto si fosse legato irrimediabilmente a Rebecca, e che per tutta la vita si sarebbe trascinato al piede quella gallina nera, da maleficio messicano e vud, che lei detestava. Cos, dentro di s, ringraziava le Potenze Celesti per come si erano messe le cose. Adesso la famiglia era al completo. Il cerchio si era chiuso. Tutte le, caselle erano al loro posto. Gli spazi vuoti erano stati riempiti dal nome giusto, e l'albero familiare era completo. V'erano due genitori putativi e due figli che erano in pari tempo due generi, due giovani uniti da una singolare fratellanza, o "sororit", che per non si opponeva minimamente al fatto che tra loro vi fosse anche un legame affettivo e matrimoniale. Se da Norberto e Veronica fossero nati dei figli, come tutto induceva a pensare, la completezza sarebbe stata anche maggiore, e l'albero genealogico avrebbe raggiunto un'altra generazione. Davvero, tutto per bene, anche se si trattava di una famiglia un po' astratta e irreale. Parve che

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al castello dei Cassinberg si fosse ricomposta una struttura che s'era dissolta anni prima ma che Doralice aveva sempre pazientemente custodito dentro di s. Le ombre dei morti potevano essere placate e soddisfatte. Anche Lanfranco, suo fratello, non avrebbe potuto desiderare di meglio, n la madre di Veronica, o la nonna Matilde, morta di crepacuore o di paura la notte del terremoto, n il padre di Veronica, che era andato a espiare, nelle valli di lingua slava, il peccato misterioso di aver sfidato le stelle. Doralice si aspettava quasi che queste ombre ritornassero, in qualche modo, e dessero un segno del proprio consenso, magari con voce roca e profonda come quella della pitonessa di Rashomon. A Monterosso andarono maturando delle novit, le quali fecero drizzare le orecchie alla popolazione intera. Voci insistenti affermavano che la Cattedrale sarebbe stata aperta e riconsacrata in tempo per celebrarvi i riti di Natale. Le campane erano pronte. Chi voleva, poteva passare a vederle nella bottega di Raffaele Marinig, tutte allineate, color bronzo dorato, risonanti al minimo tocco. Raffaele aveva modellato le campane con la cera, poi le aveva coperte di gesso, e infine versato il bronzo dentro la forma, attraverso gli sfiatatoi da cui era uscita la cera fusa. Le campane erano pronte. Erano cinque, di diversa grandezza, ognuna con una nota ben distinta, tanto che un campanaro esperto avrebbe potuto trarre da esse un vero concerto. Lui stesso sarebbe stato in grado di farlo. Esse avevano eleganti fregi con motivi vegetali e disegni di fiori. Recavano tutte la firma di Raffaele e della sua officina. Bene, dunque. Le campane c'erano. Restava solo di sollevarle fino alla cella campanaria, e poi anche quel capitolo del lungo libro della Cattedrale sarebbe stato concluso. E gli affreschi? Voci diffuse sussurravano che anche quelli erano stati eseguiti, e che ormai la ricostruzione di Nostra Signora della Neve era veramente arrivata in porto... Eh, no, questo era impossibile. Gli affreschi non potevano esserci, quelli proprio no, perch il portone di quercia

