Teoria naturalistica della cultura Traduzione di Gloria Origgi Titolo dell'opera originale EXPLAINING CULTURE A Naturalistic Approach 1996 Dan Sperber Traduzione dall'inglese di GLORIA ORIGGI Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione in "Campi del sapere" marzo ISBN 88-07-10258-7 PreIazion e Uno spettro si aggira per le scienze sociali, lo spettro di una scienza naturale del sociale. Alcuni aspettano che lo spettro si Iaccia conoscere e che renda Iinalmente le scienze sociali davvero scientiIiche, altri denunciano il rischio dello scientismo e del riduzionismo. Alcuni dicono di parlare a nome dello spettro, altri che si tratta soltanto di uno scherzo. La mia opinione e che non di uno spettro si tratti, ma di un bambino nel limbo. Un programma naturalistico nelle scienze sociali e concepibile, ma deve ancora essere sviluppato. In questo libro presento un Irammento di tale programma: un approccio naturalistico alla cultura. I sei saggi qui raccolti costituiscono argomenti e contributi per un'epidemiologia delle rappresentazioni. Sono stati scritti durante Iasi diIIerenti del mio lavoro negli ultimi dieci anni, ma nella mia mente sono tutti parte di uno stesso progetto. Dopo il II sapere degli antropologi (Feltrinelli, 1984), che intendeva essere soprattutto una critica, ho cercato di dare un contributo al "ripensamento dell'antropologia" invocato da Edmund Leach nella sua Iamosa conIerenza inaugurale delle Malinowski Memorial Lectures nel 1959. Le conIerenze su cui sono basati questi capitoli sono state presentate a un pubblico vario: antropologi, archeologi, studiosi di letteratura, IilosoIi, psicologi dello sviluppo e psicologi sociali. I capitoli non presuppongono alcuna competenza specialistica da parte del lettore. Il primo e una sintesi di due saggi precedenti, mentre il quinto e interamente nuovo. Gli altri quattro sono basati su materiale gia pubblicato. Concepiti l'uno in relazione all'altro, ma scritti separatamente, sono stati rivisti in modo da Iormare un insieme coerente. Possono essere letti di seguito, o, se si preIerisce, indipendentemente l'uno dall'al 5 tro, dato che ognuno ricapitola le idee di base che legano il progetto nel suo insieme. La parte migliore del mio lavoro negli ultimi quindici anni e stata Iatta con Deirdre Wilson, ed e stata dedicata allo sviluppo della teoria della pertinenza come teoria della comunicazione umana e come approccio generale a molti problemi legati alla cognizione. Il mio interesse iniziale nel nostro progetto di collaborazione aveva a che Iare con il ruolo che la comunicazione gioca nella cultura. Uno dei miei obiettivi e di ricavare le implicazioni che la teoria della pertinenza puo avere per un'epidemiologia delle rappresentazioni. Durante gli anni, molte persone mi hanno aiutato con i loro consigli, le loro critiche e il loro incoraggiamento, in particolare Daniel Andler, Robert Axelrod, Maurice Bloch, Radu Bogdan, Francesco Cara, Philip Carpenter, Jean-Pierre Changeux, Bernard Conein, Leda Cosmides, Helena Cronin, Daniel Dennett, Frank Dring, Jean-Pierre Dupuy, Catherine Elgin, Heidi Feldman, Allan Gibbard, Margaret Gilbert, Vittorio Girotto, Jack Goody, Gilbert Harman, Odile Jacob, Pierre Jacob, Gerard Jorland, Jerry Katz, Helen Lees, Richard Nisbett, Gloria Origgi, David Premack, Franois Recanati, Jenka Sperber, John Tooby, Jean van Altena, Deirdre Wilson e tre revisori anonimi. Le idee che sviluppo qui sono state discusse per la prima volta con Scott Atran, Pascal Boyer e Larry HirschIeld; i loro commenti mi sono sempre stati particolarmente utili e il mio lavoro e legato al loro sotto molti aspetti. Grazie a tutti. 6 Introduzion e Il tema centrale di questo libro e molto semplice. Ognuno dei nostri cervelli individuali e abitato da un gran numero di idee che determinano il nostro comportamento. Per esempio, il mio cervello e abitato da idee sulla cultura che hanno Iatto si che io scrivessi questo libro. Alcuni dei comportamenti di un individuo, o alcune delle tracce lasciate da questi comportamenti nell'ambiente, vengono osservati dagli altri: eccovi qui a leggere questa pagina, che costituisce una traccia del mio lavoro. Osservare un comportamento o le sue tracce da origine a idee dello stesso tipo di quelle che proprio in questo momento vi vengono in mente. A volte le idee causate da un comportamento assomigliano a quelle che lo hanno causato. Sarebbe cosi, per esempio, se Iossi riuscito a Iarmi capire. Attraverso un processo materiale come quello che ho appena evocato, un'idea, nata nel cervello di un individuo, puo avere discendenti che le somigliano nel cervello degli altri individui. Le idee possono essere trasmesse e, nella trasmissione da una persona all'altra, si possono anche diIIondere. Alcune - le idee religiose, le ricette di cucina o le ipotesi scientiIiche, per esempio - si propagano cosi eIIicacemente che, in versioni diIIerenti, possono Iinire per invadere stabilmente intere popolazioni. La cultura e Iatta prima di tutto di queste idee contagiose. E Iatta anche di tutte le produzioni (scritti, opere d'arte, manuIatti, ecc.) la cui presenza nell'ambiente condiviso da un gruppo umano permette la propagazione delle idee. Spiegare la cultura signiIica allora spiegare perche e come alcune idee sono contagiose. Cio richiede lo sviluppo di una vera e propria epidemiologia delle rappresenta:ioni. La parola 'epidemiologia' viene dal termine greco epidemia, che signiIica 'permanenza o arrivo in un paese'. Nel suo uso piu 7 comune, epidemia (cosi come le altre parole derivate) si riIeriva alla permanenza o all'arrivo di persone, ma si poteva anche riIerire alla permanenza o all'arrivo di cose come la pioggia, le malattie o le usanze. Paragonare la diIIusione delle malattie a quella delle idee e un vecchio luogo comune, e la parola 'contagio' e usata cosi Irequentemente per gli stati mentali che il carattere metaIorico di quest'uso non e quasi piu riconoscibile. Allo stesso modo, l'uso di 'epidemiologia' per uno studio della distribuzione degli stati mentali in una popolazione e un'estensione appena metaIorica del termine. Benche la parola 'epidemiologia' sia lunga e rara, l'idea che esprime e molto semplice e generale. Pensate di avere una popolazione (per esempio un gruppo umano) e alcune proprieta interessanti (per esempio essere diabetico, avere i capelli bianchi, o credere nelle streghe) che i membri di questa popolazione possono avere o non avere. Un approccio epidemiologico consisterebbe nel descrivere e spiegare la distribuzione di tale proprieta nella popolazione. L'epidemiologia non e ristretta alle malattie contagiose: il diabete non e contagioso, credere nelle streghe non e una malattia, cosi come non lo e avere i capelli bianchi. Nel suo uso di modelli esplicativi l'epidemiologia e eclettica. Alcuni sono presi a prestito dalla genetica delle popolazioni, altri dall'ecologia e altri dalla psicologia sociale, e se ne possono sviluppare di nuovi se necessario. Ho scelto il termine 'epidemiologia' precisamente per la sua generalita e il suo eclettismo. Un approccio naturalistico alla cultura prende in considerazione la distribuzione di Ienomeni mentali e ambientali molto diversi. Per questo sono necessari contemporaneamente modelli causali diIIerenti. Tutti i modelli epidemiologici, seppure diIIerenti, hanno in comune il Iatto di spiegare i macroIenomeni che si producono alla scala di una popolazione, come le epidemie, in quanto eIIetto cumulativo di microprocessi che causano eventi individuali, come il contrarre una malattia. Sotto questo aspetto, i modelli epidemiologici sono palesemente in contrasto con le spiegazioni 'distiche', in cui i macroIenomeni sono spiegati in termini di altri macroIenomeni - per esempio, la religione in termini di strutture economiche (o viceversa). Mentre l'idea del contagio culturale e antica, il primo tentativo serio di un'epidemiologia scientiIica della cultura va cercato probabilmente nell'opera del sociologo Irancese Gabriel Tarde (Les Lois de limitation, 1895). Pur non usando quasi la terminologia epidemiologica, egli insistette sul Iatto che la cultura, e quindi la vita sociale in generale, dovesse essere spiegata 8 come l'eIIetto cumulativo di un numero di processi di trasmissione interindividuale attraverso l'imitazione. Piu di recente, alcuni autori - tra i quali Donald Campbell (1974), Richard Dawkins (1976, 1982), Cavalli-SIorza e Feld- man (1981), Lumsden e Wilson (1981), Boyd e Richerson (1985) e William Durham (1991) - hanno adattato il modello darwinista della selezione al caso della cultura. Si tratta sempre di approcci epidemiologici (cosi chiamati da Cavalli-SIorza e Feldman, descritti semplicemente come 'evoluzionisti' dagli altri). Richard Dawkins ha reso popolare l'idea che la cultura sia Iatta di unita, da lui denominate 'memi', le quali, al pari dei geni, vengono riprodotte e selezionate. Gli approcci darwinisti, che prendono a prestito i loro modelli dalla genetica delle popolazioni, garantiscono solo un ruolo limitato alla psicologia. I micromeccanismi che causano la propagazione delle idee sono invece per la maggior parte psicologici, e piu speciIicamente cognitivi. La psicologia cognitiva ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti negli ultimi tre decenni. Essa ha beneIiciato recentemente di una prospettiva evoluzionistica sull'evoluzione psicologica della specie umana sviluppata indipendentemente dagli approcci darwinisti alla cultura (vedi Cosmides e Tooby 1987). Credo che la psicologia cognitiva Iornisca una delle Ionti principali di intuizione per spiegare la cultura. L'approccio che diIendo qui e insieme epidemiologico e cognitivo e, come vedremo, piu vicino al darwinismo sul versante cognitivo che su quello epidemiologico. Penso all'epidemiologia delle rappresentazioni come a un programma di ricerca naturalistico nelle scienze sociali. Le scienze sociali costituiscono un'alleanza insieme vasta e debole di programmi di ricerca con scopi molto diIIerenti, che variano dalla sociolinguistica all'economia di mercato, dalla storia giuridica all'etnopsichiatria, dallo studio dei testi vedici a quello delle scelte degli elettori. Molti programmi di ricerca nelle scienze sociali vertono su argomenti regionali o storici; molti sono guidati da preoccupazioni pratiche. Anche un unico campo come l'antropologia (sul quale mi concentrero) include programmi di ricerca su argomenti tanto diversi quanto la semantica dei termini di parentela, la tecnologia della pesca, lo studio postmoderno del postcolonialismo, lo studio culturale della scienza, l'antropologia della nutrizione e quella della coscienza. Quasi tutti questi programmi di ricerca nelle scienze sociali insistono sull'etichetta 'scienza', anche solo perche e verso la scienza che vanno i soldi della ricerca. Insistere che non si tratta davvero di scienze, come se 'scienza' Iosse un marchio di qualita, lo champagne dei prodotti intellettuali, e spesso solo 9 un modo indiretto per negare loro rispettabilita e risorse. Anche se non tutti i programmi di ricerca meritano lo stesso sostegno, i tentativi di sminuire le scienze sociali ignorano in generale la diIIicolta del loro compito, le competenze che esse hanno accumulato e il ruolo che svolgono nella vita democratica. Lasciamo liberi gli scienziati sociali di utilizzare l'etichetta 'scienza'. La questione interessante non e se le scienze sociali siano scienze, ma se siano in continuita con le scienze naturali (assumendo, come Iaccio qui, che le scienze naturali siano tra di loro in continuita). I programmi di ricerca nelle scienze sociali tendono a esibire un salutare eclettismo nella loro metodologia, e si servono di qualsiasi strumento di cui hanno bisogno. In particolare, quando risulta produttivo usare metodi mutuati dalle scienze naturali, solitamente li usano. Ma, molto spesso, la metodologia delle scienze naturali e ingombrante e inutile per gli scopi delle scienze sociali. L'immaginazione psicologica, la comprensione intuitiva e le valutazioni basate sull'esperienza sono strumenti piu eIIicaci. L'uso dei metodi delle scienze naturali puo comunque essere necessario, ma non e suIIiciente per Iar si che un progetto di ricerca sia un progetto di ricerca naturalistico (com'e illustrato dal caso dell'economia: molto scientiIica nei suoi metodi, ma per nulla naturalistica). Cio che conta di piu e l'obiettivo. Un obiettivo naturalistico prototipico e scoprire qualche meccanismo che spieghi un ampio spettro di Ienomeni in una maniera controllabile. Pochi programmi di ricerca nelle scienze sociali si pongono questo tipo di obiettivo. Quelli che lo hanno e hanno un ragionevole successo - come per esempio la storia demograIica - si occupano di aspetti molto particolari dell'ambito sociale. Non conosco nessun programma naturalistico che abbia realmente delineato un approccio causale e meccanicistico ai Ienomeni sociali in generale. Perche non esiste ancora oggi una scienza naturale del sociale? Primo, perche pochi scienziati sociali si sono impegnati a sviluppare una scienza simile. Secondo, e ancora piu importante, perche gli oggetti su cui vertono le scienze sociali - come la politica, la legge, la religione, la moneta, l'arte - non si inscrivono in modo evidente nel mondo naturale. Come si puo Iare per situare gli oggetti sociali nella natura, in altre parole per 'naturalizzarli'? Qui la scienza cognitiva e rilevante sotto piu di un aspetto. Un programma naturalistico e un programma che stabilisce continuita Iondamentali tra il proprio ambito e quello di una delle scienze naturali adiacenti. Le scienze psicologiche sono immediatamente attigue alle scien 10 ze sociali e alcuni dei loro programmi di ricerca, grosso modo quelli che rientrano sotto l'etichetta di 'scienza cognitiva', sono oggetto di uno sIorzo di naturalizzazione piu o meno avanzato. E presumibile quindi che naturalizzare l'oggetto delle scienze sociali signiIichi stabilire una certa continuita tra queste e i programmi della scienza cognitiva. Lo sviluppo della scienza cognitiva ha posto sotto una nuova luce la domanda: Come si situano i Ienomeni mentali nella natura? Benche non abbia ricevuto ancora una risposta univoca, questa domanda e oggi compresa molto meglio della questione analoga su come si situano i Ienomeni sociali nella natura. Situare i Ienomeni mentali nella natura e un problema che puo essere aIIrontato con almeno tre strategie diIIerenti. La prima consiste nel tentare di ridurre il mentale al neurologico, il cui carattere naturale e palese. Secondo il riduzionismo, ogni descrizione di un Ienomeno mentale in termini psicologici potrebbe essere tradotta puramente e semplicemente in termini neurologici. La seconda strategia consiste nell'indebolire i criteri secondo i quali si riconosce un Ienomeno come naturale. Si puo sostenere che ogni Ienomeno mentale particolare sia un Ie- nonieno neurologico e quindi naturale, anche se la sua descrizione in termini di categorie psicologiche non e traducibile in categorie neurologiche. Un naturalismo minimale, senza riduzionismo. La terza strategia di naturalizzazione del mentale consiste nel riconcettuali::are l'intero ambito, e nell'eliminare tutti i concetti che non si riducano a entita naturali. Si parla in questo caso di eliminativismo. Nello stesso spirito, si possono immaginare tre modi di naturalizzare il sociale. Ognuno comporta delle diIIicolta. Si potrebbe voler ridurre il sociale al naturale. I Ienomeni sociali come li conosciamo sono riducibili a Ienomeni naturali? Le vere riduzioni sono grandi successi scientiIici. Nelle scienze sociali, comunque, 'riduzionista' e un termine oIIensivo, come se la riduzione Iosse un'opzione vera e propria che per qualche ragione deve es- sere impedita. In realta, non e mai stata suggerita ne sviluppata alcuna seria riduzione dei concetti o delle teorie delle scienze sociali a quelli delle scienze naturali. La riduzione e quindi una possibilita di principio - importante per il ruolo che gioca nelle altre scienze e ancor di piu nella IilosoIia della scienza - ma in questo caso non e ne una speranza ne un rischio eIIettivo. Oppure si potrebbero indebolire i criteri naturalistici. Si potrebbe sostenere (adattando un'idea di Putnam e Fodor in IilosoIia della mente) che ogni Ienomeno sociale particolare sia un Ienomeno naturale particolare, anche se le categorie della sociologia sono irriducibili a quelle di qualsiasi altra scienza. Ma 11 in che senso questo aiuterebbe a Iormulare il tipo di generalizzazioni che una scienza sociale naturalista dovrebbe produrre? Le generalizzazioni vertono inevitabilmente su categorie e non su Ienomeni particolari. La terza possibilita e di riconcettuali::are il sociale. Potrebbe darsi che il nostro modo di sezionare concettualmente il sociale non ne segua le giunture naturali. In questo caso, gli attuali concetti delle scienze sociali dovrebbero essere sostituiti - almeno nel quadro di un programma naturalistico - con una nuova batteria di concetti. Il sociale dovrebbe essere sezionato in modo tale che le categorie dei Ienomeni sociali corrispondano chiaramente alle categorie dei Ienomeni naturali. Ma come Iare? E, supposto che si sappia come Iare, come potremmo evitare il rischio, elimi- nando il vecchio schema concettuale, di privarci allo stesso tempo delle competenze espresse attraverso questo schema? Se queste sono le tre maniere concepibili di naturalizzare il sociale, e se ognuna incontra tali diIIicolta, perche non rinunciare semplicemente al progetto? Perche le scienze sociali non dovrebbero restare per conto loro? La riduzione mi sembra impossibile, e un indebolimento del termine 'naturale' inutile (almeno nel caso delle scienze sociali; il caso delle scienze cognitive e diverso; si veda il capitolo 1). Credo invece che un approccio epidemiologico renda possibile, e anche necessario, riconcettualizzare il sociale. La mia proposta e la piu modesta possibile per quanto sia concesso a progetti cosi ambiziosi. Mostrero che il nuovo schema concettuale stabi- lisce una relazione sistematica con quello standard, e cio rende possibile trarre il massimo dei beneIici dai risultati gia acquisiti nelle scienze sociali. Lo scopo del programma naturalistico si rivela essere non una Grande Teoria - una Iisica del mondo sociale, come l'immaginava Auguste Comte - ma un complesso di modelli interconnessi di scala media. La vita sociale umana e solo un aspetto della vita di una specie animale tra milioni su un piccolo pianeta da qualche parte nel cosmo. E il risultato di una congiunzione improbabile di inIiniti Iattori diversi. Non c'e ragione di attendersi che la vita sociale umana esibisca la semplicita e la sistematicita che si trovano in Iisica o in chimica, o, in misura minore, in biologia mole- colare. Molte scienze naturali - la geograIia, la climatologia, l'e- pidemiologia, per esempio - hanno oggetti ben poco chiari e nessuna Grande Teoria. Cosi sarebbe anche una scienza sociale naturale intesa come epidemiologia delle rappresentazioni. Il capitolo 1, Come essere un vero materialista in antropologia, introduce il progetto di un'epidemiologia delle rappresen 12 tazioni da un punto di vista IilosoIico. Si puo perseguire un programma naturalistico nelle scienze sociali, ma questo richiede di ripensare le categorie stesse attraverso le quali aIIrontiamo il problema. Il capitolo 2, Interpretare e spiegare le rappresenta:ioni culturali, presenta il progetto da un punto di vista piu social-scientiIico. Esso prende in considerazione i diIIerenti tipi di comprensione cui l'antropologia dovrebbe mirare, mettendo a conIronto, in particolare, le spiegazioni interpretative e quelle causali. Il progetto epidemiologico viene inquadrato in relazione ad altri tipi di spiegazioni causali. Il capitolo 3, Antropologia e psicologia. verso unepidemiologia delle rappresenta:ioni, amplia l'idea generale di un'epidemiologia delle rappresentazioni introdotta nei due capitoli precedenti e la illustra brevemente. Fu presentato per la prima volta come Malinowski Memorial Lecture alla London School oI Economics nel 1984 ed e divenuto un testo di riIerimento, al quale ho apportato poche modiIiche. Il capitolo 4, Lepidemiologia delle creden:e, sviluppa uno dei temi dei capitoli precedenti e illustra come la psicologia e l'antropologia possano essere molto rilevanti luna per l'altra sia nel rispondere ad alcune delle tradizionali e rispettive domande, sia nel Iormulare nuovi problemi comuni. E basato su miei lavori precedenti sulle credenze apparentemente irrazionali (si veda Sperber 1985, cap. 2), integrati in una prospettiva epidemiologica. Mentre l'idea centrale di un'epidemiologia delle rappresentazioni e relativamente semplice da spiegare, alcune delle principali questioni che questo approccio potrebbe aiutare a illuminare sono molto complesse. Gli ultimi due capitoli riguardano questi problemi, e sono ancora piu ambiziosi dei quattro precedenti, e anche un po' piu diIIicili. Il capitolo 5, Sele:ione e attra:ione nellevolu:ione culturale, riguarda i diIIerenti modi di modellizzare l'evoluzione culturale. ConIronto i modelli 'selezionisti' dell'evoluzione culturale diIesi da Richard Dawkins e altri con un modello epidemiologico piu generale dell'attrazione culturale, in cui viene dato un ruolo maggiore ai meccanismi psicologici. Il capitolo 6, Modularita del pensiero ed epidemiologia delle rappresenta:ioni, prende come punto di partenza un'idea proposta molto tempo Ia da Noam Chomsky (e alla quale avevo latto eco in Sperber 1968 e in altri scritti dell'epoca). Chomsky sostiene che sarebbe meglio concepire la mente umana non come un'intelligenza generale capace di Iare tutto, ma come una combinazione di molti meccanismi che sono in parte program- mati geneticamente. Questi 'moduli' (per usare il termine reso 13 Iamoso da Jerry Fodor) sono specializzati in modi diIIerenti, sia per quanto riguarda i domini cognitivi che trattano, sia per il genere di trattamento dell'inIormazione che eIIettuano. Tra questa visione molto innatista della cognizione e il riconoscimento della diversita culturale esiste pero una tensione che suggerisce, al contrario, che la mente sia indeIinitamente mal- leabile. Un modo di risolverla sarebbe negare, o minimizzare, la modularita della mente. In questo capitolo Iaccio esattamente l'opposto: diIendo una modularita massiva della mente cercando poi di mostrare come le Iorti predisposizioni cognitive, geneticamente determinate, non solo siano compatibili con il tipo di diversita culturale che incontriamo, ma contribuiscano addirittura a spiegarla. 14 1. Come essere un vero materialista in antropologia Che tipo di cose sono le cose socioculturali? (Mi Iermo subito. Non credo che tra cose sociali e cose culturali esista una diIIerenza, ne voglio ripetere per tutto il libro l'espressione 'socioculturale'; lancio quindi una moneta: se viene testa, optero per 'sociale', se viene croce, per 'culturale'. Croce! Da qui in avanti 'culturale' signiIichera 'socioculturale', anche se mi riservo il diritto di usare occasionalmente 'sociale' e 'socioculturale', in particolare nell'esporre le posizioni di altri.) Che tipo di cose sono le cose culturali? Dove sono situate nel mondo e quale rapporto hanno con cio di cui parlano le altre scienze? Si tratta di domande IilosoIiche, o piu precisamente ontologiche (l'ontologia, in senso classico, e quella branca della IilosoIia che cerca di rispondere alla domanda: Cosa c'e nel mondo? a un livello molto astratto). Le domande ontologiche hanno implicazioni pratiche per la ricerca antropologica; in particolare e in gioco il modo in cui gli antropologi possono, o devono, collaborare con altre discipline, e la misura in cui quello che hanno da dire ha un ruolo in una visione del mondo generale e coerente (anche se, ovviamente, Irammentaria). Le scienze naturali raggiungono un alto livello di coerenza e interazione reciproca, in parte perche sono basate sulla stessa ontologia materialista. Per un materialista moderno, 1 tutto cio che ha un potere causale lo deve esclusivamente alle sue pro 1 Un termine pi esatto sarebbe 'fisicalista' (chi crede che tutto ci che esiste esista fisicamente, lasciando ai fisici il compito di spiegare che cosa significa 'fisicamente'), dato che la nozione stessa di materia implicata in 'materialista' poco chiara. Il vecchio termine 'materialista' pi conosciuto, specialmente nelle scienze sociali, e, in ogni caso, le sottili discussioni sul ruolo della materia in fisica sono irrilevanti per il mio scopo. 15 prieta Iisiche; cio vale allo stesso modo per le molecole, le stelle, i Iiumi, i batteri, le popolazioni animali, i cuori e i cervelli. Il materialismo non implica il riduzionismo. Esso non vincola gli scienziati che lo accettano a descrivere gli oggetti della loro disciplina - e i processi causali in cui tali oggetti entrano - con il lessico della Iisica, ma li vincola a descrivere gli oggetti e i processi in modo tale che identiIicare le proprieta Iisiche coinvolte sia alla Iine un problema trattabile e non un mistero insondabile (per usare la Iamosa distinzione di Chomsky - si veda Chomsky 1975). Antropologia e ontologia Sembra invece che nel mondo delle scienze sociali - e in particolare in quello dell'antropologia - sia assente qualsiasi vincolo ontologico. E vero che gli antropologi a volte esprimono le proprie visioni ontologiche, ma esse generalmente non portano a nessun impegno metodologico. Le visioni ontologiche possono essere di tre tipi: due tipi di 'materialismo', uno vuoto, l'altro autocontraddittorio, e una visione dualista o pluralista secondo la quale esiste un livello culturale autonomo della realta. La tesi dell'autonomia ontologica della cultura e generalmente espressa in una serie di negazioni: i Iatti culturali non sono Iatti biologici; non sono Iatti psicologici; non sono una sommatoria di Iatti individuali. Ma allora cosa sono? Dove sono situati nello spazio e nel tempo? A quali leggi causali obbediscono? Come si collegano ad altri tipi di Iatti? Non ci sono risposte ben argomentate a queste domande. Se assumiamo che esista una discontinuita Iondamentale tra il biologico o il mentale da un lato e il culturale dall'altro, il risultato e di isolare l'antropologia sia dalla biologia che dalla psicologia, e di riIiutare come un errore a priori qualsiasi contributo e, ancor di piu, qualsiasi critica proveniente da tali discipline. Per raggiungere questo discutibile risultato non c'e bisogno di sviluppare in dettaglio l'idea di un'autonomia della cultura; basta postularla. Il materialismo vuoto consiste nel dire che tutto e materiale, anche le cose socioculturali, e Iermarsi qui. E possibile; ma Iino a quando non si comincia a riIlettere sull'esistenza materiale di tali cose, Iino a quando si invocano relazioni causa-eIIetto tra loro senza nemmeno provare a immaginare quali processi materiali possano causarle, ci si limita semplicemente a utilizzare modi di dire materialistici. Si puo ricorrere a un certo numero di metaIore standard che evocano il carattere materiale delle cose socioculturali: la metaIora meccanica delle 'Iorze' so 16 ciali, quella astronomica della 'rivoluzione', quella geologica della 'stratiIicazione', e molte metaIore biologiche della 'vita' ( culturale, della 'riproduzione', e cosi via. Nessuna di esse e pero mai stata sviluppata in un modello materialistico plausibile; il materialismo vuoto aiuta a eludere le accuse di idealismo o di dualismo, ma, al di la di cio, non ha eIIetti sulla pratica della ricerca. Il materialismo autocontraddittorio e un eIIetto collaterale del marxismo mal digerito. Esso consiste in due aIIermazioni, La prima coincide con quella del materialismo vuoto: tutto cio che esiste, comprese le cose socioculturali, e materiale. La seconda e che l'aspetto materiale dell'ambito sociale, grosso modo l'ecologia e l'economia, ne determina quello non materiale, grosso modo la politica e la cultura. La contraddizione e patente-: la seconda aIIermazione, che mette a conIronto un aspetto materiale e uno non materiale o meno materiale dell'ambito so- ciale, e dualistica, incompatibile quindi con il materialismo nel senso ontologico del termine. Se il materialismo e corretto, allora tutto e materiale: la legge, la religione e l'arte non meno delle Iorze e dei rapporti di produzione. Da un punto di vista realmente materialistico, gli eIIetti non possono essere meno materiali delle cause. Ci sono due modi di evitare la contraddizione di questo tipo di materialismo. Il primo consiste nell'abbandonare il materialismo ontologico e adottare qualche Iorma di pluralismo ontologico: nel mondo sociale ci sono sia oggetti materiali che oggetti non materiali. A questo prezzo, deve essere concepibile (ma non mi si chieda come) che le cose materiali determinino quelle non materiali. Il secondo modo di uscire dalla contrad- dizione e piu Iedele al marxismo (almeno a quello di Engels) e consiste nel togliere alla seconda tesi, quella del determinismo economico, ogni portata ontologica: un aspetto del mondo materiale determina un altro aspetto del mondo materiale. Forse e cosi, ma l'ontologia, e in particolare il tipo di materialismo su cui si basano le scienze naturali, non ha nulla a che Iare con questo. Cio che resta, quindi, dal lato ontologico, e la prima tesi: tutto cio che esiste e materiale; ma ricadiamo cosi nuovamente nel classico materialismo vuoto. Guardare al modo in cui gli scienziati sociali articolano la loro ontologia non e la sola via - e Iorse nemmeno la migliore - per scoprire quali siano gli oggetti di questa ontologia; guardare alla loro pratica potrebbe dirci qualcosa di piu. L'antropologia implica l'esistenza di cose culturali irriducibili? Gli antropologi parlano con naturale competenza di clan, lignaggi, matrimoni, sistemi di parentela, tecniche agricole, miti, 17 rituali, sacriIici, istituzioni religiose, sistemi politici, codici giuridici e cosi via. Questi tipi culturali non sono e non corrispondono a tipi biologici o psicologici. Gli antropologi hanno buone ragioni quindi di opporsi a qualsiasi tipo di riduzionismo - in particolare quello biologico o psicologico - nello studio della cultura, e buone ragioni per trattare la cultura autonomamente. L'antiriduzionismo degli antropologi e la loro adesione all'autonomia della cultura non devono, pero, essere interpretati come un vero dualismo. L'antiriduzionismo e in realta compatibile con una Iorma modesta di materialismo che renda conto dei diIIerenti livelli ontologici in un mondo interamente materialista, come mostrano i recenti sviluppi della IilosoIia della psicologia. L'esempio della psicologia puo aiutare gli antropologi ad andare al di la della sgradevole scelta tra un pigro dualismo e un materialismo vuoto o contraddittorio? Lontologia della psicologia. un esempio da seguire? Anche in psicologia si e pensato a lungo di dover scegliere tra il dualismo - i Iatti mentali e quelli materiali, in particolare quelli neurologici, sono di natura radicalmente diIIerente - e il materialismo vuoto. Esistevano metaIore materialiste, le metaIore biologiche di Freud, la metaIora meccanica della piage- tiana 'equilibrazione', per esempio, ma nessun modello materialista. Solo alcuni comportamentisti trassero conclusioni pratiche dal loro materialismo, ma che conclusioni! Incapaci di Iornire spiegazioni materialiste dei Ienomeni mentali, essi cercarono di bandirli dalla psicologia. Verso la meta degli anni trenta, il matematico Alan Turing concepi un meccanismo realizzabile materialmente in grado di elaborare inIormazione. Fatto ancora piu importante, egli dimostro che una macchina di Turing (come venne battezzata) puo eseguire qualsiasi operazione sull'inIormazione codiIicata che ogni altro meccanismo Iisico Iinito, quali che siano la sua organizzazione e il modo in cui codiIica l'inIormazione, puo eseguire. Per dirla in breve, la scoperta di Turing e, piu in generale, la teoria matematica degli automi, sembrarono Iornire un modo di comprendere come la materia puo pensare. Furono necessari ancora vent'anni, con lo sviluppo dei computer e alcuni importanti progressi in neurologia, perche l'impatto della scoperta di Turing si Iacesse sentire in psicologia, e venisse sviluppato un approccio realmente materialista alla cognizione. Dopo decenni di censura comportamentista Iu possibile studiare nuovamente i processi mentali senza ridurli a processi comportamentali o neurologici. Studiarli signiIicava ora stabi 18 lirne l'esistenza materiale, il che a sua volta signiIicava scomporli in sottoprocessi elementari la cui realizzazione materiale, per esempio in un computer, era divenuta non problematica. Stabilire la possibilita materiale di un tipo di processo mentale - per esempio ricordarsi di una sequenza sonora - non e lo stesso che descriverne l'eIIettiva realizzazione in un cervello umano. Il processo di ricordare la stessa inIormazione puo essere eseguito attraverso vari tipi di processi materiali in cervelli diversi, animali o umani, o addirittura nello stesso cervello in occasioni diIIerenti. Il processo puo essere programmato in maniere diverse, ed eseguito in vari modi da calcolatori diIIerenti. Un modello materiale di un tipo di processo mentale puo non assomigliare per nulla ai processi mentali che lo realizzano eIIettivamente, anche se questo tipo di modelli puo anche servire come ipotesi piu o meno dettagliata sulla Iorma reale dei processi mentali rappresentati (con implicazioni veriIicabili in termini di tempi di reazione, tipi di patologia, ecc.). Mentre le versioni piu Iorti di materialismo implicano che i tipi psicologici possono essere ridotti o eliminati a Iavore dei tipi neurologici, il materialismo piu modesto che ispira l'attuale ricerca cognitiva non implica il riduzionismo. Esso implica semplicemente che ogni occorren:a di un processo mentale e identica a un'occorrenza di un processo neuronale (vedi Fodor 1974). Tale materialismo piu modesto, combinato con i progressi nella teoria Iormale degli automi e nella neurologia, e comunque una Iorma di vero materialismo con conseguenze pra- tiche: esso impone Iorti vincoli su quali siano i modelli psicologici accettabili. Si tratta di un materialismo con implicazioni teoretiche: i poteri causali che si attribuiscono ai processi men- tali dipendono dalle loro proprieta materiali. IdentiIicare tali proprieta diventa cosi un obiettivo intelligibile, seppure diIIicile. Il materialismo modesto assicura tuttavia una certa autonomia al livello psicologico. Gli antropologi potrebbero ispirarsi, Iino a un certo punto, agli scienziati cognitivi. Potrebbero essere tentati di dire che, se da un lato ogni occorren:a di una cosa culturale e un'occorren- za di una cosa materiale, dall'altro lato tipi di cose culturali non corrispondono o non possono essere ridotti a tipi di cose materiali. Non si tratterebbe pero di molto di piu di una versione moderna del materialismo vuoto. Perche l'antropologia dovi ebbe essere diIIerente dalla psicologia? Per due ragioni. Per cominciare, il luogo materiale dei processi psicologici e abba- stanza chiaro, ed e omogeneo: le occorrenze dei processi psicologici sono occorrenze di processi neurologici, e questi ultimi iniziano a essere compresi meglio. Invece, se i processi cultura 19 li hanno una realizzazione materiale, essa e varia poiche comporta ogni sorta di processo psicologico, biologico e ambientale. In secondo luogo, non esiste una scoperta Iormale paragonabile a quella di Turing che ci Iornisca una comprensione radicalmente nuova della realizzazione materiale degli oggetti culturali. Il carattere materiale dei tipi culturali riconosciuto dagli antropologi resta misterioso come sempre. Fra il caso dell'antropologia e quello della psicologia esiste una disanalogia ancora piu proIonda. La ragione principale per adottare un materialismo modesto in psicologia e l'esistenza di un ricco corpus di conoscenze condivise, la Iormulazione delle quali richiede di rendere conto di molti tipi psicologici come la credenza, il desiderio, la memoria, l'inIerenza, l'immaginazione e cosi via. Non sembra ragionevole rinunciare a tale corpus, ne realistico vedere in questi tipi semplici strumenti termino- logici privi di riIerimento nel mondo. Nonostante l'opposizione di alcuni IilosoIi - Churchland (1988 2 ), Dennett (1987) o Stich (1983) -, dettata da ragioni diIIerenti, e possibile accettare i presupposti ontologici della psicologia, cosi com'e, insieme a un presupposto materialista piu generale. Ora, la questione e se esista in antropologia un corpus di conoscenze che valga la pena di conservare e che ci costringa ad accettare l'esistenza di tipi culturali irriducibili. David Kaplan ha sostenuto che sia proprio cosi: L'antropologia ha formulato concetti, entit teoriche, leggi (o se si preferisce, generalizzazioni) e teorie che non fanno parte dell'apparato teoretico della psicologia e non possono essere ridotte a essa. Questa la base logica per trattare la cultura come una sfera autonoma di fenomeni, che non si possono spiegare che in termini gli uni degli altri. inutile sostenere che gli antropologi non possono procedere in questo modo, perch la verit brutale che, nella loro ricerca empirica, questo il modo in cui essi pi spesso procedono. (Kaplan 1965, p. 973) L'argomento di Kaplan contro il riduzionismo si basa, a buon diritto, su una valutazione dei risultati in antropologia che puo essere messa in questione in due modi: di uno Iaro menzione soltanto perche non mi sembra corretto, dell'altro, che ho gia sviluppato altrove (Sperber 1985), cerchero di mostrare alcune implicazioni ontologiche impreviste. Fra gli antropologi non c'e accordo su nulla, eccetto che sul riIiuto di qualche vecchia teoria, come le interpretazioni meteorologiche del simbolismo religioso e la diIesa della proIessione dagli attacchi esterni. Non esiste un solo concetto comune a tutti i ricercatori, ne una teoria condivisa da tutti. In con 20 dizioni simili, si potrebbe sostenere che lo stato della disciplina non permette di concludere nulla sull'autonomia della cultura. Non insistero su questa linea di argomentazione perche sono convinto che gli antropologi, senza arrivare ad alcun tipo di consenso teorico, abbiano ugualmente sviluppato una competenza comune ricca e genuina nello studio dei Ienomeni cultu- rali. Una valutazione dei risultati antropologici che non includa una spiegazione di questa competenza e incompleta, e quindi insuIIiciente per conIutare l'argomento di Kaplan. La mia proposta e invece che i pretesi "concetti", le pretese "entita teoriche, leggi e teorie" dell'antropologia siano in realta strumenti teorici di un altro tipo, cioe strumenti interpretativi. Non e possibile trarre conseguenze ontologiche a partire dalla loro esistenza e utilita: si puo riconoscere il sapere degli antropologi in Iatto di cultura, e negare che sappiano (o si preoccupino di sapere) quali tipi di oggetti culturali esistono veramente. A questo proposito ancora, il caso dell'antropologia e molto differente da quello della psicologia. Un vocabolario interpretativo La questione non e tanto sapere se gli antropologi condividano dei concetti teorici, ma se abbiano concetti teorici propri. Quello che possiedono e una serie di termini tecnici - tecnici nel senso che sono termini del mestiere piuttosto che del linguaggio comune (o sono termini del linguaggio comune usati In modo non comune). Non si tratta pero di termini teorici: la loro origine, il loro sviluppo, signiIicato e uso sono larga- mente indipendenti dallo sviluppo o dal contenuto di una ve- ra e propria teoria (del tipo di quelle che presuppongono un'ontologia). Nel caso della storia dell'antropologia, molti termini tecnici sono stati analizzati criticamente: si vedano, per esempio, la critica di 'tabu' di Franz Steiner (1956) e Mary Douglas (1966), di 'totemismo' di Goldenweiser (1910) e Levi-Strauss (1962b), di 'patri-' e 'matri-linearita di Leach (1961), di 'credenza' di Needham (1972), e, ovviamente, di 'cultura' da parte di un grande numero di antropologi (si vedano Kroeber e Kluckhohn 1952, Gamst e Norbeck 1976). La vaghezza o l'arbitrarieta di questi termini e stata sottolineata molte volte ma, nonostante il lavoro critico, non ci sono segnali che ci dicano che gli antropologi stiano convergendo su un insieme di nozioni meglio deIinite e piu motivate. Si puo dire che oggi ci siano piu divergenze rispetto a mezzo secolo Ia, ma non una maggior precisione in- tellettuale. 21 Leach (1961) e Needham (1971, 1972, 1975) hanno sostenuto con convinzione che la vaghezza dei termini antropologici non e accidentale, ma ha a che Iare con il modo in cui si sono sviluppati e con i tipi di oggetti in riIerimento ai quali sono stati impiegati; se in antropologia vogliamo dei veri e propri termini teorici, dobbiamo costruirne di nuovi. Needham ha anche sostenuto che in antropologia e meglio intendere i termini tecnici come termini che hanno 'somiglianze di Iamiglia' o termini 'politetici', cioe termini che si riIeriscono a cose tra le quali esiste una somiglianza, ma che non cadono sotto una sola deIinizione. L'esempio classico, sviluppato da Wittgenstein (1953), di un termine che ha una 'somiglianza di Iamiglia' e quello di 'gioco'. Caratteristiche tipiche dei giochi sono: l'essere 'competitivi', 'divertenti', o l''obbedire a regole'. In realta, i solitari non sono competitivi; una partita a scacchi non e sempre un divertimento e si puo giocare a palla senza regole particolari. Piu tecnicamente, un termine 'politetico' e caratterizzato da un insieme di tratti dei quali nessuno e necessario, ma di cui ogni sottoinsieme suIIicientemente ampio basta per Iar si che qualcosa possa essere compreso nel termine. Un termine politetico non deve essere completamente politetico: tutti i suoi reIerenti possono condividere una o piu caratteristiche; ma Iino a quando tali caratteristiche necessarie non sono suIIicienti insieme, il termine rimane politetico. In realta si deve dubitare che vengano mai usati termini interamente politetici (ossia senza nessun tratto necessario). Tutti i membri di una classe politetica utile appartengono normalmente allo stesso dominio, che determina almeno una caratteristica comune. Tutti i membri della classe 'gioco' hanno la caratteristica comune di essere delle attivita. Voglio mostrare che i termini antropologici hanno un'organizzazione Iondata su un tipo di somiglianza, ma un tipo diverso da quella indicata da Wittgenstein e Needham. Essi intendevano una somiglianza tra gli oggetti descritti dallo stesso termine. Per esempio, ogni cosa descritta come un gioco assomiglia alle altre cose descritte come giochi (possiamo chiamarla una 'somiglianza descrittiva'). I termini tecnici antropologici non vengono pero usati semplicemente per descrivere, ma anche per tradurre o rendere i vocaboli o le nozioni dei nativi (o quelle che gli antropologi attribuiscono loro). Essi non sono usati descrittivamente, ma interpretativamente: piu che di una somiglianza tra le cose cui ci si riIerisce con il termine, si tratta di una somiglianza di signi- Iicato Ira tutte le nozioni rese attraverso il termine: possiamo chiamarla una 'somiglianza interpretativa'. Tutte le nozioni che 22 possono essere interpretate appropriatamente attraverso lo stesso termine avranno un"aria di Iamiglia'; anche se puo succedere che due di esse non si somiglino, e certo che esiste almeno un'altra nozione cui entrambe somigliano. Si puo essere tentati di obiettare che si tratta di una distinzione priva di diIIerenza dato che, dopo tutto, nella misura in cui i termini hanno signiIicati simili, sono simili anche le cose che essi denotano. Ci sono pero termini che possono avere signiIicato pur essendo privi di denotazione, vale a dire senza riIerirsi a nulla. La somiglianza tra 'elIo', 'Iolletto', 'spiritello' e 'gnomo' e una somiglianza tra signiIicati, tra idee, e non tra cose. Se un antropologo usasse la parola 'elIo' per rendere conto di una nozione del popolo che studia, cio non signiIicherebbe che creda all'esistenza di creature come gli elIi, ma solo che esistano rappresentazioni di elIi. I termini usati interpretativamente non richiedono che chi li utilizza presupponga l'esistenza delle cose che questi dovrebbero denotare. La visione secondo la quale l'antropologia e essenzialmente una scienza interpretativa e ben conosciuta, ed e stata notoriamente diIesa da CliIIord Geertz (1973). Ritengo anch'io che gli antropologi che studiano una singola cultura siano - a ragione - coinvolti principalmente in un'impresa interpretativa: rappresentare le rappresentazioni indigene attraverso traduzioni, paraIrasi, riassunti e sintesi comprensibili per i loro lettori. Non vedo possibili obiezioni al Iatto che, per questo scopo, essi debbano usare un vocabolario interpretativo. D'altronde, se ho ragione nel sostenere che il vocabolario dell'antropologia e interpretativo, allora le spiegazioni antropologiche sono straordinariamente prive di presupposti ontologici. Cosi come l'uso appropriato di 'elIo' da parte di un antropologo non ci dice nulla sull'esistenza degli elIi, l'uso appropriato di 'matrimonio', 'sacriIicio' o 'tribu' non ci dira se i matrimoni, i sacriIici o le tribu sono parte dell'arredo del mondo. Matrimonio 'Matrimonio', ecco incontestabilmente un termine tecnico dell'antropologia, e una categoria di Ienomeni culturali ben conosciuta. Ma si tratta davvero di un tipo? Tutti i matrimoni rientrano in una singola deIinizione o abbiamo ragioni per credere che essi condividano qualche essenza comune non analizzata? Analizziamo per prima cosa un paio di caratterizzazioni del matrimonio che sono state proposte. Il Notes and Queries in Anthropologv (1951) proponeva: "Il matrimonio e un'unione tra 23 un uomo e una donna tale che i bambini nati dalla donna sono riconosciuti come prole legittima di entrambi i genitori" |tr. it. in Leach 1961, p. 162|. Non c'e bisogno di cercare controesem- pi esotici: nella maggior parte delle societa occidentali la distinzione tra discendenti legittimi e illegittimi e stata abolita, e i bambini nati all'interno o Iuori del matrimonio possono godere degli stessi diritti. L'unico senso in cui alcuni Iigli possono essere ancora chiamati 'illegittimi' e precisamente che sono nati al di Iuori del matrimonio. Ma questo, ovviamente, rende circolare la deIinizione di matrimonio in termini di legittimita dei discendenti. Esaminiamo la posizione di Levi-Strauss: "Anche se ci sono molti tipi di matrimoni osservati nelle societa umane |...| il Iatto sorprendente e che ovunque esiste una distinzione tra matrimonio, ossia legame legale, sancito dal gruppo, tra un uomo e una donna e il tipo di unione permanente o temporanea che risulta o dalla violenza o dal solo consenso" (1956, p. 268, corsivo mio). Nello stesso saggio, Levi-Strauss trova un controesem- pio alla sua caratterizzazione. Egli sostiene che molte "societa cosiddette poligamiche |...| stabiliscono una diIIerenza importante tra la 'prima' moglie che e la sola vera sposa cui spettano tutti i diritti che uno stato maritale comporta, mentre le altre non sono molto di piu di concubine uIIiciali" (ivi, p. 267). Il legame tra un uomo e la sua concubina uIIiciale e sicuramente sancito dal gruppo, altrimenti in che senso sarebbe 'uIIiciale'? Quindi, se Levi-Strauss vuole distinguere questo legame dal vero matrimonio, la sua caratterizzazione del matrimonio non regge. Non e un caso che questi tentativi di deIinire il 'matrimonio' Ialliscano. Leach ha sostenuto che "il matrimonio e |...| un 'insieme di diritti'; da cio deriva che tutte le deIinizioni universali di matrimonio sono inutili" (1961, p. 105; tr. it. p. 161). I diritti pertinenti variano a suo parere da societa a societa. Leach elenca dieci tipi di diritti, da quello di "stabilire il padre legale dei Iigli di una donna" a quello di "stabilire una 'relazione di aIIinita' socialmente signiIicativa tra il marito e i Iratelli della moglie" e mostra come non uno solo di questi diritti sia presente in tutti i tipi di matrimonio. Portando avanti l'argomento di Leach, Needham conclude che 'matrimonio' e una parola 'tuttoIare': e molto utile in tutti i tipi di enunciati descrittivi, ma piu che Iuorviarne nelle comparazioni e priva di valore nell'analisi (1971, p. 8). Ci sono due modi in cui la parola 'matrimonio' puo essere deIinita una parola 'tuttoIare': essa viene utilizzata contemporaneamente in maniera diIIerente da ogni antropologo; inoltre, cosa piu im- 24 portante, viene utilizzata in maniera diIIerente da ogni antropologo all'interno del suo stesso campo. Immaginate un antropologo che studia gli Ebelo. Egli puo iniziare con il chiedersi se posseggano l'istituzione del matrimonio, ma sarebbe strano se lo Iacesse: Ira gli antropologi viene generalmente dato per assodato che il matrimonio sia universale. Il nostro antropologo non si aspetta pero di incontrare una pratica che corrisponda perIettamente a una deIinizione costituita di matrimonio per il semplice Iatto che questa deIinizione non esiste. Quello che si aspetta di trovare e un'istituzione indigena che egli possa chiamare 'matrimonio' con la stessa giustiIicazione che hanno gli altri antropologi quando usano questa parola. Il problema che deve aIIrontare non e se gli Ebelo si sposino 0meno, ma, come ha detto Peter Riviere, "quali delle Iorme di relazione tra i sessi |...