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I reati fiscali non sono contemplati dal legislatore tra i delitti che fondano la
responsabilità da reato degli enti, ma in giurisprudenza è ampiamente noto il
fenomeno del coinvolgimento dell’ente nelle sanzioni per i delitti tributari.
L’asserto, apparentemente paradossale, impone una attenta disamina degli itinerari
interpretativi attraverso i quali la giurisprudenza perviene ad un esito che sembrerebbe
prima facie precluso dalla non integrabilità del catalogo dei delitti presupposto se
non per espressa previsione legislativa1.
D’altra parte il coinvolgimento dell’ente nel perimetro sanzionatorio del diritto penale
tributario pare smentire l’impostazione di fondo delineata dal d.lgs. 74/2000, che considera
quali destinatari dei precetti penali esclusivamente le persone fisiche e contempla gli enti
unicamente quali soggetti tenuti al pagamento delle sanzioni amministrative2.
1
Sulla opportunità di introdurre una responsabilità da reato degli enti per i delitti fiscali in dottrina si è aperto un
dibattito. Hanno ravvisato ostacoli alla estensione del d.lgs. 231/2001 ai delitti tributari: PERINI, Brevi considerazioni in
merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2006, II, pp.
79 ss.; CARACCIOLI, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2007, I, pp. 155 ss.; TRAVERSI,
Responsabilità amministrativa delle società anche per reati tributari?, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2008, III, pp. 133 ss. Si è,
invece, espresso in senso favorevole a tale modifica normativa IELO, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Resp.
Amm. Soc. Enti, 2007, III, pp. 7 ss.
2
L’art. 7 d.l. 269/2003, convertito dalla legge 326/2003, prevede infatti che: “Le sanzioni amministrative relative al
rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”;
l’art. 19, comma 2, d.lgs. 74/2000 statuisce che “Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa
dei soggetti indicati nell’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone
fisiche concorrenti nel reato”. L’art. 11, comma 1, dell’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.
472, a sua volta, prevede che: “Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del
tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell’adempimento del suo
ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto, di società,
associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica,
la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati al pagamento
di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti”. Sul punto di veda:
AMBROSETTI-MEZZETTI-RONCO, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2008, pp. 343 ss.
126 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti
di truffa ai danni dello Stato e, segnatamente, la previsione dell’art. 24, d.lgs. 231/2001
che contempla tale delitto quale fondamento della responsabilità da reato dell’ente.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, infatti, sarebbe ammissibile il
concorso tra il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato di cui all’art. 640, comma
2, n. 1, c.p. e quelli di emissione ed utilizzazione, al fine di evadere le imposte sui
redditi e sul valore aggiunto, di fatture per operazioni inesistenti (artt. 2 ed 8 d.lgs.
74/2000).
Non sussisterebbe, infatti, tra i predetti reati rapporto di specialità, poiché diversi
sarebbero i beni giuridici protetti e diversi gli elementi costitutivi delle fattispecie
criminose; nei reati di frode fiscale, inoltre, non occorre l’effettiva induzione in errore
dell’Amministrazione finanziaria, né il conseguimento dell’ingiusto profitto con danno
dell’Erario3.
In alcune pronunce si è, inoltre, rilevato che la ravvisabilità del delitto di truffa
aggravata ai danni dello Stato non costituisce violazione del principio di specialità di
cui all’art. 15 c.p., qualora dalla dinamica dei fatti e sulla base di obiettivi elementi di
riscontro si configuri una condotta truffaldina tipica ed inequivoca desunta dalle
particolari modalità esecutive della evasione fiscale4, in quanto la costituzione di
società di comodo, il ricorso ad artifici negoziali e la esterovestizione delle operazioni
economiche costituirebbero artifici ulteriori ed aggiuntivi rispetto alla falsa
fatturazione.
Muovendo da tali presupposti teorici sarebbe, pertanto, ammissibile, secondo lo
schema del concorso formale di reati, la contestazione cumulativa e simultanea di
entrambi i delitti nei confronti degli autori di tali condotte criminose ed in tale
contesto processuale si potrebbe coinvolgere l’ente che abbia tratto vantaggio o che
abbia interesse alla commissione delle condotte di truffa ai danni dello Stato
contestando al medesimo l’illecito di cui all’art. 24, d.lgs. 231/20015.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, tuttavia, recentemente statuito
che tra le fattispecie penali tributarie di frode fiscale (artt. 2 ed 8, d.lgs. 10 marzo 2000,
n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato vi è un rapporto di specialità
e, pertanto, non è ammissibile il concorso delle medesime, in quanto qualsiasi
condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale
all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale tributaria6.
