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Francesco Lamendola

Il segreto capire che tutto ci che abbiamo amato esiste per sempre
Le cose e le persone che abbiamo amato non dileguano nel nulla con la separazione; il tempo e la stessa morte non hanno potere su di loro. Questo concetto viene magistralmente espresso dallo scrittore svedese Pr Lagerkvist (1891-1974, premio Nobel nel 1951) nella sua poesia Tra diecimila anni (da: Da Dikter, traduzione italiana di G. Origlia, Edizioni Italica): Tra diecimila anni Sotto gli alberi passer Una fanciulla snella e bionda Coi fiori nei capelli, e sar ancora primavera. unora mattinale Qui nel bosco della mia giovinezza, dove tutto fresco di rugiada, ogni sentiero, ogni albero e cespuglio, tutto ci che non perisce. Luminoso, il ramo della betulla sfiora La sua fronte pura, ed ancora lei che un giorno ho amato, tutto ci che stato esiste ancora. Tuttavia, poich desideriamo dare uno spessore filosofico alla nostra affermazione, e non fare solamente della poesia, giusto che ci venga domandato su quali ragionamenti di natura razionale siamo in grado di fondarla. Qualcuno, ad esempio, potrebbe obiettare perch mai solo le cose che abbiamo amato sfuggano alla morsa del tempo e godano di una vita perenne; e non, ad esempio, anche quelle che abbiamo odiato o avversato profondamente. In linea di massima, l'obiezione giusta: sono i grandi sentimenti che producono quelle particolari vibrazioni dell'essere, che conferiscono una esistenza perenne, atemporale, agli enti sui quali si riversano; solo le cose che ci lasciano indifferenti non producono alcuna risonanza e, pertanto, scivolano definitivamente nell'oblio. Bisogna tuttavia tenere presente che l'essere nasce da un atto primordiale di amore; che l'intero universo, dalle galassie al filo d'erba, ha avuto origine da una formidabile espansione di amore; che solo l'amore in grado di creare nel vero senso della parola: perch un accrescimento dell'essere, dunque una promozione di esistenza, che si tratti di un'opera d'arte o di uno slancio di bene puro e disinteressato.