| deve essere considerata la relazione maritale" (1971, p. 65). La logica e quella di un gioco di societa: quale di queste Iorme di relazione potrebbe essere quella del matrimonio? Ci vorrebbe una societa davvero strana, o un antrppologo davvero distratto, per non rispondere a questa do- manda. Non e sorprendente, allora, che il matrimonio si trovi in tutte le societa. Cio e possibile proprio perche il termine 'ma- 1trimonio', quale che sia la sua utilita, non designa un tipo preciso di oggetto culturale. Come agisce allora il nostro antropologo per identiIicare quale Iorma ebelo di relazione e quella 'maritale'? Guarda le diverse relazioni? No, le relazioni non sono il tipo di cose che si possono guardare. Quello che Ia, approssimativamente, e chiedere agli Ebelo di descrivere con i loro termini i tipi di relazioni che essi intrattengono; poi decide quale delle nozioni native, e, possibilmente, quale dei termini nativi e reso meglio con 'matrimonio'. Il nostro antropologo arriva alla conclusione che 'matrimonio' corrisponde al termine ebelo kwiss e spiega cio che ritiene credano gli Ebelo: il matrimonio - ossia kwiss - e un legame tra un uomo e una donna benedetto dagli spiriti degli antenati. Si noti, tra l'altro, che in questa caratterizzazione del signiIicalo di matrimonio/kwiss anche 'legame', 'benedetto', 'spiriti degli antenati' sono nozioni usate interpretativamente. Esse non sono cioe usate per descrivere cose, ma per rendere conto di altre nozioni ebelo. Un nuovo caso di matrimonio, quello ebelo, e stato ora aggiunto allo stock antropologico sulla base di una somiglianza. 'Matrimonio' e diventato un termine tecnico dell'antropologia quando un antropologo - o Iorse uno storico? - decise che 25 qualche nozione esotica o antica poteva essere resa in modo migliore dalla parola del linguaggio comune 'matrimonio'. Da allora, il termine 'matrimonio' ha cominciato a estendersi, e i suoi contorni a Iarsi piu sIumati, a mano a mano che nozioni diIIerenti venivano interpretate per suo tramite. Il signiIicato di 'matrimonio' negli scritti antropologici e diventato una pratica sintesi o un composto delle nozioni particolari e ben diverse che il termine serve a interpretare. Si deve sottolineare che, perche una nuova nozione possa essere resa con 'matrimonio', non e necessario che ricada sotto qualche nozione generale trasmessa dal termine; tutto quello di cui c'e bisogno e che somigli nel contenuto al signiIicato esteso del termine antropologico. Ecco perche la vaghezza dei termini antropologici non e un ostacolo al loro uso; essa non e mai un inconveniente - anzi, spesso e un vantaggio - quando si tratta di stabilire delle somiglianze. Non e quindi per caso che la nozione di 'matrimonio' sia Iondata su un'aria di Iamiglia: e il risultato del modo in cui e stata ed e sviluppata. E la somiglianza e non il possesso di una caratteristica particolare che determina a quali casi si applichi il termine 'matrimonio'. Non c'e ragione di aspettarsi che lo sviluppo dell'antropologia cambi questo stato di cose. In realta, piu aumenta la quantita di casi diversi conosciuti dagli antropologi, e piu vaga diventa la somiglianza tra esempi di matrimonio. Ma la somiglianza che determina l'applicabilita di 'matrimonio' e una relazione tra cose chiamate 'matrimonio' o tra nozioni interpretate attraverso questo termine? E, in altre parole, una somiglianza descrittiva o interpretativa? Se la spiegazione che ho abbozzato del modo in cui gli antropologi identiIicano nuovi casi di matrimonio e corretta, allora evidentemente si tratta di una somiglianza interpretativa. Implica:ioni I due tipi di somiglianza di Iamiglia, quello descrittivo e quello interpretativo, hanno implicazioni ontologiche diIIerenti. Se si suppone che il termine 'matrimonio' sia basato su una somiglianza descrittiva, allora si deve considerare la possibilita che sia solo parzialmente politetico. Certamente tutti i matrimoni sono legami sociali; tutti implicano diritti e doveri legali. Quindi, quando si descrive qualcosa come un matrimonio, si presuppone almeno l'esistenza di legami sociali e di diritti e doveri sociali come tipi di cose basilari nell'ambito delle scienze sociali. I tipi sociologici non sembrano poter essere ridotti ai ti- 26 27 pi di oggetti che si possono ritrovare nelle scienze vicine, come la psicologia, la biologia o l'ecologia. Le tipologie basate su una somiglianza di Iamiglia descrittiva, nonostante la loro vaghezza, possono percio implicare l'esistenza di tipi culturali irriducibili. Non avviene cosi nel caso della somiglianza interpretativa. Immaginate che il nostro antropologo riIerisca che due individui obelo, per esempio Piero e Maria, sono sposati. Nel Iare questo, afferma che esiste un legame tra Piero e Maria che e stato benedetto dagli spiriti degli antenati? Presumibilmente no, anche solo perche dovrebbe credere all'esistenza degli spiriti degli antenati. Quello che riIerisce e invece (in stile libero indiretto, si si veda Sperber 1982) cio che gli Ebelo coinvolti credono di Piero e Maria. Egli interpreta delle idee ebelo. Quali sono le implica- zioni ontologiche di questa interpretazione? Essa implica che esistano degli Ebelo e che nella mente di questo popolo ci siano delle rappresentazioni. C'e qualcosa che lo costringe a ricono- scere l'esistenza di un oggetto o di uno stato di cose che puo essere chiamato pertinentemente 'matrimonio'? Non mi pare. Il nostro antropologo, se e come gli altri antropologi, puo essere disposto ad accettare l'esistenza del matrimonio. Probabilmente da per scontata l'esistenza di qualcosa come il matrimonio, realizzata, in particolare, tra gli Ebelo, ma niente nella sua spiegazione del kwiss ebelo ci obbliga a seguirlo su questa posizione, tutto cio che sappiamo per certo, se crediamo nella sua etno- graIia, e che ci sono alcuni Ebelo che credono che Piero e Maria (e cosi molti altri) siano kwissati. Ma perche dovremmo condi- videre con loro questa credenza, o anche una sua versione razionalizzata in cui vengono omessi gli spiriti ancestrali? Cosa si puo dire allora dell'uso del termine 'matrimonio' nelle ricerche antropologiche di tipo teorico o comparativo? Non cor- risponde almeno a un concetto generale? Se credete che sia cosi, provate a dire a quale. Non sostengo che sarebbe impossibile deIinire un concetto generale che possa essere espresso ragionevol- mente con 'matrimonio'. 2 Quello che voglio dire e semplicemente che non c'e nessuna ragione evidente perche si debba deIinire un concetto che risponda a questa condizione particolare e che gli antropologi, nonostante le apparenze, non si sono mai veramen- te preoccupati di Iarlo: hanno trovato utile astrarlo dai resoconti 1 Si potrebbe, per esempio, adottare l'approccio di Searle (1969) ai 'fatti isti- tuzionali' e definire, grosso modo, 'essere sposato' come essere considerato tale dalle persone appropriate. Questa definizione non ovviamente quella degli (indigeni; essa conserva tutti i problemi di vaghezza delle nozioni basate su una somiglianza di famiglia, presenta problemi specifici di circolarit e non usa- 1 IH In nessuna teoria interessante. etnograIici interpretativi per arrivare a modelli interpretativi generali. Questi modelli non sono veri di niente; quello che Ianno e Iornire un'immagine sintetica della conoscenza etnograIica, Iungendo anche come schizzi di interpretazioni possibili per il lavoro etnograIico successivo. Il termine 'matrimonio', negli scritti antropologici generali e sia una parola vaga che indica approssimativamente l'argomento di cui si sta parlando, sia un termine interpretativo usato sinteticamente. Quello che vale per 'matrimonio' vale in generale per il vocabolario dell'antropologia. 'Tribu', 'casta', 'clan', 'schiavitu', 'stato', 'guerra', 'rituale', 'religione', 'tabu', 'magico', 'stregoneria', 'possessione', 'mito', 'storie' e cosi via, sono tutti termini interpretativi. Esiste una somiglianza di Iamiglia - di tipo interpretativo - Ira tutte le nozioni che ognuno di questi termini serve a rendere; quando sono usati per riIerire esempi speciIici di eventi o di stati di cose, essi aiutano il lettore a Iarsi un'idea del modo in cui le persone descritte percepivano la situazione ('vedere le cose dal punto di vista indigeno', come si usa dire). Cosa ci dicono questi resoconti interpretativi della natura di quello che sta avvenendo? Sicuramente che alcune rappresentazioni sono state concepite e comunicate. In antropologia esistono termini che non sono interpretativi in questo senso, ma che non comportano l'esistenza di un livello ontologico distinto per la cultura. Alcuni sono chiaramente psicologici, come 'classiIicazione dei colori'; altri ecologici, come 'piramide delle eta'. Quello che diIIerenzia i termini psicologici o ecologici usati in antropologia dal lessico speciIico della disciplina e che essi si applicano indipendentemente dal 'punto di vista' delle persone in questione. Gli individui possono classiIicare i colori senza essere al corrente dell'esistenza delle classiIicazioni, cosi come altre popolazioni animali possono avere una piramide delle eta senza avere idea di cosa essa sia. Anche un antropologo pienamente convinto dell'esistenza dei matrimoni sarebbe invece d'accordo sul Iatto che nessun matrimonio reale sia davvero contratto a meno che le persone coinvolte non concepiscano l'idea che un matrimonio (o un kwiss o qualcosa di questo tipo) e stato contratto. Ripeto: la sola cosa certa quando si dice che un uomo e una donna sono sposati e che qualche rappresentazione del Iatto che sono sposati o kwissati e circolata. Di cosa sono fatte le cose culturali? Iniziamo nel modo piu semplice possibile. Le cose culturali sono in parte Iatte da movimenti Iisici degli individui e da mo- 28 diIicazioni dell'ambiente da essi risultanti - per esempio, perso- ne che battono dei tamburi, costruiscono un ediIicio, o uccido- no un animale. Il carattere materiale di questi Ienomeni non costituisce un problema, ma e necessario andare oltre. Si tratta di un esercizio musicale, di un messaggio in codice o di un ri- tuale? Di una casa, di un negozio o di un tempio? Di una ma- cellazione o di un sacriIicio? Per rispondere si devono conside- rare le rappresentazioni coinvolte in tali comportamenti. In u qualsiasi contesto teorico o metodologico le rappresentazioni giocano un ruolo essenziale nel deIinire i Ienomeni culturali. Ma di cosa sono Iatte le rappresentazioni? Si noti che, per cominciare, ci troviamo davanti a due tipi di urappresentazioni: mentali e pubbliche. Le credenze, le intenzio- ni e le preIerenze sono rappresentazioni mentali; Iino alla rivo- luzione cognitiva, il loro statuto ontologico era oscuro. I segna- li, le Irasi, i testi e i disegni sono rappresentazioni pubbliche dotate, naturalmente, di un aspetto materiale. Descrivere que- sto aspetto - i suoni delle parole, le Iorme e i colori di un qua- dro - non coglie pero il Iatto piu importante, cioe che queste tracce materiali possono essere interpretate: esse rappresenta- no qualcosa per qualcuno. Per spiegare il Iatto che le rappresentazioni pubbliche sono interpretabili, bisogna assumere l'esistenza di un sistema sotto- stante: per esempio, un linguaggio, un codice, un'ideologia. Nelle utradizioni della semiotica e della semiologia, questi sistemi di interpretazione sottostante sono stati descritti in astratto inve- ce che in termini psicologici, e la loro esistenza e stata spesso considerata extrapsicologica. Con un simile approccio, l'esi- stenza materiale di tali sistemi resta oscura, e oscura la mate- rialita delle rappresentazioni pubbliche interpretate e quella dei Ienomeni culturali descritti a partire da queste. Anche i si- sistemi di interpretazione sottostanti possono essere considerati rappresentazioni mentali complesse; e per esempio quello che Iu Noam Chomsky quando descrive una grammatica come un meccanismo mentale. Il secondo approccio ci riporta alla psi- cologia delle rappresentazioni mentali e quindi alle nuove pro- spettive aperte dallo sviluppo delle scienze cognitive. La maggiore diIIicolta per sviluppare anche soltanto un ma- terialismo minimalista nelle scienze sociali derivava dal ruolo che vi giocavano le rappresentazioni. Ora in psicologia il carat- terre materiale delle rappresentazioni mentali e passato dallo statuto di mistero a quello di problema intelligibile. La questio- ne e sapere se le scienze sociali possono rideIinire la loro no- zione di rappresentazione sulla base di una nozione cognitiva di rappresentazione. Vorrei qui suggerire come cio sia possibile 29 e come, di conseguenza, l'intera ontologia delle scienze sociali possa essere rideIinita, come insomma diventi possibile un programma realmente materialista nelle scienze sociali. Unepidemiologia delle rappresenta:ioni Cosi come si puo dire che una popolazione umana sia abitata da una popolazione molto piu numerosa di virus, si puo dire anche che sia abitata da una popolazione molto piu numerosa di rappresentazioni mentali. La maggior parte delle rappresentazioni si trova in un solo individuo; alcune, invece, vengono comunicate: sono prima trasIormate da chi le comunica in rappresentazioni pubbliche e poi ritrasIormate da chi le percepisce in rappresentazioni mentali. Un numero molto ristretto di queste rappresentazioni comunicate viene comunicato ripetutamente. Attraverso la comunicazione (o, in altri casi, l'imitazione), alcune di esse si diIIondono in una popolazione umana e possono abitarne ogni singolo membro per molte generazioni. Rappresentazioni cosi diIIuse e durevoli sono casi paradigmatici di rappresentazioni culturali. La domanda e: perche alcune rappresentazioni si propagano in modo generale o in contesti particolari? Rispondere signiIica sviluppare una sorta di 'epidemiologia delle rappresentazioni'. La metaIora epidemiologica ci puo aiutare se ne conosciamo i limiti; il primo e autoevidente: non intendiamo certamente implicare che le rappresentazioni culturali siano in qualche senso patologiche. Un altro limite, meno palese, e molto piu impor- tante: mentre nel processo di trasmissione gli agenti patogeni come i virus e i batteri si riproducono e mutano solo occasionalmente, le rappresentazioni vengono trasIormate praticamente ogni volta che sono trasmesse, e restano stabili solo in casi limite. In particolare, una rappresentazione culturale e Iatta di molte versioni, mentali e pubbliche; ogni versione mentale risulta dall'interpretazione di una rappresentazione pubblica che e a sua volta un'espressione di una rappresentazione mentale. Si possono scegliere come soggetto di studio le catene causali Iatte di rappresentazioni mentali e pubbliche e cercare di spiegare come gli stati mentali degli organismi umani possano Iar si che esse modiIichino il loro ambiente, in particolare nella produzione di segni, e come le modiIicazioni dell'ambiente possano causare modiIicazioni degli stati mentali di altri organismi umani. (Si tratta ovviamente di 'catene' molto complesse, spesso piu simili a intricati reticoli; ciononostante, esse sono Iatte solo di due tipi di connessioni: dal mentale al pubblico e dal pubblico al mentale.) L'ontologia di una simile impresa as- 30 somiglia a quella dell'epidemiologia, anche se si tratta di un'on- tologia piuttosto eterogenea, in cui si mescolano Ienomeni psi- cologici ed ecologici, proprio come nell'epidemiologia si me- colano Ienomeni patologici ed ecologici. In entrambi i casi, quello che si deve spiegare e la distribuzione di condizioni individuali, patologiche o psicologiche e, in entrambi i casi, la spiegazione prende in considerazione sia lo stato degli individui sia quello del loro ambiente comune, che e in se ampiamente mo- diIicato dal comportamento degli individui. Nonostante questa eterogeneita, l'ontologia di un'epidemiologia delle rappresentazioni e strettamente materialista: le rappresentazioni mentali sono stati del cervello descritti in termini Iunzionali, e l'interazione materiale tra cervelli, organismi e ambiente ne spiega la distribuzione. Data l'eterogeneita ontologica dei Ienomeni epidemiologici, non esiste una teoria epidemiologica generale, ma una varieta di modelli diIIerenti con generalita maggiore o minore e una metodologia comune. Allo stesso modo dubito che nello studio dei Ienomeni culturali dovremmo aspirare a una grande teoria generale. Tipi diversi di rappresentazioni possono avere una spiegazione molto diIIerente della loro distribuzione. Per il momento, un obiettivo realistico e ambizioso sarebbe quello di sviluppare modelli esplicativi di distribuzione plausibili dal punto di vista materialistico: per esempio delle diverse tassonomie popolari, dei miti, delle tecniche, delle Iorme di arte, dei rituali, delle leghi, e cosi via. Sono ovviamente preIeribili modelli dotati della maggiore generalita possibile e realmente esplicativi. Porsi dall'inizio l'obiettivo di una teoria olistica, come Ianno molti scienziati sociali, ha spesso come risultato, per ragioni pratiche - e Iorse sostanziali - di non portare a nessuna teoria. Provo a illustrare brevemente l'approccio epidemiologico con due esempi.
Prendiamo un mito, per esempio il mito bororo dello snidatore di
uccelli, che Levi-Strauss usa come punto di partenza del suo Mvthologiques. In un approccio tradizionale, questo mito sarebbe presentato nella Iorma di una versione canonica cui si e arrivati selettivamente sintetizzando le diverse versioni rac- colte. Questa versione canonica e un oggetto astratto, che non esiste nella societa studiata; puo servire a Iini espositivi, ma, cosi com'e, non Iornisce, ne richiede, una spiegazione. Lo stes- so Levi-Strauss si discosta dall'approccio tradizionale: per lui, 31 studiare un mito signiIica studiare le relazioni di 'trasIormazione' (per esempio, il modo in cui sono strutturate somiglianze e diIIerenze) tra le diverse versioni del mito e tra questo e altri miti. Con tale approccio, nessuna singola versione, ne una sintesi di molte versioni, e un oggetto appropriato di studio. Un mito deve essere considerato, invece, come l'insieme di tutte le sue versioni. Lo statuto ontologico di un mito come insieme delle sue versioni e il valore esplicativo dell'analisi delle relazioni di trasIormazione tra le versioni non sono chiari, ma possono essere chiariIicati in una prospettiva epidemiologica. La mia proposta, in sintesi, e di cercare di modellizzare non l'insieme, ma le catene causali che legano tra loro le diverse versioni dei miti; cio signiIica considerare non solo le versioni pubbliche, ma anche quelle mentali (senza le quali non ci sarebbero catene causali). Naturalmente, solo alcune versioni pubbliche del mito sono state registrate, e nessuna di quelle mentali, ma completare le osservazioni con ipotesi su entita non osservate - o anche non osservabili - e una pratica normale della scienza. Inoltre, per spiegare la distribuzione di versioni dello stesso mito, il nostro compito non sarebbe quello di descrivere tutti i legami nella catena, ogni singolo passo della trasIormazione mentale e della trasmissione pubblica. Si tratterebbe piuttosto di spiegare i tipi di Iattori causali che hanno Iavorito la trasmissione in certe circostanze e la trasIormazione in certe direzioni. Lo studio di un mito da questa prospettiva comporta allora tre tipi di oggetti: 1)narrazioni; ossia rappresentazioni pubbliche che possono essere osservate e registrate, ma che possono essere interpretate solamente prendendo in considerazione: 2)storie; ossia rappresentazioni mentali di eventi che possono essere espresse come, o costruite a partire da narrazioni; 3)catene causali: storie-narrazioni-storie-narrazioni... Ogni oggetto particolare che appartiene a uno di questi tre tipi e un oggetto materiale; ogni narrazione particolare e un evento acustico preciso; ogni storia particolare e uno stato cerebrale speciIico. Una catena che collega causalmente ogni cosa materiale speciIica e ovviamente una cosa materiale. La spiegazione causale dell'esistenza di queste narrazioni pubbliche e di queste storie mentali e Iornita dalla descrizione delle catene causali in cui esse occorrono. La spiegazione di tali catene causali richiede un modello in cui siano in gioco tanto Iattori ecologici quanto psicologici. Per esempio, un Iattore ecologico cruciale sarebbe l'assenza, nella societa presa in esame, del tipo di contenitori esterni di memoria Iorniti dalla scrit- 32 tura; le rappresentazioni orali, a diIIerenza di quelle scritte, sono eventi ambientali piu che stati ambientali. Un Iattore psicologico cruciale puo essere l'organizzazione della memoria uma- na spontanea. L'interazione tra questi due Iattori aiuterebbe a spiegare perche in una tradizione orale una narrazione con una struttura Iacilmente memorizzabile viene trasmessa con poche variazioni. Che ne e del vecchio concetto antropologico di mito in tutto questo? Naturalmente, dire che una catena di versioni e un mi- to e come dire che un'epidemia di inIluenza e un caso di in- Iluenza. Diversamente dall'inIluenza, pero, che resta tale anche senza un'epidemia, ogni storia mentale e ogni narrazione pubblica e in se culturale, e quindi mitica, solo nella misura in cui appartiene a questa catena. Nessun oggetto materiale e quindi intrinsecamente un mito; parlare di miti puo servire al massi- mo a portare l'attenzione su un corpo di dati collegati l'uno al- laltro. Ma il concetto di base necessario per studiare tali dati e quello di catena causale di narrazioni e storie. Un'ontologia davvero materialista porta a una riconcettualizzazione del dominio. Il Iatto che in una popolazione che non conosce la scrittura troviamo narrazioni che possono essere considerate versioni l'una dell'altra (e che cosi sono considerate dai nativi) e quello che ci porta a identiIicare un 'mito'. Esistono altre Iorme cultu- rali, come le 'credenze', le 'classiIicazioni popolari', le 'tecniche tradizionali', che sono caratterizzate da un'ampia distribuzione di rappresentazioni molto simili. I vincoli ontologici sui concet- ti implicati nello studio di ognuno di questi Ienomeni sono ab- bastanza chiari: essi richiedono che siano eliminate le versioni sintetiche astratte di queste rappresentazioni e che siano conservate solo le diverse versioni pubbliche e mentali e le loro catene causali. Ancora sul matrimonio L'ontologia delle istituzioni sociali, che e l'argomento per eccellenza delle scienze sociali, Ia sorgere ulteriori problemi. Per- che ci sia uno stato, un mercato, una chiesa, un rituale, non e necessario che ogni individuo che partecipa all'istituzione deb- ba averne una versione mentale; anzi, nella maggior parte dei Casi l'idea stessa e priva di signiIicato. Le istituzioni non sono rappresentazioni ne mentali ne pubbliche. Come puo allora un'epidemiologia delle rappresentazioni aiutare a Iornire una spiegazione materialistica delle istituzioni? Un'epidemiologia delle rappresentazioni non riguarda le rap 33 presentazioni, ma il processo di distribuzione. In alcuni casi rappresentazioni simili - per esempio, versioni dello stesso mito - sono distribuite attraverso una catena ripetitiva di rappresentazioni pubbliche e mentali; in altri casi un processo di distribuzione coinvolge molte rappresentazioni diIIerenti, con contenuti che non somigliano l'uno all'altro. In particolare, alcune delle rappresentazioni coinvolte possono giocare un ruolo regolativo rappresentando il modo in cui alcune delle altre rappresentazioni coinvolte devono essere distribuite. La distribuzione delle rappresentazioni regolative gioca un ruolo causale in quella di altre rappresentazioni dello stesso complesso. I Ienomeni istituzionali sono caratterizzati da queste catene causali gerarchiche. Ritorno all'esempio del 'matrimonio', ma in una versione piu conosciuta di quella ebelo: il matrimonio civile nella Francia di oggi. L'approccio classico consisterebbe nel deIinire il matrimonio come un vincolo giuridico di un certo tipo tra un uomo e una donna, stabilito attraverso un rituale speciIico - la cerimonia di nozze. Se gli indigeni Irancesi, incluso il sotto- scritto, non hanno problemi a usare queste nozioni, lo scienziato dovrebbe rimanere perplesso davanti allo statuto ontologico di una cerimonia, di un legame giuridico, e quindi anche del matrimonio. L'approccio epidemiologico Iornisce una soluzione alle perplessita. Il processo materiale che Ia si che gli indigeni dicano, per esempio, che Piero e Maria sono sposati, implica due livelli di rappresentazione. A un livello piu alto c'e la rappresentazione regolativa delle azioni da compiere: soddisIatte certe precondizioni, un uIIiciale civile dichiara un uomo e una donna uniti in matrimonio. La versione pubblica alla base di questa rappre- sentazione e un capitolo del Codice civile, l'origine e la distribuzione del quale sono in larga misura documentate pubblicamente. Questa rappresentazione di livello superiore descrive un tipo di rappresentazione di livello inIeriore e le condizioni in base alle quali possono essere prodotte e distribuite versioni di essa. L'uIIiciale civile che dichiara Piero e Maria marito e moglie produce una di queste rappresentazioni di livello inIeriore in accordo con quella regolativa di livello superiore. La rappresentazione di livello inIeriore puo poi essere riprodotta, paraIrasata, elaborata e cosi via. Chiunque ora dica che Piero e Maria sono sposati non sta descrivendo un Iatto materiale, ma sta riaIIermando la rappresentazione originaria dell'uIIiciale civile. Tutti coloro che enunciano i diritti e i doveri di Piero e Maria in quanto coniugi stanno producendo, in riIerimento a questi due individui, una versione piu o meno Iedele della rappresentazione generale di livello superiore dei diritti e doveri delle 34 persone sposate, la versione originale della quale si trova anch'essa nel Codice civile. Matrimonio', 'diritti', 'doveri', sono entita immateriali che esistono nell'ontologia degli indigeni, quindi nella nostra ontologia quotidiana. Nella nostra ontologia materialista a uso scientiIico esistono d'altra parte solamente rappresenta:ioni pubbliche o mentali del matrimonio in generale, di matrimoni particolari, di diritti e doveri, e la catena causale complessa in cui queste rappresentazioni compaiono. Le rappresentazioni che gli indigeni hanno delle entita immateriali sono esse stesse materiali; la loro distribuzione puo avere eIIetti sul comporta- mento dei nativi molto simili a quelli che gli indigeni attribuiscono - erroneamente - allo stato di cose immateriale rappre- sentato. La diIIerenza di ontologie non e incompatibile quindi con un certo grado di corrispondenza tra due descrizioni, quella del nativo e quella dello scienziato. Il programma che propongo non e privo di precedenti. L'approccio diIIusionista in antropologia e archeologia si poneva il problema della distribuzione delle entita culturali nello spazio e nel tempo. Una delle sue debolezze era la poverta delle assunzioni psicologiche. Una debolezza dello stesso tipo si puo trovare in diversi approcci recenti di ispirazione biologica alla cultura, dove il complesso mente/cervello e visto essenzialmente comr un meccanismo di duplicazione (si vedano per esempio Lloyd e Richerson 1985; Cavalli SIorza e Feldman 1981; Dawkins 1976; Lumsden e Wilson 1981). La lezione piu evidente dei recenti lavori in ambito cognitivo e che recuperare inIormazione non e l''inverso di immagazzinarla e comprendere non e l'inverso di esprimersi. La memoria e la comunicazione trasIormano l'inIormazione. Quindi, se si vogliono trattare le rappresenta- zioni, mentali o pubbliche, come cause materiali tra le altre cause materiali, si deve Iondare lo studio del pensiero e della comunicazione sulla psicologia cognitiva. Un'epidemiologia delle rappresentazioni stabilira una rela- zione di reciproco interesse tra le scienze cognitive e le scienze sociali, simile a quella tra la patologia e l'epidemiologia. Questa relazione non e in alcun modo una riduzione del sociale allo psicologico: in questo approccio i Ienomeni socioculturali sono distribuzioni ecologiche di Ienomeni psicologici; i Iatti sociologici vengono deIiniti in termini di Iatti psicologici, ma non si riducono a essi. 35 Una rappresentazione stabilisce una relazione Ira almeno tre termini: cio che rappresenta, cio che e rappresentato e il Iruito- re della rappresentazione. Si puo aggiungere un quarto termine quando esiste un produttore della rappresentazione distinto dal Iruitore. Una rappresentazione puo esistere all'interno di chi la Iruisce: si tratta allora di una rappresenta:ione mentale, come un ricordo, una credenza, o un'intenzione. Produttore e Iruitore della rappresentazione mentale sono in questo caso la stessa persona. Una rappresentazione puo anche esistere nell'ambien- te del suo Iruitore, come per esempio nel caso del testo che sta- te leggendo ora; si tratta allora di una rappresenta:ione pubblica. Le rappresentazioni pubbliche sono solitamente modi di comu- nicazione tra un Iruitore e un produttore distinti l'uno dall'altro. Una rappresentazione mentale ha, ovviamente, un solo Irui- tore. Una rappresentazione pubblica puo averne diversi. Si puo Iare un discorso davanti a molte persone; un testo stampato e pensato per un largo pubblico. Prima che tecniche come la stampa o la registrazione su nastro magnetico rendessero possi- bile la duplicazione precisa di una rappresentazione pubblica, li trasmissione orale permetteva la produzione di rappresenta- zioni simili l'una all'altra: l'ascoltatore di una storia poteva per esempio diventarne a sua volta il narratore. Bisogna sottolinea- re pero che la trasmissione orale non e un mezzo aIIidabile di r- produzione, in quanto genera un insieme vago di rappresenta- zioni costituito da versioni piu o meno Iedeli invece che da co- pie esatte luna dell'altra. Consideriamo un gruppo sociale: una tribu, gli abitanti di una citta o i membri di un'associazione. Il gruppo e l'ambiente circostante sono abitati, per cosi dire, da una popolazione piu Brande di rappresentazioni, mentali e pubbliche. Ogni membro 2. Interpretare e spiegare le rappresentazioni culturali 37 del gruppo ha nella sua testa milioni di rappresentazioni mentali, alcune delle quali hanno vita breve mentre altre sono registrate nella memoria a lungo termine e costituiscono la 'conoscenza' dell'individuo. Un esiguo numero di queste rappresentazioni mentali viene ripetutamente comunicato e Iinisce per essere distribuito attraverso il gruppo e quindi per avere una sua versione mentale nella maggior parte dei membri del gruppo. Quando parliamo di rappresenta:ioni culturali abbiamo in mente - o dovremmo avere in mente - tali rappresentazioni largamente distribuite e di lunga durata. Le rappresentazioni culturali cosi intese sono un sottoinsieme dai conIini sIumati dell'insieme delle rappresentazioni pubbliche e mentali che abitano un certo gruppo sociale. Gli antropologi non concordano su una visione comune delle rappresentazioni culturali, o su un insieme di questioni comuni riguardo a esse, o ancora su una terminologia comune per descriverle. La maggior parte degli autori aIIronta i vari generi di rappresentazioni separatamente e parla di credenze, norme, tecniche, miti, classiIicazioni e cosi via a seconda del caso. Vorrei tuttavia proporre una riIlessione sul modo in cui gli antropologi (e gli altri scienziati sociali) rappresentano e cercano di spiegare le rappresentazioni culturali in generale. Interpretare le rappresenta:ioni culturali Supponete di voler rappresentare un cesto: potete produrre l'immagine di un cesto, o descriverlo. In altre parole, potete produrre un oggetto che assomiglia al cesto - per esempio una IotograIia o un disegno - oppure una Irase. La Irase non assomiglia per nulla al cesto, ma dice qualcosa di vero su di esso. (La verita e, ovviamente, una condizione necessaria ma non suIIiciente perche la descrizione sia adeguata.) Potrebbe sembrare che la situazione sia la stessa quando quello che volete rappresentare e una rappresentazione: la Iavola di Cappuccetto Rosso, per esempio. Potete registrare o trascrivere la Iavola (o meglio, una sua versione), produrre cioe un oggetto che somigli alla storia nello stesso modo in cui una IotograIia o un disegno somiglia a un cesto. Potete anche descriverla dicendo, per esempio: "E una storia diIIusa in tutta Europa, in cui i personaggi sono un animale e vari esseri umani". Ma mancherebbe ancora qualcosa a queste rappresentazioni di Cappuccetto Rosso. la registrazione della trascrizione rappresenta in se stessa solo una Iorma acustica, mentre la descrizione proposta ci dice poco sul contenuto della storia, che, dopo tutto, e la storia. Si puo sostenere che tutto quello di cui avete bisogno 38 e di descrivere la Iavola piu dettagliatamente. Potete dire per esempio: "Cappuccetto Rosso e una Iavola diIIusa in tutta Europa che racconta di una bambina che viene mandata dalla madre a portare un cesto di viveri alla nonna. Sul cammino incontra un lupo...". Cosi Iacendo, potete ricostruire il contenuto della storia quanto precisamente volete; ma attenzione: invece di descrivere la storia, la state raccontando di nuovo. Potete produrre un og- getto che rappresenta la storia, non perche dice qualcosa di vero di essa, ma perche le assomiglia: in altre parole, potete produrre un'altra versione della storia. Generalizziamo: per rappresentare il contenuto di una rap- presentazione, usiamo un'altra rappresentazione con un conte- nuto simile. Non descriviamo il contenuto della rappresentazio- ne lo paraIrasiamo, lo traduciamo, lo riassumiamo, lo svilup- patilo: insomma, lo interpretiamo. 1 Uninterpreta:ione e una rap- presentazione di una rappresentazione in virtu di una somi- glianza di contenuto. In questo senso, una rappresentazione pubblica, il cui contenuto assomiglia alla rappresentazione mentale che serve a comunicare, e un'interpretazione di quella rappresentazione mentale. Di converso, la rappresentazione mentale che risulta dalla comprensione di una rappresentazione pubblica ne e un'interpretazione. Il processo di comunicazione puo essere scomposto in due processi di interpretazione: uno dal mentale al pubblico, l'altro dal pubblico al mentale. Nella nostra vita mentale le interpretazioni sono comuni co- me le descrizioni; sono una Iorma di rappresentazione prodotta e compresa da tutti. Esprimersi o comprendere le espressioni di altre persone e, implicitamente, un atto di interpretazione. Pro- duciamo interpretazioni anche quando rispondiamo a domande come: Che cosa ha detto? Che cosa pensa? Che cosa vogliono? Per rispondere, rappresentiamo il contenuto delle Irasi, dei pen- sieri o delle intenzioni attraverso Irasi di contenuto simile. Lo studio antropologico delle rappresentazioni culturali non puo ovviamente prescindere dai loro contenuti; di conseguenza, che ci piaccia o no, il lavoro dell'antropologo e in gran parte in- terpretativo. Proprio perche l'interpretazione e basata su una capacita alquanto comune e non su qualche tecnica proIessio- nale soIisticata, la maggior parte degli antropologi ha prodotto interpretazioni proprio come il Monsieur Jourdain di Moliere produceva prosa: senza essere coscienti di Iarlo, o almeno senza riIletterci troppo. 1 Sulla distinzione tra interpretazione e descrizione si vedano Sperber 1982, Clip. 1, e Sperber e Wilson 1986, cap. 4. 39 Nella misura in cui l'interpretazione riguarda singoli pensieri o singole parole, il grado di liberta che l'interprete puo concedersi puo essere maniIesto e non provocare problemi. Con una Irase pronunciata in tono sarcastico mi comunicate quello che ha detto il Primo ministro nella conIerenza stampa; per me non e diIIicile comprendere che, se l'idea e del Primo ministro, la concisione e il sarcasmo sono vostri. Allo stesso modo, i resoconti antropologici comuni di singole parole e singoli pensieri sono, abbastanza spesso, Iacili da comprendere e da accettare (se sono stati Iormulati esattamente e, anche in questo caso, e indispensabile che la traduzione sia stata accurata). In realta, in antropologia cio che viene interpretato e spesso una rappresenta:ione collettiva attribuita a un intero gruppo sociale ("Gli X credono che..."), vale a dire qualcosa che non e stato mai pensato, o espresso, da nessun individuo del gruppo. Non c'e ne una chiara spiegazione dettata dal senso comune di quello che puo essere una rappresentazione collettiva di questo tipo ne un modo semplice per controllare la veridicita del resoconto. La mancanza di una metodologia chiara rende diIIicile valutare, e quindi sIruttare, queste interpretazioni. Ciononostante, nelle spiegazioni antropologiche esse rivestono un ruolo importante, e, come vedremo, a volte vengono presentate come spiegazioni deIinitive. Ecco un esempio. La scena, riportata dall'antropologo Irancese Patrick Menget, ha luogo tra i Txikao del Brasile. Alla fine di un pomeriggio piovoso, Opote torn a casa con un bel pesce matrinchao che aveva catturato nelle sue reti. Lo depose senza dire una parola accanto a Tubia, uno dei quattro capi famiglia della sua casa. Tubia lo pul e lo mise ad affumicare. Ne mangi fino a quando fece notte, da solo, a piccoli bocconi, sotto gli occhi interessati degli altri abitanti della casa. Nessun altro tocc il matrinchao n mostr il desiderio di mangiarne un po', anche se la fame era dovunque e la carne del matrinchao tra le pi prelibate. (Menget 1979, p. 193) Fin qui si tratta essenzialmente di una descrizione comune: ogni Irase esprime una proposizione che l'antropologo presenta come vera. La situazione descritta, in realta, e piuttosto strana: "Perche," si chiede Menget, "questa astensione generale?". E risponde cosi: Il pescatore Opote, possessore del potere della pesca, non poteva consumare la preda senza il rischio di danneggiare il proprio potere. Gli altri capi famiglia evitavano la carne del matrinchao per paura di mettere in pericolo la salute e la vita dei loro bambini, o la propria salute. Dato che le mogli stavano allattando, dovevano 40 astenersi per lo stesso motivo. I bambini, infine, avrebbero assor- bito lo spirito particolarmente pericoloso di quella specie. (Ibidem) Questa volta l'antropologo - che non crede nella magia o ne- gli spirili - non sta presentando come verita il Iatto che Opote corra il rischio di danneggiare il proprio potere, o i bambini di assorbire uno spirito particolarmente pericoloso. Egli presenta queste Irasi come simili nel contenuto alle credenze che motiva- zioni l'astinenza della gente di Opote. Le sue Irasi sono interpreta- zioni, e non sono piu diIIicili da comprendere ne piu sospette di quelle che usiamo in continuazione per parlare l'uno dell'altro. Lo scopo ultimo dell'antropologo non e tuttavia di descrivere eventi particolari. Nel riportare l'aneddoto del matrinchao di Opote, per esempio, scopo di Menget era di illustrare alcune ipo- tesi sulla 'couvade', prima tra i Txikao stessi, poi tra gli indiani su- damericani e inIine sulla couvade in generale. Come si sa, nella letteratura antropologica il termine 'couvade' indica un insieme di precauzioni che un uomo deve prendere durante e subito dopo la nascita di un Iiglio (per esempio, riposare, stare sdraiati, sotto- porsi si a restrizioni alimentari), del tutto simili a quelle imposte, 'piu comprensibilmente, alla madre del bambino (si veda Riviere 1974). Menget propone un'analisi sottile delle piu rilevanti visioni txikao sulla vita e la sua trasmissione, e conclude: Ogni cosa accade come se ci fossero due principi antagonisti che governano i processi della vita ...] un principio forte, legato al san- gue, al grasso, alle carni ricche e alla fermentazione risulta dalla trasformazione somatica costante di sostanze pi deboli, l'acqua, il latte, lo sperma, la farina, le carni magre. Ma, inversamente, il cor- po umano, con ritmi che dipendono da et, sesso e condizione, anabolizza le sostanze forti e ne neutralizza il pericolo. [ . . . ] Nella couvade, l'intero insieme di tab occupazionali, alimen- tari e sessuali arriva alla fine a impedire sia un eccesso di sostanze forti, la cui mancata assimilazione porta a malattie di gonfiore, sia una perdita di sostanze deboli somatizzate. ...] La creazione di un nuovo essere umano attiva l'intero processo universale di trasfor- mazione delle sostanze, ma anche la separazione di una parte della sostanza somatizzata dei genitori e l'iniziazione di un ciclo indivi- duale. (Menget 1979, pp. 202-203) Ancora una volta, l'antropologo sta interpretando: non cre- de, ne intende aIIermare che "il corpo umano anabolizza delle sostanze", "la cui mancata assimilazione porta a malattie di gon- Iiore". Egli presenta queste Iormulazioni come simili nel conte- nuto alle rappresentazioni culturali che sottostanno alle prati- che della couvade txikao. D'altronde, mentre e abbastanza Iacile immaginarsi Opote 41 che pensa o che dice, grosso modo negli stessi termini, che non puo consumare il pesce che ha preso senza danneggiare il proprio potere, e diIIicile immaginare i pensieri o le Irasi txikao riguardanti la "trasIormazione somatica costante di sostanze deboli" o la "anabolizzazione delle sostanze Iorti". La somiglianza di contenuto tra l'interpretazione e le rappresentazioni interpretate e maniIestamente piu debole qui che nel caso delle interpretazioni comuni di pensieri o Irasi individuali, e il grado di so- miglianza e diIIicile o addirittura impossibile da valutare. (Quello che mi interessa non e il lavoro di un singolo antropologo: al contrario, ho deciso di discutere l'esempio di Menget perche lo giudico un buon esempio della migliore antropologia contemporanea. Cio che e interessante sono i limiti inerenti all'approccio interpretativo alle rappresentazioni culturali.) Un antropologo deve aIIrontare una grande varieta di comportamenti che progressivamente arriva a comprendere individuando le intenzioni sottostanti: ossia diventando capace di concettualizzare tali comportamenti come azioni. In particolare, egli impara a discernere le intenzioni che governano gli atti linguistici, o, in altri termini, a comprendere quello che i suoi interlocutori vogliono dire. Le intenzioni cosi comprese richiedono una comprensione ulteriore, piu proIonda; poniamo il caso che si accetti che "gli altri capi Iamiglia evitavano la carne del matrinchao per paura di mettere in pericolo la salute e la vita dei loro bambini, o la propria salute". Ma in che modo questo sarebbe un mezzo per raggiungere tali Iini? Comprendere meglio le intenzioni signiIica cogliere come potrebbero essere razionali, o, in altre parole, vedere come potrebbero derivare da desideri e credenze sottostanti. Se, per i Txikao, la carne del matrinchao e 'Iorte' e pericolosa per la salute, se padre e Iiglio sono la stessa sostanza, una sostanza che, contrariamente alle apparenze, non si divide in due esseri indipendenti ancora per un certo periodo dopo la nascita, allora cominciamo a comprendere perche il comportamento della gente di Opote potrebbe essere razionale. Per capirne di piu, dovremmo stabilire la razionalita delle credenze sottostanti, ossia non solo la loro mutua coerenza, ma anche la loro compatibilita con l'esperienza dei Txikao. Nel nostro sIorzo quotidiano per capire gli altri, ci accontentiamo di interpretazioni parziali e speculative (piu gli altri sono diIIerenti da noi, piu le interpretazioni sono speculative) perche, benche parziali e speculative, esse ci aiutano - come individui, come popoli - a capirci gli uni con gli altri. Gli antropologi hanno contribuito a una maggiore comprensione e quindi a una maggiore tolleranza della diversita culturale. Per Iare questo 42 non si sono basati su una teoria scientiIica o su metodi rigorosi, che non sono parte del corredo antropologico standard. Data la disianza culturale, gli obiettivi di comprensione che gli antropo- logi si pongono sono particolarmente ardui e ambiziosi, ma la Iorma di comprensione e del tutto comune: essi interpretano i comportamenti - quelli verbali in particolare - attribuendo cre- denze, desideri e intenzioni agli agenti individuali o collettivi, in modo tale che tali comportamenti sembrino razionali. Si puo Iare l'ipotesi che la migliore interpretazione sia la piu Iedele, ossia quella dal contenuto piu simile a quello della rap- presentazione interpretata. Se si riIlette, pero, le cose non sono cosi semplici. Se il suo scopo Iosse quello di massimizzare la Ie- delta, l'antropologo pubblicherebbe solo le traduzioni delle pa- role davvero pronunciate. La maggior parte delle Irasi ascoltate dall'antropologo hanno invece senso solo nel contesto molto speciIico in cui sono state pronunciate; sono basate su rappre- sentazioni culturali condivise che le Irasi stesse non esprimono direttamente. L'antropologo deve, prima di tutto per se stesso, andare al di la della mera traduzione: solo allora puo sperare di comprende- re cio che ascolta, e quindi di essere davvero capace di tradurlo: deve speculare, sintetizzare, riconcettualizzare. Le interpreta- zioni che l'antropologo costruisce nella sua mente e nei suoi ap- punti sono troppo complesse e dettagliate per interessare i suoi Iuturi lettori; inoltre solitamente sono Iormulate in un gergo idiosincratico in cui si mescolano liberamente termini nativi, termini tecnici usati ad hoc e metaIore personali. Piu tardi, quando scrivera per un pubblico che dedichera solo qualche ora a uno studio al quale egli ha consacrato anni, l'antropologo do- vr sintetizzare le proprie sintesi, ritradurre il proprio gergo, e, Inevitabilmente, allontanarsi ancor di piu dai dettagli che i suoi ospiti gli trasmettono. Per essere piu pertinente, dovra essere meno Iedele. Ancora, la somiglianza di contenuto varia al variare del pun- to di vista e del contesto. Dire, per esempio, che per i Txikao il corpo umano anabolizza sostanze Iorti e suggestivo e non Iuor- viante nel contesto della discussione di Menget: in quel contesto la nozione di anabolizzazione e presa metaIoricamente; in altre parole, la somiglianza tra la nozione chimica di anabolizzazione e la nozione txikao che essa interpreta puo essere considerata pertinente, ma molto restrittiva. D'altra parte, la stessa aIIerma- zione interpretativa sarebbe Iuorviante nel contesto di uno stu- dio comparativo delle visioni culturali della chimica della dige- stione, dove saremmo portati da considerazioni di pertinenza a 43 prendere la nozione di anabolizzazione in un senso molto piu letterale. Il carattere intuitivo dell'interpretazione, dipendente dal contesto, non implica che tutte le interpretazioni siano buone o cattive allo stesso modo, ma implica che i nostri criteri di valutazione siano essi stessi in parte intuitivi e di una validita intersoggettiva limitata. Alcune delle interpretazioni immaginabili sarebbero riconosciute da tutti come cattive: per esempio, che il vero contenuto del dogma della Trinita e una ricetta per la mousse al cioccolato. Ma puo capitare che interpretazioni signi- Iicativamente diIIerenti della stessa rappresentazione sembrino ugualmente plausibili. I dati interpretati da Menget in una maniera 'intellettualistica' (per esempio come se riguardassero uno sIorzo di spiegazione del mondo) possono essere avvicinati con altrettanta sottigliezza in una prospettiva psicoanalitica. Davanti ai due tipi di interpretazione, i lettori sceglierebbero sicuramente secondo le loro preIerenze intellettuali. E, Iacendo cosi, agirebbero in maniera razionale. Ma qui sta il problema: se e razionale preIerire un'interpretazione particolare a un'altra sulla base di preIerenze intellettuali precedenti, e diIIicile - se non impossibile - convalidare o conIutare una teoria generale sulla base di un'interpretazione particolare. L'interpretazione ci permette una Iorma di comprensione di cui non possiamo Iare a meno nella vita di tutti i giorni: la comprensione delle rappresentazioni, mentali e pubbliche, e quindi la comprensione degli altri. Nello studio scientiIico delle rappresentazioni, l'interpretazione e uno strumento indispensabile cosi come lo e nella vita quotidiana. Ma possiamo usare come strumento scientiIico una Iorma intuitiva, in parte soggettiva, di interpretazione? Nessun dato e completamente certo, e si puo sostenere che non ci siano dati davvero indipendenti dalla teoria. Nonostante questo, il requisito Iondamentale per l'uso scientiIico di qualsiasi dato non e che esso debba essere assolutamente certo e indipendente dalla teoria, ma solo che sia piu aIIidabile della teoria che serve a conIermare o a conIutare, e quindi indipendente da queste teorie particolari (o da qualsiasi teoria ugualmente controversa). Alcune interpretazioni sono piu aIIidabili di altre e piu accettabili intersoggettivamente. Se queste interpretazioni dipendono in qualche modo da 'teorie' della comprensione umana, si tratta di teorie tacite di cui gli esseri umani in generale, e gli antropologi in particolare, non sono coscienti, e che quindi non tendono a mettere in questione. Saremmo dunque tutti disposti, immagino, a credere a Menget e ad accettare la sua aIIermazione che 44 Opote non poteva mangiare quello che pescava senza il rischio di danneggiare il proprio potere della pesca almeno come un'inter- pretazione ragionevolmente approssimata di parte di cio che Opote stesso o altri attorno a lui potrebbero aver detto. Ossia, noi ci Iidiamo della capacita di Menget di comprendere e ogni tanto anticipare cio che un singolo Txikao puo avergli detto in un'occasione speciIica, cosi come ci Iideremmo di noi stessi se ci Iossimo trovati al posto di Menget, una volta appreso il linguag-
