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Universit degli Studi di Pisa Dottorato di Ricerca in Sociologia e Storia della Modernit a.a.

2012 - 2013 Seminario Permanente sulla Sociologia di Pierre Bourdieu

Lorenza Boninu

Strategie di legittimazione nell'ecosistema informativo fra old e new media.


1. Un intervento militante Questo contributo ha un'impostazione, per cos dire, "militante". E' difficile distanziare criticamente e analiticamente il problema che qui si tenta di affrontare utilizzando gli strumenti di analisi sviluppati dalla sociologia di Bourdieu, perch la questione di scottante attualit e ci coinvolge tutti in modo diretto e profondo, senza che, al momento, le conseguenze connesse all'utilizzo di massa della Rete nella diffusione e nella condivisione di informazioni e conoscenza possano essere previste con chiarezza. Siamo, per cos dire, in mezzo al guado e la corrente sta travolgendo (o ha gi travolto) le usuali categorie interpretative. Il giornalismo non e non pu pi essere quello che era una decina di anni fa, prima dell'avvento dei social network come Twitter (creato nel 2006) o Facebook (lanciato nel 2004) e, pi in generale, dei servizi di creazione e condivisione di contenuti "dal basso", in grado, almeno in linea teorica, di disinnescare i tradizionali meccanismi di legittimazione e gerarchizzazione del discorso pubblico. La rapidissima (come mai prima nella storia) rivoluzione in atto, nella sua apparentemente ineluttabile pervasivit, non solo impone di dedicarsi con rinnovato rigore al compito primo delle scienze sociali, ovvero il paziente lavoro di analisi scientifica dei fenomeni, ma obbliga anche a schierarsi apertamente e pubblicamente su un campo di battaglia tutt'altro che pacificato. "Il mondo sociale mi riesce sopportabile perch posso arrabbiarmi", ebbe modo di affermare Bourdieu in un'intervista registrata nel 1990. E, com' noto, a costo di semplificare un discorso scientifico non di rado arduo proprio per il rigore epistemologico che lo ispirava, Bourdieu, rivendicando per la sociologia il compito fondamentale di "disvelamento" dei meccanismi di dominio sociale, non evit, appunto, il dovere dell'impegno apertamente militante. Sotto un certo profilo, l'eredit di Bourdieu qui richiamata in primo luogo questa: la connotazione specificatamente politica (ma, sia chiaro, non pregiudizialmente ideologica) insita nello smontaggio di un certo tipo di retorica dominante nel dibattito pubblico. 2. C'erano una volta i blog ... "Una vecchia battuta di Molire in "Les femmes savantes" recita in questo modo: Un gentiluomo qualcuno che sa tutto senza avere imparato niente. Penso che con Internet, con il Web e con l'accesso che abbiamo a questa intelligenza collettiva, a questa base cognitiva, siamo tutti dei gentiluomini. Possiamo avere accesso a tutto senza avere imparato mai niente. Ci divertente, fa parte del piacere di appartenere della nostra epoca, di essere legati a questa formidabile memoria collettiva". Cos si esprimeva Derrick De Kerkhove, il padre della fortunata formula "intelligenza connettiva" in un dibattito con Pierre Levy (a sua volta famoso per aver coniato la definizione gemella "intelligenza collettiva") del 1998. La Rete non era

