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Parlare della Trinit

Agostino, Tommaso e la loro ricezione nella teologia recente

Prof. Sergio Paolo Bonanni

Pontificia Universit Lateranense Facolt di Teologia Anno Accademico 2011 - 2012

Parlare della Trinit Agostino, Tommaso e la loro ricezione nella teologia recente

Nelle lezioni del corso che intendiamo offrire, desideriamo proporre alcune riflessioni intorno allo sviluppo del de Trinitate nelloccidente latino, soffermandoci su alcune parole chiave (essenza, relazione, persona) e sul ruolo decisivo da esse svolto nellimpianto classico del trattato. Partendo dal dato fondamentale rappresentto dalla speculazione di Agostino e dalla centralit della similitudine psicologica emergente nella sua opera, si cercher di evidenziare limportanza del contributo offerto dai medievali, e da Tommaso dAquino in particolare, alla storia della teologia trinitaria. Dopo aver maturato una visione pi chiara della ricchezza legata alla tradizione di pensiero che ci precede, la nostra analisi potr concentrarsi sulla rilettura che la teologia del XX secolo (Schmaus, Barth, Rahner, Balthasar) ha avviato nei confronti dei maestri del passato, convinta che solo un confronto critico con la loro autorevole testimonianza avrebbe potuto inaugurare le vie di una rinnovata intelligenza del dato rivelato. Quanto al metodo, il corso seguir il criterio della fedelt ai testi, concretizzandosi nei termini di una riflessione suscitata dalla lectio di pagine opportunamente selezionate.

Bibliografia E. Durand V. Holzer, ed., Les sources du renouveau de la thologie trinitaire au XXe sicle, Paris 2008. Id., ed., Les ralisations du renouveau trinitaire au XX e sicle, Paris 2010. Luis F. Ladaria, La Trinit, mistero di comunione, Milano 2004; Id., El Dios vivo y verdadero. El misterio de la Trinidad, Salamanca 2010.

Preludio
K. Rahner, Il Dio trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza, in Mysterium salutis III. La storia della salvezza prima di Cristo , Brescia 19694, pp. 404 e 411. Quando oggigiorno si parla dell'incarnazione di Dio, lo sguardo cade, in senso teologico e religioso, solamente sul fatto reale che Dio s' fatto uomo, che 'una' persona divina (della Trinit) ha assunto carne umana, ma non sul fatto che questa persona appunto quella del Logos. Si pu avere il sospetto che, per il catechismo della mente e del cuore (a differenza del catechismo stampato) la rappresentazione dellincarnazione da parte del cristiano non dovrebbe appunto mutare, qualora non vi fosse la Trinit. Dio allora si sarebbe fatto uomo in quanto persona (l'unica). Il cristiano medio, infatti, con la sua credenza nell'incarnazione, pu di fatto non comprendere esplicitamente nulla di pi. Potrebbe esserci pi di una cristologia moderna, scientifica, aperta in cui rimanga pienamente sullo sfondo la questione di quale ipostasi divina abbia assunto la natura umana. Oggi la dottrina comune sull'incarnazione insegnata nelle scuole, lavora di fatto solo con un concetto astratto di ipostasi divina (concetto che in verit ha per solo una unit del tutto analogica e precaria), non invece con la nozione precisa della seconda ipostasi in Dio come tale. Essa si chiede che cosa voglia dire in generale che Dio si fatto uomo, ma non cosa significhi in particolare che il Logos, appunto come tale, in distinzione delle altre divine persone, s' fatto uomo. Ci non risulta nemmeno strano. Con Agostino (contro la tradizione a lui precedente) c' tra i teologi l'opinione pi o meno esplicita che ciascuna delle persone divine, a condizione che Dio liberamente lo voglia, possa divenire uomo, e che quindi l'incarnazione proprio di questa persona determinata non esprime nulla circa la propriet intradivina di questa persona. [] Secondo la bibbia e la tradizione greca bisognerebbe invece partire dal Dio uno e assolutamente privo di origine, quale il Padre []. Ma il punto di partenza latino-medievale diverso. In esso si crede di poter e dover porre, anche nella dottrina cristiana, un trattato De deo uno, prima del trattato De deo trino. Ma poi in verit si scrive o si potrebbe solo scrivere un trattato De divinitate una [] e lo si deve poi tracciare e stendere (come poi proprio avviene) in maniera molto astratta e filosofica e assai poco concreta per la storia della salvezza. Si parla delle propriet metafisiche necessarie di Dio e non molto esplicitamente delle esperienze storico-salvifiche, che si sono fatte circa i liberi modi di agire di Dio nei riguardi della sua creazione. Se si facesse questo, non si potrebbe quasi pi evitare di far osservare che per si parla sempre di colui che la Scrittura e Ges stesso chiamano il Padre, il Padre di Ges, il quale manda il Figlio e si dona a noi nello Spirito, il suo Spirito. Se
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per si parte dalla concezione di fondo propria di Agostino e della tradizione occidentale, allora un trattato a-trinitario De deo uno precede come cosa ovvia il trattato sulla Trinit. Per questo per la teologia trinitaria deve a ragione suscitare l'impressione che in essa possa venir detto solo qualcosa di formale circa le persone divine (con l'aiuto del concetto delle due processioni e delle relazioni), e che per di pi ci concerni solo una Trinit chiusa assolutamente in s e non aperta verso l'esterno nella sua realt (della quale, noi, gli esclusi, per uno strano paradosso potremmo sapere tuttavia qualcosa). Certamente in una teologia trinitaria agostiniana 'psicologica' si tenta di dare un contenuto ai concetti formali di processo, communicatio essentiae divinae, relatio, subsistentia relativa. Ma, per essere sinceri si dovr dire che di questo passo non si avanza di molto.

1. Parlare della Trinit. Prima di Agostino


Teofilo di Antiochia, Ad Autolico, 2,22 Il Verbo sempre immanente nel cuore di Dio. E prima che qualcosa esistesse, con questo si consigliava, sua mente e sua prudenza. E quando Dio volle creare quanto aveva deliberato, gener questo Verbo come proferito, primogenito di tutta la creazione, senza privarsi del suo Verbo, ma generando il Verbo e conversando sempre. Origene, I principi I, 2, 2 8 2, 2. Perci noi riconosciamo che Dio sempre Padre del Figlio suo unigenito, che da lui nato e da lui trae il suo essere, tuttavia senza alcun inizio, non solo quello che si pu distinguere con certi spazi temporali, ma neppure quello che la mente contempla da s, e che, per cos dire, osserva con lintelletto e lanimo nudo. Bisogna dunque credere che la Sapienza stata generata senza alcun inizio che si possa esprimere o immaginare. In questo essere sussistente della sapienza erano tutte le virtualit e forme della futura creazione, sia quelle che esistono primariamente, sia quelle che ne derivano, tutte preformate e disposte in virt di prescienza: proprio in relazione a queste creature, quasi definite e prefigurate nella Sapienza, per mezzo di Salomone dice la Sapienza di essere creata essa stessa, quale inizio delle vie di Dio (Prov 8, 22), cio in quanto conteneva in s i principi, ragioni e specie di tutta la creazione. Ario, Lettera a Eusebio di Nicomedia Al signore Eusebio, amatissimo, uomo fedele a Dio e di retta fede, da parte di Ario, perseguitato ingiustamente da papa Alessandro a causa della verit che vince su tutto e che anche tu difendi, salute nel Signore. [] Tali empiet non possiamo neppure stare a sentire, anche se gli eretici ci minacciano di mille morti. Ma noi che cosa affermiamo, pensiamo, abbiamo insegnato o insegniamo? Il Figlio non ingenerato n in alcun modo parte dellingenerato n deriva da un sostrato; ma per volere e decisione del Padre venuto allesistenza prima dei tempi e dei secoli, pienamente Dio, unigenito, inalterabile. E prima di essere stato sia generato sia creato sia definito sia fondato (Prov 8, 22-25), non esisteva. Infatti non era ingenerato. Veniamo perseguitati perch abbiamo detto: il figlio ha principio, mentre Dio senza principio. Per questo siamo perseguitati, perch abbiamo detto: deriva dal nulla. Cos abbiamo detto, in quanto non n parte di Dio n deriva da un sostrato. Per questo siamo perseguitati, il resto tu lo sai. Ti auguro di star bene nel Signore, memore delle nostre afflizioni, Eusebio, veramente collucianista.
Proverbi 8, 22 Il Signore mi ha creato come inizio della sua attivit, prima di ogni sua opera, allorigine. 23 Dalleternit sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. 24 Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche dacqua; 25 prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata.

Il Simbolo di Nicea Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, e in un solo signore Ges Cristo, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cio dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose in cielo e in terra. Egli per noi uomini e per la nostra salvezza disceso e si incarnato, si fatto uomo, ha patito ed risorto il terzo giorno, risalito al cielo e verr a giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito santo. Quelli che dicono: c un tempo in cui non esisteva o non esisteva prima di essere stato generato o stato creato dal nulla, o affermano che egli deriva da altra ipostasi o sostanza (osaj) o che il Figlio di Dio creato e mutevole o alterabile, tutti costoro condanna la chiesa cattolica o apostolica.

2. Agostino
1. Conoscere la Trinit 1.1 Il Dio che ogni amante della sapienza (filosofo) pu conoscere 1.2 Il Dio Trino e leconomia che lo rivela 2. Pensare e dire la Trinit 2.1 Cristo forza e sapienza di Dio (1 Cor 1, 24) 2.2 Essenza, persona, relazione 2.3 Il Mysterium caritatis e le sue immagini

Agostino, Il libero arbitrio, II, 2, 5 Ma supponi che uno di quegli insipienti, di cui stato scritto: Ha detto linsipiente dentro di s: Dio non esiste (Sal 52,1), ti facesse proprio questo discorso e non volesse ammettere con te per fede ci che tu ammetti, ma conoscere se per fede ammetti delle verit. Pianteresti in asso questo tizio ovvero riterresti opportuno dimostrare in qualche modo ci che ritieni innegabile, soprattutto se egli non intendesse resistere per cocciutaggine, ma conoscere criticamente? Agostino, Il libero arbitrio, II 14.38. A. - Ma la bellezza della verit e della sapienza, purch si abbia una continua volont di goderne, non esclude i nuovi arrivati anche se assediata da una moltitudine di uditori, non si estende nel tempo, non si muove nello spazio, non sinterrompe con la notte, non intercettata dallombra, non soggiace ai sensi. Ed vicinissima a tutti coloro che da tutto il mondo a lei si volgono perch la amano, per tutti supertemporale. Non nello spazio e non manca in alcuno spazio; avverte dallesterno, insegna nellinterno; cambia in meglio tutti quelli che la scorgono, da nessuno cambiata in peggio; nessuno pu giudicarla, nessuno senza di essa giudica bene. E per questo chiaro che innegabilmente superiore alla nostra intelligenza, che soltanto per la sua mediazione diviene sapiente, perch non di essa puoi giudicare, ma mediante essa di ogni altro oggetto. 15. 39. A. - Tu avevi ammesso che se avessi dimostrato lesistenza di un essere sopra alla nostra intelligenza, avresti riconosciuto che Dio, se non ve n un altro superiore. Accogliendo questa tua dichiarazione, avevo affermato che potevo dimostrarlo per 6

apodissi. Se infatti v un essere superiore, questi Dio, se non v, la stessa verit Dio. Dunque tanto se v, come se non v, non potrai negare che Dio esiste. Questo era il problema propostoci da discutere e sciogliere. E se ti turba il tema da noi accettato per fede nel divino insegnamento di Cristo, che v un padre della sapienza, ricordati che per fede abbiamo accettato anche che allEterno Padre eguale la Sapienza da lui generata. E su questo tema ora non si deve discutere, ma si deve ammetterlo per fede incrollabile. Esiste infatti Dio ed esiste in un ordine sommamente intelligibile. E riteniamo per fede tale verit non solo innegabile, come suppongo, ma la raggiungiamo anche con una ben definita, per quanto assai tenue, forma della conoscenza. Ma basta al problema preso in considerazione, affinch possiamo svolgere gli altri temi attinenti allargomento, a meno che non hai da obiettare in contrario. E. - Accolgo queste conclusioni, invaso da indicibile gioia che non potrei spiegarti a parole e proclamo che sono assolutamente certe. Agostino, Lettera 11 (a Nebridio, nellanno 388) Ascolta dunque il mio pensiero sulla mistica Incarnazione, che la religione cui siamo stati iniziati ci propone a credere e a conoscere come avvenuta per la nostra salvezza. [] mi stupisco innanzitutto che ti colpisca il fatto che si dica che lIncarnazione appartiene non solo al Padre e al Figlio ma anche allo Spirito Santo. Questa Trinit infatti dalla fede Cattolica viene presentata e creduta talmente inseparabile (e tale viene compresa anche da pochi santi e beati) che, qualsiasi cosa venga da Essa compiuta, si deve ritenere compiuta insieme dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. E niente fa il Padre che non facciano anche il Figlio e lo Spirito Santo, niente fa lo Spirito Santo che non facciano anche il Padre e il Figlio, niente fa il Figlio che non facciano anche il Padre e lo Spirito Santo. Ne consegue evidentemente che lIncarnazione appartiene a tutta la Trinit: infatti se si incarnato il Figlio ma non si sono incarnati il Padre e lo Spirito Santo, essi fanno qualcosa di diverso e dindipendente luno dallaltro. Perch dunque nei nostri misteri e nei nostri riti sacri lIncarnazione si celebra attribuendola al Figlio? Questo problema nella sua totalit cos arduo e verte su un argomento cos importante che la sua spiegazione non pu essere qui abbastanza facile n la sua dimostrazione abbastanza sicura. Agostino, La Trinit, VI, 1,1-2. Alcuni ritengono che luguaglianza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sia difficilmente concepibile in quanto la Scrittura dice: Cristo la forza di Dio e la sapienza di Dio (1 Cor 1, 24). Non sembra vi sia uguaglianza perch il Padre non personalmente la forza e la sapienza, ma il genitore della forza e della sapienza. E certamente indagare in che senso il Padre si chiami Dio della forza e della sapienza cosa che ordinariamente esige una riflessione tuttaltro che superficiale. Ora lApostolo afferma: Cristo la forza di Dio e la sapienza di Dio. Partendo da questo testo alcuni dei nostri hanno argomentato contro gli Ariani, contro quelli precisamente che per primi si ribellarono alla fede cattolica, contrapponendosi ad essi con il ragionamento che ora andremo ad esporre. Si attribuisce allo stesso Ario questa argomentazione: Se Cristo figlio, nato. Se nato vi fu un tempo in cui il figlio non esisteva . Ario dunque non comprendeva che anche lessere nato, in Dio, eterno, cosicch il Figlio coeterno al Padre, come lo splendore che il fuoco genera e diffonde coevo al fuoco e sarebbe coeterno se il fuoco fosse eterno. Perci alcuni Ariani pi tardi hanno respinto questa opinione ed ammesso che il Figlio di Dio non ha avuto inizio nel tempo. Ora, nelle controversie che i nostri sostennero con coloro che affermavano: Vi fu un tempo in cui il Figlio non esisteva, alcuni inserivano anche questo ragionamento: Se il Figlio di Dio la forza e la sapienza di Dio, e se Dio non mai stato senza la forza e la sapienza, il Figlio coeterno a Dio Padre. Ora lApostolo afferma: Cristo la forza e la 7

sapienza di Dio, ed stolto pretendere che Dio in qualsiasi momento non abbia avuto la forza e la sapienza; dunque non vi fu alcun momento in cui non esistesse il Figlio . Questo ragionamento ci obbliga ad ammettere che Dio Padre non sapiente se non in quanto possiede la sapienza da lui generata, non in quanto da s la stessa sapienza. Agostino, La Trinit, VII, 1,2 Questa discussione nata dallaffermazione della Scrittura: Cristo la forza di Dio e la sapienza di Dio. Il nostro modo di esprimerci per questo fatto come chiuso nella morsa di precise alternative, quando intendiamo esprimere lineffabile: o negare che Cristo sia la forza di Dio e la sapienza di Dio , e cos metterci in opposizione con laffermazione dellApostolo, ci che costituisce un impudenza e unempiet; oppure ammettere che Cristo la forza di Dio e la sapienza di Dio , ma senza affermare che il Padre sia Padre della sua forza e della sua sapienza, cosa non meno empia, poich egli non sarebbe nemmeno padre di Cristo, poich Cristo la forza e la sapienza di Dio ; o riconoscere che il Padre non potente per la sua forza, n sapiente per la sua sapienza (ma chi oser dirlo ?); ovvero pensare che nel Padre essere ed essere sapiente siano cose diverse in modo che sia diverso ci per cui egli e ci per cui sapiente, come si pensa comunemente dellanima che talvolta insensata, altra volta sapiente alla maniera di una sostanza mutevole e non sommamente e perfettamente semplice; oppure ammettere che il Padre non una realt assoluta e che non solo in quanto Padre ma in quanto semplicemente esiste relativo al Figlio [...] Ora, se il Padre che ha generato la sapienza sapiente per essa, se per lui essere, ed essere sapiente non la stessa cosa, il Figlio una sua qualit, non la sua prole e non vi sar pi qui una suprema semplicit. Ma non sia mai che si pensi che sia cos: l vi lessenza supremamente semplice e l dunque essere ed essere sapiente si identificano. Ma se l essere ed essere sapiente sono la stessa cosa, non la sapienza che egli ha generato che fa il Padre sapiente, altrimenti non lui avrebbe generato essa, ma essa lui. Che altro infatti diciamo, quando diciamo: per lui essere essere sapiente, se non: sapiente per ci per cui ? Di conseguenza la causa che fa s che sia sapiente la stessa causa che fa s che egli sia. Pertanto se la sapienza che il Padre ha generato la causa che fa s che egli sia sapiente, essa anche la causa che fa s che egli sia. E questo non possibile se non in quanto lo genera e lo crea. Ma nessuno chiamer mai la sapienza n generatrice, n creatrice del Padre. Che vi infatti di pi insensato? Dunque il Padre stesso la sapienza e si chiama il Figlio sapienza del Padre come lo si chiama luce del Padre. Cio allo stesso modo che si chiama il Figlio luce da luce, e luno e laltro sono una sola luce, cos si ha da intendere sapienza da sapienza e luno e laltro sono una sola sapienza. Perci sono pure una sola essenza, perch qui essere la stessa cosa che essere sapiente. Infatti ci che essere sapiente in rapporto alla sapienza, e il potere alla potenza, lessere eterno alleternit, lessere giusto alla giustizia, lessere grande alla grandezza, lessere stesso lo allessenza. E poich in quella semplicit essere sapiente non cosa diversa dallessere, ivi la sapienza la stessa cosa che lessenza. Agostino, La Trinit, VI, 3,4-5 Dunque il Figlio sapienza dalla sapienza che il Padre, come luce da luce, Dio da Dio, in modo tale che il Padre luce preso singolarmente, ed anche il Figlio luce preso singolarmente; il Padre Dio individualmente, ed anche il Figlio Dio individualmente, e di conseguenza il Padre sapienza individualmente ed anche il Figlio sapienza individualmente. E come entrambi sono insieme una sola luce, ed un solo Dio, cos sono entrambi una sola sapienza. Ma il Figlio diventato per noi sapienza da parte di Dio, e 8

giustizia e santificazione (1 Cor 1, 30), perch nel tempo, cio a partire da un certo tempo, che noi ci convertiamo a lui, per restare con lui eternamente. E daltra parte anche lui ad un certo momento del tempo Verbo, si fatto carne ed abit fra noi (Gv 1, 14). Perci, allorquando la Scrittura annuncia o narra qualcosa intorno alla sapienza, sia che la sapienza stessa parli, sia che si parli di essa, il Figlio soprattutto che ci viene manifestato. Ad imitazione di questa immagine non allontaniamoci neppure noi da Dio, perch anche noi siamo immagine di Dio (1 Cor 11, 7). Agostino, La Trinit, V, 8.9 [] nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo lidentit di sostanza talmente potente che tutto ci che si attribuisce a ciascuno di essi in senso assoluto va inteso non al plurale collettivo, ma al singolare. Cos il Padre Dio, anche il Figlio Dio, ugualmente lo Spirito Santo Dio, e questo un appellativo di ordine sostanziale, nessuno ne dubita; tuttavia non sono tre di, ma noi diciamo che la eccelsa Trinit un Dio solo. Cos il Padre grande, grande il Figlio, grande anche lo Spirito Santo; n tuttavia vi sono tre grandi, ma un solo grande. Non infatti soltanto del Padre, come gli Ariani ritengono a torto, ma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che stato scritto: Tu sei il solo Dio, grande (Sal 85, 10). Cos pure il Padre buono, il Figlio buono, lo Spirito Santo buono; ma non vi sono tre buoni, bens un solo buono, del quale la Scrittura dice: Nessuno buono se non Dio (Mc 10, 18; Lc 18, 19). Agostino, La Trinit, VI, 7 Dio invece riceve molti attributi: grande, buono, sapiente, beato, verace e ogni altro non indegno di lui. Ma la sua grandezza sidentifica con la sua sapienza (infatti non grande per la sua mole, ma per la sua potenza), e la sua bont la stessa cosa che la sua sapienza e grandezza, e la stessa verit la identica cosa che tutto questo. Ed in lui non altra cosa lessere beato e lessere grande e sapiente, o vero, o buono, o semplicemente lessere. Agostino, La Trinit, V, 5,6 [] in Dio nulla si predica in senso accidentale, perch in Lui nulla vi di mutevole; e tuttavia non tutto ci che si predica, si predica in senso sostanziale. Infatti si parla a volte di Dio secondo la relazione; cos il Padre dice relazione al Figlio e il Figlio al Padre, e questa relazione non accidente, perch luno sempre Padre, laltro sempre Figlio. Sempre non nel senso che il Padre non cessi di essere Padre dal momento della nascita del Figlio, o perch da questo momento il Figlio non cessa mai di essere Figlio, ma nel senso che il Figlio nato da sempre e non ha mai cominciato ad essere Figlio. Perch se avesse cominciato in un certo tempo ad essere Figlio, ed un giorno cessasse di esserlo, questa sarebbe una denominazione accidentale. Se invece il Padre fosse chiamato Padre in rapporto a se stesso e non in relazione al Figlio, e se il Figlio fosse chiamato Figlio in rapporto a se stesso e non in relazione al Padre, luno sarebbe chiamato Padre, laltro Figlio in senso sostanziale. Ma poich il Padre non chiamato Padre se non perch ha un Figlio ed il Figlio non chiamato Figlio se non perch ha un Padre, queste non sono denominazioni che riguardano la sostanza. N luno n laltro si riferisce a se stesso, ma luno allaltro e queste sono denominazioni che riguardano la relazione e non sono di ordine accidentale, perch ci che si chiama Padre e ci che si chiama Figlio eterno ed immutabile. Ecco perch, sebbene non sia la stessa cosa essere Padre ed essere Figlio, tuttavia la sostanza non diversa, perch questi appellativi non appartengono allordine della sostanza, ma della relazione; relazione che non un accidente, perch non mutevole. 9

