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VISTO DA SINISTRA
un “blog di carta”
per riscrivere insieme
un po’ di sinistra
© 2009 M&B Publishing srl Milano
Via Solari 19, - 20144 Milano
Tel. 02 / 89423416
e-mail: mbpub@tin.it
ISBN 978-88-7451-___-_
Susanna Camusso
Qualche
considerazione
generale
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zio e della volontà dei cittadini, e il potere finanziario
che non risponde a nessuno, nemmeno alle istituzioni
che dal suo interno nascono. E se c’è il problema
urgente di costruire strumenti sopranazionali per il
governo dell’economia (dell’economia, ripeto, non solo
della finanza), proprio come è già successo dopo la
seconda guerra mondiale, c’è – per la sinistra – anche
il problema di ricostruire un punto di vista, a partire
dalla distinzione tra salvataggio del sistema finanzia-
rio e, passata la bufera, rilancio del vecchio modello di
sviluppo. Da un lato, Salvare aziende private con i
soldi dei cittadini sarebbe un altro modo per mantene-
re un rapporto di dipendenza tra la politica e gli artefi-
ci della speculazione finanziaria. Dall’altro,
l’intervento dello Stato, se non vogliamo ripercorrere
le strade del passato, deve – almeno per la sinistra -
implicare un diverso modo di operare e la discussione
pubblica per definire condividere le finalità produttive
e sociali. E allora occorre riaprire il tema di forme e
strumenti di democrazia economica e questo ci deve
portare a ragionare di un nuovo patto sociale, a partire
dall’esigenza di una diversa distribuzione del reddito
e del potere tra capitale e lavoro.
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dopo la seconda guerra mondiale – e con esso
l’ideologia del cosiddetto “socialismo reale” ma non
per questo sono finite le ideologie: basti pensare alla
ideologia del mercato, a quella del potere e del denaro,
al nazionalismo esasperato e al crescente uso della reli-
gione come fondamento della politica degli stati. E
invece del bipolarismo c’è uno stato di insicurezza cre-
scente e guerre aperte in tutti i continenti.
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Resto dell’idea che ci debba essere una certa “filoso-
fia”, una certa visione delle relazioni tra gli individui,
che dia forza e contenuti all’agire quotidiano.
Tutto il contrario di una chiacchera inutile cui contrap-
porre la “concretezza degli atti”. Anche chi si scaglia
contro le ideologie e teorizza il “fare” esprime precisa-
mente quella ideologia e in questo sta l’inganno. E
invece, il pensiero politico, la ricerca di nuovi orizzon-
ti, di nuove frontiere, aprono nuove opportunità alla
convivenza civile, così come le ricerche e le scoperte
scientifiche e tecnologiche aprono nuove dimensioni
per la vita di tutti noi.
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primo e nemmeno l’ultimo), di cui la politica dovrebbe
per alcuni essere un prolungamento.
Più in generale, l’economia è uno strumento dell’uomo e
non un potere universale al quale l’uomo deve sottostare.
Penso anche una cosa in più: i saperi, le conoscenze
tecniche non sovrastano la politica e le sue regole.
La politica è quella attività che trasforma le conoscen-
ze dell’uomo in opportunità reali di vita e di crescita,
che trova l’equilibrio tra esigenze diverse ed anche
contrapposte, che rende possibile la vita quotidiana di
ogni individuo in rapporto a tutti gli altri individui,
che assicura come diritti quelli che – lasciati da soli –
sarebbero inaccettabili privilegi.
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dotto ad un pragmatismo bipartisan? Forse, allora, le
cose non stanno davvero così e il rumore che sentiamo
è quello dell’asino che è cascato!
Le differenze ci sono, eccome, destra e sinistra ci sono
ancora, eccome, il pensiero e l’azione di una o dell’al-
tra sono ben diverse. Leggiamo insieme questi due
passaggi:
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inegualitari, al contrario, coloro che, partendo dallo stesso
giudizio di fatto, apprezzano e ritengono più importante,
per attuare una buona convivenza, la diversità.”