ancora quella che conosciamo oggi, cos prepotentemente ed evidentemente colonizzata da interessi politici ed economici spesso sfuggenti per la gran massa degli utenti (ne parler nei prossimi paragrafi). La Rete era un luogo inesplorato che consentiva di stabilire connessioni impensate, di raccogliere informazioni e conoscenze in precedenza indisponibili per gran parte di noi, di superare i confini dei nostri piccoli mondi autoreferenziali. Nel 2003, nel primo post del mio blog, lo strumento che mi ha consentito di entrare in contatto con "mondi di senso" altrimenti irraggiungibili, un po' enfaticamente scrivevo: "Eppure, Internet che formidabile strumento comunicativo Che inesauribile serbatoio di informazioni Che eccitante territorio di sperimentazione e contaminazione espressiva Riflesso del mondo reale, e quindi terreno di battaglia e di conquista per chi ne vorrebbe spegnere le pericolose potenzialit liberatrici e demistificatrici, per chi lo vorrebbe trasformare in uno squallido sexi shop formato globale o in un bazar di merci e desideri non naturali e non necessari sottomesso alla logica della persuasione occulta e della manipolazione di massa Ecco perch lho scelto come terreno per i miei esperimenti di ibridazione, contaminazione, combinazione. Strumento di viaggio, eserciziario di confronti e di sfide intellettive, scrigno di notizie, rete gettata non sul vuoto solipsistico di cybernauti frustrati ma sulla complessit inesauribile della realt, aggancio fra la mia disordinata babelica biblioteca (alzo gli occhi e la vedo, come sempre polverosa e caotica) e le biblioteche, di carta e non solo, del resto del mondo".

Il mio essere blogger (lo sono stata per pi di dieci anni e, sia pure con molto meno entusiasmo, in fondo lo sono ancora) era gi tutto l, in quelle parole meravigliate davanti al fantastico mondo della Rete ma, a ben vedere, anche un po' di diffidenti. Vorrei tentare, se mi permettete, un brevissimo esercizio di "oggettivazione del soggetto oggettivante", nel senso che in quelle mie frasi non mi interessa analizzare la mia soggettiva ingenuit di allora, abbandonandomi ad una sorta di recriminazione narcisistica, ma guardare alla scelta che mi ha condotto a mettermi in gioco pubblicamente con alterni successi, per tanto tempo, come l'esito di una precisa traiettoria sociale.

In quanto insegnante "piccolo borghese" dotata s di un discreto capitale culturale ma appartenente ad una frazione del campo intellettuale sostanzialmente emarginata dal punto di vista del capitale sia economico sia simbolico (in riferimento alla credibilit e al prestigio sociale), per me (e non solo per me) l'attivit di blogger ha rappresentato una strategia efficace per tentare di ristabilire un equilibrio: la quotidiana attivit di scrittura, non di rado piuttosto impegnativa (cura della forma, ricerca di fonti attendibili, acquisizione di competenze tecniche via via pi approfondite), era presentata agli altri come un hobby, un qualcosa fatto per pura "passione", per "amore di conoscenza", per "volont di sperimentare e condividere", quindi gratuitamente, in modo del tutto "disinteressato". In realt l'attuazione di strategie di visibilit (per quanto ancora ingenue rispetto alle attuali tecniche SEO), la verifica del numero di accessi, la partecipazione a "classifiche", etc rivelavano che la posta in gioco per me (ma anche per tutti coloro che fra il 2003 e il 2004 partecipavano alla prima impetuosa diffusione del fenomeno blog in Italia) era esprimibile, fondamentalmente, in termini di "reputazione". Ma nel gioco della cosiddetta "comunicazione dal basso" non si entrava davvero senza un investimento iniziale (si veda, nelle mie parole, il riferimento alla "babelica

libreria"): nel senso che bisognava aver qualcosa da buttare sul piatto, contenuti o argomenti da discutere, insomma un capitale "culturale" (anche linguistico) che ci permettesse da un lato di orientarci nella massa di informazioni che Internet ci rendeva disponibile, dall'altro di comunicare in modo pertinente ed efficace anche se apparentemente spontaneo e colloquiale (tuttavia noto che in questo contesto lo stile era di fatto espressione dell'habitus, ovvero delle qualit sociali "incorporate" pertinenti in quel particolare ambito, nonch del senso quasi istintivo del gioco "sociale", o collusio, che bisognava costantemente dimostrare nel relazionarci con gli altri giocatori sullo scivoloso terreno dei commenti ai post e dei link incrociati).