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della chiesa era rimasto sbarrato, tutto quel tempo, e nessuno era entrato o uscito da l. S, certo, tutto esatto! Per v'erano anche le entrate laterali, e ima di esse metteva direttamente nella canonica. Si diceva che un famoso pittore di affreschi fosse venuto segretamente da Verona, per dipingere le pareti, e che avesse lavorato l dentro per sette mesi intieri, ossia per tutto il tempo che la chiesa era rimasta col portone sprangato. Un pittore famoso? Come si chiamava? Era entrato e uscito segretamente, senza mai dare neppure il pi piccolo segno di s? Veramente, qualcuno obiettava, qualcosa c'era stato. Si erano scorte delle luci e uditi fuggevoli e sporadici rumori... . Adesso quei segnali acquistavano di colpo un senso e un significato, e tutti tornarono a parlarne con insistenza. Chi era, questo pittore? Nessuno lo sapeva. A Monterosso non si era visto negli ultimi tempi alcun forestiero che potesse essere un artista di fama. No, no, i monterossini lo escludevano con decisione. Come era possibile che un pittore avesse lavorato nella Cattedrale per molti mesi, senza che il suo andare e venire fosse stato notato? Anzi, si diceva che il pittore non fosse stato solo, ma che avesse avuto anche un aiuto... Davvero? Un aiutante? Sicch erano in due, e nessuno li ha mai visti? Non un aiutante; una aiutante. Cio? Una donna? E stavano chiusi l dentro? Gi! In chiesa? La voce era proprio questa. Insomma, quell'affresco era un piccolo giallo artistico, al quale ognuno cercava di trovare la propria soluzione. Naturalmente Monsignore sapeva tutto e non: aveva rivelato niente a nessuno. Come, come? Adesso anche i preti si mettevano a giocare con gli enigmi e gli indovinelli

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?Fabrizio era tutto orecchi, pronto con la sua macchina da presa, e anzi pareva che al film che veniva costruendo mancasse soltanto la parte finale, il sigillo, la conclusione,

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ossia la ripresa di questo affresco di cui tanto si parlava, e su cui ognuno cercava affannosamente di saperne di pi. Anche lui era coinvolto al massimo da tutta la faccenda. E qual era il soggetto dell'affresco? Monsignore ammise che i vari tableau del coro e dell'abside rappresentavano scene della vita di Nostra Signora, anzi le medesime scene che erano state dipinte alla fine del Trecento dall'allievo dell'Altichiero, la Nativit, la Presentazione al Tempio, lo Sposalizio con Giuseppe, l'Annunciazione, la Nascita di Ges, il Ritrovamento di lui nel Tempio, le Nozze di Cana, Maria ai piedi della Croce, Maria al Sepolcro vuoto, la Morte di Maria, insomma i soliti e classici soggetti mariani. Ma si trattava, per caso, di un rifacimento fedele degli antichi affreschi, ossia di una copia? No, niente di tutto questo. Si potevano fare delle copie fedelissime di dipinti esistenti, come Norberto aveva dimostrato, con grande abilit, ma di dipinti scomparsi non era possibile. Era contro l'etica artistica. Una tela o un affresco distrutti erano perduti per sempre, una copia eventuale sarebbe stata un falso, senza rimedio. Questi della Cattedrale dunque erano affreschi del tutto nuovi, i quali per riprendevano i vecchi temi. A questo punto la curiosit della gente si fece acuta. V'era gi stato qualcuno che aveva tentato di arrampicarsi fino ai finestroni gotici, per dare una sbirciata all'interno, ma non era riuscito a vedere granch. La grande sorpresa non fu a Natale, come era stato preannunciato, ma l'antivigilia dell'Epifania. Fu come se a Monterosso si fosse svegliato qualcosa che dormiva da anni, dentro una caverna sconosciuta, o nella miniera abbandonata, perch alle sette del mattino le campane della Cattedrale, nuove di zecca, col bronzo ancora tanto chiaro da sembrare ottone, si misero a suonare a distesa. I monterossini si erano dimenticati di quel suono, che non sentivano da cinque anni, ossia dall'epoca del terremoto

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.Esso era pressapoco quello di un tempo, e le note delle