L’autore del primo è di Dino Cofrancesco, storico
del pensiero politico, quello del secondo è Norberto
Bobbio.
Non mi sembra che i due autori siano fuori dalla real-
tà, pur essendo “figli del novecento”, o che siano peri-
colosi estremisti!
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ma anche di poter utilizzare pienamente tutte le
opportunità. Dall’altra parte, saranno altre – e ben
diverse - le priorità, le idee, la prassi e le azioni.
Dato che i bisogni degli individui sono illimitati, men-
tre le risorse per soddisfarli sono limitate, occorre deci-
dere quali bisogni sono fondamentali e vanno soddi-
sfatti per primi, per il bene di tutti.
Questa è l’essenza della politica.
Le scelte relative alla destinazione delle risorse si tra-
ducono in programmi e i cittadini si aggregano in
quella forma organizzata che appunto sono i partiti,
libere associazioni di cittadini, il cui compito fonda-
mentale è orientare e raccogliere consensi rispetto alle
varie proposte.
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che conducono a definire programmi e proposte: se si
guarda bene, attraverso questa partecipazione demo-
crazia si traduce davvero in “governo del popolo”.
La partecipazione fa sì che le istanze dei singoli si pon-
gano in equilibrio e non in contrapposizione con quel-
le di tutti gli altri.
Se tutto ciò non si realizza, se tutto è venduto come
uguale e i “luoghi” della democrazia e della partecipa-
zione non si trovano, cominciano i guai.
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cambiarla. Quanto alla indifferenza per la politica, vale
sempre quanto disse Piero Calamandrei, nel suo
“Discorso sulla Costituzione” fatto agli studenti mila-
nesi nel 1955:
“La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa
della politica”: quando sento fare questo discorso, mi
viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che
qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti,
due contadini, che traversavano l’oceano su un piro-
scafo traballante. Uno di questi contadini dormiva
nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che
c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il
piroscafo oscillava. E allora questo contadino impauri-
to domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e
questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento
tra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva a
svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se
continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento
affonda!”. Quello dice: “che me ne importa, non è mica
mio!”. Questo è l’indifferentismo alla politica.”
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Oggi, invece, polverizzando il senso di comunità e
condivisione, rifacendosi esclusivamente al pragmati-
smo, alla “tecnocrazia delle funzioni” nel governo
della cosa pubblica, distruggendo il principio di
“bene pubblico”, si arriva proprio a questo.
Salvo poi cavarsela scaricando il tutto sulle vittime,
gli individualisti egoisti, appunto.
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Ma torniamo al punto di partenza.
Ci vuole, prima degli “atti di governo” un’idea delle
cose, che non è unica ma necessariamente di parte e
parziale (di contro sarebbe una visione assolutistica e
religiosa), riconoscibile e condivisibile, capace di racco-
gliere il consenso dei più perché ad essi è rivolta.
Nulla di “scientifico e determinato” per carità, ma
un’idea forte e capace di rivendicare un passato, di
vivere pienamente il presente e di prospettare il futuro.
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lo e bilanciamento. Ne è risultata una crescita disarmo-
nica dove, a fronte di indici di crescita positivi, non
corrispondono processi di ridistribuzione della ric-
chezza prodotta altrettanto positivi.
Il mondo industrializzato, infatti, vede un progressivo
impoverimento della sua famosa “classe media”, unito
ad un costante assottigliarsi delle risorse per le assicura-
zioni e le garanzie sociali; i paesi emergenti, pur a fronte
di una forte crescita, hanno ancora moltissimi dei propri
cittadini in situazioni di vita a dir poco basse.
Superare le contraddizioni di questo sviluppo e di
queste relazioni profondamente ingiuste non potrà
essere raggiunto dalla autoregolamentazione dello
stesso mercato (che, con buona pace dei liberisti, ha
miseramente fallito, come dimostrano le gravissime
crisi e crac finanziari di questi mesi), ma piuttosto con
un profondo rinnovamento della politica.