gio dei Txikao, trascorso un po' di tempo Ira di loro, e cosi via. Le interpretazioni piatte e letterali di Irasi particolari e di intenzioni comuni Iatte da interpreti che conoscono la lingua e la popola- zione non sono totalmente aIIidabili o indipendenti dalla teoria, ma lasciano poco spazio alla controversia. Le interpretazioni del senso comune di Irasi particolari e di altri comportamenti intelligibili sono abbastanza aIIidabili per essere usate, con cautela metodologica, come dati Iondamentali per la teorizzazione antropologica. Tali interpretazioni sono cioe signiIicativamente piu aIIidabili delle teorie che vogliamo veriIicare attraverso di esse. Da un altro lato, le Iorme speculati- ve di interpretazione, come le interpretazioni delle credenze che i credenti stessi non sono capaci di articolare, o le interpretazio- ni delle 'mentalita collettive', non possono costituire dei dati no- nostante i loro meriti e la loro attrattiva. La questione allora e: puo la teoria antropologica basarsi solo sul primo tipo di interpretazione, piu aIIidabile, ma anche piu mo- desto? La risposta dipende da quale tipo di teoria si sta cercando. -Spiegare le rappresenta:ioni culturali- Si puo intendere la parola 'spiegare' in due sensi. Nel primo senso, spiegare una rappresentazione culturale - per esempio un testo sacro - signiIica renderla intelligibile, ossia interpretar- la. La sezione precedente trattava di tali spiegazioni interpreta- tive. In un secondo senso, il solo che sara aIIrontato in questa sezione, spiegare le rappresentazioni culturali ha uno scopo es- senzialmente teoretico: l'identiIicazione del meccanismo gene- rale che e in Iunzione. La maggior parte degli antropologi, il cui interesse principale e l'etnograIia, non si pone questo obiettivo teorico, che e perseguito solo in maniera asistematica e indivi- duale. Non esiste nemmeno un punto di vista principale - Iigu- riamoci un accordo generale - su cosa si debba considerare co- me un'ipotesi esplicativa particolare in antropologia. SempliIicando molto (con tante scuse per l'ingiustizia che questa sempliIicazione comporta), distinguero in antropologia 45 quattro tipi di spiegazioni, o di pretese spiegazioni, tre delle quali diIIuse: la generalizzazione interpretativa, la spiegazione strutturalista, la spiegazione Iunzionalista; e un tipo piu raro di spiegazione, di cui io diIendo una versione: i modelli epidemiologici. Generali::a:ioni interpretative Sembra che molti antropologi pensino che un - se non il - modo corretto di arrivare a ipotesi teoriche consista nel prendere l'interpretazione di qualche Ienomeno particolare di una data cultura e generalizzarlo progressivamente a tutti i tipi di Ienomeni in tutte le culture, tenendo conto di dati sempre piu diversi. L'idea stessa di couvade, per esempio, e il risultato di una sintesi interpretativa di comportamenti molto disparati. Le varie teorie della couvade diIIeriscono, da un lato, rispetto al modo di sintetizzare i dati e, dall'altro, rispetto agli altri Ienomeni che considerano legati in maniera cruciale alla couvade. Sulla base degli esempi europei, la couvade Iu a lungo considerata come un modo simbolico - piu precisamente iperbolico - con cui il padre reclamava alcuni vantaggi della maternita. Scrive per esempio Mary Douglas: "il marito impegnato nella couvade sta dicendo: 'Guardatemi, ho crampi e contrazioni piu di lei! Non prova questo che sono il padre del bambino?'. E una dimostrazione primitiva di paternita" (1975, p. 75). Claude Levi-Strauss propone un'altra interpretazione generale della couvade, basata su esempi amerindi: sarebbe falso dire che l'uomo vi assume la parte della puerpera. A volte marito e moglie debbono soggiacere alle stesse preoccupazioni perch essi fanno tutt'uno col loro bambino che, nelle settimane o nei mesi susseguenti alla nascita, esposto a gravi pericoli. A volte, come spesso avviene in America del Sud, il marito obbligato a precauzioni ancora maggiori della moglie, perch, date le teorie indigene sulla concezione e la gestazione, particolarmente la sua persona a confondersi con quella del figlio. In en- trambe le ipotesi, il padre non fa la parte della madre, ma quella del bambino. (Lvi-Strauss 1962b, pp. 258-259; tr. it. p. 215) Nel suo saggio Patrick Menget, che sviluppa la proposta di Levi- Strauss, conclude in maniera piu astratta (astrazione ampliIicata dall'eIIetto della citazione Iuori contesto): La forza della couvade sta nell'essere l'articolazione di una logica di qualit naturali dell'essere e di una problematica di successione, e di significare, nella sua progressivit e nella sua durata l'irreversibilit del tempo umano. (Menget 1979, p. 263) 46 Questo tipo di interpretazioni antropologiche solleva due que- stioni. Primo, che cosa devono realmente rappresentare tali in- terpretazioni? Si potrebbe dire che rappresentino il signiIicato letterale dell'istituzione che interpretano. Ma qualsiasi veicolo di signiIicato, che sia un testo, un gesto, un rituale, non veicola il si-
giIicato stesso, ma il signiIicato per qualcuno. Per chi, dunque, l'istituzione in questione ha il presunto signiIicato? Sicuramente per le persone che vi partecipano, per esempio Opote e i suoi compagni. Ma ci sono tutte le ragioni per pensare che i parteci- panti i abbiano sulla loro istituzione una prospettiva piu ricca, piu varia e piu legata a considerazioni locali di quanto un'interpreta- zione transculturale potra mai sperare di esprimere. Nella mi- gliore delle ipotesi, allora, le interpretazioni generali sono un ti- po di condensazione decontestualizzata di idee locali molto di- verse: aumento di generalita signiIica perdita di Iedelta. La seconda questione sollevata da queste generalizzazioni in- terpretative e la seguente: in che senso esse spiegano qualcosa? Perche e per chi l'esecuzione di un Iacile rito da parte del marito di una donna che partorisce servirebbe da "dimostrazione di pa- ternita"? In che modo il Iatto che il padre reciti il ruolo del Iiglio protegge - o sembra proteggere - il Iiglio da gravi pericoli? Chi ac- cetterebbe grandi privazioni al Iine di "signiIicare |...| l'irreversi- bilita del tempo umano"? Un signiIicato non e una causa; e l'attri- buzione di un signiIicato non e una spiegazione causale. (Natu- ralmente puo accadere che l'attribuzione di signiIicato a un com- portamento riempia un vuoto in una spiegazione causale che e al- trimenti soddisIacente, ma non e il nostro caso.) Le generalizzazioni interpretative non spiegano nulla e non sono, in senso stretto, ipotesi teoriche: sono modelli che posso- n essere selezionati, riIiutati e modiIicati a piacere al Iine di Costruire interpretazioni dei Ienomeni locali. A questo scopo, e solo a questo, possono essere utili. Spiega:ioni strutturaliste Le spiegazioni strutturaliste cercano di mostrare che l'estre- una diversita delle rappresentazioni culturali puo risultare o da variarazioni di un piccolo numero di temi sottostanti, o da varie combinazioni di un repertorio Iinito di elementi, o da trasIor- mazioni regolari di strutture sottostanti semplici. Le analisi strutturali partono da generalizzazioni interpreta- tive e cercano di andare oltre a quelle. Che l'analisi strutturale poggi su generalizzazioni interpretative e particolarmente evi- dente nel lavoro di uno dei Iondatori del genere, Georges Dume- zil (si veda per esempio Dumezil 1968). Dumezil cerco di mo- 47 strare che i miti e i rituali degli Indoeuropei sono variazioni dello stesso modello soggiacente: una tripartizione della vita sociale in tre 'Iunzioni': sovranita, guerra e produzione. Il modello tri-Iunzionale e, ovviamente, una generalizzazione interpretativa, ma Dumezil lo elaboro in maniera propriamente strutturalista. Egli cerco di mostrare come questo modello dia origine a diversi sviluppi strutturali a seconda del tipo di Ienomeno culturale in questione (pantheon, miti, epica, riti, ecc.) e della particolare cultura. Non cerco una spiegazione di questo modello comune e dei suoi vari sviluppi culturali nell'interpretazione, ma nella storia, ponendo le basi della linguistica storica. Nello stile dell'analisi culturale di Dumezil, cosi come nelle generalizzazioni interpretative standard, le sole relazioni tra rappresentazioni ritenute rilevanti sono quelle di somiglianza: due rappresentazioni che si somigliano possono essere interpretate tramite una terza che astrae dalle loro diIIerenze. Levi- Strauss (1958, 1973) amplio il dominio dell'analisi strutturale considerando le diIIerenze sistematiche non meno rilevanti delle somiglianze. 2 Per esempio, sostenne che un mito puo derivare da un altro mito non solo per imitazione, ma anche per inversione sistematica di alcune delle sue caratteristiche: se, per esempio, l'eroe del primo mito e un gigante, l'eroe del secondo puo essere un Iolletto; se il primo e un assassino, l'altro puo essere un guaritore, e cosi via. Si puo quindi scoprire una rete di corrispondenze piu ricche delle semplici relazioni di somiglianza tra rappresentazioni: sia tra rappresentazioni dello stesso tipo - i miti - sia tra tipi diversi di rappresentazioni - i miti e i rituali, per esempio. Menget adotta una prospettiva a la Levi-Strauss quando cerca di mettere in relazione la couvade con la proibizione dell'incesto. La couvade, secondo la sua interpretazione, esprime una separazione progressiva della sostanza del bambino da quella dei suoi genitori. La proibizione dell'incesto impedisce a un uomo e a una donna che provengono dagli stessi genitori di riIondere una sostanza che era stata separata attraverso la couvade. Esiste sia una relazione di continuit tra la couvade e il divieto dell'incesto, visto che quest'ultimo tiene separato ci che la prima ha separato dalla sostanza comune, sia una complementarit funzionale, nella misura in cui la couvade regola una comunicazione all'interno del gruppo sociale che permette la sua diversificazione, e 2 Per una discussione dell'approccio di Dumzil e un confronto con Lvi- Strauss, si veda Smith e Sperber 1971. 48 la proibizione dell'incesto ne stabilisce la comunicazione esterna. (Menget 1979, p. 208) Un'analisi strutturale di questo tipo non spiega la couvade: ma, se la si accetta, essa modiIica l'oggetto stesso della spiegazione. Lexplanandum non e piu semplicemente la couvade; e un complesso di rappresentazioni e di pratiche che hanno a che Ia- re con il meccanismo della riproduzione biologica (cosi com'e inteso dai Txikao), un complesso di cui l'antropologo cerca di stabi l i re la coerenza, nonostante il suo carattere apparentemente eteroclito. L'analisi strutturale solleva due problemi principali, uno metodologico, l'altro teoretico. Il problema metodologico e il seguente: per stabilire relazioni strutturali tra rappresentazioni, l'antropologo le interpreta. Le somiglianze e le diIIerenze saranno individuate Ira le interpretazioni ottenute, e non tra i dati osservati o registrati. Ora, con un pizzico di ingegnosita interpretativa, qualsiasi coppia di oggetti complessi puo essere messa in questo tipo di relazione strutturale. Si potrebbe mostrare, per esempio, che Amleto e Cappuccetto Rosso stiano in una relazione di 'inversione strutturale': Questi divertissement non invalidano ovviamente l'analisi strutturale, ma ne illustrano i limiti: l'aIIidabilita dell'analisi non puo essere maggiore di quella delle interpretazioni che utilizza. E la realta e che gli strutturalisti, come tutti gli altri antropologi, praticano l'interpretazione guidati essenzialmente dalla loro intuizione, senza nessuna metodologia esplicita. Anche le intuizioni dell'interprete sono guidate dagli scopi dell'analisi strutturale, con un evidente rischio di circolarita e con mezzi di controllo meno evidenti. 49 Il problema teorico posto dall'analisi strutturale e il seguente: in che senso essa costituisce una spiegazione dei Ienomeni culturali? Alcuni diIensori dello strutturalismo vedono nel proprio approccio semplicemente un modo per ordinare i dati di cui dispongono, ossia un modo per classiIicare piu che per spiegare. Dumezil combinava l'analisi strutturale con la spiegazione storica. Levi-Strauss combina, in un modo piu complicato, l'analisi strutturale con un tipo di spiegazione genetica essenzialmente psicologico: le strutture svelate dall'analisi strutturale sono per lui il prodotto della mente umana che ha la tendenza a riempire le strutture astratte di esperienze concrete ed esplorare le possibili variazioni di tali strutture. Per esempio, un dato gruppo culturale si serve di rappresentazioni di personaggi animali per mettere in scena, in un mito, alcuni contrasti concettuali Iondamentali: tra natura e cultura, consanguineita e aIIinita, vita e morte. Un gruppo vicino puo trasIormare il mito, rivoltando il valore di alcuni personaggi e quindi simbolizzando, al di la del mito, la diIIerenza del gruppo rispetto ai vicini da cui il mito e stato adottato. Le trasIormazioni progressive del mito da un gruppo all'altro possono renderlo irriconoscibile; ma il carattere delle trasIormazioni permette all'analisi strutturale di mettere in evidenza le strutture comuni soggiacenti che, in ultima analisi, devono essere considerate le strutture della mente umana. Levi-Strauss non ha quasi mai cercato di mettere in relazione le sue ricerche con quelle della psicologia contemporanea. I meccanismi mentali che dovrebbero generare le rappresentazioni culturali sono postulati, non descritti. Piu in generale, il problema teorico sollevato dall'analisi strutturale si riduce a questo: gli oggetti complessi, come i Ienomeni culturali, hanno varie proprieta, la maggior parte delle quali sono epiIenomeniche, ossia dipendono da proprieta Iondamentali del Ienomeno ma non sono tra queste. In particolare, esse non rivestono alcun ruolo causale nell'emergenza e nello sviluppo del Ienomeno e non sono, quindi, esplicative. L'analisi strutturale mette in evidenza alcune proprieta sistematiche dei Ienomeni, ma non permette di distinguere tra proprieta epiIenomeniche e strutturali. Insomma, l'analisi strutturale non spiega: al massimo aiuta a capire cio che ha bisogno di spiegazione. Spiega:ioni fun:ionaliste Mostrare che un Ienomeno culturale ha eIIetti beneIici per un gruppo sociale e stata la Iorma di 'spiegazione' preIerita in antropologia. Le analisi Iunzionaliste si distinguono a seconda del tipo di eIIetto beneIico (biologico, psicologico, sociale) che 50 si vuole accentuare. Nella versione riveduta e corretta dell'analisi lunzionalista costituita dal marxismo (si veda Bloch 1983 per una rassegna), per comprendere la dinamica delle societa si tiene conto anche degli eIIetti negativi e delle disIunzioni. Le analisi Iunzionaliste sono state particolarmente Ieconde nelle scienze sociali. Ciononostante, esse si scontrano con due obiezioni, una, ben nota, che concerne il potere esplicativo, l'altra, meno conosciuta, che riguarda il loro uso delle interpretazioni. Puo la descrizione di un Ienomeno culturale Iornire una spiegazione per questo Ienomeno? In linea di principio si, ma con due riserve: primo, gli eIIetti del Ienomeno non possono mai spiegare il suo emergere; secondo, per mostrare come gli eIIetti del Ienomeno ne spieghino lo sviluppo, o almeno la persistenza, bisogna stabilire l'esistenza di qualche meccanismo di Ieedback. Supponiamo che una certa istituzione culturale - la couvade, per esempio - abbia eIIetti beneIici sui gruppi che l'hanno adottata. Perche questo aiuti a spiegare la presenza di alcune Iorme di couvade in cosi tante culture, bisogna mostrare che questi eIIetti beneIici aumentano signiIicativamente le possibilita di sopravvivenza dei gruppi culturali che sono, per cosi dire, i 'portatori' di questa istituzione, e quindi le possibilita che tale istituzione persista. L'onere della prova e ovviamente rimandato ai diIensori dell'analisi strutturale. In pratica, la maggior parte dei Iunzionalisti si accontenta di mostrare, spesso con grande ingegnosita, che le istituzioni che essi studiano hanno molti eIIetti beneIici. L'esistenza di un meccanismo esplicativo a ritroso non viene mai stabilita, e raramente discussa. Immaginiamo, per esempio, un Iunzionalista che prenda come punto di partenza un'interpretazione della couvade simile a quella proposta da Mary Douglas. Egli potrebbe Iacil- mente sostenere che la couvade raIIorza i legami Iamiliari, in particolare quello del padre con i suoi Iigli, e quindi aumenta la coesione sociale. Ma come Iarebbe a passare da questo a un meccanismo esplicativo a ritroso? Inoltre, non sarebbe troppo diIIicile stabilire che molte istituzioni, inclusa la couvade, hanno eIIetti nocivi: le privazioni alimentari, come quelle subite da Opote e dai suoi compagni, possono in alcuni casi essere dannose. La maggior parte delle istituzioni culturali non ha eIIetto sulle possibilita di sopravvivenza dei gruppi in questione, almeno non tanto da poterne spiegare la persistenza. In altre parole, per la maggior parte delle istituzioni, una descrizione dei loro poteri Iunzionali non e esplicativa. Anche quando tale descrizione spiega un certo Ienomeno, lo Ia in maniera molto limitata: il 51 meccanismo di Ieedback non spiega ne l'introduzione delle Iorme culturali attraverso l'innovazione o l'adozione, ne la trasIormazione delle Iorme culturali esistenti. Un'altra debolezza, meno notata, dell'approccio Iunzionali- sta e che esso non Iornisce alcun principio speciIico per l'identiIicazione di tipi di Ienomeni culturali, ma si basa in modo totalmente acritico su un approccio interpretativo. 3 Quali sono i criteri secondo i quali pratiche diIIerenti e locali vengono considerate come casi particolari dello stesso tipo generale, la couvade, un tipo che gli antropologi devono allora cercare di descrivere e interpretare? L'identiIicazione dei tipi non e mai basata sulla loro Iunzione: per esempio, nessuno sosterrebbe che le diverse pratiche che hanno la 'Iunzione' di raIIorzare i legami tra padre e Iigli debbano costituire un tipo antropologico distinto e omogeneo. L'identiIicazione dei tipi non e basata sul comportamento: alcuni comportamenti possono valere come couvade in una societa e come nevrosi individuale in un'altra. In realta, quali che siano la sua Iunzione e le sue caratteristiche Iondamentali, una pratica e categorizzata come un caso particolare di couvade solo in Iunzione del punto di vista degli attori. Ma i punti di vista sono locali e molto diversi anche nella stessa cultura. In conclusione, l'identiIicazione di un tipo culturale e basata sull'interpretazione antropologica sintetica di un insieme di diverse interpretazioni locali. La couvade e cosi deIinita grazie a una generalizzazione interpretativa: le pratiche locali che possono essere interpretate come precauzioni rituali che un padre deve prendere prima o dopo la nascita del Iiglio vengono classiIicate come couvade. Come ho sostenuto prima, il prezzo di questo uso interpretativo e una grossa perdita di Iedelta: la concezione di un rituale, quella di una precauzione appropriata, cosa signiIica che una pratica sia imposta a qualcuno, che e considerato un padre, e cosi via, variano da cultura a cultura. Al livello di generalita adottato dagli antropologi nel loro lavoro 'teorico', queste concezioni locali possono essere interpretate in un'inIinita di modi. Nella tradizione antropologica restano poche interpretazioni; la maggior parte delle variazioni locali e le altre possibilita interpretative vengono semplicemente ignorate. La perdita di Iedelta rispetto alle rappresentazioni locali e 3 La debolezza delle tipologie funzionaliste stata discussa da Leach 1961 e, pi a fondo, da Needham 1971, 1972. Ho sostenuto che queste tipologie vaghe e non definite sono basate su criteri interpretativi invece che descrittivi; si veda il capitolo 1. 52 compensata da un aumento di pertinenza? Piu speciIicamente, i tipi deIiniti attraverso le generalizzazioni interpretative sono utili per il lavoro teorico? Non vedo ragioni per pensare che lo siano. Perche non ci si dovrebbe aspettare che tutti i casi parti- colari di un tipo deIinito interpretativamente cadano sotto una spiegazione Iunzionale comune, speciIica - o, per quello che conta, sotto una speciIica spiegazione causale? Il punto non vale solo per la couvade, ma per tutti i casi di istituzioni deIinite Interpretativamente, ossia per tutti i tipi di istituzioni deIinite in antropologia. Dal punto di vista di una spiegazione causale, le tipologie antropologiche basate su considerazioni interpretative sono completamente arbitrarie. I modelli epidemiologici Chiamiamo 'culturali' le rappresentazioni che sono ampiamente diIIuse in Iorma durevole in un gruppo sociale. Se e cosi, allora non esiste un limite, una soglia precisa, tra le rappresentazioni culturali e quelle individuali. Le rappresentazioni sono piu o meno ampiamente diIIuse e durature, e, quindi, piu o meno culturali. In queste condizioni, spiegare il carattere culturale di alcune rappresentazioni signiIica rispondere alla domanda: Perche queste rappresentazioni hanno piu successo di altre in una popolazione umana? E, per rispondere, dobbiamo considerare la distribuzione di tutte le rappresentazioni. La spiegazione causale dei Iatti culturali diventa allora una sorta di epidemiologia delle rappresenta:ioni. Un'epidemiologia delle rappresentazioni cerchera di spiegare i macroIenomeni culturali come l'eIIetto cumulativo di due tipi di micromeccanismi: i meccanismi individuali responsabili della Iormazione delle rappresentazioni mentali e quelli interindividuali che, attraverso alterazioni dell'ambiente, sono la causa della trasmissione delle rappresentazioni. Da una prospettiva epidemiologica, quello che l'antropologo chiama couvade tra i Txikao non e altro che una catena causale ricorrente di pensieri e comportamenti individuali. Spiegare il Ienomeno, cosi concettualizzato, signiIica identiIicare i Iattori psicologici ed ecologici che Iavoriscono questo concatenamento. Non sono in grado di Iornire una spiegazione epidemiologica della couvade txikao, e dubito che i dati etnograIici, raccolti all'interno di un quadro esplicativo molto diverso, possano aiutare a stabilire una spiegazione di questo tipo. Vorrei pero indicare quali sono le domande sollevate da questo caso da un punto di vista epidemiologico, e quali risposte si potrebbero cercare. 53 Molto spesso si trovano rituali associati a rischi prevedibili, come la mortalita perinatale, che hanno lo scopo di proteggere da tali rischi. Da un punto di vista epidemiologico, la ricorrenza di pericoli di un certo tipo e un Iattore ecologico capace di stabilizzare una pratica rituale; ogni pratica concepita come diIesa contro un tipo di pericolo ricorrente e riattualizzata regolarmente dal pericolo stesso. Ma questo dipende dalla credenza delle persone nell'eIIicacia del rito: non si possono spiegare pratiche come la couvade txikao senza spiegare il Iatto che esse sono considerate eIIicaci. In larga misura, se i Txikao credono nell'eIIicacia della couvade, questo dipende, generazione dopo generazione, dal Iatto che sono nati in un mondo in cui la sua eIIicacia e data per scontata. In altre parole, questa credenza e Iondata sulla Iiducia nell'autorita degli anziani. Da un punto di vista cognitivo, sarebbe pero sorprendente che l'osservazione di casi sIortunati non avesse eIIetti sulla Iorma della credenza. Assumendo che questa pratica sia, in realta, totalmente ineIIicace, ci si dovrebbe aspettare che la credenza nella sua eIIicacia si eroda progressivamente di generazione in generazione, specialmente dato il Iatto che essa presenta svantaggi evidenti. Ci sono quattro tipi di casi che, se presi in considerazione, dovrebbero indicare se una pratica e eIIicace o meno. 1a) La pratica e stata seguita rigorosamente, e la calamita non si e prodotta. 1b) La pratica e stata seguita rigorosamente, e la calamita si e prodotta. 2a) La pratica non e stata seguita rigorosamente, e la calamita non si e prodotta. 2b) La pratica non e stata seguita rigorosamente, e la calamita si e prodotta. Se pensiamo a una pratica come la couvade txikao, che non ha alcuna reale eIIicacia, l'esame di questi quattro tipi di casi dovrebbe, a un certo punto, convincere le persone che il tipo di calamita di cui hanno paura si produce con la stessa Irequenza tanto se la pratica e seguita, quanto se non lo e. 0, perlomeno, l'esame dei casi reali non dovrebbe costituire una prova dell'eIIicacia della pratica. Ci sono allora due ipotesi possibili: o le persone sono indiIIerenti alla loro esperienza, o le inIerenze che ne traggono non sono adeguate. Si puo mostrare che non solo gli esseri umani, ma anche gli animali sono capaci di valutare spontaneamente probabilita speciIiche e di tenerne conto, per esempio nella ricerca del cibo. D'altronde, e anche stato mostrato che in molte situazioni le 54 probabilita sono mal comprese e tendono a essere distorte in maniera sistematica. 4 In generale ci sono tre motivi per pensare che risulti spontaneo dare un peso eccessivo ai casi 2b, cioe ai casi in cui il mancato rispetto della pratica e stato seguito dalla calamita. Primo: solo la sIortuna richiede sempre una spiegazione; secondo, quando il mancato rispetto di una pratica e seguito dalla calamita, sembra esserne la causa; terzo: spiegare una calamita come se Iosse provocata dal comportamento di alcune persone rende possibile attribuire delle responsabilita, e quindi dare almeno una risposta sociale a una situazione che altrimenti lascia impotenti. In queste condizioni, seguire una pratica protegge almeno dal rischio di essere accusati di aver prodotto una calamita. La pratica ha oggettivamente questo tipo di eIIicacia. La disposizione cognitiva ad assegnare spontaneamente un peso eccessivo a casi che hanno una maggiore rilevanza nella vita di qualcuno (ma non necessariamente una maggiore rilevanza statistica) interagisce con un Iattore ecologico, ossia la Irequenza dei diversi tipi di casi. E probabile (ed e veriIicabile empiricamente) che, dato che la Irequenza dei quattro tipi di casi varia con i tipi diversi di calamita, risulti piu Iacile o piu diIIicile valutare adeguatamente l'eIIicacia o l'ineIIicacia delle pratiche rituali coinvolte. E piu diIIicile, per esempio, sbagliarsi riguardo all'eIIicacia di una pratica che si pensa debba proteggere contro un rischio molto elevato. Si puo quindi predire che pratiche ineIIicaci Iinalizzate a evitare una calamita inevitabile, per esempio la morte di persone molto anziane, siano soggette a una rapida erosione cognitiva. Pratiche di questo tipo dovrebbero essere molto piu rare nelle culture umane delle pratiche ineIIicaci che servono a impedire calamita con un'incidenza intermedia, come la mortalita perinatale nelle societa non medicalizzate. Si puo anche predire che quando l'osservanza di una pratica ineIIicace scende al di sotto di una certa soglia speciIica (che e essa stessa una Iunzione dell'incidenza del tipo di calamita in questione), la sua ineIIicacia diventa maniIesta e la pratica scompare o viene radicalmente trasIormata. Le osservazioni precedenti aiutano a spiegare perche le pratiche che dovrebbero proteggere da vari tipi di calamita possono 4 I fatti pertinenti sono stati messi in rilievo nel lavoro di Daniel Kahneman e Amos Tversky (si veda Kahneman et alii 1982), Gerd Gigerenzer e i suoi collaboratori, e nel dibattito tra i due approcci (si vedano Gigerenzer 1991, 1993; Gigerenzer e Hoffrage 1995; Kahneman e Tversky 1995) 55 stabilizzarsi, anche se sono prive di eIIicacia. Ma come si Ia a identiIicare il contenuto speciIico di tali pratiche? Perche i tentativi dei Txikao di proteggere i propri neonati consistono nell'astinenza alimentare e non in canzoni o banchetti? Questo potrebbe essere il punto di partenza degli studi interpretativi o strutturalisti come quello di Menget, che tendono a mostrare che la couvade txikao e una parte di un insieme coerente di rappresentazioni culturali. Anche tenendo conto dell'enIatizzazione della coerenza tipica dell'antropologia interpretativa, e vero che elementi di singole culture tendono a essere altamente coerenti. Ma in se, la coerenza e qualcosa da spiegare, non la spiegazione di qualcosa. Ecco la proposta dell'approccio epidemiologico e cognitivo. Nel processo di trasmissione le rappresentazioni vengono trasIormate; cio non avviene solo in maniera casuale, ma in direzione di contenuti che richiedano minor sIorzo mentale e generino un maggior numero di eIIetti cognitivi. Questa tendenza a ottimizzare il rapporto eIIetto-sIorzo - e quindi la pertinen:a delle rappresentazioni trasmesse (si veda Sperber e Wilson 1986) - porta alla trasIormazione progressiva delle rappresentazioni in una data societa verso contenuti pertinenti nel contesto l'uno dell'altro. Il contenuto particolare di una pratica come la couvade txikao sara tanto piu stabile quanto piu essa e pertinente nel contesto delle altre rappresentazioni culturali txikao. Per spiegare la couvade txikao si deve allora studiare il contesto particolare in cui hanno luogo le attivita comunicative e cognitive txikao, cercando di identiIicare i Iattori che, attraverso queste attivita, stabilizzano l'istituzione. L'approccio epidemiologico puo quindi interagire con l'etnograIia standard, traendo conclusioni a partire da risposte gia Iornite e Iacendo nascere nuove domande. L'approccio epidemiologico rende gestibile il problema metodologico sollevato dal Iatto che il nostro accesso al contenuto delle rappresentazioni e inevitabilmente interpretativo. La soluzione di tale problema non si trova in un'ermeneutica speciale che ci dia accesso alle rappresentazioni che appartengono a una cultura, ma che non esistono nella testa degli individui o nell'ambiente circostante. La soluzione consiste semplicemente nel rendere piu aIIidabile la nostra capacita ordinaria di comprendere cio che persone come voi, Opote e io possiamo dire e pensare. Questo perche, in una spiegazione epidemiologica, i meccanismi esplicativi sono meccanismi mentali individuali e meccanismi di comunicazione interindividuali; le rappresentazioni da considerare sono quelle costruite e trasIormate da questi micromeccanismi. In altre parole, le rappresentazioni pertinenti 56 sono allo stesso livello concreto di quelle che lo scambio sociale quotidiano ci Ia interpretare. Un altro vantaggio metodologico dell'approccio epidemiologico e di Iornire un principio per identiIicare i tipi di cose culturali per cui si deve cercare una spiegazione piu generale. Gli oggetti propri della teoria antropologica sono tipi di catene causali del genere che ho descritto. Questi tipi di catene causali sono individuati in termini di caratteristiche che giocano un ruolo causale nel loro emergere e nel loro mantenersi; esse possono essere ecologiche o psicologiche: per esempio la labilita dei testi orali rispetto alla stabilita dei testi scritti e un Iattore ecologico chiave per spiegare la loro rispettiva distribuzione; l'alta memo- rabilita delle narrazioni rispetto alla bassa memorabilita delle descrizioni e un Iattore psicologico chiave. Questi due Iattori in- teragiscono in modo evidente, e giustiIicano il Iatto che si considerino le narrazioni orali come un tipo psicologico proprio. Le caratteristiche psicologiche pertinenti per determinare i I ipi di cose culturali possono includere tratti del loro contenuto, i quali possono essere caratterizzati solo interpretativamente. Dire che varie interpretazioni condividono un tratto del contenuto signiIica dire che possono essere interpretate allo stesso modo, a un certo livello e da un certo punto di vista. Ma la proprieta dell'interpretabilita comune, con tutta la sua vaghezza, puo bastare, se non a descrivere, almeno a cogliere una classe di Ienomeni determinati tutti da identici Iattori causali. Esiste per esempio un tipo di dato che gli antropologi raccolgono sistematicamente sul campo: le genealogie. A seconda della societa e della classe sociale, la lunghezza delle genealogie varia: alcuni ricordano lunghe linee di antenati, mentre altri possono diIIicilmente andare al di la della generazione dei loro nonni. Come imparano gli studenti del primo anno di antropologia, le relazioni riconosciute come genealogiche sono diverse in ogni societa, e non sono equivalenti a quelle di semplice discendenza biologica. In queste condizioni, la nozione stessa di genealogia come tipo di rappresentazione culturale e deIinita interpretativamente e quindi e vaga. Ciononostante e plausibile che le genealogie, in tutte le loro versioni, siano localmente rilevanti e quindi culturalmente stabili, in parte per ragioni uni- versali. In una prospettiva epidemiologica, la spiegazione di un Iatto culturale - ossia di una distribuzione di rappresentazioni - deve essere cercata non tanto in un macromeccanismo, ma nell'eIIetto combinato di molti micromeccanismi. Quali sono i Iattori che portano un individuo a esprimere una rappresentazione 57 mentale nella Iorma di una rappresentazione pubblica? Quali rappresentazioni mentali e probabile siano costruite dai destinatari di una rappresentazione pubblica? Quali trasIormazioni di contenuto e probabile che siano generate da questo processo? Quali Iattori e quali condizioni rendono probabile la comunicazione ripetuta di alcune rappresentazioni? Quali proprieta, generali o contestuali, deve avere una rappresentazione per conservare un contenuto relativamente stabile nonostante le comunicazioni ripetute? Le questioni poste da un approccio epidemiologico sono diIIicili, ma almeno gli antropologi condividono molte di esse con gli psicologi cognitivi ed e possibile che tra le due discipline emerga un'utile relazione di pertinenza reciproca. Per rispondere a queste domande, come nel caso di tutte le domande antropologiche, le interpretazioni devono essere usate come dati. Ma, almeno, le interpretazioni richieste da questo approccio sono dello stesso tipo di quelle che usiamo nelle nostre interazioni quotidiane. Ovviamente, anche queste interpretazioni pongono qualche problema, ma dobbiamo riconoscerne il valore di dato; dopotutto ci basiamo su di esse in questioni personali che ci stanno ben piu a cuore della teorizzazione scientiIica. 5 5 Alcuni studi di etnografia hanno messo a fuoco i micromeccanismi di trasmissione culturale e sono di particolare interesse per l'approccio epidemiologico. Per citare solo due classici: Barth 1975; Favret-Saada 1977. 58 All'epoca in cui Malinowski era studente, l'antropologia e la psicologia costituivano campi di ricerca ben integrati: un an- tropologo, o uno psicologo, poteva tenersi al corrente di tutto quello che avveniva nella propria disciplina. Non solo. Erano molti coloro che conoscevano a Iondo entrambi i campi: Ri- vers, Wundt, e Malinowski stesso. Tre quarti di secolo dopo, la situazione e proIondamente mutata: l'antropologia e la psicolo- gia non sono piu campi di ricerca, ma Iamiglie di campi di ri- cerca, associazioni istituzionali di imprese scientiIiche piu o meno collegate. Per dire le cose come stanno, 'antropologia' e 'psicologia' designano piu due dipartimenti universitari che due scienze. Gli antropologi e gli psicologi a volte mostrano interesse gli uni nel lavoro degli altri, dibattono, cooperano. Non mi pro- pongo di passare in rassegna queste interazioni; altri lo hanno gia Iatto meglio di come saprei Iare io. 1 Quello che vorrei pren- dere in considerazione qui e la relazione Ira una preoccupazio- ne centrale in antropologia, la spiegazione causale dei Iatti cul- turali, e una centrale in psicologia, lo studio dei processi con- cettuali di pensiero. Nonostante il ruolo centrale rivestito da entrambe, ne la spiegazione dei Iatti culturali, ne la psicologia del pensiero costituiscono discipline ben sviluppate. Si tratta di ricerche a uno stadio programmatico, al piu pionieristico, e lo stesso vale, ovviamente, per la loro interazione. Malinowski riteneva che i Iatti culturali dovessero essere parzialmente spiegati in termini psicologici. Questa visione e stata spesso accolta con scetticismo, o addirittura derisa, come 3. Antropologia e psicologia: verso un'epidemiologia delle rappresentazioni 1 Si vedano Levine 1973; 1ahoda 1982. 59 se si trattasse di un errore concettuale ingenuo ed evidente; quello che trovo sbagliato e il tipo di argomenti usati contro tale posizione, mentre trovo ingenua l'idea che le capacita mentali umane rendano possibile la cultura ma non ne determinino in alcun aspetto il contenuto e l'organizzazione. Non ci stiamo chiedendo se, in linea di principio, le spiegazioni psicologiche dei Iatti culturali siano ammissibili. Ci stiamo chiedendo quali considerazioni psicologiche siano eIIettivamente esplicative. Su questo aspetto, la posizione che diIendo contrasta con quella di Malinowski: egli poneva l'accento sulla psicologia delle emozioni, io su quella della cognizione. 2 Malinowski riteneva che alcune rappresentazioni culturali Iossero basate su disposizioni psicologiche e rispondessero a bisogni psicologici (cosi come vedeva altri aspetti della cultura come risposte a bisogni biologici). Ritengo che, piu importante dei bisogni e almeno altrettanto delle disposizioni, esista una ricettivita psicologica alla cultura. Epidemiologia La mente umana e suscettibile alle rappresentazioni culturali cosi come il corpo lo e alle malattie. Ovviamente le malattie sono per deIinizione nocive mentre le rappresentazioni non lo sono, ma pensate davvero che tutte le rappresentazioni culturali siano utili, Iunzionali o adattive? Io non lo credo. Alcune rappresentazioni sono utili, altre dannose; la maggior parte non ha probabilmente alcun eIIetto evidente negativo o positivo sul be- nessere individuale, del gruppo o della specie - o almeno non il tipo di eIIetti che ci Iornirebbero una spiegazione. Che cosa vogliamo spiegare? Prendiamo un gruppo umano abitato da una popolazione piu numerosa di rappresentazioni; alcune di esse restano in un individuo solo per qualche secondo, altre abitano l'intero gruppo per molte generazioni. Tra questi due estremi, si trovano rappresentazioni con distribuzioni piu o meno ampie. Quando parliamo di cultura ci riIeriamo normalmente a rappresentazioni largamente distribuite e di lunga durata, anche se non esiste una soglia tra le rappresentazioni culturali da un lato e quelle individuali dall'altro. Le rap 2 Non voglio dire che la psicologia delle emozioni non sia pertinente alla spiegazione della cultura. Tendo a credere per che ci sia bisogno di considerevoli progressi dal lato cognitivo per capire meglio il ruolo delle emozioni nella cultura. Per una discussione recente si vedano Lewis 1977; Schweder 1979a, 1979b, 1980; D'Andrade 1981; Gibbard 1990. 60 presentazioni sono piu o meno distribuite, e quindi piu o meno culturali. Spiegare la cultura allora signiIica rispondere alla domanda: Perche alcune rappresentazioni hanno piu successo di altre in una popolazione umana, perche sono piu contagiose? Per rispondere, bisogna considerare in generale la distribuzione delle rappresentazioni. Vedo quindi la spiegazione causale dei Iatti culturali necessariamente nella Iorma di una sorta di epidemiologia delle rappresentazioni. 3 In primo luogo esistono somiglianze superIiciali evidenti; per esempio, una rappresentazione puo essere culturale in molti modi diversi. Alcune sono trasmesse lentamente attraverso le generazioni - sono quelle che chiamiamo tradizioni e sono paragonabili alle malattie endemiche; altre - le mode, tipiche delle culture moderne - si diIIondono rapidamente in un'intera popolazione e sono paragonabili alle epidemie. Gli epidemiologi hanno costruito modelli matematici soIisticati della trasmissione delle malattie, ed e interessante cercare di applicarli alle varie Iorme di trasmissione culturale. E questa la linea di Cavalli-SIorza e Feldman (1981). Benche il loro lavoro sia di notevole interesse, specialmente data la penuria di modelli esplicativi nello studio della cultura, essi trascurano alcune diIIerenze importanti Ira la trasmissione delle malattie e la trasmissione culturale, oltre che somiglianze piu proIonde tra l'epidemiologia delle malattie e quella delle rappresentazioni. La trasmissione di malattie inIettive e caratterizzata da processi di replicazione di virus o batteri; solo occasionalmente, invece di una replicazione si veriIica una mutazione. I modelli epidemiologici standard rappresentano la trasmissione di malattie stabili o di malattie con variazioni limitate e prevedibili; le rappresentazioni tendono invece a essere trasIormate ogni volta che sono trasmesse. Per esempio, la vostra comprensione di quello che sto dicendo non e una riproduzione nella vostra mente dei miei pensieri, ma una costruzione di pensieri vostri piu o meno collegati ai miei. La replicazione o riproduzione di una rappresentazione, se mai avviene, e un'eccezione. Un'epidemiologia delle rappresentazioni e quindi prima di tutto lo studio delle loro trasIormazioni: essa considera la riproduzione di rappresentazioni come un caso limite di trasIormazione. L'epidemiologia delle malattie deve talora spiegare perche una malattia si trasIorma durante il processo di trasmissione. L'epidemiologia delle rappresentazioni, invece, deve spiegare perche alcune rappresentazioni restano relativamente stabili, cioe perche 3 Per un'introduzione all'epidemiologia si veda MacMahon e Pugh 1970. 61 diventano propriamente culturali. Di conseguenza, se e quando ci sara bisogno di modelli matematici per la trasmissione culturale, non si trattera di modelli epidemiologici standard. Lo stesso vale per altri modelli biologici della cultura, come quelli presentati da Dawkins (1976) e da Lumsden e Wilson (1981). E pero possibile servirsi dell'analogia epidemiologica in una direzione diversa, piu signiIicativa. L'epidemiologia non e una scienza indipendente che studia un livello autonomo della realta; essa studia la distribuzione delle malattie e le malattie sono caratterizzate dalla patologia. La distribuzione delle malattie non puo essere spiegata senza tenere conto del modo in cui esse colpiscono l'organismo, ossia senza guardare alla patologia individuale, e, piu in generale, alla biologia individuale. A sua volta, l'epidemiologia e una Ionte di dati Iondamentale per la patologia. La patologia sta all'epidemiologia come la psicologia del pensiero sta all'epidemiologia delle rappresentazioni: ritengo che l'epidemiologia delle rappresentazioni, in quanto spiegazione causale dei Iatti culturali, e la psicologia del pensiero debbano stare in una relazione di sovrapposizione parziale e pertinenza reciproca. La maggior parte delle discussioni sulla relazione Ira l'antropologia e la psicologia, al livello teorico che stiamo considerando ora, sono state espresse in termini di riduzionismo versus antiriduzionismo, come se Iossero alternative reali e le sole possibili. Per i riduzionisti, i Iatti culturali sono Iatti psicologici che devono essere spiegati in termini psicologici; per gli antiriduzionisti, i Iatti culturali appartengono a un livello autonomo di realta, e devono essere spiegati essenzialmente nei termini di un altro livel- lo. Credo che in questo caso tanto il riduzionismo quanto l'anti- riduzionismo non abbiano molto senso, e che l'analogia epidemiologica Iornisca un approccio molto piu plausibile. La nozione di riduzione di una teoria a un'altra e abbastanza chiara, ed e illustrata da casi Iamosi, come la riduzione della termodinamica alla meccanica statistica (si veda Nagel 1961, cap. 11). La nozione di riduzione di un campo di ricerca a un altro, come la riduzione dell'antropologia alla psicologia, e invece piu vaga, specialmente quando nessuno dei due campi e dotato di una teoria ben stabilita. In questi casi, dire che un campo non puo essere ridotto all'altro signiIica appoggiarsi su convinzioni a priori piu che su argomenti scientiIici; alcuni credono nell'unita della scienza, altri nell'emergere dell'evoluzione. Le relazioni tra diversi campi sono comunque troppo varie e sottili 62 per essere analizzate semplicemente, o primariamente, in termini di riduzione o non riduzione. 4 L'epidemiologia, per esempio, e lo studio ecologico dei Ienomeni patologici; la sua ontologia e eclettica come quella dell'e- ecologia, non ha maggiore autonomia di quanta ne abbia que- st'ultima. Non si riduce alla patologia, ma non puo essere deIinita o sviluppata indipendentemente da essa. E ovviamente possibile sviluppare un'epidemiologia della buona salute o di ogni altra condizione e, come propongo io, si puo sviluppare un'epidemiologia delle rappresentazioni. Ma qualsiasi 'epidemiologia' si stia considerando, essa deve essere deIinita in relazione a qualche disciplina aIIine. Cio che voglio dire attraverso l'analogia epidemiologica e che la psicologia e necessaria ma non suIIiciente per la spiegazione e la caratterizzazione dei Ienomeni culturali. I Ienomeni culturali sono distribuzioni ecologiche di Ienomeni psicologici, non appartengono a nessun livello autonomo di realta, come vorrebbero gli antiriduzionisti, ne alla sola psicologia, come vorrebbero i riduzionisti. L'analogia epidemiologica e allora appropriata in un altro senso. La distribuzione di malattie diIIerenti - come la malaria, il cancro ai polmoni e la talassemia - segue percorsi diIIerenti e richiede spiegazioni molto diverse. Quindi, mentre esiste un approccio epidemiologico caratterizzato da questioni, procedure e strumenti speciIici, non esiste una teoria generale dell'epidemiologia. Ogni tipo di malattia richiede una teoria ad hoc e, anche se le analogie sono Irequenti e suggestive, non esiste una limitazione di principio riguardo a quanto possano diIIerire le une dalle altre. Per le stesse ragioni, il progetto di una teoria generale della cultura mi sembra Iuorviarne. I diversi Ienomeni culturali - i riti Iunerari, i miti, l'artigianato e le classiIicazioni dei colori - possono rientrare in modelli esplicativi diIIerenti. Quello che l'analogia epidemiologica suggerisce e un approccio generale, un tipo di domande da porsi, un modo di costruire i concetti e una pluralita di scopi teorici non troppo ambiziosi. Rappresenta:ioni La nozione di rappresentazione e spesso usata negli studi sulla cultura, ma sin dai tempi delle 'rappresentazioni colletti 4 Come si vede per esempio nei lavori recenti di filosofia della biologia; si vedano Darden e Maull 1977; Darden 1978. 