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campane erano le stesse, forse un po' pi risonanti e fresche, come tutte le cose nuove. Din don dan, dan din don! Con un po' di buona volont si potevano ancora leggere, nelle note delle campane, i nomi che gli abitanti di un secolo prima avevano ritenuto di poter identificare: Tin Ordn, Zun Candori Tin era Valentino, e Zuan Giovanni, due carradori notissimi cinque o sei generazioni prima. Dopo pochi minuti tutto il popolo di Monterosso, svegliato dalle campane, aveva gi riconosciuto quei suoni antichi, soddisfatto che non ci fosse stato nessun attentato alla tradizione sonora della citt, e nessun mutamento forzato fosse stato introdotto. E poi, dopo lo scampanio, che cosa veniva? C'era festa? C'era e non c'era. Non c'era festa, nel senso che niente di particolare era stato organizzato, e anzi Monsignore aveva preferito non spendere neppure una lira in iniziative di quel tipo. La parrocchia aveva gi tanti debiti, anche se v'erano stati molti provvidenziali interventi di benefattori, e soprattutto quello che si fondava su un giacimento di petrolio nei pressi di Ancorage. Tuttavia la festa era nata lo stesso, spontaneamente, perch i monterossini avevano nel sangue anche lo spirito della sagra. Non se ne lasciavano sfuggire una e ne inventavano di nuove. Avevano tre o quattro santi patroni e li festeggiavano tutti. La festa della riapertura della Cattedrale fu, in sostanza, improvvisata di sana pianta. Gi poco dopo il lungo scampanio si erano cominciati a vedere i primi segnali della festa che andava formandosi. I cittadini di Monterosso mangiarono subito la foglia, si misero il vestito migliore e corsero in piazza a vedere che diavolo succedesse. Effettivamente v'erano grandi novit. Il portone della Cattedrale era spalancato e la gente pot finalmente entrare e assieparsi sotto gli affreschi. C'era veramente di che guardare, un'autentica galleria di quadri, grandi scene dipinte con intensa freschezza. Tutto il coro e l'abside erano coperti dalle scene colorate, in modo che non era pi visibile il bianco della parete.

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L'effetto generale era quello di trovarsi in una chiesa medioevale, come la Cappella degli Scrovegni, o quella di Santa Maria Novella, o la chiesa superiore di Assisi, affrescate da un Giotto dei nostri tempi, che raccontava delle storie con il pennello. Era un racconto plastico e vivo, e ogni cosa aveva il massimo rilievo, un'accentuazione molto forte e significativa della struttura e del volume. Qualunque oggetto, una ciotola, un piatto, una sedia, una bottiglia, occupavano un posto ben definito nello spazio, contornati da un segno deciso e fortemente prospettico. Nessun particolare era trascurato. Ogni mano o piede o calzare era perfettamente definito, perch era evidente che si trattava di un pittore che amava la realt e si compiaceva di descrivere di essa ogni particolare. La sua naturalezza era estrema, e pareva che egli dipingesse con lo stesso ritmo con cui si respira, si cammina o si fa l'amore. Tutto era vero ma, in pari tempo, tutto era anche favoloso, perch i colori erano fantastici, e v'erano cavalli rossi o viola, castelli azzurri, torri rosa pallido, un po' simili a quelli delle case di Monterosso. Qualcuno riteneva di rintracciare nei volti i lineamenti di questo o quell'abitante, a volte vivo, a volte morto da tempo, pressapoco come era accaduto nelle famose statue di cartapesta che rappresentavano i mestieri perduti. La gente ne fu entusiasta. Molti si accorsero che, prima di vedere gli affreschi, non sapevano cosa aspettarsi da essi, ma ora si rendevano conto che attendevano proprio quello che avevano trovato. A nessun patto li avrebbero voluti diversi. I dipinti, cos ariosi e immediati, appena visti, parevano essere l da sempre. Facevano un po' il medesimo effetto di quelli che il terremoto aveva distrutto, e ci significava che possedevano la sostanza arcana della classicit. Classico ci che sembra essere sempre esistito, che appare ai nostri occhi come necessario, ci di cui sentiremmo decisamente la mancanza, se per caso dovesse sparire. La gente stava a guardare gli affreschi incantata, convinta che essi la coinvolgessero, e che fossero stati dipinti