Io non sono sicura se la cosiddetta "blogosfera" possa essere correttamente assimilata all'idea di "campo" in Bourdieu: certo che molte delle dinamiche alle quali ho assistito e partecipato in quegli anni richiamano alcuni concetti chiave della sociologia bourdieusiana. Per esempio la diffidenza della maggior parte dei giornalisti e scrittori "professionisti", ovvero, in altri termini, dei portavoce ufficiali del discorso intellettuale "legittimo", nei confronti dei blogger, definiti come "dilettanti", produttori di "fuffa", autoreferenziali e postadolescenziali. Ai conservatori si rispondeva con ironia e autoironia, rivendicando la qualit "rivoluzionaria" della pratica del blog, capace di rinnovare la rappresentazione della realt sottraendola agli stereotipi, incrinando l'acquiescenza al potere dei media mainstream ed esaltando le possibilit di rottura rispetto ai modelli dominanti di "mercato di beni simbolici" insite nel meccanismi della cosiddetta "coda lunga". Di fatto si trattava di una lotta per la ridefinizione delle posizioni dominanti all'interno del campo intellettuale in conseguenza dell'affermazione di un nuovo medium che determinava un'alterazione delle regole del gioco. Del resto anche nella blogosfera si assisteva a dinamiche simili: si pensi per esempio alla nascita delle cosiddette "blogstar", ovvero di blogger caratterizzati da un alto grado di visibilit (cio di link in entrata) quindi, per dirla alla Bourdieu, da un notevole "capitale sociale", incentivato inoltre dalla presenza "fisica" alle varie Blogfest, Blogcamp etc nei quali la conoscenza personale innervava e potenziava il legame creato attraverso la Rete. E l'importanza di ciascuno nel "campo" si determinava a seconda della maggiore o minore vicinanza e interazione con queste "stelle" di prima grandezza (perch, ovviamente, ottenere da loro un link ad un proprio contenuto moltiplicava gli accessi e quindi la possibilit di migliorare reputazione e guadagnare visibilit). Ancora, man mano che il fenomeno si irrobustiva e si diffondeva, la creazione di "sottocampi" sostanzialmente non comunicanti fra di loro, specializzati in senso sia tematico (blog musicali, letterari, politici, tecnici, etc) che generazionale. Da quel fervore collettivo, alcuni sono emersi stabilmente, conquistando una posizione dominante in Rete ma anche (soprattutto?) fuori dalla Rete ( a seconda dei casi pubblicando libri, ottenendo consulenze, incentivando la propria reputazione scientifica, entrando nelle redazioni online dei giornali, intraprendendo o accelerando la propria carriera politica, etc), altri, molto semplicemente, hanno lasciato perdere o si sono dovuti accontentare di ruolo comprimario. Poi, naturalmente, l'arrivo dei social network, come gi accennato, ha ulteriormente cambiato le carte in tavola.

3. E arriv la "ggente" ...

Oggi coloro che per ragioni professionali o altro studiano le dinamiche di Rete si dividono praticamente in due gruppi: a) gli entusiasti nonostante tutto ( David Weinberger, Clay Shirky, il gi citato Derrick De Kerhove, Chris Anderson ...) b) i critici prudenti, caratterizzati da un grado di negativit proporzionale all'entit della delusione rispetto all'entusiasmo iniziale ( Nicholas Carr, Sherry Turkle, Evgenij Morozov, Eli Pariser ...)

Simmetricamente, in particolare in Italia, il grande pubblico si divide fra apocalittici, spaventati dall'intrusione massiccia e apparentemente incontrollabile di Internet nella nostra privacy, e una percentuale sempre pi alta di integrati, in virt della facilit d'uso e della capacit di contagio "virale" dei social network, in primo luogo Facebook. Allo stesso tempo, la diffusione dei dispositivi mobili, come smartphone e tablet, ha rapidamente abbattuto per ciascuno di noi i confini fra la vita "dentro" e "fuori" la Rete. La nostra esperienza mediale sempre pi ibrida (fra old e new media), connessa, interattiva. La possibilit teorica di interagire praticamente con chiunque, abbattendo gerarchie e distanze comunicative, una possibilit particolarmente evidente su Twitter, suggerisce che l'utopia di una democrazia orizzontale, reticolare, trasparente, caratterizzata da un controllo diretto da parte delle persone comuni dei flussi informativi e dei processi decisionali, sia praticamente a portata di mano. Sembra che il "potere dei senza potere" possa finalmente uscire dall'invisibilit, sottrarsi alle manipolazioni, raccontare direttamente la propria verit senza bisogno delle tradizionali mediazioni e senza l'obbligo di sottomettersi a filtri imposti da altri.