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Un governo non vale l’altro, i valori “condivisi” non
sono oggetto di trattativa altrimenti non sono tali e la
politica non è fare tavoli ma civili contradditori, cer-
cando il massimo consenso e, se sostenuto dalla mag-
gioranza degli elettori, assumendosi le responsabilità
delle scelte per cui si è stati votati.
Per questo credo fermamente che, per diventare classe
dirigente, ad una classe politica non basta essere eletta
in un “listone”: per indirizzare la vita della comunità e
realizzare atti di governo coerenti ad un disegno
comune e preciso, c’è bisogno di un’idea o, meglio, di
un ideale. Per questo non basta fondare un partito per
risolvere il problema: quel che risolve non è il conteni-
tore ma il contenuto.
E per fare ciò si deve ripartire dai “fondamentali”,
teoria e prassi, rappresentanza e consenso, passione e
responsabilità, come all’inizio della fase moderna
dell’Italia, con i movimenti dei lavoratori, la coopera-
zione e la loro rappresentanza politica, il governo
municipale.
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Qualche idea e
qualche proposta
per ripartire.
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perché (ce ne sono, anche se troppi fanno finta di non
vederli) cerca di sfuggire a guerre crudeli. Vorrei che
fossero di più: chi studia qui e magari trova poi un
lavoro che lo appassioni e ne realizzi le aspirazioni, chi
semplicemente trova la Lombardia bella e comoda da
vivere, chi ritrova qui la possibilità di una vita digni-
tosa e una prospettiva per i propri figli. Non è un
sogno ma certo potrà succedere se molte cose cambie-
ranno, dall’ambiente vivibile alla qualità delle nostre
città, dalla capacità di realizzare un più alto senso civi-
co alla progressiva costruzione di un rapporto tra
diritti e doveri che a Milano e alla Lombardia serve
come l’aria.
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La qualità
sociale
ualità sociale è l’insieme dei fattori di sicurezza su
Q cui i cittadini possono contare perché siano garan-
titi diritti essenziali che fanno parte della nostra cresci-
ta sociale e culturale. E’ un campo sempre più ampio:
salute, istruzione, formazione, abitazione.
Le prime domande che si rivolgono ad una persona
sono quasi sempre“cosa fai?” e “dove abiti?”. Le per-
sone e la qualità della loro vita dipendono – in gran-
dissima parte – dalla risposta a queste due domande.
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uno spreco intollerabile della più grande ricchezza,
quella che sta nella testa e nelle mani delle persone.
Tanto più intollerabile, se questa ricchezza viene
nascosta dal privilegio dato alla nascita e alla immobi-
lità sociale.
Le proposte:
a. obbligo scolastico e diritto allo studio: contrastare la
tendenza – cambiando le leggi attuali – a mettere sullo
stesso piano l’obbligo scolastico, che vogliamo esteso
fino a 18 anni, e la formazione professionale, perché
con la scusa delle esigenze delle imprese i giovani ven-
gono obbligati a scegliere tutta la loro vita futura in età
precoce; sostenere gli studi dei capaci e meritevoli con
bassi livelli di reddito con interventi per le abitazioni e
contributi per gli studi.
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settori di sviluppo e impostare politiche a più lunga
scadenza.
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2 - Un tetto e buona salute: tutto il resto può venire
anche dopo. Così dice il buon senso popolare ed è così
nell’esperienza di ciascuno. Ma nessuno può essere
lasciato solo dinanzi al mercato della casa e della salu-
te: da soli si rimane preda della speculazione edilizia o
vittime delle operazioni fatte solo perché rendono.
