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Scritti di: Adriano Fabris, Mauro Mariani, Francesco Tomatis,

Marco Ivaldo, Antonia Pellegrino, Francesco Camera,


Leonardo Samon, Luigi Vero Tarca,
Flavia Monceri, Giovanni Ventimiglia
Lidentit
in questione
Prospettive filosofiche
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T E O R I A
Rivista di filosofia
fondata da Vittorio Sainati
XXVI/2006/1 (Terza serie I/1)
Edizioni ETS
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a questione dellidentit e il rapporto di questo concetto con
quello correlato di alterit sono problemi ormai impostisi
nellodierno dibattito socio-culturale. Bisogna per pensar-
li, al tempo stesso, da un punto di vista propriamente filosofico.
questo che si propone i l presente fasci col o di Teori a, l a ri vi sta
fondata da Vittorio Sainati che inaugura qui la sua terza serie.
In questo numero non mancano contributi che si riferiscono ad au-
tori classici e contemporanei del pensiero occidentale (da Aristotele
a Cusano, da Fichte a Heidegger, da Levinas a Derrida, fino a Se-
verino). Ma, insieme, si trovano scritti che affrontano la differenza
di genere, lambito transgender e i problemi dellidentit maschile.
Il tutto per offrire unintroduzione complessiva e una mappatura
adeguata dei diversi modi in cui si pu parlare, oggi, di identit.
18,00
ISBN 88-467-1577-2
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TEORI A
Edi zi oni ETS
Li denti t
i n questi one
Prospetti ve fi l osofi che
Rivista di filosofia
fondata da Vittorio Sainati
XXVI /2006/1 (Terza seri e I /1)
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I ndi ce
Adriano Fabris
Premessa, p. 5
Mauro Mariani
I denti t, essenza ed acci dente, p. 7
Francesco Tomatis
I psei t, di versi t e di a-ferenza, p. 31
Marco Ivaldo
Fi chte: l ori zzonte comuni tari o del l eti ca
(l e l ezi oni del 1812), p. 37
Antonia Pellegrino
Cosa si gni fi ca di ventare ci che si . Forme e aspetti
del probl ema del l i denti t i n Marti n Hei degger, p. 55
Francesco Camera
I l pri mato del l al teri t e l e metamorfosi del l i denti t
i n Emmanuel Levi nas, p. 71
Leonardo Samon
Sul l a l ogi ca del l opposi zi one:
l al teri t tra Derri da e Levi nas, p. 93
Luigi Vero Tarca
Tutto di verso dal l a negazi one, p. 113
Flavia Monceri
Li denti t come prati ca del l i denti fi cazi one, p. 137
Giovanni Ventimiglia
Probl emi di i denti t maschi l e, p. 153
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TEORIA 2006/1
Premessa
Adriano Fabris
La questione dellidentit si presentata negli ultimi anni, con sempre
maggiore importanza, allattenzione dellindagine filosofica. A seguito della
crisi che ha conosciuto il modello identitario, elaborato sia dalla metafisica
classica che dalla dialettica idealistica e post-idealistica, si sempre pi
imposta la necessit di ripensare radicalmente questa tematica, lidentit,
mostrando fino a che punto essa risulti, per dir cos, inquietata da unalte-
rit che costitutivamente lattraversa e che risulta oltremodo difficile elimi-
nare. La questione non riveste per, solamente, un carattere astratto, ma ri-
chiede anche di essere affrontata con urgenza, tenendo conto soprattutto dei
mutamenti culturali e sociali che hanno caratterizzato la storia recente. Ec-
co allora che diviene opportuno tematizzare le categorie di identit e di al-
terit per pensare in maniera adeguata la situazione contemporanea: da
una prospettiva filosofica, ripeto, e non semplicemente socio-culturale.
questo il compito del presente fascicolo di Teoria. In esso il tema pre-
scelto affrontato, come di consueto, sia da un punto di vista storico-filoso-
fico che in una chiave pi propriamente teorica. Non mancano dunque son-
daggi che pi esplicitamente si riferiscono ad autori classici e contempora-
nei del pensiero occidentale: da Aristotele a Cusano, da Fichte a Heidegger,
da Levinas a Derrida. Ma, insieme, in esso vengono ospitati scritti che si
confrontano in maniera originale con particolari tematiche: con la ripropo-
sizione, ad esempio, del tema dellidentit quale si ritrova nella filosofia di
Severino, nonch con le questioni della differenza di genere e con la figura
del transgender, quale modello di unidentit che oltrepassa la distinzione
fra i sessi.