D'altra parte il processo di progressiva delegittimazione della politica, in atto gi da diversi anni, ha subito una brusca accelerazione con l'aggravarsi della crisi economica, coinvolgendo anche il sistema dell'informazione, quel campo giornalistico (inteso in realt come sottocampo del campo politico) che intreccia con il potere un rapporto ambivalente, sulla base delle due opposizioni simmetriche autonomia vs eteronomia e eterodossia vs ortodossia. Di conseguenza i tradizionali attori politici (professionisti della politica e dell'informazione) sembrano aver perso la capacit di imposizione "legittima" di significati nella narrazione e nella costruzione sociale della realt.

Ecco quindi imporsi il racconto, in larga misura mitologico, di una Rete in grado di riempire il vuoto, sottraendo il pubblico alla passivit imposta dai cosiddetti "media della solitudine" come la televisione, per restituirgli un ruolo attivo e partecipativo, di produttore autonomo non solo di cultura e informazione condivisa, ma anche di strategia politica e visione del futuro. E sulla base di questo assunto, vediamo i media tradizionali affannarsi a recuperare credibilit, cercando di ridisegnare il proprio ruolo in una prospettiva conversazionale che valorizzi il rapporto di collaborazione "alla pari" non pi con spettatori/lettori silenziosi e invisibili ma con cittadini consapevoli e attenti, che non solo rifiutano di subire le narrazioni imposte ma sono in grado di negoziare e co-costruire orizzonti di senso.

4. Ma veramente cos?

Ma perch questa visione edenica della Rete corrisponda davvero a realt, dovremmo ipotizzare almeno due condizioni indispensabili ovvero: che la Rete sia davvero la nuova agor, ovvero uno spazio nel quale i differenti attori sociali (da coloro che finora hanno detenuto il monopolio del linguaggio legittimo fino a quanti rivendicano la possibilit di riscrivere, rovesciandole, le regole del gioco dell'informazione e, pi in generale, della comunicazione) abbiano la possibilit di agire e comunicare liberamente, alla pari, senza condizionamenti e senza opacit; che quanti "abitano" la Rete, tanto per richiamare la metafora evocata dal titolo del libro di Sergio Maistrello "La parte abitata della Rete", abbiano tutti in dote il capitale culturale necessario sia per produrre un discorso pubblico o semipubblico autonomo, sia per recepire, verificare, condividere criticamente la comunicazione altrui, si tratti di informazione o marketing (sia detto per inciso: nella figura del "social media editor" operante sia nelle redazioni online dei giornali, sia negli uffici stampa delle aziende, marketing e informazione si contaminano e si sovrappongono, in modo assai meno lineare e chiaro rispetto al passato). Ambedue queste condizioni (che qui per comodit ho distinto ma che in realt sono assolutamente interdipendenti, nella misura in cui la consapevolezza derivante dal possesso di un'adeguata conoscenza riesce a svelare il meccanismo di "violenza simbolica" insito nella mancata neutralit del medium e sul quale torneremo) sembrano, allo stato attuale, verificarsi solo parzialmente. 5. Violenza simbolica e nuove forme di intermediazione Come scrivono Vittorio Zambardino e Massimo Russo in "Eretici digitali"(2009) "Il digitale non solo disintermediazione. Reintermedia sotto nuove forme. E consegna un potere enorme alle piattaforme tecnologiche. La tecnologia non neutrale. I detentori delle piattaforme tecnologiche sono pochi: essenzialmente di due tipi: motori di ricerca, e societ che gestiscono l'accesso, sia sulla rete fissa che in mobilit. A essere pi precisi, lo scenario vede agire: organizzatori di conoscenza e indirizzatori di visibilit, detentori del tubo in cui passa l'informazione, e grandi piattaforme di aggregazione sociale". I meccanismi attraverso i quali questa nuova forma di intermediazione si attua restano, almeno per il momento, per lo pi invisibili all'utente medio: la scelta delle informazioni sulla base delle quali costruire la qualit della propria partecipazione (culturale, politica, sociale etc) non autonoma ma condizionata da numerosi fattori. In questa sede, ne accenno solo alcuni. a) Strategie di marketing aggressive e non convenzionali che si applicano anche al mercato dei beni simbolici (informazione e cultura), come, ad esempio il buzz marketing. "Il buzz marketing, detto anche marketing delle conversazioni o marketing conversazionale quell'insieme di operazioni di marketing non convenzionale volte ad aumentare il numero e il volume delle conversazioni riguardanti un prodotto o un servizio e, conseguentemente, ad accrescere la notoriet e la buona reputazione di una marca. Consiste cio nel dare alle