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per ognuno di loro. Ma chi era il pittore? Non v'erano firme in nessuna parte. Qualcuno per, dotato di maggiore capacit di osservazione, not che in un rotolo dipinto nella disputa di Ges con i dottori v'era una sigla in lettere non ebraiche, ma latine. N.d.C. Significava qualcosa? Erano state messe l con qualche intenzione? Io un'idea ce l'avrei disse Doralice. Sentiamola aggiunse Fabrizio. Potrebbero voler dire: Norberto di Cassinberg. Fabrizio rimase colpito. Era un'osservazione fondata? Secondo me s fece la donna. Non sta in piedi! Perch? Facciamo un'ipotesi: che Norberto, invece di andare a Venezia, come diceva, venisse qui, entrasse segretamente dalla canonica e dipingesse queste pareti... Ma no aggiunse Fabrizio, a conclusione. Proprio dicendo quelle parole, si accorse che invece la cosa era assolutamente possibile. Era un dato di fatto che qualcuno, nel corso di quei mesi, aveva dipinto degli affreschi, riuscendo a mantenere un assoluto riserbo, senza farsi vedere da nessuno, senza spezzare neppure una volta, neanche per un minuto, il paravento di segretezza intessuto attorno al lavoro. Non si era mai vista entrare o uscire anima viva dalla Cattedrale, n di giorno, n di notte, n si erano visti dei materiali qualsiasi, per esempio colori, acqua, pennelli, spugne, diluenti... Bisognava per forza ipotizzare che quel materiale fosse stato introdotto nella Cattedrale attraverso la canonica di Monsignore. Egli non poteva non essere colui che per primo teneva ben teso il sipario del mistero. Forse era proprio lui a comprare in citt lontane i materiali e a fornirli al pittore, senza farsi notare da nessuno. Ma se, come era senza dubbio accaduto, il pittore era venuto a lavorare in incognito, per mesi e mesi, era anche possibile che si trattasse di Norberto. Appena Fabrizio si convinse che la possibilit esisteva, torn subito a saltare sulla sponda dell'impossibilit, per un altro motivo evidente.

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Quale? chiese Doralice. Dicono che il pittore avesse un assistente rispose Fabrizio. E allora? Aggiungono che l'assistente era una donna. Gi. Non una pittrice. Un architetto. Veronica. Fabrizio si mise a ridere. Come era possibile pensare che Veronica e Norberto stessero in chiesa giorni e giorni, mesi e mesi? Senza l'appoggio della canonica era del tutto impossibile. Doralice lo concesse. Per a lei non sembrava inammissibile pensare che questo fosse accaduto. Anzi, era probabile.

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XXV

La tredicesima notte

Era pensabile che Norberto e Veronica fossero sposati segretamente, e che fosse stato proprio Monsignore a unirli in matrimonio e a ospitarli in casa sua. La fantasia di Doralice era tutta in subbuglio a pensare queste cose, perch era una vicenda d'amore, una storia rosa, ossia del genere per lei pi importante tra quante esistevano, e riguardava i due ragazzi, che erano quasi suoi figli. Cosa poteva aver detto mai Norberto, per ottenere da Monsignore, un individuo cos severo e intransigente, una simile concessione? Anche qui, dove Fabrizio trovava difficolt, Doralice era invece a suo agio. All'interno del suo modo di pensare vi era una facilit in tutto ci che riguardava il sentimento e il rapporto tra un uomo e una donna, perch esso era il culmine della vita e di tutta la creazione. Nell'infinito gioco dell'universo l'amore era l'invenzione pi appassionante del misterioso Autore del mondo. Conoscendo a fondo i due giovani, le sembrava di capire molte altre cose, ossia che Norberto, timido e insicuro, avesse accettato l'enorme compito di affrescare l'abside e il coro della Cattedrale proprio perch suggestionato dal magnetismo di Veronica. Senza di lei, era facile pensarlo, non sarebbe nemmeno diventato un pittore. Determinato dalla sua enorme riverenza nei confronti degli artisti, forse avrebbe continuato a eseguire copie per sempre. Si trovava a un passo dalla soglia dell'arte, ma da solo non