63 ve' di Durkheim, il suo statuto ontologico resta molto vago. Se vogliamo seriamente sviluppare un'epidemiologia delle rappresentazioni, non possiamo accontentarci di questo. Una rappresentazione implica una relazione Ira tre termini: un oggetto e una rappresentazione di qualcosa, per qualche meccanismo che elabora inIormazione. Prenderemo qui in considerazione solo rappresentazioni per individui umani, ignorando altri meccanismi di elaborazione dell'inIormazione come i teleIoni e i computer anche se essi inIluenzano la distribuzione delle rappresentazioni nelle popolazioni umane. Considereremo rappresentazioni di quello che vogliamo: ambiente, Iantasia, azione, rappresentazioni di rappresentazioni, e cosi via, ignorando i complicati problemi IilosoIici implicati. Il problema che non possiamo ignorare e il seguente: di che tipo di oggetti stiamo parlando quando parliamo di rappresentazioni? Possiamo parlare di rappresentazioni come di oggetti concreti, Iisici, collocati nello spazio e nel tempo? A questo livello concreto, dobbiamo distinguere due tipi di rappresentazioni: ci sono rappresentazioni interne al meccanismo di elaborazione dell'inIormazione, le rappresenta:ioni mentali; e ci sono rappresentazioni esterne al meccanismo e che il meccanismo tratta come input, le rappresenta:ioni pubbliche. Consideriamo, per esempio, la ricetta della salsa Mornay in un libro di cucina; si tratta di una rappresentazione pubblica, piu precisamente di una serie di segni di inchiostro su carta che puo essere letta, cioe trattata come input di un certo tipo. Il lettore costruira una rappresentazione mentale della ricetta che potra ricordare, dimenticare o trasIormare, oppure seguire, cioe convertire in comportamento. Consideriamo una madre che racconta alla Iiglia la Iavola di Cappuccetto Rosso; anche qui ci troviamo davanti a una rappresentazione pubblica, piu precisamente a una serie di suoni che provocano la costruzione di una rappresentazione mentale da parte del bambino, il quale puo a sua volta ricordarla, dimenticarla, trasIormarla e raccontarla, ossia convertirla in un comportamento Iisico, in questo caso vocale. A questo livello concreto, ci sono milioni di esemplari della ricetta della salsa Mornay, milioni di esemplari di Cappuccetto Rosso, ossia milioni di rappresentazioni sia pubbliche sia mentali. Un'epidemiologia delle rappresentazioni e uno studio delle catene causali in cui sono coinvolte le rappresentazioni mentali e pubbliche: la costruzione o il recupero di rappresentazioni mentali puo Iar si che un individuo modiIichi l'ambiente Iisico circostante, per esempio producendo una rappresentazione pubblica. Tali modiIicazioni dell'ambiente possono Iar si che 64 altri individui costruiscano altre rappresentazioni mentali, le quali possono venire immagazzinate e poi recuperate, e successivamente Iar si che gli individui modiIichino l'ambiente, e cosi via. Esistono allora due classi di processi rilevanti per un'epidemiologia delle rappresentazioni: processi intraindividuali di memoria e pensiero, e processi interindividuali dove le rappre sentazioni di un soggetto inIluenzano quelle di altri soggetti attraverso modiIicazioni dell'ambiente comune circostante. I processi intraindividuali sono puramente psicologici; quelli interindividuali hanno a che Iare con gli input e gli output del cervello - cioe con l'interIaccia tra il cervello e il suo ambiente; essi sono in parte psicologici, in parte ecologici. Anche le rappresentazioni possono essere considerate a un livello puramente astratto, senza Iare riIerimento ne alla loro Iorma mentale nel cervello umano, ne alla loro Iorma pubblica Iisicamente percepibile. A tale livello astratto, si possono discutere le proprieta Iormali delle rappresentazioni: possiamo osservare per esempio che la ricetta della salsa Mornay contiene quella della besciamella e trattarla come esempio di cucina Irancese borghese - un'altra astrazione. Possiamo analizzare la Iavola di Cappuccetto Rosso, conIrontarla con altre storie e cercare di sostenere, a la Levi-Strauss, che il personaggio di Cappuccetto Rosso sta in una relazione di inversione simmetrica con Pollicino (piu realisticamente che con Amleto, come proponevo in un esempio del capitolo 2). In quanto oggetti astratti, le rappresentazioni hanno proprieta Iormali ed entrano in relazioni Iormali le une con le altre. D'altra parte, gli oggetti astratti non entrano direttamente nelle relazioni causali. A causare la vostra indigestione non e la ricetta della salsa Mornay in astratto, ma il Iatto che il vostro ospite avesse letto una rappresentazione pubblica, avesse co- struito una rappresentazione mentale e l'avesse seguita con maggiore o minore successo. A provocare nel bambino un'eccitante sensazione di paura non e la Iavola di Cappuccetto Rosso in astratto, ma la comprensione delle parole della madre. Per insistere ancora su questo punto, cio che ha Iatto si che la salsa Mornay o Cappuccetto Rosso siano diventate rappresentazioni culturali non sono - o meglio, non sono direttamente - le loro proprieta Iormali; e la costruzione di milioni di rappresentazioni mentali legate causalmente da milioni di rappresentazioni pubbliche. Tra questi processi concreti e le proprieta Iormali delle rap- presentazioni trattate esiste una relazione? Le proprieta Iormali delle rappresentazioni possono essere considerate in due mo 65 di (che non sono incompatibili): come proprieta di oggetti astratti presi in considerazione in quanto tali (approccio plato- nista) o come proprieta che un meccanismo di trattamento dell'inIormazione, in questo caso la mente umana, puo attribuire e utilizzare (approccio psicologico). In altre parole, le proprieta Iormali delle rappresentazioni (o almeno alcune di esse) possono essere considerate come proprieta potenzialmente psicologiche e sono signiIicative per un'epidemiologia delle rappresenta- zioni. Ci si puo chiedere, per esempio, quali proprieta Iormali Ianno si che la Iavola di Cappuccetto Rosso sia piu Iacile da comprendere e da ricordare - e quindi abbia piu probabilita di diventare un oggetto culturale - di un resoconto dell'andamento della Borsa valori di oggi. L'approccio platonista puo essere di grande interesse intrinseco, 5 ma non e appropriato nel caso della ricerca di una spiegazione causale dei Iatti culturali. Bisogna considerare sia le rappresentazioni mentali sia quelle pubbliche, e le proprieta Iormali devono essere descritte in termini psicologici. Presupposti La maggior parte delle discussioni, tanto in antropologia quanto nello studio delle religioni o nella storia delle idee, tratta le rappresentazioni culturali come oggetti astratti: si discute un mito, una dottrina religiosa, un'istruzione rituale, una norma giuridica o anche una tecnica senza nessuna considerazione dei processi psicologici di cui sono oggetto o del passaggio continuo dalle loro versioni mentali a quelle pubbliche. Anche chi si considera materialista discute le rappresentazioni senza considerarne l'esistenza mentale in quanto stimoli, processi e stati psicologici. La diIIerenza tra coloro che si proclamano materialisti e coloro che sono da essi accusati di idealismo e che i materialisti vedono le rappresentazioni piu come effetti di condizioni materiali, mentre gli idealisti le vedono piu come cause di tali condizioni. Sia i 'materialisti' che gli 'idealisti' parlano delle rappresentazioni considerate in astratto come se entrassero in relazione causale con il mondo materiale; quale che sia l'ordine delle cause e degli eIIetti preIerito, presuppone una Iorma di idealismo ontologico molto diIIicile da diIendere. 5 Per due versioni differenti dell'approccio platonista si vedano Popper 1972 e Katz 1981. 66 Naturalmente, si puo pensare che le spiegazioni causali di Iatti culturali possano essere Iormulate a un livello molto astratto, che trascuri i micromeccanismi di cognizione e comunicazione. E certamente quello che hanno cercato di Iare gli antropologi e i sociologi, per esempio collegando l'inIrastruttu- ra economica e la religione. Ma, per quanto corretta possa essere, tale spiegazione risulta incompleta: perche l'inIrastruttura economica possa inIluenzare la religione, essa deve prima di tutto inIluenzare le menti degli individui. Ci sono solo due modi, uno cognitivo e l'altro non cognitivo, in cui si puo inIluenzare una mente individuale. Essa puo essere inIluenzata da stimoli, cioe da modiIicazioni molto speciIiche dell'ambiente Iisico del cervello; oppure puo esserlo attraverso modiIicazioni Iisiche non cognitive, in particolare modiIicazioni chimiche del cervello provocate per esempio da carenze nutritive o da un elettroshock. Per dimostrare che le condizioni economiche inIluenzano la religione, bisogna essere in grado di dimostrare che esse inIluenzano, tanto in modo cognitivo quanto non cognitivo, l'interazione tra i cervelli e gli ambienti a loro circo- stanti. Bisogna inoltre dimostrare che questa azione causa modiIicazioni cognitive e comportamentali che, a un livello piu astratto, vengono descritte come religione. Al momento non disponiamo ne di una spiegazione generale convincente dei Iatti culturali a livello astratto, ne di un'epidemiologia delle rappresentazioni. La domanda che si pone e allora: dove dirigere i nostri sIorzi? Ovviamente e positivo che ognuno segua la propria intuizione e che non diamo tutti la stessa risposta a questa domanda. Nel diIendere un'epidemiologia delle rappresentazioni, non volevo trasIormare gli antropologi in epidemiologi; volevo semplicemente attirare l'attenzione su questo approccio alternativo. immaginiamo che sia possibile, a livello astratto, una spiegazione soddisIacente dei Ienomeni culturali; essa sarebbe, nella migliore delle ipotesi, incompleta, e non potrebbe sostituire un'epidemiologia delle rappresentazioni solidamente radicata nella psicologia, che sarebbe comunque necessario sviluppare. Immaginiamo ora un'epidemiologia delle rappresentazioni ben sviluppata. Per quel che sappiamo, essa potrebbe Iornire solo una spiegazione incompleta o inutilmente pesante dei Iatti culturali. Ma esiste anche la possibilita che Iornisca tutte le spiegazioni causali di cui abbiamo bisogno: un'epidemiologia delle rappresentazioni e sicuramente necessaria, e Iorse suIIiciente, per la spiegazione causale dei Iatti culturali. E questa mi sembra una ragione Iorte per sviluppare un approccio epidemiologico. Con questo argomento non spero di convincere gli antropo 67 logi e i sociologi che sono paghi di restare al livello astratto e di ignorare i problemi psicologici, il cui atteggiamento e meno basato su un'ontologia sbagliata che su una psicologia semplicistica. Benche riconoscano che la cultura debba avere una realizzazione psicologica, essi continuano a ritenere che la mente umana sia tale da permettere una Iacile realizzazione di tutto, priva di eIIetti sui contenuti della cultura. Nella maggior parte della letteratura, i processi intra- e interindividuali sono semplicemente postulati, implicitamente o esplicitamente, per assicurare una circolazione rapida e Iacile di qualsiasi rappresentazione concepibile. La possibilita che le capacita cognitive umane possano Iunzionare meglio per certe rappresentazioni che per altre e di solito ignorata. Le trasIormazioni causate dallo stoccaggio e dal recupero dell'inIormazione vengono raramente considerate: e come se il recupero Iosse l'eIIetto inverso della memorizzazione. Allo stesso modo i processi interindividuali sono considerati semplici imitazioni, o codiIiche e decodiIiche automatiche di rappresentazioni. Se queste ipotesi Iossero corrette, i micromeccanismi causali di trasmissione delle rappresentazioni avrebbero solo una pertinenza marginale; qualsiasi rappresentazione potrebbe passare inalterata attraverso i canali della comunicazione sociale, con solo un'alternanza regolare tra le sue Iorme pubbliche e mentali ripetute indeIinitamente. Un'epidemiologia delle rappresentazioni aIIronterebbe problemi banali; si potrebbe parlare di rappresentazioni culturali in termini puramente astratti senza perdere niente di essenziale. In realta, e suIIiciente esplicitare queste assunzioni psicologiche per mostrarne l'ingenuita. Sappiamo tutti, senza bisogno di Iare appello alla psicologia accademica ma grazie all'esperienza personale, che alcune rap- presentazioni, come la dimostrazione del teorema di Godei, sono molto diIIicili da comprendere, anche se desideriamo Iarlo. Alcune rappresentazioni, per esempio un numero di venti ciIre, sono diIIicili da ricordare anche se non da comprendere. Altre, proIondamente personali, sono diIIicili o addirittura impossibili da trasmettere senza perdite e distorsioni. D'altro lato, ci sono alcune rappresentazioni, come la Iavola di Cappuccetto Rosso, o un motivo popolare, che non possiamo Iare a meno di ricordare anche quando vorremmo dimenticarcene. Che cosa Ia si che alcune rappresentazioni siano piu diIIicili da interiorizzare, ricordare o trasmettere di altre? Si puo essere tentati di rispondere: la loro complessita, e di intendere la 'complessita' come una proprieta astratta delle rappresentazioni. Ma questa risposta non serve. Un numero di venti ciIre non e piu complesso della Iavola di Cappuccetto Rosso. qualsiasi compu- 68 ter puo lavorare sul primo molto piu Iacilmente che sulla seconda InIatti, mentre e abbastanza Iacile Iornire al computer una versione di Cappuccetto Rosso, non e chiaro come potremmo Iornire in input la storia in se. Gli esseri umani invece ricordano Una storia piu Iacilmente di un testo; cio che e complesso per un cervello umano e diverso da cio che lo e per un computer; la complessita non e una spiegazione, ma qualcosa da spiegare. Quello che Ia si che alcune rappresentazioni siano piu diIIicili da interiorizzare, ricordare, o esplicitare di altre, ossia quello che le rende piu complesse per gli esseri umani e l'organizzazione delle capacita cognitive e comunicative umane. Disposi:ioni e ricettivita Introdurro ora una distinzione tra disposizioni e ricettivita, e passero brevemente in rassegna alcune questioni classiche nello studio della cultura per sostenere che, in una prospettiva epidemiologica, l'antropologia e la psicologia possono essere reciprocamente pertinenti. Le capacita cognitive umane determinate geneticamente sono il risultato di un processo di selezione naturale. Possiamo assumere legittimamente che siano adattamenti: ossia che abbiano aiutato la sopravvivenza e la diIIusione della specie. Cio non signiIica che tutti i loro eIIetti siano degli adattamenti. Alcuni eIIetti del nostro patrimonio genetico possono essere descritti come disposizioni, altri come ricettivita, anche se non sempre e Iacile cogliere la distinzione. Le disposizioni sono state selezionate positivamente nel processo di evoluzione biologica; le ricettivita sono eIIetti collaterali delle disposizioni. Le ricettivita che hanno eIIetti Iortemente nocivi sull'adattamento sono eliminate assieme agli organismi ricettivi; quelle che hanno Iorti eIIetti positivi possono, nel tempo, essere selezionate e divenire quindi indistinguibili dalle disposizioni. La maggior parte delle ricettivita, pero, ha solo eIIetti marginali sull'adattamento; esse devono la loro esistenza alla pressione selettiva che ha pesato non su di loro, ma sulle disposizioni di cui esse sono eIIetti collaterali. Sia le disposizioni che le ricettivita hanno bisogno di condizioni ambientali appropriate per il loro sviluppo ontogenetico. Le disposizioni trovano le proprie condizioni ottimali nell'ambiente in cui si erano sviluppate Iilogeneticamente. Le ricettivita si possono rivelare solo come risultato di un cambiamento delle condizioni ambientali. L'Homo sapiens, per esempio, ha una disposizione per il cibo dolce. Nell'ambiente naturale in cui la specie si e sviluppata 69 si trattava ovviamente di un valore adattivo che aiutava gli individui a selezionare il cibo piu appropriato. Nell'ambiente moderno, in cui si produce lo zucchero artiIicialmente, cio provoca una predisposizione all'eccessivo consumo di zucchero, con tutti gli eIIetti nocivi ben conosciuti. Concetti di base Tenendo a mente la distinzione tra disposizioni e ricettivita, consideriamo in primo luogo i problemi suscitati dai sistemi concettuali. Ogni cultura e caratterizzata da un sistema di concetti diIIerenti. Un problema antropologico tipico e capire le possibili variazioni dei sistemi concettuali da cultura a cultura. Ci sono vincoli universali sulla struttura di questi sistemi? Un problema psicologico e capire come i concetti si Iormino nelle menti individuali. Una visione della Iormazione dei concetti, che ha ispirato l'analisi componenziale in antropologia 6 e i primi studi sulla Iormazione dei concetti in psicologia, 7 sostiene che un nuovo concetto e Iormato combinando diversi concetti gia disponibili. Per esempio, se un bambino ha gia il concetto di genitore e quello di Iemmina, puo Iormare il concetto di 'madre' combinando 'genitore' e 'Iemmina'. Secondo questa visione della Iormazione dei concetti, i concetti che non possono essere scomposti in altri piu elementari non possono essere acquisiti, e devono quindi essere innati. La maggior parte dei nostri concetti non puo essere scomposta in questo modo: provate a scomporre per esempio 'giallo', 'giraIIa', 'oro', 'elettricita', 'machiavellico' o 'dignita'. Non riuscite? Allora, secondo tale teoria, questi concetti e altre centinaia o migliaia, devono essere innati, cosa che, a eccezione di 'giallo', non sembra davvero plausibile. Inoltre, anche quando si puo Iormare un concetto combinandone di piu elementari, ci possono essere ragioni di dubitare che questo sia il modo in cui avviene davvero la sua Iormazione: sicuramente i bambini non Iormano il concetto di madre costruendo l'intersezione di 'Iemmina' e 'genitore'. Essi Iormano piuttosto il concetto di genitore attraverso l'unione di 'madre' e 'padre'. Un altro modo in cui i concetti possono essere insegnati e appresi e per ostensione. Mostrate un uccello a un bambino e 6 Si veda Tyler 1969. 7 Si vedano Vygotsky 1965; Bruner et alii 1956. 70 ditegli: "Questo e un uccello"; dopo alcune di queste esperienze, il bambino acquisira il concetto di uccello. L'ostensione genera problemi ben noti: potete puntare il dito nella direzione dell'uccello, ma indicherete contemporaneamente nella direzione di un oggetto materiale, un animale, un corvo, questo corvo particolare, un corpo piumato, la coda di un uccello, una cosa su un albero, una Ionte di rumore, una cosa nera e un'inIinita di altre cose. Come Ia il bambino a realizzare che intendevate portare la sua attenzione solo su una di esse, e che la parola che avete pro- nunciato corrisponde solo a uno di questi concetti? La combinazione logica e l'ostensione non sono pero mutualmente incompatibili. Un'ipotesi piu plausibile si puo trovare mescolando le due teorie. L'ostensione Iunziona se opera sotto Iorti vincoli logici. Immaginate che un bambino, senza avere un concetto innato di uccello, abbia uno schema innato per i concetti zoologici e una disposizione innata per applicare e sviluppare questo schema ogni volta che gli viene Iornita l'inIormazione che sembra rilevante allo scopo. Se puntate il dito nella direzione di un animale e pronunciate una parola, allora, a meno che il contesto suggerisca altrimenti, la prima ipotesi del bambino sara che gli Iorniate il termine che corrisponde al concetto zoologico, e, piu speciIicamente, a un concetto tassonomico. Il bambino si aspettera che il concetto da sviluppare abbia le proprieta logiche caratteristiche dei concetti tassonomici. Se vi comportate secondo le sue aspettative, allora il bambino sara sulla buona strada (e se non lo Iate, che genitori siete?). Le implicazioni antropologiche o epidemiologiche di questa visione della Iormazione dei concetti sono chiare: gli esseri umani hanno una disposizione a sviluppare concetti come quello di uccello; di conseguenza, tali concetti sono 'contagiosi'. Ai bambini e suIIiciente ben poca esperienza e incoraggiamento per svilupparli e applicarli in modo appropriato; e, una volta che essi siano presenti nel linguaggio, e diIIicile dimenticarli. In ogni linguaggio si trovera dunque un gran numero di questi concetti. Generalizziamo queste speculazioni. Assumiamo di avere una disposizione innata a sviluppare concetti secondo certi schemi. Abbiamo schemi diIIerenti per domini diIIerenti: i nostri concetti di specie viventi tendono a essere tassonomici; quelli di manuIatti tendono a essere caratterizzati in termini di Iunzioni; quelli di colore tendono a essere centrati ognuno su una sIumatura Iocale, e cosi via. I concetti che si conIormano a questi schemi sono Iacili da interiorizzare e da ricordare. Chiamiamoli concetti di base. In ogni lingua si trova un grande numero di concetti di base; essi naturalmente diIIeriscono da una 71 lingua a un'altra, ma non di molto. I concetti di base di un'altra lingua tendono a essere Iacili da riconoscere, imparare e tradurre comparativamente. Esiste un numero crescente di ricerche sui concetti di base sia in psicologia che in antropologia, un dominio che ha generato piu collaborazione tra le due discipline di qualsiasi altro. 8 Questo lavoro tende a mostrare che la Iormazione individuale dei concetti, e quindi la variabilita culturale, sono realmente governate da schemi e disposizioni innati. Cio e stato dimostrato solo per pochi domini semantici. E possibile generalizzare? Tutti i concetti sono Iormati con pochi schemi innati? Ne dubito molto. Primo, non c'e nessuna ragione a priori per assumere che la Iormazione dei concetti avvenga sempre nello stesso modo e quindi cada sotto un unico modello. Secondo, mentre alcuni concetti sono acquisiti Iacilmente dopo una breve esposizione, cosa che suggerisce che ci sia una predisposizione ad acquisirli, la Iormazione di altri concetti, come quelli scientiIici o religiosi, richiede una grande quantita di tempo, interazione e spesso anche insegnamento metodico. Questi concetti elaborati sono acquisiti all'interno del quadro delle rappresentazioni complesse del mondo. Tali rappresentazioni, e quindi i concetti che ne sono caratteristici, sono basate piu su ricettivita che su disposizioni. Rappresenta:ioni culturali Vediamo ora come l'approccio epidemiologico si applica allo sviluppo sociale e alla Iormazione individuale delle rappresentazioni del mondo. Le capacita cognitive umane agiscono, tra l'altro, come Iiltro sulle rappresentazioni che hanno buone probabilita di diIIondersi in una popolazione umana, ossia che sono suscettibili di diventare rappresentazioni culturali. In un certo senso, il ruolo di Iiltro e stato riconosciuto da tempo. Gli antropologi accettano generalmente che un resoconto adeguato delle credenze presenti in una cultura debba mostrare che esse sono in qualche modo razionali nel loro contesto. Cio che si intende con razionalita non e ne chiaro ne costante. Generalmente si ritiene che la razionalita implichi almeno un certo grado di coerenza tra credenze e tra credenze ed 8 Si vedano Berlin e Kay 1969; Miller e 1ohnson-Laird 1976; Rosch e Lloyd 1978; Keil 1979; Ellen e Reason 1979; Smith e Medin 1981; e gli articoli di sintesi di Scott Atran (1981, 1983, 1987). 72 esperienza. La razionalita presuppone quindi dei meccanismi cognitivi che tendano a prevenire o a eliminare le incoerenze empiriche e le contraddizioni logiche. Molti antropologi, da Durkheim a CliIIord Geertz, hanno sostenuto, implicitamente o esplicitamente, che tutte le credenze di una cultura, banali o misteriose che siano, vengano rappresentate mentalmente nello stesso modo, e quindi obbediscano agli stessi criteri di razionalita. Nei nostri termini, esse sono Iiltrate dagli stessi meccanismi cognitivi. Quando si tratta di spiegare le credenze apparentemente irrazionali, questa posizione tende a portare al relativismo culturale, ossia all'ipotesi che i criteri di razionalita variano da cultura a cultura. Altri antropologi 9 hanno sostenuto che la conoscenza empirica quotidiana del mondo - come la rappresentazione che il miele sia dolce -, le credenze religiose - come il dogma della Santissima Trinita -, e le ipotesi scientiIiche - come la teoria della relativita - non siano lo stesso tipo di oggetto mentale. DiIIerenti tipi di rappresentazioni hanno criteri di razionalita diversi, sono Iiltrati cognitivamente da processi diversi. Proviamo a conIrontare brevemente la conoscenza empirica quotidiana e le credenze religiose. Faccio l'ipotesi che esista una disposizione per costruire una certa Iorma di conoscenza empirica che puo essere caratterizzata come segue: -Essa consiste di rappresentazioni semplicemente memorizzate nella memoria enciclopedica e trattate dalla mente come vere descrizioni del mondo solo per il Iatto di essere memorizzate in questo modo. -Le rappresentazioni cosi Iormate sono Iormulate nel vocabolario dei concetti di base; non si puo quindi avere questo genere di conoscenza riguardo agli atomi, ai virus, al mana o alla democrazia (che credo non siano concetti di base). -La loro coerenza reciproca e veriIicata automaticamente, in particolare la loro coerenza con gli input percettivi. La conoscenza empirica quotidiana si e sviluppata sotto Iorti vincoli: concettuali, logici e percettivi; di conseguenza tende a essere coerente ed empiricamente adeguata. D'altro lato, essa si applica solo ad alcuni ambiti cognitivi, e in maniera molto rigida. Ci sono altre Iorme di rappresentazione mentale che si sono sviluppate con maggiore Ilessibilita e con meccanismi di Iiltraggio piu deboli. Esse dipendono da altre capacita cognitive, 9 Per esempio Bloch 1977; Sperber 1974b, 1982. 73 in particolare quella di Iormare rappresentazioni di rappresentazioni. Gli esseri umani possono rappresentare mentalmente non solo i Iatti ambientali e somatici, ma anche alcuni stati mentali, alcune rappresentazioni, alcuni processi. Il sistema umano di rappresentazione interna - il linguaggio del pensiero, per usare l'espressione di Jerry Fodor (1975) - puo servire come suo proprio metalinguaggio. Questa capacita metarappresentazionale, come possiamo deIinirla, e essenziale all'acquisizione della conoscenza umana (oltre che alla comunicazione verbale, anche se qui non discutero di questo). Primo, essa permette agli esseri umani di dubitare e di non Iidarsi: dubitare e non Iidarsi implica rappresentare una rappresentazione come improbabile o Ialsa. Presumibilmente altri animali non hanno la capacita di non Iidarsi di quello che percepiscono o di quello che decodiIicano. Secondo: le capacita metarappresentazionali permettono agli esseri umani di trattare un'inIormazione che non comprendono completamente, un'inIormazione della quale non sono capaci al momento di costruire una rappresentazione ben elaborata. Se un meccanismo di trattamento dell'inIormazione senza capacita metarappresentazionali non e in grado di rappresentare inIormazione attraverso una Iormula ben elaborata del suo linguaggio interno, non puo trattenere o utilizzare l'inIormazione completamente. Un meccanismo che ha capacita meta- rappresentazionali, d'altro lato, puo contenere una rappresentazione incompleta all'interno di una metarappresentazione ben elaborata. I bambini usano in continuazione questa capacita per trattare inIormazione non pienamente compresa. Vengono dette loro cose che non capiscono molto bene da persone a cui essi credono; hanno quindi buone ragioni per pensare che quanto viene detto loro e vero, anche se non sanno esattamente che cos'e stato detto loro. A un bambino viene comunicato per esempio che il signor Tal dei Tali e morto, senza che egli abbia ancora un concetto preciso della morte. La migliore rappresentazione che puo Iormarsi e incompleta, dato che contiene un concetto compreso a meta. Per trattare questa rappresentazione incompleta, egli deve metarappresentarsela, ossia inserirla in una rappresentazione della Iorma "e un Iatto che il signor Tal dei Tali e 'morto', qualsiasi cosa signiIichi 'essere morto'". Cio permette al bambino di trattenere l'inIormazione, anche se non la comprende completamente, e costituisce anche un incentivo per sviluppare il concetto di morte, Iornendogli allo stesso tempo un dato pertinente per lo sviluppo di tale concet- 74 lo. Anche gli adulti, naturalmente, quando incontrano nuovi concetti e idee che comprendono solo a meta li inseriscono in metarappresentazioni. La mia ipotesi e che gli esseri umani abbiano una disposizione a usare le capacita metarappresentazionali per ampliare la propria conoscenza e il proprio repertorio concettuale. D'al- tronde, le capacita metarappresentazionali creano anche notevoli ricettivita. La Iunzione piu plausibile della capacita di avere concetti e idee compresi a meta e di Iornire un passo intermedio nel processo di comprensione. Ma la stessa capacita rende possibile l'invasione della mente da parte di misteri concet- tuali che non potranno mai essere chiariti. II vincoli razionali sulle idee comprese a meta non sono molto stretti: la coerenza interna di un'idea non completamente compresa e la sua coerenza rispetto ad altre idee e ipotesi non possono essere veriIicate in modo appropriato: se si rileva un'incoerenza, potrebbe dipendere da un'interpretazione errata della credenza. Per il bambino, l'idea stessa della morte e quindi l'aIIermazione che qualcuno e morto puo sembrare autocontradditoria; egli puo tuttavia accettarla, senza rischio di irrazionalita, sotto l'ipotesi che il diIetto e nella propria comprensione e non nel concetto o nell'aIIermazione. Nel caso delle idee non com- prese appieno, 'l'argomento di autorita' ha davvero autorita. IIIl Iatto che idee e concetti misteriosi possano Iacilmente soddisIare i criteri di razionalita non e suIIiciente a garantirne il successo culturale. Esiste un'inIinita di misteri in competizione per occupare lo spazio mentale, e quindi lo spazio culturale. Di quale vantaggio dispongono i misteri che vincono la competizione? La mia ipotesi e che i misteri culturali siano piu evocativi e quindi piu Iacili da ricordare. L'evocazione puo essere vista come una Iorma di risoluzione di problemi: il problema sta nel trovare un'interpretazione piu precisa per qualche idea compresa a meta. Per Iare questo, si cercano nella memoria ipotesi e credenze nel contesto delle quali le idee comprese a meta abbiano senso. A volte il problema posto da un'idea non compresa appieno - per esempio una deIinizione delle parole crociate - e risolto Iacilmente con una breve evocazione. In altri casi l'idea e compresa cosi male, ed e cosi distante dalle altre rappresentazioni mentali del soggetto, che l'evocazione non sa dove cominciare. Le rappresentazioni piu evocative sono quelle piu vicine alle altre rappresentazioni del soggetto, ma a cui non si puo dare un'interpretazione deIinitiva. Sono questi misteri pertinenti, come possiamo chiamarli, ad avere il maggior successo culturale. L'interesse delle credenze culturali consiste apparentemente 75 nel Iatto che la loro irrazionalita apparente non dipende da un certo distacco dal senso comune, o dal Iatto che siano timide estrapolazioni non sostenute dall'evidenza: si tratta di violente provocazioni contro la razionalita del senso comune. Esse includono credenze in creature che possono essere contemporaneamente in due luoghi, o che possono essere qui ma restare invisibili, e quindi violare apertamente alcune assunzioni universali sui Ienomeni Iisici; oppure possono vertere su creature che possono trasIormarsi da una specie animale a un'altra, in aperta contraddizione con le assunzioni universali sui Ienomeni biologici; su creature che sanno cio che e successo e cio che succedera senza che nessuno lo abbia detto loro, e quindi in aperta contraddizione con le assunzioni universali sui Ienomeni psicologici. Se queste credenze paradossali Iossero rappresentate in modo ben Iormato, la loro incoerenza risulterebbe chiara. Ma riIiutarle genererebbe un altro tipo di paradosso: sarebbe contraddittorio con la Iiducia nei conIronti della credibilita della Ionte delle credenze. Si puo ottenere una coerenza totale solo trattando queste credenze come misteri, perche, in quanto tali, esse sono pertinenti proprio a causa del loro carattere parados- sale, ossia a causa del ricco sIondo di conoscenze empiriche da cui si distaccano sistematicamente. La loro pertinenza permette loro di ottenere l'attenzione delle persone, e quindi di essere meglio distribuite rispetto alle rappresentazioni semplicemente oscure. I tentativi di spiegare le credenze religiose e altri misteri culturali in termini di alcune disposizioni psicologiche universali non si sono rivelati convincenti. Io li ritengo Iuorviami. A diIIerenza della conoscenza empirica, le credenze religiose non si sviluppano a partire da una disposizione, ma da una ricettivita. Memoria e letteratura orale Fino a ora ho preso in considerazione solo il ruolo dei processi cognitivi di Iormazione dei concetti e delle rappresentazioni. Ci sono altri processi cognitivi, processi di memorizzazione e di recupero dell'inIormazione, e processi di comunicazione, altrettanto essenziali alla spiegazione dei Iatti culturali. Consideriamo il caso di una societa di tradizione orale, senza scuola o altre istituzioni educative. In una societa del genere, la maggior parte dell'apprendimento e spontanea. La maggior parte delle rappresentazioni mentali sono costruite, memoriz- 76 zale e recuperate senza sIorzo deliberato. Vorrei proporre una legge dell'epidemiologia delle rappresentazioni che si applica a questa societa: in una tradi:ione orale, tutte le rappresenta:ioni culturali sono facili da ricordare, quelle difficili da ricordare vengono dimenticate, o trasformate in rappresenta:ioni piu facili da ricordare, prima di raggiungere il livello di distribu:ione culturale. Questa legge ha un'applicazione immediata allo studio delle narrazioni orali. Possiamo dare per scontato che i racconti, i miti e cosi via siano oggetti ottimali per la memoria umana, e che diversamente sarebbero stati dimenticati. Che cosa rende certi racconti cosi memorizzabili? Che cosa Ia si che la mente umana sia cosi adatta a ricordarli? Qui l'importanza reciproca dell'antropologia e della psicologia dovrebbe risultare evidente; ciononostante, in antropologia, con qualche eccezione, si studia la letteratura orale senza badare alla psicologia. 10 D'altra parte, nella psicologia cognitiva esiste un numero crescente di ricerche sulla struttura dei racconti e sui suoi eIIetti sulla memoria, 11 ma non viene tratto alcun vantaggio dalla competenza antropologica. Con la comparsa di nuove tecniche di comunicazione, in particolare la scrittura, e possibile comunicare piu cose, e alla memoria interna si aggiungono depositi esterni 12 ; di conseguenza la memorizzazione e la comunicazione hanno un minore eIIetto di Iiltraggio. Si possono sviluppare per esempio altre Iorme di letteratura, e le Iorme particolari che si trovano nella tradizione orale possono anche non essere mantenute. Osserva:ioni conclusive Vorrei ripetere ancora che non mia intenzione presentare l'epidemiologia delle rappresentazioni come sostituto di altre prospettive antropologiche, ma come un ulteriore contributo, essenziale alla spiegazione causale dei Iatti culturali e allo sviluppo di un'interazione interessante Ira antropologia e psicolo- 10 In particolare Colby e Cole 1973. Lvi-Strauss (specialmente 1971) ha fatto riferimento al ruolo della memoria nella formazione dei miti, ma senza approfondire la psicologia della memoria. Si veda Sperber 1974b, 1982, cap. 3, per una discussione del suo contributo. 11 Si vedano per esempio Rumelhardt 1975; Kintsch 1971; Mandler e 1ohnson 1977; van Dijk 1980; Brewer e Lichtenstein 1981; Wilensky 1983. 12 Si veda Goody 1977, per una discussione antropologica. 77 gia. Si puo ugualmente obiettare che il compito che assegno a un'epidemiologia delle rappresentazioni e troppo grande. Si potrebbe dire che tutti gli esempi che ho discusso Iinora - concetti, credenze, narrazioni - riguardano rappresentazioni che possono essere interiorizzate individualmente, e che sono culturali nella misura in cui molti individui le interiorizzano. Ma che cosa dire delle istituzioni? Certamente una scuola, un rituale, un sistema giudiziario sono cose culturali; ma non sono quel genere di cose che puo essere interiorizzato individualmente. Non escono dall'ambito di un'epidemiologia delle rappresentazioni, e l'aIIermazione che la spiegazione causale dei Iatti culturali debba avere la Iorma di un'epidemiologia non e palesemente esagerata? Ecco la controbiezione. Un'epidemiologia delle rappresentazioni non studia le rappresentazioni ma la loro distribuzione (e quindi le modiIicazioni dell'ambiente che sono implicate causalmente da tali rappresentazioni). Le classiIicazioni culturali, le credenze, i miti, e cosi via sono caratterizzati da distribuzioni omogenee; versioni molto simili della stessa rappresentazione sono distribuite in una popolazione umana. Altre distribuzioni culturali sono diIIerenziali: la distribuzione di certe rap- presentazioni in certi modi Ia si che altre rappresentazioni lo siano in altri modi. Cio, a mio avviso, e caratteristico delle istituzioni. Alcuni insiemi di rappresentazioni includono rappresentazioni del modo in cui l'insieme deve essere distribuito. Unistitu:ione e la distribu:ione di un insieme di rappresenta:ioni che e governato da rappresenta:ioni che appartengono allinsieme stesso. Cio Ia si che le istituzioni siano in grado di autoperpetuarsi. Studiare le istituzioni signiIica allora studiare un tipo particolare di distribuzione di rappresentazioni e tale studio ricade esattamente nell'ambito di un'epidemiologia delle rappresentazioni. Terminero illustrando questa caratterizzazione delle istituzioni con un esempio. Pensate alle Malinowski Memorial Lec- tures. Come converrete, si tratta di un'istituzione. Quando le conIerenze Iurono istituite per la prima volta, venne messa su carta una rappresentazione, alla quale nel corso del tempo vi sono state aggiunte non scritte. La rappresentazione prevede che ogni anno vengano distribuiti degli inviti: uno al relatore e gli altri ai membri del pubblico. Essa stabilisce inoltre che il relatore distribuisca al pubblico quella rappresentazione complessa che deIiniamo 'conIerenza'; che Iaccia rispettosamente riIerimento a Malinowski; che dopo circa un'ora si Iermi, in 78 modo che il pubblico possa andare a dissetarsi e che consegni, qualche settimana piu tardi, una versione scritta della sua rappresentazione orale alla rivista "Man" per assicurarne una distribuzione piu ampia e duratura. Quando tutte queste rappresentazioni particolari sono state distribuite secondo quanto stabilito dalla prima di esse, quello che avete - o, in questo caso, avete avuto - e una Malinowski Memorial Lecture. 79 4. L'epidemiologia delle credenze Vorrei cercare di unire due tipi di speculazioni: le speculazioni antropologiche sulle rappresentazioni culturali e quelle psicologiche sull'organizzazione cognitiva delle credenze e proporre, come risultato, alcuni Irammenti di una possibile risposta alia domanda: In che modo certe credenze diventano parte della cultura? A questo stadio e possibile solo dare una risposta vaga, parziale e approssimativa oppure accantonare la domanda: non esiste una teoria abbastanza valida, ne vi sono dati suI- Iicienti per agire diversamente. Specula:ioni antropologiche Uso l'espressione 'rappresentazioni culturali' in senso lato, includendovi tutto quanto sia culturale e sia contemporaneamente una rappresentazione. In questa accezione le rappresentazioni culturali possono essere descrittive ("le streghe volano sui manici di scopa") o normative ("con il pesce si beve vino bianco"); semplici, come in entrambi gli esempi proposti, o complesse, come il diritto consuetudinario o l'ideologia marxi- sta; verbali, come nel caso di un mito, o non verbali, come nel caso di una maschera, oppure multimediali come per esempio una messa. Per cominciare, due osservazioni sulla nozione di rappresentazione. In primo luogo, 'rappresentare' non mette in relazione due termini - qualcosa rappresenta qualcosa - ma tre: qualcosa rappresenta qualcosa per qualcuno. In secondo luogo, dobbiamo distinguere tra due tipi di rappresentazioni: le rappresentazioni interne o mentali - come per esempio i ricordi, che sono pattern nel cervello e che rappresentano qualcosa 81 solo per il possessore del cervello - e le rappresentazioni esterne o pubbliche - come per esempio le espressioni linguistiche, che sono Ienomeni materiali nell'ambiente delle persone e che rappresentano qualcosa per chi le percepisce e le interpreta. 1 Quali sono le rappresentazioni di base, quelle private o quelle pubbliche? La maggior parte degli psicologi cognitivi (per esempio Fodor 1975) vede le rappresentazioni mentali come piu basilari: perche le rappresentazioni pubbliche siano rappresentazioni tout court devono essere rappresentate mentalmente dai loro utenti; per esempio, un enunciato rappresenta qualcosa solo per chi lo percepisce, lo decodiIica e lo com- prende, ossia vi associa una rappresentazione mentale a piu livelli. Le rappresentazioni mentali, invece, possono esistere senza una controparte pubblica; molti dei nostri ricordi, per esempio (e tutti, o quasi, quelli di un eleIante) non vengono mai comunicati. Le rappresentazioni mentali sono quindi piu di base di quelle culturali. La maggior parte degli studiosi di scienze sociali (e anche IilosoIi quali Ludwig Wittgenstein |1953| e Tyler Burge |1979|) non sono d'accordo, in quanto considerano le rappresentazioni pubbliche piu basilari di quelle mentali. Le rappresentazioni pubbliche sono osservabili, sia da chi ne Iruisce sia da chi le studia, mentre l'esistenza di quelle mentali puo essere solo congetturata. Fatto ancor piu importante, sostiene per esempio Vy- gotsky (1965), le rappresentazioni mentali sono il risultato del- l'interiorizzazione di rappresentazioni pubbliche e di sistemi sottostanti come il linguaggio e le ideologie, senza i quali nessuna rappresentazione e possibile. In tale prospettiva, le rappresentazioni pubbliche sono piu basilari di quelle mentali: cio esclude gli animali non sociali dalla possibilita di avere rappresentazioni, ma i sostenitori di questa posizione non sembrano dar peso a tale limite. In un certo senso e evidente che le rappresentazioni pubbliche precedano quelle mentali: un bambino nasce in un mondo pieno di rappresentazioni pubbliche e ne e bombardato Iin dal primo giorno di vita. Il bambino non scopre il mondo da solo, rendendo poi pubbliche le rappresentazioni che ha sviluppato privatamente; una gran quantita delle sue rappresentazioni del mondo e in realta acquisita indirettamente, non attraverso l'esperienza ma attraverso la comunicazione o la combinazione di 1 II parallelismo eccessivo: le vostre rappresentazioni mentali non rappresentano qualcosa per voi nello stesso senso in cui queste parole rappresentano qualcosa per voi, ma nulla di essenziale alla discussione dipende da questo. 82 esperienza e comunicazione; proprio la capacita di comunicare eIIicacemente dipende in modo contingente dall'acquisizione da parte del bambino del linguaggio e degli altri strumenti di comunicazione della comunita. D'altronde, chi ritiene che le rappresentazioni mentali siano basilari non nega questo Iatto; quello che nega e che le rappresentazioni pubbliche possano essere utilizzate da un bambino senza che abbia Iin dalla nascita un sistema di rappresentazioni mentali con il quale accostarsi a quelle pubbliche. Al contrario, chi ritiene che le rappresentazioni di base siano quelle pubbliche non sostiene solo, o non dovrebbe sostenere, l'idea banale per cui ogni individuo, essendo nato in un mondo ricco di rappresentazioni pubbliche, Ia aIIidamento in modo decisivo su di esse. Cio che sostiene, o dovrebbe sostenere, e che non solo la Iorma Iisica delle rappresentazioni pubbliche e pubblica, al di Iuori della mente di ogni persona e percepibile dagli altri individui, ma che e pubblico anche il significato delle rap- presentazioni pubbliche, situato nel mondo aIIinche gli altri possano coglierlo. Da questa prospettiva, il signiIicato - cioe il rapporto regolare tra cio che rappresenta e cio che e rappresentato - e sociale prima di essere colto individualmente; le rappresentazioni pubbliche sono percio piu di base, e cio porta gli antropologi a ritenere che "la cultura e pubblica perche il signiIicato e pubblico" (Geertz 1973, p. 12; tr. it. p. 49). La maggior parte degli antropologi studia la cultura come un sistema di rap- presentazioni pubbliche dotate di signiIicati pubblici, senza alcun riIerimento alle rappresentazioni mentali corrispondenti. Sono per tendenza materialista (vedi Sperber 1987); non nel senso che questa parola spesso assume nelle scienze sociali, dove per materialista si intende qualcuno che crede che l'InIrastruttura economica' determini la 'sovrastruttura ideologica', ma nel senso IilosoIico e delle scienze naturali per cui tutte le cause e tutti gli eIIetti sono materiali. La mia domanda e allora: che tipo di oggetti materiali o di proprieta potrebbero essere i si- gniIicati pubblici? Non mi convince Geertz quando liquida cosi la questione: Quello che ci si deve chiedere sulla parodia di un ammiccamento o su un'incursione semiseria per rubare delle pecore due degli esempi di Geertz di rappresentazioni pubbliche] non quale sia il loro status ontologico. lo stesso di quello delle rocce da una parte e dei sogni dall'altra: si tratta delle cose di questo mondo. La cosa da chiedersi quale sia il loro significato ...] ci che viene detto quando avvengono e mediante la loro azione. (Geertz 1973, p. 10; tr. it. p. 47) 83 Non sono convinto, perche il compito dell'ontologia non e dire quali cose sono 'nel mondo' e quali no, ma in che modo, o in che modi, le cose possono essere di questo mondo, e, per quanto riguarda gli oggetti culturali, si tratta di un problema eIIettivo. Riusciamo a comprendere come gli oggetti materiali possano adattarsi al mondo; non sappiamo invece come possano esistere oggetti materiali, e, se esistono, come possano adattarsi al mondo. Quindi per ogni classe di oggetti, che siano pietre, ricordi o rappresentazioni culturali, quando e possibile, in termini di semplicita e di intelligibilita, e preIeribile un resoconto materialista. Nel caso degli oggetti mentali, come i ricordi, la maggior parte degli psicologi accetta ormai almeno un materialismo minimale, detto 'Iisicalismo delle occorrenze' (token-phvsicalism). Secondo questa visione, le occorrenze degli stati mentali sono identiche a occorrenze di stati e processi neuronali, mentre i tipi (tvpes) di stati mentali non devono necessariamente essere identici a tipi di stati neuronali (vedi Block 1980). Ciononostante, ogni tipo di stato mentale deve essere descritto in modo da indicare quali occorrenze che vi rientrano possono essere esempliIicate materialmente. Per esempio, gli psicologi cognitivi cercano di descrivere le rappresentazioni mentali nei termini di stati che possano essere implementati in un computer. Grazie allo sviluppo della psicologia cognitiva, cominciamo a cogliere che tipo di oggetti materiali possono essere le rappresentazioni mentali. Ora, quando si arriva alle rappresentazioni culturali dotate di signiIicati pubblici, sia che adoperiamo il vocabolario materialista e dichiariamo che anch'esse sono materiali, sia che ci arrendiamo al pluralismo ontologico, la verita e che non abbiamo nessuna idea di quale sia la maniera in cui esse possano essere 'oggetti del mondo'. L'alternativa materialista signiIica assumere che le rappresentazioni, pubbliche o private, siano oggetti strettamente materiali e accettare seriamente le implicazioni di questa ipotesi. I sistemi cognitivi, come i cervelli, costruiscono rappresentazioni interne del loro ambiente in parte sulla base di interazioni Iisiche con esso. Grazie a queste interazioni, le rappresentazioni mentali sono, in una certa misura, connesse regolarmente a cio che rappresentano, e, come risultato, hanno proprieta semantiche o 'signiIicati' autonomi (vedi Dretske 1981; Fodor 1987b). Le rappresentazioni pubbliche, d'altro canto, sono connesse a cio che rappresentano solo tramite il signiIicato attribuito a esse da chi le produce e da chi le utilizza; non hanno proprieta se 84 mantiche intrinseche. In altre parole, le rappresentazioni pubbliche hanno signiIicato solo se sono associate a rappresentazioni mentali. Generalmente, alle rappresentazioni pubbliche viene attribuito lo stesso signiIicato da parte dei loro produttori e Iruitori, altrimenti esse non potrebbero servire a comunicare. Questa somiglianza di attribuzione di signiIicato e resa possibile dal Iatto che le persone hanno un linguaggio e una conoscenza enciclopedica simili. La somiglianza tra le persone rende possibile prescindere dalle diIIerenze individuali e descrivere il 'linguaggio', o la 'cultura' di una comunita, il 'signiIicato' di una rappresentazione pubblica, o parlare, per esempio, della 'credenza' che le streghe volano sui manici di scopa come di una singola rappresentazione, indipendentemente dalle sue espressioni pubbliche o realizzazioni mentali. Cio che viene quindi descritto e un'astrazione. Tale astrazione puo essere utile in molti modi: puo rivelare le proprieta comuni di una Iamiglia di rappresentazioni correlate, sia pubbliche che mentali; puo servire a identiIicare in modo economico un oggetto di ricerca. E un errore pero conIonderla con un oggetto 'di questo mondo', e certamente bisogna tener conto del suggerimento di Geertz: meglio ignorare il suo statuto ontologico. Da un punto di vista materialista, quindi, vi sono solo rappresentazioni mentali che nascono, vivono e muoiono nella testa degli individui, e rappresentazioni pubbliche che sono Ienomeni banalmente materiali - onde sonore, conIigurazioni di luci, ecc. - nell'ambiente degli individui. Prendiamo una particolare rappresentazione, le streghe sui manici di scopa, a livello astratto: cio che le corrisponde a livello concreto sono i milioni di rappresentazioni mentali e pubbliche, il cui signiIicato (intrinseco nel caso delle rappresentazioni mentali, attribuito nel caso di quelle pubbliche) e simile a quello dell'enunciato "le streghe volano su manici di scopa". In quanto oggetti materiali, questi milioni di rappresentazioni pubbliche e mentali possono entrare in relazioni di causa-eIIetto. Possono quindi svolgere un ruolo sia come explanans sia come explanandum nelle spiega- zioni causali. La sIida materialista e che per i Ienomeni culturali non vi sia bisogno di altre spiegazioni oltre a quelle causali. Le spiegazioni causali devono essere distinte con attenzione da quelle interpretative, cioe le paraIrasi, i riassunti o le esegesi delle rappresentazioni culturali. Ho sostenuto altrove che, mentre entrambe le spiegazioni sono utili in antropologia, solo quelle causali sono generalizzate nelle ipotesi teoriche. Dato che il mio interesse qui e teoretico piu che etnologico o metodologico, 85 non discutero le spiegazioni interpretative (si vedano Sperber 1985, cap. 1, e 1989). Consideriamo un gruppo umano: esso contiene un insieme piu grande di rappresentazioni. Alcune di queste rappresentazioni sono costruite sulla base di esperienze idiosincratiche, come, per esempio, il mio ricordo del giorno in cui smisi di Iumare; altre sono basate su esperienze comuni, come, per esempio, la credenza che il carbone sia nero; altre ancora derivano dalla comunicazione piu che dall'esperienza diretta, come, per esempio, la nostra credenza che Shakespeare abbia scritto Macbeth. L'esperienza comune e la comunicazione sono la causa della somiglianza delle rappresentazioni tra gli individui, o, detto piu semplicemente, del Iatto che alcune rappresentazioni siano condivise da diversi individui, a volte dall'intero gruppo. Questo discorso e accettabile solo se e chiaro che quando diciamo che una rappresentazione e 'condivisa' da molti individui, cio che intendiamo e che questi individui hanno rappresentazioni mentali abbastanza simili per essere considerate versioni luna dell'altra. Se cosi e, possiamo produrre un'ulteriore versione - pubblica questa volta - per identiIicare sinteticamente i contenuti di queste rappresentazioni individuali. Quando parliamo di rappresentazioni culturali - la credenza nelle streghe, le regole per servire il vino, il diritto consuetudinario o l'ideologia marxista - ci riIeriamo a rappresentazioni che sono largamente condivise in un gruppo umano. Spiegare le rappresentazioni culturali signiIica allora spiegare perche alcune di esse sono cosi largamente condivise; dato che le rappresentazioni sono piu o meno condivise, non c'e un limite netto tra le rappresentazioni culturali e quelle individuali. Una spiegazione di una rappresentazione culturale, quindi, deve essere parte di una spiegazione generale della diIIusione delle rappresentazioni tra gli esseri umani, parte cioe di unepidemiologia delle rappresenta:ioni. L'idea di un approccio epidemiologico alla cultura non e aIIatto nuova; Iu proposta da Gabriel Tarde (1895, 1898) e i biologi contemporanei l'hanno sviluppata in vari modi. Il valore di un approccio epidemiologico consiste nel rendere mutualmente rilevante la nostra conoscenza dei microprocessi di trasmissione e dei macroprocessi di evoluzione. D'altronde, se i microprocessi vengono Iondamentalmente Iraintesi, come credo avvenga nel caso degli approcci epidemiologici precedenti, il risultato complessivo ha un valore limitato. Quali che siano meriti e diI- Ierenze, gli approcci passati condividono un diIetto cruciale: essi ritengono che il processo di base della trasmissione culturale sia la replica, e considerano le alterazioni degli incidenti. 