persone motivo di parlare circa un prodotto, servizio, un'iniziativa e nel facilitare le conversazioni attorno all'oggetto dell'attivit di comunicazione. La parola buzz , infatti, onomatopeica e richiama il ronzio delle api: in estrema sintesi il buzz marketing rappresenta quindi la possibilit di raggiungere nel minor tempo possibile quello che viene definito "sciame", cio un gruppo di utenti omogeneo per interessi rispetto a un tema o a una categoria di prodotti/servizi". (fonte Wikipedia) Buzz marketing , dunque, la strategia di coloro che, consapevolmente o inconsapevolmente, gratis o a pagamento, utilizzano il web (tramite, ad esempio, blog, forum e social network) per parlare e far parlare (o cercare di far parlare) di beni, aziende o brand: una strategia che utilizza un particolare ibrido, il prosumer, ovvero il consumatore/produttore, al quale le aziende (ma anche i brand informativi) delegano di fatto (e gratuitamente) la promozione pubblicitaria, giocando sulla "retorica delle due t", transparency e trust, nella costruzione della leadership. b) Ma "la retorica delle due t" messa in discussione dalla ineguale possibilit di accesso all'informazione veicolata dalla Rete, visto che l'accesso regolato appunto da meccanismi e algoritmi sui quali l'utente finale non possiede controllo. Si veda ad esempio la cosiddetta Filter Bubble denunciata da Eli Pariser che "mostra come, sulla base della logica della personalizzazione dei servizi, internet sia oggi interpretata tecnicamente e commercialmente in modo pericolosamente coerente con la tendenza ad accelerare la separazione delle persone e delle isole culturali. La personalizzazione del servizio del motore di Google che decide che cosa sia rilevante per ciascuno, il tempo sempre pi grande che le persone passano su Facebook circondate dai loro simili culturali e ideologici, sono i fatti che avvalorano il rischio denunciato da Pariser"(Luca De Biase). O, ancora, l'impressionante asimmetria nella produzione e nella condivisione di contenuti implicata dalla regola 1- 9- 90, o della "partecipazione ineguale" (Jakob Nielsen), secondo la quale il 90% della platea di Internet composta da "lurkers", il 9% da "intermittent contributors", solo l'1% da " heavy contributors": il che comporta che il 90% del materiale presente in rete prodotto dal'1% degli utenti, il restante 10% dal 9%, mentre la stragrande maggioranza del pubblico continua a fruire passivamente e silenziosamente di contenuti elaborati e diffusi da una ristretta minoranza (fonte: Davide Bennato). E ancora: la questione non risolta della "Net Neutrality". Cito ancora Zambardino e Russo: "Le piattaforme di accesso sia alla rete fissa, sia alle infrastrutture mobili, sono gestite con fortissime rendite di posizione. Accedervi, per i produttori di informazione, significa rinunciare a quote significative dei propri ricavi e porsi in condizioni di fragilit. L'alternativa condannarsi al silenzio". Ma anche il semplice utente, di fatto, in mano agli Internet Provider che possono decidere di utilizzare la loro posizione dominante per "strozzare" e filtrare, anche pesantemente, il flusso di informazioni sulla base della convenienza economica e/o politica (walled garden). Infine il ruolo dei cosiddetti "influencer" che non a caso Casaleggio definisce come "asset strategico per le aziende": opinion leader la cui capacit di influenzare e indirizzare opinioni e comportamenti, nonch di filtrare e trasmettere contenuti e informazione alle proprie reti sociali, comportandosi di fatto come hub informativi, naturalmente amplificata dalla struttura peculiare della comunicazione via social network. La questione cruciale , a mio avviso, questa: ricostruire le motivazioni degli influencer pu non essere cos semplice. La loro presunta obiettivit, il disinteresse che apparentemente li muove, possono essere fittizi o

