Sei sulla pagina 1di 5

Secondo le stime di IDC, un istituto di ricerca

specializzato nelle nuove tecnologie, nel 2006


abbiamo prodotto circa 161 exabyte di
informazioni digitali (“exabyte” è l'unità di
misura coniata per indicare un miliardo di
gigabyte), una quantità di dati, in forma di 0 e
1, mostruosa (dalle email ai video su YouTube,
le foto, gli sms, i blog, la musica ecc. ecc.).
Brian Bergstein, di Associated Press, ha
paragonato 161 exabyte a dodici pile di libri
dalla Terra al Sole. Oppure, a tre milioni di
volte tutti i libri mai scritti nella storia dell'uomo. Per conservare una mole tale di
informazioni, sarebbero necessari due miliardi degli iPod più capienti.

Andando avanti di questo passo, dicono i ricercatori di IDC, l'umanità finirà per
produrre più informazioni di quante sia in grado di conservare nelle grandi memorie
dei server. Secondo IDC, nel 2006 il mondo aveva a disposizione una capacità di
archiviazione complessiva di 181 exabyte, lievemente superiore quindi alla quantità
di dati prodotti. Nel 2010, però, la situazione si ribalterà: i 601 exabyte a
disposizione potrebbero non bastare (si stima una produzione di 988 exabyte).
Naturalmente, non tutto necessiterà di essere archiviato e potrà essere cancellato.
Tuttavia, la moltiplicazione delle informazioni è un dato di fatto che non va
sottovalutato, anche perché connaturato alla natura stessa della comunicazione
digitale, dominata dall’abbondanza e dall’eccesso. Con l'ulteriore diffusione della
banda larga e le sinergie tra Internet e telefonia mobile, la quantità di dati
aumenterà ancora di più, poiché convergeranno media “pesanti” come cinema e tv.

In futuro, saremo sommersi da una tale quantità di


informazioni che l'industria che gestisce i sistemi di
archiviazione e trasmissione dati assumerà un ruolo
sempre più importante. Non a caso, Google sta già
sviluppando un servizio per aiutare le università del mondo
a scambiare ingenti moli di informazioni. Dopo gli exabyte,
già si intravedono i “zettabyte” (mille miliardi di gigabyte) e
gli “yottabyte” (un milione di miliardi di gigabyte).

Che il mondo fosse minacciato dall' “information overload”


lo aveva già stabilito una precedente stima dell'Università di
Berkeley, secondo la quale le informazioni digitali prodotte
nel 2003 ammontavano a 5 exabyte. In quel caso, i
ricercatori avevano messo in conto anche le informazioni non elettroniche come le
trasmissioni radio analogiche e gli appunti da ufficio, sommando il consumo di
spazio dopo la loro eventuale digitalizzazione. IDC si è invece mossa su binari
differenti: nel conto sono finiti i nudi dati in formato binario, oltre al numero di volte
in cui essi sono stati replicati. Un file audiovisivo proveniente dalla tv digitale è stato
ad esempio conteggiato quando è stato prodotto e anche ogni volta che gli utenti
ne hanno fruito. Se si fossero limitati alla sola produzione delle informazioni, i
ricercatori avrebbero dovuto fermarsi a 40 exabyte totali.

Un lavoro, quello di IDC,


basato su molte delle analisi
di mercato interne della
società, e per questo difficile
da riprodurre o da
confutare/confermare. Due
ricercatori dell'Università di
San Diego, che utilizzeranno
il metodo-Berkeley per un
rapporto che verrà pubblicato
in futuro, sostengono come lo
studio vada preso con le
molle, ma, purtuttavia, “i
numeri non dovrebbero
essere eccessivamente fuori
obiettivo”. Ciò che è cresciuto
maggiormente, in maniera
esponenziale, sono i
contenuti autoprodotti: IDC
prevede che arriveranno al
70% del totale entro il 2010.
Notevole poi l'inflazione degli
archivi generati dalle aziende a seguito di un crescente utilizzo di sistemi di
videosorveglianza e ritenzione dei dati.