86 L'immagine della trasmissione culturale come un processo di replica e Iondata non solo su un'analogia biologica - la mutazione e un incidente, la replica e una norma -, ma anche su due tendenze dominanti nelle scienze sociali: in primo luogo, come abbiamo visto, le diIIerenze individuali sono idealizzate e le rappresentazioni culturali sono troppo spesso trattate come se Iossero identiche per tutti gli individui all'interno di un gruppo umano o di un sottogruppo; in secondo luogo, la visione predominante della comunicazione come processo di codiIica seguito simmetricamente da un processo di decodiIica implica che la replica dei pensieri del comunicatore nella testa del ricevente sia il normale risultato della comunicazione. In La pertinen:a, Deirdre Wilson e io abbiamo criticato il modello del codice nella comunicazione umana, sviluppandone uno alternativo che attribuisce un ruolo importante ai processi inIerenziali (si veda Sperber e Wilson 1986). Uno degli aspetti che abbiamo sostenuto - in realta un aspetto banale, che non sarebbe valsa la pena sottolineare se non per il Iatto che e cosi spesso dimenticato - e che cio che si riesce a ottenere attraverso la comunicazione umana e soltanto un certo grado di somiglianza tra i pensieri di chi comunica e quelli di chi ascolta. La riproduzione precisa, se esiste, dovrebbe essere vista come un caso limite di massima somiglianza invece che come la norma della comunicazione. Un processo di comunica- zione e Iondamentalmente un processo di trasIormazione. Il grado di trasIormazione puo variare tra due estremi: duplicazione e distruzione. Solo le rappresentazioni che vengono ripetutamente comunicate e molto poco trasIormate dal processo diventano alla Iine parte della cultura. Gli oggetti di un'epidemiologia delle rappresentazioni non sono ne le rappresentazioni astratte, ne quelle individuali concrete, ma, per cosi dire, Iamiglie di rappresentazioni concrete tenute insieme da relazioni causali e dalla somiglianza di contenuto. Alcune delle domande a cui vogliamo rispondere sono: qual e la causa della Iormazione di queste Iamiglie, del loro espandersi, dividersi, mescolarsi l'una all'altra, cambiare nel corso del tempo, scomparire? Cosi come l'epidemiologia standard non Iornisce una sola spiegazione generale per la diIIusione di tutte le malattie, non c'e ragione di aspettarsi che per ogni rappresentazione esistano uguali risposte a queste domande. La diIIusione di un racconto popolare e quella di una pratica militare, per esempio, coinvolgono capacita cognitive diverse, motivazioni diverse e Iattori ambientali diversi. Un approccio epide- miologico non dovrebbe percio Iar sperare in una grande teoria unitaria, ma piuttosto cercare di Iornire domande interessanti e 87 strumenti concettuali utili e di sviluppare i diversi modelli richiesti per spiegare l'esistenza e il destino delle varie Iamiglie di rappresentazioni culturali. Benche i Iattori che possono contribuire alla spiegazione di una Iamiglia di rappresentazioni non possano essere stabiliti prima, in ogni caso alcuni dei Iattori da considerare saranno psicologici e altri ambientali o ecologici (assumendo che l'ambiente abbia inizio al livello delle terminazioni nervose dell'organismo di un individuo e che includa, per ogni organismo, tutti gli organismi che interagiscono con esso). I Iattori psicologici potenzialmente pertinenti includono la Iacilita con cui una par- ticolare rappresentazione puo essere memorizzata, l'esistenza di una conoscenza di Iondo rispetto alla quale la rappresentazione e pertinente, e una motivazione per comunicare il contenuto della rappresentazione. I Iattori ecologici includono la ricorrenza di situazioni in cui la rappresentazione da luogo o aiuta un'azione appropriata; la disponibilita di depositi esterni di memoria, in particolare la scrittura; l'esistenza di istituzioni impegnate nella trasmissione della rappresentazione. Per una di- scussione sulla nozione di 'istituzione' da una prospettiva epidemiologica, si veda Sperber (1987). Non sorprende che i Iattori psicologici ed ecologici siano essi stessi condizionati dalla distribuzione delle rappresentazioni. Le rappresentazioni culturali precedentemente interiorizzate sono un Iattore chiave nella predisposizione delle persone a immagazzinare nuove rappresentazioni. L'ambiente umano e in gran parte Iatto dagli uomini e costruito sulla base di rappresentazioni culturali; di conseguenza, ci si deve aspettare la pre- senza di Ieedback sia all'interno dei modelli che spiegano particolari Iamiglie di rappresentazioni, sia tra un modello e l'altro. La complessita risultante e di ordine ecologico e non organico. Benche l'organicismo sia scomparso dalla scena antropologica, la visione organicista della cultura come un tutto ben integrato resiste ancora. L'approccio epidemiologico prende le distanze da questo tipo di olismo culturale rappresentando le culture come sistemi largamente aperti invece che quasi chiusi, e che si approssimano all'equilibrio ecologico tra Iamiglie di rappresentazioni invece di esibire un'integrazione di tipo organico. Una questione interessante e allora quella di trovare quali Iamiglie di rappresentazioni traggano vantaggio luna dall'altra e quali invece siano in competizione. L'identiIicazione dei Ienomeni epidemiologici (nell'epidemiologia classica) nasce spesso dallo studio di patologie individuali, ma vale anche il contrario: l'identiIicazione di particolari malattie e spesso aiutata da considerazioni epidemiologiche. Al 88 lo stesso modo, quando alcuni tipi di rappresentazioni mentali vengono identiIicati a livello psicologico, sorge il problema epidemiologico e, viceversa, quando particolari Iamiglie di rappresentazioni, o Iamiglie che si supportano a vicenda, vengono identiIicate a livello epidemiologico, si pone la questione del loro carattere psicologico. Piu in generale, cosi come per la patologia e l'epidemiologia delle malattie, la psicologia e l'epidemio- logia delle rappresentazioni devono dimostrare di essere reciprocamente pertinenti. Specula:ioni psicologiche Gli antropologi, al pari degli psicologi, Ianno l'ipotesi che gli esseri umani siano razionali. Non perIettamente razionali, ne sempre razionali, ma suIIicientemente razionali. Cio che si intende per razionalita puo variare, o restare vago, ma implica sempre almeno l'idea che le credenze umane siano prodotte da processi nel complesso epistemologicamente validi, nel senso che gli esseri umani percepiscono approssimativamente cio che vi e da percepire e inIeriscono approssimativamente cio che e garantito dalle loro percezioni. Esistono naturalmente illusioni percettive ed errori inIerenziali, e la rappresentazione del mondo che ne risulta non e totalmente coerente, ma, cosi come sono, le credenze degli esseri umani consentono loro di elaborare e svolgere progetti in una maniera che nella maggior parte dei casi porta alla loro realizzazione. Non so perche altri antropologi e psicologi assumano la razionalita umana, ma so perche io Iaccio questa ipotesi: e sensata dal punto di vista biologico. Perche i vertebrati si sono evoluti in modo da avere sistemi cognitivi sempre piu complessi che culminano in quello umano, se non perche questo rendeva le loro interazioni con l'ambiente (nutrirsi, proteggersi) piu eIIicaci? Ora, solo un sistema cognitivo epistemologicamente valido (ossia che produca approssimazioni alla conoscenza invece di belle associazioni o enigmi stupeIacenti) puo servire allo scopo, e, per questo, deve essere suIIicientemente razionale. Questo modo di spiegare perche gli esseri umani sono razionali implica l'esistenza di una realta oggettiva e che almeno una Iunzione della cognizione umana sia quella di rappresentare nei cervelli aspetti di questa realta. Puo sembrare psicologicamente banale unire in questo modo realta e ragione, ma molti antropologi - Iino a poco tempo Ia la maggior parte - sono troppo ben inIormati per credervi. Le persone di culture diverse hanno credenze non soltanto molto 89 diverse, ma addirittura mutualmente incompatibili. Le loro credenze dal nostro punto di vista, e le nostre dal loro, sembrano irrazionali. Se vogliamo continuare a sostenere che siamo entrambi razionali, una via di uscita evidente dalla prospettiva del paradosso consiste nel negare che esista una realta oggettiva da cui partire. La realta, da questo punto di vista, e un costrutto sociale, e ci sono almeno tanti 'mondi' o 'realta' quante sono le societa. In mondi diversi socialmente costruiti vi saranno credenze razionali diverse. Ho combattuto a lungo questa visione (si veda Sperber 1974a, 1982); qui mi limitero a enunciare il mio orientamento in proposito: trovo che una pluralita di mondi sia ancora meno attraente di una pluralita di sostanze; se ci Iosse un modo, ne Iarei volentieri a meno. Un modo esiste, ma prima bisogna Iare un po' di pulizia concettuale. 2 Di cosa parliamo quando parliamo di 'credenze'? Facciamo un esempio: tendiamo a Iare l'ipotesi che Piero crede che piovera se lo dice, o se assente quando qualcuno lo dice o, in alcuni casi, se prende l'ombrello con se prima di uscire. Non conIondiamo pero questi comportamenti con la credenza in se: riteniamo che siano causati dal Iatto che Piero aveva tale credenza, e quindi li consideriamo come indizi di essa. Potremmo allora essere tentati di dire, come molti IilosoIi hanno Iatto (per esempio Ryle 1949), che una credenza e una disposizione a esprimere una proposizione, o ad acconsentire a essa, o ancora ad agire in accordo con essa. Come psicologi pero vorremmo andare piu a Iondo: quali tipi di stati mentali possono determinare tale disposizione? Una risposta ricorrente e che gli esseri umani hanno una specie di 'archivio' o 'scatola delle credenze' (per usare un'espressione di SchiIIer) dove sono immagazzinate alcune delle rappresentazioni concettuali. 3 Tutte le rappresentazioni immagazzinate in quella scatola particolare sono trattate come descrizioni del mondo reale. Quando la circostanza e ap- 2 La letteratura filosofica sulle credenze molto vasta (si vedano per esempio Ryle 1949; Hintikka 1962; Armstrong 1973; Harman 1973; Dennett 1978; Dret- ske 1981; Stich 1983; Bogdan 1986; Brandt e Harnish 1986), ma non dedica molta attenzione alle propriet delle credenze che interessano particolarmente gli scienziati sociali. Bench 'credenza' sia sempre stato un termine del bagaglio antropologico, Needham 1972 la sola discussione dettagliata del concetto da un punto di vista antropologico (ispirata da Wittgenstein). 3 II termine 'scatola' ovviamente deve essere inteso in senso lato: pi che cor- rispondere a un luogo nel cervello, pu riferirsi, per esempio, a un modo di indicizzare le rappresentazioni. Cos intesa, la storia della scatola delle credenze non particolarmente nuova n controversa, ma ci aiuta a mettere in rilievo ci che generalmente viene semplicemente presupposto. 90 propriata, si generano gli indizi comportamentali della credenza, in particolare l'enunciazione e l'assenso. La scatola delle credenze, per quanto attraente, non risolve tutti i nostri problemi. Molte delle proposizioni alle quali siamo disposti a dare il nostro assenso non sono aIIatto rappresentate nella nostra mente - un'obiezione ben nota - e molte delle proposizioni che non solo avrebbero il nostro assenso, ma che saremmo anche disposti a esprimere e in accordo alle quali saremmo disposti ad agire, non sono, o non sono semplicemente, immagazzinate in una base di dati o in una scatola delle credenze - obiezione piu controversa. Avete da sempre creduto che esistano piu Ienicotteri rosa sulla terra che sulla luna, anche se nessuna rappresentazione mentale nella vostra testa, Iino a questo momento, ha mai descritto questo stato di cose. Possiamo avere un'inIinita di queste credenze non rappresentate, e in gran parte esse sono condivise da molti, senza che, ovviamente, vengano mai comunicate. E ragionevole d'altronde supporre che cio che Ia si che queste credenze non rappresentate siano credenze (piu speciIicamente proposizioni a cui siamo disposti a dare il nostro assenso) e il Iatto che siano inIeribili da altre credenze che sono mentalmente rappresentate. Cio che dobbiamo quindi aggiungere alla scatola delle credenze e un meccanismo inIerenziale che possa riconoscere credenze non rappresentate sulla base di quelle realmente rappresentate. Le inIerenze in questione non sono Iatte consciamente, quindi il meccanismo inIerenziale accoppiato alla scatola delle credenze deve restare distinto dalle capacita umane di ragionamento conscio, e non deve somigliarvi (si veda Sperber e Wilson 1986, cap. 2). Oltre a rendere conto delle credenze non rappresentate, e a servire da complemento alla scatola delle credenze, un meccanismo inIerenziale introduce un Iattore di razionalita nella loro costruzione. Supponiamo che alcune delle rappresentazioni nella nostra scatola delle credenze provengano dalla percezione (intesa in senso lato, in modo da includere anche la 'percezione' degli stati mentali di qualcuno) e che tutte le altre credenze siano direttamente o indirettamente inIerite da quelle basate sulla percezione; cio sarebbe gia suIIiciente a garantire aree di coerenza tra le nostre credenze. Supponiamo inoltre che il meccanismo inIerenziale riconosca un'incoerenza quando la incontra e la corregga; questo implica, tra l'altro, che le credenze prodotte percettivamente possono essere invalidate inIerenzialmente, in altre parole che la percezione puo determinare il contenuto di una credenza ma non e suIIiciente da sola a costituirla: puo essere necessaria anche la conIerma inIerenziale, o almeno l'as 91 senza di invalidazione (vedi Fodor 1983). In questo modo si ottiene una tendenza a estendere le aree di coerenza (anche se possono rimanere credenze contraddittorie, a condizione che non siano state usate congiuntamente come premesse di un'inIerenza). Mentre la percezione e l'inIerenza inconscia possono spiegare in modo esaustivo le credenze di un eleIante, non e cosi per quelle degli esseri umani. Cio avviene per due ragioni, tra loro connesse: in primo luogo molte delle credenze umane, probabilmente la maggior parte, non sono ancorate alla percezione delle cose che sono oggetto delle credenze ma dipendono dalla comunicazione riguardo a queste cose. In secondo luogo, gli esseri umani hanno una capacita metarappresentazionale o interpreta- tiva. Essi possono non solo costruire descri:ioni, cioe rappresentazioni di stati di cose, ma anche interpreta:ioni, vale a dire rappresentazioni di rappresentazioni. 4 Gli esseri umani usano questa abilita interpretativa per capire cio che viene loro comunicato e, piu in generale, per rappresentare i signiIicati, le intenzioni, le credenze, le opinioni, le teorie, ecc., che siano condivisi o meno. In particolare, possono rappresentare una credenza, as- sumere un atteggiamento Iavorevole a essa e quindi esprimerla, dare il loro assenso, o in generale palesare i comportamenti sintomatici della credenza su basi molto diIIerenti dal criterio di inclusione nella scatola delle credenze. Per esempio, la maestra dice a Lisa: "Ci sono piante Iemmine e piante maschi". Lisa intende 'maschio' e 'Iemmina' piu o meno come un'estensione agli animali della distinzione tra uomo e donna: le Iemmine Ianno i Iigli, i maschi sono piu portati a combattere, e cosi via. Poiche nelle piante non vede nulla che somigli a questa distinzione, non le e ben chiaro cosa signiIichi quello che la maestra ha detto in classe. Lo comprende pero in parte - capisce che in alcune specie di piante esistono due tipi diIIerenti e suppone che questa diIIerenza sia legata alla riproduzione, ecc. Lisa crede alla maestra e se la maestra dice che esistono piante maschi e piante Iemmine, Lisa tende a dire la stessa cosa, a dire che crede a questo e a esibire vari comportamenti sintomatici della credenza. Ma dietro al comportamento di Lisa, sintomatico di quella particolare credenza, c'e una vera e propria credenza? Non e del tipo di quelle contenute nella scatola delle credenze, dato che 4 Sul contrasto fra descrizione e interpretazione si vedano Sperber 1982, cap. 1 e Sperber e Wilson 1986, cap. 4. 92 un'idea compresa a meta non puo provenire dalla percezione o da un'inIerenza a partire da percezioni: si tratta invece di un tipico risultato di comunicazione non totalmente riuscita. Ricordiamoci inoltre che vogliamo che il meccanismo inIerenziale operi liberamente sulle credenze nella scatola delle credenze, cosi da poter generare un numero maggiore di credenze muralmente coerenti; dobbiamo allora guardarci dal permettere che le idee comprese a meta possano entrare direttamente nella scatola, dato che la loro coerenza con le altre rappresentazioni e le loro implicazioni sono in gran parte indeterminate. Come e dunque possibile che la credenza di Lisa, non completamente compresa, che esistano piante maschi e piante Iemmine, sia rappresentata nella sua mente? Nella sua scatola delle credenze potrebbero esserci le seguenti rappresentazioni: "Cio che dice la maestra e vero". "La maestra dice che ci sono piante maschi e piante Iemmine." La comprensione parziale di Lisa di 'ci sono piante maschi e piante Iemmine' e cosi inclusa in una credenza che appartiene alla scatola delle credenze riguardo a quello che la maestra ha detto. Questa credenza, insieme a quella che "cio che dice la maestra e vero", Iornisce un contesto di conIerma per la rappresentazione inclusa nelle parole della maestra. Cio Iornisce a Lisa una base razionale per esibire molti dei comportamenti sin- tomatici di quella credenza, ma una base ben diversa da quella Iornita dall'inclusione diretta nella scatola delle credenze. Quest'esempio suggerisce che le credenze che noi attribuiamo alle persone sulla base degli indizi che il loro comportamento ci Iornisce non appartengono a un solo tipo psicologico; in altri termini, stati mentali di tipo alquanto diIIerente portano a identici comportamenti sintomatici di una credenza. Sostengo che esistono due tipi Iondamentali di credenze rappresentate nella mente. Ci sono le descrizioni degli stati di cose immagazzinate direttamente nella scatola delle credenze - chiamiamole creden:e intuitive - che sono intuitive in quanto prodotto tipico di processi inIerenziali e percettivi spontanei e inconsci; per avere credenze intuitive non c'e bisogno di essere consapevoli di possederle, e ancor meno delle ragioni per cui le abbiamo. Ci sono poi le interpretazioni di rappresentazioni in- serite nel contesto di conIerma di una credenza intuitiva, come nell'esempio precedente - chiamiamole creden:e riflessive - che sono riIlessive in quanto oggetto di credenze di secondo ordine e che sono credute in virtu di esse. 5 5 In Sperber 1974b, ho descritto le credenze riflessive come se fossero 'tra 93 Le credenze intuitive derivano o sono derivabili dalla percezione attraverso il meccanismo inIerenziale. Il vocabolario mentale delle credenze intuitive e probabilmente limitato a concetti di base, vale a dire concetti che si riIeriscono a Ienomeni identiIicabili percettivamente, e a concetti astratti innati, preIormati e non analizzati (come, per esempio, norma, causa, sostanza, specie, Iunzione, numero o verita). In circostanze normali, le credenze intuitive riguardano tutto cio che e concreto e aIIidabile. Insieme, esse rappresentano una specie di visione del mondo dettata dal senso comune. I loro limiti sono quelli del senso comune: sono abbastanza superIiciali, piu descrittive che esplicative e vengono assunte con una certa rigidita. A diIIerenza delle credenze intuitive, quelle riIlessive non co- stituiscono una categoria ben deIinita. Cio che hanno in comune e il loro modo di occorrenza: sono inserite in credenze intuitive (oppure, dato che vi possono essere inserimenti multipli, in altre credenze riIlessive). Esse causano i comportamenti sintomatici della credenza perche, in un modo o nell'altro, sono conIermate dalla credenza intuitiva in cui sono inserite. Possono pero variare proIondamente: una credenza riIlessiva puo essere compresa a meta ma completamente comprensibile, come nell'esempio precedente sul sesso delle piante; oppure, come mostrero brevemente, puo rimanere per sempre compresa a meta o, al contrario, venir compresa completamente. Il contesto di conIerma puo essere l'identiIicazione della Ionte della credenza riIlessiva con un'autorita aIIidabile (come per esempio la maestra) oppure un ragionamento esplicito. Data la varieta di possibili conIerme contestuali per una credenza riIlessiva, l'adesione a tali credenze puo variare ampiamente, da opinioni superIiciali a credo Iondamentali, da semplici sospetti a convinzioni ben meditate. Le credenze riIlessive giocano ruoli diIIerenti nella conoscenza umana, come illustrero brevemente. Per Lisa, Iormare e immagazzinare la credenza, compresa a meta, che ci sono piante Iemmine e piante maschi puo essere un passo verso una comprensione piu adeguata della distinzione maschio-Iemmina. Questa credenza le Iornisce un pezzo incompleto di inIormazione, che puo essere completato grazie a ulteriori incontri con indizi rilevanti. Una volta raggiunta una com- virgolette'; in Sperber 1982 ho confrontato credenze 'fattuali' e credenze 'rap- presentazionali'; in Sperber 1985, riprodotto qui con qualche modifica come capitolo 3, ho confrontato credenze 'fondamentali' e credenze 'speculative'. Ognuna di queste terminologie si rivelata difettosa sotto qualche aspetto. Spero che l'attuale proposta sia migliore. 94 prensione adeguata dell'argomento, la sua credenza che esistono piante maschi e piante Iemmine puo essere trasIerita o duplicata nella scatola delle credenze. Un ruolo delle credenze riIlessive puo essere quindi quello di trattenere un'inIormazione che ha bisogno di essere completata per poter costituire una credenza intuitiva. Consideriamo ora il caso seguente. Il piccolo Roberto ha nella sua scatola delle credenze le due rappresentazioni: "Cio che dice la mamma e vero". "La mamma dice che Dio e dappertutto." Roberto non capisce pienamente come qualcuno, chiamalo Dio, possa essere dappertutto. D'altronde, il Iatto che sua madre lo dica gli da un Iondamento suIIiciente per esibire tut- ti i comportamenti sintomatici della credenza: puo ripetere che Dio e dappertutto, acconsentire alla stessa Irase detta da altri e astenersi dal commettere peccati anche in luoghi dove apparentemente nessuno lo puo vedere. Che Dio sia dappertutto e per Roberto una credenza riIlessiva. Crescendo, egli puo mantenere la credenza e arricchirla in molti modi, ma il suo signiIicato esatto, se ne esiste uno, diventera ancora piu misterioso di quanto Iosse all'inizio. Questo e un caso di una credenza che, come gran parte delle credenze religiose, non si presta a un'interpretazione Iinale chiara, e che quindi non puo mai diventare una credenza intuitiva. Parte dell'interesse per le credenze religiose, per coloro che le hanno, deriva precisamente da questo elemento di mistero, dal Iatto che non le si puo mai interpretare completamente. Mentre l'utilita cognitiva delle credenze religiose, o di altri tipi di credenze misteriose, puo essere limitata (ma vedi Sperber 1974b), non e molto diIIicile vedere come il loro mistero crei dipendenza nei loro conIronti. Nei due esempi considerati Iino a qui - Lisa e il sesso delle piante, Roberto e l'onnipresenza divina - cio che Iaceva si che la rappresentazione riIlessiva Iosse una credenza era l'autorita garantita alla Ionte della rappresentazione: la maestra o la mamma. Anche l'uomo comune accetta le credenze scientiIiche sulla base dell'autorita. Per esempio, noi tutti crediamo che E mc 2 avendo soltanto una comprensione molto limitata del signiIicato di questa Iormula e nessuna idea degli argomenti che ne hanno portato all'adozione. La nostra credenza e quindi una credenza riIlessiva di contenuto misterioso giustiIicata attraverso la nostra Iiducia nella comunita dei Iisici. Non e molto diIIerente, sotto questo aspetto, dalla credenza di Roberto che Dio e dappertutto. Una diIIerenza pero esiste. Anche per il teologo, che Dio sia 95 dappertutto e un mistero accettato sulla base dell'autorita; per il Iisico, invece, la teoria della relativita non e un mistero perche le ragioni per accettarla non hanno nulla a che vedere con la Iede. Le credenze riIlessive realmente comprese, come le credenze scientiIiche degli scienziati, includono un resoconto esplicito delle basi razionali che hanno condotto alla loro assunzione. La loro reciproca coerenza e la loro coerenza con le credenze intuitive puo essere accertata, e questo gioca un ruolo importante, anche se molto complesso, nel determinarne il riIiuto o l'accettazione. Anche per il Iisico la teoria della relativita e pur sempre una credenza riIlessiva, una teoria, una rappresentazione esposta al giudizio e aperta alla revisione e alla competizione con altre teorie, piu che un Iatto che puo essere percepito o inIerito inconsciamente dalla percezione. Le credenze misteriose o comprese a meta sono molto piu Irequenti e culturalmente piu importanti di quelle scientiIiche. Poiche non sono completamente comprese, e restano quindi suscettibili di reinterpretazioni, la loro coerenza o incoerenza con altre credenze intuitive o riIlessive non e mai autoevidente e non Iornisce un criterio Iorte di accettazione o riIiuto. Il loro contenuto, considerata l'indeterminazione, non puo essere suIIicientemente corroborato ne dai dati empirici, ne da argomenti che ne garantiscano l'accettazione razionale. Cio non signiIica che tali credenze siano irrazionali: esse sono assunte razionalmente se esistono basi razionali per dare Iiducia alla Ionte delle credenze (i genitori, la maestra o lo scienziato). Questa e la mia risposta a chi vede nella grande diversita delle credenze umane e nella loro apparentemente Irequente incoerenza un argomento a Iavore del relativismo culturale: esistono due classi di credenze che raggiungono la razionalita in modi diversi. Le credenze intuitive devono la loro razionalita a meccanismi percettivi e inIerenziali essenzialmente innati; pertanto esse non variano in modo cruciale da una cultura all'altra e sono reciprocamente coerenti o Iacilmente conciliabili. Le credenze che variano attraverso le culture al punto da sembrare irra- zionali dalla prospettiva di un'altra cultura sono credenze riIlessive con un contenuto in parte misterioso anche per coloro che vi credono. E razionale assumere queste credenze non per il loro contenuto, ma per la Ionte: il Iatto che persone diIIerenti possano dare Iiducia a diIIerenti Ionti di credenze - io, i miei maestri, tu, i tuoi - e esattamente cio che ci aspettiamo in un mondo di persone ugualmente razionali che semplicemente vivono in luoghi diversi. 96 Tipi differenti di creden:e, meccanismi differenti di distribu:ione Cerchiamo di integrare le speculazioni antropologiche e psi- cologiche sviluppate sin qui. Se ci sono diversi tipi di credenze dovremmo aspettarci che i meccanismi della loro distribuzione siano diIIerenti, piu precisamente, che la distribuzione delle cre- denze intuitive, che sono relativamente omogenee, rispetti per- corsi abbastanza comuni 6 e che la distribuzione delle credenze riIlessive, che sono molto piu varie, avvenga in modi molto diI- Ierenti. In quest'ultima sezione vorrei convincervi che le cose stanno davvero cosi. In tutte le societa umane, tradizionali e moderne, dotate o meno di scrittura e di istituzioni pedagogiche, ogni individuo normale acquisisce un ricco corpus di credenze intuitive riguar- do a se stesso e al proprio ambiente naturale e sociale. Tali cre- denze riguardano il movimento dei corpi Iisici, quello del pro- prio corpo, gli eIIetti delle varie interazioni corpo-ambiente, il comportamento di molti esseri viventi, quello degli esseri umani della sua comunita. Le credenze vengono acquisite nel corso della normale interazione con l'ambiente e con gli altri; non ri- chiedono ne uno sIorzo di apprendimento conscio da parte di chi apprende, ne uno sIorzo di insegnamento conscio da parte degli altri (si veda Atran e Sperber 1991). Anche senza insegna- mento, sono acquisite Iacilmente da tutti - le piu Iondamentali molto presto -, al punto da suggerire l'esistenza di una predi- sposizione innata estremamente Iorte; si vedano Keil 1979; Ca- rey 1982, 1985; Gelman e Spelke 1981 e HirschIeld 1984. Alcune credenze intuitive riguardano particolari (singoli luoghi o eventi, animali o persone) e sono idiosincratiche e con- divise solo molto localmente; altre sono generali (o riguardano particolari largamente conosciuti come Iatti e personaggi stori- ci), e sono diIIuse in una societa. Le credenze intuitive generali variano da cultura a cultura, ma non di molto. Per citare solo un dato aneddotico, bisogna ancora trovare una cultura in cui le credenze intuitive sullo spazio e il movimento siano talmente diverse da quelle occidentali moderne da rendere seriamente problematico per i nativi guidare un'automobile. Molti lavori re- centi in etnologia mostrano che le diIIerenze transculturali ri- 6 Ci sono ragioni fondate per ritenere che le credenze intuitive in diversi domini cognitivi - fisica ingenua, zoologia ingenua, psicologia ingenua - abbiano diverse strutture concettuali (si vedano Sperber 1975; Atran 1987; Atran e Sperber 1991). Queste differenze per non sembrano generare modi molto diversi di distribuzione. 97 guardo alle classiIicazioni zoologiche, botaniche o cromatiche sono piuttosto superIiciali e che esistono strutture universali sottostanti a ognuno di questi domini, e presumibilmente anche ad altri; si vedano Berlin e Kay 1969; Berlin et alii 1973; Berlin 1978, e Atran 1985, 1986, 1987. Che ruolo gioca la comunicazione nella costruzione delle credenze intuitive? La risposta non e semplice. Le credenze intuitive sono (o sono trattate come) l'output dei processi di percezione e di inIerenza inconscia, sia propri del soggetto sia di altri, nel caso in cui le credenze siano acquisite tramite la comunicazione. Anche quando una credenza intuitiva e derivata dalle percezioni proprie del soggetto, le risorse concettuali e le assunzioni di Iondo che si combinano con l'input sensoriale per generare la vera e propria credenza sono state in parte acquisite tramite la comunicazione. Sembra cosi che tanto la percezione quanto la comunicazione siano sempre implicate, o come Ionte diretta della credenza, o come ipotetica Ionte indiretta (il che impone un serio vincolo sui possibili contenuti delle credenze intuitive). La comunicazione e sempre coinvolta sia come Ionte diretta, sia, almeno, come Ionte di concetti e di inIormazione contestuale. 7 Qual e la relazione tra la proporzione di percezione e comunicazione nella costruzione di una credenza intuitiva e nella sua distribuzione sociale? E vero che maggiore e la proporzione di comunicazione, piu vasta e la distribuzione? Ancora una volta la risposta non e semplice. Un gran numero di credenze molto diIIuse devono l'ampiezza della loro distribuzione al Iatto che tutti i membri di una societa, o, in alcuni casi, tutti gli esseri umani, hanno le stesse esperienze percettive. D'altronde, come ho gia detto, le stesse risorse della percezione sono in parte derivate dalla comunicazione. Prendiamo la diIIusa credenza che il carbone sia nero: ci e stato detto, oppure l'abbiamo inIerito dalle nostre percezioni? DiIIicile da sapere. Ma anche se l'abbiamo inIerito dalla percezione, nel Iarlo abbiamo usato i concetti di nero e di carbone; come li abbiamo acquisiti? Per quanto riguarda 'nero', sembra 7 La ricerca sullo sviluppo cognitivo nei neonati (si veda per esempio Spelke 1988) mostra che i neonati hanno anticipazioni precise su fenomeni quali il movimento degli oggetti, che non possono provenire dalla comunicazione. Se queste aspettative sono credenze intuitive nel senso pertinente, e non dipendono da credenze intuitive influenzate dal linguaggio, allora si pu pensare che alcune credenze intuitive degli esseri umani siano indipendenti dalla comunicazione. 98 che la categoria sia predisposta in modo innato, e quando apprendiamo la parola 'nero' acquisiamo semplicemente un modo di esprimere verbalmente un concetto che gia possediamo (si vedano Berlin e Kay 1969; Carey 1982). Nessuno sosterrebbe invece che 'carbone' sia un concetto innato, ma cio che puo essere innata e la struttura dei concetti di sostanza e l'aspetta- tiva di caratteristiche Ienomeniche regolari, in particolare il colore. Cosi, anche se probabilmente abbiamo acquisito il concetto di carbone nel processo di apprendimento della parola 'carbone', l'acquisizione del concetto non ha signiIicato niente di piu che prendere lo schema concettuale innato appropriato e 'riempirlo'. Nel processo di riempimento, o ci viene detto da qualcuno che il carbone e nero, oppure lo inIeriamo da quello che vediamo. Non Ia molta diIIerenza, allora, se una credenza individuale che il carbone sia nero sia derivata dalla percezione o dalla comunicazione: una volta che il concetto di carbone viene comunicato, la credenza che il carbone sia nero seguira in un modo o nell'altro. Cio vale generalmente per le credenze diIIuse, che si conIormano ad aspettative cognitive basate su disposizioni innate arricchite culturalmente e sono conIermate ampiamente dall'ambiente. Come risultato, diIIerenti esperienze percettive dirette e diIIerenti esperienze indirette acquisite attraverso la comunicazione convergono percio sulle stesse credenze intuitive generali. Le credenze intuitive diIIuse, anche le piu esotiche, sono raramente sorprendenti. Non sono il tipo di credenze che suscitano generalmente la curiosita degli scienziati sociali, a eccezione degli antropologi cognitivi. Tra gli psicologi, solo quelli interessati allo sviluppo hanno cominciato a studiarle in modo dettagliato. In realta le credenze intuitive non determinano solo gran parte del comportamento umano, ma Iorniscono anche uno sIondo comune per la comunicazione e per lo sviluppo delle credenze riIlessive. Mentre le credenze intuitive diIIuse devono la loro distribuzione sia a esperienze concettuali comuni che alla comunicazione, le credenze riIlessive diIIuse la devono quasi esclusivamente alla comunicazione. La distribuzione delle credenze riIlessive ha luogo, per cosi dire, all'aperto: le credenze riIlessive non solo sono consce, ma sono anche distribuite deliberatamente. Per esempio i credenti di una religione, gli ideologi politici e gli scienziati, per quanto possano essere diversi sotto altri aspetti, ritengono sia un loro dovere Iondamentale Iar si che altri condividano le loro credenze. Piu precisamente, dato che la distribuzione delle credenze riIlessive e un processo sociale altamente 99 visibile, dovrebbe essere evidente che tipi diIIerenti di credenze riIlessive raggiungono un livello di distribuzione culturale in modi molto diversi. Consideriamo molto brevemente tre esempi: un mito in una societa senza scrittura, la credenza che tutti gli uomini nascono uguali, e il teorema di Godei. Un mito e una storia trasmessa oralmente che si considera rappresenti eventi reali, anche 'soprannaturali', incompatibili con le credenze intuitive. Un mito dunque, per essere accettato senza incoerenze, deve essere isolato dalle credenze intuitive, vale a dire considerato come una credenza riIlessiva. Un mito e una rappresentazione culturale: cio signiIica che e una storia con diIIerenti versioni pubbliche raccontata abbastanza spesso perche una quantita suIIicientemente elevata di esseri umani la conosca - abbia cioe versioni mentali di essa. Per questo, due condizioni devono essere soddisIatte. In primo luogo, la storia deve poter essere ricordata abbastanza Iacilmente e dettagliatamente sulla base del solo input orale. Alcuni temi e alcune strutture narrative sembrano essere migliori di altri dal punto di vista transculturale. Anche il cambiamento dello sIondo culturale inIluenza la capacita di ricordare; un mito inIatti tende a modi- Iicarsi nel corso del tempo in modo da conservare il massimo grado di memorabilita. In secondo luogo, devono esserci incentivi suIIicienti per rievocare e raccontare la storia in un numero di occasioni suIIiciente perche sia ricordata. Puo trattarsi di incentivi istituzionali, come per esempio occasioni rituali dove sia obbligatorio raccontare la storia; ma l'incentivo piu sicuro deriva dall'attrattiva della storia per il suo pubblico e dal successo che il narratore puo aspettarsi. E interessante, anche se non sorprendente, che gli stessi temi e le stesse strutture che aiutano a ricordare la storia la rendano particolarmente attraente. Se vengono soddisIatte le condizioni psicologiche di memorabilita e attrattiva, la storia ha buone possibilita di essere distribuita, ma, per essere un mito e non una semplice storia riconosciuta e apprezzata come tale, essa deve essere creduta vera. Che tipo di basi razionali ha la gente per accettarla come tale? La Iiducia in chi racconta la storia: di solito, la Iiducia negli antenati nei quali le persone hanno buone ragioni di credere e che non si riIanno ad altra autorita se non a quella derivata dai loro avi. L'origine della catena puo essere un innovatore religioso che, proponendo una versione notevolmente diIIerente di miti piu antichi, si richiamava all'autorita divina. Il riIerimento agli antenati genera una struttura di autorita che si autoperpetua per una storia che ha gia una struttura di trasmissione autoper- petuantesi. La struttura di autorita e tuttavia piu Iragile di quel- 100 1.1 di trasmissione: molti miti perdono inIatti credibilita, ma non memorabilita o Iascino, e diventano storie. La credenza che tutti gli uomini siano uguali e una tipica credenza riIlessiva: non e prodotta dalla percezione ne dall'inIe- renza inconscia a partire dalla percezione. In realta, a eccezione dei pochi IilosoIi che sono all'origine di tale credenza, tutti coloro che vi credono sono arrivati a essa per mezzo della comunicazione. Una credenza di questo tipo non costituisce un peso signiIicativo per la memoria, ma rappresenta una sIida per la comprensione ed e certamente intesa in modo diIIerente a seconda delle persone. Come e gia stato detto, il Iatto che si presti a numerose interpretazioni ha contribuito probabilmente al suo successo culturale. Il Iattore piu importante nel successo della credenza che tut- ti gli uomini siano uguali e la sua estrema pertinenza, vale a dire, secondo Sperber e Wilson (1986), l'abbondanza delle sue implicazioni contestuali in una societa Iondata sulle diIIerenze nei diritti di nascita. Le persone che riconobbero, e certo desiderarono le implicazioni di questa credenza, trovarono basi per accettarla e diIIonderla. La diIIusione della credenza (anche se non il Iatto di averla) comportava tuttavia un rischio, e dunque essa si diIIuse solo dove e quando vi era un numero suIIiciente di persone disposte ad assumerlo. In altre parole, a diIIerenza di un mito, che sembra avere una vita propria e sopravvivere e diIIondersi sotto Iorma di mito o di leggenda in una grande varieta di condizioni storiche e culturali, il destino culturale di una credenza politica e legato a quello delle istituzioni. Nello spiegare la distribuzione di una credenza politica i Iattori ecologici, in modo particolare l'ambiente istituzionale, giocano un ruolo piu importante di quelli cognitivi. Consideriamo ora una credenza matematica come il teorema di Godei. Anche in questo caso, tutti coloro che la condividono, tranne Godei stesso, vi sono arrivati tramite la comunicazione. Ciononostante, la comunicazione e quindi la diIIusione di una credenza di questo tipo incontra diIIicolta cognitive estreme. Solo le persone con un livello elevato di conoscenza della logica matematica possono intraprenderne lo studio per cercare di capirla. Al di Iuori delle istituzioni scolastiche, mancano sia gli strumenti che le motivazioni per aIIrontare una simile impresa. D'altra parte, una volta superate le diIIicolta di comunicazione l'accettazione non pone problemi: capire il teorema di Godei signiIica credervi. L'organizzazione cognitiva umana e tale per cui non e possibile comprendere credenze di questo tipo e non condividerle. In qualche senso, e con gli evidenti limiti, questo vale per tutte le 101 teorie scientiIiche moderne che hanno avuto successo. La loro robustezza cognitiva ne compensa, per cosi dire, l'astrusita e ne spiega il successo culturale. Il Iatto che le teorie scientiIiche vincenti si impongano a coloro che le comprendono e maniIesto anche a chi non le comprende. Questo Ia si che la gente comune sia portata, molto razionalmente, a credere che tali teorie siano vere e a esprimere come proprie credenze cio che riescono a citare o a paraIrasare da esse. Il teorema di Godei e le teorie scientiIiche in generale diventano cosi credenze culturali - di livello diIIerente e accettate su basi diIIerenti - sia per gli scienziati che per la comunita allargata. Possiamo conIrontare i nostri tre esempi: il mito e Iortemente determinato da Iattori cognitivi e in misura minore da Iattori ecologici. Le credenze politiche sono determinate poco da Iattori cognitivi e molto da Iattori ecologici e le credenze scientiIiche sono Iortemente determinate sia da Iattori cognitivi che da Iattori ecologici. D'altronde, anche questo conIronto enIatizza le somiglianze Ira i tre casi: i Iattori cognitivi coinvolti nel mito e nella scienza e i Iattori ecologici coinvolti nella politica e nella scienza sono molto diIIerenti. E proprio la struttura delle credenze riIlessive, il Iatto che esse siano atteggiamenti relativi a rappresentazioni e non direttamente a stati di cose ipotetici o reali, a permettere un'inIinita di diIIerenze. Nonostante le diIIerenze, la spiegazione delle credenze culturali, intuitive o riIlessive, e se riIlessive, tanto comprese a meta quanto completamente, implica l'attenzione a due aspetti: come vengono elaborate cognitivamente dagli individui e come vengono comunicate in un gruppo. Per usare uno slogan: la cultura e il precipitato della conoscen:a e della comunica:ione in una popola:ione umana. 102 5. Selezione e attrazione nell'evoluzione culturale Supponiamo di voler sviluppare una spiegazione naturalistica e causale dei Ienomeni culturali (non credo, peraltro, che le spiegazioni causali siano le sole che valga la pena di sviluppare; quelle interpretative, che sono standard in antropologia, rispondono meglio ad alcune domande). Una spiegazione causale e meccanicistica quando analizza una relazione complessa come un'articolazione di relazioni causali piu elementari. E naturalistica nella misura in cui ci sono ragioni Iondate per credere che tali relazioni piu elementari potrebbero essere a loro volta analizzate meccanicisticamente Iino a un livello di descrizione al quale il loro carattere naturale risulterebbe completamente non problematico. Il tipo di naturalismo che ho in mente ha lo scopo di gettare un ponte tra scienze diIIerenti e non di ridurre l'una all'altra. E molto probabile che, se non si spiegassero le relazioni causali in termini di meccanismi di livello sottostante, si perderebbero generalizzazioni importanti. E altrettanto probabile che, tenendo conto solo dei meccanismi di livello inIeriore, si perderebbero altre generalizzazioni interessanti: se vogliamo un ponte, e per muoverci liberamente in due direzioni. Le spiegazioni nelle scienze sociali sono talvolta meccanicistiche, ma diIIicilmente sono naturalistiche (con rare eccezioni nella demograIia e nella linguistica storica). Esse non sono naturalistiche anche solo perche attribuiscono liberamente poteri causali a entita come le istituzioni o le ideologie, il cui modo materiale di esistenza non e esplorato. Se vogliamo sviluppare un programma naturalistico nelle scienze sociali, dobbiamo imporci un certo ritegno ontologico e Iare appello solo a entita i cui poteri causali possano essere compresi in termini naturalistici. 103 La mia proposta e di riconoscere gli organismi umani nel loro ambiente materiale (naturale e artiIiciale) e di concentrarci sui loro singoli stati e processi mentali e sulle cause e sugli eIIetti Iisico-ambientali di questi oggetti mentali. 1 Ecco in che modo, avendo ristretto la nostra ontologia, possiamo prendere in considerazione il sociale. Una popolazione umana e abitata da una popolazione molto piu estesa di rappresentazioni mentali, cioe di oggetti che si trovano nella mente/cervello degli individui, come le Iantasie, le credenze, i desideri, le intenzioni, e cosi via. L'ambiente Iisico comune della popolazione e abitato dalle produzioni pubbliche dei suoi membri. Con 'produzione pubblica' intendo ogni modiIicazione percepibile dell'ambiente causata dal comportamento umano; esse includono i movimenti Iisici e i loro risultati. Alcune produzioni sono di lunga durata, come i vestiti o gli ediIici; altre sono eIIimere, come le smorIie o i suoni delle parole. Tra le cause e gli eIIetti delle produzioni pubbliche ci sono le rappresentazioni mentali, che possono a loro volta causare altre produzioni pubbliche, che possono causare altre rappresentazioni mentali, e cosi via. Ci sono cosi catene causali complesse dove si alternano rappresentazioni mentali e produzioni pubbliche. Le produzioni pubbliche possono avere come cause molte rappresentazioni mentali, e, di converso, ogni anello di una catena causale puo saldarsi a molti altri, sia in un verso che nell'altro del percorso causale. Di particolare interesse sono le catene causali che vanno dalle rappresentazioni mentali alle produzioni pubbliche alle rappresentazioni mentali, e cosi via, in cui i discendenti causali si assomigliano nel contenuto. La piu piccola catena causale di questo tipo e un atto di comunicazione riuscito. Solitamente, le produzioni pubbliche coinvolte nella comunicazione sono rappresenta:ioni pubbliche, come gli enunciati linguistici. Le rappresentazioni pubbliche sono arteIatti la cui Iunzione e assicurare una somiglianza di contenuto tra una delle loro cause mentali nell'emittente e uno dei loro eIIetti mentali nei destinatari. La comunicazione e uno dei principali meccanismi di trasmissione, insieme all'imitazione. La trasmissione e un proces 1 Ovviamente, che gli oggetti materiali possano essere naturalizzati tutt'al- tro che stabilito. Se cos non , se non si pu gettare un ponte tra il livello neurologico e quello psicologico, allora il mio discorso si riduce a una proposta di collegamento tra il livello psicologico e quello delle scienze ecologiche. Se, come credo, il programma naturalistico pu avere successo in psicologia, allora questa una proposta per unire le scienze sociali e quelle naturali grazie alla psicologia e all'ecologia. 