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FP2011 Fondamentazione metafsica di unetica realista.

Alla ricerca dei fondamenti del perfeziorismo nell'etica


1. I termini della questione In questo capitolo ci prefiggiamo di delineare un problema la cui esauriente elaborazione richiederebbe un ampio studio monografico. L'etica cerca di definire cosa buono e cosa cattivo negli atti umani, non accontentandosi di comparare ci che veniva o viene considerato come buono o come cattivo nelle diverse condizioni. Il suo compito la dirczione degli atti umani e proprio per questo suo carattere una scienza pratica. Ma dato che si tratta della dirczione degli atti secondo ci che oggettivamente buono o cattivo, essa ha dunque un carattere normativo. E proprio su questo carattere si basa una scienza pratica. Se l'etica accentua il fatto che un atto buono perfeziona veramente l'uomo che lo sta compiendo, si parla di perfeziorismo. A volte si parla di perfezionismo, tuttavia questa differenza di terminologia non merita una particolare attenzione. Il termine perfeziorismo ha in s un contenuto pi ampio, in quanto pone l'accento sul fatto che l'uomo diviene migliore attraverso ogni atto buono, mentre il perfezionismo tratta in generale del perfezionamento morale dell'uomo. In questo abbozzo trover pi che altro impiego il termine perfeziorismo. Il perfeziorismo non s'identifica con la normativit dell'etica. Si pu nondimeno definire che cosa buono o cattivo, quale atto oggettivamente buono o cattivo, astraendo dal fatto che questo atto contribuisca al perfezionamento dell'uomo che lo compie oppure ad una certa degradazione della sua umanit. Ciononostante, secondo
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buoni e si degrada attraverso quelli cattivi. Il perfeziorismo un importante aspetto della vita morale. Questo aspetto deve trovare un riflesso nell'etica, se essa pretende di cogliere in pieno i fatti della vita morale. Sebbene quell'aspetto perfezioristico che consiste nell'evidenziare il fatto che l'uomo agendo bene si perfeziona moralmente e viceversa, non s'identifichi nell'etica con l'aspetto normativo, in cui si tratta solo di definire ci che moralmente buono e ci che cattivo, bisogna ammettere che la norma nell'etica risulta pi completa sullo sfondo del perfeziorismo ed in collegamento con esso. Infatti nell'etica si tratta sempre in qualche misura dell'uomo, ed egli a costituire l'intero oggetto materiale dell'etica nel senso pi ampio. Le norme quindi perdono il loro pieno significato se prescindono dall'uomo, il quale vivendo secondo esse vive realmente bene, anzi, si perfeziona come uomo, mentre, in caso contrario, si perde e si degrada. Ed ecco che in questo capitolo, che non altro che un abbozzo di questo importante problema, cercheremo di dimostrare come l'aspetto perfezioristico nell'etica appaia in modo adeguato solamente partendo dai presupposti della filosofia dell'essere. Ne danno prova l'etica di Aristotele e di san Tommaso d'Aquino. Quando invece il sistema filosofico proviene dall'analisi della coscienza stessa, nell'etica basata su tale sistema questo aspetto perfezioristico scompare. Lo si vede in Kant e nel fenomenologo contemporaneo Max Scheler. Questi due pensatori sono stati scelti in questo saggio per dimostrare, in contrapposizione ai due precedenti, che solamente con i presupposti della filosofia dell'essere si pu costruire un'etica perfe-zioristica conseguente.
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la convinzione comune, le cose stanno proprio cos: l'uomo si perfeziona moralmente attraverso gli atti