a loro volta manipolati. Se, ad esempio, la decodifica di un messaggio di propaganda, pubblicitario o d'altro tipo, che passa in televisione, pu essere relativamente semplice, stante l'obbligo di dichiarare esplicitamente la sua natura di "spot", laddove il ruolo degli influencer in rete pu essere condizionato da strategie di marketing non convenzionale come quelle a cui abbiamo accennato sopra, la funzione apparentemente "referenziale" dei loro messaggi (cio informativa e denotativa) pu nascondere in realt un fine "conativo", di persuasione occulta e potenzialmente "virale" (e, sia detto per inciso, senza andare a scomodare fantasiose ipotesi complottiste, Casaleggio ha dimostrato di essere perfettamente consapevole del meccanismo, utilizzandolo ampiamente per promuovere in Rete il brand "Grillo", se cos pu essere definito) disinnescando gli aspetti positivi delle dinamiche collaborative legate al meccanismo del passaparola. Da un altro punto di vista, se consideriamo la questione dal lato dei "cittadini digitali", di quanti cio "abitano" la Rete e interagiscono nei vari contesti comunicativi, costituendo la "pubblica opinione digitale", appare evidente che l'immagine consolatoria di un accesso libero e paritario al peculiare "mercato di beni simbolici" rappresentato da Internet , in larga misura, una costruzione illusoria, se non, addirittura, una vera e propria manipolazione della realt. Prima di tutto, come scrive Bourdieu, in Rete come in qualsiasi altro spazio sociale "l'accesso al linguaggio legittimo del tutto ineguale e la competenza teoricamente universale, che i linguisti distribuiscono con tanta liberalit a tutti, in realt monopolio di pochi" (Risposte, pag. 111). Potremmo allargare il concetto di "competenza linguistica" a una pi ampia "competenza comunicativa", che presupponga fra l'altro la capacit di decodifica e riuso dei meccanismi sopra brevemente accennati. In particolare, risulta particolarmente opaca la "strategia della disattenzione" legata al fenomeno evidente dell'information overload caratteristico della Rete. "[...] si pu supporre che proprio facendo leva sull'information overload, e anzi alimentando la sovrabbondanza di messaggi con ogni genere di mezzo, si pu ottenere un risultato piuttosto efficace dal punto di vista della comunicazione. Quando si agisce per intuizione, in effetti, si sceglie in base alla prima idea che viene in mente. Se un'idea, un messaggio, viene ripetuto in modo molto insistente attraverso molti mezzi e in modo coordinato, tende a diventare per molte persone, appunto, "la prima idea che viene in mente". E a essa si tende a ricorrere tanto pi spesso quanto pi si vive in una condizione generale di information overload e dunque di disattenzione, che sfavorisce il ragionamento e favorisce l'intuizione". (Di Biase 2011, pagg 202 - 203). E', per inciso, il meccanismo che sta alla base del numero massiccio di condivisioni di bufale, gattini (lolcat), meme insignificanti su Facebook. In secondo luogo resta da dimostrare che effettivamente un'opinione pubblica esista, nel senso che: a) la produzione di un'opinione sia effettivamente alla portata di tutti; b) tutte le opinioni si equivalgano; c) ci sia accordo sulle questioni che meritano di essere affrontate. Bourdieu discute e smonta questi tre postulati a proposito dei sondaggi d'opinione, nel 1971, quando la Rete non era nemmeno immaginabile. Ma nel 2006 Habermas scrive: "The political public sphere needs input from citizens who give voice to societys problems and who respond to the issues articulated in elite discourse. There are two major causes for a systematic lack of this kind of feedback loop. Social deprivation and cultural exclusion of citizens explain the selective access to and uneven participation in mediated communication, whereas the colonization of the public sphere by market imperatives leads to a peculiar paralysis of civil society". Le deprivazione sociale e l'esclusione culturale di cui scrive Habermas rimandano alla nozione di capitale culturale in Bourdieu. Ma, soprattutto,