La crescita di Internet sarà dunque cruciale: secondo la stima elaborata da uno


studio di EMC Corporation, nel 2010 ci saranno 1,6 miliardi di navigatori sul web a
fronte degli attuali 1,1 miliardi. Un ricercatore australiano, Neville Meyers, sostiene
che l' “info-stress” potrebbe consistere nell'assunzione da diversi media, internet in
particolare, di una grande quantità di informazione in un tempo non sufficiente a...
digerirla. Meyers, che svolge le sue attività presso la Queensland University of
Technology, vuole focalizzare le proprie ricerche proprio su quei lavoratori che per
esigenze di impiego hanno a che fare molte ore tutti i giorni con diverse fonti di
“input”, dagli SMS al web, dalla televisione alla posta elettronica. L'info-stress,
questa la teoria, provoca ansia, incapacità di prendere decisioni e persino malattie.
“I nostri cervelli - ha spiegato lo scienziato - sono capaci di elaborare quantità
infinite di informazione ma ci si può trovare con troppa informazione, e troppo
velocemente. Questo può provocare una sorta di paralisi da informazione”.
Secondo Meyers, esistono fondamentalmente tre tipologie caratteriali identificabili
nel modo in cui l'informazione viene gestita: chi va a caccia informazioni, chi
aspetta di riceverle e chi cerca di procrastinare il contatto con le stesse. Tra le
possibili soluzioni ad un problema di infostress, Meyers ipotizza una diversa
educazione ai mezzi di comunicazione. Una buona idea, per esempio, sarebbe
quella di non collegarsi ad internet dopo una certa ora o spegnere il cellulare ogni
volta che sia possibile. “Mi chiedo - ha affermato Meyers riferendosi ai tanti suoi
studenti che passano lunghe ore al computer - se quella che stiamo crescendo non
sia una generazione di drogati di informazione”.

“Il primo diluvio è stato di


acqua, il secondo è il diluvio
dell'informazione” (Pierre
Levy).

Il “sovraccarico cognitivo”,
noto come “Information
overload(ing)”, si verifica
quando si ricevono troppe
informazioni per riuscire a
prendere una decisione o
sceglierne una specifica sulla
quale focalizzare l'attenzione.
Lo sviluppo della tecnologia
ha contribuito alla diffusione
e alla riconoscibilità di questo
fenomeno. La grande quantità di informazioni che si ottengono con un interfaccia
mal progettata o su siti Internet scadenti, possono inibire la capacità di scremarle.
Nel caso della “Net-Addiction” (Internet dipendenza), ad esempio, vi sono soggetti
che passando in continuazione da un sito web all'altro, non riescono a fermarsi né
a ricordare le informazioni ricevute.

Information Overload Addiction: il paziente non compra più un giornale dal tardo
settecento. Non parla, non mangia, non dorme e non va in bagno. Sono rimasti
solo lui, Remo Williams e Topolino. Un tipo un po' attempato, Mr. Google, gli ha
confidato in via riservata che ci sono miliardi di pagine Web ed infiniti portali di là da
quelle. Ed eccolo impalato che legge per mesi la stessa notizia, ogni giorno ad un
indirizzo nuovo: cambia di una parola e due virgole e così nel tempo di qualche
eone si tramuta in una verità sensazionale che per nulla si sarebbe potuta perdere.
Identica a quella di partenza. Michael Schudson, studioso più autorevoli dei
fenomeni legati alla comunicazione di massa, ha sostenuto negli ultimi anni un'idea
dissacrante di come il cittadino deve considerare se stesso, nel mondo
dell'information overload. Occorre superare, Schudson dice, l'ideale astratto del
“cittadino informato”, cioè del cittadino che deve essere informato su tutto per poter
partecipare con razionalità alla vita pubblica. Il cittadino può limitarsi, in questo
nostro mondo pieno zeppo di informazioni, ad essere “monitorante” (“monitorial
citizen”). Deve, cioè, fare scanning dell'ambiente che lo circonda, in modalità a
basso consumo cognitivo, ed essere pronto a diventare attivo solo quando il suo
intervento sia rilevante.