Il raffronto fra le fattispecie astratte7 evidenzia che la frode fiscale è connotata da
uno specifico artifizio, costituito da fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Una volta chiarito che la condotta di frode fiscale è una specie del genere “artifizio”,
non si può far leva, per affermare la diversità dei fatti, sugli elementi danno e profitto,
3
Cass. 23.1.2007, n. 6825, Melli, Rv. 235632; Cass. 14.11.2007, n. 14707, Rossi, Rv. 239659; Cass. 25.6.2010, n. 25883,
Tosato, non massimata.
4
Cass.23.1.2007, n. 6825, cit.
5
La contestazione cumulativa dei delitti di frode fiscale e del delitto di truffa ai danni dello Stato rendeva, inoltre,
ammissibile il ricorso nell’ambito penale tributario alla peculiare ipotesi di confisca per equivalente introdotta dall’art.
640 ter c.p. anche prima della introduzione nell’ordinamento dell’art. 1, comma 143 della legge 24 dicembre 2007, n.244
(“Finanziaria 2008”) di cui si dirà di seguito.
6
Cass., SS.UU., 28.10.2010, n.1235, Giordano ed altri, Rv. 248865.
7
Secondo il consolidato orientamento della dottrina e della giurisprudenza il rapporto tra le fattispecie incriminatrici
deve essere accertato alla stregua di un confronto degli elementi strutturali delle stesse in astratto; non ha senso, infatti,
far dipendere da un fatto concreto l’instaurarsi di un rapporto di genere a specie tra le norme. La specialità o esiste già
in astratto o non esiste neppure in concreto.
La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 127
giacché questi dati fattuali di evento non possono trasformare una tale situazione di
identità ontologica dell’azione in totale diversità del fatto.
Il fine di evadere le imposte, di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento
di un inesistente credito d’imposta sono posti come scopo della condotta e non rileva
il loro conseguimento in quanto il delitto di frode fiscale si caratterizza, a differenza
della truffa che è un delitto di evento, come reato di mera condotta. In questo modo
il legislatore ha inteso rafforzare la tutela anticipandola al momento della condotta
tipica, con sanzioni superiori a quella prevista per il delitto di truffa aggravata8.
Nella frode fiscale l’entità del profitto, inoltre, rileva solo come circostanza per la
diminuzione della sanzione, con la conseguenza che la prospettazione di un concorso
svuoterebbe di ogni valenza giuridica le soglie sanzionatorie.
Il reato di truffa, per converso, prescinde sia dalla natura dell’artifizio sia
dall’ammontare dell’ingiusto profitto.
La dichiarazione annuale “fraudolenta” non soltanto mendace ma caratterizzata da
un “particolare coefficiente di insidiosità” costituisce dunque la fattispecie criminosa
ontologicamente più grave, ha natura istantanea e si consuma con la presentazione
della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione non è, pertanto, ammissibile
una contestazione contestuale dei delitti di frode fiscale e di truffa ai danni dello Stato
in quanto, nel disegno del legislatore della riforma di cui al d.lgs. 74/2000, qualsiasi
condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio
delineato dalla apposita normativa penale tributaria.
Il concorso tra il delitto di frode fiscale e quello di truffa è, tuttavia, ammissibile
nelle ipotesi in cui dalla condotta di frode fiscale derivi un profitto ulteriore e diverso
rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni9.
In tali ipotesi l’ulteriore evento di danno che il soggetto agente si rappresenta non
inerisce al rapporto fiscale e, pertanto, non sussiste alcun problema di rapporto di
specialità tra norme; una stessa condotta, infatti, viene utilizzata per finalità diverse e
viola diverse disposizioni di legge e non si esaurisce nell’ambito del quadro
sanzionatorio delineato dalle norme fiscali, con la conseguenza della concorrente
punibilità di più finalità diverse compresenti nell’azione criminosa.
La impossibilità di un concorso tra frode fiscale e truffa ai danni dello Stato, in
assenza di una comprovata finalità extrafiscale, esclude peraltro anche la possibilità
di artificiose scomposizioni della fattispecie incriminatrice al fine di coonestare la
responsabilità da reato dell’ente.