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avrebbe mai osato oltrepassarla. Era senza dubbio sotto l'influsso di Veronica, che Norberto si era liberato delle sue ultime esitazioni, ed era diventato pittore di grande livello. L'arte era connessa con la magia. Forse, in assoluto, Norberto era anche meglio del seguace dell'Altichiero, ma di fatto non lo era perch veniva dopo tanti secoli di pittura, e aveva dunque avuto infiniti maestri. Per, dopo tanti decenni di arte astratta e informale, Norberto pareva essere davvero in qualche modo un iniziatore e un Giotto dei nostri tempi. A Fabrizio parve che forse Doralice, con le sue fresche intuizioni, riuscisse a capire le cose molto pi degli intellettuali che dedicavano la vita a questi problemi. Il fatto era che costoro erano diventati scribi e farisei di una cultura inaridita. Ma Veronica e Norberto non lo erano affatto. Sia l'ima che l'altro attingevano la loro forza inesauribile dagli infiniti miti del popolo, o addirittura dalle forme elementari della vita, con le quali sembravano in rapporto immediato. Veronica era una donna piena di richiamo erotico, una medium, una strega, una fata, una agna, una mistica, un'artista, o quello che si voleva... E certo stava in contatto con i serbatoi infiniti della vitalit del cosmo e anche con quelli del terribile "dolore del mondo", che lui stesso aveva conosciuto con una specie di spavento quando la sua donna, la stupenda mulatta dalla pelle color creta, s'era ammalata di tisi, ed era fuggita dal sanatorio del Vermont, per andare a morire chiss dove. L'arte viva, vera e giovane, era in comunicazione con l'infinita energia e vitalit dell'inconscio popolare, con gli archetipi primordiali, con il patrimonio genetico della mente umana, prima che si rinchiudesse nella gabbia di ferro del razionalismo. Poteva essere che Norberto senza Veronica non fosse in grado di dipingere. Era perfettamente credibile. Ed era naturale che lei l'avesse assistito mentre affrescava centinaia di metri quadri di parete, nell'abside della Cattedra

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le, separato da tutto il mondo come un guardiano chiuso dentro il suo faro... La festa spontanea di Monterosso and subito crescendo, proprio perch si diffuse la notizia che l'autore delle pitture era Norberto, ossia uno di loro. Per far festa non bastavano lo scampanio e la gente col vestito migliore. Ci voleva dell'altro. Cos, visto che l'Epifania e il carnevale erano vicinissimi, molti cominciarono a disseppellire maschere e travestimenti dai cassoni e dalle soffitte. Corsero nei negozi e acquistarono oggetti carnevaleschi di ogni natura, coriandoli, stelle filanti, girandole, petardi. I pi piccoli applicarono carte colorate e sagomate alle porte d'ingresso, aggiungendole a quelle gi esistenti. Le silhouette di Angeli annunzianti e di giovani Madonne annunziate gi si vedevano sui vetri di molte finestre. Altre erano invece coperte di campanelle di carta d'argento. Molti tesero spaghi che reggevano carte colorate sopra le strade, arrampicandosi sui fusti di bronzo delle lampade della pubblica illuminazione. Manifesti multicolori, con scritte fantasiose, riempirono la citt. Ormai a Monte- rosso si era messa in movimento una macchina, la quale continu ad andare avanti per inerzia. La gente si recava continuamente in piazza, e tornava a guardare la Catte-drale all'interno e all'esterno. Di nuovo quella meraviglia faceva loro spalancare la bocca, come di fronte a un portento. Ma di tutto il complesso la cosa che trov maggior fortuna di consensi fu l'insieme degli affreschi. Bastava entrare nella Cattedrale per sentirsi coinvolti da quella sagra di colori, dai cieli verdi o rossi vinati, dalle case e le chiese violette, gli alberi dalle chiome azzurrine e dai paesaggi di cento tinte diverse. Anche quelli che ritenevano di non capire niente d'arte erano attratti e risucchiati dall'incantamento delle forme e dei colori. Molti, specialmente gli anziani di Monterosso, quasi involontariamente pensavano: "Ma come possibile? Norberto non era una specie di mongoloide? Come pu essere diventato un grande arti