L'odio ed i sentimenti affini mobilitano, bens, le nostre forze profonde, e mettono in opera una intensa vibrazione dell'essere; ma si tratta, appunto, di un fenomeno puramente negativo, di un movimento distruttivo che tende ad autoeliminarsi. Prendiamo il caso dell'invidia. La persona che nutre invidia per qualcuno, riversa su di lui tutta la sua malevolenza, perch lo tormentano i demoni della insoddisfazione di s e della scarsa stima che nutre nei propri confronti. Tutto questo nasce da una privazione, da una deficienza di essere, non come nel caso dell'amore - da una sovrabbondanza; e la deficienza di essere una tendenza al non essere; un vuoto, non un pieno. Sarebbe illogico pensare che il non essere produca qualche cosa di permanente; evidente che solo ci che possiede l'essere in alto grado, pu vincere le limitazioni del tempo e dello spazio. Coloro i quali dicono che l'amore ci trasporta in una dimensione magica, non sanno - generalmente - fino a che punto hanno ragione, e come le loro parole si devono intendere in un senso non solamente poetico e metaforico, ma pressoch letterale. Amare qualcosa, infatti, significa promuoverne l'esistenza al pi alto grado; significa potenziarla in misura straordinaria, fino al punto di conferire ad essa una seconda esistenza, profonda e definitiva, irrevocabile. Per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, dobbiamo innanzitutto separare nettamente l'esistenza fisica delle cose dalla loro esistenza profonda. Ci che possiamo sperimentare mediante i sensi non che una piccola porzione della realt, oltretutto illusoria: il velo di Maya ci separa dall'essenza profonda di essa, e noi ci muoviamo in un mondo di ombre, scambiandole per la realt vera. Come nel caso dei grandi icerbergs alla deriva nei mari polari, dei quali emerge una porzione non superiore ad un nono della massa totale, allo stesso modo gli enti cui noi attribuiamo una esistenza materiale indipendente non sono che la parte visibile, effimera e di gran lunga minore, della loro dimensione nascosta, che non dato esperire con i sensi ordinari, ma con altri sensi: primo fra i quali, il silenzio carico di partecipazione e percorso da intense vibrazioni, ben noto ai mistici di ogni tempo e luogo. Vi era un ciliegio, nel giardino della casa di fronte alla nostra, che a primavera fioriva tutto e pareva una stupenda nuvola bianca; lo hanno tagliato - per la pi meschina delle ragioni: dicevano che faceva sporco - e ora sembra che non ci sia pi. In realt, si sottratto all'occhio del corpo; ma l'occhio dell'anima lo vede ancora; ne gioisce ancora: gli ha conferito una tale sovrabbondanza di essere, che nulla e nessuno potranno mai pi cancellarlo. Ecco, con questo semplice esempio crediamo di aver reso l'idea di ci che intendiamo, quando affermiamo che le cose e le persone che abbiamo amato, in realt, non dileguano nel nulla allorch dobbiamo separaci da esse; e che il tempo e perfino la morte non hanno potere su di loro. Nel mondo illusorio delle apparenze, esistono i congedi ed esistono le partenze: ma nell'unico mondo realmente esistente, quello dell'essere, nulla parte e da nulla ci dobbiamo congedare in modo irreversibile, di tutto ci che abbiamo veramente amato. Si tratta di incominciare ad esercitare i nostri sensi profondi, la nostra capacit di ascolto, e di non basarci unicamente su ci che ci dicono la vista, l'udito, l'olfatto, il gusto e il tatto. Nemmeno ci che ci dice il pensiero razionale la misura ultima e infallibile del nostro conoscere; e anche se, da Cartesio in poi, tale approccio alla realt sembra avere acquisito il crisma della infallibilit, i grandi filosofi antichi, primi fra tutti Platone e lo stesso Aristotele, sapevano molto bene che il Logos razionale non affatto la forma pi alta e definitiva di conoscenza. Sono tutti pregiudizi materialisti e razionalisti, che ci allontanano da una retta comprensione del nostro posto nel mondo e fuorviano la nostra intelligenza, la quale una funzione molto pi ampia del semplice pensiero strumentale e calcolante, sul quale basata tutta la scienza moderna, e che pretende di identificarsi con la nostra anima. L'anima, invece, non uno strumento di conoscenza come un altro; essa si serve anche del pensiero razionale, cos come delle informazioni trasmesse dai sensi corporei; ma , essa medesima, una modalit dell'essere, dunque un soggetto e non un oggetto. 2