Le proposte:
a. case per l’affitto: già numerosi sono gli interventi
(di sostegno, di alleviamento dell’onere dei mutui, di
favore fiscale) per l’acquisto della casa ma rimane irri-
solta la questione del mercato dell’affitto, giunto a
livelli insostenibili anche per redditi medi o medio alti,
che la Regione può affrontare assumendo un ruolo di
incentivazione e di garanzia tra Comuni e operatori
(privati, pubblici, Fondazioni, cooperazione) per la
realizzazione di alloggi destinati esclusivamente
all’affitto.
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costruzione di zone separate o ghetti.
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La qualità
democratica
Le proposte:
a. Legalità: impegno contro le grandi organizzazioni
criminali, sostegno alle vittime del racket e dell’usura,
misure per la prevenzione (credito e sostegno alle pic-
cole attività economiche), controllo rigoroso degli
appalti e sul lavoro nero, trasparenza e controllo delle
decisioni pubbliche, educazione alla legalità nelle
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scuole e nei quartieri, interventi integrati anche con
politiche più propriamente di sicurezza per il rilancio
dei quartieri degradati.
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diretta ha svuotato le assemblee elettive che non
hanno quasi più funzioni vere, il personalismo appare
largamente prevalente. Non è un problema che riguar-
da chi fa politica, è un problema che poi diventa realtà
quotidiana, nella gestione dei servizi e nella decisione
che diventano sempre più funzioni tecniche, risolte dai
consulenti e dagli “esperti” ma sempre più lontane dal
coinvolgimento dei cittadini. Il sistema sociale comu-
nale va ripensato e riprogettato a partire dalla ricostru-
zione dell’intervento attivo di chi i servizi utilizza, dai
bambini agli anziani, se vogliamo continuare ad avere
città e comuni “a misura d’uomo” e naturalmente “di
donna”, che sappia tenere conto delle esigenze e delle
differenze proprio per affermare quella parità nelle
opportunità che è l’unica forza che possa bilanciare la
“lotteria” della nascita.
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divisa. Vi sono già esperienze sul bilancio partecipati-
vo, esperienze pionieristiche che vanno estese. Si può
andare oltre: la Regione può definire con legge modi e
strumenti per allargare il campo della partecipazione
per decidere alle scelte in materia di uso del territorio,
di infrastrutture, cioè sulle scelte più impegnative e di
lunga durata.
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La qualità
ambientale
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di convenienze: politiche ambientali coerenti ed effica-
ci sono anche “un buon affare” non solo sotto il profilo
economico ma anche guardando alla necessità di rin-
novare e qualificare il lavoro e l’industria italiana.
Le proposte:
a. energia: risparmio, efficienza energetica, fonti alter-
native. E’ il “terzetto” ben noto che tutti richiamano:
ma allora perché non si fanno passi avanti sostanziali? Il
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meglio del pensiero ambientalista ha da tempo prodotto
convincenti proposte ma al di là degli allarmi – quando
aumenta il costo del petrolio, quando scoppia la crisi
idrica, quando il termometro sale o scende un po’ di più
– non si riesce a consolidare un cambio di passo adegua-
to alla crescente percezione di drammaticità della que-
stione. E poi alcuni anni di trasformazioni societarie e di
fusioni industriali non hanno prodotto benefici sotto il
profilo dei costi per cittadini e imprese. Bisogna assu-
mere un doppio criterio che guidi poi politiche e inter-
venti. Il primo è di tipo economico: risparmio ed effi-
cienza energetica delle strutture (attrezzature, fabbricati,
spazi privati e pubblici) sono una nuova filiera produtti-
va che richiede investimenti, manodopera qualificata,
impegno per la ricerca scientifica e innovazione tecnolo-
gica. Il secondo è di tipo sociale: anche nel campo della
produzione di energia si possono favorire impianti, tec-
nologie e modalità non solo a basso impatto ambientale
ma anche a proprietà e responsabilità diffusa.
Responsabilità, verso le generazioni future; sobrietà con-
tro la società dello spreco; decentramento per rispettare
l’ambiente. Altro che ritorno, vergognoso, centralistico,
autoritario, al nucleare!