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sta? Che cosa lo ha cambiato? Quale entit lo ha trasformato da brutto anatroccolo in bianco cigno? Quale invisibile trasformazione era avvenuta dentro di lui? Non riuscivano a capirlo. Molti per ricordavano come avesse cominciato a dare segni di una problematica genialit all'epoca degli spaventapasseri di cartapesta, sparsi per le campagne. O quando si era messo a copiare i quadri di pittori famosi. I suoi compaesani avrebbero desiderato vederlo tra la gente, in mezzo alla festa che andava crescendo, a una conferenza stampa, o magari davanti a una telecamera. Invece non appariva. Il giorno della Befana ci fu una messa solenne a mezzanotte, come a Natale, nella Cattedrale riconsacrata dall'Arcivescovo, che concelebr con Monsignore e altri sacerdoti venuti da tutta la valle del Duss. Ci fu naturalmente la "cerimonia del fiorino". Un uomo di Monterosso, vestito da Riccardo Plantageneto, consegnava a uno dei sacerdoti, col mantello dei Templari, un fiorino, per ricordare la munifica donazione del re inglese a Ulderico di Cassinberg per la costruzione della Cattedrale. I monterossini che gremivano la chiesa si sentirono gli occhi umidi, ricordando la cerimonia che prima del terremoto veniva celebrata ogni anno. Questa volta per aveva un sapore particolare. Tutti pensarono ai fiorini recuperati dal pozzo e alle offerte venute dall'Alaska. Non si era mai vista una Epifania cos movimentata e ricca di spettacoli. Sul Duss venne incendiata la vecchia di paglia, caricata, con la catasta di stecchi, sopra una zattera. L'incendio corse via rapidissimo nella notte, verso la pianura, perch l'acqua del fiume era sempre molto veloce. Da un'altra parte, vicino al bosco, ci fu tin secondo rogo, dove fu bruciato un manichino con il mantello bianco crociato dei Templari. Il manichino era cos ben fatto ed espressivo che qualcuno ritenne fosse stato allestito da Norberto. Nel pomeriggio ebbe luogo la sfilata dei Re Magi, con i cavalli bardati, i palafrenieri, le castellane luccicanti di riflessi dorati, dal castello dei Cassinberg alla Cattedrale. Ma questo