Se, dunque, tute le cose amate esistono per sempre, ci si potrebbe domandare in che cosa consista la differenza tra la loro esistenza nelle nostre menti, sotto forma di ricordo, e la loro esistenza intrinseca, come enti a s stanti e con carattere permanente. Secondariamente, ci si potrebbe domandare come sia possibile che l'uomo, creatura finita, generi, per cos dire, degli enti ontologicamente autosufficienti, destinati a vivere oltre la sua stessa morte. Alla prima domanda rispondiamo che TUTTO ci che esiste nelle nostre menti, esiste per sempre: perch le nostre menti sono parte di una Mente infinita; o, se si preferisce, sono una manifestazione dell'Essere. Perci il ricordo una cosa, l'esistenza degli enti nella nostra mente un'altra cosa; il primo si attualizza per mezzo della memoria, la seconda trascende la memoria, cos come la cosa contenuta trascende il contenitore cui temporaneamente legata. A questo duplice tipo di esistenza degli enti, generalmente si suppone che se ne debba aggiungere un terzo: le cose in se stesse. L'opinione delle filosofie realiste che l'esistenza delle cose esterne sia autoevidente; e, inoltre, che essa sia indispensabile, sul piano logico e sul piano conoscitivo, quale supporto e fondamento di tutto ci di cui facciamo esperienza. Tuttavia, entrambe le convinzioni sono assai pi opinabili di quanto i realisti non credano. L'autoevidenza degli enti esterni , a dir poco, opinabile: perch, se fossero realmente tali, nulla mai potremmo sapere di essi.. Al contrario, tutto ci di cui facciamo esperienza, cos come tutto ci di cui possiamo avere una idea, non mai qualche cosa di esterno, ma sempre e solo qualche cosa di interno alla nostra mente. Questa finestra, dalla quale si vedono alberi, case e colline, rondini e nuvole, non esterna alla mente, ma interna: tutto quello che possiamo sapere di essa sono una determinata forma, determinati colori, insomma una serie di impressioni sensoriali. E le impressioni sensoriali non sono di certo al di fuori della mente che le percepisce; opinare diversamente, sarebbe una contraddizione in termini, una impossibilit logica e gnoseologica. Quanto alla necessit di postulare l'esistenza di una realt esterna, fatta di cose, di luoghi e situazioni che stanno fuori di noi, quale fondamento di quella realt interna che noi conosciamo attraverso la nostra mente, ci sembra che tale supposta necessit costituisca una conclusione maggiore della premessa. La premessa che noi, all'interno della nostra mente, prendiamo conoscenza di una serie di cose; la conclusione sarebbe che quelle cose devono esistere anche fuori, altrimenti non si capisce da dove verrebbero le nostre conoscenze. Ma la conclusione maggiore, e non dimostrata, perch esistono altre maniere, pi semplici, di spiegare l'origine delle cose che noi conosciamo e che, impropriamente, chiamiamo realt esterna. Secondo la ben nota teoria del rasoio di Ockham, bisogna evitare di moltiplicare inutilmente gli enti, poich l'essere tende alla semplicit. Ora, ci che i realisti fanno di duplicare ogni complesso di percezioni della nostra mente, sdoppiandolo in un oggetto interno (le sensazioni della nostra mente) ed in uno esterno (gli oggetti in se stessi). Questo significa moltiplicare a dismisura il numero degli enti; e, per giunta, attribuire loro una esistenza fisica e materiale, che non punto necessaria nell'economia generale della nostra percezione del mondo. In verit, pi che sufficiente immaginare che vi sia UNA sola mente, la quale pensa TUTTI gli enti del cosiddetto mondo esterno; e che li pensi DENTRO le menti finite (non solo umane, ma anche non umane). Questa , a un dipresso, la concezione del filosofo George Berkeley; e, per quanto ci risulta, non mai stata realmente confutata, bench irriti moltissimo i realisti i quali si sono sforzati, e si sforzano, di confutarla in ogni modo. Si dir che la posizione qui sostenuta di un tipo platonico estremo; perch nn solo affianca ad ogni oggetto reale un oggetto ideale, del quale il primo sarebbe solo una copia sbiadita e imperfetta; ma nega addirittura che vi siano degli oggetti reali esterni, riducendo tutti gli enti a pensieri dell'Essere, che li pensa nelle menti finite e, forse, anche fuori delle menti finite, ossia direttamente in se stesso: sicch un albero continua ad esistere anche quando nessuno lo vede, per il semplice fatto che lo sta pensando, e quindi vedendo, la Mente infinita dell'Essere. S, proprio cos. 3

L'esistenza di un mondo esterno non affatto necessaria per spiegare l'origine delle nostre percezioni; e meno ancora lo l'esistenza di un mondo fisico. A questo punto, apparir forse pi chiaro quel che abbiamo sostenuto all'inizio della presente riflessione, e cio che le cose e le persone che abbiamo amato non dileguano nel nulla con la nostra separazione da esse; e che il tempo e la stessa morte non hanno potere su di loro. Le cose che esistono, esistono in noi, perch originate dall'Essere; e noi continueremo ad esistere, in una modalit diversa dall'attuale, cos come esistevamo prima di nascere, perch tutto ci che esiste, che esistito e che esister, parte dell'Essere; e l'Essere non conosce nascita e morte, non conosce separazione, non conosce cambiamento. Noi siamo parte dell'Essere: una scintilla dell'Essere che da esso proviene e ad esso anela a fare ritorno. E tutto ci che abbiamo amato una scintilla di questa scintilla; anch'essa vuole tornare all'Essere, ma non per fondervisi ed annullarvisi, bens per riconoscervisi e per raggiungere la propria pienezza e la propria suprema realizzazione.

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