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ben lontana da livelli adeguati, e l’efficienza degli
impianti (dal compostaggio alla termovalorizzazione). E’
evidente che molto dipende dal modello dei consumi e
dei comportamenti, individuali e collettivi, e politiche di
educazione insieme a meccanismi di premio e sanzione
(sul piano tariffario e fiscale) devono essere portate
avanti con determinazione, anche se dobbiamo essere
consapevoli che ciò richiede tempi medio-lunghi. Il vero
salto di qualità, indispensabile se si vuole uscire da una
situazione non sostenibile, consiste nel aggredire gli
aspetti industriali del problema, da un lato operando per
la riduzione degli imballaggi – che è la maggior parte
del volume dei rifiuti – e dall’altro incentivando lo svi-
luppo di nuove filiere produttive nel comparto della tra-
sformazione dei rifiuti.
Si deve, in sostanza, affrontare la questione come un
problema di politica industriale: altri Paesi – e più di
tutti la Germania – hanno fatto questa svolta, allentando
l’assedio dei rifiuti e realizzando nuove imprese
nel settore, con aumento dell’occupazione e del volume
economico.
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getto di un palazzo, non solo per tutelare aspetti natura-
listici (il giardino, il parco, la via d’acqua, l’aria) ma
anche per riorganizzare piazze, varchi nella cortina di
case così fittamente costruita, riaprire anche fisicamente
zone di città perché possano tornare ad essere luoghi di
vita e di incontro. Così si costruisce sicurezza, quella
vera, cioè una abitudine alla convivenza reciproca e al
rispetto di regole comuni e per questo condivise. E que-
sto significa “nuova civiltà”, cioè rapporti fatti di scam-
bio (i negozi…), di crescita comune (la scuola, il campo
sportivo…), di incontro (la sala, il circolo, la piazza…):
tutte cose che chiedono luoghi, attenzione, e soprattutto
un deciso orientamento verso la “programmazione par-
tecipata”. Assetto urbano, riqualificazione dell’esistente,
viabilità, realizzazione e manutenzione di stabili e sedi
pubbliche: sono tutte scelte per le quali bisogna contare
sulla capacità – le esperienze, le competenze, la “vici-
nanza” - di chi quei luoghi abita, frequenta o utilizza.
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La qualità
sociale
LAVORO
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misure di contrasto al lavoro illegale e sommerso;
In particolare, ho proposto:
- l’introduzione della Certificazione regionale degli
standard di sicurezza sul lavoro;
- la negazione ed eventualmente la revoca dei
finanziamenti regionali alle aziende o imprese che
violano le normative vigenti in materia di sicurezza;
- potenziamento e coordinamento delle strutture
deputate alle attività di controllo;
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- istituzione di un fondo regionale per il sostegno
economico alle famiglie delle vittime di infortuni sul
lavoro;
- specifiche misure di accompagnamento nei percorsi
di progressivo superamento del lavoro irregolare, di
emersione del lavoro nero e dell’adozione degli
interventi per la sicurezza.
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CASA
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alloggi o il recupero di edifici già esistenti, per fornire
soluzioni abitative a quanti non riescono a trovare sul
libero mercato un’offerta idonea a soddisfare le loro
esigenze.
In particolare, ho proposto:
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- interventi per favorire l’accesso dei giovani
all’alloggio in locazione mediante aiuti economici
che rendano sostenibili i prezzi correnti del mercato
abitativo e consentire loro, siano essi single o coppie,
di poter vivere e programmare il proprio futuro;
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SANITA’
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continua e forte crescita. Così, per l'equilibrio dei
bilanci si è chiesto da una parte una forte comparteci-
pazione dei cittadini lombardi (l'addizionale IRPEF, i
tickets, ma anche il ricorso al privato-privato) e dall’al-
tra la Regione è stata costretta ad accendere numerosi
mutui. Inoltre la Regione ha dovuto introdurre i tetti
alle prestazioni del pubblico come del privato (per
contenere l’incremento della spesa sanitaria) contrad-
dicendo la sua stessa politica sanitaria e gli stessi
principi della legge 31, soprattutto per quanto
riguarda la libertà di scelta del cittadino.