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non sembr bastare ai giovinotti e alle ragazze di Monte- rosso. Dopo i roghi ci fu anche una cavalcata un po' folle, dove cavalli bardati, gli stessi della sfilata dei Re Magi, erano montati da fantasmi avvolti nel lenzuolo bianco e da una vecchia tutta vestita di nero, con il teschio di gomma e la falce in mano. Il giorno successivo all'Epifania le vie e la piazza della Cattedrale erano affollate di banchi e banchetti. La festa prendeva quota. Che festa? Quella della tredicesima notte disse Fabrizio ai suoi amici. In inglese l'Epifania era chiamata Twelfth Night, ossia la dodicesima notte, e dunque la festa cominciata il giorno dopo era senza dubbio la tredicesima. I venditori ambulanti, attratti dalla festa come le api dai fiori, erano accorsi; sui loro tavoli v'erano montagne di noccioline americane, ciambelle, monete di cioccolata avvolte nella stagnola dorata, frutta candita, palloncini colorati, trombette di latta, bastoncini di lique- rizia, frittelle. V'era anche il banco dello zio miracolato di Rachele, con l'aspetto di un quarantenne e i capelli neris- simi, lui che aveva ormai toccato i settanta. Nell'aria v'era un odore acre di zucchero fuso e di olio fritto, che s'attaccava come un francobollo alla radice della gola e del naso. Anzich mostrare segni di stanchezza, la festa andava crescendo. Infatti non era una delle solite, che durano un giorno soltanto. Era nata per durare. Era una maxifesta. Come una valanga, continuava a dilatarsi, a mano a mano che si entrava nel carnevale. Arrivarono le giostre con i cavalli di cartapesta e di legno, e i lustrini incastonati nelle criniere. Arriv anche la pista a forma di autodromo, con le piccole automobili a motore elettrico che cozzavano tra loro con i bordi di copertone. Arrivarono le gabbie volanti, il labirinto degli specchi, le giostre spaziali. Sulla piazza della Cattedrale si form un vero e proprio luna park. La citt era sempre pi ricca di abeti illuminati, con le loro luci intermittenti, nel rosso dei tramonti invernali, o delle notti astronomiche. Ogni tanto si vedeva salire nel cielo un palloncino rosso o viola, sfuggito dalle ma

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ni di un bambino, e pareva l'incarnazione di un desiderio o un sogno. A volte si udiva lo scoppio di un petardo, che un giovinotto faceva esplodere sul selciato, tra le gambe di una ragazza. A tutti pareva naturale che la festa, nel suo crescendo, avesse anche un risvolto rumoroso. Qualcuno cominci a esporre negli antri bui delle case pi antiche maschere grottesche di legno, dipinte di nero e di rosso. In certi androni apparvero le zucche vuote, rin secchite, con i fori degli occhi, del naso e della bocca a simulare il teschio, con la fiamma di una candela collocata all'interno. I bambini cominciarono a girare con i costumi di Capitan Fracassa, Capitan Spaventa, o con la benda del Corsaro Nero sull'occhio, e la spada di latta al fianco. Alla festa della "tredicesima notte", nuova di zecca, inventata l per l dai monterossini, che non aveva il corrispondente in nessun luogo della terra, si vide tutto il paese, tranne Veronica e Norberto, ossia proprio coloro che, senza averne l'intenzione, l'avevano scatenata. Dov'erano? A riposarsi, senza dubbio, suppose la gente, ed era perfettamente comprensibile, perch avevano portato a termine un lavoro immane. Invece i due erano in viaggio di nozze, attraverso le cittadine e i borghi dell'Umbria, delle Marche e della Toscana. Quando la gente li credeva dalle parti di Venezia, in realt erano nella Cattedrale, e quando li pensava nella loro casa, erano in viaggio attraverso i paesi dell'Italia medioevale. L'unica cosa che la gente aveva indovinato di loro era il matrimonio segreto. Tornarono a Monterosso soltanto quando s'era spento persino il ricordo della festa popolare, durata dall'antivigilia dell'Epifania fino alla prima domenica di carnevale. Nella sala cinematografica di Monterosso venne proiettato il film di Fabrizio Mattioni, che a tutti sembr molto bello, e che ognuno paragon spontaneamente ad Amarcord. Un critico scrisse sul giornale locale che Fabrizio Mattioni aveva costruito un film sul tema del ricordo e della rievocazione, e che la sua Rimini era Monterosso. Tutti i luoghi singolari della citt apparivano in esso. Era