Con questo fascicolo, giunta ormai al ventiseiesimo anno di pubblicazio-
ne, Teoriainaugura la sua terza serie. Motivi editoriali, volti a favorire una
maggiore diffusione della rivista, hanno consigliato di iniziare questa nuova
Lidentit in questione
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6 Adriano Fabris
avventura. Dora in poi, dunque, Teoria si caratterizzer per un taglio ancor
pi decisamente monografico proseguendo la tradizione del riquadro te-
matico, da molti anni caratteristico di questa pubblicazione e per un for-
mato pi invitante. Non cambier tuttavia il suo profilo culturale, affinatosi
nel corso dei venticinque anni di partecipazione al dibattito filosofico italia-
no. Come infatti ricordava Vittorio Sainati, nelleditoriale premesso alla
nuova serie della rivista, Teoria si configura soprattutto come luogo din-
contro e di confronto, e perci rifiuta ogni ancoraggio a prospettive scola-
sticamente precostituite o irrigidite, nellintento di recare qualche contributo
alla libera e feconda convergenza dialettica di molteplici esperienze di ricer-
ca. Su questa linea Teoria continuer appunto il suo cammino: aperta ai
problemi del presente, fedele a unimpostazione filosofica al di l di ogni
schema imposto.
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TEORIA 2006/1
1
Definire esattamente che cosa il t: v ::vz: (che in ogni caso tradurr, seguendo una
tradizione consolidata, con essenza) questione difficile e controversa, ma fortunatamente po-
tremo limitarci a (parte di) quanto lo stesso Aristotele dice in Met. Z 4-6, e questo non solo per
economia espositiva, ma anche per precise ragioni metodologiche che appariranno chiare tra
breve.
Identit, essenza ed accidente
Mauro Mariani
Il titolo ambizioso, ma larticolo si propone semplicemente di analiz-
zare gli argomenti contenuti in Met. Z 6 contro lidentit tra le cose dette
per accidente e la loro essenza. Lintero capitolo dedicato alla soluzione
del problema enunciato nelle prime righe (1031a15-8):
(P) Bisogna indagare se ciascuna cosa identica al il suo t: v ::vz:
1
o differente;
e si divide in due parti, seguite da una conclusione in cui si ricapitola-
no i risultati raggiunti (1032a4-11), le quali dimostrano, rispettivamente
la non identit tra le cose che si dicono per accidente e la loro essenza
(1031a19-28);
lidentit tra le cose che si dicono per s e la loro essenza (1031a29-
1032a4).
Anche se la seconda parte, articolata com in numerosi argomenti,
molto pi complessa, a sollevare le maggiori perplessit stata la prima,
sia per la tesi sostenuta (non infatti ben chiaro perch le cose che si di-
cono per accidente non debbano essere identiche alla loro essenza) che
per la sua dimostrazione, della quale lo stesso Aristotele sembra mettere
in dubbio la validit. Ed anche per questa ragione che ho scelto di con-
centrare la mia attenzione sulle cose dette per accidente.
Lidentit in questione
2
La distinzione tra delucidazione (o yo;) e definizione (o :oo ;) non , come potrebbe
sembrare, uninutile sottigliezza. Dato un qualunque termine dotato di significato possibile for-
nire una delucidazione che spieghi di che cosa si tratta, ma solo in alcuni casi la delucidazione
una vera e propria definizione. Lintero libro Z dei Topici, An. Post. B 7-10, parte dei libri Z (in
particolare Z 4 e 17) e H (in particolare H 2) della Metafisica sono dedicati a stabilire a quali
condizioni una delucidazione pu essere considerata una vera definizione.