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2. Aristotele e san Tommaso d'Aquino Aristotele si occupa del bene riferito all'ente. Ovunque troviamo l'aspirazione ad un fine, appare da una parte un certo ente e dall'altra parte un certo fine a cui questo ente aspira. Questo fine appunto il bene. Se esso costituisce l'oggetto dell'aspirazione o del desiderio, significa che corrisponde in qualche modo e in qualche misura alla natura dell'ente che ad esso aspira o che lo desidera. Questa corrispondenza si manifesta nel fatto che il bene perfeziona l'ente. Come si vede, Aristotele, in conformit al suo stile filosofi[31]

co, si basato in modo particolarmente accentuato sull'esperienza. Nell'esperienza incontriamo ad ogni passo l'aspirazione ad un fine. Questo fatto ci fa apparire il bene come elemento integrante della realt. Il bene appunto il fine, cio quello a cui si aspira. Per spiegare perch si aspira al bene come fine, occorre riferirsi a quell'ente che vi aspira e prendere in considerazione la sua natura. Risulter che il bene sempre quel qualcosa che corrisponde in qualche modo a questa natura, cio quel qualcosa che esso ha in s per perfezionare in qualche modo la natura. Cos, nel quadro di queste riflessioni filosofiche sul tema dei rapporti intercorrenti nella realt empirica tra l'ente e il bene quale fine, si viene a trovare il perfeziorismo. Il bene ci che costituisce l'oggetto dell'aspirazione, cio il fine; il bene ci che perfeziona l'ente: in queste due frasi si pu riassumere il pensiero principale della filosofia aristotelica del bene. Questa filosofia ha costituito la base della sua etica '. L'etica aristotelica una scienza sull'uomo che aspirando a vari beni deve innanzitutto cercare il bene che meglio corrisponde alla sua natura ragionevole. Tale bene il fine proprio della sua vita e della sua azione, mentre tutti gli altri beni

dovrebbero essere mezzi che portano a questo fine. Aristotele insegna come tale bene renda l'uomo profondamente felice, in quanto rappresenta la dignit, cio quello che rende l'uomo perfetto e oggettivamente degno di rispetto. E proprio la perfezione morale che si esprime nel possesso di virt grazie alle quali l'uomo, aspirando a vari beni al di fuori di se stesso, continuamente realizza quel bene fondamentale che contenuto in lui stesso. Esso il fine ultimo della sua azione, per esso l'uomo dovrebbe fare tutto quello che fa come ente ragionevole e cosciente. Come vediamo, l'etica di Aristotele profondamente umanistica e il suo umanesimo etico fino in fondo: della pienezza dell'uomo decide la perfezione morale, mentre per far crollare qualsiasi sospetto di un eventuale individualismo, che potrebbe celarsi nel perfeziorismo aristotelico, basta sottolineare che l'etica costituisce, a suo parere, una parte della politica, cio della scienza della vita moralmente buona della societ. L'uomo che si contraddistingue per la perfezione morale non un egoista che cerca solamente il proprio bene, ma una personalit matura che tiene conto incessantemente delle reali esigenze del bene comune. Con questa impostazione, la concezione perfezioristica dell'etica di Aristotele aveva molti requisiti per essere trapiantata sul terreno della filosofia cristiana e della teologia morale, dopo l'inserimento della nuova verit sull'ente e sulla perfezione dell'uomo portata dal[32]