Agostino, La Trinit, VII, 1.2 [] nelle espressioni uomo padrone, uomo schiavo, cavallo da tiro, moneta caparra: uomo, cavallo, moneta sono termini assoluti, sono sostanze od essenze; invece padrone, schiavo, da tiro, caparra sono termini che hanno un senso relativo. Ma se non ci fosse luomo, cio una sostanza, non ci sarebbe alcuno che potesse venir chiamato padrone in senso relativo; se il cavallo non fosse unessenza, non vi sarebbe nulla che si possa chiamare da tiro in senso relativo; cos pure se la moneta non fosse una sostanza non potrebbe chiamarsi nemmeno caparra in senso relativo. Perci anche il Padre, se non nulla di assoluto, non pu essere nemmeno alcunch di relativo.

Agostino, La Trinit, VII, 6.11 Ma perch non sembri che io usi parzialit in favore dei nostri, spingiamo pi a fondo la nostra ricerca su questo punto. I Greci, vero, se volessero, potrebbero chiamare i Tre prosopa: tre persone, come chiamano le tre ipostasi: tre sostanze. Ma hanno preferito questa espressione, che forse pi conforme alla natura della loro lingua. Daltra parte per le persone le cose stanno allo stesso modo che per la sostanza, perch per Dio essere ed essere persona non sono cose diverse, ma assolutamente la stessa cosa. Se essere un termine assoluto, persona invece relativo, chiameremo allora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo tre Persone, allo stesso modo che chiamiamo certi uomini tre amici, o tre parenti, o tre vicini per le loro mutue relazioni, non per quello che ognuno in senso assoluto. Dunque ognuno di loro amico degli altri due, o parente o vicino, perch queste parole esprimono una relazione. Che dire dunque? Ci si conceder di affermare che il Padre la persona del Figlio e dello Spirito Santo, ovvero che lo Spirito Santo la persona del Padre e del Figlio? Il termine persona non si usa mai in questo senso, e quando nella Trinit nominiamo la persona del Padre, non intendiamo significare altra cosa che la sostanza del Padre. Di conseguenza, come la sostanza del Padre il Padre stesso, non ci per cui Padre, ma ci per cui ; cos la persona del Padre non una cosa diversa dal Padre stesso, perch si dice persona in senso assoluto, non in senso relativo al Figlio o allo Spirito Santo, come Dio detto in senso assoluto grande, buono, giusto ed ogni altro attributo di questo genere. E come per lui la stessa cosa essere ed essere Dio, essere grande, essere buono, cos per lui la stessa cosa essere ed essere persona. Perch dunque non chiamiamo questi Tre insieme una sola Persona, come li chiamiamo una sola essenza e un solo Dio, ma li chiamiamo tre Persone, mentre non parliamo di tre di o di tre essenze, se non perch vogliamo avere una parola che esprima in che senso si debba concepire la Trinit e non restare senza dire proprio nulla quando ci viene domandato che cosa sono questi Tre, dato che noi stessi abbiamo ammesso che sono tre? Agostino, La Trinit VII, 6.11 [] nelle cose di questo mondo, un uomo solo non tanto, quanto tre uomini insieme, e due uomini sono pi che un uomo solo; e se sono della stessa dimensione c pi oro in tre statue insieme che in una sola e c meno oro in una che in due. Ma in Dio le cose non stanno cos; il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo insieme non costituiscono unessenza pi grande che il Padre solo o il Figlio solo, ma insieme queste tre sostanze o Persone (se si deve chiamarle cos), sono uguali a ciascuna di esse. ci che luomo carnale non comprende (1Cor 2,14), perch i fantasmi che volteggiano nella sua anima rappresentandogli i corpi, gli permettono di concepire soltanto masse ed estensioni, 10

piccole o grandi. Agostino, La Trinit, IX, 2.2 Stando cos le cose, fissiamo la nostra attenzione su queste tre realt che ci sembra di aver scoperto. Non parliamo ancora della suprema Trinit, non parliamo ancora di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, bens di questa immagine inadeguata, ma pur sempre immagine, cio delluomo; forse questa immagine qualcosa di pi familiare e di pi accessibile per il debole sguardo del nostro spirito. Pensate a me, a me che cerco questo. Quando amo qualcosa, ci sono tre cose: io, ci che amo e lamore stesso. Infatti non amo lamore, se non lo amo amante, perch non c amore, dove nulla amato. Ecco dunque tre cose: colui che ama, ci che amato, e lamore. Agostino, La Trinit, X, 11.18. Queste tre cose dunque: memoria, intelligenza, volont, non sono tre vite, ma una vita sola; n tre spiriti, ma un solo spirito; di conseguenza esse non sono tre sostanze, ma una sostanza sola. La memoria, in quanto si dice vita, spirito, sostanza, si dice in senso assoluto; ma come memoria si dice in senso relativo. Lo stesso si pu affermare per lintelligenza e la volont perch anche lintelligenza e la volont si dicono in senso relativo. Ma considerata in s ognuna vita, spirito ed essenza. E queste tre cose sono una cosa sola, per la stessa ragione per la quale sono una sola vita, un solo spirito, una sola essenza. Agostino, La Trinit, XV, 2.3 Ho citato queste parole del libro della Sapienza (Sap 13,1-5: Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nellignoranza di Dio, e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che , n, esaminandone le opere, riconobbero lartefice) per impedire che qualche fedele giudichi vano ed inutile il mio tentativo con cui, partendo dalle cose, che nel loro ordine sono degli abbozzi di trinit, per elevarmi, come per gradi, fino allo spirito delluomo, ho cercato nelle creature le tracce di quella suprema Trinit, che cerchiamo quando cerchiamo Dio. Agostino, La Trinit, XV, 6.10 Se infatti cerchiamo di ricordarci in quale momento, nel corso di questi libri, la nostra intelligenza ha cominciato ad intravedere la Trinit, troviamo che fu nel libro ottavo. In questo libro infatti, per quanto lo abbiamo potuto, abbiamo tentato con le nostre analisi di innalzare lattenzione dello spirito fino allintelligenza di quella suprema e immutabile natura che il nostro spirito non . Tuttavia noi la contemplavamo non lontana da noi e al di sopra di noi, non spazialmente, ma per la sua adorabile e meravigliosa trascendenza, in modo che sembrava stare presso di noi per la pienezza della sua luce. In essa tuttavia non ci appariva ancora la Trinit, perch non tenevamo fermo lo sguardo dello spirito su quello splendore per cercarla; tuttal pi perch ci che appariva non era una massa materiale, che ci obbligasse a vedere che la grandezza di due o tre era maggiore di quella di uno, cominciavamo ad intravedere quel mistero. Ma quando si giunse alla carit, che stata chiamata Dio nelle Sacre Scritture 1 Gv 4, 8 16, il mistero si chiar un poco con la trinit dellamante, dellamato e dellamore (Trin., 8, 10, 14). Ma, poich quella luce ineffabile abbagliava il nostro sguardo e poich avvertivamo che la debolezza del nostro spirito non poteva ancora raggiungerla, inserendo una digressione tra ci che avevamo iniziato a dire e ci che avevamo deciso di dire, ci siamo rivolti al nostro spirito, secondo il quale luomo stato fatto ad immagine di Dio (Gen 1,26-27), trovandovi un oggetto di studio pi a noi familiare, per riposare la nostra attenzione affaticata, e cos ci siamo 11

soffermati dal libro IX al libro XII sulla creatura che siamo noi per poter, attraverso le cose create, vedere con lintelligenza le perfezioni invisibili di Dio (Sap 13,5; Rm 1,20). Ed ecco che ora, dopo aver esercitato la nostra intelligenza nelle cose inferiori, quanto era necessario o forse pi di quanto fosse necessario, vogliamo elevarci alla contemplazione di quella suprema Trinit che Dio e non ne siamo capaci. Agostino, La Trinit, XV, 17 17. 28. Dio dunque carit (1Gv 4,8.16). Ma se sia il Padre ad essere carit, se sia il Figlio, se sia lo Spirito Santo, se sia la Trinit stessa - perch la Trinit, anchessa, non tre di, ma un Dio solo -, ecco ci che costituisce il problema. Ma gi in precedenza in questo libro (Trin. XV, 7, 11-13) ho chiarito che la Trinit che Dio non va concepita alla luce dei tre elementi che abbiamo mostrato nella trinit del nostro spirito, come se nella Trinit il Padre fosse la memoria di tutte e tre le Persone, il Figlio lintelligenza di tutte e tre, e lo Spirito Santo la carit di tutte e tre, quasi che il Padre non abbia per suo conto n intelligenza n amore, ma il Figlio gli sia intelligenza e lo Spirito Santo gli sia amore, ed egli sia, e per s e per gli altri, memoria soltanto; quasi che il Figlio non sia per s n memoria n amore, ma abbia per memoria il Padre e per amore lo Spirito Santo, ed egli sia per s e per gli altri intelligenza soltanto; ugualmente quasi che lo Spirito Santo non abbia in se stesso n memoria n intelligenza, ma la memoria nel Padre, lintelligenza nel Figlio, ed egli sia, per s e per loro, amore soltanto. Al contrario tutte e tre le cose sono possesso naturale di tutte e tre le Persone e di ciascuna Persona. N queste perfezioni sono diverse nelle Persone divine, come in noi si differenziano tra loro la memoria, lintelligenza, la dilezione o carit. Sono invece una cosa sola che le vale tutte, come la stessa sapienza. E ciascuna Persona ne talmente in possesso naturale da essere ci che possiede, come sostanza immutabile e semplice. Se dunque si sono comprese queste cose e se, per quanto misteri cos grandi ci permettono di vedere o di congetturare, si sono manifestate come vere, non so perch non si possa chiamare carit sia il Padre, sia il Figlio, sia lo Spirito Santo, e tutti e tre insieme ununica carit; cos come si chiama sapienza sia il Padre, sia il Figlio, sia lo Spirito Santo, e tutti e tre insieme non tre, ma una sola sapienza. Allo stesso modo infatti il Padre Dio, il Figlio Dio, lo Spirito Santo Dio, e tutti insieme un solo Dio. 17. 29. E tuttavia non senza motivo che in questa Trinit si chiama Verbo di Dio solo il Figlio, Dono di Dio lo Spirito Santo solo (cf. Eccli 1, 5; Gv 1, 114; 4, 10; Ap 19, 13; At 8, 20), e Dio Padre quello solo da cui generato il Verbo e da cui procede primariamente lo Spirito Santo (cf. Gv 5, 18; 6, 27). Ho aggiunto primariamente perch si legge che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio (cf. De Trintate IV, 20, 27-29; 5, 14, 15; 15, 26, 45ss). Ma anche questo glielo ha dato il Padre, non dopo che gi esisteva senza esserne in possesso, perch quanto ha dato al Verbo unigenito glielo ha dato generandolo. Egli lo ha dunque generato, in modo che il loro Dono comune procedesse anche dal Figlio e che lo Spirito Santo fosse lo spirito di ambedue. Non basta dunque rilevare di passaggio, ma occorre considerare con attenzione questa distinzione nella inseparabile Trinit. in virt di essa infatti che il Verbo di Dio chiamato anche propriamente Sapienza di Dio (cf. Eccli 1, 5; Gv 1, 1-14; Ap 19, 13), sebbene siano sapienza anche il Padre e lo Spirito Santo. Se dunque si deve chiamare propriamente Carit una delle tre Persone, a quale questo nome si adatter meglio che allo Spirito Santo? Per sempre a condizione che in quella semplice e suprema natura non siano due cose distinte la sostanza e la carit, ma la sostanza stessa si identifichi con la carit e la carit stessa con la sostanza sia del Padre, sia del Figlio, sia dello Spirito Santo, e tuttavia sia lo Spirito ad essere chiamato propriamente Carit. [] 17. 31. Come dunque il Verbo unico di Dio riceve in proprio il nome di Sapienza (cf. Eccli 1, 5), bench, quando il termine preso in senso generico, anche lo Spirito Santo e il 12

Padre siano sapienza, cos lo Spirito Santo riceve in proprio il nome di Carit, bench quando il termine preso in senso generico, anche il Padre e il Figlio siano carit. Ma il Verbo di Dio, cio il Figlio unigenito di Dio, chiamato esplicitamente sapienza di Dio per bocca dellApostolo, quando dice: Cristo forza di Dio e sapienza di Dio (1Cor 1,24), mentre per trovare un passo in cui lo Spirito Santo sia chiamato Carit, bisogna scrutare attentamente gli scritti di Giovanni. Questi, dopo queste parole: Carissimi, amiamoci a vicenda, perch lamore procede da Dio , aggiunge subito: e ognuno che ama nato da Dio; colui che non ama non ha conosciuto Dio, perch Dio amore (1Gv 4,7-8). chiaro che qui chiama Dio lamore che prima afferma procedere da Dio. Lamore dunque Dio da Dio. Ma poich il Figlio nato da Dio Padre e lo Spirito Santo procede da Dio Padre (Gv 15,26) legittimo chiedersi a quale fra i due bisogna, di preferenza, applicare queste parole: "Dio amore". Solo il Padre infatti Dio senza essere Dio da Dio, di conseguenza lamore che in tanto Dio in quanto procede da Dio o il Figlio o lo Spirito Santo. Ma nel seguito del testo Giovanni, dopo aver parlato dellamore di Dio, non dellamore con cui noi amiamo Dio, ma di quello con cui egli stesso ci ha amato ed ha inviato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1Gv 4,10) ed averne approfittato per esortarci ad amarci lun laltro affinch Dio abiti in noi, poich aveva definito Dio come amore, volendo spiegare pi chiaramente questo punto aggiunge subito: Da questo conosciamo che noi siamo in lui ed egli in noi, perch ci ha dato del suo Spirito (1Gv 4,13). dunque lo Spirito Santo, del quale egli ci ha dato, che fa s che noi restiamo in Dio e lui in noi: ora questo opera dellamore. dunque lo Spirito Santo il Dio amore. Agostino, La Trinit, XV, 18,32 Lamore (dilectio) che da Dio e che Dio dunque propriamente lo Spirito S. mediante il quale viene diffusa nei nostri cuori la carit di Dio, facendo s che la Trinit intera abiti in noi. Per questo motivo lo Spirito Santo, essendo Dio, chiamato nello stesso tempo molto giustamente anche Dono di Dio. Tale dono che cosa deve designare propriamente se non la carit che conduce a Dio e senza la quale nessun altro dono conduce a Dio? Agostino, La Trinit, XV, 19 19. 37. Perci, se la Sacra Scrittura proclama: Dio carit (1 Gv 4, 8.16), e se, daltra parte, la carit viene da Dio e la sua azione allinterno di noi fa s che noi siamo in Dio e Dio in noi, e infine questa presenza testimonia che Dio ci ha dato del suo Spirito, ne consegue che lo stesso Spirito il Dio carit (1Gv 4, 7.13.16). Inoltre, se fra i doni di Dio nessuno pi grande della carit e daltra parte non c dono di Dio pi grande dello Spirito Santo, che c di pi conseguente che concludere che lui stesso la Carit che chiamata Dio ed detta procedere da Dio? E, se la carit con cui il Padre ama il Figlio e il Figlio ama il Padre ci rivela lineffabile comunione delluno con laltro, che c di pi conseguente che concludere che conviene in proprio il nome di Carit a Colui che lo Spirito comune alluno e allaltro? Infatti pi giusto credere e comprendere che non solo lo Spirito carit nella Trinit, ma anche che non senza fondamento che gli si attribuisce in proprio il nome di Carit, per i motivi che abbiamo spiegato. Allo stesso modo che non il solo in quella Trinit ad essere Spirito, ad essere santo, perch anche il Padre Spirito, anche il Figlio spirito, anche il Padre santo, anche il Figlio santo, cosa di cui non dubita la nostra piet (Trin. V, 11,12; Eusebio da Vercelli, Trin. 1,23); e tuttavia non senza fondamento che la terza Persona riceva in proprio il nome di Spirito Santo. In quanto infatti comune ad ambedue, lo si denomina per quello che ambedue sono ugualmente. Altrimenti se in quella Trinit solo lo Spirito Santo carit, il Figlio non soltanto Figlio del Padre, ma anche dello Spirito Santo. Infatti in numerosissimi passi si dice e si legge che il Figlio il Figlio unigenito del Padre, ma tale affermazione si deve 13

conciliare con laffermazione dellApostolo che dice che Dio Padre ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio della sua carit (Col 1,13). LApostolo non ha detto del Figlio suo; avrebbe potuto dire ci in tutta verit, e di fatto lha detto in tutta verit in molti altri passi; ma ha detto: del Figlio della sua carit. Dunque, se solo lo Spirito Santo la carit di Dio in quella Trinit, il Figlio anche Figlio dello Spirito Santo. Ora se questa unaffermazione completamente assurda, non resta che concludere che non solo lo Spirito Santo nella Trinit carit, ma per i motivi che ho sufficientemente esposti, egli riceve in proprio il nome di Carit. Per quanto concerne lespressione: del Figlio della sua carit, essa non significa altra cosa che del suo Figlio diletto, in conclusione del Figlio della sua sostanza. Perch la carit del Padre, che esiste nella sua natura ineffabilmente semplice, non altro che la sua stessa natura e sostanza, come spesso ho detto e come non cesser di ripetere. Di conseguenza il Figlio della sua carit non altro che quello che stato generato dalla sua sostanza.