104 so che puo essere intenzionale o meno, cooperativo o meno, e che provoca una somiglianza di contenuto tra una rappresentazione mentale in un individuo e il suo discendente causale in un altro. Nella maggior parte dei casi, le rappresentazioni mentali non sono trasmesse; la maggior parte delle trasmissioni sono eventi locali che hanno luogo una volta sola. Puo accadere pero che il ricevente di un atto di trasmissione divenga a sua volta un trasmettitore, cosi come il ricevente successivo, e cosi via, producendo una lunga catena di trasmissione e una serie di rappresentazioni mentali (insieme con le rappresentazioni pubbliche, nel caso della comunicazione) tenuta insieme sia causalmente che dalla somiglianza di contenuto. I pettegolezzi, che si trasmettono velocemente, e le tradizioni, che si trasmettono lentamente, sono esempi paradigmatici di queste catene culturali. Il modello della sele:ione Quando abbiamo una serie di rappresentazioni mentali suIIi- cientemente simili nel contenuto da sembrare ognuna una versione dell'altra, e possibile e spesso utile produrre un'ulteriore versione pubblica che rappresenti in modo prototipico il loro contenuto in parte comune. Parliamo allora della credenza nella metempsicosi, della ricetta del risotto con i Iunghi, della storia di re Artu, ognuna identiIicata da un contenuto. Si tratta ovviamente di astrazioni, almeno quanto lo sono la zebra, l'ordine dorico, o il contadino russo. E interessante vedere tutte le rappresentazioni concrete a cui puo essere attribuito lo stesso contenuto tramite una versione prototipica, con variazioni trascurabili, come se Iossero una la replica dell'altra. Una volta Iatto cio, e molto Iacile vedere tutti gli esemplari della 'stessa' rappresentazione come se Iormassero una classe distinta di oggetti nel mondo, cosi come si ritiene che l'insieme di tutte le zebre costituisca un genere naturale. L'unita cosi costruita delle serie di rappresentazioni rende possibile usare, per sviluppare una spiegazione causale della cultura, uno degli strumenti piu potenti della storia intellet- tuale: l'idea darwinista di selezione. In questa prospettiva, le rappresentazioni culturali sono 're- plicatori', ossia oggetti in grado di autoriprodursi. Esse si auto- riproducono incitando coloro che le adottano a produrre comportamenti pubblici che ne provochino l'adozione da parte di altri, e cosi via. Occasionalmente le rappresentazioni 'mutano', dando a volte inizio a una nuova serie. Il compito di spiegare i contenuti e l'evoluzione di una certa cultura puo essere visto co 105 me quello di trovare quali rappresentazioni sono piu adatte a replicarsi, sotto quali condizioni e perche. Diverse versioni di questa idea sono state diIese da Karl Popper, Donald Campbell, Jacques Monod, Cavalli-SIorza e Feldman, Boyd e Richerson, William Durham, e Richard Dawkins, che ha inventato il termine 'memi' per i replicatoti culturali. 2 Ho spesso sostenuto che esiste una seria diIIicolta nel cercare di sviluppare una spiegazione naturalistica della cultura sulla base del modello darwinista di selezione. Non ho nessuna riserva intellettuale riguardo al darwinismo; al contrario, sono convinto che le considerazioni darwiniste svolgano un ruolo centrale nella spiegazione della cultura umana, dato che contribuiscono a rispondere alla domanda Iondamentale: quali meccanismi biologici, e in particolare cerebrali, Ianno si che gli esseri umani siano animali culturali con il tipo di cultura che conosciamo? In altre parole, per capire in che senso la cultura umana e 'umana', dobbiamo Iare appello alla biologia, dunque alla teoria dell'evoluzione, dunque al modello darwinista di selezione. E la nozione di cultura che richiede di essere aIIrontata in una prospettiva nuova, e secondo me diIIerente, che tuttavia e in parte debitrice del darwinismo. 3 I punti centrali che ho sostenuto in questi anni e nei capitoli precedenti del libro sono stati: 1) che le rappresentazioni in generale non si replicano nel processo di trasmissione, ma si trasIormano; e 2) che si trasIormano sulla base di processi cognitivi costruttivi. La riproduzione, se mai avviene, deve essere vista come un caso limite di assenza di trasIormazione. Le mie osservazioni sono state prese come una maniera enIatica di insistere su un punto corretto, ma non cosi importante, ossia che la riproduzione non e perIetta. 4 Ma, dopotutto, non e Iorse vero che anche Dawkins ha osservato che "nessun processo di copia e inIallibile" e che "non Ia parte della deIinizione di replicatore l'idea che tutte le sue copie debbano essere perIette" (Dawkins 1982, p. 85; tr. it. p. 93)? 2 Si veda Sober 1991. 3 Una posizione sull'evoluzione culturale molto simile alla mia quella di Pascal Boyer (1993, cap. 9). Gli argomenti di Boyer e i miei sono in parte simili, in parte complementari. Boyer propone una discussione dettagliata dei modelli di Lumsden e Wilson (1981), Boyd e Richerson (1985) e Durham (1991). C' anche una certa convergenza con Tooby e Cosmides (1992). Due altri approcci originali e iinportanti, quello dell'antropologo cognitivista Ed Hutchins (1994) e della filosofa Ruth Millikan (1984, 1993) meriterebbero una discussione a parte. 4 cos almeno che mi sembra di essere interpretato da Dennett (1995, pp. 357- 359). 106 Dawkins e cosciente del problema: Il processo di copia e probabilmente molto meno preciso del caso dei geni: ci possono essere certi elementi 'mutazionali' in ogni evento di riproduzione. |...| I memi possono mischiarsi parzialmente uno nell'altro, cosa che i geni non Ianno. Le nuove 'mutazioni' possono essere 'dirette' invece che causali, rispetto alle tendenze evolutive. |...| Queste diIIerenze possono essere suIIicienti per rendere inutile, o addirittura Iuorviante, l'analogia con la selezione naturale genetica. (Dawkins 1982, p. 112; tr. it. p. 126) Il principale interesse di Dawkins e il suo contributo piu rilevante consistono nell'aver osservato che i meccanismi di selezione naturale darwinista non sono in nessun modo riservati al materiale biologico, ma possono essere applicati a replicatoti di qualsiasi sostanza e qualsiasi tipo. 5 I virus dei computer sono (purtroppo) replicatoti non biologici molto ben riusciti. Ecco un altro esempio di replicatore culturale. Mi succede di ricevere per posta lettere della 'catena di sant'Antonio' che dicono cose del genere: Fai dieci copie di questa lettera e mandale a dieci persone diIIerenti. Questa catena e stata cominciata a Santiago de Compostela. Non spezzarla! La signora Rossi spedi dieci copie della lettera il giorno stesso e, la stessa settimana, vinse alla lotteria. Il signor Bianchi la getto via senza copiarla, e il giorno dopo perse il lavoro. Ecco un testo il cui eIIetto e tale per cui un numero suIIiciente degli individui che lo ricevono lo replicano e lo inviano, cosi da garantire la stabilita della distribuzione del processo. In presenza di talune condizioni, i replicatoti saranno sottoposti a un processo di selezione darwinista. Le due condizioni principali sono che ci siano variazioni tra i replicatoti, e che i diversi tipi di replicatoti abbiano probabilita diIIerenti di essere replicati. Nel caso della selezione dei geni, la Ionte di variazione e la mutazione casuale, che e, in realta, un Iallimento nella riproduzione corretta. Perche la selezione operi su replicatoli capaci di mutazioni, bisogna che sia soddisIatta un'altra condizione, che ha a che Iare con il tasso di mutazioni. Se i geni mutassero non solo occasionalmente, ma in continuazione, non sarebbero piu replicatoti e la selezione sarebbe ineIIicace. Quale grado di mutazione e compatibile con una selezione eIIicace? Ecco la risposta di George Williams: 5 Un tema sviluppato in dettaglio da Millikan (1984). 107 L'essenza di una teoria genetica della selezione naturale una tendenza statistica nei tassi relativi di sopravvivenza delle alternative (geni, individui, ecc.). L'efficacia di questa tendenza nel produrre l'adattamento dipende dal fatto che si mantengano certe relazioni quantitative tra fattori operativi. Una condizione necessaria che l'entit selezionata abbia un alto grado di permanenza e un basso grado di trasformazione endogena, relativa al grado di tendenza (Williams 1966, pp. 22-23) I replicatori interessanti - i geni nel caso biologico - possono in realta essere caratterizzati come entita che si replicano abbastanza bene da essere oggetto di una selezione eIIicace. 6 Nel caso dei geni, il tasso tipico di mutazione puo essere di una mutazione ogni milione di replicazioni. Con questi bassi tassi di mutazione, anche una piccola tendenza selettiva e suIIiciente per avere, nel tempo, grandi eIIetti cumulativi. Se invece nel caso della cultura ci puo essere "un certo elemento 'mutazionale' in ogni evento di riproduzione", come Dawkins riconosce, allora la possibilita stessa di eIIetti cumulativi e messa in questione. 7 Ci sono, ovviamente, pezzi di cultura che si replicano. Alcune persone copiano le lettere della 'catena di sant'Antonio', i monaci medioevali copiavano i manoscritti, molti manuIatti tradizionali sono repliche. Un vaso puo essere copiato da un vasaio, alcuni dei suoi vasi possono essere copiati da altri vasai, e cosi via per molte generazioni di vasi e vasai. Questo lento processo di riproduzione manuale e stato sostituito nei tempi moderni da tecnologie sempre piu soIisticate, come la stampa, la televisione o la trasmissione per posta elettronica, che permettono di pro- durre un numero enorme di repliche. Il numero di copie di un cosiddetto esemplare culturale e pero solo un indicatore indiretto e incompleto del suo genuino successo culturale. I cestini della carta straccia, e i loro equivalenti elettronici, sono pieni di inIormazione massivamente riprodotta ma priva di interesse, mentre alcuni articoli scientiIici letti solo da pochi specialisti hanno cambiato il nostro mondo culturale. L'importanza culturale di una produzione pubblica deve essere misurata non in termini del numero di copie nell'ambiente, ma del suo impatto sulla mente della gente. 6 Williams arriva a proporre che "In una teoria evoluzionista, un gene pu essere definito come un'informazione ereditaria per la quale esiste una tendenza selettiva favorevole o non favorevole uguale a diverse o molte volte il suo tasso di cambiamento endogeno. La prevalenza di queste entit stabili nell'eredit delle popolazioni una misura dell'importanza della selezione naturale" (1966, p. 25). 7 Si vedano Wilson e Bossert 1971, pp. 61-62; Maynard Smith 1989, pp. 20-24. 108 I casi piu evidenti di riproduzioni riguardano le rappresentazioni pubbliche invece che quelle mentali. Quando una replica pubblica viene prodotta da un individuo invece che da una mac- china, questa produzione e causata da un'intenzione o da un piano dell'individuo, vale a dire da una rappresentazione mentale. Le rappresentazioni mentali che causano la produzione di repliche pubbliche possono essere a loro volta viste come repliche mentali di rappresentazioni mentali. La rappresentazione men- tale che Maria ha di un vaso Ia si che lei costruisca un vaso in conIormita con essa. Piero vede il vaso, e cio causa in lui una rappresentazione mentale identica a quella di Maria. La rappresentazione di Piero Ia si che egli costruisca un vaso identico a quello di Maria, e cosi via. Sorge a questo punto la questione se i memi veri e propri siano produzioni pubbliche - vasi, testi, canzoni, e cosi via -, al contempo eIIetti e cause delle rappresentazioni mentali, o, come sostiene Dawkins (1982), rappresentazioni mentali che sono insieme cause ed eIIetti delle produzioni pubbliche. Entrambe le opzioni presentano problemi simili. Per cominciare, la maggior parte degli oggetti culturali, sia mentali che pubblici, hanno un numero elevato e variabile di ascendenti immediati pubblici o mentali. Se non consideriamo la riproduzione meccanica o elettronica, i casi di nuovi oggetti eIIettivamente prodotti copiando un vecchio oggetto sono rari. Quando cantate La bella lavanderina non state cercando di riprodurre una particolare versione precedente della canzone, e molto probabilmente la vostra versione mentale della canzone e Iiglia delle versioni mentali di molte altre persone. La maggior parte dei vasai che copiano vasi quasi identici non sta in realta copiando un vaso particolare, e la loro abilita non e derivata da un solo maestro (anche se ci puo essere un maestro piu importante degli altri, il che complica ulteriormente la vicenda). In generale, se descrivete seriamente un'unita culturale - singoli testi, vasi, canzoni, capacita individuali di produrne - come riproduzione di unita precedenti, dovete allora chiedervi per qualsiasi oggetto culturale di quale esemplare precedente e una replica diretta? Nella maggior parte dei casi sarete costretti a concludere che ogni esemplare non e una replica di un esemplare-genitore, ne (come nella riproduzione sessuale) di due esemplari genitori, ne di un numero deIinito di esemplari genitori, ma di un numero indeIinito di esemplari, alcuni dei quali hanno giocato un ruolo 'genitoriale' maggiore di altri. Si puo pensare che questo processo di riproduzione sintetica di un numero variabile di modelli sia eIIettuato da un equivalente 109 naturale di un programma di morphing (un programma che prende, per esempio, l'immagine di un gatto e quella di un uomo come input e produce come risultato l'immagine di una creatura a meta tra un gatto e un uomo). Come nei programmi di morphing, ai diversi input si danno pesi diversi: il vostro uomo-gatto puo essere piu simile a un uomo o piu simile a un gatto, e le conoscenze di Piero sui vasi possono essere piu simili a quelle di Maria che a quelle di Carlo, anche se dipendono da entrambe. Il modello che viene in mente ora ricorda meno la nozione darwinista di selezione e piu la nozione di 'inIluenza' usata nella storia delle idee e nella psicologia sociale. Nel caso della selezione, i geni riescono a replicarsi oppure no, e gli organismi sessuali riescono a Iornire la meta dei geni di un nuovo organismo oppure non ci riescono. La relazione di discendenza determina percio rigorosamente la somiglianza genetica (se ignoriamo le mutazioni). L'inIluenza, invece, e una questione di grado. Due maestri vasai possono avere gli stessi allievi, e quindi gli stessi di- scendenti culturali, ma i loro discendenti culturali comuni possono subire piu l'inIluenza di un maestro che dell'altro. Anche i vasi risultanti possono essere i discendenti dei vasi di entrambi i maestri, ma piu simili ai vasi di uno che dell'altro. Esistono tuttavia alcune somiglianze tra il modello dei memi e quello dell'inIluenza: entrambi implicano la nozione di competizione. Entrambi deIiniscono una misura di successo, in termini del numero di discendenti in un caso, e del grado e della diIIusione di inIluenza nell'altro; entrambi predicono che gli oggetti piu riusciti saranno predominanti nella cultura, e che la cultura evolvera in risposta alle diIIerenze di successo tra oggetti in competizione. Il modello dei memi puo essere visto come un caso limite del modello dell'inIluenza: il caso in cui l'inIluenza e cento per cento o zero per cento, cioe in cui i discendenti sono repliche. I modelli Iormali dell'inIluenza nella psicologia sociale tendono a concentrarsi su questi casi limite (si vedano per esempio Nowak et alii 1990). Sia il modello dei memi che quello dell'inIluenza considerano gli organismi umani come agenti di riproduzione o di sintesi, con un contributo minimo o nullo al processo che avviene in loro. Al piu, l'agente replicativo puo scegliere in qualche misura non solo quale input sintetizzare, ma i pesi relativi da assegnare a input diIIerenti. Tra i Iattori cruciali sia del successo riproduttivo che dell'inIluenza c'e allora l'attrazione che i diversi input hanno per gli agenti. Una volta che sono stati scelti gli input (e i pesi nel caso della sintesi), il risultato di un processo riuscito di riproduzione o di sintesi e completamente determinato. Inoltre, secondo questi due approcci, le rappresentazioni mentali impli- 110 cate nella trasmissione culturale non contengono mai piu inIormazione degli input che dovrebbero sintetizzare. Il modello dellattra:ione A diIIerenza del modello dei memi, quello dell'inIluenza giustamente non tratta la riproduzione nella trasmissione culturale come la norma ma come un caso limite (di inIluenza al cento per cento). Entrambi sbagliano, pero, nell'assumere che, in generale, il risultato di un processo di trasmissione sia completamente determinato dagli input (e dai pesi, nel caso dell'inIluenza) accettati o scelti dall'organismo ricevente. I due mo- delli Ianno l'ipotesi che la trasmissione culturale sia completamente determinata dagli stimoli, cosa che non costituisce la norma. Una quantita limitata di cultura viene trasmessa grazie a processi elementari di imitazione e sintesi. I monaci medioevali che copiavano i manoscritti - esempi apparentemente perIetti di riproduzione culturale - comprendevano quello che copiavano e, a volte, sulla base di quello che capivano, correggevano cio che consideravano un errore precedente di copiatura. In generale, i cervelli umani usano tutta l'inIormazione che viene loro sottoposta non per ricopiarla o sintetizzarla, ma come dato piu o meno pertinente con cui costruire le proprie rappresentazioni. Ecco qualche rapido esempio. Primo: considerate le vostre idee su Silvio Berlusconi. Probabilmente sono assai simili a quelle di molti altri, e sono state inIluenzate dalle posizioni di qualcuno in particolare. Non e pero molto probabile che Iormiate le vostre idee semplicemente copiando o sintetizzando quelle degli altri. Cio che Iate e piuttosto usare la vostra conoscenza di background e le vostre preIerenze per porre in prospettiva le inIormazioni che vi sono state date su Berlusconi e, attraverso un misto di reazioni emotive e di inIerenze, arrivare alle vostre idee attuali. Il Iatto che siano simili a quelle di molti altri non puo essere spiegato da un processo di riproduzione, e solo in parte da un processo di inIluenza, ma dalla convergenza dei vostri processi cognitivi e aIIettivi con quelli di molti altri verso punti di vista psicologicamente attraenti nell'ampio spazio dei possibili punti di vista su Berlusconi. Prendiamo come secondo esempio le lingue (si veda anche Boyer 1993, p. 281). Le lingue sono, a prima vista, esempi superbi di memi: un sapere complesso trasmesso da generazione a generazione e abbastanza simile da permettere la comunicazione tra gli individui. Nonostante cio, come ha sostenuto a 111 lungo Noam Chomsky (1968/1972, 1975, 1986), una lingua come linglese e un'astrazione cui corrispondono grammatiche mentali nella testa degli individui e Irasi pronunciate nell'ambiente. Gli individui non incontrano mai le grammatiche o le rappresentazioni delle grammatiche delle altre persone, ma apprendono la lingua sviluppando la propria grammatica a partire da un numero alto ma limitato di enunciati linguistici. Individui diIIerenti incontrano insiemi di enunciati molto diIIerenti. Acquisire non signiIica imitare questi enunciati. In realta la maggior parte di essi non viene mai ripetuta: i nuovi enunciati non sono derivati ne dalla sintesi ne dalla ricombinazione dei vecchi. Cio che succede nell'acquisizione del linguaggio e che gli enunciati sono usati come dati per la costruzione di una grammatica mentale. Quanto contano questi dati? Chomsky ha sostenuto - in modo molto convincente - che i dati linguistici disponibili a un bambino sottodeterminano ampiamente la grammatica. Molti enunciati inoltre sono scorretti gram- maticalmente, e costituiscono quindi dati Iuorviami. Questa sottodeterminazione, le diIIerenze degli input disponibili ai diversi bambini, il Iatto che tutti i bambini sviluppino una grammatica e che, per di piu, nella stessa comunita queste grammatiche convergano, Ianno sorgere un serio problema. Dobbiamo sempre a Chomsky almeno la Iorma generale della soluzione: nella mente di ogni bambino esiste un meccanismo di acquisizione del linguaggio modulare, speciIicato genetica- mente. Nel vasto ambito di usi possibili degli stimoli Iorniti dagli enunciati linguistici, i bambini sono portati a quelli che permettono loro di costruire una grammatica, e Iiniscono con il convergere sulla grammatica psicologicamente possibile per i dati che sono stati loro Iorniti. Cosi come e indiIIerente da quale parte di una bacinella lasciate cadere una biglia - si Iermera nel centro -, allo stesso modo e indiIIerente quali Irasi italiane ascolti un bambino italiano - costruira una grammatica italiana. Come terzo esempio, considerate Cappuccetto Rosso come caso di un meme veramente ben riuscito. Si tratta qui di un gran numero di individui che ascoltano la storia e vogliono ripeterla, se non letteralmente, almeno in maniera Iedele al suo contenuto. Ovviamente, non sempre ci riescono, e molte delle versioni pubbliche prodotte da un narratore a beneIicio di uno o due ascoltatori sono diverse da quelle standard. Immaginate per esempio un narratore inesperto che racconta che il cacciatore estrae Cappuccetto Rosso dal ventre del lupo ma si dimentica di menzionare la nonna. I teorici 112 ilei memi potrebbero sostenere - e io sarei d'accordo - che questa versione ha meno probabilita di essere replicata rispetto a quella standard. La loro spiegazione sarebbe che essa lia minori probabilita di avere dei discendenti. Cio e certamente plausibile, ma esiste un'altra spiegazione altrettanto plausibile: molto probabilmente, nel ripetere la Iavola, gli ascoltatori che la conoscono in questa versione diIettosa la correggeranno consciamente o inconsciamente in modo da salvare anche la nonna. Nello spazio logico delle possibili versioni di una storia, alcune hanno una Iorma migliore, ossia una Iorma che viene percepita senza parti superIlue e senza omissioni, piu Iacile da ricordare e quindi piu attraente. I I attori grazie ai quali una Iorma e migliore di un'altra dipendono in parte dalla psicologia umana e in parte dal contesto culturale locale. Nel ricordare e verbalizzare la storia, i narratori sono attratti dalle Iorme migliori. Entrambe le spiega- zioni, in termini di selezione e in termini di attrazione, possono essere simultaneamente vere; la ragione per la quale le versioni diIettose hanno meno repliche puo essere sia perche hanno meno discendenti, sia perche i loro discendenti non sono repliche. Spero che sia ora chiara l'idea generale: c'e maggiore scarto tra discendenza e somiglianza nel caso della trasmissione culturale di quanto non ci sia nel caso biologico. La maggior parte dei discendenti culturali sono trasIormazioni, non repliche; le trasIormazioni implicano somiglianza: minore e il grado di trasIormazione, maggiore e quello di somiglianza. Ma la somiglianza tra oggetti culturali e maggiore di quanto ci si potrebbe aspettare osservando i gradi reali di trasIormazione nella trasmissione culturale. La somiglianza tra oggetti culturali deve essere spiegata in buona misura dal Iatto che le trasIormazioni tendono a essere inIluenzate dalla direzione di posizioni-attrattore in uno spazio di possi- bilita. Come si dovrebbe modellizzare la trasmissione culturale? Il modello della selezione darwinista e ancora la migliore approssimazione - da correggere ma non da scartare? Per cercare di rispondere, presentero la questione attraverso alcune semplici considerazioni Iormali. Immaginiamo una popolazione di oggetti individualmente capaci di produrre discendenti, e con una durata di vita limitata. Immaginiamo anche che questi oggetti siano di 100 tipi, con relazioni di somiglianza Ira i tipi che possiamo rappresentare in uno spazio delle possibilita come una matrice di 10 per 10. Consideriamo uno stato iniziale (che puo essere per 113 esempio stabilito sperimentalmente) nel quale abbiamo una distribuzione casuale di 10.000 oggetti scelti Ira i 100 tipi. Supponiamo di esaminare la nostra popolazione dopo un certo numero di generazioni, e osservare una distribuzione diIIerente. Mentre l'intera popolazione ha all'incirca la stessa grandezza, ed esistono ancora oggetti sparsi nello spazio delle possibilita, alcuni tipi sono ora meglio rappresentati di altri. Piu speciIicamente, osserviamo che gli oggetti tendono a concentrarsi intorno a due tipi. Immaginiamo che osservazioni ripetute ci mostrino che questa conIigurazione e abba- stanza stabile. 114 Un tipo di spiegazione ben conosciuto di questo stato di coss sarebbe che alcuni dei tipi avevano dall'inizio un maggiore successo riproduttivo, incrementando cosi il numero delle unita Iino al raggiungimento di un equilibrio biologico nel quale i tipi piu riusciti possono mantenere una rappresentazione maggiore degli altri. Supponiamo di cercare la maniera In cui gli oggetti di questa popolazione producono realmente discendenti e di scoprire che un discendente non e mai dello stesso tipo del genitore. I discendenti sono invece sempre di uno degli otto tipi adiacenti nella matrice a quello dei loro genitori (si veda Iigura 2). La spiegazione non puo piu essere quella di un equilibrio ecologico tra replicatoli piu o meno eIIicaci, dato che si tratta di un sistema trasIormazionale e non riproduttivo. Una spiegazione alternativa partira dall'ipotesi che le otto possibilita della discendenza di un genitore di un certo tipo non sono equiprobabili. Un genitore ha maggiori probabilita di produrre una trasIormazione che si distanzia da esso in una certa direzione. Supponiamo che le diIIerenze nelle probabilita di trasIormazione siano tali per cui la matrice abbia due attrattori. 8 Se disegniamo la linea di discendenza di una certa unita, essa non sembrera seguire un percorso completamente casuale nello spazio delle possibilita, ma sembrera invece muoversi verso uno di questi attrattori, tanto che il punto di arrivo ha buone probabilita di essere nelle vicinanze di uno di loro. Se il punto di partenza e vicino a un attrattore, allora e probabile che l'intera linea gli resti vicino. Se un'unita avesse solo repliche, allora le diIIerenze iniziali di successo riproduttivo e l'equilibrio ecologico spiegherebbero 8 Nozioni sofisticate di attrattori ('attrattori strani' in particolare) sono state 115 la distribuzione osservata. Ma dato che l'unita genera mutanti, una spiegazione migliore e Iornita dalle diIIerenze tra le probabilita di trasIormazione. TrasIormazione e riproduzione possono essere combinate. Per esempio, tutti i tipi possono avere sempre una probabilita su nove di replicarsi invece di trasIormarsi. In questo caso, anche se avvenisse qualche riproduzione, la diIIerenza nella distribuzione dei tipi sarebbe spiegata interamente dalle diIIerenze nelle probabilita delle trasIormazioni date. La probabilita che un'unita si replichi invece di trasIormarsi puo essere diversa a seconda del tipo. Potremmo allora, in linea di principio, avere una spiegazione duplice, che invochi sia il successo riproduttivo sia l'attrazione. Ma in questo caso, per ragioni di semplicita e di generalita, e meglio considerare il successo riproduttivo in una regione data come cio che deIinisce o contribuisce a deIinire quella regione come un attrattore. Anche la molteplicita e il numero variabile di 'genitori' o Ionti per lo stesso oggetto, che sono un aspetto tipico dell'evoluzione culturale, vengono gestiti meglio in termini di attrazione. La generazione di nuove unita in uno spazio delle possibilita con delle regioni-attrattori deve essere attesa da qualche parte tra le unita esistenti e gli attrattori vicini. Non ci si deve aspettare pero una metrica generata da una distanza semplice: i meccanismi reali di generazione determinano contemporaneamente quali unita verranno trasIormate e in quale modo. Il modello dell'attrazione include come caso speciale quello dell'inIluenza: il caso in cui lo spazio delle possibilita non include un attrattore vicino e dove una metrica semplice predice dove emergera la nuova unita. Si noti che gli attrattori, come li ho caratterizzati, sono costrutti astratti, statistici, come un tasso di mutazione o una probabilita di trasIormazione. Dire che c'e un attrattore in uno spazio di possibilita signiIica solo dire che le probabilita di trasIormazione sono conIigurate in un certo modo: esse tendono a essere inIluenzate in modo tale da Iavorire le trasIormazioni verso un punto speciIico, e quindi si distribuiscono intorno a quel punto. sviluppate nella dinamica dei sistemi complessi e possono risultare utili in una futura modellizzazione dell'evoluzione culturale; in questo contesto ci sufficiente considerare una nozione molto elementare di attrattore. 116 Un attrattore non e una cosa materiale; non attrae' Iisicamente nulla. Dire che esiste un attrattore non signiIica dare una spiegazione causale, ma mettere in luce cio che richiede una spiegazione causale - cioe la distribuzione di unita e la sua evoluzione -, e suggerire il tipo di spiegazione da cercare - cioe l'identiIicazione degli autentici Iattori causali che inIluenzano le microtrasIormazioni. Fattori ecologici e psicologici di attra:ione Due tipi di Iattori spiegano l'esistenza degli attrattori: Iattori psicologici ed ecologici. L'ambiente determina la sopravvivenza e la composizione delle popolazioni portatrici di cultura; esso con 117 tiene tutti gli input ai sistemi cognitivi dei membri della popolazione; determina quando e dove e per mezzo di cosa puo avvenire la trasmissione e impone vincoli sulla Iormazione e la stabilita di tipi diIIerenti di produzioni pubbliche. L'organizzazione mentale degli individui determina quali input disponibili vengono trattati, come vengono trattati e quale inIormazione guida i comportamenti che, a loro volta, modiIicano l'ambiente. IIattori psicologici interagiscono con quelli ecologici a molti livelli che corrispondono a diverse scale temporali: quella dell'evoluzione biologica, quella della storia sociale e culturale, quella dello sviluppo cognitivo e aIIettivo degli individui e quella dei microprocessi di trasmissione. E all'interno della scala temporale dell'evoluzione biologica che emerge una specie dotata di capacita mentali che rendono possibile la trasmissione culturale. Il ruolo della biologia non si esaurisce nel rendere possibile la cultura, senza alcun eIIetto sul suo carattere o sul suo contenuto. L'immagine del complesso mente/cervello umano come una tabula rasa su cui culture diIIerenti scrivono liberamente la loro visione del mondo e quella delle visioni del mondo come sistemi integrati interamente determinati dalla storia socioculturale, ancora cosi di moda tra gli scienziati sociali, sono incompatibili con le nostre attuali conoscenze di biologia e psicologia. IIcervello e un organo complesso. La sua evoluzione e stata determinata da condizioni ambientali che hanno aumentato o diminuito le probabilita dei nostri antenati di riprodursi nel corso della Iilogenesi. Ci sono buone ragioni di pensare che il cervello contenga molti sottomeccanismi, o 'moduli', che sono evoluti come adattamenti a diverse sIide e opportunita ambientali (si vedano Cosmides e Tooby 1987, 1994; Tooby e Cosmides 1989, 1992). I moduli mentali - ossia gli adattamenti a un ambiente ancestrale - sono Iattori cruciali nell'attrazione culturale. Essi tendono a Iissare gran parte del contenuto culturale attorno al dominio cognitivo nel trattamento del quale sono specializzati (si veda il capitolo successivo). Le pressioni evolutive hanno probabilmente Iavorito non solo l'emergere di meccanismi mentali specializzati, ma anche un certo grado di eIIicienza cognitiva all'interno di ognuno di questi meccanismi nella loro reciproca articolazione. In ogni momento, gli esseri umani percepiscono piu Ienomeni di quelli ai quali sono in grado di prestare attenzione, e hanno piu inIormazione immagazzinata in memoria di quanta non possano usare. L'eIIicienza cognitiva signiIica Iare la scelta giusta nel selezionare quale nuova inIormazione disponibile deve essere presa in considerazione e quale inIormazione in memoria deve essere re- 118 cuperata per trattare la nuova. Le scelte giuste sono quelle che uniscono nuova e vecchia inIormazione in modo tale da Iornire la maggior quantita possibile di eIIetti cognitivi con il minimo sIorzo mentale. Deirdre Wilson e io abbiamo sostenuto che l'equilibrio eIIet- to-sIorzo nel trattamento di qualsiasi tipo di inIormazione deter- mina il suo grado di pertinenza (Sperber e Wilson 1986). La nostra idea e che i processi cognitivi umani siano guidati verso la massimizzazione della pertinenza. La maggior parte dei Iattori che determinano la pertinenza sono altamente idiosincratici e hanno a che Iare con la collocazione spazio-temporale unica di un individuo. Altri invece sono radicati in aspetti della psicologia determinati geneticamente. L'elaborazione degli stimoli per i quali esiste un modulo specializzato richiede allora comparativamente uno sIorzo minore ed e potenzialmente piu pertinente. Per esempio, Iin dalla nascita gli esseri umani trattano i suoni della parola come stimoli pertinenti (un'aspettativa spesso delusa, ma mai abbandonata). E possibile che gli individui siano Iatti in modo tale da ottimizzare il rapporto eIIetto/sIorzo non solo dal lato dell'input, ma anche da quello dell'output. Le produzioni pubbliche, dai movimenti Iisici al linguaggio alle costruzioni, anche quando sono modellate a partire da produzioni precedenti tendono a muoversi verso Iorme in cui l'eIIetto voluto puo essere ottenuto al costo minimo. La cultura e suIIicientemente vecchia per aver avuto qualche eIIetto sull'evoluzione biologica. La 'coevoluzione' gene-cultura (Boyd e Richerson 1985; Lumsden e Wilson 1981) aiuta a spiegare in particolare l'esistenza negli esseri umani di Iorme di sapere specializzate nell'interazione culturale, come per esempio la Iacolta del linguaggio (Pinker e Bloom 1990; Pinker 1994). Essa e pero un processo troppo lento per spiegare i cambiamenti culturali nella storia. Generazione dopo generazione, gli esseri umani sono nati essenzialmente con lo stesso potenziale, che realizzano pero in modi molto diIIerenti. Cio e dovuto alla diversita degli ambienti, in particolare di quello culturale, in cui sono nati. Ciononostante, sin dal primo giorno la psicologia di un individuo e arricchita e resa piu speciIica dagli input culturali. Ogni individuo diviene rapidamente uno dei molti luoghi in cui si ripartisce il 'pool' di rappresentazioni culturali che abitano la popolazione. La storia culturale di una popolazione e al contempo quella del suo pool di rappresentazioni culturali e quella del suo ambiente culturale. Questi macroinsiemi - il pool di rappresentazioni e 119 l'ambiente - evolvono come eIIetti di microprocessi nei quali le cause appartengono all'ambiente e gli eIIetti al pool, o viceversa. In generale, l'espressione 'ambiente culturale' e usata in un senso molto lato, e si riIerisce a un insieme di signiIicati, valori, tecniche, e cosi via. Cosi intesa, essa ha poco a che Iare con l'ambiente Iisico; il suo statuto ontologico e, nella migliore delle ipotesi, molto vago; i suoi poteri causali sono misteriosi. Con 'ambiente culturale' intendo un insieme di oggetti materiali: tutte le produzioni pubbliche nell'ambiente che sono cause ed eI- Ietti delle rappresentazioni mentali. L'ambiente culturale cosi inteso si conIonde con quello Iisico di cui Ia parte. I poteri causali che esercita sulla mente umana non danno problemi: le produzioni pubbliche stimolano gli organi sensoriali nel modo materiale usuale. Essi causano la costruzione di rappresentazioni mentali dotate di un contenuto determinato in parte dalle proprieta degli stimoli che le hanno provocate, e in parte da risorse mentali preesistenti. Gli attrattori culturali emergono, svaniscono o si muovono nella storia, alcuni rapidamente altri lentamente, altri ancora all'improvviso. Alcuni di questi cambiamenti hanno cause ecologiche comuni: nicchie ecologiche eccessivamente sIruttate perdono la loro attrazione economica; sentieri troppo raramente calpestati si ricoprono d'erba; alcune pratiche tendono ad aumentare l'ampiezza della popolazione che potrebbe essere attratta da esse, altre a diminuirla. La maggior parte dei cambiamenti storici negli attrattori deve essere spiegata in termini di interazioni tra Iattori psicologici ed ecologici di un tipo particolare di evoluzione culturale. L'ambiente culturale determina in ogni momento la Iormazione delle rappresentazioni mentali, che poi a loro volta possono essere la causa di produzioni pubbliche, e cosi via. Questo processo modiIica la densita relativa delle rappresentazioni mentali, cosi come quella delle produzioni pubbliche, in aree diIIerenti dello spazio di possibilita. In particolare, la densita tende ad aumentare la vicinanza degli attrattori. Un aumento di densita delle produzioni pubbliche in vicinanza di un attrattore tende a rinIorzare l'attrattore, anche solo perche aumentano le probabilita che si presti attenzione a queste produzioni piu numerose. D'altra parte, l'aumento della densita di rappresentazioni mentali nella vicinanza dell'attrattore puo indebolirlo: la ripetizione di rappresentazioni che hanno lo stesso contenuto puo diminuirne inIatti la pertinenza e Iar si che gli individui perdano interesse in esse o le reinterpretino in modo diverso. Le pratiche stabilite (in materia di abbigliamento, cibo, etichetta, ecc.) sono Iorti attrattori. Allo stesso tempo, e proprio la 120 loro prevedibilita a diminuirne la pertinenza a vantaggio di un chiaro distacco dalle pratiche stabilite che costituiscono un modo tacile per attirare l'attenzione e raggiungere un grado elevato di pertinenza. Una volta che le produzioni pubbliche convergono in massa su qualche attrattore culturale, possono provocare l'emergenza di un attrattore concorrente vicino, come ben illustrano i cambiamenti repentini delle mode, che perdono rapidamente interesse proprio a causa del loro successo. Quando invece si incontrano pratiche che restano stabili per generazioni, si puo supporre che mantengano un livello suIIiciente di pertinenza nonostante la loro ripetizione, e vedere se sia davvero cosi e perche. Una pratica ripetitiva puo rimanere pertinente perche lo sono i suoi eIIetti. Cio succede, per esempio, con le pratiche tecnologiche che hanno eIIetti economici importanti sul benessere degli individui o addirittura sulla loro sopravvivenza. Una pratica ripetitiva puo rimanere pertinente perche e in competizione con altre pratiche, e la scelta di una invece che dell'altra da parte di un certo individuo a un dato momento puo essere estremamente signiIicativa - e il caso delle pratiche usate per aIIermare che qualcuno appartiene a una minoranza. Una pratica ripetitiva puo essere pertinente perche individui diIIerenti si contendono il diritto di adottarla e perche il successo in questa competizione e importante - e il caso delle pratiche rituali che segnano la promozione a uno status desiderato. Una pratica ripetitiva puo restare pertinente perche, senza modiIicare percepibilmente la sua Iorma pubblica, si presta a interpretazioni diIIerenti a seconda dell'agente, delle circostanze e dello stadio della vita. Questa possibilita di reinterpretazione e tipica delle pratiche religiose (si veda Sperber 1974b). Anche sulla scala temporale dei cicli della vita individuale i Iattori ecologici e psicologici interagiscono in una maniera speciIica; a stadi diIIerenti del loro sviluppo psicologico, gli individui sono attratti in direzioni diIIerenti. Inizialmente i principali Iattori ecologici di attrazione sono geneticamente determinati; ma l'esperienza - ossia gli eIIetti cognitivi delle interazioni passate con l'ambiente - diventa un Iattore di attrazione sempre piu importante. Durante l'inIanzia, l'inIormazione che permette al bambino di sviluppare competenze per le quali egli ha una disposizione innata e registrata e usata a questo scopo. Il bambino acquista le competenze per parlare, arrampicarsi, mangiare, bere, maneggiare gli oggetti, prevedere il comportamento altrui, riconoscere gli animali, e cosi via. In tutti questi domini, la nuova inIormazione risulta Iacilmente pertinente perche soddisIa i bisogni ancora insaturi di moduli specializzati. Una volta acquisite le com 121 petenze di base, l'attrazione tende alla nuova inIormazione pertinente nel contesto della conoscenza di base gia acquisita. Essa tende anche all'inIormazione pertinente per i vari scopi che l'individuo e ora in grado di immaginare e perseguire. Il contributo degli individui alla trasmissione culturale varia durante il ciclo di vita. Non solo gli individui trasmettono quantita diIIerenti e contenuti diIIerenti, ma trasIormano anche quello che trasmettono in direzioni diIIerenti, e lo trasmettono a pubblici diIIerenti a seconda della Iase della loro vita. L'ampiezza delle trasIormazioni varia anche con l'eta e il ruolo sociale del comunicatore e con quelli del suo pubblico. In alcune conIigurazioni, una comunicazione relativamente piu conservatrice puo sembrare piu pertinente; in altri casi, la ricerca della pertinenza richiede innovazione. Dal punto di vista degli individui, gli attrattori culturali sembrano muoversi lungo un percorso che in realta combina cambiamenti storici con movimenti individuali nel loro ciclo di vita e nelle loro relazioni sociali. Sono i microprocessi di trasmissione culturale che rendono possibile la coevoluzione gene-cultura e che provocano l'evoluzione storica della cultura e lo sviluppo culturale degli individui. L'idea di questo libro e che questi microprocessi non siano in generale processi di replica. Non sto negando che possano avvenire riproduzioni che giocano un ruolo nell'evoluzione culturale. Sostengo semplicemente che sia meglio vedere le riproduzioni come casi limite delle trasIormazioni. I processi cognitivi costruttivi sono coinvolti sia nella rappresentazione degli input culturali sia nella produzione degli output pubblici. Tutti gli output dei processi mentali individuali sono inIluenzati dagli input passati; solo pochi output sono semplici copie degli input passati. Il modello neodarwinista della cultura e basato su un'idealizzazione - Ienomeno abituale nella pratica scientiIica - ma, e qui sta il problema, su un'idealizzazione a sua volta basata su una seria distorsione dei Iatti pertinenti. Il modello neodarwinista e le idee di riproduzione e selezione sembrano oIIrire una spiegazione all'esistenza e all'evoluzione di contenuti culturali relativamente stabili. Com'e possibile, se la riproduzione non e la norma, che tra tutte le rappresentazioni e le produzioni pubbliche che abitano una popolazione umana e il suo ambiente condiviso sia cosi Iacile distinguere tipi culturali stabili, come le posizioni comuni su Silvio Berlusconi, le narrazioni di Cappuccetto Rosso, gli enunciati italiani, e anche le strette di mano, i Iunerali e gli autobus di linea? Per due ragioni: primo, perche attraverso meccanismi interpretativi, il cui controllo e parte della nostra competenza sociologica, tendiamo a esagerare la somiglianza degli oggetti culturali e la 122 distinzione dei tipi (si veda il capitolo 2); secondo, perche nel Iormare rappresentazioni mentali e produzioni pubbliche, ogni uomo in qualche misura, e sicuramente tutti i membri di una ustessa popolazione, sono attratti nella stessa direzione. Benche in contrasto con i modelli neodarwinisti della cultu- ra presentati da Dawkins e da altri, il modello dell'attrazione culturale che ho proposto e di ispirazione darwinista nel senso che spiega regolarita su larga scala come l'eIIetto cumulativo di microprocessi. La cultura di una data popolazione e descritta come la distribuzione di rappresentazioni mentali e produzioni pubbliche. L'evoluzione culturale e spiegata come l'eIIetto delle diIIerenze di Irequenza tra diverse trasIormazioni possibili di rappresentazioni e di produzioni nel processo di trasmissione. Nello studio dell'evoluzione culturale, prendere a prestito il mo- udello di selezione darwinista non e il solo modo, e Iorse non il migliore, di servirsi delle intuizioni Iondamentali di Darwin. 9 9 Per questo capitolo, ringrazio Ned Block, 1ohn Maynard Smith ed Eliot So- ber per i loro utili commenti. 123 6. Modularita del pensiero ed epidemiologia delle rappresentazioni Dieci anni Ia, Jerry Fodor pubblico La mente modulare, un libro che ricevette una grande e meritata attenzione. L'obiettivo polemico era l'idea allora dominante secondo la quale non esistono discontinuita importanti tra processi percettivi e processi concettuali. L'inIormazione scorre libera tra i due tipi di processi: le credenze Iorniscono inIormazione alla percezione cosi come ne ricevono da essa. Contro questa visione della mente Fodor sostenne che i processi percettivi (e quelli di decodiIica linguistica) sono eIIettuati da meccanismi specializzati e rigidi. Ognuno di questi 'moduli' ha un suo dominio speciIico, e non tratta inIormazione prodotta dai processi concettuali. In realta La mente modulare era un titolo paradossale (anche se Iorse non intenzionalmente, e il Iatto non Iu notato) dato che, secondo Fodor, la modularita puo essere ricercata solo alla periIeria della mente, nei suoi sistemi di input. 1 La parte centrale e piu estesa della mente e per Fodor decisamente non modulare. I processi concettuali, cioe il pensiero vero e proprio, sono presentati come un grande blocco olistico, in cui e impossibile ritagliare articolazioni. Le principali controversie si sono concentrate piu sulla tesi della modularita dei processi percettivi e linguistici che su quella della non modularita del pensiero. Due sono gli obiettivi di questo articolo. In primo luogo diIendero la tesi che anche il pensiero puo essere modulare (quello che Fodor |1987a, p. 27| chiama "la teoria della modularita impazzita"... ahime!), pur riprendendo Fodor nel sostenere che 1 Fodor menziona la possibilit che anche i sistemi di output, ossia i sistemi motori, possano essere modulari. Assumo che sia cos, senza discutere qui il problema. 