la Rivelazione2. L'assimilazione nell'etica della concezione perfezioristica aristotelica, come pure di molte altre concezioni filosofiche, opera di san Tommaso d'Aquino. Bisogna quindi in seguito soffermarsi sul nesso intercorrente tra il perfeziorismo nell'etica di san Tommaso e la sua concezione filosofica del bene. L'Aquinate, come del resto
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Aristotele, parte dall'affermazione di uno stretto legame esistente tra il bene e l'ente. Questa affermazione ha acquistato nuova forza alla luce di numerose sentenze del Genesi e di altri libri della Sacra Scrittura, come ha gi indicato pi volte sant'Agostino3. L'Aquinate, nella sua filosofia del bene, si riferisce contemporaneamente alla tradizione di Aristotele e a quella di sant'Agostino. Il bene il fine dell'ente, perch contribuisce al suo perfezionamento. Di conseguenza, il bene sempre la perfezione dell'ente. Proprio questo aspetto del bene stato particolarmen-te accentuato da san Tommaso. La sua filosofia dell'ente teneva pieno conto di tutta la dinamica della realt. La realt dinamica poich nell'ente avvertiamo dei mutamenti. I mutamenti consistono nell'attualizzazione di una qualche potenzialit. L'attualizzarsi della potenzialit consiste nell'attuale verificarsi di qualcosa che prima esisteva solo in potenza, cio non esisteva realmente. Quando ha cominciato a esistere ed esiste, allora diviene perfezione del rispettivo ente. In questo modo l'attualizzarsi della potenzialit nell'ente si collega con il perfezionamento di questo ente. Dato che l'attualizza-zione significa sempre un certo passaggio da una nonesistenza ad un'esistenza, mentre invece l'atto implica sempre un'esistenza, allora nell'esistenza che consiste ogni perfezionamento, cio il bene. Un'accurata osservazione della realt conferma questa tesi agli occhi di san Tommaso. l'esistenza ci che viene difeso innanzitutto da ogni ente. Essa pertanto il bene fondamentale. E dunque: giudichiamo buono un ente solo in quanto troviamo in esso un'adeguata pienezza dell'esistenza, cio quando esiste non solo la sua sostanza (ens simpliciter), ma esistono anche tutti gli accidenti che gli sono necessari (enfia secundum quid). Solo allora giudichiamo che questo ente un bene pieno nel suo genere (bonum

simpliciter}. La sostanza stessa costituisce solo un bonum secundum quid, e la mancanza, cio l'inesistenza di un qualsiasi accidente necessario, un'imperfezione di quell'ente, il male. Cos dunque l'esistenza a decidere del bene. L'ente che un'esistenza autonoma, cio Dio, anche l'assoluta pienezza del bene, un bene di per s sussistente. Ogni altro ente, al di fuori di Lui, pur avendo una adeguata pienezza dell'esistenza secondo la sua natura (ovviamente relativa), ha soltanto una certa
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partecipazione (partecipato) a quella pienezza assoluta del bene che Dio. La pienezza dell'esistenza relativa ad un determinato ente, a seconda della natura che esso possiede, non altro che la perfezione. San Tommaso4, partendo da posizioni aristoteliche, si pronunciato per il realismo nella concezione del bene e nello stesso tempo ha inserito nella sua filosofia del bene la dottrina platonica della partecipazione, trasformata da sant'Agostino con spirito realistico. Il realismo consiste nel collegare il bene con l'ente. Ogni ente buono. Il bene un ente che rimane in correlazione con un altro ente; quest'altro ente aspira ad esso allo scopo del proprio perfezionamento. Il bene ci che perfeziona in qualche modo l'ente, quello che attualizza, quello che nei limiti della natura potenzia, si direbbe, la sua esistenza. In questa concezione esistenziale del bene come si potrebbe definire la concezione di san Tommaso l'identificazione del bene con un ente si spiega proprio con il perfeziorismo, con il principio del perfezionamento, che costituisce il diritto di ciascun ente. La filosofia del bene affonda profondamente nella filosofia dell'essere, considerato esistenzialmente e dinamicamente. Anche l'etica di san Tommaso profondamente inserita nella filosofia dell'essere. Ogni azione consapevole
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dell'uomo un'attualizzazione della sua essenza razionale e pertanto determina una certa perfezione dell'ente umano. Se quest'azione corrisponde alla verit sul bene che viene conosciuta dall'uomo (bonum sub ratione veri], allora essa determina la perfezione morale dell'ente; in caso contrario contribuisce invece al male morale e l'intero ente umano si perde e si degrada in esso. Come vediamo il perfeziorismo, da cui penetrata profondamente la concezione tomista del bene, ha le conseguenze pi rilevanti nella sua etica. E questa, come nello Stagirita, una scienza dell'uomo che si perfeziona secondo la sua natura razionale e sociale nell'ordine naturale e sovrannaturale. Tutti gli elementi dell'etica di san Tommaso risultano dai presupposti perfezioristici forniti dalla sua filosofia del bene. 3. Kant e Scheler La critica della ragione teoretica e della ragion pratica sono state intraprese da Kant allo scopo di dare risposta all'interrogativo: possibile che la metafisica sia una scienza? La risposta stata nega[34]