Talora si era, infatti, ammesso il ricorso al sequestro ai danni dell’ente ai sensi
dell’art. 24, d.lgs. 231/2001 affermandosi che, pur escluso il concorso tra i delitti di
frode fiscale e di truffa aggravata, il concorso apparente di norme non poteva elidere
sic et simpliciter la condotta di truffa aggravata consumata dai soggetti che rivestivano
all’interno dell’ente posizioni apicali.
La Corte di Cassazione ha, tuttavia, negato il fondamento di tale creativa operazione
ermeneutica, statuendo che qualora il reato commesso nell’interesse o a vantaggio di
8
Anche nella relazione governativa la dichiarazione fraudolenta “si connota come quella ontologicamente più grave,
insidiosa, supportata da un impianto contabile o genericamente documentale, idoneo a sviare o ad ostacolare la successiva
attività di accertamento dell’amministrazione”.
9
In tal senso, già Cass., SS.UU., 27.3.2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv.239926; nonché Cass. 23.11.2006, n. 40266,
Bellavita, Rv. 235593; Cass. 8.10.2009, n. 42089, Rv. Carrera; Cass. 17.3.2010, n. 14866, Lovison, Rv. 246968.
128 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti
un ente non rientri tra quelli che fondano la responsabilità ex d.lgs. 231/2001 di
quest’ultimo, ma la relativa fattispecie ne contenga o assorba altra che invece è
inserita nei cataloghi dei reati presupposto della stessa, non è possibile procedere alla
scomposizione del reato complesso o di quello assorbente al fine di configurare la
responsabilità della persona giuridica10.
Il delitto di frode fiscale non è, pertanto, scomponibile al fine di sostenere la
responsabilità dell’ente per l’illecito amministrativo derivante dalla truffa ai danni
dello Stato, laddove tale delitto per le persone fisiche sia assorbito dalla contestazione
del delitto fiscale.
Una volta preclusa dal principio di specialità la contestazione del delitto di truffa
ai danni dello Stato la responsabilità da reato dell’ente non è ammissibile per l’assenza
del delitto presupposto e non è consentito recuperare frammenti della condotta di
frode fiscale per contestare all’ente l’illecito di cui all’art. 24, d.lgs. 231/2001.
10
Cass. 29.9.2009, n. 41488, Rimoldi ed altro, Rv. 245001.
11
SCOLETTA, Nuove ipotesi di responsabilità amministrativa degli enti, in AA.VV., Sistema penale e “sicurezza
pubblica”: le riforme del 2009, a cura di CORBETTA-DELLA BELLA-GATTA, Milano, 2009, p. 373.
12
CARACCIOLI, op.cit., p. 157.
13
Sulla variegata morfologia delle frodi carosello si vedano: MARCHESELLI, Frodi carosello e diritto penale tributario,
tra equivoci giurisprudenziali e prospettive future, in Giur.it., 2011, fasc. 5, p.1227; IZZO, Frodi carosello e confisca per
equivalente, in Il fisco, 2006, fasc. 37, p. 5827.
La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 129
14
Una analoga intonazione è ravvisabile nella giurisprudenza che ammette la costituzione di parte civile anche in
relazione al delitto associativo. Si veda in proposito Cass. 4.11.2004, n. 7259, Caprini ed altro, Rv. 231210.
15
La confisca di cui all’art. 11 della legge 16.3.2006, n. 146 ha ad oggetto i beni o altre utilità di cui il reo abbia la
disponibilità anche per interposta persona fisica o giuridica per una valore corrispondente al prodotto, profitto o prezzo
del reato. Si veda in proposito GAMBOGI, Il reato tributario transazionale: una confisca per equivalente particolare?, in
Riv.dir.trib., 2009, fasc. 11, pp. 158 e ss.
16
La giurisprudenza inoltre costantemente afferma che in tema di responsabilità da reato degli enti, nel caso di
illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto
conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la
sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti
anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel
quantum l’ammontare complessivo dello stesso (Cass., SS.UU., 27.3.2008, n.26654, cit.). L’orientamento è ulteriormente
ribadito da Cass. 6.3.2009, n.18536, P.M. in proc. Passantino, Rv. 243190, Cass. 3.2.2010, n.10810, Perrottelli, Rv. 246364 e
Cass. 24.1.2011, n.13277, Farioli, Rv. 249839.