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3. Anselmo
3.1 Conoscere la Trinit 3.2 Pensare e dire la Trinit Anselmo, Monologion, prologo Prologo. Alcuni confratelli mi pregarono ripetutamente e con insistenza di scrivere per loro, come esempio di meditazione, le cose che avevo loro esposto, parlando con linguaggio usuale, intorno allessenza di Dio e ad alcuni altri argomenti connessi con questa meditazione. E, badando pi al loro desiderio che alla difficolt della cosa o alla mia possibilit, mi prescrissero questo metodo nello scrivere la meditazione: che nulla vi fosse persuaso con lautorit della Scrittura, ma tutto ci che si concludesse in ogni singola investigazione fosse dimostrato brevemente con argomenti necessari ( rationis necessitas) e manifesto apertamente alla luce della verit; e tutto ci con stile piano e argomenti accessibili a tutti e con semplice discussione. Anselmo, Proslogion, proemio, 1 Un unico argomento (unum argumentum), che per dimostrare la sua validit non avesse bisogno daltro argomento che di se stesso e che fosse da solo capace di dimostrare che Dio esiste veramente, e che egli il Sommo Bene, che non ha bisogno di nessuno. Anselmo, Proslogion, 4, 3 In un modo infatti una cosa pensata quando si pensa la voce che significa questa cosa, e in un altro modo quando si intende ci che propriamente questa cosa. Nel primo modo si pu pensare che Dio non esiste, ma nel secondo modo no. Certamente nessuno che intenda ci che Dio pu pensare che Dio non esiste, anche se egli dice in cuor suo queste parole senza dar loro alcun significato o dando loro un diverso significato. Dio infatti ci di cui non pu pensarsi nessuna cosa maggiore. Anselmo, Proslogion, 16, 1-2 Certamente, o Signore, questa la luce inaccessibile in cui tu abiti [] Il mio intelletto non pu guardare ad essa. Anselmo, Proslogion, 23, 1-4 23. Questo bene ugualmente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; questo il solo necessario, che ogni bene, lintero bene e lunico bene. 1. Questo bene sei tu, o Dio Padre; questo il tuo Verbo, cio tuo Figlio. Nel Verbo con cui tu esprimi te stesso, infatti, non vi pu essere nulla di diverso da ci che tu sei n nulla di maggiore o di minore, poich il tuo Verbo vero cos come tu sei verace e quindi, come la sei tu, la stessa Verit in modo non diverso da te: tu sei cos semplice che da te non pu nascere nulla di diverso da ci che tu sei. 2. Questo stesso lamore, unico e comune a te a tuo Figlio, cio lo Spirito Santo che procede da entrambi. Tale amore infatti non impari a te o a tuo Figlio, perch tu ami te stesso e lui, ed egli ama tanto te e se stesso, per quanto grande sia tu e per quanto grande sia egli; n altro da te e da lui ci che non impari a te e a lui; n dalla somma semplicit pu procedere altro se non ci che quello da cui procede. 3. Ci che poi ciascuno dei Tre, lo la Trinit tutta insieme: Padre, Figlio e Spirito Santo, poich ciascuno non altro che lunit sommamente semplice e la semplicit sommamente una, che non pu essere moltiplicata e non pu essere in s diversa. 15

4. Orbene una sola la cosa necessaria (Lc 10,43). Orbene questa lunica cosa necessaria, in cui ogni bene, o meglio che ogni bene, lunico bene, il bene totale e il solo bene. Anselmo, Monologion, 32 32. Il sommo spirito dice se stesso con una parola eterna. [] Ma come si pu anche solo pensare che la somma sapienza qualche volta non si conosca, quando la mente razionale pu ricordarsi non solo di se stessa, ma anche della somma sapienza, pu conoscerla e conoscersi? Se infatti la mente umana non potesse avere nessuna memoria o intelligenza della somma sapienza, non distinguerebbe affatto s dalle creature irrazionali e la somma sapienza da ogni creatura, come invece ora fa la mia mente, disputando silenziosamente con s. Quindi nel sommo spirito, come eterno, cos eternamente memore di s e si conosce, a similitudine della mente razionale; anzi, non lui a similitudine di qualcosa, ma lui principalmente e la mente razionale a sua similitudine. Ma se eternamente si conosce, eternamente si dice. Se eternamente si dice, eternamente la sua parola presso di lui. Che sia dunque pensato senza lesistenza di nessunaltra essenza, oppure con le altre essenze esistenti, necessario che la sua parola sia costerna a lui con lui. Anselmo, Monologion, 49 49. Il sommo spirito ama se stesso. Ma ecco, mentre osservo con gioia le propriet e la comunione di questo Padre e di questo Figlio, trovo che nulla da contemplare pi gioiosamente, in loro, quanto laffetto del mutuo amore. Come, infatti, si negher assurdamente che il sommo spirito si ami, quando si convinti che anche la mente razionale possa amare s e lo spirito per il fatto che pu essere memore di s e di lui, comprendersi e comprenderlo? La memoria e la comprensione di una cosa qualsiasi, infatti, sono oziose e totalmente inutili, se, come esige la ragione, la cosa stessa non amata e riprovata. Il sommo spirito ama dunque se stesso, cos come memore di s e si comprende. Anselmo, Monologion, 39 39. La parola deriva dal sommo spirito nella forma della nascita. [] Poich dunque chiaro che la parola del sommo spirito proviene da lui solo, in modo tale da tenerne una similitudine perfetta come quella della prole con il genitore, senza tuttavia derivare da lui come se fosse creata, in nessun modo si pu pensare pi convenientemente questa derivazione, se non intendendola come una nascita. Anselmo, Monologion, 57 57. LAmore increato e creatore come il Padre il Figlio; essi tuttavia non sono tre, ma un solo increato e un solo creatore. LAmore pu essere detto Spirito del Padre e del Figlio. [] Nessuno, pertanto, fa o crea o genera il Padre. In verit, il Padre solo non fa, ma genera il Figlio. Daltra parte il Padre e il Figlio, in ugual modo, non fanno n generano, ma in un certo modo spirano, se cos si pu dire, il loro Amore. Bench infatti lessenza immutabile non spiri al nostro modo, tuttavia non si pu dire in altro modo pi adeguatamente il fatto che essa emetta da s il suo stesso Amore, procedente ineffabilmente da essa non separandosene, ma esistendo in essa, se non dicendo che avviene spirando. Se questo si pu dire, come il Verbo della somma essenza suo Figlio, cos anche il suo Amore si pu molto convenientemente denominare il suo spirito. Anselmo, Monologion, 58 16

[] Come il Figlio la sostanza, la sapienza e la potenza del Padre, nel senso che ha la medesima essenza, sapienza e potenza del Padre, cos anche lo Spirito di entrambi pu essere inteso come lessenza, la potenza e la sapienza del Padre e del Figlio, perch ha le stesse propriet che hanno loro. Anselmo, Monologion, 59 [] Il sommo spirito certamente intende ed ama tutta la sua memoria, di tutta la sua intelligenza memore e tutta lama, di tutto il suo amore memore e tutto lintende. Ma nella memoria si intende il Padre, nellintelligenza il Figlio, nellamore di entrambi lo Spirito. Con tanta uguaglianza, dunque, il Padre, il Figlio e lo Spirito di entrambi si implicano reciprocamente e sono vicendevolmente luno nellaltro, che nessuno di loro mostra di eccedere laltro e di essere senza laltro. Anselmo, Monologion, 43 43. Riesame della comunit fra il padre e il figlio e delle propriet di ciascuno Dopo aver scoperto tante propriet del padre e del figlio, per le quali si dimostra che vi una mirabile, ineffabile ma inevitabile pluralit nella suprema unit, motivo di gioia per me il ripensare ancora questo segreto cos impenetrabile. Ecco infatti: in certo senso impossibile che sia lo stesso che genera e chi generato, il genitore e la prole, s che necessario che altro sia il generante, altro il generato; altro il padre, altro il figlio; ma in certo senso necessario che colui che genera sia identico a colui che generato, e il genitore alla prole, s che impossibile che il generante sia altra cosa dal generato e il padre dal figlio. E, pur essendo uno diverso dallaltro, s che manifesto che sono due, tuttavia costituiscono tale unit e sono talmente identici, che ci sfugge totalmente ci in cui sono due. Altro infatti il padre e altro il figlio, si che, quando dico luno e laltro, sembra che esprima due soggetti; ma talmente identico ci che essi sono che non so in che cosa li posso dire due. Sebbene infatti il solo padre sia perfettamente sommo spirito e il solo figlio sia pure tale, tuttavia padre e figlio sono un solo e identico spirito, s che non sono due spiriti, ma uno solo. E come le singole propriet di ciascuno non ammettono pluralit, perch non appartengono a tutti e due, cos ci che comune a entrambi ha una indivisibile unit, sebbene appartenga totalmente a ciascuno. Come infatti non sono due padri o due figli, ma un solo padre o un solo figlio, poich le loro propriet sono distinte, cos non sono due spiriti, ma uno solo, sebbene il padre e il figlio siano ciascuno perfettamente spirito. Sono opposti per le loro reciproche relazioni, s che luno non ha mai ci che proprio dellaltro, ma sono concordi nella natura, s che luno ha sempre lessenza dellaltro. Sono diversi perch luno padre e laltro figlio, s che il padre non pu mai essere detto figlio o viceversa, e sono identici per sostanza, s che lessenza del padre sempre nel figlio e viceversa. Lessenza dei due non infatti diversa ma identica, non molteplice ma una. Anselmo, Monologion, 79 79. Come possono essere nominati i tre che sono la somma essenza Abbiamo visto che ogni uomo deve credere in una ineffabile trina unit e una trinit. Una e unit per lunica essenza, trina e trinit per tre non so come dire. Potrei dire infatti trinit per il padre, il figlio e il loro spirito - che sono tre - ma non posso esprimere con un solo nome ci in cui sono tre, dicendo per esempio: per le tre persone, come dico unit per lunica sostanza. Non si possono infatti ritenere tre persone, perch persone distinte sussistono separate tra loro, s che debbono esserci tante sostanze quante sono le persone, come si vede nei diversi uomini, nei quali tante sono le sostanze quante le 17

persone. Quindi nella somma essenza, come non ci sono diverse sostanze, cos non ci sono diverse persone. Se uno dunque vuol parlare di ci con qualcuno, cosa dir che sono i tre: padre, figlio e loro spirito, se non sceglier costrettovi dalla mancanza di un nome che loro propriamente convenga, uno di quei nomi che non potrebbero essere detti al plurale nella somma essenza, per significare ci per cui gli manca il nome adatto? Dir per esempio che quella mirabile trinit una sola natura o essenza o tre persone o sostanze. Questi due termini infatti sono quelli che meglio si adattano a significare la pluralit della somma essenza, perch persona si dice solo una natura razionale individua e sostanza si dice principalmente di individui che esistono in un certo numero. Gli individui infatti, soprattutto sottostanno a - ossia fanno da soggetto a - gli accidenti, e perci ricevono pi propriamente il nome di sostanze. Quindi vedemmo gi prima che la somma essenza, che non soggetto di nessun accidente, non pu propriamente dirsi sostanza, a meno che per sostanza non si intenda essenza. Per questo motivo di necessit, la somma e una trinit e trina unit pu essere detta, senza dare luogo a riprensione, una unica essenza e tre persone o sostanze. lettera 128 dal monaco Giovanni ad Anselmo Al suo signore e padre Anselmo, il fratello Giovanni, suo servo e figlio, augura quanto il servo deve al suo signore e quanto il figlio al padre. Conosciamo bene, venerabile padre, ben conosciamo i felici risultati della vostra perspicacia nel risolvere anche quelle difficolt della Scrittura in cui gli altri per lo pi incespicano. Per il comune vantaggio dei cattolici, non rincresca dunque alla vostra solerzia di trasmettere a me e a taluni altri ci che circa le tre persone divine vi suggeriscono la vostra fede e semplice prudenza e prudente semplicit. Giacch Roscellino di Compigne ne fa scaturire tale problema: se le tre persone sono di fatto una sola realt - n sono tre realt per s stanti come tre angeli o tre anime -, in modo per da essere la stessa identica cosa nel volere e in potenza, ne consegue che col Figlio si sono incarnati il Padre e lo Spirito Santo. In effetti asserisce che il signor arcivescovo Lanfranco ha approvato tale opinione e che voi pure lavete approvata quando fu da lui dibattuta. Ma a codesto paragone della trinit e identit riferite a tre angeli e a tre anime, tiene testa il paragone della trinit e identit fatto da santAgostino in riferimento al sole che una sola e identica realt avente in s inseparabilmente sia il calore che lo splendore. Quel Dio uno e trino di cui si sta parlando, mantenga al presente e in futuro perfettamente integra la vostra incolumit. Amen. Anselmo, Lettera sullincarnazione del Verbo, 2 Se dice [Roscellino] le tre persone sono una cosa sola e non sono tre cose (= res) ciascuna considerata separatamente come tre angeli o tre anime -, in modo da essere tuttavia per volont e potenza in tutto la stessa cosa, allora il Padre e lo Spirito Santo si sono incarnati insieme con il Figlio. [] Dice dunque: Se le due persone, il Padre e il Figlio, non sono due cose. Ci chiediamo anzitutto cosa vuole dire qui, con lespressione due cose. Infatti crediamo che ciascuna delle due persone, sia ci che comune ad ambedue, sia ci che proprio a se stessa. Infatti, la persona del Padre sia Dio, e questo lo ha in comune con il Figlio; sia Padre, e questo suo proprio. Similmente la persona del Figlio sia Dio, e questo lo ha in comune con il Padre; sia Figlio: e questo non pu essere detto che di questa sola persona. Dunque in queste due persone ci sono: una cosa comune, e cio il fatto di essere Dio; e due proprie, e cio il fatto di essere luno 18

padre e laltro figlio. Tutte le cose che sono ad essi comuni - come onnipotente, eterno devono essere comprese solo in questo nome comune, che il nome Dio. E quelle cose che sono proprie dei singoli - come lessere genitore o generante che del Padre, e lessere Verbo e genito che del Figlio - sono significate con questi due nomi, cio Padre e Figlio. Dunque, quando dice che queste due persone sono due cose, chiedo a che cosa di preciso si riferisce questo essere due cose: se a quello che comune ai due, o a quelle cose che sono proprie dei singoli. Ma se afferma che sono due cose ci che proprio ai due, ossia il Padre e il Figlio e tuttavia in modo tale che ci che comune non sia pi cose, ma una cosa sola - : allora ci che dice superfluo, poich nessun cristiano confessa che il Padre e il Figlio sono una cosa sola secondo queste due propriet, ma due. Infatti siamo soliti, nelluso consueto, parlare di cosa, qualunque cosa affermiamo essere in qualche modo qualcosa. Ma chi, parlando di Dio, dice Padre o Figlio, dice qualcosa di lui. E tutti sanno che in Dio il Padre non Figlio e il Figlio non Padre, sebbene in uomo il padre sia figlio e il figlio padre, se lo stesso uomo padre e figlio. Il che accade poich in Dio sono detti secondo opposizione, mentre in un solo uomo sono detti non secondo la reciprocit, ma viene detto padre rispetto ad un altro che figlio, e viene detto figlio rispetto ad un altro che padre. In questo modo nulla vieta di dire che le due persone, padre e figlio, siano due cose; a patto che si comprenda che sono cose in questo senso. Infatti padre e figlio non sono due cose nel senso che con queste due cose si intende la loro sostanza, ma le loro relazioni. Anselmo, Lettera sullincarnazione del Verbo, 9 Se Dio Figlio incarnato, e il Dio che Figlio non un altro, ma quellunico Dio, numericamente identico, che il Padre: allora, sebbene Padre e Figlio siano diverse persone, sembra necessario che anche il Padre si sia incarnato con il Figlio per lunit della divinit: e questo pi di quanto non sembri possibile che, per la diversit delle persone, non si sia incarnato anche lui come il Figlio. Anselmo, La processione dello Spirito Santo, 1 Da quella propriet secondo cui dio non ha alcuna parte, emerge questa conseguenza:qualunque cosa venga detta di quellunico dio che tutto ci che , viene detta di tutto quanto dio: del padre e del figlio e dello spirito santo, perch ciascuno di essi lunico, intero e perfetto dio. La suddetta opposizione di relazione, legata al fatto che dio da dio nei due modi di cui si parlato, impedisce che il padre, il figlio e lo spirito possano essere detti luno dellaltro; ed impedisce anche di attribuire agli altri le propriet particolari di ciascuno. Dunque le conseguenze di tale unit e di tale relazione si contemperano in questo modo: la pluralit che segue la relazione non passa a quelle cose in cui risuona la semplicit della predetta unit, e lunit non fa violenza alla pluralit in cui significata la relazione stessa. Per cui lunit non perde mai ci che da essa consegue, a meno che non si opponga lopposizione di relazione; e la relazione non perde ci che suo, se non l dove si oppone linseparabile unit. Anselmo, La processione dello Spirito santo, 16 Sei sono le differenze del Padre, del Figlio e dello Spirito santo che nascono da queste relazioni. Ossia avere un padre e non avere un padre; avere un figlio e non avere un figlio; avere uno spirito che procede da s e non avere uno spirito che procede da s. Ciascun singolo ha come propria una di queste differenze per la quale differisce dagli altri due, e due comuni e proprie, cos che differisce dalluno per quella che condivide con laltro. 19

Il Padre solo infatti ha un Figlio, per il quale differisce dagli altri due. Ha lo Spirito santo che procede da s che gli comune con il Figlio, e questo lo differenzia dallo Spirito santo. Ma non ha un Padre, come lo Spirito santo, ma in questo differisce dal Figlio. Il Figlio solo ha un Padre, e in questo differente sia dal Padre che dallo Spirito santo. Ma ha in comune con il Padre, come stato detto, il fatto che procede da lui lo Spirito santo, e in questo diviso dallo stesso Spirito santo. Ma carente di un Figlio come lo Spirito santo, per cui si mostra la discrepanza dal Padre. Solo lo Spirito colui da cui non procede nessun altro. Gli comune con il Padre, come ho detto, il fatto di non avere Padre, ed in questo dissimile dal Figlio. E gli anche comune con il Figlio, come ho gi mostrato, il fatto di non avere un Figlio, per cui non concorda con il Padre. Solo il Padre colui che non da nessuno e da cui sono gli altri due; al contrario solo lo Spirito colui che da due e da cui non nessun altro; solo il Figlio colui che da uno e da cui viene uno. Ma comune ai tre avere relazione agli altri due. Il Padre infatti riferito al Figlio e allo Spirito santo, come a coloro che sono da lui stesso. Il Figlio riferito al Padre e allo Spirito santo, perch lui dal Padre e lo Spirito santo da lui. Lo Spirito santo al Padre e allo Spirito, perch da entrambe. Dunque ciascuno possiede le sue propriet, la collezione delle quali non la stessa dellaltro, a somiglianza delle diverse persone umane. Per questo infatti le persone sono diverse luna dallaltra, perch la collezione delle propriet di ciascuna non la stessa che nellaltra. Tuttavia c qualche differenza. Infatti, nelle persone umane, se una la persona, uno luomo. E se uno luomo, una la persona. E cos se pi sono le persone, molteplici sono anche gli uomini; e se questi sono molteplici, anche le persone non possono sfuggire la molteplicit. In Dio invece, sebbene vi siano tre persone, tuttavia c un solo Dio; e sebbene Dio sia uno solo, tuttavia le persone non perdono mai la pluralit. E cos, nella misura in cui Dio detto relativamente a Dio, ammette la diversit delle persone come la ammettono pi uomini; ma rispetto a quello che per se, ossia in Dio, conserva linseparabile singolarit a somiglianza di un unico uomo. Infatti, la pluralit delle persone non se non in pi uomini, n un solo uomo accoglie una pluralit di persone; ma il Dio uno tre persone, e le tre persone sono lunico Dio. E cos Dio non conserva integralmente la propriet delle persone umane, n di una n di diverse. E perch le cose stiano in tal modo, per quanto abbia parlato alquanto di questo nella gi citata lettera sulla incarnazione del Verbo, tuttavia mi ripeter qui brevemente. Spesso accade che molte cose convengano in uno, sotto lo stesso nome e nella stessa quantit che avevano i singoli prima di diventare uno. E certo se aggiungiamo punto al punto senza intervallo, o una linea uguale a linea uguale, o collochiamo una superficie uguale su una superficie uguale: non ne esce che un solo punto, una sola linea, una sola superficie. Se volessimo cercarli, potremmo trovare molti casi del genere. E in questo modo, sebbene non ci siano pi eternit, se tuttavia leternit detta nelleternit, non c che una eternit; e la luce nella luce soltanto una luce. Allo stesso modo, tutte le cose che sono dette riguardo lessenza di Dio, se vengono replicate in se stesse, non aumentano la quantit n ammettono la pluralit. Ma poich Dio eternit, come fuori dalleternit non c proprio nulla, cos non c proprio nulla fuori da Dio; e come leternit nelleternit non se non una eternit, cos Dio in Dio un solo Dio. Ma abbiamo dalla vera fede che Dio da Dio nascendo e Dio da Dio procedendo. Ma poich non c nulla fuori da Dio: quando Dio nasce da Dio e quando Dio procede da Dio, non esce fuori da Dio nascendo o procedendo, ma rimane in Dio. Poich dunque Dio in Dio non se non un solo Dio: quando Dio nasce da Dio, uno solo Dio che genera e Dio generato; e quando Dio procede da Dio, uno solo Dio che procede e quello da cui 20

procede. Per cui ne segue inevitabilmente, poich Dio non ha parti, ma tutto intero ci che : che esiste un solo ed unico Dio, e non un Dio diverso da un altro Dio, che tutto intero Padre, tutto intero Figlio, tutto intero Spirito santo. E dunque il Padre, il Figlio e lo Spirito santo - per il fatto che Dio da Dio Dio in Dio e non vi che un solo Dio conservano nella divinit la singolarit a somiglianza di un solo uomo; e per il fatto che Dio da Dio nascendo o procedendo, non pu essere uno e lo stesso colui che da qualcuno e colui dal quale : e secondo i nomi che significano queste relazioni mantengono come diverse persone umane la pluralit. Si deve tuttavia notare che Dio non senza la persona, n la persona senza Dio, e noi attribuiamo alla singola persona a volte quanto le proprio, altre volte quanto ha in comune con le altre, come fosse ad essa proprio. Infatti, quando diciamo che fra i tre solo il Padre colui che non da nessuno, solo il Figlio colui che da uno e da cui uno viene, solo lo Spirito colui da cui non nessuno: nominando la singola persona, attribuiamo ad essa quello che le proprio. Quando invece leggiamo: nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio (Mt 11,27) e, nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio (1Cor 2,11): sebbene sembri che la scrittura neghi delle altre persone quello che dice di una, tuttavia comune a tutte le persone quello che viene attribuito a ogni singola come proprio. Infatti il Padre e il Figlio non ignorano se stessi e le cose che sono di Dio, n lo Spirito santo ignora il Padre o il Figlio. Ma perch, e quando, ci che si dice quasi di uno solo compreso anche degli altri, gi stato detto sufficientemente sopra. Ho scritto questo cose sulla processione dello Spirito santo sotto la spinta di altri, confidando nello stesso Spirito santo e non in me stesso, in favore dei latini e contro i greci, e ho avuto la presunzione di aggiungere in tale occasione qualcosa sullunit della divinit e sulla trinit delle persone, sebbene vi siano innumerevoli persone fra quelli che usano le lettere latine, che avrebbero potuto fare questo meglio di quanto abbia fatto io. Qualunque cosa degna di essere accolta io abbia potuto dire, deve essere attribuita non a me ma allo Spirito di verit; ma se ho pronunciato qualcosa che deve essere in qualche modo corretta, sia attribuita a me, non al pensiero dei latini.