tiva. Insieme al rifiuto della filosofia dell'essere si fatta strada in Kant una cristallizzazione della filosofia della coscienza, dato che nelle sue critiche la ragione stata concepita come soggetto autonomo dell'azione. Per Aristotele e san Tommaso la ragione era il potere dell'anima, un accidente dell'ente umano. Distaccata da questo ente, concepita come soggetto autonomo degli atti, la ragione era diventata pura coscienza. In questo modo stata aperta la strada all'idealismo. La filosofia della coscienza ha preso il posto della filosofia dell'essere. Poich secondo Kant la coscienza non raggiunge l'ente trascendente-oggettivo, essa pertanto sicura soprattutto delle sue aprioriche forme conoscitive, col cui aiuto ordina

l'intera eterogeneit del contenuto fenomenico. L'etica come scienza pu basarsi soltanto sulla forma della ragione pratica5. una forma della legislazione universale che si manifesta a priori nella coscienza come imperativo. Poich questa forma assolutamente imperativa, il contenuto etico della coscienza, che si concentra attorno all'imperativo, si riduce all'ordinare attivamente e al vivere il dovere in risposta all'ordine. Tuttavia una tale imperativit non costituisce il contenuto etico esauriente della coscienza. L'esperienza dell'imperativo si collega, nella concezione di Kant, all'esperienza della libert. La vera negazione della libert della volont costituita da qualsiasi tipo di determinazione. Una simile determinazione la incontriamo nell'intero mondo fenomenico, nei fenomeni della natura. La troviamo nell'uomo concepito dal lato empirico, nell'homo faenomenon. Infatti, quando gli stimoli provenienti dal mondo fenomenico provocano sentimenti piacevoli o di fastidio, allora la coscienza dei sensi viene sottoposta alle determinazioni. La moralit tuttavia esclude la determinazione e si collega solo con la libert. Di conseguenza dobbiamo cercare la moralit, cio il contenuto etico della coscienza, nell'extrafenomenico homo noumenon. Egli solo ha autonomia, cio libert. Questa autonomia si collega assai strettamente proprio con l'imperativo, poich in esso che si esprime la stessa forma a priori della ragion pratica. Quando la ragion pratica guarda solo ed esclusivamente a questa forma, nella coscienza si genera l'esperienza del puro dovere, in cui il soprasensibile carattere umano (homo noumenon) vive contemporaneamente la sua totale libert. Infatti il dovere, concepito in questa maniera, scevro da ogni determinazione esterna da parte del mondo fenomenico ed subordinato solo alla determinazione dall'interno da parte della coscienza. Perci nel puro dovere contenuta l'esperienza
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dell'autodeterminazione, cio della libert; l'esperienza che da alla coscienza una particolare, so[35]

prasensibile soddisfazione. Tale soddisfazione pone la coscienza, in un certo qual modo, al di sopra di tutto ci che umano. Contemporaneamente, nella soddisfazione data dall'esperienza dell'autonomia connessa al compimento del dovere per se stesso, la coscienza trova la pi fondamentale affermazione del carattere umano. Del bene morale, in tutta questa concezione, a dire il vero, non si parla. E tuttavia facile dedurre che se il bene contenuto da qualche parte, esso sta proprio in quell'atto della coscienza che consiste nel puro dovere^Kant non risponde alla domanda su quale atto dell'uomo sia buono e quale cattivo, come cercavano di fare gli antichi filosofi-moralisti. Cerca solo di indicare attraverso che cosa l'esperienza della libert, dell'autodeterminazione, presente nella coscienza dell'uomo, poich in questa esperienza contenuta la moralit stessagli fatto che questa esperienza fornisca all'uomo la piena affermazione della sua umanit soprasensibile, extrafenomenica, noumenica, starebbe a significare che anche la stessa perfezione morale si riduce in un certo senso all'autodeterminazione, all'autonomia, la cui semplice manifestazione l'esperienza del puro dovere. Pu darsi che si celi in questo un'eco lontana delle idee perfezio-ristiche dell'etica: la perfezione caratteristica dell'uomo contenuta nella coscienza dell'autodeterminazione/CH fattore costitutivo del perfeziorismo etico, trasferito nel campo della filosofia della coscienza, non consisterebbe in alcun bene morale oggettivo e oggetti-vabile, ma solo nella libert come contenuto puramente immanente della coscienza. Cos dunque la moralit si spiega, secondo Kant, senza riferimenti ad alcun fattore oggettivo, ma attraverso la sola analisi della coscienza")