125 "quando dico che un sistema e modulare intendo modulare 'in un senso interessante'" (Fodor 1983, p. 37; tr. it. p. 69). Il secondo obiettivo e quello di articolare una visione modulare del pensiero umano con la concezione naturalistica della cultura umana che sto sviluppando sotto il nome di epidemiologia delle rappresentazioni (Sperber 1985). I due obiettivi sono strettamente correlati: la diversita culturale e stata sempre presa a esempio per mostrare la plasticita della mente umana, mentre la tesi della modularita del pensiero sembra negarla. Mi interessa mostrare che, diversamente dall'immagine tradizionale, organismi Iorniti di menti genuinamente modulari generano culture genuinamente diverse. Due argomenti di buon senso contro la modularita del pensiero La distinzione tra processi percettivi e processi concettuali e, almeno a grandi linee e a livello molto astratto, chiara: i processi percettivi ricevono in input l'inIormazione Iornita dai recettori sensoriali, e producono in output una rappresentazione concettuale che categorizza l'oggetto percepito. I processi concettuali hanno rappresentazioni concettuali sia in input che in output. Vedere una nuvola e pensare: Ecco una nuvola! e un processo percettivo; inIerire da questo: Potrebbe piovere e un processo concettuale. L'idea di base della modularita e anch'essa molto semplice. Un modulo cognitivo e un meccanismo computazionale speciIicato geneticamente nella mente/cervello (d'ora in poi: la mente) che lavora soprattutto da solo su input che appartengono a domini cognitivi speciIici e che sono Iorniti da altre parti del cervello (per esempio, recettori sensoriali, o altri moduli). Date queste nozioni, la visione secondo la quale i processi percettivi possono essere modulari e eIIettivamente molto plausibile, come sostiene Fodor. D'altra parte, esistono due argomenti tratti dal senso comune (oltre a molti altri piu tecnici) che Ianno pensare che i processi concettuali non siano modulari. Il primo argomento tratto dal buon senso contro la modularita massiva del pensiero ha a che Iare con l'integrazione dell'inIormazione. Il livello concettuale e il livello al quale l'inIormazione che proviene da diIIerenti moduli di input, ognuno presumibilmente legato a una modalita sensoriale, viene integrata in un mezzo indipendente dalla modalita. Si puo vedere, udire, sentire, toccare, parlare di un cane: i percetti sono diIIerenti, il concetto e lo stesso. Come dice Fodor: 126 Nella sua Iorma piu generale, questo ragionamento risale almeno ad Aristotele; le rappresentazioni che vengono realizzate dai sistemi di input devono interIacciarsi da qualche parte e i meccanismi computazionali che eIIettuano tale interIacciamento devono avere ipso facto accesso ad inIormazioni provenienti da piu di un dominio cognitivo. (Fodor 1983, pp. 101-102; tr. it. p. 159) Il secondo argomento intuitivo contro la modularita del pensiero riguarda la diversita e la novita culturale. I processi concettuali di un essere umano adulto coinvolgono gli argomenti piu diversi, dai partiti politici alla storia del calcio alla manutenzione delle motociclette, dal buddhismo Zen alla cucina Irancese all'opera italiana, dal gioco degli scacchi alle collezioni di Irancobolli e all'esempio scelto da Fodor: la scienza moderna. La comparsa di una grande quantita di questi domini nella cognizione umana e molto recente, e non e correlata in modo rilevante con cambiamenti nel genoma umano. Molti dei domini variano di contenuto in modo cruciale da una cultura all'altra e non si trovano in tutte le culture. Sarebbe assurdo quindi assumere che esista una disposizione ad hoc, speciIicata geneticamente per i domini concettuali che si sviluppano con la cultura. Questi due argomenti di buon senso sono cosi convincenti che le considerazioni piu tecniche di Fodor (che hanno a che Iare con l'isotropia, le illusioni cognitive, la razionalita, ecc.) sembrano davvero uccidere un'idea gia morta. Il mio scopo e di scuotere l'immagine del senso comune e suggerire che si possa raccogliere la sIida di articolare modularita, integrazione concettuale e diversita culturale per migliorare la nostra comprensione della psicologia e dell'antropologia. Si noti subito che sia l'argomento dell'integrazione sia quello della diversita culturale sono abbastanza compatibili con una par:iale modularita a livello concettuale. E vero che sarebbe inutile riprodurre a livello concettuale la stessa partizione di domini che si trova a livello percettivo, e avere un modulo concettuale diIIerente per trattare separatamente l'output di ciascun modulo percettivo. Non ci sarebbe nessuna integrazione: il cane visto e il cane sentito non potrebbero mai essere lo stesso mastino Fido. Ma chi dice che i domini concettuali debbano corrispondere ai domini percettivi? Perche non pensare, a livello concettuale, a una partizione di domini completamente diIIerente, piu o meno ortogonale ai domini percettivi, con meccanismi concettuali che ricevono gli input da piu moduli percettivi? Per esempio, tutti gli output concettuali dei moduli percettivi che contengono il concetto MASTINO (e che sono quindi 127 capaci di riconoscere la presenza di un mastino) possono essere inseriti in un modulo specializzato (ossia un meccanismo in- Ierenziale che tratta i concetti di specie vivente) e che si occupa, tra l'altro, di Fido in quanto mastino. Allo stesso modo, tutti gli output concettuali dei moduli di input che contengono il concetto TRE possono essere inseriti in un modulo specializzato che si occupa delle inIerenze sui numeri e cosi via. In questo modo, l'inIormazione che proviene da diversi sistemi di input puo essere integrata genuinamente, anche se non in un solo sistema concettuale, ma in molti. Ovviamente, se per esempio avete una regola prudenziale che vi dice di allontanarvi quando incontrate piu di due cani litigiosi, non vi bastera essere inIormati dal modulo degli esseri viventi che nel vostro ambiente si trova la categoria CANE LITIGIOSO, e dal modulo numerico che ci sono piu di due cose di un certo tipo. Una maggiore integrazione deve aver luogo. Si puo addirittura sostenere - anche se questo non e per nulla ovvio - che un modello plausibile della cognizione umana debba permettere a qualche livello un'integrazione completa di tutta l'inIormazione concettuale. In un altro senso, l'integrazione parziale o totale puo avere luogo 'in alto', tra gli output dei moduli concettuali, invece che in basso, tra quelli dei moduli percettivi. L'integrazione concettuale non e incompatibile con almeno un po' di modularita concettuale. Anche l'argomento della diversita concettuale sembra escludere che alcuni domini concettuali (una competenza Iilatelica, per esempio) possano essere modulari, ma certo non implica che nessuno di essi possa esserlo. Per esempio, nonostante le variazioni superIiciali, la classiIicazione degli esseri viventi presenta Iorti somiglianze attraverso le culture (si veda Berlin 1978) in modo tale da suggerire la presenza di un modulo cognitivo speciIico per il dominio (si veda Atran 1987, 1990). La tesi che alcuni processi di pensiero centrali siano modulari riceve conIerma da un consistente numero di lavori (ben presentati in HirschIeld e Gelman 1994) che tendono a mostrare come molti processi concettuali di base presenti in tutte le culture e in tutti gli esseri umani completamente sviluppati sono governati da competenze speciIiche a seconda del dominio. Per esempio, e stato sostenuto che la comprensione ordinaria che la gente ha del movimento di un oggetto solido inerte, della sembianza di un organismo, o delle azioni di una persona sia basata su tre meccanismi mentali distinti: una Iisica ingenua, una biologia ingenua e una psicologia ingenua (si vedano Atran 1987, 1994; Carey 1985; Keil 1989, 128 1994; Leslie 1987, 1988, 1994; Spelke 1988). Sembra inoltre che tali meccanismi siano, almeno in una Iorma rudimentale, parte dell'equipaggiamento che rende possibile l'acquisizione della conoscenza, e che non si tratti quindi di competenze ac- quisite. Accettare come possibilita un certo grado di modularita nei sistemi concettuali e abbastanza innocuo. Anche Fodor ha recentemente preso in considerazione Iavorevolmente la posizione secondo la quale "la psicologia intenzionale del senso comune e essenzialmente un repertorio modulari::ato innato" (1992, p. 284, corsivo mio) senza per questo distaccarsi dalle sue posizioni precedenti sulla modularita. Ma cosa dire dell'ipotesi di una consistente modularita a livello concettuale? E davvero esclusa dai due argomenti del senso comune, l'integrazione e la diversita? Modularita ed evolu:ione Se la modularita e un Ienomeno naturale autentico, un aspetto dell'organizzazione del cervello, allora la sua deIinizione deve essere Irutto di una scoperta scientiIica, non di una delibera. Fodor stesso discute una serie di caratteristiche tipiche e diagnostiche della modularita; i moduli, secondo lui, sono "speciIici per un dominio particolare, determinati geneticamente, preprogrammati, autonomi" (1983, p. 36; tr. it. p. 53). Le loro operazioni sono obbligate e rapide. Sono "incapsulati inIormazionalmente": ossia la sola inIormazione di background che e loro disponibile e quella che si trova nel loro proprio repertorio di dati. Essi sono "associati a un'architettura neuronale Iissata". Fodor discute anche altre caratteristiche che non sono essenziali per la discussione presente. C'e un aspetto della modularita che segue dalla descrizione di Fodor, anche se egli non ne Ia menzione. Se, come sostiene, un modulo e speciIicato in modo innato, preprogrammato e autonomo, allora un modulo cognitivo e un meccanismo evoluto con una storia filogenetica distinta. Si tratta di una caratteristica tipica, ma non diagnostica, perche non sappiamo quasi niente della reale evoluzione dei moduli cognitivi. Leda Cosmi- des e John Tooby mi hanno pero convinto che sappiamo abbastanza sull'evoluzione da un lato, e sulla cognizione dall'altro per arrivare ad assunzioni ben motivate (anche se, ovviamente, non sicure) su quando ci si puo aspettare la modularita, quali proprieta dei moduli aspettarsi e addirittura quali moduli (si veda Cosmides 1989; Cosmides e Tooby 1987, 1994; Tooby e 129 Cosmides 1989, 1992). 2 Questa sezione del capitolo deve molto alle loro idee. Fodor stesso menziona le considerazioni evoluzionistiche, ma solo di passaggio. Egli sostiene che, Iilogeneticamente, i sistemi modulari di input devono avere preceduto quelli centrali non modulari: L'evoluzione cognitiva sarebbe allora avvenuta nella direzione di una liberazione graduale di certi tipi di sistemi per la soluzione di problemi da certi vincoli a cui sono soggetti gli analizzatori di input - e di qui della produzione, come acquisizione relativamente tarda, di capacita inIerenziali comparativamente libere rispetto al dominio di applicazione, che evidentemente mediano i voli piu alti dei processi cognitivi. (Fodor 1983, p. 43; tr. it. p. 77) Consideriamo alcune delle implicazioni dell'indicazione evo- luzionistica di Fodor. A uno stadio iniziale dell'evoluzione dovremmo trovare analizzatori modulari degli input sensoriali connessi direttamente con i sistemi motori di controllo. Non c'e ancora un livello in cui l'inIormazione proveniente da diversi sistemi percettivi possa essere integrata attraverso un processo concettuale. Emerge poi un sistema concettuale, ossia un meccanismo di inIerenza che non e direttamente legato ai sistemi motori. Il sistema concettuale accetta input da due o piu sistemi percettivi, costruisce nuove rappresentazioni che sono garantite da questi input, e trasmette inIormazioni ai meccanismi motori. All'inizio questo sistema concettuale e semplicemente un altro modulo: e specializzato, preprogrammato, rapido, automatico, e cosi via. Ma, se seguiamo Fodor, il meccanismo cresce e diventa sempre meno specializzato; e possibile che si unisca ad altri sistemi concettuali simili, Iino a diventare un grande sistema concettuale, capace di processare tutti gli output di tutti i moduli percettivi e di trattare tutta l'inIormazione disponibile all'organismo. Nell'eseguire un compito cognitivo questo siste- ma veramente centrale non puo attivare tutti i dati che gli sono accessibili o sIruttarli nelle sue diverse procedure; l'automaticita e la velocita non sono piu possibili. Se il sistema centrale Iacesse automaticamente tutto cio che e capace di Iare, avremmo un'esplosione computazionale senza Iine. Una spiegazione evoluzionistica dell'emergere di un modulo concettuale in una mente che ha conosciuto solo processi per- 2 Si vedano anche Rozin 1976; Symons 1979; Rozin e Schull 1988; Barkow 1989; Brown 1991; Barkow et alii 1992. 130 iettivi e abbastanza Iacile da immaginare, ma la sua demodularizzazione sarebbe piu diIIicile da spiegare. Facciamo un esempio, usando un modellino-giocattolo. Supponiamo che esista una specie di organismi, i 'protorg', minacciata da un pericolo di un certo tipo. Questo pericolo (l'avvicinarsi degli eleIanti che possono calpestarli) e segnalato dalla presenza simultanea di un rumore R e di una vibrazione del suolo V. I protorg hanno un modulo di percezione acustica che riconosce R e un modulo di percezione delle vibrazioni che riconosce V. Il riconoscimento di R da parte di un modulo percettivo o di V dell'altro attiva una procedura di Iuga. Sarebbe perIetto, se non che la presenza del solo R o del solo V spesso non implica nessun pericolo. I protorg si ritrovano con molti 'Ialsi positivi', inutili Iughe che Ianno loro sprecare energie e risorse. Alcuni discendenti dei protorg, gli 'org', hanno sviluppato un nuovo meccanismo mentale: un meccanismo concettuale di InIerenza. I moduli percettivi non attivano piu direttamente la procedura di Iuga. I loro input pertinenti - ossia l'identiIicazione del rumore R e delle vibrazioni V - sono trattati dal nuovo sistema. Questo meccanismo concettuale agisce essenzialmente come quello di 'AND-gate' di un programma di computer. Quando, e solo quando, sia R che V sono stati identiIicati percettivamente, il meccanismo concettuale entra in uno stato che si puo dire rappresenti la presenza del pericolo, ed e questo stato che attiva la procedura di Iuga appropriata. La storia continua con la vittoria degli org sui protorg nella competizione per le risorse di cibo, ed e questa la ragione per cui non si vedono in giro piu protorg. Il meccanismo concettuale degli org, anche se non e un modulo di input, e comunque un caso evidente di modulo: e un risolutore di problemi speciIico per un dominio, e rapido, incapsulato inIormazional- mente, associato con un'architettura neuronale Iissa, e cosi via. Ovviamente e un modulo piccolo, ma niente ci impedisce di immaginare che diventi piu grande. Invece di accettare solo due input da due moduli percettivi semplici, il modulo concettuale puo arrivare a gestire piu inIormazione da piu Ionti, e a controllare piu di una procedura motoria, ma essere ancora automatico, speciIico, rapido, ecc. A questo punto, abbiamo due scenari evolutivi possibili tra cui scegliere. Secondo lo scenario suggerito da Fodor, il modulo concettuale dovrebbe evolvere verso una speciIicita ridotta, una minore incapsulazione inIormazionale, una minore velocita, e cosi via. In altre parole, dovrebbe diventare sempre meno modulare, possibilmente conIondersi con altri meccanismi 131 demodularizzati e diventare inIine una sorta di sistema centrale del tipo di quelli che Fodor pensa siano i nostri ('quinenani', 'isotropici', ecc.). Questo scenario presenta due problemi. Il primo riguarda i meccanismi mentali, ed e messo in luce da Fodor stesso nella sua "Prima legge della non esistenza della scienza cognitiva". La legge dice in sostanza che i meccanismi dei processi di pensiero non modulari sono troppo complessi per essere compresi. Si deve prendere per buono che esistano, senza chiedere perche. Il secondo problema nello scenario di Fodor riguarda il processo evolutivo che dovrebbe provocare lo sviluppo di un meccanismo cosi misterioso. Associare un certo numero di micromoduli inIerenziali in una macrointelligenza avanzata generale, se qualcosa di simile esiste, potrebbe avere qualche vantaggio. Per esempio, dei 'superorg' dotati di intelligenza generale potrebbero sviluppare tecnologie per eliminare il pericolo una volta per tutte, invece che continuare a Iuggire. Ma l'evoluzione non oIIre scelte cosi contrastanti: le alternative disponibili in ogni momento si distaccano di poco dalla situazione esistente. La selezione, la Iorza principale che determina l'evoluzione, e miope (mentre le altre Iorze - come la deriva genetica, ecc. - sono cieche). Un'alternativa immediatamente vantaggiosa ha molte probabilita di essere selezionata tra le poche alternative disponibili, e questo puo bloccare la strada ad alternative piu vantaggiose nel lungo termine. Uno scenario di demodularizza- zione non e plausibile proprio per questa ragione. Si supponga inIatti che in alcuni org mutanti l'analizzatore concettuale di pericolo sia modiIicato non per essere piu eIIicace nell'esecuzione di questo compito preciso, ma in modo da essere meno specializzato. Il sistema concettuale modiIicato tratta non solo inIormazione pertinente alle possibilita immediate di Iuga, ma anche inIormazione che riguarda caratteristiche innocue della situazione di pericolo, e di altre situazioni che presentano le stesse caratteristiche; il meccanismo non Ia solo inIerenze pratiche urgenti, ma anche inIerenze di carattere piu teoretico. Quando un pericolo viene avvertito, il nuovo sistema meno modulare non innesca immediatamente il comportamento di Iuga, e quando lo Ia, lo Ia piu lentamente - la velocita e l'automaticita vanno insieme alla modularita - ma ha idee interessanti che immagazzina in memoria per il Iuturo, se per questi org mutanti dotati di un simile meccanismo demo- dularizzato ce un Iuturo. Ovviamente, la velocita e l'automaticita sono particolarmente importanti per gli analizzatori di pericolo, ma lo sono meno per altri moduli plausibili, per esempio quelli che governano la scel 132 la dei partner sessuali. Resta ovviamente il punto generale: i moduli cognitivi dovrebbero essere risposte a problemi ambientali speciIici. Ridurre il grado di specializzazione del modulo non avra tanto l'eIIetto di rendere l'organismo piu Ilessibile, quanto di diminuire l'automaticita della sua risposta al problema. Nella misura in cui l'evoluzione tende verso il miglioramento delle capacita di una specie, dovremmo allora aspettarci dei miglioramenti nel modo in cui i moduli esistenti svolgono il loro compito, o l'emergere di nuovi moduli per gestire nuovi problemi, invece di una demodularizzazione. E vero che e possibile immaginare situazioni in cui una marginale demodularizzazione di un meccanismo concettuale possa essere vantaggiosa, o almeno non negativa, nonostante la perdita di velocita e aIIidabilita che essa implica. Si immagini per esempio che scompaia dall'ambiente il pericolo per riconoscere il quale il modulo era stato selezionato; il modulo non piu adatto e una demodularizzazione non sarebbe dannosa. Ma in che modo potrebbe essere utile? Tali possibilita teoriche sono lontane dal suggerire una spiegazione positiva del modo in cui, per dirlo con le parole di Fodor, "l'evoluzione cognitiva |...| sarebbe consistita nel liberare progressivamente certi tipi di sistemi di risoluzione di problemi dai vincoli sotto i quali lavorano i loro analizzatori di input". Non che questa aIIermazione non possa essere giusta, ma ci sono poche ragioni di pensare che sia vera. In realta, la sua sola giustiIicazione sembra essere il desiderio di integrare l'idea che i processi centrali non sono modulari in una vaga prospettiva evolutiva. Meglio rendere uIIiciale la lacuna nella spiegazione con una "Seconda legge della non esistenza della scienza cognitiva", secondo la quale le Iorze che hanno determinato l'evoluzione cognitiva non possono essere identiIicate. 3 Prendete per buono che l'evoluzione cognitiva e avvenuta (risultando nella demodularizzazione del pensiero) e non domandate come. Invece di cominciare con un'immagine enigmatica dei processi di pensiero dell'Homo sapiens e concludere che la loro evoluzione passata e un mistero insondabile, perche non cominciare con qualche considerazione evoluzionistica plausibile 3 La questione non solo che le forze che hanno determinato l'evoluzione non possono essere identificate con certezza; questo banalmente vero. Il punto deve essere che queste forze non possono neanche vagamente essere identificate, a differenza di quelle che hanno determinato, per esempio, gli organi della locomozione. Si vedano Piattelli-Palmarini 1989 e Stich 1990 per argomenti intelligenti ma non convincenti in favore di questa seconda legge. 133 e chiedersi quale organizzazione cognitiva possiamo aspettarci in una specie che per la sua sopravvivenza si basa Iortemente sulle sue capacita cognitive. Questo ci porta al nostro secondo scenario. Come ho gia detto, e ragionevole aspettarsi che i moduli concettuali aumentino in complessita, sottigliezza e ricchezza inIerenziale nello svolgere la loro fun:ione. Come per ogni sistema biologico, la Iunzione di un modulo puo variare nel tempo, ma non c'e ragione di aspettarsi che le nuove Iunzioni siano sistematicamente piu generali delle vecchie. E ragionevole invece aspettarsi che emergano nuovi moduli concettuali in risposta a diversi tipi di problemi e opportunita e, di conseguenza, l'accu- mulo di un numero sempre maggiore di moduli. Dato che i moduli cognitivi sono il risultato ciascuno di una storia Iilogenetica diIIerente, non c'e ragione di aspettarsi che siano costruiti sullo stesso modello generale e poi interconnessi in maniera elegante. Benche la maggior parte dei moduli concettuali, anche se non tutti, siano meccanismi inIerenziali, le procedure inIerenziali che utilizzano possono essere molto diverse. Quindi, da un punto di vista modulare, non e ragionevole domandarsi quale sia la Iorma generale dell'inIerenza umana (regole logiche, schemi pragmatici, modelli mentali, ecc.) come viene spesso Iatto nella letteratura sul ragionamento umano (si veda Manktelow e Over 1990 per una rassegna recente). I domini dei moduli possono variare per grandezza e sostanza: non c'e ragione di aspettarsi moduli specializzati ognuno dei quali tratti un dominio della stessa dimensione. In particolare, non c'e ragione di escludere micromoduli il cui dominio abbia la dimensione di un concetto, invece che di un dominio semantico. Sostengo inIatti che molti concetti sono modulari: dato che i moduli concettuali sono probabilmente numerosi, le loro interconnessioni e le loro connessioni con i moduli percettivi e di controllo possono essere molto diverse. Come ha sostenuto Andy Clark (1987, 1990), Iaremmo meglio a pensare alla mente come a un assemblaggio di pezzi e componenti aggiunti in momenti diversi e interconnessi in un modo che Iarebbe orrore a un ingegnere. Modularita e integra:ione concettuale L'input al primo modulo concettuale apparso nell'evoluzione cognitiva non poteva venire che dai moduli percettivi. Ma una volta apparsi i moduli concettuali, i loro output potevano servire da input ad altri moduli concettuali. 134 Supponiamo che gli org possano comunicare tra di loro at- attraverso un piccolo repertorio di segnali vocali; supponiamo inoltre che l'interpretazione ottimale di alcuni di questi segnali sa sensibile a Iattori contestuali. Per esempio, un segnale ambiguo di pericolo indica la presenza di un serpente quando e emesso da un org sopra a un albero, e di un eleIante quando e emesso da un org a terra. I moduli percettivi identiIicano i segnali e l'inIormazione contestuale pertinente. L'output pertinente di questi moduli percettivi e trattato da un modulo concettuale ad hoc che interpreta i segnali ambigui. Ora, potrebbe essere un miglioramento signiIicativo se il modulo concettuale specializzato nell'inIerire l'avvicinarsi degli eleIanti accettasse in input non solo l'inIormazione percettiva sui rumori speciIici e sulle vibrazioni del suolo, ma anche le interpretazioni dei segnali pertinenti emessi dagli altri org. Questo meccanismo concettuale di inIerenza del pericolo riceverebbe allora input non soltanto dai moduli percettivi, ma anche da un altro modulo concettuale, l'interprete dei segnali sensibile al contesto. Nel caso umano, e generalmente dato per scontato che le capacita speciIiche possano trattare non solo inIormazione primaria che appartiene al loro dominio ed e Iornita dalla percezione, ma anche inIormazione comunicata verbalmente o Iigurativamente. Per esempio, gli esperimenti sullo sviluppo della conoscenza zoologica usano come materiale non solo gli animali reali, ma anche le Iigure e le descrizioni verbali. Questa metodologia meriterebbe di essere discussa; ma non sembra Iar sorgere problemi molto seri, e gia questo e interessante. Alcuni moduli concettuali possono poi ricevere tutti i loro input da altri moduli concettuali. Immaginate, per esempio, che un org emetta un segnale di pericolo solo quando sono soddisIatte due condizioni: da un lato quando ha inIerito la presenza di un pericolo e, dall'altro, quella di org amici in pericolo. Entrambe le inIerenze sono Iatte attraverso moduli concettuali. Se e cosi, allora il modulo concettuale che decide se emettere o no il segnale di pericolo riceve tutti i suoi input da altri moduli concettuali, e nessun input dai moduli percettivi. L'immagine e adesso quella di una rete complessa di moduli concettuali, alcuni dei quali ricevono i loro input dai moduli percettivi, mentre altri ne ricevono almeno alcuni dai moduli concettuali, e cosi via. Ogni inIormazione puo venir combinata in molti modi con molte altre sia tra i diversi livelli che all'interno di un solo livello (anche se una completa integrazione concettuale e da escludere). Quale puo essere il comportamento di un organismo dotato di questi processi di pensiero modulari? Non lo sappiamo. Si comporterebbe in maniera Ilessibile, 135 come Ianno gli esseri umani? Sicuramente le sue risposte sarebbero molto precise e adeguate. Ma Ilessibilita signiIica qualcosa in piu? 'Flessibilita' e una metaIora senza una chiara interpretazione letterale, e quindi diIIicile da deIinire. Quando pero pensiamo alla Ilessibilita umana, abbiamo in mente in particolare la capacita di apprendere dall'esperienza. Un sistema completamente modulare puo imparare? L'imprinting e un esempio molto semplice di apprendimento modulare. Cosa sanno, per esempio, gli org l'uno dell'altro? Se gli org sono animali che non apprendono, almeno devono essere Iorniti di un riconoscitore dei conspeciIici e di riconoscitori di alcune proprieta degli altri org, come il sesso o l'eta, senza per il resto essere capaci di riconoscere un individuo in quanto tale, nemmeno la propria madre. Oppure, se hanno capacita primitive di apprendimento, possono avere un modulo per riconoscere la propria madre il cui Iunzionamento e Iissato una volta per tutte dalla prima percezione dell'org neonato di una grande creatura che si muove nelle vicinanze immediate (con un po' di Iortuna, sua madre), e dall'imprinting risultante dell'inIormazione pertinente. Il modulo diventa allora un ricono- scitore per l'individuo particolare che ha causato l'imprinting. In generale, vorrei introdurre a questo punto una nozione tecnica, quella di 'inizializzazione', presa a prestito dal vocabolario inIormatico. Un modulo cognitivo puo, esattamente come un programma di computer, essere incompleto nel senso che un certo numero di inIormazioni deve essere speciIicato prima che il programma possa Iunzionare normalmente. Un programma di posta elettronica, per esempio, puo chiedervi di Iissare alcuni parametri (per esempio la velocita di trasmissione, o il tipo di terminale) e di riempire alcune caselle vuote (per esempio i numeri di teleIono o le password). Solo dopo essere stato inizializzato il vostro programma puo Iunzionare. Allo stesso modo, secondo Chomsky (1986) (il cui lavoro e stato Iondamentale per lo sviluppo di un approccio modulare alla mente umana - si veda l'introduzione di HirschIeld e Gelman 1984), l'acquisizione della prima lingua implica la Iissazione, per molti parametri grammaticali comuni a tutte le lingue, dei valori che tali parametri hanno nella lingua da acquisire, e che vengano riempite le caselle vuote del lessico. L'inizializzazione del riconoscitore della propria madre descritto nel paragraIo precedente richiede semplicemente di riempire la casella vuota di tale modulo con la rappresentazione percettiva di un singolo individuo. Se si tratta di una specie con capacita di apprendimento un po' piu soIisticate, gli org possono avere la capacita di costruire 136 diversi riconoscitori per diversi individui della stessa specie. Potrebbero avere un modulo-stampo molto simile a un ricono- scitore della propria madre, con la diIIerenza che puo essere inizializzato molte volte, proiettando ogni volta una copia ini- zializzata diIIerente di se stesso, che e specializzata per l'identi- Iicazione di un individuo diIIerente. Le copie inizializzate del modulo-stampo sono anch'esse moduli? Non vedo perche no. La sola diIIerenza importante e che i diversi moduli proiettati non sembrano essere hard-wired, ossia gia predisposti nel cervelo, nello stesso modo in cui lo e il modulo responsabile del processo di imprinting. Al di la di questo, i due tipi di moduli sono inizializzati e operano esattamente allo stesso modo. I nostri org piu soIisticati hanno, per cosi dire, una capacita modulare speciale per rappresentare mentalmente individui della stessa specie, una capacita che da come risultato la generazione di un micromodulo per ogni individuo rappresentato. Consideriamo in questa prospettiva la capacita specializzata umana di categorizzare le specie viventi. Una possibilita e che ci sia un modulo iniziale che costituisce lo stampo della specie vivente e viene inizializzato molte volte, producendo ogni volta un nuovo micromodulo che corrisponde al concetto di un essere vivente (il modulo GATTO, il modulo CANE, il modulo PESCE ROSSO, ecc.). Pensare che questi concetti siano modulari puo essere, a prima vista, sconcertante. Ma riIlettiamo: i concetti sono ovviamente speciIici di un dominio, hanno un repertorio di inIormazione propria (l'inIormazione enciclopedica che si trova sotto il concetto), e meccanismi computazionali autonomi (lavorano, a mio avviso, su rappresentazioni al cui interno si trova il concetto appropriato, cosi come gli enzimi della digestione lavorano sul cibo in cui si trova la molecola appropriata). Quando, oltre a tutto cio, i concetti sono in parte speciIicati geneticamente (attraverso qualche stampo concettuale specializzato) essi sono modulari almeno in qualche misura interessante, o no? Puo succedere che la relazione stampo-copia coinvolga piu livelli. Un metastampo generale di categorizzazione degli esseri viventi puo proiettare non i concetti direttamente, ma altri stampi piu speciIici per diversi domini di esseri viventi. Per esempio, un parametro Iondamentale da Iissare potrebbe speciIicare se si tratta di oggetti semoventi o no (Premack 1990), generando due modelli, uno per i concetti zoologici e l'altro per quelli botanici. Un'altra possibilita e che il metastampo iniziale abbia tre tipi di caratteristiche: 1) proprieta stabili che caratterizzano gli esseri viventi in generale - per esempio, una parte inalterabile 137 di qualsiasi concetto di essere vivente potrebbe essere l'esistenza di un'essenza sottostante (Atran 1987; Gelman e Coley 1991; Gelman e Markman 1986, 1987; Keil 1989; Medin e Ortony 1989); 2) parametri che abbiano valori di deIault e che possano essere alterati nelle copie dei modelli - per esempio 'semovente', 'non umano' possono essere proprieta rivedibili dello stampo iniziale; 3) caselle vuote per l'inIormazione sui tipi individuali. In questo caso, lo stampo con i valori di deIault potrebbe servire cosi com'e per i concetti animali non umani. Usare lo stampo per i concetti botanici o per includere gli esseri umani nella tassonomia degli animali implicherebbe una variazione dei valori di deIault dello stampo iniziale. Com'e governato il Ilusso di inIormazione tra i moduli? Esiste un meccanismo di regolazione? E un pandemonio? E un'economia di mercato? Si possono considerare molti tipi di stampi? Ecco una possibilita semplice. L'ouput dei moduli concettuali e percettivi e costituito da rappresentazioni concettuali. I moduli percettivi categorizzano gli stimoli distali (come le cose viste) e ciascuno di loro possiede il repertorio concettuale necessario per le categorizzazioni che sono capaci di Iornire in output. I moduli concettuali possono inIerire le nuove categorizzazioni prodotte dalle rappresentazioni concettuali che essi trattano in input; per Iare questo devono avere un repertorio concettuale in input e in output. Assumiamo che i moduli concettuali accettino in input qualsiasi rappresentazione concettuale in cui sia presente un concetto che appartiene al loro repertorio di input. In particolare, i micromoduli di un solo concetto trattano tutte le rappresentazioni in cui e presente proprio quel concetto, e solo quelle. Questi micromoduli generano trasIormazioni della rappresentazione di input sostituendo il concetto con qualche sua espansione garantita inIerenzialmente. Essi sono altrimenti ciechi per le altre proprieta concettuali delle rappresentazioni che trattano (come le procedure di 'calcolo' nei programmi di videoscrittura, che analizzano il testo ma 'vedono' solo numeri e segni matematici). Generalmente, la presenza di concetti speciIici in una rappresentazione determina quali moduli saranno attivati e quali processi di inIerenza avranno luogo (si veda Sperber e Wilson 1986, cap. 2). Una caratteristica Iondamentale della modularita nella descrizione di Fodor e l'incapsulamento inIormazionale. Un vero modulo usa un repertorio di dati limitato e non e in grado di servirsi di inIormazione pertinente per eseguire il suo compito, se questa non si trova nel suo repertorio. I processi centrali non hanno invece tali vincoli, ma sono caratterizzati da un Ilusso li- 138 bero dell'inIormazione. Le credenze sul Iormaggio Camembert possono svolgere allora un ruolo nell'elaborazione di conclusioni sui quark, anche se e diIIicile pensare che appartengano allo stesso dominio concettuale. E questo e un Iatto, che non mi sogno di negare. Ma quali sono le sue conseguenze per la modularita dei processi concettuali? Il Iatto che una certa visione non puo essere corretta. Immaginate un solo strato di pochi grandi moduli, non connessi tra di loro; l'inIormazione trattata da un modulo non puo servire da input a un altro. Se, d'altra parte, l'output di un modulo concettuale puo servire come input a un altro, i moduli possono essere incapsulati inIormazio- nalmente, mentre le catene di inIerenza possono trasIerire le premesse concettuali da un modulo all'altro, e integrare cosi il contributo di ognuno alla conclusione Iinale. Un eIIetto distico non deve essere il risultato di una procedura distica. Una volta raggiunto un certo livello di complessita nel pensiero modulare, possono emergere moduli la cui Iunzione non e di trattare i problemi sollevati esternamente dall'ambiente, ma internamente dal Iunzionamento della mente stessa. Un problema che un sistema modulare ricco del tipo che stiamo immaginando potrebbe incontrare, cosi come i processi centrali non modulari di Fodor, e quello dell'esplosione computa- zionale. Assumiamo che emerga un dispositivo con la Iunzione di 'Iare una lista' delle inIormazioni che devono essere trattate con priorita. Chiamiamo questo dispositivo 'attenzione', e concepiamolo come una memoria di lavoro temporanea. Solo le rappresentazioni presenti in questa memoria temporanea sono trattate (per i moduli dei quali esse soddisIano le condizioni di input) e cio non avviene Iino a quando restano nella memoria temporanea. Tra le rappresentazioni mentali c'e una sorta di competizione per ottenere un posto nell'attenzione che tende ad eIIettuarsi in modo da massimizzare l'eIIicacia cognitiva, ossia a selezionare le inIormazioni piu pertinenti disponibili a un dato momento perche abbiano posto nella memoria di lavoro, e quindi un ruolo nelle inIerenze. Ci sarebbe una storia molto piu lunga da raccontare qui: l'abbiamo narrata in Sperber e Wilson 1986. Naturalmente l'attenzione non e specializzata nel trattamento di un dominio cognitivo particolare, ma costituisce un adattamento evidente a un problema di Iunzionamento interno, quello cui va incontro qualsiasi sistema cognitivo in grado di identiIicare percettivamente e di conservare in memoria molta piu inIormazione di quella che puo trattare simultanea- mente a livello concettuale. Un sistema siIIatto deve avere un 139 modo di selezionare l'inIormazione che sara trattata concettualmente. Un meccanismo di attenzione guidato da considerazioni di pertinenza puo costituire un mezzo di questo tipo. Non importa se sia meglio chiamare questo dispositivo 'modulo' o no: l'attenzione cosi concepita trova perIettamente il suo posto in un'immagine modulare del pensiero. Non spero che queste speculazioni vi convincano - non ne sono completamente convinto neanche io; lo saro un po' di piu alla Iine del capitolo - ma spero che siano comprensibili. Possiamo immaginare un sistema altamente modulare che integri le inIormazioni in tanti modi parziali cosicche non sia piu aIIatto evidente che noi esseri umani le integriamo meglio. L'argomento contro il pensiero modulare basato su una supposta impossibilita di un'integrazione modulare dovrebbe almeno perdere il Iascino immediato che il buon senso sembra conIerirgli. Dominio reale e dominio proprio dei moduli Ogni modulo ha il suo dominio proprio, ma un gran numero di domini del pensiero umano, Iorse la maggioranza, sono troppo nuovi e troppo diversi tra le culture perche a essi corrisponda un modulo geneticamente determinato. Questo secondo argomento di buon senso contro la modularita e rinIorzato da alcune considerazioni sull'adattamento. Nel caso di un gran numero di moduli, sarebbe diIIicile attribuire a una competenza culturale il carattere di un adattamento biologico. Cio vale non solo per domini relativamente nuovi, come il gioco degli scacchi, ma anche per domini antichi, come la musica. Non e quindi verosimile che ci sia un meccanismo biologico la cui Iunzione sarebbe quella di conIerire agli individui una competenza in questi ambiti. Naturalmente e sempre possibile imbastire una storia che tenda a dimostrare che, per esempio, la competenza musicale e un adattamento biologico e contribuisce al successo riproduttivo degli individui che ne sono dotati. Ma postulare il carattere adattivo di un tratto senza che ci sia una dimostrazione plausibile costituisce un abuso ben noto della teoria dell'evoluzione. Vorrei provare una strada completamente diversa. Un adattamento e in generale un adattamento a condizioni ambientali date. Se si considera un tratto adattivo Iuori contesto, all'interno dell'organismo, e si dimentica tutto cio che si sa dell'ambiente e della storia, non si e in grado di dire quale sia la Iunzione di questo tratto, a cosa si sia adattato. La Iunzione del 140 collo lungo della giraIIa e di aiutarla a raggiungere il cibo sugli alberi, ma in un altro ambiente - per liberare l'immaginazione, diciamo su un altro pianeta - la Iunzione di una parte identica di un organismo identico potrebbe essere quella di permettere all'animale di vedere piu lontano, o di evitare di respirare un'aria viziata troppo vicino al suolo, o ancora di ingannare dei predatori giganti Iacendo loro credere che la propria carne e tossica. Un'idea molto simile - o meglio, un'applicazione particolare di questa idea - ha giocato un ruolo centrale nei dibattiti recenti in IilosoIia del linguaggio e della mente tra 'individualisti' ed 'esternisti'. Secondo gli individualisti, il contenuto di un concetto e nella testa dell'individuo, o, in altri termini, il contenuto concettuale e una proprieta intrinseca dello stato cerebrale di un individuo. Secondo gli esternisti, con i quali concordo, lo stesso stato cerebrale che realizza un concetto dato in un certo ambiente potrebbe realizzare un concetto diIIerente in un altro, cosi come tratti biologici identici, considerati da un punto strettamente interno all'organismo, possono realizzare Iunzioni diverse in ambienti diversi. 4 Il contenuto di un concetto non e una proprieta intrinseca, ma una proprieta relazionale 5 del sistema di neuroni che realizza tale concetto. Il contenuto dipende dall'ambiente e dalla storia (compresa la preistoria Iilogenetica) del sistema neuronale dato. L' osservazione si estende in modo evidente ai casi dei moduli specializzati nel trattamento di un dominio concettuale particolare. Un dominio e deIinito in termini semantici, ossia a partire dal concetto che comprende gli oggetti a esso appartenenti. Il dominio di un modulo non e dunque una proprieta della sua struttura interna (sia che la si descriva in termini neurologici sia in termini computazionali). Niente permetterebbe a un modulo cognitivo specializzato di appropriarsi di un dominio in virtu della sua sola struttura interna o anche delle sue connessioni con altri moduli cognitivi. Tutto cio che la struttura interna Iornisce e quello che Frank Keil (1994) chiama un "mode oI construal", un insieme di regole di costruzione che permette di organizzare l'inIormazione in un certo modo e trarre alcune inIerenze. Un modulo cognitivo 4 Putnam 1975 e Burge 1979 hanno presentato gli argomenti iniziali per l'e- sternismo (per quanto mi riguarda, sono convinto da Putnam ma non da Burge). Per una discussione sofisticata, si veda Recanati 1993. 5 Si pu sostenere che il contenuto sia una funzione biologica, intesa in senso largo - si vedano Dennett 1987; Dretske 1988; Millikan 1984; Papineau 1987. Le mie posizioni sono state influenzate da quelle di Millikan. 141 ha anche rapporti strutturali con gli altri dispositivi mentali con i quali interagisce. Questi rapporti determinano in particolare le condizioni di input del modulo, vale a dire attraverso quali altri dispositivi l'inIormazione deve pervenirgli, e come deve essere categorizzata da questi. Ma Iino a quando restiamo all'interno della mente, ignorando le connessioni tra i moduli percettivi e l'ambiente, la conoscenza delle connessioni di un modulo cognitivo specializzato all'interno del cervello non basta a determinarne il dominio. Le istruzioni per l'uso che rendono possibile un modulo mentale, potrebbero in linea di principio adattarsi anche ad altri domini. Questo non renderebbe il modulo meno specializzato. Lo stesso discorso vale per la chiave della mia porta: pur potendo aprire molte altre porte, essa ha l'unica Iunzione di aprire la mia. Le istruzioni per l'uso e il dominio, cosi come la mia chiave e la mia serratura, hanno una lunga storia in comune. Come Ianno allora le interazioni con l'ambiente a determinare nel tempo il dominio di un modulo cognitivo? Per rispondere a questa domanda, bisogna distinguere tra dominio reale e dominio proprio di un modulo. Il dominio reale di un modulo concettuale e l'insieme delle inIormazioni nell'ambiente dell'organismo che possono (una volta trattate dai moduli percettivi e in certi casi da altri moduli concettuali) soddisIare le condizioni di input di un modulo. Il suo dominio proprio e l'insieme delle inIormazioni che il modulo ha la Iunzione biologica di trattare. SempliIicando, la Iunzione di un dispositivo biologico e costituita da un insieme di eIIetti di tale dispositivo, che contribuiscono a Iare del disposi- tivo un tratto permanente di una specie duratura. La Iunzione di un modulo e di trattare un insieme particolare di inIormazioni in modo speciIico. Questo trattamento contribuisce al successo riproduttivo dell'organismo. L'insieme di inIormazioni che un modulo ha la Iunzione di trattare costituisce il suo dominio proprio. Ora, quello che un modulo tratta eIIettivamente, sono le inIormazioni che si trovano nel suo dominio reale, che appartengano o meno al dominio proprio. Ritorniamo agli org. Il pericolo caratteristico che inizialmente li spaventava era di essere schiacciati dagli eleIanti. Grazie al modulo, gli org avevano reagito selettivamente a vari segnali normalmente prodotti nel loro ambiente dall'awicinarsi degli eleIanti. Ovviamente, certe cariche di eleIanti a volte non venivano riconosciute, mentre altri eventi indipendenti e innocui provocavano l'attivazione del modulo. Ma anche se il modulo non riusciva a selezionare tutte e sole le cariche di eleIanti descriviamo la Iunzione come se Iosse solo questa (invece di 142 descrivere quello che realmente ha Iatto). Perche? Perche e il successo relativo nel realizzare questo scopo che spiega il Iatto che sia un tratto permanente di una specie duratura. Anche se non sono esattamente coestensivi, il dominio proprio e quello reale coincidono in modo suIIiciente con il dominio delle cari- che degli eleIanti. Solo quest'ultimo e pero il dominio proprio del modulo. Molte generazioni dopo, gli eleIanti sono scomparsi dall'ambiente degli org, mentre gli ippopotami si sono moltiplicati e ora sono loro a schiacciare gli org distratti. Lo stesso modulo che aveva reagito alla maggior parte delle cariche degli eleIanti e a pochi altri eventi, reagisce ora alla maggior parte delle cariche degli ippopotami e a pochi altri eventi. Si puo dire che il dominio proprio del modulo sia diventato il dominio delle cariche di ippopotami? Si, e per le stesse ragioni di prima: il successo relativo nel reagire all'avvicinarsi degli eleIanti spiega perche il modulo sia rimasto un tratto permanente di una specie duratura. 6 Oggi, anche gli ippopotami sono scomparsi, e c'e una linea Ierroviaria che passa nel territorio degli org; dato che gli org non si avvicinano alle rotaie, i treni non sono un pericolo per loro. Ma e sempre lo stesso modulo che ha reagito selettivamente agli eleIanti e agli ippopotami che ora reagisce ai treni in avvicinamento (e provoca un inutile panico negli org). Il dominio reale del modulo include ora anche i treni che si avvicinano. Ma il suo dominio proprio e diventato quello dei treni che passano? La risposta questa volta e no': reagire ai treni e cio che il modulo Ia, non la sua Iunzione. Il Iatto che il modulo reagisca ai treni non spiega perche esso rimanga un tratto permanente della specie. In realta, se il modulo e la specie sopravvivono, lo Ianno nonostante questo eIIetto marginale negativo. 7 Uno psicologo animale potrebbe ugualmente arrivare alla conclusione che essi hanno una capacita speciIica di reagire ai 6 Ci sono qui alcuni problemi concettuali (si vedano Dennett 1987; Fodor 1987b). Si potrebbe sostenere per esempio che il dominio proprio del modulo non fossero n gli elefanti n gli ippopotami, ma qualcosa come 'grandi animali in avvicinamento capaci di schiacciare gli org'. Sono con Dennett nel ritenere che qualsiasi descrizione scegliamo le cose non cambiano di molto: la spiegazione generale resta esattamente la stessa. 7 Questa la ragione per la quale sarebbe un errore dire che la funzione di un sistema di reagire a qualsiasi cosa possa soddisfare le sue condizioni di input, rendendo cos equivalenti domini propri e domini reali. Anche se non ci sono dubbi sulla corretta assegnazione di un dominio proprio a qualche sistema (si veda la nota precedente), la distinzione tra dominio proprio e dominio reale tanto solida quanto quella tra funzione ed effetto. 143 treni. Si potrebbe chiedere come l'hanno sviluppata, dato che i treni sono stati introdotti nell'area troppo recentemente per permettere l'emergere di un adattamento biologico speciIico (il cui valore adattivo sarebbe comunque piuttosto misterioso). La verita ovviamente e che i domini propri piu antichi del modulo, ossia le cariche degli eleIanti e degli ippopotami, sono ora vuoti; che il suo dominio reale, per caso, coincide praticamente con quello dei treni in avvicinamento; e che la spiegazione di questo caso e che le condizioni di input del modulo, che sono state selezionate positivamente in un ambiente diIIerente, si trovano soddisIatte dai treni e da quasi nient'altro nell'ambiente attuale degli org. Basta con gli esperimenti mentali. Nel mondo reale, e raro che gli eleIanti vengano sostituiti dagli ippopotami e gli ippopotami dai treni, e che ognuna di queste categorie soddisIi le condizioni di input di un modulo specializzato. Gli ambienti naturali, e quindi le Iunzioni cognitive, sono relativamente stabili. E piu Iacile che si veriIichino piccole trasIormazioni della Iunzione cognitiva piuttosto che cambiamenti radicali. Quando nell'ambiente avvengono cambiamenti importanti - per esempio come risultato di un cataclisma naturale - la cosa piu probabile e che si perdano alcune Iunzioni cognitive. Se gli eleIanti se ne vanno, se ne va anche il vostro riconoscitore di eleIanti. Se un modulo perde la sua Iunzione, o, il che e lo stesso, se il suo dominio proprio si svuota, allora e diIIicile che il suo dominio reale sia riempito da oggetti che rientrano sotto una categoria, come i treni che passano. E piu probabile che lo spettro degli stimoli che causano la reazione del modulo Iinisca per essere un tale insieme di cianIrusaglie da scoraggiare qualsiasi descrizione del dominio reale del modulo in termini di una categoria speciIica. I domini reali solitamente non sono domini concettuali. Domini culturali ed epidemiologia delle rappresenta:ioni La maggior parte degli animali ricevono dai loro conspeciIici inIormazione occasionale e altamente prevedibile. I loro rari stimoli intellettuali vengono dunque dall'ambiente. Gli esseri umani sono speciali. Essi sono per natura produttori, trasmettitori e consumatori di inIormazione in dose massiccia; acquisiscono dai loro conspeciIici una quantita e una varieta di inIormazioni considerevole, e producono e registrano inIormazione anche per un consumo personale e privato. E per questo, come cerchero di mostrare, che il dominio reale dei moduli co 144 gnitivi umani ha avuto la tendenza a diventare molto piu vasto dei loro dominio proprio. Inoltre i domini reali, invece di costi- tuire un caos che impedisce qualsiasi categorizzazione, tendono a essere parzialmente organizzati e categorizzati dagli esseri umani stessi. In queste condizioni, e meglio distinguere il dominio culturale sia da quello proprio che da quello reale. Una rapida illustrazione, prima di passare a uno schizzo piu sistematico e a un paio di esempi piu seri. Prendiamo un neonato nella sua culla, dotato di una comprensione ingenua, ma tuttavia specializzata e modulare, del mondo Iisico. Il dominio proprio del modulo in questione e l'insieme degli eventi Iisici che si producono tipicamente nella natura e la cui comprensione sara cruciale alla sopravvivenza dell'organismo. Sicuramente esistono altri primati dotati di un modulo simile. Il modulo della Iisica ingenua del cucciolo di scimpanze (e del cucciolo di Homo- non-ancora-sapiens nel Pleistocene) reagisce alla caduta occasionale di un Irutto o di un ramo, alla buccia di banana gettata via, agli eIIetti dei movimenti che lui stesso produce, e puo stupirsi davanti a movimenti irregolari, come la caduta di una Ioglia. Nel nostro neonato umano, invece, il modulo e stimolato non solo dagli eventi Iisici che si producono per caso, ma anche da una 'lavagna di attivita' attaccata a un lato del lettino, da un carillon che pende sopra di lui, dai palloni tirati dai suoi Iratelli, dalle immagini che si muovono sullo schermo televisivo, e da un insieme di giocattoli educativi concepiti proprio per stimolare il suo interesse innato nei processi Iisici. Che cosa rende il caso umano cosi speciale? Gli esseri umani modiIicano il loro ambiente a un ritmo che la selezione naturale non puo seguire. Il risultato e che certi tratti geneticamente determinati dell'organismo umano sono adattamenti a certi tratti dell'ambiente che hanno cessato di esistere o che sono molto cambiati. Lo stesso puo valere non solo nel caso di adattamenti all'ambiente non umano, ma anche di adattamenti a stadi primitivi dell'ambiente sociale degli ominidi. In particolare non e molto verosimile che il dominio reale di un modulo cognitivo umano, quale che sia, possa essere coestensivo, anche solo approssimativamente, con il suo dominio proprio. E molto probabile al contrario che il dominio reale di un intero modulo cognitivo umano comprenda una grande quantita di inIormazioni culturali che soddisIano le sue condizioni di input. Questo stato di cose non dipende ne dal caso, ne da un piano. E l'eIIetto del processo sociale di distribuzione dell'inIormazione. Gli esseri umani non costruiscono solo rappresenta:ioni mentali individuali dell'inIormazione, ma producono anche inIor 145 mazione gli uni per gli altri sotto Iorma di rappresenta:ioni pubbliche, per esempio di enunciati, di testi scritti, di immagini, o sotto Iorma di oggetti o di comportamenti inIormativi. La maggior parte delle inIormazioni comunicate sono comunicate d'altronde solo a un piccolo numero di persone, spesso una sola, in un'occasione particolare, e la si Iermano. A volte, pero, il destinatario di un primo atto di comunicazione comunica l'inIormazione ricevuta ad altri destinatari che la comunicano a loro volta ad altri, e cosi via. Questo processo di trasmissione ripetuto puo continuare Iino alla Iormazione di una catena di rappresentazioni mentali e pubbliche legate causalmente e simili nel contenuto - proprio grazie ai loro legami causali - che percorrono un'intera popolazione umana. Le tradizioni e i pet- tegolezzi si diIIondono in questo modo. Altri tipi di rappresentazioni possono essere distribuite da catene causali di Iorma diIIerente (attraverso l'imitazione, con o senza istruzioni, o attraverso la comunicazione di massa). DeIiniamo cultura' tutte queste rappresentazioni causalmente collegate e largamente distribuite. Ripeto, spiegare la cultura signiIica spiegare perche certe rappresentazioni sono molto diIIuse: una scienza naturalistica della cultura deve essere un epidemiologia delle rappresenta:ioni e spiegare perche certe rappresentazioni hanno piu successo - sono piu contagiose' - di altre. In questa prospettiva epidemiologica, tutte le inIormazioni che gli esseri umani introducono nel loro ambiente comune possono essere viste in competizione 8 per lo spazio e il tempo privato e pubblico, ossia per l'attenzione, la memoria interna, la trasmissione e la memoria esterna. Molti Iattori determinano il successo di un'inIormazione e il raggiungimento un alto livello di distribuzione, cioe se si stabilizza in una cultura. Alcuni sono psicologici, altri ecologici; la maggior parte di essi sono relativamente locali, altri molto generali. Il Iattore psicologico piu generale che inIluenza la distribuzione dell'inIormazione e la sua compatibilita con l'organizzazione cognitiva umana. In particolare, l'inIormazione pertinente, la cui pertinenza e 8 Qui, come nel caso delle rappresentazioni che sono in competizione per l'attenzione, il termine competizione' solo una vivida metafora che non implica nessuna intenzione o disposizione a competere. Quello che significa che, tra tutte le rappresentazioni presenti in un gruppo umano in un dato momento, alcune, a un estremo, si diffonderanno e dureranno, mentre altre, all'altro estremo, avranno solo una breve esistenza locale. Non si tratta di un processo casuale, e per ipotesi le propriet dell'informazione giocano un ruolo causale nel determinarne la distribuzione ampia o limitata. 