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4. Tommaso
1. Conoscere la Trinit 2. Pensare e dire la Trinit

2.1 Le processioni persone

2.2 Le relazioni

2.3 Le persone

2.4 I nomi delle

Tommaso, Compendio di teologia, 36 36. Tutto quello che stato detto stato gi esposto dai filosofi Le cose intorno a Dio che sono state consegnate con quanto esposto finora, sono state considerate con acutezza anche da molti filosofi pagani, anche se alcuni di loro hanno commesso errori su questa materia; e quel che hanno detto di vero a riguardo, lo hanno potuto appena dire raggiungendo la verit con una lunga e laboriosa ricerca. Ci sono altre cose riguardo a Dio che ci sono state consegnate dalla dottrina della religione cristiana, alle quali essi non hanno potuto giungere: intorno a queste veniamo istruiti dalla fede cristiana al di l delle capacit dei sensi umani. E dunque bench Dio sia uno e semplice, come stato mostrato [cap. 9 e 15], tuttavia Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, e questi tre non sono tre dei, ma un solo Dio. Ed questo che ora vogliamo considerare, almeno nella misura in cui ne abbiamo la possibilit. Tommaso, Commento al trattato di Boezio sulla Trinit, q. I, a. 4 Che Dio sia trino unicamente oggetto di fede e non pu essere provato in alcuna maniera dimostrativa. Si possono portare alcune ragioni non necessarie e che non hanno se non la forza della probabilit limitatamente allambito dei credenti. Dal nostro punto di vista, non possiamo conoscere Dio che per i suoi effetti nel mondo. Orbene, la trinit delle persone non pu essere percepita in virt della causalit divina, poich tale causalit comune a tutta la Trinit. Tommaso, Somma di teologia I, q. 32, a. 1 impossibile giungere alla cognizione della Trinit delle persone divine con la sola ragione naturale. Si infatti dimostrato pi sopra che luomo con la sola ragione non pu giungere alla cognizione di Dio, se non per mezzo delle creature. Ora, queste conducono a Dio come gli effetti alle loro cause. Quindi con la ragione naturale si pu conoscere di Dio soltanto quei dati che necessariamente conseguono dallessere egli principio di tutte le cose; e su questo criterio ci siamo basati nel trattato su Dio. Ora, la virt creatrice comune a tutta la Trinit: quindi appartiene allunit dellessenza e non alla pluralit delle persone. Perci con la ragione naturale si pu conoscere solo quanto fa parte dellessenza e non ci che appartiene alla pluralit delle Persone. Tommaso, Somma di teologia I, q. 27, a. 1 Ora, se si guarda bene, si vede che tanto luno che laltro [Ario e Sabellio] presero il termine processione nel senso di moto tendente allesterno: quindi n luno n laltro ammise la processione in Dio stesso. Essendo per la processione la conseguenza di qualche azione, come dallazione che tende a un oggetto esteriore deriva una processione allesterno, cos dallazione che resta nellagente si ha una processione che resta allinterno stesso dellagente. E questo si vede molto chiaramente nellintelletto, la cui azione, cio lintendere, rimane in chi intende. Difatti in chiunque intende, per il fatto stesso che intende, c qualcosa che procede in lui, ed il concetto della cosa intesa, la quale sgorga dallattivit della mente e dalla nozione della cosa intesa. E questo 22

concetto o idea che viene espresso esternamente con la voce: e viene detto verbo mentale e ne il segno il verbo orale o parola. Ora, essendo Dio al di sopra di tutte le cose, ci che si dice di lui non va inteso per analogia con le creature inferiori, ma con le superiori, cio con le sostanze intellettuali; e per di pi anche le similitudini desunte da esse sono insufficienti a rappresentare le cose divine. Perci la processione divina non va presa nello stesso senso di quella che si verifica nei corpi con moto locale, o con lazione transitiva di una causa su oggetti esteriori, come quella del fuoco sulla cosa scaldata; ma piuttosto come unemanazione intellettuale, quale quella del verbo mentale che resta nella mente che lo esprime. E in questo senso la fede cattolica ammette delle processioni in Dio. Tommaso, Somma di teologia, I, q. 27, a. 4 Per questo ci che in Dio procede come amore, non procede come generato o figlio, ma piuttosto come spirito: nome questo con cui si indica un moto vitale o una spinta; poich si dice che uno spinto dallamore a fare qualcosa.

Tommaso, Somma di teologia, I, q. 28, a. 1 Ora quando un soggetto procede da un principio di uguale natura, tutti e due, cio chi procede e il principio da cui procede, necessariamente convengono nello stesso ordine, e perci le relazioni che li uniscono sono di necessit relazioni reali. Essendo dunque le processioni divine in identit di natura, come fu detto, anche le relazioni che ne seguono sono necessariamente relazioni reali. Tommaso, Somma di teologia, I, q. 28, a. 2 Tutto ci che nelle creature ha un essere accidentale, trasferito a Dio ne acquista uno sostanziale; giacch in Dio non c nulla di accidentale ma tutto ci che in lui la sua stessa essenza [] Cos dunque la relazione che esiste realmente in Dio, da quel lato che nelle creature ha un essere accidentale, in Dio ha quello sostanziale della divina essenza, del tutto identico ad essa. Tommaso, Somma di teologia, I, q. 28, a. 2 [La relazione in Dio] dal lato specifico di relazione non indica nessun ordine allessenza, ma piuttosto al suo correlativo. cos chiaro che la relazione esistente realmente in Dio realmente la stessa cosa che lessenza; e non ne distinta se non per una differenza concettuale, in quanto nella relazione incluso lordine al termine correlativo; ordine che non incluso nel concetto di essenza. Tommaso, Somma di teologia, q. 29, articoli 1-4 [visione di insime] art. 1. Definizione della persona: [seguendo Boezio, sostanza individua di natura razionale]. art. 2. La persona la stessa cosa che ipostasi, sussistenza ed essenza? [Risposta: quello che questi tre nomi significano universalmente per tutti i generi di sostanze, il termine persona lo significa per le sostanze ragionevoli]. art. 3. A Dio si pu attribuire il nome di persona? [Risposta: s, perch indica perfezione, e gli va attributo non come alle creature ma in maniera pi eccellente]. art 4. Il termine persona significa relazione? Tommaso, Somma di teologia, I, q. 29, a. 4 23

Se il termine persona significhi relazione. Sembra che il termine persona non significhi in Dio relazione ma sostanza. Infatti: 1. Agostino afferma: quando diciamo persona del Padre non diciamo altro che sostanza del Padre, giacch egli detto persona in ordine a se stesso e non in ordine al Figlio (De Trin. VII, 6). 2. Quando si domanda il quid, si ricerca lessenza. Ma, come dice S. Agostino nello stesso libro (De Trin. VII, 4 e 6; cf. V, 9), quando si dice: Sono tre che danno testimonianza in cielo: il Padre, il Figlio e lo Spirito santo e si chiede: tre che cosa? si risponde: Tre persone. Perci il termine persona significa lessenza. 3. Secondo il Filosofo (Metaf. IV, 7, 6), il nome significa la definizione della cosa da esso designata: ma la definizione di persona sostanza individua di natura ragionevole come si detto. Perci il nome persona significa la sostanza. 4. Sia negli uomini, sia negli angeli la persona non significa relazione, ma qualcosa di assoluto. Se dunque in Dio significasse relazione, si applicherebbe equivocamente a Dio, agli angeli e agli uomini. In contrario. Boezio (De Trin. 6) afferma che ogni nome appartenente alle persone significa relazione. Ma nessun nome appartiene pi alla persona che lo stesso nome di persona, esso perci significa relazione. Rispondo. Circa il significato del nome persona applicato a Dio pu portare difficolt il fatto che, contro lindole dei nomi assoluti, si dice al plurale delle tre persone, mentre per altro non un nome che esprima un rapporto, come lo esprimono i nomi relativi. Perci ad alcuni parve che il nome persona, semplicemente in forza della parola, in Dio significasse lessenza, come il nome Dio e il nome sapiente; ma poi, in seguito alle difficolt degli eretici, per decisione di un Concilio, fu adattato a prendere il posto dei relativi, e specialmente se usato al plurale o con il partitivo, come quando diciamo tre persone, oppure altra la persona del Padre, altra quella del Figlio . Nel singolare invece, pu stare tanto per lassoluto che per il relativo. Per questa non pare una spiegazione sufficiente. Perch se in Dio persona, in forza del suo significato, non indica che lessenza, dicendo che in Dio sono tre persone, invece che rigettare laccusa degli eretici, si sarebbe loro offerta loccasione ad unaltra ancora pi grave. Per questo altri sostennero che persona significa simultaneamente lessenza e la relazione. Alcuni di costoro affermarono che direttamente significa lessenza e solo in caso obliquo la relazione. Perch persona deriva da per se una; ora lunit si riferisce allessenza; il per se invece indica in caso obliquo la relazione: infatti il Padre si concepisce di suo come sussistente, mentre [si concepisce] distinto dal Figlio mediante la relazione. Altri invece affermano il contrario, cio che significa direttamente la relazione, e solo indirettamente lessenza, perch nella definizione di persona la natura vi posta in caso indiretto; e questi si avvicinarono di pi al vero. Per chiarire dunque la questione bisogna notare che si pu dare un elemento che rientra nel significato di un termine meno universale, senza che rientri nel significato di quello pi universale: cos razionale incluso nel significato di uomo, ma non rientra nel significato di animale. Perci una cosa cercare il significato di animale ed altra cosa cercare il significato di quellanimale che luomo. Cos pure altro cercare il significato di persona in generale, ed altro cercare il significato di persona divina. La persona in generale, come si detto, significa una sostanza individua di natura ragionevole. 24

Lindividuo poi ci che indistinto in se stesso e distinto dagli altri. Perci la persona, in qualsiasi natura, significa ci che distinto in quella natura; cos nella natura umana significa questa carne, queste ossa, questa anima, che sono principio di individuazione per luomo; le quali cose, pur non facendo parte del significato di persona, tuttavia fanno parte di quello di persona umana. Ora, come si gi detto, la distinzione in Dio non avviene se non per le relazioni di origine. E tali relazioni in Dio non sono come accidenti inerenti al soggetto, ma sono la stessa essenza divina: perci esse sono sussistenti come sussiste lessenza divina. A quel modo dunque che la deit Dio, cos la paternit divina Dio Padre, il quale persona divina. Perci la persona divina significa una relazione come sussistente ( Persona igitur divina significat relationem ut subsistentem ). E questo equivale a significare la relazione come sostanza, vale a dire una ipostasi sussistente nella natura divina; bench ci che sussiste nella natura divina non sia altro che la stessa natura divina. E stando a queste premesse vero che il nome persona significa direttamente la relazione e solo indirettamente lessenza: non per la relazione in quanto relazione, ma in quanto significata come ipostasi. - Parimenti significa pure direttamente lessenza e indirettamente la relazione: in quanto lessenza si identifica con lipostasi, ma lipostasi in Dio viene significata come distinta da una relazione, e quindi la relazione nel suo significato di relazione rientra indirettamente nel concetto di persona. Per questo si pu anche dire che il significato del nome persona non era ben conosciuto prima delle critiche degli eretici: perci non si usava il termine persona se non come uno degli altri nomi assoluti. Ma dopo, per ladattabilit del suo significato, il termine persona fu portato a fungere da relativo; sicch questo suo stare per il relativo non lebbe solo dalluso, come voleva la prima opinione, ma lebbe in forza del suo significato. Soluzione delle difficolt. 1. Persona appartiene ai nomi assoluti perch significa la relazione non come relazione, ma come sostanza, ossia ipostasi. E in questo senso Agostino dice che significa lessenza in quanto in Dio lessenza lo stesso che lipostasi: perch in Dio il quod est [il soggetto] non differisce dal quo est [dallessenza o natura]. 2. Il quid si riferisce alcune volte alla natura espressa dalla definizione come quando si domanda: che cosa luomo? E si risponde: animale ragionevole mortale. Altre volte, invece, si riferisce al soggetto, come quando si domanda: che cosa nuota nel mare? E si risponde: i pesci. E cos a chi chiede: tre che cosa? Si risponde: tre persone. 3. Nel concetto di sostanza individua, cio distinta e incomunicabile, inclusa, in Dio, la relazione, come si detto. 4. Il diverso significato di un termine meno universale non crea lequivoco del termine pi universale [corrispondente]. Sebbene infatti sia differente la definizione propria del cavallo e dellasino, tuttavia il nome animale conviene loro univocamente: perch alluno e allaltro conviene la definizione comune di animale. Quindi, quantunque nella definizione di Persona divina sia contenuta la relazione, e non in quella di persona angelica o umana, da ci non segue che il nome di persona [loro attribuito] sia equivoco. Ma non neppure univoco: poich, come si gi detto, nulla si pu predicare univocamente di Dio e delle creature.

Tommaso, Somma di teologia, I, q. 37, a. 1 Se Amore sia nome proprio dello Spirito Santo 25

[] Rispondo. Il nome amore nelle cose divine pu essere preso sia secondo lessenza che secondo la persona. E in quanto preso secondo la persona, nome proprio dello Spirito Santo. [] Dalla parte dellintelletto, sono stati trovati vocaboli che significano il rapporto del soggetto intelligente alloggetto intelletto, come evidente quando dico intelligere: e ci sono altri vocaboli trovati per significare il processo del concepire intellettualmente, come lo stesso dicere e verbum. Per cui nelle cose divine intelligere viene detto solo secondo lessenza, perch non interessa il rapporto al verbo che procede: ma Verbo viene detto personalmente, perch significa quello che procede: lo stesso verbo dicere viene detto secondo la nozione, perch comprende il rapporto del principio del Verbo al Verbo stesso. - Ma dalla parte della volont, oltre diligere e amare, che comprendono il rapporto dellamante alla cosa amata, non ci sono vocaboli imposti che comprendano limpressione o laffezione dellamato - che provengono allamante dal fatto stesso che ama al suo principio (o viceversa). E perci, per la povert dei vocaboli, questo tipo di rapporti li significhiamo con i vocaboli amore e dilezione; come se chiamassimo il Verbo intelligenza concepita, o sapienza generata. Dunque, se nei termini amore e diligere si vuole indicare solo il rapporto alla cosa amata, essi si riferiscono allessenza divina, come intellezione e intendere. Se invece usiamo questi stessi termini per indicare i rapporti esistenti tra ci che deriva o procede come atto e oggetto di amore e il principio correlativo, in modo che amore sia lequivalente di amore che procede, e diligere lequivalente di spirare lamore procedente, allora Amore nome di persona e diligere o amare termine nozionale, come dire o generare. Tommaso, Somma di teologia, I, q. 37, a. 2 Se il Padre e il Figlio si amino nello Spirito Santo. [] In contrario. Agostino dice (Trin. 6) che lo Spirito Santo colui nel quale il Generato amato dal Genitore, e nelquale il Generato ama il suo Genitore. Rispondo. Riguardo a questa questione si pone una difficolt: quando si dice, il Padre ama il Figlio nello Spirito Santo, dal momento che lablativo costruito in rapporto a una causa, sembra che lo Spirito sia il principio dellamore del Padre e del Figlio, il che assolutamente impossibile. Perci alcuni dissero che falso che il Padre e il Figlio si amano nello Spirito Santo. E dicono che questa affermazione stata ritrattata da Agostino quando ha ritrattato una affermazione simile, e cio quando ha ritrattato: il Padre sapiente per la Sapienza generata. Ma altri dicono che si tratta di una affermazione impropria, e che deve essere interpretata in questo modo: il Padre ama il Figlio nello Spirito Santo, ossia nellamore essenziale che appropriato allo Spirito santo. Altri dissero che questo ablativo costruito alla maniera del segno: e il senso allora sarebbe: lo Spirito Santo il segno del fatto che il Padre ama il Figlio, in quanto procede da essi come amore. Altri ancora hanno detto che questo ablativo costruito nel senso di una causa formale: in quanto lo Spirito Santo lamore, per il quale il Padre e il Figlio formalmente si amano. 26