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handicap, le non autosufficienze.
e) centralismo politico-amministrativo.
E’ cresciuto il centralismo regionale, cioè il contrario
che dei principi di autonomia e anche di aziendalizza-
zione: i direttori generali sono stati scelti in base a crite-
ri di appartenenza e di affidabilità politica piuttosto
che di responsabilità e professionalità e così, a scende-
re, anche per le nomine dei dirigenti sanitari di II e di I
livello.
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struttura, rappresentano l’ennesima dimostrazione che
non si tratta di singole tessere “impazzite”, ma di un
intero sistema sanitario che fa acqua da tutte le parti.
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bilire a priori ciò che si può e ciò che non si può fare.
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WELFARE e ANZIANI
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mazioni propongono questioni nuove e complesse sia
in tema di politiche sociali sia in relazione agli aspetti
sanitari e di assistenza. Non si può aspettare il momen-
to della cura ma si deve investire sulla prevenzione,
sulla riabilitazione e sull’integrazione socio-sanitaria.
Una particolare riflessione deve essere riservata all’or-
mai indispensabile ruolo di sostegno fornito da soggetti
privati, prevalentemente extracomunitari, inseriti a tutti
gli effetti nelle famiglie degli anziani.
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ogni bilancio annuale.
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ste con tutti gli enti coinvolti (in particolare Province,
Comuni e ASL) sia per coordinare gli interventi sia
concordare le migliori soluzioni operative.
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ruolo di “PAC” ossia programmazione-acquisto-con-
trollo, ma non la gestione diretta dei servizi e così in
realtà le ASL continuano a dover gestire un numero
rilevante di servizi “residuali”, non facilmente esterna-
lizzabili.
Di qui la necessità di ripensare la migliore organizza-
zione dei servizi, puntando sulla semplificazione e
sulla integrazione, oltre che su un maggiore decentra-
mento a vantaggio dei cittadini, e sperimentando solu-
zioni gestionali innovative.
Allora un primo passo della riorganizzazione sarebbe
quello di una ridefinizione dei distretti e delle articola-
zioni subdistrettuali, per ambiti compresi tra 20.000 e
50.000 abitanti, sperimentando forme nuove di orga-
nizzazione dei servizi come la “Casa della salute”, con
l’obiettivo di aggregare più servizi e di rappresentare
un punto unico di offerta, semplificando e concentran-
do gli sportelli della accoglienza e i percorsi socio-sani-
tari. La Casa della Salute può dunque rappresentare
un punto di partenza per la riorganizzazione di una
serie di servizi oggi dispersi a livello territoriale.
Le funzioni fondanti della Casa della Salute ruotano
attorno a queste quattro aree/settori:
1) Area dell’accesso, del Segretariato sociale e del CUP
2) Area dei Servizi sanitari (SS)
3) Area dei Servizi socio sanitari (SSS)
4) Area dei Servizi e attività sociali (SAS);
La particolarità di molte realtà territoriali (ad esempio
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province di nuova istituzione o comuni che abbiano
subito processi di riaggregazione) rende necessaria
una sperimentazione sia di soluzioni “concentrate”
(ossia prevedendo la realizzazione di una Casa della
Salute in un unico stabile), sia in una logica “di rete”
(prevedendo, in alternativa, la riorganizzazione di pre-
sidi tra loro adiacenti, con un’unica sede di ricevimen-
to per i cittadini e con l’invio successivo alla struttura
sociale o sanitaria idonea al bisogno del cittadino).
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La qualità
ambientale
URBANISTICA
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adibire un immobile a luogo di culto con l’obbligo, solo
e soltanto per questa finalità, di una autorizzazione
dell’amministrazione comunale sul cui territorio sorge
l’edificio: per aprire una bisca nessun problema, se si
tratta di una moschea (chissà come mai le iniziative
leghiste che hanno a che fare col religioso fanno sempre
pensare alla componente musulmana!) apriti cielo.