17
Cass. 27.1.2011, n. 5869, Scaglia, Rv. 249537; Cass. 24.2.2011, n. 11969, Rossetti, Rv. 249760.
130 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti
18
Trib. Torino 28.1.2004, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2006, I, pp. 187 e ss., ha ravvisato gli estremi dell’ipotesi di cui
all’art. 5, comma 2, d.lgs. 231/2001 nella condotta degli imputati che avevano creato delle società c.d. cartiere al solo
fine di realizzare frodi fiscali e truffe ai danni dello Stato, escludendo che fosse ravvisabile un riconoscibile interesse
dell’ente alla commissione di tali reati. Nella ordinanza del Tribunale della Libertà di Milano del 28.4.2008 si rileva che la
forte commistione tra ente ed unico socio può comportare un asservimento del primo alle finalità illecite del suo titolare,
tale da rendere meno nitida la sussistenza di un interesse della società alla commissione del reato. La sentenza è stata
commentata da D’ARCANGELO, La responsabilità da reato delle società unipersonali nel d.lgs. 231/2001, in Resp. Amm.
Soc. Enti, 2008, III, pp. 145 ss.
19
Su tale fattispecie si veda: PIERGALLINI, Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, in Dir.pen.proc.,
2001, p. 1308; ID., L’apparato sanzionatorio, in AA.VV., Reati e responsabilità degli enti, Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n.
231, a cura di LATTANZI, Milano, 2005, p. 211; BASSI-EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato: accertamento, sanzioni
e misure cautelari, Milano, 2006, p. 340.
20
La Relazione Governativa afferma che “il comma terzo prevede l’applicazione obbligatoria della sanzione
dell’interdizione nello svolgimento dell’attività in via definitiva nei confronti di un ente, o di una sua unità organizzativa,
intrinsecamente illecito, il cui oggetto sia, cioè, proiettato in modo prevalente o assorbente alla commissione di reati. In
questa evenienza, pervero piuttosto infrequente nel contesto della tipologia di illeciti compresa nel decreto, l’interruzione
in via definitiva dell’attività mediante la sua interdizione, costituisce un inevitabile corollario: si tratta, infatti, di enti
strutturalmente e funzionalmente insensibili a qualsiasi prospettiva di riorganizzazione in direzione di un recupero
della legalità. Inoltre, il carattere intrinsecamente illecito dell’ente legittima appieno le scelte di rendere obbligatoria
l’applicazione della sanzione e l’inapplicabilità dell’articolo 17, relativi alla riparazione delle conseguenze del reato, che,
come si vedrà tra breve, permette, in presenza di determinate condizioni, la non applicazione, la non applicazione delle
sanzioni interdittive. Al cospetto di un ente «illecito» non avrebbe, infatti, alcun senso profilare un regime di discrezionalità
e conferire rilievo a condotte riparatorie. Ne deriva, invece, che la disposizione dell’articolo 17 è destinata a trovare
applicazione con riferimento ai casi contemplati nei primi due commi, in perfetta coerenza con la filosofia che ispira il
presente decreto, diretta a valorizzare i comportamenti di reintegrazione dell’offesa e di riorganizzazione dell’ente in vista
della prevenzione del rischio reato”.
21
Osserva LOTTINI, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di PALAZZO-PALIERO, Padova.
2007, p. 2309, sub art. 5, che il criterio del collegamento dell’interesse o del vantaggio non è richiesto nell’ipotesi in cui
La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 131
Una ulteriore forma di coinvolgimento degli enti nelle sanzioni per i reati fiscali,
in tal caso estranea all’ordito del d.lgs. 231/2001, sta emergendo in giurisprudenza
attraverso il ricorso alla c.d. confisca tributaria, che consente di sottrarre il vantaggio
patrimoniale che la condotta criminosa ha garantito all’evasore.
L’art. 1, comma 143 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (“Finanziaria 2008”) ha,
infatti, previsto che per i casi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e
11, d.lgs. 74/2000 si osservino, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art.
322-ter c.p.
Tale norma ha, pertanto, introdotto un forma di confisca obbligatoria e per
equivalente del profitto dei reati tributari (ad eccezione di quello di “occultamento o
distruzione di documenti contabili” di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000) ovvero la confisca
dei beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a quello del
profitto derivato dal reato.