Altri ancora hanno detto che questo ablativo costruito come si trattasse di un effetto formale: e questi sono quelli che si sono avvicinati di pi alla verit. Per cui, per chiarire il problema, bisogna sapere che, dal momento che le cose sono comunemente denominate a partire dalle loro forme, come bianco da bianchezza, e uomo da umanit, tutto quello da cui qualcosa denominato, rispetto ad esso ha la modalit (habitudo) di una forma. E quando dico: costui rivestito da un abito, questo ablativo costruito secondo la modalit della causa formale, anche se non una forma. Ma accade anche che qualcosa sia denominato da quello che da esso procede, non solo come lagente in base allazione; ma anche come termine stesso dellazione, che leffetto, quando leffetto incluso nellintelligenza dellazione. Infatti che il fuoco riscaldante in base al riscaldamento, anche se il riscaldamento non il calore che una forma del fuoco, ma unazione che procede dal fuoco; e diciamo che lalbero fiorente per i fiori, anche se i fiori non sono forma dellalbero, ma un certo effetto da essa procedente. Su questa base bisogna dunque dire che diligere, nelle cose divine, preso in due modi, secondo lessenza e secondo la nozione. E quando preso secondo lessenza, allora Padre e Figlio non si amano nello Spirito Santo, ma nella loro essenza (Pater et Filius non diligunt se Spiritu Sancto, sed essentia sua). Per cui Agostino dice nel libro 15 sulla Trinit: Chi oserebbe dire che il Padre non ama se stesso, e il Figlio, e lo Spirito Santo, se non nello Spirito Santo? E su questa base procedono quelli che sostengono le prime opinioni. Ma quando preso secondo la nozione, allora diligere altro non che spirare lamore, cos come dire produrre una parola e fiorire produrre un fiore. Dunque, come diciamo che un albero fiorisce nei fiori, cos diciamo il Padre dicente nel Verbo o Figlio, dicendo se e le creature; e il Padre e il Figlio si dicono amanti (diligentes) nello Spirito Santo, o Amore procedente, se stessi e noi. Tommaso, Somma di teologia, I, q. 39, a. 7 Se i nomi essenziali devono essere appropriati alle Persone [] Sembra che i nomi essenziali non siano da appropriare alle Persone. 1. Quello che pu portare allerrore della fede, nelle cose divine si deve evitare: poich, come dice Girolamo, dalle parole pronunciate disordinatamente si cade nelleresia. Ma appropriare ad una sola Persona quelle cose che sono comuni alle tre, pu condurre allerrore della fede: perch si pu capire che convengano solo alla Persona cui sono appropriate; oppure che convengano ad essa pi che alle atre. Per cui gli attributi essenziali non sono da appropriare alle Persone. 2. Inoltre gli attributi essenziali, significati in astratto, significano nel modo della forma. Ma nessuna Persona si rapporta allaltra come la sua forma: perch, nel supposito, la forma non distinta da quello di cui forma. Per cui gli attributi essenziali, specialmente se significati in astratto, non devono essere appropriati alle Persone. 3. Inoltre, il proprio sta prima dellappropriato: infatti il proprio sta alla base (de ratione) dellappropriato. Ma gli attributi essenziali, nellordine dellintelligenza, stanno prima delle persone, come ci che comune sta prima di ci che proprio. Per cui gli attributi essenziali non devono essere appropriati. In contrario. LApostolo dice: 1Cor 1,24: Cristo forza di Dio e sapienza di Dio. Rispondo. Per illustrare i misteri della fede era conveniente che si appropriassero alle varie Persone gli attributi essenziali. Perch sebbene non si possa dimostrare, come si detto, la Trinit delle Persone, tuttavia utile portare dei chiarimenti mediante cose pi note. Ora, gli attributi essenziali per la nostra ragione sono pi evidenti di ci che 27

riguarda le Persone; perch alla cognizione certa degli attributi essenziali noi possiamo giungere attraverso le creature, da cui si inizia ogni nostro conoscere, mentre, e si gi dimostrato, non possiamo arrivare a conoscere cos quanto proprio delle Persone. Perci, come per esporre la dottrina intorno alle persone divine ci serviamo delle somiglianze riscontrate nelle creature che sono vestigia o immagini di Dio, cos ci possiamo servire degli attributi essenziali. E questa manifestazione degli attributi divini si chiama appropriazione. Ma le persone divine possono essere manifestate mediante attributi essenziali in un duplice modo. In un modo per la via della similitudine: come quelli che riguardano lintelletto, che vengono appropriati al Figlio, che procede per modo di intelletto come Verbo. In altro modo, nel modo della dissomiglianza: come la potenza appropriata al Padre, come dice Agostino, per il fatto che presso di noi i padri di solito sono deboli per la vecchiaia; e non potremmo mai pensare qualcosa del genere riguardo a Dio. Soluzioni. 1. Rispetto alla prima obiezione si deve dire che gli attributi essenziali non vengono appropriati alle Persone in modo che si affermi che sono ad esse propri: ma per manifestare le persone attraverso la strada della similitudine o della dissomiglianza, come stato detto. Per cui non ne segue un errore delle fede, ma una pi piena manifestazione della verit. 2. Rispetto alla seconda, si deve evidenziare che se si attribuissero alle Persone gli attributi essenziali come fossero propri, ne seguirebbe che una Persona si ritroverebbe rapportata allaltra come fosse la sua forma. Ma questo escluso da Agostino nel libro 7 de La Trinit, mostrando che il Padre non sapiente per la sapienza generata, come il Figlio solo fosse sapienza; cosicch possa dirsi sapiente solo il Padre insieme con il Figlio, ma non il Padre da solo. Ma il Figlio detto sapienza del Padre, perch sapienza dalla sapienza del Padre; ciascuno dei due infatti per se sapienza, e tutti e due insieme sono una sola sapienza. Per cui il Padre non sapiente per la sapienza che ha generato, ma per la sapienza che sua essenza. 3. Rispetto alla terza, sebbene lattributo essenziale, secondo la propria natura (ratio), sia prima della Persona nellordine dellintelligenza; tuttavia in quanto ha la natura (ratio) di appropriato, nulla proibisce che il proprio della persona sia prima dellappropriato. Come il colore posteriore al corpo in quanto corpo; e tuttavia naturalmente prima del corpo bianco in quanto bianco.

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5. Schmaus
Citeremo da: Michael Schmaus, Dogmatica Cattolica. I. Introduzione Dio creazione , Marietti, Casale Monferrato, 19632 [prima ediz. it.: 1959; ediz. orig. ted.: Hueber, Mnchen 1938].

Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 326-327 59. La legge trinitaria fondamentale La dottrina delle relazioni, che costituisce il nucleo fondamentale della teologia trinitaria della scolastica, fu riassunta dal Concilio di Firenze (4 febbraio 1441) con la seguente proposizione: In Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio (Denz. 703). In Dio regna completa unit, dove non sussiste opposizione relativa. Questa formula ha una lunga preistoria. Prende le mosse dalla sentenza di S. Gregorio di Nazianzo: tra le tre persone divine regna piena identit se si eccettuano le relazioni di origine ( Oratio 34; PG 36, 253 s.; Oratio 20; PG 35, 1073 a.; Oratio 31; PG 36, 165 b; Oratio 41; PG 36, 441 c.), e in linea diretta perviene a S. Agostino: Dio tutto ci che ha, eccettuato quello che ciascuna persona in rapporto con le altre ( De civitate Dei, 11,10). La tesi agostiniana si sviluppa, attraverso Fulgenzio di Ruspe, lXI Concilio di Toledo, Anselmo dAosta e Tommaso dAquino, nella formula della Bolla Cantate Domino, pubblicata nel decreto per i Giacobiti del Concilio di Firenze. Non esiste pertanto nessuna distinzione reale in tutto ci che appartiene alla natura, tra la natura, da una parte, e le processioni, le relazioni e le persone dallaltra; n tra le processioni e le relazioni, le quali non siano opposte tra loro; n tra la spirazione del Padre e la spirazione del Figlio. Al contrario, vi distinzione tra generare e essere generato, tra spirare e essere spirato, tra paternit e filiazione, tra spirazione attiva e passiva, tra Padre e Figlio, tra Spiratore e Spirato. La legge fondamentale trinitaria offre una nuova ragione in favore della processione dello Spirito santo anche dal Figlio. Se infatti lo Spirito Santo non procedesse anche dalla seconda persona non esisterebbe relazione opposta ( relatio opposita) tra lui e il Figlio. Perci lo Spirito Santo non potrebbe distinguersi dal Figlio.
[Concilio di Firenze. Decreto per i copti (1442) La santa Chiesa romana, fondata sulla parola del nostro Signore e Salvatore, professa e annuncia un solo vero Dio, onnipotente, immutabile, eterno: Padre e Figlio e Spirito santo; uno nellessenza, trino nelle persone; Padre, non generato, Figlio, generato dal Padre, Spirito santo, procedente dal Padre e dal Figlio; crede che il Padre non il Figlio o lo Spirito santo, che il Figlio non il Padre o lo Spirito santo, che lo Spirito santo non il Padre o il Figlio; ma che il Padre solo Padre, il Figlio, solo Figlio, lo Spirito santo solo Spirito santo. Solo il Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza; solo il Figlio stato generato dal solo Padre; solo lo Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio , non tre di, poich una sola la sostanza, una sola lessenza, una sola la natura, una la divinit, una limmensit, una leternit di tutti e tre; tutti sono uno, dove non si opponga la relazione.]

Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 136 Per lintelligenza della Trinit indispensabile pensare che lunica essenza divina e le tre Persone distinte non si devono concepire come due strati in Dio, accostati s, ma pur sempre separati e impenetrabili, che corrono paralleli o si sovrappongono. Al contrario, lunico Dio in tre Persone e le tre Persone sono lunico Dio. Per mettere in luce questa cosa, anche gi esteriormente, e superare cos fin da principio, il pericolo di considerare la Trinit delle persone come unaggiunta complementare allessenza di Dio, dovremo mutare un tantino la ripartizione usuale dei trattati di Dio uno e di Dio Trino. Seguendo S. 29

Agostino, cercheremo di studiare Dio intrecciando la trattazione dellunit della natura, con quella della trinit delle persone. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 139 Dio ci testimonia la sua esistenza in due modi: primo, con la rivelazione gratuita che contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione; secondo mediante la natura di cui noi stessi facciamo parte. La prima specie di rivelazione che tocca il vertice nel Verbo personale di Dio fatto uomo, possiamo chiamarla rivelazione della parola; la seconda, che avviene attraverso lopera della creazione, pu essere denominata rivelazione delle opere [] Lesistenza di Dio [] dimostrata dalla rivelazione divina, sia naturale, sia soprannaturale. Tra le due forme di rivelazione vi uno stretto rapporto. La rivelazione soprannaturale ci assicura che anche la natura rivelazione di Dio. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 144-145 Cristo , nella sua comparsa, nelle sue opere e nelle sue parole, la rivelazione di Dio stesso. Egli tale che trascende la massa del genere umano. diverso da tutto ci che incontriamo nella nostra esperienza, diverso da tutto ci che possiamo immaginare e scoprire col pensiero. Per mezzo suo penetra nella storia umana una realt, che intrinsecamente e qualitativamente, si diversifica da tutte le altre manifestazioni storiche. Con la parola egli stesso d lautentica interpretazione e spiegazione del mistero che lo circonda. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 149-150 Linterpretazione pessimistica che Lutero ha dato delluomo, ripresa e accentuata con forza dai fautori della teologia dialettica (K. Barth, E. Brunner, F. Gogarten, E. Thurneysen) diametralmente opposta allinsegnamento del Concilio Vaticano. Secondo costoro luomo assolutamente incapace di pervenire a Dio per mezzo della ragione. Egli sta piuttosto in contraddizione con Dio e non ha nessuna via per raggiungerlo partendo dal mondo. Anzi, qualsiasi tentativo in questo senso peccato e irretisce sempre pi luomo nella colpa. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 178-179 Questa conoscenza naturale di Dio, che secondo la fede possibile, viene per ampliata e approfondita sostanzialmente e in modo definitivo dalla rivelazione soprannaturale: la rivelazione delle opere viene perfezionata dalla rivelazione della parola. [] Ogni conoscenza di Dio raggiunge il suo vero senso e acquista tutto il suo valore solo alla luce della rivelazione soprannaturale. Si deve soprattutto osservare che la conoscenza naturale, cio quella che si deduce dalla considerazione sia del mondo che delluomo, sfocia nellessere e quindi nellessenza di Dio; la rivelazione soprannaturale, invece, in modo speciale, anche se non esclusivo, lo vede nel suo modo di agire, e quindi nella sua volont e decisione salvifica, negli atti divini che adducono salvezza (vede in Dio laspetto dinamico anzich quello statico). Siccome la manifestazione divina gratuita ci palesa il piano salvifico, la scienza teologica, illuminata dalla fede, risale dallagire allessere, formandosi cos esatte nozioni anche riguardo alla essenza divina: per far ci utilizza la conoscenza prescientifica e filosofica che si ha di Dio ed garantita dalla rivelazione. In ogni modo necessario fissare bene i limiti della conoscenza di Dio che ci fornisce sia il creato sia la parola rivelata. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 186-187 La ragione, anche dopo la rivelazione, non pu vedere lintimo fondamento e lintrinseca 30

possibilit del mistero trinitario. Tale asserzione suggerita dal Concilio Vaticano (Denz. 1796) secondo cui i misteri non potranno mai essere compresi dalla ragione illuminata dalla fede, nella stessa guisa delle verit naturalmente conoscibili, ma trascendono talmente lintelletto creato, da rimanere sempre avviluppati dalloscurit, finch viviamo su questa terra. Ci emerge pure dal ragionamento teologico, il quale ci mostra che la rivelazione non muta la natura del nostro intelletto e che noi possiamo comprendere in qualche modo loggetto rivelato (qui la Trinit) solo mediante concetti analogici. Cos il concetto di processione, quando si applica al campo del creato, implica per il procedente novit di essere, mutazione e dipendenza; al contrario in Dio la processione elimina tutte queste imperfezioni. Inoltre ogni produzione, nel creato, presuppone il soggetto che produce; nella generazione divina, al contrario, il Padre tale per una relazione che segue, logicamente, latto generativo. Inoltre nel campo del creato la relazione presuppone i soggetti che stanno in rapporto; in Dio, al contrario, li costituisce. Di pi, lessenza si moltiplica con le persone; in Dio, al contrario, rimane una, nonostante la triade personale. Infine la realt divina abbraccia nel medesimo tempo sia lassoluto che il relativo. [] La dottrina trinitaria includerebbe infatti una contraddizione qualora il concetto di persona vi venisse applicato nello stesso senso con cui si adopera per luomo. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 267 La predilezione dei miti per il numero tre va chiarita con il fatto che la natura e luomo stesso portano limpronta del creatore, che il Dio tripersonale. Infatti se Dio necessariamente una triade personale, ne viene che lessere creato nella radice pi profonda trinitario. Siccome ogni cosa creata partecipazione allessere divino, ne deriva che necessariamente deve recare limpronta trinitaria dellessere che essa rispecchia, sia pure in modo conoscibile solo dal credente. Sarebbe strano che qualcosa di simile non penetrasse nella coscienza umana. Poich i miti dei popoli sono un oscuro presentimento di quello che il mondo e il suo essere profondo recante limpronta divina, naturale che facciano brillare, sia pure in modo oscuro e velato derrore, la verit divina. Si pu inoltre supporre che Dio abbia dato ad Adamo ed Eva, progenitori della stirpe umana, la rivelazione della sua vita trinitaria, rivelazione che non fu mai dimenticata del tutto. Infatti essa risuona, ora debolmente, ora forte, nei miti dei vari popoli.

Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 301 Ogni triade creata, immagine della divina, comprensibile per solo alla luce della rivelazione soprannaturale. Soltanto locchio illuminato dalla fede pu rendersi conto che le trinit terrene sono immagini della divina Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 192-194 Ogni conoscenza di Dio si raggiunge grazie alle creature, siano queste cose o uomini (presi tanto singolarmente, quanto socialmente: razze, popoli, stati), sia la storia, nella quale uomini responsabili e liberi lasciano la loro impronta sulla natura. dottrina teologica comune, che la nostra conoscenza di Dio, tanto naturale quanto soprannaturale, sia analogica e mediata. [] Il carattere analogico si applica, secondo i passi biblici sopra citati, tanto alla conoscenza naturale di Dio, quanto alla conoscenza soprannaturale, vale a dire tanto a quella che si fonda sulla rivelazione delle opere, quanto a quella che si fonda sulla rivelazione della parola. Tanto la ricerca filosofica di Dio, quanto la cognizione che ne abbiamo per fede, portano limpronta dellanalogia. Che la nostra conoscenza analogica vuol dire che non conosciamo Dio nella sua forma propria (per speciem propriam), ma per 31

mezzo della forma di cose diverse e a un tempo simili a lui (per species alienas). Dal mondo si pu conoscere Dio perch le creature provengono da lui, quale loro causa efficiente ed esemplare. Esse sono lespressione del pensiero divino, cos come lopera darte lespressione della vita interiore dellartista (cf. il trattato sulla Creazione). Nella Scrittura si parla delluomo definendolo, in modo particolare, immagine e somiglianza di Dio. Si deve, tuttavia, osservare che lintima vita divina non si estrinseca nel creato nel medesimo modo con cui si esplica nellopera darte la vita intima dellartista. Questa penetra nella sua opera; Dio, invece, per quanto concerne la sua vita intima, rimane pur sempre al di fuori della sua opera, la quale gli assai pi dissimile che simile, proprio perch egli essenzialmente diverso da essa (Crisostomo, Gregorio di Nazianzo). Tra Dio e il creato vi una somiglianza nella dissimiglianza e una dissimiglianza nella somiglianza. Proprio perch Dio crea unopera simile a s, vi imprime, perci stesso, la sua essenziale diversit. Somiglianza e dissomiglianza non stanno una accanto allaltra, ma si compenetrano reciprocamente e la seconda soverchia la prima. Perci tutti i nostri concetti su Dio vanno intesi in senso analogo a quello con cui si applicano alle creature e non in senso univoco. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 197 Lanalogia esistente nel campo naturale tra Dio e il mondo, viene garantita e precisata dalla rivelazione soprannaturale. Con la fede raggiungiamo la certezza che il mondo, pur essendo dissimile, simile a Dio, e riceviamo pure non pochi schiarimenti sul come esso gli sia simile. La dottrina dellanalogia tra Dio e mondo , quindi, unaffermazione non solo metafisica, ma anche strettamente teologica. Siccome anche la rivelazione soprannaturale deve utilizzare idee e linguaggio umano, se ne deduce che anche il suo modo di esprimersi va inteso analogicamente, ossia secondo il rapporto di somiglianza e dissomiglianza esistente fra il Creatore e le creature. Quando Cristo afferma che Dio nostro Padre, noi sappiamo che Dio ha con noi un rapporto analogo a quello che in famiglia esiste tra padre e figli. La S. Scrittura usa con abbondanza il discorso analogico. Si serve con predilezione di figure e similitudini per narrarci la rivelazione soprannaturale di Dio. Troviamo, cos, specialmente nellAntico Testamento, molteplici antropomorfismi. Essi non intendono umanizzare Dio ma renderlo pi vivo. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 410 86 Fecondit della scienza divina nella generazione del Figlio La scienza divina palesa la sua potenza e la sua forza creativa nella generazione del Figlio. infatti dottrina teologica certa, anche se non dogma di fede, che la processione del Figlio in grembo alla divinit si avvera per via di conoscenza. Base di questa spiegazione della generazione divina la parola Logos (Verbum) che Giovanni usa per designare il Figlio sia nel suo evangelo, sia nella prima lettera e nellApocalisse (Gv 1,1; Gv 1,1-3; Apoc. 19,13). Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 426 89 La volont di Dio come amore di se stesso Il Concilio Vaticano ha definito che Dio si ama necessariamente (Sess. 3, cap. 5; Denz 1805). Lamore che Dio ha di se stesso appare nei passi biblici in cui si afferma che[] Poich lamore di Dio verso se stesso non significa altro che autopossesso e autoaffermazione dello Spirito divino cosciente di s, necessariamente connesso con la spiritualit di Dio. Egli si afferma con un amore uguale alla sua assoluta perfezione. Anzi egli lamore stesso che si afferma, si abbraccia e si compenetrano; e non soltanto un 32

amore accidentale, ma il suo proprio atto damore, o, meglio, il suo amore come atto puro. La necessit con cui Dio si ama non nasce da un impulso naturale cieco, bens dalla perfezione della sua essenza stessa che si vede chiaramente. Non vi quindi legge o necessit extradivina che costringa Dio ad affermarsi. Egli si in virt della sua propria perfezione. Agostino spiega la necessit con cui Dio ama se stesso nella seconda parte del suo libro sulla Trinit. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 427-429 90 Fecondit dellamore divino nella spirazione dello Spirito Santo Come, in Dio, la conoscenza palesa la sua fecondit nella generazione del Figlio, cos lamore la manifesta nella spirazione della terza persona della Trinit. [] dottrina accettata ormai da quasi tutti i teologi che lo Spirito santo procede per via di amore. Lamore reciproco del Padre e del Figlio [] amore sussistente e necessario, non nel senso di cieco impulso naturale, ma come necessit chiaramente compresa, accettata e amata con beatitudine immensa. Mentre Padre e Figlio si volgono lun verso laltro in infinito amore, si parlano e si rispondono in un colloquio di amore ardentissimo, ciascuno spira allaltro il suo soffio (spiritus) damore. Dalla loro unione sgorga un amore di infinita forza, perfezione e interiorit. E, meraviglia fra le meraviglie, lamore che spira dal Padre e dal Figlio conosce se stesso, sussistente e si presenta ad ambedue come un terzo io: amore personale. [] Essendo dogma di fede che Padre e Figlio costituiscono un solo principio di spirazione e producono lo Spirito santo con un unico atto spirativo, si deve ammettere che il reciproco amore del Padre e del Figlio, la cui fioritura lo Spirito Santo, ununica realt. A motivo della semplicit divina tale realt parimenti principio di spirazione e atto di spirazione. Con questa spiegazione si intende asserire che il reciproco amore del Padre e del Figlio principio di spirazione (Agostino). Secondo unaltra opinione, sostenuta da S. Tommaso dAquino, il principio della spirazione lamore che Dio ha di se stesso e che si infiamma nel Padre e nel Figlio. Tale concezione avrebbe il potere di rendere ancor pi chiara lidea che Padre e Figlio producono, come unico principio e in un unico atto spirante, lo Spirito santo. La prima opinione d maggior risalto alla personalit e alla relazione del Padre e del Figlio. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 431 La realt che Padre e Figlio abbracciano con infinito amore la stessa che forma loggetto del conoscere fecondo di Dio: la divina essenza, le persone divine, tutto ci che fuori di Dio, ossia lintera realt del cielo e della terra. In maniera particolare va sottolineato che ogni essere reale al di fuori di Dio amato dal Padre e dal Figlio nello Spirito Santo. Lamore divino fecondo il principio creatore di tutto ci che extradivino. Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 434 E poich [lo Spirito santo] rappresenta in Dio lamore personale, compie le opere dellamore nel campo del creato: la fonte viva dellamore di Dio che si diffonde nelle creature. Cos anche la designazione di dono diviene pi comprensibile. Nella sua azione creatrice Dio palesa alle creature il suo amore di cui lo Spirito santo appunto la sorgente. Perci presso i greci egli viene chiamato anche azione. Secondo Agostino viene definito dono, perch amore. Il primo dono dellamore lamore stesso. Lo Spirito santo secondo Agostino, il dono di Dio agli uomini. Egli elimina il pericolo di metterlo in relazione troppo stretta con le creature, minacciandone cos leternit, facendoci presente che lo Spirito santo, prima di venire donato realmente alle creature, gi donabile. Certo 33

leternit rimane del tutto intangibile quando lo Spirito santo si intende come mutuo dono del Padre e del Figlio, in quanto manifestazione del loro reciproco amore; ma non viene negata anche quando con il nome dono si intende la missione dello Spirito santo, nella quale il Dio tripersonale viene donato alle creature ( 50 [ il paragrafo che tratta il tema delle missioni, n.d.r.]). Spesso la Scrittura designa lo Spirito santo come dono. Ma essa non ne parla nel senso che si riferisce alla vita intima della Trinit, bens nel significato concernente la economia della salvezza. Lo Spirito santo il dono di Dio agli uomini: Gv 7,38s.: 4,7-14; Atti 2,38; 8,20; 10,45. Nello stesso senso i Padri greci usarono i termini dron e specialmente dore o drema, che entrambi significano azione del donare. Ogni operare di Dio in rapporto alla creatura dono. Ci verr esaminato meglio nel trattato sulla Grazia.