l'affermazione di Habermas presenta delle affinit con questa riflessione di Bourdieu: "La problematica dominante, (vale a dire la problematica che interessa in modo particolare coloro che detengono il potere e che vogliono essere informati sui mezzi di cui possono avvalersi per organizzare la loro azione politica) controllata in modo diseguale dalle diverse classi sociali e, fatto importante, queste diverse classi sociali sono pi o meno capaci di produrre una contro-problematica". La situazione oggi tanto pi delicata quanto meno necessario ricorrere a sondaggi d'opinione costruiti, visto che sono gli utenti a mettere a disposizione spontaneamente a disposizione dati, gusti, scelte, giudizi personali. "I dati personali sono il nuovo habeas corpus violato quotidianamente dalle grandi piattaforme", scrivono Russo e Zambardino. E Stefano Rodot avverte: "Sotto la pressione di richieste di sicurezza e di interessi economici, Internet perde progressivamente la sua natura di spazio libero, il maggiore che l'umanit abbia mai conosciuto, e si avvia ad essere uno spazio "normalizzato", dove sia ridotto al minimo il rischio di imbattersi in opinioni dissenzienti, sgradite ai diversi poteri o ritenute dannose da chi preoccupato soprattutto del fatturato pubblicitario e dell'incentivo ai consumi". In linea generale, queste problematiche sfuggono all'utente medio dei social network (va detto, di passaggio, che la mancanza di consapevolezza perfettamente trasversale alle generazioni: in altri termini, in quest'ambito non esiste una particolare competenza caratteristica del gruppo, anch'esso ampiamente mitologizzato, dei "nativi digitali") al quale viene fatto credere, al contrario, che la sua semplice presenza in rete sia l'espressione concreta della radicalit di una nuova democrazia mediatica. I timori, che pure esistono, vengono strumentalmente orientati su questioni non sostanziali (tipo la pornografia, il cyberbullismo, le molestie, la maleducazione, etc) in genere amplificate per giustificare i periodici tentativi della politica di censura e controllo, quando basterebbe un adattamento della legislazione vigente per reprimere i comportamenti inaccettabili. Ma i media "mainstream", che pure cavalcano gli allarmismi, dall'altro lato sono costretti, per mantenere in qualche modo il monopolio del discorso legittimo (e le quote di mercato), a cercare l'alleanza della Rete, riscrivendo il loro ruolo nei termini della collaborazione con blogger e citizen journalists. Si cancella (apparentemente) la lotta che vede come posta decisiva la credibilit e si propone una collaborazione "simbiotica" fra le parti. Ma la dissimulazione pratica di questa strategia finisce per configurarsi nei termini della violenza simbolica: il misconoscimento alla base del meccanismo , per usare le parole di Bourdieu, "il fatto di accettare quell'insieme di presupposti fondamentali, preriflessivi, che gli agenti sociali fanno entrare in gioco per il semplice fatto di prendere il mondo come ovvio, e di trovarlo naturale cos com' perch vi applicano strutture cognitive derivate dalle strutture di quello stesso mondo". (Risposte, pag. 129) 6. Una relazione asimmetrica Scrive Augusto Valeriani in "Twitter Factor" (2011): "Questo modello vede il giornalista professionista e i non-professionisti collaborare nella realizzazione di una storia, definire assieme gli obiettivi e mettere ognuno a disposizione degli altri le proprie risorse: i nonprofessionisti il loro materiale, il loro tempo o semplicemente il fatto di trovarsi sul luogo di una notizia; i professionisti la loro esperienza, il loro accesso alle fonti ufficiali e la loro competenza nell'assemblare i diversi materiali". Colpisce in questa prospettiva l'opposizione "professionisti vs non-professionisti" ma soprattutto il fatto che a questi ultimi verrebbe affidato a titolo gratuito il compito che una volta spettava ai corrispondenti e alle agenzie. Si badi bene: anche, o forse soprattutto, un problema di sostenibilit economica. Sulla stessa linea si colloca anche Luca De Biase: "L'ecosistema dell'informazione si arricchito di protagonisti. Professionisti e non professionisti dell'informazione. Esperti, fonti e archivi