146 relativamente indipendente dal contesto immediato, ha piu possibilita, ceteris paribus, di raggiungere un livello culturale di distribuzione. La pertinenza garantisce la motivazione sia per memorizzare che per trasmettere inIormazione, e l'indipendenza da un contesto immediato signiIica la pertinenza in un contesto piu ampio di aspettative e credenze stabili. In una prospettiva modulare dei processi concettuali le credenze che sono stabili all'interno di una popolazione sono quelle che giocano un ruolo centrale nell'organizzazione modulare e nel trattamento della conoscenza. L'inIormazione che arricchisce o con- traddice queste credenze modulari ha quindi maggiori possibilita di successo. Ho sostenuto altrove (Sperber 1974b, 1980 e nei capitoli 3 e 4) che le credenze che violano le aspettative che determinano in noi i moduli cognitivi (per esempio quelle in esseri sovrannaturali capaci di azioni a distanza, ubiquita, metamorIosi, ecc.) acquisiscono proprio per questo Iatto una visibilita e una pertinenza che contribuisce al loro vigore culturale. Pascal Boyer (1990) ha giustamente sottolineato che tali violazioni di aspettative intuitive nella descrizione degli esseri sovrannatura- li sono in realta poche, e avvengono su uno sIondo di aspettative modulari soddisIatte. Kelly e Keil (1985) hanno mostrato che l'uso culturale delle rappresentazioni delle metamorIosi e strettamente vincolato da una struttura concettuale speciIica. In generale, dovremmo aspettarci che molte rappresentazioni culturali di successo siano solidamente ancorate a un modulo concettuale, diIIerenziandosi suIIicientemente dalle inIormazioni che Iigurano ordinariamente nel dominio proprio del modulo per catturare l'attenzione. Un modulo cognitivo stimola in ogni cultura la produzione e la distribuzione di un grande ventaglio di inIormazioni che soddisIano le sue condizioni di input. Queste inIormazioni, prodotte artiIicialmente e organizzate dagli individui stessi, sono concettualizzate dall'inizio e appartengono a domini concettuali che propongo di chiamare domini culturali dei moduli. In altri termini, la trasmissione culturale suscita nel dominio reale di ciascun modulo cognitivo una proliIerazione di inIorma- zioni parassitarie che imitano il dominio proprio del modulo. Provero a illustrare il mio approccio epidemiologico partendo da un caso non concettuale, quello della musica; il mio intento e semplicemente di mostrare il Iunzionamento di tale approccio, non di Iormulare un'ipotesi scientiIica seria, che non avrei le competenze per sviluppare. Immaginiamo che la capacita e la disposizione a prestare attenzione a certe sequenze sonore e ad analizzarle abbiano con 147 tribuito al successo riproduttivo per un periodo suIIicientemente lungo nella preistoria umana. Le sequenze sonore saranno state identiIicate grazie alle variazioni in altezza e ritmo. Quali suoni presentavano questa struttura? La prima possibilita che viene in mente e quella dei suoni vocali prodotti dagli umani per comunicare. Non e necessario che si tratti dei suoni delle lingue dell'Homo sapiens, ma si puo immaginare un antenato umanoide dotato di capacita articolatorie molto piu povere, che si basasse ben piu degli umani moderni sul ritmo e sull'altezza per produrre segnali vocali. In queste condizioni sarebbe stata possibile l'evoluzione di un modulo cognitivo specializzato. Questo modulo avrebbe dovuto combinare le capacita percettive di discriminazione necessarie con un aspetto motivazionale che avrebbe incitato gli individui a prestare attenzione alle sequenze sonore pertinenti. Tale motivazione avrebbe potuto essere di carattere edonistico: aspettative positive di piacere invece di paura del dolore. Supponiamo che le sequenze sonore si producessero in mezzo a rumori dai quali era diIIicile distin- guerle. Le capacita vocali di questi antenati avrebbero potuto essere molto limitate, cosi che la sequenza sonora voluta potesse essere parassitata da un Ilusso di suoni senza pertinenza (come per esempio quando si parla con la voce rauca o raIIreddata o con la bocca piena). In queste condizioni, la componente motivazionale del modulo avrebbe dovuto essere calibrata in modo tale che il riconoscimento di un livello relativamente basso della proprieta pertinente Iosse suIIiciente a procurare un piacere motivante. Il dominio proprio che propongo di immaginare e quello delle proprieta acustiche delle comunicazioni vocali primitive. E possibile che il dominio proprio sia oggi vuoto: un altro adattamento, l'apparato vocale umano, puo averlo reso obsoleto. Oppure e possibile che le proprieta acustiche pertinenti giochino ancora un ruolo nelle lingue umane (in particolare in quelle tonali) e che il modulo sia ancora Iunzionale. I suoni che il modulo analizza, causando cosi piacere all'organismo di cui Ia parte - ossia i suoni che soddisIano le condizioni di input del modulo - sono raramente presenti in natura (con l'eccezione evidente del canto degli uccelli), ma possono essere prodotti artiIicialmente. E cosi e stato, cosa che ha Iornito al modulo un dominio culturale particolarmente ricco, la musica. La sequenza acustica pertinente della musica e molto piu Iacile da distinguere e piu piacevole di qualsiasi altro suono nel dominio proprio del modulo. Il meccanismo motivazionale, sintonizzato naturalmente sugli input diIIicili da discriminare, e stato ora 148 limolato a un grado tale da creare una vera dipendenza nei conIronti dell'intera esperienza. L'idea allora e che gli esseri umani hanno creato un dominio culturale, la musica, che e parassitario di un modulo cognitivo il cui dominio proprio esisteva prima della musica e non aveva nulla a che Iare con essa. L'esistenza di questo modulo cogniti- vo ha Iavorito la diIIusione, la stabilizzazione e la progressiva crescita e diversiIicazione di un repertorio che soddisIa le con- dizioni di input. All'inizio Iurono scoperti per caso suoni piace- voli, poi vennero prodotte deliberatamente sequenze sonore che divennero vera e propria musica. Questi pezzi di cultura competono per lo spazio e il tempo pubblici e mentali e per avere la possibilita di stimolare il modulo in questione in piu individui possibile per il tempo piu lungo possibile. In questa competizione, alcuni brani musicali riescono a sopravvivere al- meno per qualche tempo, mentre altri vengono eliminati, e cosi musica e competenza musicale evolvono. Nel caso della musica, il dominio culturale del modulo e molto piu sviluppato e visibile del suo dominio proprio (nell'i-
potesi che un dominio proprio esista ancora), al punto che e l'esistenza stessa di un dominio culturale e della speciIicita di competenze che sono maniIestamente coinvolte a giustiIicare la ricerca, nel presente o nel passato, di un dominio proprio che non e immediatamente maniIesto. In altri casi, l'esistenza di un dominio proprio e almeno tan- to immediatamente maniIesta quanto quella del dominio cultu- rale. Consideriamo la conoscenza zoologica. L'esistenza di una competenza speciIica in questo caso non e diIIicile da ricono- scere, se si ammette l'idea di una speciIicita di domini cognitivi. Si puo pensare, come ho suggerito, che gli esseri umani abbiano uno stampo modulare per costruire i concetti degli animali. La Iunzione biologica di questo modulo e Iornire agli umani un modo di categorizzare gli animali che possono incontrare nel loro ambiente e di organizzare l'inIormazione che hanno su di loro. Il dominio proprio di questa capacita modulare e la Iauna locale vivente. Succede in realta che, grazie all'input culturale, si Iinisca per costruire concetti di specie animali con cui non si avra mai nessuna interazione. Se siamo occidentali del ventesi- mo secolo, possiamo per esempio avere un sottodominio cultu- rale di dinosauri, o persino essere esperti di dinosauri. In un'al- tra cultura, avremmo potuto essere esperti di draghi. Questa invasione del dominio reale di un modulo concettua- le da parte dell'inIormazione culturale avviene indipendente- mente dalla grandezza del modulo. Consideriamo un micromo- dulo come il concetto di un animale particolare, il topo per 149 esempio. Anche in questo caso, probabilmente avremo Iissato tra i dati di quel modulo l'inIormazione culturalmente trasmessa sui topi, sia di carattere scientiIico che di carattere Iolcloristico, che va ben al di la del dominio proprio di quel micromodulo, vale a dire ben al di la dell'inIormazione derivabile dalle interazioni con i topi e pertinente a esse. Naturalmente questa inIormazione culturale sui topi puo essere utile alle nostre interazioni con gli altri esseri umani, Iornendo per esempio un re- pertorio che si puo sIruttare nella comunicazione metaIorica. Dal lato macromodulare, ammettiamo per la discussione che lo stampo modulare su cui sono costruiti i concetti zoologici sia esso stesso una versione inizializzata (Iorse la versione per deIault) di un metastampo piu astratto per gli esseri viventi. Questo metastampo e inizializzato in altri modi per altri domini (per esempio la botanica) e proietta diversi stampi speciIici, come ho suggerito prima. Cio che determina una nuova ini- zializzazione e la presenza di inIormazione che (1) soddisIa le condizioni generali di input speciIicate dal metastampo, ma (2) non soddisIa le condizioni piu speciIiche di input che si trovano nel modulo del metastampo. Non e necessario che l'inIormazione si trovi nel dominio proprio del modulo del metastampo. In altre parole, il metastampo puo essere inizializzato in una maniera che non corrisponde aIIatto al suo dominio proprio, ma solo a un dominio culturale. Un dominio culturale cui si puo pensare in questo contesto e quello delle rappresentazioni degli esseri sovrannaturali (si veda Boyer 1990, 1993, 1994), ma ci possono anche essere casi meno evidenti. Consideriamo in questa prospettiva il problema sollevato da HirschIeld (1988, 1993, 1994), secondo il quale i bambini hanno una disposizione a categorizzare gli esseri umani in 'gruppi razziali'. Essi Ianno anche inIerenze a partire da questa categorizzazione, come se i gruppi razziali diIIerenti avessero 'essenze' o 'nature' diIIerenti, paragonabili alle diverse nature attribuite alle diverse specie animali. I bambini possiedono una competenza la cui Iunzione e quella di sviluppare tali categorizzazioni? In altri termini, esiste una disposizione naturale al razzismo? Per evitare questa conclusione cosi poco attraente, e stato suggerito (Atran 1990; Boyer 1990) che i bambini trasIeriscano alla sIera sociale una competenza che hanno in precedenza sviluppato per gli esseri viventi, e che lo Ianno per dare un senso alle diIIerenze sistematiche nell'aspetto umano (per esempio, il colore della pelle) che possono avere osservato. In realta, gli esperimenti di HirschIeld mostrano che la categorizzazione razziale si sviluppa senza che ci si appoggi inizialmente a input percettivi rilevanti. Questo sembra 150 mostrare che esista, dopotutto, una competenza specializzata per la classiIicazione razziale. Cio che suggerisce un approccio epidemiologico e che la classiIicazione razziale puo risultare da uno stampo specializzato, ma non innato, derivato dal metastampo per gli esseri viventi, attraverso un'inizializzazione provocata da un input cul- lurale. Esperimenti recenti mostrano inIatti che, in certe condizioni, il solo Iatto che un oggetto sia designato con un'etichetta verbale modiIica il modo in cui il bambino lo categorizzera in direzione di un costrutto 'essenzialista', secondo il quale i tratti percepibili delle specie sono maniIestazioni di un'essenza sottostante (Markman e Hutchinson 1984; Markman 1990; Davidson e Gelman 1990; Gelman e Coley 1991). E possibile allora che, quando i bambini sentono che alcuni esseri umani sono designati con etichette verbali particolari che a prima vista non rivelano nessuna descrizione o deIinizione speciIica, si attivi, in un contesto appropriato, l'inizializzazione di un modulo-stampo ad hoc. Se cosi e, allora la percezione delle diIIerenze Iisiche tra gli esseri umani non e in realta il Iattore che determina il processo di classiIicazione razziale. Esiste, come propone HirschIeld, una competenza geneticamente determinata che governa le classiIicazioni razziali senza importarne i modelli da un altro dominio concreto. Ma questa competenza soggiacente puo anche non avere il suo dominio proprio nelle classiIicazioni razziali, le quali possono costituire un dominio puramente culturale, ossia Iondato su una competenza soggiacente che non ha un dominio proprio. L'inizializza- zione di uno stampo specializzato per la classiIicazione razziale potrebbe quindi non essere altro che un eIIetto di inIormazioni culturali parassitarie di un modulo di apprendimento di piu alto livello, la cui Iunzione e generare stampi specializzati per diversi domini di specie viventi vere e proprie, come il dominio zoologico o quello botanico. Se l'ipotesi e corretta - non lo aIIermo, evoco solo la possibilita -, allora nessuna disposizione al razzismo e stata oggetto di una selezione biologica positiva presso gli esseri umani (non e stata sele:ionata per, nel senso di Sober 1984). Ciononostante, le disposizioni che sono state l'oggetto di una selezione positiva rendono gli umani anche troppo ricettivi al razzismo quando incontrano un input culturale minimale e in apparenza inoIIensivo. Il rapporto Ira il dominio proprio e i domini culturali dello stesso modulo non e un rapporto di trasIerimento; il modulo non ha preIerenze tra i due generi di domini e, in realta, ignora completamente la distinzione, che e Iondata sull'ecologia e sulla storia. 151 Anche adottando una prospettiva evoluzionistica ed epidemiologica, la distinzione tra il dominio proprio e culturale di un modulo non e sempre Iacile. I domini propri e quelli culturali possono sovrapporsi. Inoltre, dato che i domini culturali sono oggetti di questo mondo, tra le Iunzioni di un modulo ci puo essere quella di gestire un dominio culturale, cosa che lo trasIorma in un dominio proprio. Si osservi che l'esistenza stessa di un modulo culturale e un eIIetto dell'esistenza di un modulo; conseguentemente, almeno in partenza, un modulo non puo essere un adattamento al suo dominio culturale. Un modulo deve essere stato selezionato a causa di un dominio proprio preesistente. In linea di principio, potrebbe acquisire come Iunzione quella di gestire il proprio dominio culturale; dovrebbe avvenire cosi quando la capacita del modulo di gestire il dominio culturale contribuisce alla so- pravvivenza della specie. Il solo caso chiaro dell'adattamento di un modulo ai suoi propri eIIetti e quello della Iacolta linguistica che, nella sua Iorma iniziale, non puo essere stata un adattamento a un linguaggio pubblico che non poteva esistere senza di essa. D'altra parte, sembra diIIicile dubitare del Iatto che il linguaggio sia diventato il dominio proprio della Iacolta del linguaggio. 9 Se esistono capacita modulari per prendere parte a Iorme particolari di interazione sociale (come ha suggerito Cosmides 1989) allora, come nel caso della Iacolta del linguaggio, il dominio culturale di tali capacita deve almeno intersecare il loro dominio proprio. Un altro esempio interessante in questo contesto e quello dei rapporti tra la numerosita, che costituisce il dominio proprio di un modulo cognitivo, e il sistema dei numeri, che costituisce un dominio culturale dipendente dal linguaggio (si vedano Gelman e Gallistel 1978; Gallistel e Gelman 1992; Dehaene 1992). In generale pero, non c'e ragione perche la produzione e la gestione dei domini culturali costituiscano una Iunzione biologica di tutti i moduli cognitivi umani, o anche della maggior parte di essi. Se questa concezione e corretta, ha implicazioni importanti per lo studio della specializzazione modulare nella cognizione umana: essa smonta a mio avviso l'argomento contro la modularita del pensiero Iondato sulla diversita culturale. Perche, anche se il pensiero Iosse interamente modulare, si dovrebbe trovare un gran numero di domini culturali cosi diversi da cultura 9 Si vedano Pinker e Bloom 1990 e il mio contributo alla discussione del loro articolo (Sperber 1990b). 152 Capacita metarappresenta:ionali ed esplosione culturale Se ancora non siete convinti che il pensiero umano potrebbe essere totalmente modulare, se avete la sensazione che l'integrazione concettuale sia maggiore di quanto permettano di spiegare le ipotesi avanzate Iinora, se scorgete domini del pensiero che non corrispondono a nessun modulo plausibile, allora siamo d'accordo. Non solo le credenze sul Camembert potrebbero svolgere un ruolo nella Iormazione delle conclusioni sui quark, ma non abbiamo nemmeno problemi a immaginare e comprendere una rappresentazione concettuale dove Iigurano contemporaneamente il Camembert e i quark. Il solo Iatto che abbiate compreso la Irase precedente ne e un esempio. In ogni caso, con o senza Camembert, le idee sui quark non hanno un posto evidente in un'immagine modulare del pensiero. E chiaro che non appartengono al dominio eIIettivo della Iisica ingenua, cosi come le idee sui cromosomi non appartengono al dominio della biologia ingenua, quelle sugli uomini-lupo non appartengono a quello della zoologia ingenua, e quelle sulla Santissima Trinita o sugli automi cellulari non corrispondono a nessun modulo possibile. Cio signiIica che esiste un insieme di credenze extramodulari di cui le credenze religiose e scientiIiche sarebbero gli esempi piu evidenti? Non credo. Non abbiamo ancora esaurito le risorse dell'approccio modulare. Gli esseri umani hanno la capacita di Iormare rappresentazioni mentali di rappresentazioni mentali; in altri termini, hanno una capacita metarappresentazionale che e cosi particolare, sia per il suo dominio che per le sue proprieta computazionali, che chiunque sia disposto a prendere sul serio la tesi della modularita del pensiero deve essere disposto a consi- derare questa capacita come modulare. Lo stesso Fodor e disposto a Iarlo (Fodor 1992). Il modulo metarappresentazionale 10 e un modulo concettuale speciale, un modulo di secondo 10 La capacit di formare e trattare le metarappresentazioni potrebbe ri- a cultura che sarebbe assurdo scambiarli per i domini propri dei moduli stabiliti dall'evoluzione biologica. Il Iatto che un dominio cognitivo abbia un carattere culturale tipico e non con- tribuisca all'adattamento biologico, non ne impedisce l'appartenenza, in quanto dominio culturale, a un modulo geneticamente determinato. 153 ordine, per cosi dire. Mentre gli altri moduli concettuali trattano di concetti e di rappresentazioni di cose, normalmente di cose percepite, quello metarappresentazionale tratta di concetti di concetti e di rappresentazioni di rappresentazioni. Il dominio reale del modulo metarappresentazionale e abbastanza chiaro: e l'insieme di tutte le rappresentazioni di cui l'organismo e capace di inIerire o di apprendere in qualche modo l'esistenza e il contenuto. In cosa potrebbe consistere il dominio proprio di questo modulo? Molti lavori recenti (per esempio Astington, Harris e Olson 1989) avanzano l'ipotesi che la Iunzione della capacita di Iormare e trattare metarappresen- tazioni sia di Iornire agli umani una psicologia ingenua. In altri termini, questo modulo e un 'modulo di teoria della mente' (Leslie 1994) e il suo dominio proprio e costituito dalle credenze, dai desideri e dalle intenzioni che sono le cause del comportamento umano. La capacita di comprendere e di categorizzare il comportamento non solo in termini di semplici movimenti Iisici, ma anche di stati mentali soggiacenti, costituisce un adattamento essenziale per organismi che devono cooperare ed entrare in competizione gli uni con gli altri in modi molto diIIerenti. Una volta che nella nostra ontologia si trovano gli stati mentali e la capacita di attribuirli agli altri, c'e solo un passo da Iare perche abbiamo desideri su questi stati mentali - il desiderio che quella persona creda questo, che desideri quello, ecc. - e perche elaboriamo l'intenzione di modiIicare gli stati mentali altrui. La comunicazione umana e sia un modo di soddisIare questi desideri metarappresentazionali, sia di sIruttare le capacita metarappresentazionali degli altri. Come ha suggerito orice (1957) e come ho sviluppato con Deirdre Wilson, attraverso il comportamento comunicativo chi comunica aiuta in modo deliberato e maniIesto il suo destinatario a inIerire il contenuto della rappresentazione mentale che vuole Iargli adottare (Sper- ber e Wilson 1986). La comunicazione e radicalmente Iacilitata dall'emergere di una lingua pubblica, la quale soggiace a un altro modulo, la Iacolta del linguaggio. Noi sosteniamo pero che lo sviluppo stesso di una lingua pubblica non e la causa, ma l'eIIetto dello sviluppo di una comunicazione resa possibile dal modulo meta- rappresentazionale. Lo sviluppo della comunicazione, e in particolare della co- guardare non un singolo modulo, ma molti, ognuno dei quali metarappresenta un dominio o un tipo di rappresentazione differente. Per mancanza di argomenti convincenti, ignorer questa reale possibilit. 154 municazione linguistica, ha per eIIetto che il dominio eIIettivo del modulo metarappresentazionale sia pieno di rappresentazioni rese maniIeste dai comportamenti comunicativi: le intenzioni di chi comunica e i contenuti comunicati. La maggior parte delle rappresentazioni sulle quali ci sarebbe una storia epidemiologica interessante da raccontare sono comunicate in questo modo ed entrano dunque nella mente degli individui at- traverso i loro moduli metarappresentazionali. Come ho gia suggerito, i contenuti comunicati, possono arrivare al modulo pertinente anche se penetrano attraverso il modulo metarappresentazionale. Quello che ci viene detto sui gatti e integrato con quello che vediamo dei gatti in virtu del Iatto che la rappresentazione comunicata contiene il concetto GATTO. Disponiamo ora dell'inIormazione in due Iormati: quello di una rappresentazione di gatto trattata da un modulo concettuale di primo ordine e quello di una rappresentazione di rappresentazione (di secondo ordine) di gatto trattata da un modulo meta- rappresentazionale. Il modulo metarappresentazionale non sa nulla dei gatti, ma puo sapere qualcosa dei rapporti semantici Ira le rappresentazioni, puo avere una certa capacita di valutare la validita di un'inIerenza, il valore dimostrativo di una certa inIormazione, la plausibilita relativa di due credenze contraddittorie, ecc. Puo essere capace anche di valutare una credenza non a partire dal suo contenuto, ma a partire dall'aIIidabilita della Ionte. Il modulo metarappresentazionale puo quindi Iormare e accettare credenze sui gatti per ragioni che non hanno niente a che Iare con il genere di conoscenze intuitive Iornite dal modulo GATTO (O dal modulo, quale che sia, che si occupa dei gatti). Un organismo dotato di moduli percettivi e di moduli concettuali di primo ordine ha delle credenze Iornite da essi, ma non ha credenze su queste credenze ne su quelle degli altri, ne dunque un atteggiamento riIlessivo rispetto alle proprie credenze. Il vocabolario delle credenze di un tale organismo e limitato al vocabolario di output dei suoi moduli; non puo concepire o adottare un nuovo concetto, ne criticare o respingere vecchi concetti. Un organismo che ha in piu un modulo metarappresentazionale puo rappresentare concetti e credenze in quanto tali, valutarli in modo critico e accettarli o respingerli per ragioni metarappresentazionali. Puo Iormare rappresentazioni di concetti e di credenze che dipendono da qualsiasi dominio concettuale, concetti e credenze Iatti in modo tale che i moduli specializzati in questi stessi domini sarebbero incapaci di elaborarli o di assimilarli. Cosi Iacendo, questo organismo piu dotato non Ia che utilizzare il 155 proprio modulo metarappresentazionale per trattare gli oggetti che appartengono al dominio di tale modulo, ossia alcune rappresentazioni. Gli esseri umani, in virtu delle loro notevoli capacita meta- rappresentazionali, possono dunque avere credenze relative allo stesso dominio concettuale ma radicate in due moduli ben diversi: il modulo di primo ordine, specializzato nel dominio concettuale in questione e quello metarappresentazionale di secondo ordine, specializzato nelle rappresentazioni. Si tratta pero di due credenze diIIerenti, 'credenze intuitive', basate sul modulo di primo ordine, e 'credenze riIlessive', basate su quello metarappresentazionale (si vedano Sperber 1982, cap. 2, 1985, 1990a). Le credenze riIlessive possono contenere dei concetti (per esempio 'quark', 'Trinita') che non appartengono al repertorio di nessun modulo e sono dunque disponibili agli esseri umani solo in modo riIlessivo, attraverso le credenze e le teorie all'interno delle quali appaiono tali concetti. Le credenze e i concetti che variano di piu da cultura a cultura (e che spesso sembrano inintelligibili, ossia irrazionali dal punto di vista di un'altra cultura) sono le credenze riIlessive e i concetti acquisiti attraverso di loro. Le credenze riIlessive possono essere controintuitive (piu precisamente possono essere controintuitive rispetto all'oggetto in questione, mentre allo stesso tempo le ragioni meta- rappresentazionali per accettarle sono intuitivamente imperative). Cio e rilevante per l'argomento tecnico piu interessante che Fodor invoca contro la modularita dei processi centrali. Il carattere incapsulato e automatico dei moduli percettivi e messo, in evidenza, come sottolinea Fodor, dalla persistenza delle illusioni percettive, anche quando il loro carattere illusorio e maniIesto. Non c'e niente, secondo lui, di equivalente a livello concettuale. E vero che le illusioni percettive hanno la qualita di vissuto e la vivacita delle esperienze percettive, qualita che non si incontrano a livello concettuale, ma ci puo capitare di abbandonare una credenza sentendone ancora la Iorza intuitiva, e insieme sentendo il carattere controintuitivo della credenza con la quale l'abbiamo sostituita. Si puo credere con una Iede totale alla Santissima Trinita ed essere tuttavia coscienti della Iorma intuitiva dell'idea secondo la quale un padre e un Iiglio non possono essere una sola e la stessa persona. Possiamo comprendere perche non si puo vedere un buco nero, e sentire pero la Iorza dell'idea che un oggetto solido, grosso e denso non puo che essere visibile. L'opposizione tra la Iisica ingenua e la Iisica moderna Iornisce numerosi 156 altri esempi lampanti. 11 Quello che avviene, a mio avviso, e che il modulo della Iisica ingenua resta essenzialmente impenetrabile alle idee della Iisica moderna, e persiste nel Iornire le stesse intuizioni anche quando ci sembrano sbagliate, almeno a livello riIlessivo. Piu in generale, il modulo metarappresentazionale, la dualita delle credenze che questo modulo rende possibile e il passaggio che apre al contagio culturale completano l'immagine modulare della mente che ho cercato di abbozzare. Ho raIIigurato una mente a tre strati: uno strato unico e spesso di moduli di input, come aIIerma Fodor; poi una rete complessa di moduli concettuali di primo ordine di tutti i generi, e inIine un modulo metarappresentazionale di secondo ordine. All'origine, il modulo metarappresentazionale non e molto diverso dagli altri moduli concettuali, ma permette lo sviluppo della comunicazione e da avvio a un'esplosione culturale di tale grandezza che il suo dominio eIIettivo si estende oltre misura e Iinisce per ospitare una moltitudine di rappresentazioni culturali che dipendono da diversi domini culturali. Ecco come si puo avere una mente realmente modulare che svolga un ruolo causale primario nell'emergere di una reale diversita culturale. 11 E un folto numero di esempi pi sottili sono stati analizzati in una prospettiva cognitiva da Atran (1990). 157 Conclusione: la posta in gioco Quando si cerca di ripensare in modo nuovo un vecchio ambito di ricerca, quando si procede nel buio, a tentoni, cercando punti di riIerimento, percorsi, passaggi, si e ben lontani dal concludere. A ogni passo pero, ci si puo chiedere: qual e la sIi- da? Quali sono i rischi? La sIida scientiIica e chiara. Si tratta di costruire un nuovo strumento potente per spiegare e comprendere i Ienomeni sociali. Ripeto, un'epidemiologia delle rappresentazioni non intende sostituire i mezzi di comprensione esistenti, ma vuole essere complementare a essi. Sarebbe pero ingenuo pensare che tutti i programmi di ricerca possano convivere in armonia. Per cominciare, nelle istituzioni accademiche le risorse umane e materiali sono limitate e la competizione e inevitabile, per cui ciascuno tende a valorizzare il proprio programma, presentando semplici speranze come promesse - se non come risultati - e screditando i programmi concorrenti. Ma ci sono anche autentici conIlitti teorici piu interessanti. Per esempio i Ireudiani e gli junghiani non possono avere con- temporaneamente ragione, e neppure i Iunzionalisti classici e i loro critici marxisti. Non esiste un conIlitto teorico - o almeno non dovrebbe esistere - tra gli approcci interpretativi che cercano di rendere i Ienomeni sociali intuitivamente comprensibili e un approccio epidemiologico che cerca spiegazioni causali. D'altra parte, esso e oggettivamente in conIlitto con i programmi teorici che cercano di spiegare i Ienomeni sociali causalmente senza riconcettualizzare l'intero dominio. L'approccio epidemiologico presentato in questo libro e diverso anche da altri approcci naturalistici che si basano quasi esclusivamente sulla biologia, e nella spiegazione delle culture accordano solo un ruolo minore e banale alla psicologia umana. 159 Al di la delle questioni che riguardano la pratica o i contenuti della scienza, dobbiamo riIlettere anche sulle nostre ragioni proIonde per proporre un'analisi dei Ienomeni sociali da un punto di vista scientiIico, piu speciIicamente naturalistico. Ogni sIorzo di analizzare i Ienomeni sociali e culturali in modo scientiIico, in particolare ogni sIorzo naturalistico, rischia di suscitare accuse di riduzionismo. Non e diIIicile mostrare come, in questo caso, l'etichetta 'riduzionista' sia doppiamente impropria: in primo luogo perche nessuno propone una riduzione dei Ienomeni sociali; in secondo luogo perche, se una simile proposta Iosse Iatta sul serio, dovrebbe destare piu interesse che disprezzo, dato che le vere riduzioni costituiscono un Iondamentale avanzamento della scienza. Si puo anche sostenere che un'analisi naturalistica dei meccanismi mentali e sociali tenderebbe a evidenziarne la ricchezza e sottigliezza, invece di svalutarli, come spesso si teme. Si puo cercare di mettere i critici con le spalle al muro perche mostrino che i programmi cosiddetti riduzionisti sono scorretti, o trovino le ragioni morali per censurarli. Benche queste accuse non siano molto articolate ne Iorniscano argomenti seri contro il progetto, esse provengono tuttavia da un disagio legittimo. Ogni ricerca implica responsabilita e rischi. Nelle scienze sociali responsabilita e rischi sono morali e politici. I movimenti politici moderni, siano essi reazionari, conservatori, progressisti o rivoluzionari, si basano su teorie delle scienze sociali e Ianno del loro carattere 'scientiIico' un motivo di legittimazione. Spesso sono gli stessi scienziati sociali a incoraggiare tale uso delle proprie teorie. Che la scienza possa guidare l'azione: cosa potrebbe essere piu desiderabile? In realta gli abusi della scienza sono Irequenti, e vanno dall'arroganza al crimine. E ragionevole dunque stare in guardia; un approccio naturalistico al sociale suscita inquietudini di due tipi, alcune legate al ruolo attribuito alla biologia, altre a quello che puo sembrare scientismo. Le scienze sociali, e in particolare l'antropologia, hanno avuto la loro parte di responsabilita nei crimini del colonialismo e del razzismo. Sempre, lo sIruttamento e lo sterminio sono stati giustiIicati nel nome di una presunta superiorita biologica degli sIruttatori sugli sIruttati, o degli sterminatori sulle vittime; ci sono ancora oggi persone che diIendono varie Iorme di discriminazione sociale o razziale in nome della biologia. Cio implica Iorse che ogni richiamo alla biologia nelle scienze umane non possa che aprire le porte al razzismo? Si tratta di un sospetto in se stesso sospetto, perche sarebbe giustiIicato 160 solo se lo studio della biologia avesse Iornito argomenti a Iavore del razzismo. Esiste in realta una diIIerenza radicale e lampante tra gli scopi scientiIici di una psicologia e un'antropologia evoluzionistiche e le preoccupazioni pseudoscientiIiche di chi e motivato da un'attrazione per il razzismo. Cio che puo contribuire a una migliore comprensione delle vicende umane e una prospettiva biologica su quello che gli esseri umani hanno in comune; quello che cercano i razzisti sono diIIerenze biologiche tra i gruppi umani che spieghino e giustiIichino destini ineguali. Anche senza approIondire i dati e gli argomenti che mostrano il contrario (ma si veda Cavalli SIorza et alii 1994), dovrebbe risultare chiaro che la ricerca razzista non ha meriti scientiIici. Ogni essere umano (con l'eccezione dei gemelli monozigoti) e geneticamente diverso da tutti gli altri. Ma gli esseri umani sono anche tanto simili da essere in grado di imparare qualsiasi lingua umana e di acquisire qualsiasi cultura. Non si tratta solo di una possibilita teorica, ma di un Iatto essenziale per la comprensione della storia dell'uomo. Nella storia umana sono ricorrenti i movimenti di popolazione da una societa all'altra; essi presuppongono e sono basati sull'unita Iondamentale della specie. La specie umana non e divisa in sottogruppi distinti e geneticamente omogenei; non esistono razze umane; le diIIerenze genetiche tra gruppi umani, se se ne trovano, sono superIiciali e transitorie e non possono svolgere che un ruolo estremamente marginale nella spiegazione (che ancora stiamo cercando) della diversita delle culture umane. Chi - nonostante la mancanza di giustiIicazione scientiIica - investe energia nella ricerca di una spiegazione genetica delle diIIerenze storiche e culturali tra i gruppi, o e uno studioso incapace, o, piu probabilmente, un razzista che cerca di investire la propria causa del prestigio e dell'autorita della scienza, senza sottomettersi ai vincoli di oggettivita e Iecondita. Questi pseudoscienziati vanno tenuti alla larga, cosa che si puo Iare semplicemente mantenendo elevati gli standard scientiIici, soprattutto quando le cosiddette aIIermazioni scientiIiche hanno implicazioni sociali signiIicative (come in tutte le scienze, la ricerca che puo colpire interessi umani e valutata con particolare rigore). Un approccio naturalistico puo causare altre inquietudini, piu diIIuse Iorse, ma non meno pertinenti. In quanto attori sociali, tutti noi abbiamo una Iorma di comprensione dei meccanismi della vita sociale che ci aiuta a valutare le scelte, a decidere e ad agire. In una societa democratica, le scelte non riguardano solo le relazioni sociali in cui siamo personalmente 161 coinvolti, ma anche l'avvenire della societa in generale. La nostra pratica individuale ci da soltanto una comprensione grezza, e probabilmente tendenziosa, dei Ienomeni sociali globali. Le scienze sociali, dunque, hanno un ruolo Iondamentale da svolgere nella vita democratica: quello di aiutare i cittadini a comprendere. La ricerca nelle scienze sociali si sviluppa in larga misura in risposta alle richieste degli attori politici: cittadini, militanti e autorita. Esiste Iortunatamente una continuita tra gran parte di questa ricerca e la comprensione della realta sociale che ci e data dal nostro senso comune. Una ricerca puramente teorica nelle scienze sociali non risponde allo stesso tipo di bisogno sociale. Ciononostante, dato che i concetti che usa provengono dal senso comune, anche la maggior parte della ricerca teorica e comprensibile al lettore comune. Ci si puo chiedere se cio sarebbe vero anche nel caso di un programma naturalistico del tipo di quello che diIendo. Dopotutto, si tratta di rideIinire proprio i concetti ordinariamente usati nel pensiero sociale. Dobbiamo accettare la sIida di allontanare le scienze sociali dal senso comune? Anche se i programmi naturalistici sono, nella migliore delle ipotesi, allo stadio iniziale, non c'e il rischio che un giorno gli scienziati coinvolti si possano presentare come esperti che discutono tra esperti e che pretendono di poter decidere al posto nostro? Anche se il pericolo e remoto, non si tratta di una preoccupazione assurda e, di conseguenza, si potrebbe essere tentati di trarre la conclusione che sia meglio opporsi in partenza a qualsiasi programma naturalistico. La mia conclusione e che si debba diIendere una pluralita di metodi e di punti di vista. Il pluralismo e essenziale nelle scienze in generale, in quanto e una condizione del loro progresso. Qualsiasi prospettiva nuova e potenzialmente Ieconda merita di essere esplorata. Il pluralismo e doppiamente essenziale nelle scienze sociali, che devono - non singolarmente, ma insieme - rispondere a richieste sociali diverse, in particolare a quella di intelligibilita che suscita la democrazia (per imperIetta che sia). Un programma naturalistico puo Iar nascere un'altra preoccupazione. Come in uno specchio, le scienze sociali riIlettono la nostra immagine. Non riconoscerci nell'immagine riIlessa ci disturba. La psicologia cognitiva non riIlette un'immagine di noi stessi immediatamente riconoscibile, ne lo Ia un'epidemiologia delle rappresentazioni. Ancor peggio, cio che riteniamo essenziale e primario - la nostra esistenza di persone coscienti - risulta essere una combinazione instabile, proiettata socialmente su una struttura biologica, essa stessa precaria. Se ci do- vessimo accontentare di questa singola immagine inquietante, 162 ci sarebbe da allarmarsi. Ma le immagini piu comuni che abbiamo di noi stessi non subiscono alcuna minaccia. La Iisica moderna lascia essenzialmente intatta l'immagine del mondo materiale che guida i nostri passi; cosi, nessuna scienza sociale del Iuturo potra sostituire la nostra comprensione comune di noi stessi. La scienza potra tutt'al piu mettere in prospettiva il senso comune. Le scienze sono capaci di darci un tipo speciale di piacere intellettuale: quello di vedere il mondo in una luce che in un primo momento sconcerta, ma poi costringe alla riIlessione e approIondisce la nostra conoscenza, relativizzandola. Mi piacerebbe che le scienze sociali ci dessero piu spesso un piacere di questo tipo. 163 BibliograIi a Armstrong, D. (1973), Belief, 1ruth and Knowledge, Cambridge University Press, Cambridge. Astington, 1.W., Harris, P., e Olson, D. (1989), Developing 1heories of Mind, Cambridge University Press, Cambridge. Atran, S. 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Palsson (ed.), Beyond Boundaries: Understanding, 1ranslation and Anthropological Discourse, Berg, Oxford 1993, pp. 162-183. Una versione pi breve stata pubblicata in francese con il titolo L'Etude anthro- pologique des representations: problmes et perspectives, in D. 1odelet (ed.), Les Reprsentations sociales, Puf, Paris 1989, pp. 115-130. Il capitolo 3 stato originariamente presentato come Malinowski Memorial Lecture nel 1984 e poi pubblicato in "Man", 20, 1985 pp. 73- 89. Viene qui ristampato con il consenso del Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland. Il capitolo 4 stato precedentemente pubblicato in C. Fraser e G. Gaskell (eds), 1he Social Psychological Study of Widespread Beliefs, Clarendon Press, Oxford 1990, pp. 25-44; tr. it. L'epidemiologia delle credenze, Anabasi, Milano 1994. Il capitolo 5 stato presentato per la prima volta al Darwin Seminar della London School of Economics nel maggio 1995 e come conferenza al Convegno Internazionale di Logica, Metodologia e Filosofa della Scienza a Firenze nell'agosto 1995. Il capitolo 6 basato su un intervento a un congresso organizzato nel 1990 ad Ann Arbor, Michigan da Scott Atran, Susan Gelman, Larry Hirschfeld e da me, dal titolo Domain Specificity in Cognition and Culture. Gli interventi sono pubblicati in L.A. Hirschfeld, e S.A. Gelman, (eds), Mapping the Mind: Domain Specificity in Cognition and Culture, Cambridge University Press, New York 1994, pp. 39-97. 175 Indice dei nomi Altena, 1.van 6 Andler, D. 6 Aristotele 127 Armstrong, D. 90 n. Astington, 1. 154 Atran, S. 6, 72 n, 97 e n., 98, 128, 138, 150, 157 n. Axelrod, R. 6 Barkow, 1. 130 n. Barth, F. 58 n. Berlin, B. 72 n, 98, 99, 128 Bloch, M. 6, 51, 73 n. Block, N. 84, 123 n. Bloom, P. 119, 152 n. Bogdan, R. 6, 90 n. Bossert W. 108 n. Boyd, R. 9, 35, 106 e n, 119 Boyer, P. 6, 106 n., Ili, 147, 150 Brandt, M. 90 n. Brewer, W.F. 77 n. Brown, A. 130 n. Bruner, 1. 70 n. Brge, T. 82, 141 n. Campbell, D. 9, 106 Cara, F. 6 Carey, S. 97, 99, 128 Carpenter, P. 6 Cavalli-Sforza, L.L. 9, 35, 61, 106, 161 Changeux, 1. 6 Chomsky, N. 13, 16, 29, 112, 136 Churchland, P. 20 Clark, A. 134 Colby, B. 77 n. Cole, M. 77 n. Coley, 1. 138,151 Comte, A. 12 Conein, B. 6 Cosmides, L. 6, 9, 106 n, 118, 129, 130, 152 Cronin, H. 6 D'Andrade, R. 60 n. Darden, L. 63 n. Darwin, C. 123 Davidson, N. 151 Dawkins, R. 9, 13, 35, 62, 106- 107, 108, 109, 123 Dehaene, S. 152 Dennett, D. 6,20,90 n, 106 a, 141 n, 143 n. Dijk, T.A. van 77 n. Dring, F. 6 Douglas, M. 21, 46, 51 Dretske, F. 84, 90 n, 141 n. Dumzil, G. 47-48 e n., 50 Dupuy, 1.-P. 6 Durham, W. 9, 106 e n. 177 Durkheim, E. 64, 73 Elgin, C. 6 Ellen, R. 72 n. Engels, E 17 Favret-Saada, 1. 58 n. Feldman, M.W. 6, 9, 35, 61, 106 Fodor, 1. 11, 14, 19, 74, 82, 84, 92, 125-127, 129, 130, 131-132, 133, 138, 139, 143 n., 153, 156, 157 Freud, S. 18 Gallistel, R. 152 Gamst, F. 21 Geertz, C. 23, 73, 83, 85 Gelman, R. 97, 152 Gelman, S. 128, 136, 138, 151 Gibbard, A. 6, 60 n. Gigerenzer, G. 55 n. Gilbert, M. 6 Girotto, V. 6 Godei, K. 68, 100, 101, 102 Goldenweiser, A. 21 Goody, 1. 6, 77 n. Grice, P. 154 Harman, G. 6, 90 n. Harnish, M. 90 n. Harris, P. 154 Hintikka, 1. 90 n. Hirschfeld, L. 6, 97, 128, 136, 150, 151 Hoffrage, U. 55 n. Hutchins, E. 106 n. Hutchinson, 1. 151 1acob, O. 6 1acob, P. 6 1ahoda, G. 59 n. 1ohnson, N.S. 77 n. 1ohnson-Laird, P. 72 n. 1orland, G. 6 Kahneman, D. 55 n. Kaplan, D. 20, 21 Katz, 1.1. 6, 66 n. Kay, P. 72 n, 98, 99 Keil, F. 72 n., 97, 128, 138, 141, 147 Kelly, M. 147 Kintsch, W. 77 n. Kluckholn, C. 21 Kroeber, A.L. 21 Leach, E. 5,21,22,24, 52 n. Lees, H. 6 Leslie, A. 129, 154 Levine, R. 59 n. Lvi-Strauss, C. 21, 24, 31, 46, 48 e n., 50, 65, 77 n. Lewis, I.M. 60 n., Lichtenstein, E.H. 77 n. Lloyd, B. 72 n. Lumsden, C.1. 9, 35, 62, 106 n, 119 MacMahon, B. 61 n. Malinoswki, B. 59, 60, 78 Mandler, 1. 77 n. Manktelow, K. 134 Markman, E. 138, 151 Maull, N. 63 n. Maynard Smith, 1. 108 n., 123 n. Medin, D.L. 72 n., 138 Menget, P. 40-45, 46, 48-49, 56 Miller, G. 72 n. Millikan, R. 106 n., 107 n., 141 n. Molire 39 Monod, 1. 106 Nagel, E. 62 Needham, R. 21, 22, 24, 52 n, 90 n. Nisbett, R. 6 Norbeck, E. 21 Nowak, A. 110 Olson, D. 154 Origgi, G. 6 178 Ortony, A. 138 Over, D. 134 Papineau, D. 141n. Piattelli-Palmarini, M. 133 n. Pinker, S. 119, 152 n. Popper, K. 66 n, 106 Premack, D. 6, 137 Pugh, T.F. 61 n. Putnam, H. 11, 141 n. Reason, D. 72n. Recanati, F. 6, 141 n. Richerson, P. 9, 35, 106 e n, 119 Rivers, W.H. 59 Rivire, P. 25, 41 Rosch, E. 72 n. Rozin, P. 130 n. Ruhmelhardt, D. 77 n. Ityle, G. 90 e n. Schiffer, S. 90 Schull, 1. 130 n. Schweder, R. 60 n. Searle, 1. 27 n. Shakespeare, W. 86 Smith, E.E. 72 n. Smith, P. 48 n. Sober, E. 106 n, 123 n, 151 Spelke, E. 97, 98 n., 129 Sperber, D. 13, 20, 27, 39 n, 48 n, 56, 73 n., 77 n, 83, 86, 87, 88, 90,91,92 n, 93 n, 95, 97 e n., 101, 119, 121, 126, 138, 139, 147, 152 n., 154, 156 Sperber, 1. 6 Steiner, F. 21 Stich, S. 20, 90 n, 133 n. Symons, D. 130 n. Tarde, G. 8, 86 Tooby, 1. 6, 9, 106 n, 118, 129 Turing, A. 18, 20 Tversky, A. 55 n. Tyler, S. 70 n. Vygotsky, L. 70 n. 82 Wilensky, R. 77 n. Williams, G. 107- 108 e n. Wilson, D. 6, 39 n, 56, 87, 91, 92 n, 101, 108 n., 119, 138,139,154 Wilson, E.O. 9, 35, 62, 106 n, 108 n, 119 Wittgenstein, L. 22, 82, 90 n. Wundt, W. 59 179 Indi ce Pag. 5 PreIazione 7 Introduzione 151. Come essere un vero materialista in antropologia 1Antropologia e ontologia 18 L'ontologia della psicologia: un esempio da seguire? 21 Un vocabolario interpretativo 23 'Matrimonio' 26 Implicazioni 28 Di cosa sono fatte le cose culturali? 30Un'epidemiologia delle rappresentazioni 31'Mito' 33 Ancora sul 'matrimonio' 372. Interpretare e spiegare le rappresentazioni culturali 38Interpretare le rappresentazioni culturali 45Spiegare le rappresentazioni culturali 46Ceneralizzazioni interpretative 47Spiegazioni strutturaliste 50 Spiegazioni funzionaliste 53 I modelli epidemiologici 593. Antropologia e psicologia: verso un'epidemiologia delle rappresentazioni 60Epidemiologia 63 Rappresentazioni 66 Presupposti 69Disposizioni e ricettivit 70Concetti di base 72 Rappresentazioni culturali 76Memoria e letteratura orale 77Osservazioni conclusive 81 4. L'epidemiologia delle credenze 81 Speculazioni antropologiche 89 Speculazioni psicologiche 97 1ipi differenti di credenze, meccanismi differenti di distribuzione 103 5. Selezione e attrazione nell'evoluzione culturale 105 II modello della selezione 111 II modello dell'attrazione 117 Fattori ecologici e psicologici di attrazione 1256. Modularita del pensiero ed epidemiologia delle rappresentazioni 126Due argomenti di buon senso contro la modularit del pensiero 129 Modularit ed evoluzione 134 Modularit e integrazione concettuale 140 Dominio reale e dominio proprio dei moduli 144 Domini culturali ed epidemiologia delle rappresentazioni 153 Capacit metarappresentazionali ed esplosione culturale 159 Conclusione: la posta in gioco 165 BibliograIia 175 Fonti 177 Indice dei nomi Stampa Crafica Sipiel Milano, marzo 1999