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Non è finita: mancano numerosi provvedimenti attuati-
vi (valutazione ambientale dei piani, criteri e modalità
per la pianificazione nei piccoli comuni, riduzione
degli oneri di urbanizzazione in relazione agli interven-
ti di edilizia bioclimatica o finalizzati al risparmio ener-
getico, determinazione del costo di costruzione, com-
missioni per il paesaggio) e soprattutto non esiste il
documento cornice rappresentato dal PTR, Piano
Territoriale regionale, condizione base per gli indirizzi
urbanistici ancora nella fase di annuncio.
In particolare, ho proposto:
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- di riconsegnare ai Consigli comunali e non alle
Giunte la decisione sulle trasformazioni del territorio
e dei relativi progetti;
- di affidare ai Piani Territoriali di Coordinamento
Provinciali il compito di definire gli orientamenti
generali per la pianificazione locale, la tutela
ambientale, la infrastrutturazione territoriale e i piani
di sviluppo insediativo;
- di affiancare il Piano dei Servizi con il Piano del Verde
e il Piano per la Casa, con incentivi per favorire
l’edilizia sociale;
- misure per la tutela paesaggistica e ambientale,
il risparmio energetico e la bioedilizia, modificando
per questo i Regolamenti Edilizi comunali.
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MOBILITA’ RESPONSABILE
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legge organica sulla materia e questa iniziativa riuscì,
finalmente a mettere in moto la discussione: seguirono
infatti le proposte dei Verdi, di Rifondazione comuni-
sta e, per ultimo, quella della Giunta. La legge che
venne poi approvata rappresenta uno dei pochi esem-
pi di legge nata dalla iniziativa e dalla discussione nel
Consiglio e non – come solitamente accade – su inizia-
tiva della Giunta.
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- quanto ai tavoli di consultazione e concertazione
con gli enti locali – che hanno prodotto significative
proposte sulla limitazione dell’inquinamento nel
breve lungo periodo e l’individuazione delle priorità
- si sono riuniti solo in seguito a continue
sollecitazioni, sostenute da tutto il centrosinistra.
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PARCHI e AREE VERDI
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I servizi di
pubblica utilità
Acqua, gas, energia elettrica, rifiuti: settori fondamen-
tali per la vita delle nostre città; beni necessari per la
vita quotidiana, ma anche importanti realtà finanziarie
e industriali. Si parli di tariffe, di qualità del servizio, di
occupazione, di investimenti, da tempo sono al centro
della attenzione di tutti.
ACQUA
E’ il primo dei beni comuni, indispensabile alla vita ed
allo svolgimento di qualsiasi attività, agricola o indu-
striale. Per questo si parla sempre più spesso di “diritto
all’acqua” e per questo la gestione dell’intero ciclo –
dalla captazione alla distribuzione – rappresenta un
interesse pubblico essenziale.
Questo è stato il mio impegno particolare, a sostegno
del referendum che oltre 100 comuni lombardi hanno
promosso per modificare la legge regionale che costrin-
ge alla privatizzazione della gestione del servizio idri-
co. Ho promosso la dichiarazione di ammissibilità, che
poi il Consiglio ha approvato, in collegamento con il
comitato dei sindaci e le tante associazioni di cittadini
che aderiscono e sostengono una campagna che nel
tempo è diventata mondiale.
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RIFIUTI
La società dello spreco? Certo, dagli imballaggi alla
produzione industriale, dal consumo alla vita familiare,
produciamo montagne colossali di rifiuti. Cosa farne,
come risolvere il problema è una grande questione
ambientale, sanitaria ma anche economica e industria-
le. E in modo sempre più preoccupante sono aumenta-
te le infiltrazioni delle grandi organizzazioni criminali
che hanno in mano lo smaltimento abusivo dei rifiuti
tossici: questa vicenda, evidente in molte indagini della
magistratura ed esplosa nel caso della Campania,
riguarda direttamente il Nord Italia e la Lombardia.