La norma costituisce un efficace strumento di contrasto ai delitti fiscali, in quanto,
nell’assetto previgente, la estrema difficoltà di dimostrare un rapporto pertinenziale
(ovvero un nesso diretto, attuale e strumentale tra i beni del patrimonio del reo e le
condotte criminose)22 rendeva arduo il ricorso alle misure cautelari reali ed alla
confisca nell’ambito penale fiscale23.
La frode fiscale non origina infatti proventi sicuramente identificabili e riconoscibili
come tali con certezza nel patrimonio dell’autore del reato, traducendosi per lo più
in un in un risparmio fiscale (nell’ipotesi di frode per evasione) ovvero in un
potenziale arricchimento futuro sub specie di indebito rimborso (nell’ipotesi di frode
per rimborso).
I delitti di frode fiscale, in altri termini, producono un vantaggio economico
esclusivamente nella forma del mancato depauperamento e le relative utilità si
confondo nel complesso delle disponibilità di chi ne ha tratto vantaggio, sottraendosi
l’ente o una sua unità organizzativa è destinato allo scopo esclusivo o prevalente di consentire o agevolare la commissione
di un reato in relazione al quale è prevista la responsabilità ex decreto 231 del 2001, in quanto in questo caso ciò
che appare rilevante è l’oggettiva destinazione dell’ente agli scopi indicati. Non avrebbe, infatti, senso parlare di reato
commesso nell’interesse o a vantaggio di una entità destinata precipuamente al perseguimento di scopi illeciti. In senso
analogo si esprime D’ARCANGELO, Abuso dello schermo societario, utilizzo strumentale dell’ente e logica sanzionatoria
del d.lgs. 231/01, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2009, III, pp. 7 ss.
22
Cass. 7.12.1992, n.2206, Miatto ed altri, Rv. 192669, ha statuito che “in tema di frode fiscale, è illegittimo il sequestro
preventivo di un libretto di deposito bancario o di certificati di credito, poiché non è ravvisabile il rapporto pertinenziale,
non trattandosi di prodotto o profitto del reato. Non si può infatti affermare che i valori depositati siano cose e utilità
create, trasformate o acquisite con la condotta criminosa ovvero acquistate mediante la realizzazione della prima. Né i
medesimi sono frutto di indebito arricchimento per la somma corrispondente all’imposta evasa, potendo tale collegamento
riferirsi a qualsiasi altro bene o utilità”. Cass. 20.9.2007, n. 38600, Corigliano, Rv. 238161, ha statuito che in tema di frode
fiscale, non può automaticamente ritenersi la legittimità di un provvedimento di sequestro preventivo di somme di denaro
depositate presso istituti bancari, poiché il necessario rapporto pertinenziale con il reato non è ravvisabile ictu oculi, ma
va specificamente individuato e chiarito nella motivazione del provvedimento ablativo, nel senso che deve trattarsi di
denaro che costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a commetterlo o, comunque,
concretamente destinato alla commissione del medesimo, non essendo sufficiente l’astratta possibilità di destinare il denaro
a tal fine a farlo ritenere cosa pertinente al reato.
23
Cass.. SS.UU. 24.5.2004, n. 29951, C. fall. in proc. Focarelli, Rv. 228166, rilevava che: “deve pur sempre sussistere,
comunque, il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il danaro sequestrato ed il reato del
quale costituisce il profitto illecito (utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta
criminosa). In particolare, in relazione agli illeciti fiscali, devono escludersi collegamenti esclusivamente congetturali, che
potrebbero condurre all’aberrante conclusione di ritenere in ogni caso e comunque legittimo il sequestro del patrimonio
di qualsiasi soggetto venga indiziato di illeciti tributari”.
132 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti
24
Cass. 1.12.2010, n. 10120, Provenzale, Rv, 249752.
25
Cass. 1.12.2010, n. 10120, cit..
26
GAITO, Sequestro e confisca per equivalente. Prospettive di indagine, in Giur.it., fasc. 8-9, c. 2066.
27
Cass. 7.7.2010, n. 35807, Bellonzi ed altri, Rv. 248618.
28
Cass. 26.5.2010, n.25890, Molon, Rv. 248058, nella specie, si trattava di frode fiscale attuata mediante presentazione
di una dichiarazione annuale in cui erano stati indicati elementi passivi fittizi derivanti da annotazione in contabilità di
operazioni oggettivamente inesistenti, con sottrazione al Fisco del pagamento dell’IVA dovuta. In senso analogo si esprime
Cass. 1.12.2010, n. 10120, cit.