Max Scheler assunse un atteggiamento apparentemente diverso da quello di Kant6. L'apriorismo soggettivistico di quest'ultimo era gi stato precedentemente sottoposto a critica da parte di Brentano alla luce dell'esperienza psicologica. Questa esperienza ha delineato una struttura degli atti psichici diversa da quella pensata da Kant, atti su cui si basa la vita morale dell'uomo. Essi hanno in verit un esplicito carattere intenzionale, un esplicito indirizzo del soggetto verso l'oggetto e perci non pu essere mantenuto l'apriorismo soggettivistico di Kant. Al suo posto//Scheler introduce l'apriorismo oggettivistico: n al soggetto, n alla sua coscienza sono intrinseche le fonti dei contenuti di cui essa vive, esse sono al di fuori di essa. Alla luce di un simile presupposto oggettivistico, Scheler ha ristrutturato la filosofia della coscienza. Occorre innanzitutto affermare che se per Kant la coscienza aveva un carattere eminentemente in[ 36]

tellettuale essa era la ragione per Scheler invece essa ha un carattere soprattutto emozionale.^Gcheler del resto non si occupa dell'aspetto teorico dell'attivit della coscienza, ma del suo aspetto pratico. Infatti costruisce un'etica che si collega appunto a questa sfera della coscienza, mentre l'etica kantiana dell'imperativo e del dovere oggetto della sua viva opposizione. La coscienza non possiede in definitiva un preciso indirizzo verso una qualche forma a priori da cui attingerebbe tutto il contenuto delle sue esperienze morali, ma ha un fondamentale indirizzo oggettivistico verso svariati valori./ l\ valori sono dunque il contenuto oggettivo della coscienza e questo contenuto nasce in essa al contatto con il mondo oggettivo dei beni. Alla domanda che cosa siano in s questi beni, Scheler non pu darci una risposta esauriente .^Pu
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rispondere solo nella misura in cui glielo permettono appunto i valori vissuti direttamente dalla coscienza emozionale della persona^oich i valori sono sempre dei contenuti di carattere strettamente qualitativo, e non hanno mai, invece, il carattere di cose in s (il termine Ding, di cui si serve qui Scheler, ha una precisa impronta kantiana), allora anche i beni devono avere un simile carattere.^'esperienza originaria in cui abbiamo a che fare semplicemente con gli oggetti (Sachen), senza distinguere ancora in essi contenuti qualitativi, cio i valori, e non qualitativi, cio le cose, ci porta ad ammettere una certa struttura oggettiva dei beni: i valori appaiono in essi come una certa qualit oggettiva a somiglianz di quell'unit posseduta dalle cose. 11 bene concepito in questo modo, come una cosa che vale (Wertding), sta al di fuori della coscienza. Scheler tuttavia non si occupa di esso, ma in tutta la sua filosofia e la sua etica si occupa solamente dei valori. In effetti siamo di nuovo, come del resto in Kant, nel campo della coscienza. La vita morale di questa coscienza formata dalle esperienze di carattere intenzionale che hanno per oggetto appunto i valori. Queste esperienze sono soprattutto sentimenti e, come sentimenti del valore, anche volizioni. I valori, secondo Scheler, sono da noi sentiti in ordine gerarchico, come superiori ed inferiori. Essi si gerar-chizzano spontaneamente nelTespeiienza emozionale attorno ad un certo valore che viene sentito come il valore pi alto ed attorno ad un altro valore che viene sentito come il pi basso. Questo modo gerarchico di sentire i valori fa s che essi vengano sentiti nell'esperienza con un certo sapore etico. Questo deriva dal fatto che nella volizione dei valori, sentiti secondo una certa gerarchla, l'intera co[37]