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6. Barth

Schmaus, Dogmatica Cattolica. I, p. 303 Soprattutto i nomi Padre e Figlio provano che in Dio sono produzioni e processioni. Con queste denominazioni delle due prime persone, la produzione del Figlio viene caratterizzata come generazione. Il passo di Gv 8,42 in cui Ges dice: io sono proceduto dal Padre non serve a provare con evidenza e direttamente la processione eterna del Figlio dal Padre, perch si riferisce allincarnazione.

Barth, Kirchliche Dogmatik II/1, 25.2, p. 57 (fr. 47) [] che Dio si presenti di fronte alluomo, che si dia a conoscere a lui e sia effettivamente conosciuto da lui, questo vero perch il Dio trinitario, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. In termini diversi, se egli si presenta a noi, e perch egli si presenta di fronte a se stesso: il Padre di fronte al Figlio e il Figlio di fronte al Padre; e se si da a conoscere a noi, perch egli prima conosce se stesso: il Padre conosce il Figlio e il Figlio conosce il Padre, nellunit dello Spirito Santo. Questo avvenimento (Geschehen) nel seno di Dio stesso, determina la forza e la natura della nostra propria conoscenza di Dio.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 8.1, p. 312 (fr. 2) Dio che si rivela. mediante se stesso che egli si rivela. se stesso che egli rivela. Se vogliamo davvero comprendere la rivelazione a partire dal suo soggetto, a partire da Dio, dobbiamo anzitutto comprendere che questo soggetto, Dio, il rivelatore, identico allazione mediante la quale egli si rivela, ed anche identico alleffetto di questo atto di rivelazione.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 8.2, p. 333-334 (fr. 22) [] affinch questo evento (Ereignis) [lautosvelamento di Dio] si verifichi, necessario un intervento (Schritt) da parte sua. Questo intervento significa una novit in Dio (ein Neues in Gott), una distinzione da lui stesso nel suo mistero, una nuova maniera di essere Dio (Seinsweise als Gott), sempre anchessa eminente, e tuttavia tale che possa essere Dio per noi. Colui che si rivela come Dio, si pu rivelare. Ecco che cosa afferma il fatto della rivelazione: appartiene a Dio di distinguersi da se stesso, come dire: di essere Dio in s e in una maniera totalmente nascosta, e, allo stesso tempo, di essere Dio del tutto diversamente, ossia in maniera visibile (offenbar); ma questo significa che appartiene a Dio di essere ancora Dio nella forma (Gestalt) di ci che non affatto lui stesso.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 8.2, p. 334-335 (fr. 23) [lAT] distingue tra Yahv che abita sul Sinai o nel cielo, e Yahv che abita in Cana, a Silo, e pi tardi a Gerusalemme; tra Yahv e il suo mistero insondabile (in seiner Verborgenheit) e Yahv nella sua forma storica (in seiner geschichtlichen Gestalt), quella secondo cui conosciuto in Israele e in cui agisce nel quadro di questo popolo. [] in luogo e al posto, non del Signore che abita sul Sinai, ma del nome del Signore che abita una casa di pietra, interviene ormai lesistenza delluomo Ges di Nazaret. 35

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 5.4, p. 179 (fr. 167) Quando si riflette, come uno non pu e non fa, sulla correlazione di Dio e delluomo, non si deve mai perdere di vista [] la libert fondamentale sulla quale riposa questa correlazione e che quale quella di Dio. Allora apparir non solo fecondo ma anche necessario distinguer nettamente e rigorosamente, con tutta la teologia antica, fra la Trinit che noi possiamo conoscere nella Parola rivelata, scritta e predicata e la Trinit immanente a Dio; dunque tra Dio in s e Dio per noi, tra la storia eterna di Dio e la sua attivit temporale. Allora dobbiamo sempre ricordarci che il Dio con noi non uno stadio (Zustand) di Dio che noi possiamo definire e affermare partendo dalla partecipazione delluomo alla rivelazione, ma che unazione (Tat) e un passo (Schritt) che Dio fa incontro alluomo, il quale, e per questo solo atto, diviene partecipe della rivelazione. Questo divenire delluomo condizionato dallesterno da Dio, nel momento in cui Dio fa il passo che crea la correlazione, non in alcun modo condizionato dalluomo. [] Noi non conosciamo che nella misura in cui veniamo interpellati dalla Parola di Dio; ma allora, precisamente, dobbiamo conoscere Dio come colui che ci interpella liberamente e sovranamente, colui che non esiste solo in questo appello, ma Dio prima di tutto in s e nella sua storia eterna (der auch Vorher, auch an sich, auch in seiner ewigen Geschichte Gott ist).

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 9.1, p. 372 (fr. 56) Si pu credere a questa rivelazione conservando il retro pensiero che uno vi incontri non Dio cos come ma quale a noi appare (wie er uns erscheint)? Se il (la forma della rivelazione) veramente altro che il (la forma dellessere) come, precisamente, la lessere proprio di Dio (das eigentliche Sein Gottes) -, questo significa che Dio, nella sua rivelazione, non veramente Dio. Ora, se si prende sul serio che Dio non veramente Dio, si finisce, con questa separazione, per andare contro il monoteismo che si intendeva e si intende difendere. Ma allora, la fede nella rivelazione non pu che trasformarsi in idolatria.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 8.2, p. 382-384 (fr. 65-66) Padre, Figlio e Spirito sono diversi tra loro per questo motivo: essi stanno luno di fronte allaltro secondo differenti relazioni di origine (Ursprungs-verhltnissen). Se noi abbiamo negato la possibilit di comprendere la differenza dei tre modi di essere sulla base della differenza contenutistica dellidea di Dio nel concetto di Rivelazione, perch in definitiva di questo non possiamo neppure parlare, nondimeno ora possiamo e dobbiamo dire: sono ben intelligibili a partire dal concetto di rivelazione le propriet formali dei tre modi di essere le quali, ed questo a farne tre modi di essere, sono identiche alle propriet stesse, date in forza delle loro reciproche relazioni. [] Si fa riferimento anzitutto e soprattutto, a buon diritto, ai nomi neotestamentari Padre, Figlio e Spirito. Se questi, nella loro triplicit, sono nomi dellunico Dio, allora ne segue che in questo unico Dio, diciamolo con prudenza, c qualcosa come una paternit e una filialit, o anche qualcosa come una generazione e un essere generato, e inoltre il verificarsi di un terzo, comune a tutti e due, che non affatto un essere generato, e neppure un puro procedere dal generante, ma possiamo dire in generale: un produrre, e un unico produrre (Hervorbringung) procedente (herrhrende) in modo congiunto dal generante e dal generato. Ma possiamo tranquillamente, con lutilizzo della 36

nostra triade rivelatore (Offenbarer), rivelazione (Offenbarung), rivelato (Offenbarsein) anche dire: c un origine, una paternit (Urheberschaft = diritto dautore), un fondamento della rivelazione, un rivelatore (Offenbarer) di se stesso, che deve essere distinto dalla rivelazione (Offenbarung) come tale tanto chiaramente, quanto la rivelazione stessa significa qualcosa di semplicemente nuovo a fronte del mistero del rivelatore, che proprio nella rivelazione viene presentato come tale. Si da anche, a differenza di questo primo, come secondo, la rivelazione stessa come evento del divenire rivelato di quello che prima era nascosto. Ed emerge come risultato generale di questi due momenti, come terzo, lessere rivelato (Offenbarsein), il risultato, che lintenzione e allo stesso tempo il senso del rivelatore, come pure il fine della rivelazione. Detto pi in breve: solo perch c un nascondimento (Verhllung) di Dio, ci pu essere una manifestazione (Enthllung) di Dio, e solo se c un nascondimento e una manifestazione di Dio, ci pu essere una autocomunicazione di Dio. Potremmo continuare dicendo: che Dio sia il Creatore, il presupposto del fatto che egli possa essere il Riconciliatore; nel fatto che il Creatore sia il Riconciliatore, fondato il fatto che egli possa essere il Redentore. Oppure: che Dio possa essere misericordioso verso di noi in Cristo, si fonda sulla sua santit; e lamore di Dio verso di noi si fonda nella sua santit e misericordia.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 8.2, p. 431 (fr. 107) Il carattere di grazia onnipotente, che questo evento [das Geschehen der Vershnung, levento della riconciliazione] possiede, e alla cui luce la problematica a cui tale evento risponde diventa una problematica infinitamente seria, esige che uno riconosca che il soggetto di questo evento identico con Dio stesso, nel senso pieno del termine.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 12.1, p. 483 (fr. 151) Da tutto quello che abbiamo detto risulta chiaramente che lo Spirito santo, secondo la Scrittura, non niente di meno e niente altro che Dio stesso distinto da colui che Ges chiama Padre, e distinto da Ges stesso, ma nulla di meno che il Padre e nulla di meno che Ges stesso, pienamente Dio. Ricordiamo ancora una volta [ segue il richiamo a 2Cor 3,17, il Signore lo spirito; Gv 4, 24, Dio spirito; At 5,3, Dio rimprovera ad Anania di aver mentito allo Spirito; Mc 3,28, il peccato contro lo Spirito non pu essere perdonato] Non solo in questi passi e altri analoghi, ma in tutto intero il Nuovo Testamento, la dottrina dellazione dello Spirito santo implica la divinit della sua essenza (vom Wirken des Geistes die Gottheit seines Wesens impliziert).

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 10.2, p. 93 (fr. 415) [] la possibilit intradivina (inergttliche Mglichkeit), in virt della quale Dio ci pu essere rivelato come Creatore e come nostro Padre, non fondata in se stessa e non va da s. Al contrario, essa presuppone in Dio stesso un evento (Geschehen) in virt del quale esiste come possibilit. Essa procede da una possibilit fondata preferibilmente in Dio stesso. Essa la riproduzione di un modello (Abbild eines Vorbildes), la processione da una origine (Ausgang aus einem Ursprung), la parola di una conoscenza (Wort eines Erkennens), la decisione di una volont (Entscheidung eines Willens) tutto questo deve 37

essere inteso come relazione (Beziehung) o movimento (Bewegung) al seno della essenza divina, come repetitio aeternitatis in aeternitate. Questo modello, questa origine, questo conoscenza, questa volont in Dio in virt della quale si distingue da se stesso e da cui procedono la riproduzione, la processione, la parola, la decisione, in breve il fatto che Dio possa, come Creatore e come nostro Padre, tenersi in relazione (Beziehung) con una realt diversa da lui, ecco quel che il dogma trinitario chiama Padre eterno.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 5.4, p. 178 (fr. 166) La riflessione teologica basata sulla incarnazione della Parola (Fleischwerdung des Wortes) si distingue da una riflessione filosofica nel fatto che essa conosce questa incarnazione come la verit di un atto divino (die Wahreit eines gttlichen Aktes) e non come la verit di uno stato (die Wahreit eines Zustandes) come lunione del soggetto e delloggetto, la relazione delluomo a Dio o viceversa stato che sarebbe allora il principio fondamentale di cui la dogmatica dovrebbe fare lesegesi. [] Ma se lincarnazione conosciuta come un atto, si deve allora cominciare a distinguere il termine a quo (Dio in s) e il termine ad quem (Dio per noi), per in seguito rapportarli luno allaltro, quando si descriver latto come tale. Che cosa significherebbe il Dio per noi se uno lo privasse dello sfondo del Dio-in-s? giustamente per descrivere il superamento (Aufhebung) della distinzione, per trattare quel soggetto l, che si deve cominciare a distinguere. Qui, rifiutarsi di considerare le due cose, significa condannarsi a non comprendere la loro unit.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 5.4, p. 168 (fr. 168) Quando Lutero rinvia al presepio di Betlemme e alla croce di Cristo [], egli intende rinviare al carattere perfettamente terrestre, ossia velato della Parola, e attraverso questo alla sola realt che la conoscenza indiretta; dunque a questa distinzione (Unterscheidung) [tra Dio in s e Dio per noi]; dunque anche al suo superamento (Aufhebung) per nulla ancora compiuto, ma sempre per compiersi (rispetto al nostro pensiero); dunque infine alla Trinit immanente, allessere eterno e alleterno disegno di Dio (auf die immanente Trinitt, auf das ewige Wesen und die ewigen Ratschlge Gottes). nellumanit del Cristo, precisamente, che noi dobbiamo cercare tutto questo cercare e trovare, e non vedere e avere direttamente.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 11.2, p. 436 (fr. 112) Se Ges Cristo il vero ed efficace Rivelatore di Dio, e se ci riconcilia davvero con lui, perch Dio, in lui, suo Figlio e sua Parola, non ci propone qualcosa anche fosse stata la pi grande e la pi piena di senso ma si pone l lui stesso e si d a conoscere (selbst setz und zu erkennen gibt), esattamente come si pone e si conosce lui stesso dalleternit e per leternit (genau so wie er sich von Ewigkeit und in Ewigkeit selber setzt und erkennet). Ges il Figlio o la Parola di Dio per noi, perch Dio anzitutto in se stesso. Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 11.2, p. 441-442 (fr. 116) Cosa pu dunque significare la riconciliazione [] quando si pretende di separarla dal mistero da cui essa procede in Dio stesso? Il Dogma della divinit di Cristo ci rende attenti a questo mistero, e sottolinea la differenza che c tra lorigine (Woher) del disegno di Dio e la sua realizzazione (Wohin), la differenza che esiste fra il Figlio di Dio in s (an sich) e il Figlio di Dio per noi (fr uns). Distinguere questo in s e questo per noi, 38

significa la libert e la gratuit della grazia divina, in altri termini: ci che ne fa veramente una grazia.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 12.1, p. 503 (fr. 169-170) Le tesi della dottrina orientale non contestano che nellopus ad extra, ossia a partire dalla rivelazione (e a partire da l, di rimando, nella creazione), lo Spirito santo non deve essere interpretato come lo Spirito del Padre e del Figlio. Ora, noi abbiamo costantemente mantenuto la regola (Regel) seguente e questo , a nostro parere, un punto capitale: le proposizioni sulla realt delle maniere di essere divine (die Aussagen ber die Wirklichkeit der Gttlichen Seinsweisen), cos come sono in se stesse, non potrebbero avere altro contenuto che quello sulla loro realt attestata nella rivelazione. Tutte le nostre tesi sulla Trinit detta immanente (ber die sogennante immanente Trinitt) ci sono apparse come una conferma e delle sottolineature: o meglio, come le inevitabili premesse della Trinit economica (die unentbehrlichen Vorderstze ber die konomische Trinitt). Esse non esprimono che una sola idea: in Dio la differenza, lunit e la maniera di essere sono, nella realt di Dio, tali e quali si impongono a noi nella testimonianza scritta della sua Rivelazione. Non c da qualche parte, dietro la rivelazione, unaltra realt che, essa, sarebbe Dio; la realt che ci incontra nella rivelazione la realt divina essa stessa, cos come sorge dalla profondit delleternit. Cos noi dobbiamo prendere la realt divina direttamente sul serio nella sua rivelazione. Questo significa, quanto alla dottrina di cui ci stiamo occupando, che lo Spirito santo non solo lo Spirito del Padre e del Figlio nella sua azione esteriore, nella sua azione su di noi, ma anche da tutta leternit, senza riserve n limitazioni.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 12.2, p. 504 (fr. 170) [] il Filioque lespressione della conoscenza della comunione (Gemeinschaft) tra Padre e Figlio: lo Spirito santo lamore che lessenza stessa della relazione (Beziehung) tra queste due maniere di essere di Dio. La conoscenza di questa comunione costituisce la conoscenza del fondamento (Grund) e della conferma (Besttigung) della comunione fra Dio e luomo, come una verit divina ed eterna, nella misura in cui questa comunione creata nello Spirito nella Rivelazione. Fondata su questa comunione intradivina e reciproca (zweiseitig) dello Spirito santo che procede dal Padre e dal Figlio, c nella rivelazione, una comunione di Dio e delluomo, dove Dio non l solo per luomo ma e la il donum Spiritus Sancti dove luomo anche veramente l per Dio.

Barth, Kirchliche Dogmatik I/1, 12.2, p. 504 (fr. 170) Viceversa, in questa comunione di Dio e delluomo, creata nello Spirito Santo nella rivelazione, che si pu conoscere la comunione che esiste gi in Dio; conoscere il suo amore come mistero, che sorpassa ogni ragione, della possibilit di una tale realt della rivelazione; conoscere il Dio unico nella maniera di essere dello Spirito santo.

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7. Rahner

Rahner, La Trinit, p. 24 (Brescia 20084; or. ted.: Mysterium Salutis 2, Einsiedeln Kln 1967) Questo mistero [la Trinit, ndr] sembra essere stato comunicato come fine a se stesso. Esso, anche dopo la sua rivelazione, rimane come realt chiuso in se stesso. Circa questo mistero si fanno solo delle affermazioni; esso per, come realt effettiva non ha veramente nulla o quasi a che fare con noi. La teologia corrente [al momento in cui Rahner scrive, ndr] non pu respingere a ragione questa tesi come esagerata: chi nella cristologia conosce solo una funzione ipostatica di una persona divina, la quale funzione potrebbe venire esercitata altrettanto bene da ciascunaltra persona divina; chi pensa che per noi in Cristo sia realmente importante che egli una Persona divina (quale, sarebbe per noi irrilevante); chi nella grazia conosce realmente solo relazioni appropriate alle persone divine con luomo e anche qui ha soltanto una vaga cognizione di una causalit efficiente dellunico Dio, costui afferma espressamente con parole povere che noi in realt non abbiamo altro rapporto con il mistero della Trinit, se non quello di sapere qualcosa al suo riguardo per mezzo della rivelazione 8.
8

Nella nostra critica prescindiamo ovviamente dal fatto (poich da esso si prescinde anche nella posizione criticata) che una vera conoscenza, intesta metafisicamente in maniera radicale, implica il rapporto pi reale che si possa pensare, con la realt conosciuta e viceversa, ma appunto questo assioma, approfondito nei riguardi del presente problema, metterebbe in evidenza che la rivelazione del mistero trinitario implica e presuppone, alla fin fine, una comunione ontologico-reale della realt rivelata come tale agli uomini e che, quindi, essa non pu venire intesa, come fa lopinione criticata, nel modo di una pura comunicazione verbale, che non muta il rapporto tra comunicante (in quanto trino) e il destinatario.