29
PISANI, Reati tributari del rappresentante legale della persona giuridica e sequestro per equivalente, in Fisco, 2011,
29, 4696 ha argomentato che confisca è applicabile nei confronti dell’ente nelle ipotesi in cui il reo abbia comunque la
disponibilità in fatto o in diritto dei beni sociali.
30
PERINI, “Reati tributari”, in Dig.disc.pen., IV Agg., Torino, 2008, p. 943.
31
SANTORIELLO, Sul sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo
interesse, in Fisco, 2001, 11.
La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 133
sottese all’introduzione della confisca per equivalente nel sistema penale tributario e,
pertanto, si risolve in una surrettizia violazione del divieto costituzionale di
applicazione analogica della legge penale.
Consentire la confisca per equivalente anche sui beni della società beneficiata
dall’evasione fiscale realizzata dal suo amministratore consentirebbe proprio di
pervenire a un risultato che l’ordinamento al momento espressamente non consente
di raggiungere, ovvero sanzionare una persona giuridica per gli illeciti tributari
commessi nel suo interesse dall’amministratore o altri soggetti comunque dipendenti
dell’ente, atteso che, come detto, i reati fiscali non rientrano nel novero dei crimini
che possono fondare la responsabilità dell’ente32.
Tali obiezioni, tuttavia, non paiono convincenti.
Nella sintassi del codice penale il profitto del reato è il vantaggio di natura
economica che deriva dalla commissione del reato e che non necessariamente è
conseguito da colui che ha posto in essere l’attività illecita33.
Secondo un oramai consolidato orientamento giurisprudenziale, del resto, deve
essere espunto dal novero delle persone estranee al reato non solo chi abbia concorso
alla realizzazione dello stesso, quand’anche non sia intervenuto nel processo, ma
anche chi vi abbia partecipato con attività altrimenti connessa, ancorché non punibile,
chi vi abbia avuto un qualsiasi collegamento o ne abbia tratto un illecito profitto.
Non è, pertanto, estranea al reato, la persona giuridica34 che, pur estranea al
processo, sia stata coinvolta nell’attività illecita dell’indagato35 o abbia utilizzato i
profitti che sono derivati dal reato. L’estraneità al reato richiede non solo la buona
fede36, ma anche l’affidamento incolpevole.
Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato la possibilità di ricorrere al
sequestro preventivo preordinato alla confisca disciplinata dall’art. 1, comma 143,
legge 24 dicembre 2007, n. 244, oltre che nei confronti del patrimonio delle persone
indagate, anche nei confronti dei beni delle persone giuridiche amministrate o dirette
dagli indagati37.
In una pronuncia ancora più recente la Corte di Cassazione38 ha ribadito che tale
forma di confisca può attingere anche i beni di una società quando la stessa abbia
tratto vantaggio dalla commissione del delitto tributario salvo che via sia stata una
rottura del rapporto organico.
La società non può considerarsi estranea al reato perché beneficia degli incrementi
economici che ne sono derivati e l’amministratore imputato ne ha la libera disponibilità
in quanto li gestisce in qualità di legale rappresentante.
Questo principio non richiede che l’ente sia responsabile ai sensi del d.lgs.
231/2001 in quanto la confisca per equivalente costituisce una forma di prelievo
pubblico a compensazione di prelievi illeciti.
32
SANTORIELLO, op.cit., 12.
33
Cass., SS.UU., 24.5.2004, n. 29951, cit.
34
Cass. 14.6.2006, n. 31989, Troso, Rv. 235128.
35
Cass. 8.7.1991, n. 3118, Soc. Capital Finanziaria Italiana, Rv.188391, in Riv. Pen., 1992, p. 697.
36
Nella giurisprudenza la buona o mala fede dell’ente risultato terzo proprietario dei beni sequestrati viene di
frequente accertata imputando all’ente lo stato soggettivo del proprio legale rappresentante; si vedano in proposito: Cass.
9.12.2004, n. 1927, P.C.in proc. Ambrono e altro, Rv. 230905; Cass. 5.5.2008, n. 3508, Pacini ed altro, Rv. 241376.
37
Cass., 1.12.2010, n. 662, Cavana ed altri, Rv. 249276.
38
Cass. 7.6.2011, n. 28731, non ancora massimata.
134 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti