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NON SOLO DI PIL 1.

Un problema che viene da lontano "Ci avevano insegnato ad occuparci solo del prodotto interno lordo perch poi questultimo si sarebbe preso cura della povert. Ribaltiamo questa opinione, occupiamoci della povert perch ci, a sua volta, si prender cura del prodotto interno lordo. In altri termini, preoccupiamoci del contenuto del prodotto lordo, ancor pi che del suo tasso di incremento", scriveva l'economista pakistano Mahbub ul Haq nel 1971, mettendo in dicussione l'idea comunemente accettata che la ricchezza e lo sviluppo di una comunit fossero basati unicamente sulla quantit di merci e servizi prodotti e messi a disposizione dei suoi componenti. "A rising tide lifts all boats", afferm il presidente degli USA John Kennedy in un discorso del 1963. Il mare in questione la produzione nazionale, e le barche rappresentano il destino dei singoli: pu non migliorare la condizione di ogni individuo, quando aumenta la ricchezza collettiva? Economisti come Streeten, Stewart, Mahbub ul Haq e Amartya Sen, hanno fatto compiere al pensiero economico un percorso tale da portarci oggi a rispondere decisamente di si. La condizione dei componenti di una comunit non legata unicamente all'andamento del prodotto interno lordo, cio del valore monetario totale delle merci e dei servizi prodotti in un dato lasso di tempo. Se dovessi riassumere in una frase il significato del lavoro che questi e altri studiosi hanno compiuto in tale direzione, direi che hanno rimesso l'uomo al centro della scienza economica, ricordandoci che la crescita non deve essere considerata un fine in s, ma un mezzo per migliorare la vita delle persone. In altre parole l'economia non solo elaborazione e studio di modelli astratti da riempire di numeri, ma anche e sopratutto osservazione di ci che accade nella vita reale a persone in carne ed ossa. Il Pil ha dei meriti notevoli. E' una di quelle misure aggregate senza le quali chi si occupa di orientare le politiche economiche si troverebbe sperduto in un mare di singoli dati non organizzati, e non sarebbe in grado di stabilire e raggiungere degli obiettivi economici [Samuelson 1995]. La rappresentazione di un fenomeno attraverso un unico indicatore presenta linnegabile vantaggio di essere facilmente comunicabile e utilizzabile per immediati confronti nel tempo e nello spazio. Ma fuorviante attribuire al Pil anche la funzione di misuratore del benessere. Del resto lo stesso ideatore del Pil, Simon Kuznets, ha avvertito che "difficilmente il benessere di una nazione pu essere dedotto dalla misura dei redditi nazionali", e che bisogna stare attenti non solo agli aspetti quantitativi della crescita ma anche alla sua qualit, cio al suo contenuto e ai suoi effetti sul lungo termine, se si vuole indirizzarla nel modo giusto. Il rifiuto di ridurre l'evoluzione delle societ umane a mera crescita economica quantitativa, come si fatto e si fa ogni volta che si compara il Pil delle diverse nazioni per stabilire chi che " pi ricco e quindi sta meglio", va di pari passo con la ricerca di una nuova definizione di sviluppo, che ponga questo concetto in "una relazione molto pi stretta con la promozione delle vite che viviamo e delle libert di cui godiamo"[Sen 2000]. Senza dimenticare l'importanza della crescita economica, dobbiamo per guardare molto pi in l: dobbiamo capire fino a che punto le persone sono messe in condizione di esprimere il loro potenziale, cio fino a che punto una societ riesce a permettere a ogni suo componente di compiere le azioni che, in base a scelte soggettive, egli considera necessarie a condurre una vita apprezzabile. Non si tratta solo di soddisfare le esigenze primarie, ma della possibilit di "essere nel modo pi completo individui sociali, che esercitano le loro volizioni, interagiscono col mondo in

cui vivono e influiscono su di esso"[Sen 2000]. 2.Le imperfezioni del PIL Ma, se risulta evidente che per esercitare queste prerogative necessario avere il controllo su determinati prodotti, per quali motivi il Pil non sufficiente come indicatore del benessere di una societ? Per prima cosa il fatto che una certa quantit di merci sia stata prodotta non significa che tutti abbiano accesso a questi beni e che siano in condizione di usarli per migliorare la propria esistenza. Gli esponenti della teoria dei Basic Needs, nata in seno alla World Bank negli anni '70, indicavano come primo presupposto dello sviluppo la soddisfazione dei bisogni essenziali di tutti. Una nazione non dovrebbe quindi limitarsi a promuovere la crescita economica, sulla base della convinzione che questa porter benefici a tutta la popolazione, ma distribuire in modo equo le sue risorse in modo che la crescita sia indirizzata al benessere collettivo. Della distribuzione delle risorse e del fatto che qualcuno sia privato di cibo, acqua, alloggio, vestiario, sanit e istruzione, il Pil non ci dice assolutamente nulla. Per questo necessario, nel cercare di analizzare il grado di sviluppo di una nazione, implementare i dati sulla crescita economica con quelli sulla distribuzione del reddito e sulla povert, i cui indicatori pi usati sono l'indice di Gini e lo Human Poverty Index (HPI). L'indice di Gini in grado di esprimere in termini percentuali il grado di concentrazione del reddito, quindi la ripartizione della ricchezza all'interno di una collettivit. Per mezzo di questo indicatore misuriamo quanto nei paesi in via di sviluppo, sopratutto quelli africani e sudamericani, i redditi siano concentrati nelle mani di un elit. Se in una nazione insieme al Pil aumenta anche l'indice di Gini, possiamo dedurre con buona approssimazione che la condizione della parte povera della popolazione sia rimasta immutata. L'HPI stato elaborato dall'ONU per misurare il grado di povert di una nazione. Per i paesi in via di sviluppo si calcola in base ad aspettativa di vita, analfabetismo, mancato accesso all'acqua potabile, denutrizione infantile e numero di redditi inferiore al dollaro al giorno. Per i paesi industrializzati invece che accesso all'acqua e denutrizione infantile si calcola l'esclusione sociale, misurata dalla disoccupazione di lungo periodo, mentre al posto dell'analfabetismo completo si misurano le forme di scarsa alfabetizzazione. Allanalisi della capacit di creare ricchezza va dunque affiancata quella sulla sua distribuzione. Ma una cattiva distribuzione del reddito non l'unico fattore in grado di impedire ad alcune persone di soddisfare le proprie esigenze. Possono entrare in gioco fattori sociali e culturali, come quelli che in gran parte del mondo rendono ancora oggi difficile per le donne avere accesso al mercato del lavoro, al credito o all'istruzione superiore. Perseguire l'eguaglianza tra i sessi e rafforzare la posizione delle donne nella societ il terzo degli otto "Millennium Development Goals", gli obiettivi che l'ONU ha stabilito per promuovere lo sviluppo a livello mondiale. Come verificare il grado di disparit di genere di una societ? Si possono utilizzare misure gi esistenti, come Pil pro-capite, l'aspettativa di vita e il livello di istruzione, applicandole separatamente alla parte femminile e a quella maschile della societ, e calcolare il divario in tasso percentuale. Oppure, ai fini di un'analisi pi dettagliata, si possono usare indicatori specifici: per misurare, ad esempio, il grado di accessibilit al mercato del lavoro, si calcola il tasso di occupazione femminile tra gli impiegati dei settori non agricoli, o la percentuale di donne tra coloro che svolgono lavori non pagati nella propria famiglia (condizione che implica mancanza di indipendenza economica e di protezione sociale). Altri significativi indicatori di genere sono quelli che cercano di quantificare l'accesso delle

donne alle posizioni di comando politico ed economico. Il Gender Empowerment Measure (GEM), che l'ONU diffonde dal 1995 nei suoi rapporti annuali sullo sviluppo umano, viene calcolato sulla base della presenza femminile tra parlamentari, legislatori, alti funzionari, dirigenti e membri di ordini professionali, e della quota del reddito nazionale di cui possono disporre le donne. A fronte dellesigenza di promuovere uno sviluppo sostenibile, in grado di coniugare crescita e benessere diffuso, un altro difetto del Pil di non essere in grado di distinguere tra i beni e i mali che una societ produce. L'acquisto da parte di un governo autoritario di armi da usare contro i propri cittadini allo scopo di mantenere il potere, la spesa bellica di una nazione in guerra, i costi che alcune famiglie si trovano a dover sostenere per curare un proprio componente affetto da una nevrosi o dipendente da droga, non sono certo sintomi di benessere per una societ. Eppure contribuiscono all'incremento del Pil. Come possiamo misurare il nostro benessere con un indicatore per il quale una certa quantit di soldi spesi per la costruzione di una scuola e un aumento dello stesso importo nella produzione di sigarette hanno esattamente lo stesso significato? Pi in generale si pu dire che il Pil indifferente rispetto alla destinazione ultima della produzione: se un imprenditore produce qualcosa che si rivela completamente inutile, e quindi rimane invenduto e diventa solo un rifiuto da smaltire, il buonsenso ci dice che c' stato uno spreco, il Pil che c' stato un contributo alla crescita economica. Un altro punto fondamentale, anche perch collegabile al tema della sostenibilit ambientale, rappresentato da quei beni e servizi che hanno un valore, ma non un prezzo di mercato. Si tratta di beni ambientali, come la qualit dell'aria o la presenza di boschi, ma non solo. "Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualit della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. [] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidit dei valori familiari, lintelligenza del nostro dibattere o lonest dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto n della giustizia nei nostri tribunali, n dellequit nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura n la nostra arguzia n il nostro coraggio, n la nostra saggezza n la nostra conoscenza, n la nostra compassione n la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ci che rende la vita veramente degna di essere vissuta", afferm Robert Kennedy nel 1968, in un discorso nel quale criticava l'idea di crescita economica fine a s stessa:"Non troveremo mai