Rahner, Corso fondamentale sulla fede, p. 161-162 Quando parliamo di autocomunicazione da parte di Dio, non dobbiamo intendere questo termine nel senso che Dio, in una qualche rivelazione, direbbe qualcosa su di s. Il termine autocomunicazione intende significare realmente che Dio nella sua realt pi propria si trasforma nel costitutivo pi intimo delluomo stesso. Si tratta perci di unautocomunicazione o autopartecipazione ontica da parte di Dio. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, p. 229 Al di l di tale rivelazione naturale, che propriamente consiste nellesistenza di Dio come domanda (non come risposta), esiste la vera e propria rivelazione di Dio. Questa non gi data semplicemente con lessere razionale delluomo in quanto trascendenza, ma possiede un carattere di evento, dialogica, in essa Dio parla alluomo, gli rende manifesto non semplicemente quello che leggibile sempre a dappertutto nel mondo attraverso il fatto che tutta la realt mondana richiama necessariamente Dio nella trascendenza delluomo, vale a dire la domanda su Dio e la messa in questione delluomo da parte di tale mistero. La rivelazione vera e propria invece dischiude presupposta lesistenza del mondo e dello spirito trascendentale ci che nel mondo e per luomo ancora ignoto: la realt intima di Dio e il suo libero rapporto personale verso la creatura spirituale. [] Tale rivelazione [rivelazione vera e propria, chiamata da Rahner in questa pagina, 40

anche se una sola volta, soprannaturale in distinzione dalla naturale, ndr] presenta due aspetti (uno trascendentale e uno storico) che sono distinti e interdipendenti, entrambi necessari affinch la rivelazione semplicemente esista. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, p. 233 Il vertice insuperabile di tutta la rivelazione [] la storia della rivelazione ha il suo vertice assoluto quando lautocomunicazione di Dio alla realt creaturale spirituale di Ges, mediante lunione ipostatica che avviene nellincarnazione di Dio, raggiunge per tale realt e quindi per noi tutti la sua meta insuperabile. Ora ci avvenuto nella incarnazione del Logos, perch qui la cosa espressa e partecipata: Dio stesso; il modo dellespressione: la realt umana di Cristo nella sua vita e nella sua definitivit; e il ricettore Ges, come colui che dotato della grazia e contempla Dio, sono diventati uno in maniera assoluta. In Ges la comunicazione di Dio alluomo per grazia e insieme lauto esplicitazione categoriale di questa comunicazione nella dimensione di ci che corporalmente tangibile e sociale, sono diventati uno in maniera assoluta.

Rahner, La Trinit, p. 40 5. Triplice modo di comportarsi di Dio verso di noi nellordine della grazia La Trinit economica la Trinit immanente; cos suona la tesi che dobbiamo spiegare in una riflessione preliminare. Finora abbiamo dimostrato che esiste per lo meno un caso dogmaticamente incontestabile di questo assioma. Che il caso per realmente un caso, risulta soltanto quando si riflette sulla dottrina della grazia. Si tratta qui del caso delle relazioni non appropriate delle divine persone con luomo giustificato. Rahner, La Trinit, p. 35-36 [] se si ammette che ogni Persona possa contrarre ununione ipostatica con una realt creata, allora il fatto dellincarnazione del Lgos non svela veramente nulla di lui stesso, cio della sua particolarit intradivina relativa; lincarnazione, quindi, significherebbe per noi solo lesperienza della personalit di Dio in generale (come lo conosciamo gi antecedentemente), non lesperienza di una singola personalit, differenziata propriamente in senso trinitario; noi sappiamo certamente (per rivelazione vincolante) che precisamente la seconda Persona divina esercita una funzione ipostatica nei riguardi della realt umana riscontrabile in Ges, ma quanto qui vissuto e sperimentato sarebbe tale, quale adesso, anche qualora unaltra Persona divina costituisse la sussistenza di questa realt umana. La realt afferrabile economicamente certo nelle sue parole (poich Ges parla del Padre e di s appunto precisamente come Figlio) uno sguardo introspettivo nella Trinit, ma non nella Trinit in se stessa, poich ci che qui avviene economicamente sarebbe potuto accadere ugualmente per mezzo di qualsiasi altra Persona; questo stesso avvenimento (che solo portatore neutrale di una pura rivelazione verbale e non esso stesso, in quanto tale avvenimento, rivelazione trinitaria) non asserisce nulla circa la realt trinitaria intradivina. Rahner, La Trinit, p. 44-45 Che cosa significa ora metodologicamente, per la presentazione sistematica della dottrina trinitaria, il fatto che venga presupposta [] la tesi secondo la quale la Trinit economica quella immanente e viceversa? [] Ovviamente per chi contesta la nostra tesi fondamentale la Trinit pu essere soltanto qualcosa che (fintanto che non la vedremo come tale nel suo assoluto in s) pu essere comunicato in una forma puramente 41

concettuale (attraverso una pura rivelazione verbale, in contrapposizione a una rivelazione mediante lazione salvifica di Dio verso di noi). In tal caso per il trattato assume quella astrattezza e quel distacco dalla vita che sono facilmente osservabili in tante trattazioni del genere. Allora la prova della Scrittura assume, inevitabilmente, il carattere di un metodo che, con una cavillosa dialettica, trae da alcune proposizioni particolari delle conseguenze e con esse costruisce un sistema, di fronte al quale ci si domanda se Dio abbia realmente rivelato delle cose a noi cos remote in modo a noi incomprensibile e cos bisognoso di interpretazioni tanto complicate. Rahner, La Trinit, p. 40-43 5. Triplice modo di comportarsi di Dio verso di noi nellordine della grazia La Trinit economica la Trinit immanente; cos suona la tesi che dobbiamo spiegare in una riflessione preliminare. Finora abbiamo dimostrato che esiste per lo meno un caso dogmaticamente incontestabile di questo assioma. Che il caso per realmente un caso, risulta soltanto quando si riflette sulla dottrina della grazia. Si tratta qui del caso delle relazioni non appropriate delle divine persone con luomo giustificato.[] Ciascuna delle tre divine Persone si partecipa alluomo, per grazia, nella sua particolarit e differenza personale e questa comunicazione trinitaria (linabitazione di Dio, la grazia increata, intesa come non solo partecipazione alla natura divina, ma, poich si attua in un atto personale spirituale e libero, dunque da persona a persona, anche, e perfino primariamente, come partecipazione delle Persone) il fondamento reale, ontologico della vita di grazia nelluomo e (alle debite condizioni) della visione immediata delle tre divine Persone nello stato finale. Ovviamente, questa autopartecipazione delle divine Persone avviene conformemente alla loro particolarit personale, vale a dire quindi conformemente alle loro reciproche relazioni e in virt di esse. Se una persona divina, per avere una relazione propria con luomo giustificato (e, viceversa, questi con quella), si comunicasse in modo diverso dalle sue relazioni verso le altre Persone e non attraverso di esse, con ci sarebbe dato e presupposto che ogni singola Persona (anche e proprio come tale nella sua distinzione logica dallunica e identica essenza) sia qualcosa di assoluto e non di puramente relativo; il vero fondamento della dottrina trinitaria sarebbe perduto. Questo significa per a sua volta: queste tre autocomunicazioni sono lautocomunicazione dellunico Dio nel triplice modo relativo, nel quale Dio sussiste. Il Padre si d dunque anche a noi come Padre, cio precisamente per il fatto e in quanto egli, essendo come tale (essenzialmente) presso se stesso, si esprime e cos comunica il Figlio come la sua propria auto-manifestazione personificata, e per il fatto e in quanto il Padre e il Figlio (ricevendo dal Padre) accettandosi nellamore e tendendo verso se stessi e pervenendo a se stessi, si comunicano cos come coloro che sono accolti nellamore, cio come Spirito Santo. Dio si comporta con noi in modo trinitario e proprio questo comportamento trinitario (libero e gratuito) con noi non soltanto unimmagine o una analogia della Trinit immanente, bens questa stessa Trinit anche se partecipata liberamente e gratuitamente. La realt comunicata , infatti, precisamente il Dio in tre Persone; cos pure la partecipazione (che avviene alla creatura nella libert della grazia), se avviene liberamente, pu avvenire soltanto nel modo divino immanente delle due comunicazioni dellessenza divina del Padre al Figlio e allo Spirito, poich unaltra comunicazione non potrebbe affatto comunicare ci che qui viene comunicato, cio le persone divine, poich queste non sono nulla di diverso dal loro proprio modo di comunicazione. Da questo punto, anticipando la trattazione vera e propria (perch soltanto cos si pu rendere comprensibile laspetto metodologico), si pu considerare in senso inverso 42

il rapporto fra la Trinit immanente e la Trinit economica. Il Dio uno comunica se stesso come assoluta autoespressione e come assoluto dono dellamore. La sua comunicazione ora (questo il mistero assoluto rivelato solo in Cristo) veramente autocomunicazione; Dio, cio, non concede (procura) alla sua creatura solo una partecipazione di s creando e donando delle realt create e finite per mezzo della sua onnipotente causalit efficiente, ma egli dona realmente e nel senso pi stretto del termine se stesso in una causalit quasi formale. Tuttavia questa autocomunicazione di Dio a noi ha, secondo la testimonianza della rivelazione nella Scrittura, un triplice aspetto: lautocomunicazione, in cui la realt partecipata rimane la realt sovrana, non comprensibile, che, anche in quanto ricevuta, rimane nella sua incomprensibile e indisponibile assenza di origine; autocomunicazione nella quale il Dio che si dischiude presente come verit che si rivela e come forza che dispone liberamente e agisce storicamente; ed autocomunicazione nella quale il Dio che si dona ottiene in colui che riceve laccettazione amorosa della sua comunicazione, e la ottiene in modo che laccettazione non depotenzia la comunicazione riducendola a livello puramente creaturale. Da un lato questo triplice aspetto dellautocomunicazione non deve, tuttavia, essere inteso nella dimensione della comunicazione come un semplice sviluppo verbale di una comunicazione indifferenziata in se stessa. Nella dimensione della economia della salvezza questa differenza veramente reale: lorigine della autocomunicazione di Dio, la sua esistenza che si dischiude radicalmente e che si esprime, la sua accettazione da lui stesso attuata, non sono in maniera semplicemente indistinta la medesima realt, che sarebbe solo indicata con parole diverse. In altri termini: il Padre, la Parola (il Figlio) e lo Spirito (per quanto tutte queste parole siano e debbano essere infinitamente insufficienti) rinviano, secondo levidenza della esperienza di fede quale testimoniata nella Scrittura, ad una vera distinzione, ad una duplice mediazione entro questa autocomunicazione. Dallaltro lato, la doppia mediazione attraverso la Parola e lo Spirito (come la storia della autocomunicazione nella rivelazione ha mostrato in maniera sempre pi chiara e innegabile) non una mediazione di natura creaturale, cosicch Dio non vi sarebbe comunicato realmente in quanto tale. Rahner, La Trinit, p. 83 Ovviamente abbiamo una conoscenza preliminare di ci che intendiamo con Trinit economica. La storia della salvezza, la sua esperienza e lespressione biblica di questultima sono le fonti di un tale concetto preliminare che resta sempre la base e il punto di partenza insostituibile e pi ricco, anche quando essa viene trasformata in un concetto sistematico. Rahner, La Trinit, p. 88 ovvio che questi aspetti fondamentali dellautocomunicazione di Dio si attuano in base a noi e alla nostra struttura fondamentale di creature umane. Rahner, La Trinit, p. 93 Se ci possibile, allora vero che ci sono due modi fondamentali dellautocomunicazione di Dio, e solo due, che distinguono e si condizionano a vicenda in modo tale che le loro rispettive caratteristiche sono comprese concettualmente e distinguibili le une dalle altre. Rahner, La Trinit, p. 92 43

Questa dualit trascendentale [di conoscenza e amore, ndr] non , inoltre, integrabile con ulteriori determinazioni (per es. mediante un bello ugualmente originario, mediante il sentimento, ecc.). Ci non solo per il motivo che altrimenti sarebbe compromessa irrimediabilmente una reale comprensione della necessit di due sole processioni allinterno della Trinit e non si potrebbe pi sostenere lassioma fondamentale dellidentit fra la Trinit economica e la Trinit immanente. Piuttosto se la volont, la libert, il bonum sono compresi nella loro vera e piena essenza, cio innanzi tutto non solo come impulso, bens come amore verso la persona, amore che non solo tende verso la persona, ma riposa sulla sua bont e sul suo splendore pieno, allora non si vede alcun motivo di aggiungere a questa dualit una terza e ulteriore facolt. Conoscenza e amore descrivono, nella loro unica dualit, la realt delluomo. Unautocomunicazione di Dio alluomo deve dunque costituirsi come autocomunicazione alluomo della verit assoluta e, come tale, dellamore assoluto.

Rahner, La Trinit, p. 96-97 G. Le due modalit fondamentali dellautocomunicazione divina Lautocomunicazione divina ha, quindi, due modalit fondamentali: autocomunicazione come verit e come amore. Ci , in apparenza, un risultato molto semplice delle riflessioni precedenti, ma, secondo queste, tale tesi implica che questa autocomunicazione, in quanto si attua come verit, avvenga nella storia; in quanto si attua come amore, significa lapertura di questa storia nella trascendenza verso il futuro assoluto. [] Se volessimo ridurre ad una formula breve queste due modalit fondamentali e a questo scopo ponessimo la storia come rappresentante di una parte delle quattro coppie degli aspetti antitetici e dicessimo per laltra parte spirito (la scelta di questo termine tipico invece di uno dei quattro di questa parte facilmente comprensibile), allora potremmo dire: lautocomunicazione divina avviene in unit e distinzione nella storia (della verit) e nello spirito (dellamore).

Rahner, La Trinit, p. 99-100 4. La fondazione della Trinit economica nella Trinit immanente Se ora partendo di qui, tentiamo di esporre la Trinit economica come immanente, cio cos come essa in Dio, lasciando da parte la sua libera autocomunicazione, possiamo dire quanto segue. a) In Dio, cos come egli in se stesso, esiste una reale differenza tra lunico e medesimo Dio, in quanto egli insieme e necessariamente colui che non ha origine e che media s a se stesso (Padre), colui che espresso in verit per s (Figlio) e colui che nellamore per se stesso accolto e accettato (Spirito), e in quanto perci egli colui che in libert pu autocomunicarsi ad extra. b) Questa reale distinzione costituita da una doppia autocomunicazione del Padre; attraverso di essa il Padre, da una parte, comunica se stesso e, dallaltra parte (attraverso appunto questa autocomunicazione), precisamente in quanto esprimente e ricevente, pone la sua reale distinzione rispetto a colui che espresso e accolto. Ci che comunicato [das Mitgeteilte, ndt, il condiviso, partecipato, ndr], in quanto da un lato rende lautocomunicazione unautentica autocomunicazione e, dallaltro lato, non toglie la distinzione reale tra Dio come comunicante e Dio come comunicato, pu a ragione essere indicato come la divinit e quindi come lessenza di Dio. c) Il rapporto tra loriginario autocomunicatore e colui che espresso e accolto, 44

rapporto che implica una distinzione, deve essere compreso come realt relativa (relazionale). Ci si arguisce semplicemente dallidentit dellessenza. Questa relazionalit non va considerata, in prima linea, come un mezzo per risolvere apparenti contraddizioni logiche nella dottrina trinitaria. Come mezzo del genere essa adatta solo a precise condizioni. Infatti, nella misura in cui la relazione intesa come la pi irreale delle realt, diminuisce anche la sua importanza per la comprensione di una Trinit che la cosa pi reale. Invece, la relazione altrettanto assolutamente reale come altre determinazioni, e una apologetica della Trinit immanente non pu partire dal preconcetto che una morta identit di tipo assolutamente non mediato sia il modo pi perfetto di essere di colui che esiste assolutamente, per poi tentare nuovamente di togliere di mezzo, con laiuto della spiegazione che la distinzione in Dio solo relativa, la difficolt che si creata con questo preconcetto (avendo posto in modo errato la semplicit di Dio).

Rahner, La Trinit, p. 101 Quando si dice: in Dio ci sono tre persone, Dio sussiste in tre persone, allora si generalizza e si addiziona ci che propriamente non si pu addizionare, perch ci che soltanto veramente comune del Padre, Figlio e Spirito lunica e singola divinit e non esiste un punto di vista veramente superiore sotto al quale i tre in quanto Padre, Figlio e Spirito possono venire addizionati.

Rahner, La Trinit, p. 76 Esser cosciente di s non dunque elemento che distingue le divine Persone luna dallaltra, anche se ogni divina Persona, in quanto concreta, ha coscienza di s. Si deve dunque qui tener lontano con ogni cura dal concetto di persona tutto quanto potrebbe significare tre soggettivit. Rahner, La Trinit, p. 76, nota 30 Perci allinterno della Trinit non c un tu reciproco. Il Figlio lautoespressione del Padre, la quale, ancora una volta, non pu venire concepita come parlante; lo Spirito il dono, il quale ancora una volta non dona. Gv 17,21; Gal 4,6; Rm 8,15 presuppongono un punto di partenza creato del tu rivolto al Padre.

Rahner, La Trinit, p. 103 In Dio per non ci sono tre centri del genere sia perch in Dio c una sola essenza e dunque un solo essere presso se stesso, sia anche perch c una sola autoespressione del Padre, cio il Logos (che non colui che parla, bens colui che viene detto) e perch non c propriamente un amore reciproco tra Padre e Figlio (che presuppone due atti), bens un autoaccoglimento amante e fondante la distinzione del Padre (e del Figlio a causa della taxis della conoscenza e dellamore. Rahner, La Trinit, p. 103 [In Dio] non ci sono tre coscienze, bens lunica coscienza sussiste in triplice modo; in Dio c una sola coscienza reale, posseduta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito, in maniera propria a ciascuno. La triplice sussistenza dunque non qualificata da tre coscienze. 45

Rahner, La Trinit, p. 105 Lunica autocomunicazione dellunico Dio si attua in tre diversi modi di presenza nei quali lunico e medesimo Dio ci dato concretamente in se stesso [] Dio il Dio concreto in ciascuno di questi modi di presenza, che sono ovviamente correlati tra di loro senza coincidere modalisticamente. Se traduciamo ci che abbiamo detto in termini di Trinit immanente, possiamo dire: lunico Dio sussiste in tre distinti modi di sussistenza (Subsistenzweisen). Distinti modi di sussistenza sarebbe allora il concetto chiarificatore non gi per quello di persona, che indica ci che sussiste distintamente, ma per quello di personalitas, che rende la concreta realt di Dio, la quale ci viene incontro in modi diversi, precisamente costui che ci viene incontro cos, tenuto conto che questo venirincontro-cos va sempre pensato come proprio di Dio in s e per s. La singola Persona (in Dio) sarebbe allora Dio in quanto colui che esiste e ci viene incontro in quanto determinato distinto modo di sussistenza.

Rahner, La Trinit, p. 106 Che cosa sia sussistere lo si pu spiegare in ultima analisi solo con la propria esistenza, ove incontriamo loggetto concreto primo e ultimo, irriducibile, non scambiabile e insostituibile di questa esperienza. Questo qui ci che sussiste. Il nostro assioma fondamentale risulta cos ancora una volta confermato: senza lesperienza storicosalvifica di Spirito- Figlio- Padre, nulla alla fine saremmo in grado di pensare sotto il loro distinto sussistere come lunico Dio.

Rahner, La Trinit, p. 108 Il primo modo di sussistenza costituisce originariamente Dio come Padre, come principio senza principio della autocomunicazione e automediazione divine, cosicch dietro questo primo modo di sussistenza non possibile pensare alcun Dio che preceda questa sussistenza distinta e che la debba ancora assumere.

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8. Von Balthasar
Balthasar, Teodrammatica. 3. Le persone del dramma, p. 466. 468 Dio pu comparire nel dramma? Oppure questo dramma teodrammatico solo nel senso che viene impostato da Dio e rappresentato davanti a lui e per lui? La risposta cristiana suona invece che Dio entrato nel dramma - in Ges Cristo, il Figlio del Padre, che possiede lo Spirito senza misura e che Dio quindi lo pu fare benissimo. [] Con il rinvio di Ges da una parte al Padre e dallaltra allo Spirito noi vediamo la realt di ci che sar chiamata nella sua formula definitiva: Trinit di Dio. Il Padre indicato da Ges la sua sorgente, ma un altro da lui, come un altro da lui lo Spirito, che egli, ritornato al Padre, a partire dal Padre invier. Ma una simile distinzione in pi in Dio diviene possibile cristianamente solo a partire dal comportamento di Ges. Soltanto in lui la Trinit aperta e accessibile. [] Del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo come divine persone noi sappiamo unicamente mediante la persona e il comportamento di Ges Cristo. Bisogna dunque concordare con lasserto oggi molto in voga in cui si dice che noi possiamo avere conoscenza o osare di dire qualcosa della Trinit immanente soltanto attraverso la Trinit economica. Due conseguenze si possono trarre da tanto. Luna che una grande precauzione dobbligo nelle citazioni di analogie trinitarie extracristiane: manca ad esse la base economica [] Laltra conseguenza che, cristianamente parlando, la Trinit economica appare certo come una traduzione della Trinit immanente, questa, per, come fondo portante della prima, non pu essere propriamente e semplicemente identificata con la prima3.
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Giacch altrimenti la Trinit immanente ed eterna di Dio rischia di risolversi nella economica; in parole pi chiare, dio rischia di essere ingoiato nel processo del mondo e di non poter ritornare a se stesso che attraverso questo processo.

K. Rahner ha proclamato vistosamente lassioma: La Trinit economica la Trinit immanente e viceversa (Myst. Sal. II, pp. 328, 336), ma ha poi fatto bene a meglio precisare che la due non si possono distinguere in modo adeguato (ivi, p. 329).

Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 115 In tal modo noi siamo davanti alle aporie di ogni discorso sulla Trinit immanente come tale, nel senso che essa, vero, presuppone quella economica, ma poi si tenta di pensarla oltre e senza di questa. Non la [sic!] si pu parlare che in due proposizioni contrapposte (in zwei gegenlufigen Stzen) che non si lasciano sintetizzare in nessuna unit.

Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 28-29 [Agostino] non osa partire dallamore interumano; anche se due persone amiche hanno la stessa sostanza umana, il loro amore rispetto a questa sostanza rimane accidentale [] Perci egli cerca limmagine della Trinit allinterno della singola persona spirituale: prima come essere, conoscere, volere (nota: Conf. XIII,11; De Civ, Dei XI,26), poi, nellintuizione che qui si tratta soltanto dellessere dello spirito, come mens, notitia, amor, dove chiaro che lamore pu comparire solo (come terzo) dopo lautoconoscenza dello spirito (nota: De Trin. X,3,3). [] E non ha, inoltre, in questa immagine, lo spirito (mens) il sopravvento sulle sue funzioni notitia e amor, le quali (per esprimersi con i termini della successiva scolastica) rimangono a suo riguardo accidentali in quanto posti di fronte alla sostanza? 47

Agostino sposta (proprio per questo) il suo ternario verso un altro diversamente concepito: come memoria (fondo dello spirito), intellectus (autoconoscenza), voluntas (autoaffermazione che ama). Qui i tre membri appaiono uguali in valore, sono tutti e tre stati o funzioni dellunica sostanza che lo spirito ( nota: cos soprattutto nei libri 10-15 De Trinitate). Inoltre sembrano postularsi a vicenda, e relativi luno rispetto allaltro ( nota: De Trin. XV,21,40). Ma Agostino deve riconoscere che le tre forze dellanima non sono lanima stessa, mentre in Dio le persone sono identiche alla sostanza ( nota: Ep. 169 ad Evodium). Oppure (ma finisce col dire la stessa cosa): le tre funzioni fanno insieme soltanto una persona (De Trin. XV,7,12) e mai tre ipostasi. [] Lunico io e le sue tre funzioni sono dunque in ultima analisi una copia debole, essenzialmente manchevole, della divina vita triunitaria. Se ciascuna delle divine persone possiede tutta la divinit, che conosce e ama come personalit, come potrebbero conoscenza e amore essere attribuite al Figlio e allo Spirito altrimenti che come appropriazioni? Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 116-117 Le processioni divine non possono, come quelle interne di uno spirito umano, essere accidentali (Agostino aveva gi pensato di concepirle sostanziali nelluomo); dato che in Dio nulla accidentale, devono essere identiche con la reale essenza divina. Daltra parte la categoria della relazione lunica che non incide intimamente la sostanza a cui aderisce: Lessenza della relazione non viene riferita alla cosa in cui ; essa nel suo rapporto con qualcosa di esterno (STh I,28,2). Se si intende quindi la processio come il prodotto di una relazione, sorge la domanda in che modo le relazioni si rapportino in Dio con la sua unica essenza. Tommaso distingue qui l essere delle relazioni, che pu essere solo identico con lessere dellessenza e il suo senso (ratio), il suo verso a, il quale [] non incide intimamente lessenza, ma costruisce solo un legame, e tra le ipostasi un legame relativo contrapposto. [] Ma se la relatio significa formalmente solo il legame tra due termini, come pu venire assunta come fondante per le ipostasi come tali? Che le ipostasi nel loro contrapporsi esistano realmente lo sa la fede dai fatti della rivelazione secondo cui Padre, Figlio e Spirito sono un solo Dio. Lo sa da essa e dalla sua interpretazione ecclesiale. Il dominio speculativo del mistero nei suoi due lati riesce solo nel movimento reciproco ogni volta di due proposizioni, la cui unione non pu riuscire. La stessa cosa si fa chiara, se nel tentativo di pensare insieme identit e differenza in Dio, si parla di appropriazioni. Non si pu evitare questo procedimento, perch come vide gi Agostino tutto ci che essenziale in Dio appartiene in comune alle Ipostasi, e queste tuttavia devono venire contrassegnate da qualcosa di particolare: manifestatio personarum per essentialia attributa appropriatio nominatur (STh I,39,7). Padre, Figlio e Spirito sono sapienti, quando per la sapienza viene attribuita in particolare al Figlio (come ad es. 1Cor 1,30), oppure al Padre la creazione del mondo, perch egli in Dio il generante ingenerato, pur creando anche il Figlio (Gv 1,2-3,10), e lo Spirito viene giustamente nominato Spiritus creator (cf. Gn 1,2). Tutto ci in base ad una determinata interna affinit, come un accenno, che non a caso, ma allude a qualcosa realmente presente in questa persona, altrimenti la Sacra Scrittura non lo direbbe tante volte. Tuttavia si rende chiaro subito anche qui il limite della capacit espressiva; come nucleo indistruttibile resta alla fine il nome della persona come ci rivelato nella Trinit economica: Padre, Figlio e Spirito.

Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 118-120 b) La imprepensabilit dellamore Se allora non si consente di lasciar agire lunica essenza divina come tale nelle 48

processioni e relazioni personali, daltra parte evidente che in queste relazioni e processioni si tratta sempre dellidentico essere divino di ogni ipostasi. Ci che il Padre, generando il Figlio, dona a questi, la perfetta e indivisibile divinit che egli possiede, ma la possiede in modo che egli, limprepensabilmente generante, la possiede come donata. Si pu cautamente dire che il Padre generando non ha dato la sua sostanza al Figlio in modo da non averla pi lui (DS 805), ma altrettanto vero il contrario: che egli cio rimane leterno Padre perch ha dato tutto il suo, ivi compresa la divinit, al Figlio ( nota: Quod enim Pater est, non ad se sed ad Filium est, DS 528). E lanalogia vale del Padre e del Figlio quanto alla processione dello Spirito Santo, il quale altrimenti non potrebbe essere lo stesso eterno identico Dio. Non scompare in tal modo lultima ombra della sempre incombente quaternitas in Dio, di unessenza che persiste immobilmente accanto alle processioni? E se si accetta a buon diritto che la taxis (conseguenza) delle processioni s irreversibile ma perfettamente senza tempo, a tal punto che i proceduti, possono e devono essere pensati senzaltro come coloro che si fanno procedere: non diventa allora lessenza divina qualcosa di altrettanto mosso come levento stesso delle processioni? E se il donarsi del Padre al Figlio e di entrambi allo Spirito non corrisponde n a un libero arbitrio, n a una necessit, ma allintima essenza di Dio ( nota: Non voluntate nec necessitate, sed natura, DS 71; quia nec ulla in Deo necessitas cadit nec voluntas sapientiam praevenit, DS 526), allora questa intima essenza comunque possano distinguersi tra di loro le processioni pu essere in ultima analisi soltanto amore. Sicuramente secondo le affermazioni del nuovo Testamento la donazione economica del Figlio e dello Spirito da parte del Padre puro amore, e lo pure il libero farsi donare del Figlio e dello Spirito: tuttavia questa affermazione fondamentale concernente lordine della salvezza come dovrebbe unaltra volta avere per presupposto una determinazione di essenza del Dio trinitario? Il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ci che fa Ha trasmesso al Figlio tutto il giudizio, perch tutti onorino il Figlio come onorano il Padre (Gv 5,20,22s.), queste e simili parole hanno indubbiamente premessa e risonanza intratrinitaria. Lessenza divina, cos considerata, sarebbe non soltanto coestensiva allevento delle eterne processioni, ma co-determinata ad esso mediante la partecipazione ogni volta speciale di Padre, Figlio e Spirito, non esisterebbe in altre parole non altrimenti che ogni volta paternalmente, filialmente e spiritualmente. E poich le persone sono tutte ipostasi della concretamente una divina natura, con cui ognuna di esse realmente identica, la sua unit di essenza si pu descrivere anche come la loro circumincessio (lessere luna nellaltra), mediante cui esse insieme formano lunico, libero, personale volto di Dio. Allora anche il problema delle appropriazioni di note essenziali divine a una divina persona (ad esempio la sapienza al Figlio) si presenterebbe in una luce pi ampia: lappropriato alla singola persona (per ragioni economiche) potrebbe essere da questa, dato che Dio, venire di nuovo riappropriato a tutta la divinit, cio alle altre persone come bene comune. La inescogitabilit di Dio una cosa sola con la inescogitabilit del mistero del Padre, il quale non mai stato una persona onnipotente, onnisciente, in s chiusa, ma una che da sempre si espropria per il Figlio, e non soltanto: una che unitamente inoltre, con e mediante il Figlio, si consegna allo Spirito. Ci che qui cos si afferma il divino essenzialmente: lautoconsegna di cui dobbiamo cominciare a dire che nel suo accoglimento nel Figlio e nello Spirito si adempie unicamente nel modus della restituzione alla persona principaliter (come dice Agostino) se donante, al Padre e, poich lo Spirito deve se stesso anche al Figlio, anche al Figlio. Ma il darsi via da sempre del Padre: questa cosa imprepensabile e inescogitabile lestrema ragione per cui Dio in genere inconcepibile pi di quanto lo possa concepire ogni concetto finito: lamore, in assoluto, lassolutamente senza fondo che partecipa questa qualit a ogni cosa, ci che, definendo meglio la sua pienezza, pu essere ricordato 49

ancora come qualit di Dio. Ogni realt intra ed extradivina esce a secreto Patris arcanoque (DS 491).

Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 152-153 Lamore in tal modo pi ampio dello stesso essere, il trascendentale in assoluto, che riassume la realt dellessere, della verit e della bont ( nota: G. Siewerth, Metaphysik der Kindheit, Johannesverlag, Einsiedeln 1957, 63) [] La prova decisiva per questa affermazione la offre il bambino, il quale senza essere ricevuto nello spazio dellamore dei genitori non pu mai arrivare a se stesso come uomo, egli viene metafisicamente prima con lamore nel comprendere, con il cuore che si sveglia la ragione spirituale come la volont spirituale viene subito e nello stesso atto alla sua attivit completa ed essenziale (ib., p. 28). Ma se si riflette ancora una volta al processo delle uscite immanenti in Dio, due strade non sono percorribili: quella di un Padre che genererebbe il Figlio per riconoscersi Dio, e quella che egli genera il Figlio per conoscere perfettamente se stesso. La prima sarebbe hegeliana, la seconda, a pensarci seriamente, ariana. Perci la imprepensabilit dellautodedizione o autoesteriorizzazione (die Unvordenklichkeit der Selbsthingabe oder Selbstentusserung) che fa del Padre finalmente un Padre, non pu essere la conoscenza, ma solamente lamore senza fondo (nur der grundlose Liebe), il che fa dellamore il trascendentale in assoluto.

Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 141 Non sarebbe possibile differenziare lamore che tutto abbraccia in Dio (che include in s tutte le altre sue propriet, conoscenza, onniscienza, sapienza) in modo che si possa vedere ancora qualcosa come un fondamento per la distinzione delle due uscite allinterno dellunico amore divino?

Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 133 Se esiste uno Spirito dellamore e un Figlio dellamore e se Dio amore, allora sicuro che dalla sorgente della divinit paterna escono sia il Figlio che lo Spirito (Origene, Comm. Rom. IV 9, PG 14, 997 bc)

Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio, p. 152 Se i trascendentali penetrano ogni essere, anche quello subspirituale, arrivano tuttavia alla loro pienezza solo l dove lessere si illumina interiormente in essere spirituale, e se resta vero che lamore completo presuppone una conoscenza perfetta (e in questo senso non c bisogno di rinunciare allordine agostiniano delle processioni), tuttavia la imprepensabile autoapertura del Padre (die unvordenklichkeit Selbstentusserung des Vaters) verso il Figlio si deve pure a un amore che mentalmente (gedanklich), va oltre lessere e la sua autoconoscenza. Balthasar, Teologica. 3. Lo Spirito della verit, p. 130 Noi ci siamo cautelati di portare questa dedizione totale [del Padre che genera il Figlio dando tutto, ndr] (agostinianamente) in rapporto con lautoconoscenza di Dio, poich non si pu dire che il Padre generi il Figlio (come Verbum mentis) dalla sua (essenziale) autoconoscenza, n che generi per arrivare allautoconoscenza. Cos non resta altro che 50

di comprendere la dedizione paterna come atto di imprepensabile amore (die vterliche Hingabe als Akt unvordenklichlicher Liebe), che il Figlio come tale riceve, e questo non passivamente come amato, ma ricevendo la substantia del Padre come suo amore, come a un tempo co-amante, amante in risposta, come colui che risponde alluniverso dellamore paterno, come colui che pronto a tutto nellamore.

Balthasar, Teologica. 3. Lo Spirito della verit, p. 131-134 Se Dio dallorigine nel Padre gi il miracolo dellamore (das Wunder der Liebe), di essere egli stesso nella dedizione (in der Hingabe selbst zu sein), allora questo miracolo si completa nello Spirito santo, il quale proprio come lesuberanza dellamore (berschwang der Liebe), nel suo essere ogni volta pi (in ihrem Je-Mehr-Sein) linafferrabile e insuperabile vertice dellassoluto amore: Deus semper maior non solo per noi ma per Dio stesso. [] Bisogner dire che a ogni amore, anche il pi alto, appartiene questa forma di esuberanza e dunque di frutto (che pu essere spirituale), e in questo senso proprio il perfetto amore creaturale una autentica imago trinitatis. Si pu dire di qui che nella autodedizione del Padre al Figlio gi inteso logni volta di pi dellassoluto amore. [] Ci si guarder dallattribuire il nome di donum esclusivamente allo Spirito santo in modo che gi lautodedizione del Padre (die Selbsthingabe des Vaters) che genera il Figlio non appaia come un donum, che diventa manifesto nella dedizione economica del Figlio mediante il Padre [] Il Figlio rivela economicamente il Padre non solo per modum intellectus, ma rivela, come Giovanni mostra abbastanza, con il suo assoluto amore al Padre e alluomo come lamato dal Padre, primariamente lamore del Padre. In questo senso lo Spirito dovrebbe chiamarsi donum doni: lamore donato dal Padre nel Figlio al mondo viene versato nei cuori mediante il dono dellamore in quanto Spirito. Precisamente cos lo Spirito ancora, e adesso anche a partire dallintratrinitario, viene dimostrato come lespositore donato del dono divino (der geschenkte Ausleger der gttlichen Geschenks) (che il Padre ci fa nel Figlio), e poich il dono del Figlio era esso stesso gi rivelazione dellamore, questa esposizione (diese Auslegung) mediante lo spirito pu avvenire solo come introduzione nellamore.

Baltahsar, Teodrammatica. 5. L ultimo atto, p. 58 La teologia cristiana rimasta irremovibilmente ferma allidea che il Dio che si rivela in Ges Cristo sussiste in se stesso come eterno essere o essenza, cosa che alla pari un eterno divenire (dunque non temporale), e alla considerazione che non possibile prescindere mai neanche per un attimo dalla considerazione ontologica di questo eterno divenire. Anzi, vista la cosa a partire dalla Nuova Alleanza, si dovr dire che la rivelazione di Dio attuatasi in Ges Cristo una rivelazione primariamente trinitaria Ges non parla di Dio in generale ma ci mostra il Padre e ci dona lo Spirito santo e che noi ci dobbiamo fare una immagine circa l essere e l essenza di Dio dal rapporto trinitario di Ges con Dio. Tale rapporto si manifesta nella storia in divenire di Ges come un eterno divenire.

Baltahsar, Teodrammatica. 5. L ultimo atto, p. 74-75 Gi la generazione (die Zeugung) viene co-operata dal Figlio in quanto questi si lascia generare (gezeugt zu werden), si mantiene pronto (bereithlt) ad essere generato. E allinterno di questo rapporto di natura tutto si ripete nelle libere relazioni. In tal modo si fa trinitariamente visibile da che cosa risulter lobbedienza del Figlio fatto uomo verso il 51

Padre [] Per contro il Padre gli d anche la distanza (Abstndigkeit) in cui sta lautonomia; ma il Figlio fa, anche ci che fa indipendentemente, allinterno del consenso e del compito avuto dal Padre dessere libero e autonomo (Selbstndigkeit) [] Giacch nellatto generativo (Zeugung) del Padre c una gratitudine (Bitte) al Figlio perch questi vuole lasciarsi generare, come nel lasciarsi generare dal Figlio c una gratitudine per il Padre, perch questi lo vuole generare.

Balthasar, Teodrammatica. 4. L azione, p. 303 Per comprendere con il cuore della fede il dramma primordiale senza tempo e senza processo di Dio bisogna riflettere con pi approssimazione ancora. Mentre il Padre si esprime e si dona cos senza trattenersi nulla, egli non si perde, non perisce dentro il dono, come allo stesso modo egli non si tiene qualcosa per se stesso, giacch egli lessenza intera di Dio in questa sua autodonazione, cos che in essa si annuncia, insieme, tutta linfinita potenza e impotenza di Dio, che non pu essere Dio altrimenti che nella kenose intradivina. (Ma quale onnipotenza deve essere mai generare un Dio di uguale essenza, dunque increato, perfino quando questo atto pretende una donazione di se stesso fino alla pi estrema essenza di s!). Perci anche il Figlio pu essere lassolutezza della divinit e possederla non altrimenti che nel modus dellaccoglimento di questa unit dellonnipotenza e impotenza insieme da parte del Padre, il quale accoglimento include a un tempo il suo essere dato (assoluta presupposizione di ogni altro dono al mondo) e il rendimento filiale di grazie (eucaristia) per lequiessenziale essere divino. Qui dentro gi si ritrova il fatto che ogni altro possibile invio del Figlio (processio in quanto missio fino alla croce) si contiene allinterno del rendimento, egualmente originario, di grazie per un mondo creabile allinterno della generazione del Figlio, un mondo quindi che gli appartiene, che plasmato in ordine a lui e che solo in lui ricapitolabile.

Balthasar, La Gloire et la Croix. III/2. Nouvelle Alliance, p. 185 Questo disinteresse [delle persone divine] fonda una prima forma di kenose, che si realizza nella creazione (soprattutto quella delluomo libero), perch il Creatore cede per cos dire una parte di libert alla creatura, ma non pu finalmente rischiare questa avventura che in virt della previsione e dellaccettazione della kenosi seconda e propriamente detta, quella della croce, nella quale il Creatore raggiunge ed oltrepassa le conseguenze pi estreme della libert creata. Balthasar, Teologica. 2. Verit di Dio , p. 129 (cit. da L. Ladaria, La Trinit mistero di Comunione, 160) In tutte le divine propriet [] fondate dalle tre Ipostasi due fattori sono ugualmente da considerare: lordine delle processioni e lidentit di rango delle divine Ipostasi [] La uguale eternit delle processioni del Figlio e dello Spirito agisce, senza alterare lordine delle processioni, indietro sullorigine; leguaglianza con il Padre le fa i ugual misura partecipare alle propriet e ai comportamenti dellunico Dio, le Ipostasi determinano nella loro circumincessio che cosa Dio , vuole e fa. Qui non si deve dimenticare che in Dio non si d un concetto generico sotto cui cade un concetto univoco di persona, n si d lapplicazione dei tre in lui che abbia qualcosa con lordine quantitativo, perch significa una pienezza e ricchezza che spetta allunico eterno essere di Dio. 52

Rahner, La Trinit, p. 99 4. La fondazione della Trinit economica nella Trinit immanente Se ora partendo di qui, tentiamo di esporre la Trinit economica come immanente, cio cos come essa in Dio, lasciando da parte la sua libera autocomunicazione, possiamo dire quanto segue. a)In Dio, cos come egli in se stesso, esiste una reale differenza tra lunico e medesimo Dio, in quanto egli insieme e necessariamente colui che non ha origine e che media s a se stesso (Padre), colui che espresso in verit per s (Figlio) e colui che nellamore per se stesso accolto e accettato (Spirito), e in quanto perci egli colui che in libert pu autocomunicarsi ad extra.

Dopo aver citato questa pagina, Balthasar commenta ( Teodrammatica. 4. L azione, p. 299): Questi reali modi di essere dellunico Dio non stanno luno di fronte allaltro come autocoscienze (nel senso moderno di persona), avendo Dio una unica autocoscienza. Essi non possono dirsi tu luno allaltro ragion per cui Ges pu parlare col Padre dicendogli tu solo come uomo e non come Figlio di Dio -, il processo di automediazione in Dio ha quindi qualcosa di formale (nota: affine alla imago Trinitatis di Agostino nellanima [fondo dellanima, intelletto, volont]), che non diventa credibile come linfinito archetipo dellautoprodigalit economica di Dio. Il concetto di autocomunicazione acquista in Rahner suono e peso soltanto in dimensione economica.

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