scienza sente dei valori nuovi. Sono appunto quelli che non possono essere definiti altrimenti, ma solo come bene (gut) e male (base), cio i valori morali. Anche questi contenuti oggettivi della coscienza emozionale, che accompagnano la volizione di qualsiasi altro valore da parte dell'uomo, si caratterizzano per il fatto di presentarsi solo quando si vogliono altri valori. Non si pu invece aspirare ad essi stessi, non si pu volerli/II volere valori morali suscita sempre una reazione negativa della coscienza emozionale. Essa sente in questo volere un certo farisaismo: il voler vivere un valore morale (si tratta del bene, di un valore positivo) contiene appunto in s qualcosa di immorale, e la coscienza lo sente immediatamente. La coscienza in genere sente molto il valore morale, sia esso positivo che negativo. Questo sentimento accompagnato dalla felicit che viene a invadere l'intera persona quando il valore positivo o dall'abbattimento emozionale quando questo valore negativo N Queste esperienze sono difficilmente paragonabili con qualunque altra cosa; esse sono emozionalmente le pi profonde e le pi intense, permettono alla coscienza di porsi faccia a faccia con l'essere stesso (Sein) e con il valore stesso (Wertseir) della persona. A questo punto tuttavia dobbiamo porci una domanda fondamentale: questi valori perfezionano realmente la persona? Questo interrogativo fondamentale dal punto di vista di queste meditazioni che trattano della possibilit di costruire un'etica perfezioristica. Occorre sottolineare che il termine valore suscita associazioni perfe-zioristiche, mentre i termini kantiani dell'imperativo e del dovere non fanno sorgere simili associazioni. Nel sistema etico di Scheler ci troviamo in un terreno affine all'etica di Aristotele. Scheler parla del valore etico come di un tipico valore personale che si collega sempre con la realizzazione di
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un determinato ideale personale. E questo ideale si realizza in ogni caso attraverso l'imitazione dei modelli personali. Siamo pertanto nuovamente nel campo della persona e la persona stessa il soggetto proprio del perfezionamento morale. Tuttavia, un'accurata analisi del sistema di Scheler dimostra che le associazioni perfezioristiche non sono pienamente giustificate. Questo perch la persona, nella concezione di Scheler, non affatto un ente, ma solamente un'unit di esperienze. In ogni esperienza, ad esempio nel sentimento del valore o nella volizione, cosperimentia-mo anche quell'unit che creata da tutte le esperienze. Solo quell'unit di cui ci rendiamo conto, quell'unit di atti, costituisce la persona. La persona quindi, nell'impostazione di Scheler, non ente, ma solo ed esclusivamente coscienza. E la coscienza di essere
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stessa. Anzi, nel contesto della filosofia di san Tommaso, il contenuto dell'atto conoscitivo perfeziona in un certo senso la ragione, e indirettamente anche la persona in quanto questo contenuto costituito dalla verit, poich la verit un bene, cio la perfezione propria alla ragione. Ma nella filosofia di Scheler questa opinione non pu essere presa in considerazione. Ogni valore, anche il valore morale, solo un oggetto del sentimento intenzionale. Tuttavia il sentire intenzionale del valore morale da parte della persona non pu essere identificato con il perfezionamento reale dell'essere di questa persona attraverso questo valore morale. Cos dunque il sistema di Scheler ci permette di essere testimoni delle aspirazioni perfezioristiche che travagliano la coscienza, ma non ci permette di costruire una vera etica perfezioristica. Questa impossibilit, come del resto in Kant, la conseguenza di un'impostazione idealistica della coscienza stessa. La coscienza viene concepita realisticamente quando si collega con l'essere umano quale suo soggetto proprio, quando costituisce il suo atto. La coscienza staccata dell'essere umano, considerata come un autonomo soggetto dell'azione, una coscienza concepita idealisticamente. In questo modo la concepiva Kant e in questo stesso modo, nonostante tutte le differenze esistenti tra di loro, l'ha formulata Scheler. Ebbene, la coscienza cos intesa pu essere solamente soggetto dei valori come contenuti intenzionali, ma non pu essere soggetto di valori come di quel qualcosa che perfeziona realmente l'ente. L'oggettivi-smo degli atti della coscienza su cui, a discapito di Kant, si basato Scheler nel suo sistema, non affatto un'oggettivazione dell'en[39]