un fine per la nazione n una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nellammassare senza fine beni terreni", sottoline in quell'occasione. C' da dire che in certi ambiti non tanto il Pil a fallire, quanto gli stessi meccanismi di mercato, non idonei ad inserire le esternalit nel calcolo economico di costi e benefici. Le esternalit sono gli effetti che una transazione produce su soggetti ad essa estranei. L'esempio tipico la fabbrica che scarica i residui della produzione in un fiume. Il costo dell'inquinamento prodotto non viene pagato in termini economici dai proprietari della fabbrica, perci essi non vengono spinti dalla famosa "mano invisibile", cio dalle forze di mercato, a cercare un modo di produzione meno inquinante o una maniera diversa di smaltire i residui. Eppure la societ si trover a soffrire dei disagi che avrebbero potuto essere evitati. Per ovviare a questo problema, l'economia dell'ambiente propone un intervento pubblico (sanzioni o permessi con un costo proporzionale alla quantit di inquinamento emesso) che induca i produttori a inserire nel calcolo dei costi e benefici i costi ambientali, modificando di conseguenza le loro scelte. Tornando agli indicatori dello sviluppo, la consapevolezza dell'entit che il problema ambientale ha raggiunto rende ormai chiaro come non si possa continuare a misurare la ricchezza delle nazioni solo sulla base della crescita economica, senza calcolare il deprezzamento del capitale naturale che essa provoca, cio i danni all'ambiente ed il consumo

di risorse ambientali non rinnovabili. Di qui la necessit di servirsi di indicatori come l'ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare), ideato nel 1989 da Herman Daly e John Cobb. L'ISEW calcola lo sviluppo di una nazione in termini economici, come il Pil, ma comprende, oltre agli elementi positivi che lo fanno aumentare, elementi negativi che gli vengono sottratti. Hanno segno positivo la spesa privata per consumi e investimenti, la spesa pubblica "buona" (quella per la sanit, per le infrastrutture, per l'istruzione e per l'ambiente) e il lavoro domestico, mentre vengono sottratti i danni ambientali, l'esaurimento di risorse non rinnovabili, la perdita di zone umide e di terreni agricoli, le spese per la sicurezza, i costi connessi a urbanizzazione, pendolarismo e incidenti stradali, il grado di iniquit nella distribuzione dei redditi. Un indicatore come questo consente di capire meglio quanto efficace la nostra organizzazione della produzione, tenendo anche conto dei costi ambientali e sociali. Ma non ci dice se l'ecosistema sia in grado di sostenere questa organizzazione, o se la pressione sulle risorse e sull'ambiente risulti troppo forte e destinata a determinare effetti catastrofici nel lungo termine. E' invece significativo da questo punto di vista l'Ecological Footprint, indice basato specificamente sulla sostenibilit ambientale, che calcola l'area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti. 3. Istituzioni e indicatori di sviluppo A che punto siamo a livello istituzionale nel percorso di superamento del Pil? A livello di singole nazioni siamo ancora indietro, mentre alcune istituzioni internazionali hanno fatto dei passi significativi. Dal 1990 l'ONU nei suoi rapporti annuali sullo sviluppo calcola lo Human Development Index (HDI) di ogni nazione, un indice di sviluppo basato su reddito, speranza di vita e livello di istruzione. Per quanto non risulti esente da difetti, visto che non tiene conto dello stato dei beni ambientali e che le variabili che comprende sono tutte legate ad aspetti individuali, trascurando la dimensione sociale dello sviluppo, l'HDI ha il vantaggio di presentarsi come un indice semplice e comprensibile a tutti (richiede solo conoscenze di base di matematica e statistica) e quindi in grado di avere impatto sull'opinione pubblica. A fianco di questo indice l'ONU diffonde il Gender-related Development Index, che misura le stesse variabili, ma tenendo conto della disparit tra sessi (la misura di questa disparit nell'ammontare delle tre variabili viene quantificata e sottratta all'ammontare dell'indice di sviluppo), e il gi citato HPI. La Organization for Economic Cooperation and Development (OECD), di cui fanno parte 30 paesi industrializzati, incoraggia da tempo la ricerca di nuovi indicatori dello sviluppo, e al momento impegnata in un progetto rivolto specificamente a "misurare il progresso della societ". Il progetto partito ufficialmente nel giugno 2007 dopo che nella dichiarazione finale di un forum sull'argomento tenutosi ad Istanbul (dichiarazione sottoscritta anche dallONU, dalla Banca Mondiale e dalla Commissione Europea), stato affidato allOECD il mandato di individuare in cosa consiste il progresso nel ventunesimo secolo, stimolando un confronto internazionale basato su dati statistici e indicatori solidi ed affidabili. Per ottenere risultati, lOECD si impegna ad assistere qualunque soggetto od organizzazione in ogni parte del mondo e a raccogliere i loro contributi pi efficaci. Tra le aree privilegiate di sperimentazione di nuovi indicatori ufficiali, lOECD ha individuato la coesione sociale, il benessere individuale e le buone prassi di governo.

Sapendo che nelle varie parti del mondo sono diffusi diversi concetti di sviluppo, radicati su altrettanto differenti motivazioni storiche e culturali, sono stati attivati gruppi di approfondimento per grandi aggregazioni territoriali, con la supervisione di organizzazioni internazionali: per lAfrica la Banca Africana di Sviluppo, in America Latina la Banca Interamericana di Sviluppo, in Medio Oriente lONU, mentre lOECD seguir in prima persona un Gruppo con i propri paesi membri. Lobiettivo un confronto di esperienze e conoscenze che consenta di elevare la qualit del confronto metodologico, arrivando a sintesi il pi possibile condivise. [Padoan 2007] Per quanto riguarda l'Unione Europea il cambiamento in corso. Nel novembre 2007 la Commissione e il Parlamento Europeo hanno organizzato in collaborazione col WWF, il Club di Roma e l'OECD un convegno intitolato "Beyond GDP", incentrato proprio sull'opportunit di integrare il calcolo della produzione interna con quello di altri indicatori, per sintetizzare una visione pi completa dello sviluppo. La speranza che l'iniziativa rappresenti un primo passo verso la richiesta formale agli Stati membri, da parte della Commissione, di implementare il Pil con altri indicatori della qualit della vita. Nel suo intervento il commissario europeo per l'economia, Joaqun Almunia, ha affermato esplicitamente che arrivato il momento di fare un passo avanti nella misurazione del benessere, passando dall'elaborazione di centinaia di indicatori dei vari aspetti dello sviluppo all'adozione da parte delle istituzioni di indici aggregati che incrocino i dati dei pi significativi tra questi indicatori, e che siano in grado di coinvolgere l'opinione pubblica e guidare il lavoro di chi dirige la politica economica e sociale, cio in altre parole di integrare il Pil nelle statistiche ufficiali. 4.Conclusioni La ricerca di indicatori pi comprensivi del Pil il segno della necessit di nuove politiche economiche e sociali, che non mirino alla crescita economica indiscriminata ma allo sviluppo umano ed alla sostenibilit ambientale. E', in altri termini, parte fondamentale di un disegno pi ampio: ripensare l'organizzazione della produzione nelle societ umane in modo da crescere producendo pi beni ma meno merci, consumando meno risorse e distribuendo meglio la ricchezza. E' il risultato di un approccio multidimensionale allo sviluppo, che tenga conto della complessit delle societ contemporanee e delle nuove sfide che esse si trovano a dover affrontare. Proprio per rispettare questa multidimensionalit penso che non si possa rimpiazzare il PIL con un altro singolo indicatore, ma sia necessario adottare una batteria di indicatori chiave. Non semplice quantificare con indicatori sintetici e condivisi le componenti economiche e sociali che determinano i differenti livelli di sviluppo dei territori. Il rischio che tali indici risultino controversi, perch il peso che si sceglie di dare ai vari indicatori che li compongono implica un giudizio di valore, o semplicistici, perch riassumono in un valore unico aspetti diversi e complessi [Almunia 2007]. La conversione da qualit a quantit sulla base di un numero limitato di componenti porta necessariamente ad una semplificazione soggettiva che riduce la complessit degli elementi che determinano la valutazione, ma, al tempo stesso, fornisce strumenti per automatizzarne il processo di controllo. Dunque, per quanto arbitrario, il passaggio da qualit a quantit ineludibile per lanalisi economica. Il numero degli indicatori ufficiali da adottare a integrazione del PIL deve essere contenuto e il loro significato comprensibile a tutti, al fine di svolgere efficacemente il ruolo di aumentare la trasparenza delle democrazie, rendendo pi consapevole l'opinione pubblica dei traguardi da stabilire per la salute, lambiente, la protezione sociale, e delle modalit per combinarli tra loro, rispettando il vincolo delle risorse prevedibilmente disponibili.

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