Quello che propone Schudson è (“scanning a basso consumo cognitivo”) è un


modo pragmatico di trattare le informazioni spazzatura che ci sommergono,
cercando di sviluppare l'abilità e la competenza per navigare, letteralmente,
nell'infosfera, piuttosto che affogarci o andare alla deriva. Compito dei professionisti
dell' “info-nautica”, sarebbe proprio quello di aiutare il cittadino della rete a
realizzare al meglio la propria funzione di monitorante e a sviluppare capacità di
selezione proprie.

Lo studioso del virtuale Pierre Levy ha parlato di “diluvio dell'informazione”:

[...] Dunque il problema è di sapere che cosa si deve salvare, che cosa si deve
mettere nell'arca, come dovremo navigare. Il problema della navigazione nel
cyberspazio si presenta come navigazione dell'arca nel diluvio informazionale. È
bene esserne coscienti. Occorreranno i giusti strumenti per orientarci e filtrare
l'informazione. In secondo luogo, credo che il rapporto con il sapere sia
completamente cambiato: viviamo in un'epoca in cui una persona, un piccolo
gruppo, non può più controllare l'insieme delle conoscenze e farne un tutto
organico. È divenuto impossibile anche per un gruppo umano importante. Ciò vuol
dire che la ricostituzione di un tutto organico, che abbia senso, non può essere fatta
da individui o da piccoli gruppi. Dobbiamo imparare a costruire un rapporto con la
conoscenza completamente nuovo. In un certo senso non è un male: dà molta più
libertà all'individuo o al piccolo gruppo, ma certo è molto più difficile.

La conoscenza, la cultura, è qualcosa che si sta definitivamente detotalizzando. Vi


dicono: potrete avere accesso a tutte le informazioni, alla totalità delle informazioni,
ma è proprio il contrario: adesso sapete che non avrete mai accesso alla totalità.
Questo è il messaggio del cyberspazio e voi dovete saper selezionare [...] Ritorno
sull'intelligenza collettiva. Voi e il piccolo gruppo, a cui appartenete e con cui avete
uno scambio più stretto, non potrete mai sapere tutto e quindi sarete,
necessariamente, obbligati a fare appello ad altri. Nasce così la necessità di fare
appello agli altri, alle conoscenze degli altri e alle loro capacità di navigazione: i
messaggi che hanno più valore nel cyberspazio sono quelli che vi aiutano a trovare
dei riferimenti, a orientarvi, quelli che hanno meno valore sono quelli che
aumentano la massa senza dare visibilità o trasparenza alle conoscenze
disponibili.

Se mettete un documento sul Word Wide Web, fate due cose insieme: primo,
aumentate l'informazione disponibile, ma, in secondo luogo, fate anche un'altra
cosa: con i nessi che stabilite tra il vostro documento e l'insieme degli altri, voi
offrite al navigatore che arriverà su quel documento il vostro punto di vista. Quindi
non soltanto aumentate l'informazione, ma inoltre offrite un punto di vista
sull'insieme dell'informazione. Che cos'è il Word Wide Web? Non è soltanto una
enorme massa di informazione, è l'articolazione di migliaia di punti di vista diversi.
Bisogna considerarlo anche sotto questo aspetto [...]

(Tratto da Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche).

(Pubblicato su Ecplanet 24-03-2007)

LINKS
IDC information overload chart on Flickr

IDC’s “Diverse & Exploding Digital Universe” report techliberation 14-03-2008

Information overload - Wikipedia

Data overload causing addiction Zdnet 08 dicembre 1997

Infostress

Internet, una generazione di stressati PuntoInformatico 04 luglio 2003

MONITORIAL CITIZEN

Potrebbero piacerti anche