persona, ma non l'essere oggettivo della persona. Questa coscienza subisce particolari scosse emozionali (dato che come sappiamo la coscienza innanzitutto emozionale) proprio nell'esperienza morale. L'esperienza morale, in un certo senso, apre con particolare profondit questa coscienza e la apre proprio come coscienza personale. Ciononostante, con questo presupposto non si pu sostenere che qualsiasi valore perfezioni la persona. Non si pu nemmeno sostenere che la perfezionino i valori morali. Infatti i valori, in questa impostazione, sono esclusivamente contenuti della coscienza e, come tali, non perfezionano l'essere della persona. La stessa cosa si riferisce ai valori morali, intesi ovviamente come valori positivi. Essi non perfezionano l'essere della persona, ma vengono a interessare in modo particolarmente profondo solo la coscienza personale. Non ha tuttavia alcun senso parlare del perfezionamento della coscienza

te cosciente. Senza oggettivazione dell'ente cosciente non ha alcun senso parlare di perfeziorismo nell'etica.
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Conclusioni Nelle precedenti riflessioni, che come si detto all'inizio hanno semplicemente carattere di abbozzo, emersa una netta contrapposizione tra la filosofia dell'essere e la filosofia della coscienza come due fondamenti su cui costruire l'etica. La filosofia dell'essere un sistema realistico e oggettivistico, in cui il bene viene identificato con l'ente e la vita morale viene conscguentemente concepita come opera di perfezionamento dell'ente cosciente. La filosofia della coscienza, in seguito alla critica della possibilit conoscitiva della ragione condotta da Kant, non pu generare un conseguente perfeziorismo nell'etica, malgrado l'assai chiara tendenza in questo senso, come vediamo dall'analisi del sistema di Scheler, anche prescindendo dall'impressione che suscitano alcuni punti della critica della ragion pratica di Kant. Sui presupposti della filosofia della coscienza non si pu costruire l'etica perfezioristica, mentre l'etica che stata costruita con i presupposti realistici della filosofia dell'essere non pu in un certo senso essere che perfezioristica. Non si sa quale parte di questa conclusione sia pi importante. In ogni modo questa conclusione a due parti costituisce la conferma della tesi avanzata all'inizio di queste meditazioni. Proprio a questo scopo, nell'ambito delle suddette meditazioni, sono stati introdotti Kant e Scheler oltre ad Aristotele e a san Tommaso. Ci si potrebbe facilmente lasciar prendere dall'illusione che per costruire l'etica sia meglio partire dall'analisi della sola coscienza. Se morale ci che cosciente, l'analisi della coscienza dovrebbe portarci alla scoperta di ci che morale, di tutto ci che costituisce il contenuto dell'etica. Invece, alla luce delle meditazioni da noi svolte, risulta che non cos. L'analisi della sola coscienza ci conduce semplicemente alla scoperta dei contenuti della coscienza come tale. Il bene morale, invece, non soltanto il contenuto della coscienza, ma nello

stesso tempo la perfezione dell'ente cosciente, anzi, lo soprattutto. La perfezione dell'ente pu essere colta solo attraverso l'analisi dell'ente stesso. I sistemi etici costruiti da Kant e da Scheler hanno perso quell'aspetto perfezioristico di cui si parlato all'inizio perch hanno distaccato la coscienza umana dal[40]