Anche per questo ho criticato l’atteggiamento della
Giunta Formigoni che ha rifiutato di contribuire a
smaltire i rifiuti campani, salvo poi farlo dopo il cam-
bio di governo, con una evidente strumentalizzazione
per ragioni esclusivamente politiche.
Il mio impegno è stato rivolto
- a privilegiare gli interventi lungo tutta la filiera, dalla
riduzione degli imballaggi alle politiche di recupero e
riciclaggio;
- a proporre la completa tracciabilità dei rifiuti per con-
trastare lo smaltimento e lo stoccaggio abusivo;
- a predisporre programmi pluriennali che nel tempo
portino a diminuire il deposito in discarica ed aumen-
tare fino al 70% la parte riciclata o recuperata anche
attraverso la produzione di energia;
a rafforzare gli strumenti di prevenzione e di repressio-
ne nei confronti del danno ambientale.
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“ In queste settimane
sto presentando
due progetti di legge
in ambiti piuttosto diversi
da quelli di cui
mi sono occupato finora.
Riguardano l’educazione
alla legalità e
le scelte di autonomia “
di vita dei giovani.
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L’EDUCAZIONE
ALLA LEGALITÀ
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per le giovani generazioni. Dalla educazione alla legali-
tà, con pochi piccoli passi, si giunge ad essere consape-
voli della convivenza di tante piccole e grandi differen-
ze. Vi è certo il tema della presenza stabile e di lungo
periodo di culture e nazionalità diverse e lontane, ma ci
sono anche le differenze sociali, quelle economiche, che
in momento – prolungato – di crisi generale possono
facilmente degradare a contrasto e scontro.
E allora bisogna sostenere il lavoro delle associazioni
che dura ormai da tempo ma anche stimolare e ricono-
scere le attività condotte dalle Forze dell’Ordine, dal
sistema dell’Istruzione, dalla Magistratura, dal sistema
camerale dalle organizzazioni sociali, economiche e di
rappresentanza del sistema produttivo.
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L’AUTONOMIA
GIOVANILE E LA CASA
La casa è – insieme al lavoro – alla base di ogni scelta
di vita autonoma, la condizione perché un giovane, da
solo o in coppia, possa iniziare una nuova fase della
propria esperienza.
Per questo è necessario attivare strumenti che permet-
tano di avviare una vita autonoma anche in assenza di
disponibilità economiche delle famiglie di provenienza:
bisogna evitare che condizioni materiali del tutto
casuali (come qualcuno la chiama, la “roulette della
nascita”) diventino ostacoli insormontabili a causa
delle ingiustizie e delle inefficienze del mercato dell’a-
bitazione.
Vi è anche un altro aspetto: molti giovani vorrebbero
stabilirsi in Lombardia per ragioni di lavoro e studio e,
ancora una volta, il mercato – da solo – non risolve i
problemi anzi li aggrava.
Ho pensato a interventi che sostengano l’affitto perché
da un lato cresce l’onere per i mutui e dall’altro conti-
nuare a privilegiare l’acquisto produce rigidità non
positive.
Più in generale, sono convinto che facilitare l’inizio di
una vita autonoma sia una scommessa positiva, che fa
leva sulle risorse delle persone: un atto di fiducia e di
investimento per il futuro di tutti e non solo di chi ne
beneficia. Dobbiamo rimettere in movimento una socie-
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tà che appare sempre più bloccata, in una sorta di
fermo-immagine al nastro di partenza, in cui la grande
maggioranza nemmeno riesce a partire.
Il progetto di legge stabilisce contributi per sostenere
l’impegno per l’affitto per giovani e giovani coppie e,
contemporaneamente, facilitazioni fiscali a vantaggio
dei proprietari delle case.
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Finito di stampare Gennaio 2009
presso Graphic srl,
Via Garofalo, 31 - Milano
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