disponibili a contribuire gratuitamente e che possono farlo direttamente al servizio del pubblico. Per i giornali orientati al profitto questa una realt con la quale allearsi. I loro costi e i loro margini non consentiranno di svolgere tutta la ricerca della quale ci sarebbe bisogno. la troveranno fatta dalle iniziative non profit. Sar il caso di valorizzarla. Con l'approccio simbiotico che caratterizza non certo tutto, ma molta parte dell'attivit pi produttiva che le persone e le organizzazioni sviluppano in rete". Tutto bene? S e no. La metafora rassicurante della "simbiosi", funzionale ad un'altra immagine dominante nella descrizione odierna delle prospettive per l'informazione, ovvero quella dell'"ecosistema", forse nasconde altro. In primo luogo la strategia di ri-legittimazione del giornalismo professionale che si arroga il diritto, di fatto, di selezionare e filtrare le storie scovate dal pubblico e di conferire ad alcune di esse maggiore o minore visibilit sulla base di presupposti non chiaramente esplicitati e condivisi (che risentono, fra l'altro, dei diktat del marketing) e che quindi, fra l'altro, non garantiscono l'efficacia e la pertinenza della scelta. Secondariamente, e detto in modo molto brutale, lo sfruttamento del lavoro gratuito e spontaneo di molti "prosumer", restituendo loro in cambio giusto un po' di visibilit (un bene, in Rete, estremamente volatile), rimanda forse ad una generale tendenza alla precarizzazione e svalutazione del lavoro intellettuale, in nome di interessi che poco hanno a che fare con la trasparenza dell'informazione e la capacit di impostare sul serio un'adeguata ed efficace "comunicazione dal basso". Il tempo e le risorse che i "non professionisti" mettono a disposizione con tanto generoso disinteresse in realt hanno come scopo quello di garantire un modello di business in grado di minimizzare i costi e garantire profitti per altri soggetti. E questo, dando per scontato qualcosa che poi scontato non , ovvero che sempre e comunque le competenze dei "profani" siano alla fine inferiori a quelle esibite dal giornalismo "legittimo". La parola "campo" in questo senso si oppone all'irenicit della metafora "ecologica": perch comunque rimanda a lotta, strategia, competizione, rinegoziazione delle poste in gioco nell'economia dei beni simbolici. In definitiva il giornalismo nella sua dimensione digitale off e online oggi ancora campo di battaglia per tensioni non risolte fra differenti attori sociali e l'equilibrio non sembra proprio cos a portata di mano.

Bibliografia essenziale Pierre Bourdieu, Risposte, Per unantropologia riflessiva, Torino, 1992 Pierre Bourdieu, Il dominio maschile, Milano, 2009 Pierre Bourdieu, Sul concetto di campo in sociologia, Roma, 2010 (in particolare il testo Campo politico, delle scienze sociali, e giornalistico) Pierre Bourdieu, Sulla Televisione, Milano, 1997 Pierre Bourdieu, Il mondo sociale mi riesce sopportabile perch posso arrabbiarmi, Roma, 2004 Anna Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, con un inedito e altri scritti, Venezia, 2003 Massimo Russo, Vittorio Zambardino, Eretici digitali, Milano 2009 Luca De Biase, Cambiare Pagina, Per sopravvivere ai media della solitudine, Milano, 2011

Augusto Valeriani, Twitter Factor, Come i nuovi media cambiano la politica internazionale, Bari, 2011 Vanni Codeluppi, Ipermondo, Dieci chiavi per capire il presente, Bari, 2012 Ferdinando Giugliano, John Loyd, Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia, Milano, 2013 Gianni Riotta, Il Web ci rende liberi? Politica e vita quotidiana nel mondo digitale, Torino, 2013 Davide Bennato, Sociologia dei media digitali, Relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo, Bari, 2013 Gianni Faustini (a cura di), Le tecniche del linguaggio giornalistico, Roma, 1995

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