l'ente umano oggettivo. Di conseguenza stato spezzato il nesso con l'oggetto materiale dell'etica, inteso in senso lato, cio con l'uomo come tale. Questo avvenuto malgrado gli atteggiamenti di Kant e di Scheler fossero tanto umanistici e personalistici. Sia la norma kantiana che il valore di Scheler sono rimasti, in un certo senso, sospesi nel vuoto. Infatti l'uomo in senso pieno ente e non soltanto coscienza. Il perfeziorismo, nato dai presupposti realistici della filosofia dell'essere, ci permette di vedere un uomo integrale alla radice sia della norma sia dei valori. Ed in questo che consiste la sua intoccabile posizione nell'etica. Note
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La base di queste riflessioni costituita dalle opere morali di Aristotele. Oltre a&'Etica Nicomachea considero anche l'Etica Eudemea, la cui autenticit viene difesa da W. jaeger nella monografia Aristoteles, 1923 (tr. it. Aristotele, Firenze 1935) e la Grande Etica, la cui autenticit viene difesa da H. v. arnim, Der drei aristotelischen Etken (1924) - Cfr. T. sinko, Historia literatury grechici (Storia della letteratura greca), p. 780. Mi riferisco all'edizione greco-latina delle opere di Aristotele pubblicata da Firmin-Didot nel 1883 (Paris). Ho usato la lettera N per indicare l'Etica Nicomachea, E per l'Etica Eudemea e M per la Grande Etica; i numeri aggiunti alle lettere indicano il relativo volume e capitolo dell'opera. In queste riflessioni mi sono basato tra l'altro su: N 1,1; N 1,2; N 1,3; N 1,4; N 1,7; N 1,8; N 1,12; N 2,6(3); N 9,4(3); N 9,9(7); N 10,5(10); N 10,9(6); E 1,3(5); M 2,9(2-5); E 7,15. 2 Cfr. per es. Mt 5,48. 3 Cfr. S. aurelii augustini, Opera omnia, ed. Migne 1865; tra l'altro: v. IV col. 1740; v. IV col. 203; v. IV col. 1686; v. X col. 308; v. Ili col. 31; v. VI col. 17; v. VI col 701; v. II col. 658; v. V col. 185; v. V col. 853; v. II col. 1347; v. I col. 811 ed altri. 4 Fra le molte opere di san Tommaso a cui ci si potrebbe riferire in questo caso, cito: Seni. I,d. 19, q.5,2,3; Vert. 21,5; S. Th. I, 5, 1,1; I, 6,3; CG III, 20; S. Th. I, 62,8; I, 19, 4,1; I, 23, 4,1; CG I, 37; Sent. Il.d.l, q.2,2,2; S. Th. I, 5,1; I, 5,3,1; Vert. 21,1; Vert. 21,6; Vert. 21,5,6; Vert. 24,4; S. Th. I, 5,4,2; Vert. 21,2; Fot. 3,6; S. Th. I, 48,1; CG II, 41; S. Th.I-II, 18,1; MI, 18,3,3; Vert. 1,1; Sent. I,d.8,l,3; Sent. I, d.19, q.5,1,3; S. Th. I, 17,4; Ma.

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2,5,2; S. Th. I-li, 18,4,3; MI, 19,6,1; MI, 19,7,3; ecc. 5 Cfr. I. kant, Critica della ragion pratica, tr. it. Bari 1972. 6 Cfr. M. scheler, Der Fortnalismus in der Ethik una die materiale Wertethik, Neuer Versuch der Grundlegung eines etsche Personalismus, Halle 19212; in particolare p. 7 sgg.; p. 19 sgg.; p. 25 sgg.; p. 260 sgg.; p. 596 sgg.

Indice

Alla ricerca dei fondamenti del perfeziorismo nell'etica...........................................................................................................1 1. I termini della questione....................................................................................................................................................1 2. Aristotele e san Tommaso d'Aquino.................................................................................................................................2 3. Kant e Scheler...................................................................................................................................................................4 Conclusioni...........................................................................................................................................................................8 Note.......................................................................................................................................................................................8

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