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certo un film documentario, ma pareva che raccontasse una storia, anzi tante storie, ognuna delle quali s'incastrava nell'altra. Tutto appariva in modi sfumati, silenziosi, immersi in una atmosfera speciale, che non era quella del documentario realistico e attuale, ma piuttosto quella nebbiosa del ricordo. La gente pens che Fabrizio sarebbe andato a presentarlo dappertutto. Non fu cos. Fabrizio non aveva nessuna voglia di viaggiare, e neppure la forza, perch la malattia, che si era momentaneamente bloccata dentro di lui, aveva ripreso la sua strada dissolvitrice. Fabrizio and da tutti i medici, e in molti ospedali, come era suo dovere, ma senza ritenere che sarebbe servito a qualcosa, questa volta. Era convinto che adesso niente lo poteva pi difendere. Il suo film pi bello e pi completo era terminato, e dunque neppure esso poteva fargli da scudo e da fortezza. L'uomo cominci a perdere peso e a smagrirsi in volto. La sua voce divent velata, come nebbiosa, e sembr che avesse accettato senza alcuna riserva o resistenza il suo destino. Sembra che tu non voglia guarire disse Doralice. Non vero. Ti sbagli proprio. Ti sei rassegnato alla malattia. Non le opponi resistenza. Non ho pi resistenza per nulla. La galoppata della malattia di Fabrizio continu. Sal anche al cervello, ed egli non fu pi in grado di reggersi in piedi. Veronica cap che l'antico drago si era risvegliato ed era entrato silenziosamente, da una porta secondaria, lasciata inavvertitamente aperta. Non sapeva dove si fosse nascosto, ma c'era, e non avrebbe pi posato l'osso, come fosse un mastino feroce. La Straniera era tornata nel castello, come quando si era arrampicata su per le mura, era strisciata sotto le porte per prendersi la madre di Norberto. Adesso era di nuovo qui. Veronica si rivolse alla Madonna della Neve, ma non serv.

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Una mattina di marzo, appena alzata, vide Doralice che stava facendosi il caff in cucina, silenziosamente. Le and vicino. Se ne andato stanotte, verso le tre. l'ora della morte, quella, perch coincide con il minimo della vitalit disse la donna. Veronica l'abbracci, poi indoss gli stivali e i blue jeans. Usc di casa, dirigendosi verso il bosco, e corse senza voltarsi indietro, finch non raggiunse la radura dove, secondo la leggenda, si riunivano le antiche streghe di Monterosso. Il velo del pianto le impediva quasi di vedere, ed erano le lacrime per la morte del suo terzo padre, dopo Osvaldo e Lanfranco. Poi smise di correre e cominci a camminare normalmente. Si dimentic della morte entrata di nuovo in casa, cominci a essere assorbita dalla vita selvatica del bosco. Vide nell'atmosfera verdastra le ombre nere di due falchi che descrivevano grandi cerchi sopra gli abeti. Le venne un pensiero infantile, ossia che uno avesse nome Norberto e l'altro Veronica. Si sent anche stranamente lieta, perch erano stigi, erano i suoi uccelli, e fu ripresa dallo spirito stralunato della stregoneria. Vide una lepre fuggire spaventata, e prov di nuovo il desiderio di gridare. A chi gridava? Perch? Per il fatto che esisteva il "dolore del mondo"? Gridava alla creazione e all'Essere? Era un grido di rivolta contro il Grande Illusionista dell'Universo, che sembrava sparito, e aver interrotto bruscamente i suoi esperimenti di magia, lasciando il teatro per andare chiss dove? Si sedette su un sasso, e sent quasi freddo. La temperatura si era abbassata di colpo, e il cielo era tutto verdastro di nuvole. Cap che presto sarebbe nevicato, anche se marzo era per finire, e la primavera era alle porte. Nell'immaginazione vide una grande nevicata che copriva ogni cosa, i tetti e le strade di Monterosso, i rami degli alberi,! prati, i boschi, le montagne, come quella che, secondo la leggenda, si era verificata a Monterosso subito dopo

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l'esecuzione di Veronica Castenetto, sua antenata, per restituire pace agli uomini e alle cose. Aspett un poco, poi si accorse che davvero erano cominciati a cadere grandi fiocchi. Le venne da sorridere perch sentiva che il Grande Mago era ritornato. Lo spettacolo senza fine ricominciava.

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