8 Mauro Mariani
1. Che cosa significa l ogikw`"?
Iniziamo chiedendoci che cosa dobbiamo intendere con lespressione
ciascuna cosa che compare in (P). La domanda solo apparentemente
futile. Infatti il termine greco che ho tradotto con ciascuna cosa, ossia
:zotov, richiama z :zotov (termine abitualmente usato da Aristo-
tele per riferirsi ai particolari) e questo ha fatto credere a molti commenta-
tori che (P) riguardi i particolari: ma si tratta di unillazione non giustifica-
ta perch :zotov, a differenza di z :zotov, usato da Aristotele
per riferirsi, in maniera distributiva, ad ogni tipo di cose. Daltra parte
possibile formulare obiezioni sia contro lipotesi che si tratti di particolari,
sia contro quella che si tratti di universali. Contro lipotesi che si tratti di
particolari si pu addurre che solo le cose la cui delucidazione una defi-
nizione possiedono essenza (Z 4, 1030a6-7)
2
, mentre i particolari non sono
definibili (Z 15); contro quella che si tratti di universali che lessenza di
ciascuna cosa la sua sostanza (Z 6, 1031a17-8) e che nulla di ci che si
dice in universale sostanza di ci di cui si predica (Z 13).
Formulare simili antinomie nellambito di Met. Z non difficile (com
stato osservato, in questo libro non si trova unaffermazione che non sia
accompagnata da quella che sembra laffermazione contraria, come se Ari-
stotele stesse portando avanti lesercizio aporetico di Met. B), difficile
trovare una soluzione che renda giustizia ad entrambi le parti dellantino-
mia. Un buon inizio anche se niente di pi che un inizio losservazio-
ne che il libro Z della Metafisicaaffronta la questione della sostanza da di-
versi punti di vista e che le antinomie spesso nascono dalla giustapposi-
zione di elementi appartenenti a trattazioni differenti. Nella fattispecie
abbastanza evidente che i capitoli 4-6 costituiscono una trattazione a se
stante che ha per tema la sostanza intesa come essenza, ma questo non li
caratterizza a sufficienza dal momento che il tema dellessenza e quello
collegato della definizione sono al centro di buona parte del libro Z. A mio
avviso la particolarit di Met. Z 4-6 consiste nel fatto che questi capitoli
trattano lessenza oy:a; (termine che per il momento non traduco). In
effetti Z 4 inizia cos
Identit, essenza ed accidente 9
Poich allinizio abbiamo distinto i diversi modi in cui definiamo la sostanza, e di
questi uno sembra essere lessenza, dobbiamo occuparcene, e in primo luogo diciamo
di essa alcune cose oy:a;, che lessenza di ciascuna cosa ci che viene detto per
s. (1029b1-2,13-15)
ma questo, di per s, non comporta n esclude che lambito del o-
y:a; vada oltre laffermazione che lessenza costituita da determinazio-
ni per s. Per decidere a favore della mia ipotesi che la trattazione o-
y:a; si estenda allintero blocco Z 4-6 ci vogliono considerazioni pi ap-
profondite.
Esaminiamo dunque, delle 12 occorrenze del termine oy:a ; nel Cor-
pus aristotelico, le pi rilevanti ai fini di determinarne il significato nel
contesto attuale. In De Gen. et Corr. A 7, 316a10-4 e in Met. 1, 1069a26-
30 lo studio e la ricerca oy:a ; sono caratteristici dei platonici e si con-
trappongono ai metodi seguiti dai fisici, ossia di chi utilizza principi uni-
versali in contrapposizione a chi utilizza invece principi propri delle varie
scienze. In Phys. 5, 204b4 oy:a ; contrapposto a co:a ;: si pu
infatti dimostrare che non esiste un corpo infinito, o oy:a ; utilizzando la
definizione matematica di corpo come ci che delimitato da una su-
perficie, oppure co:a ;, utilizzando la distinzione tra corpi semplici e
corpi composti e mostrando che n gli uni n gli altri possono essere infini-
ti. In Phys. 8, 264a8 lindagine oy:a ; contrapposta a quella che uti-
lizza argomentazioni appropriate alla materia trattata. In varie occorrenze
negli Analitici Secondi (A 21, 82b35; A 22, 84a7 e 84b2) le argomentazioni
oy:a ; sono contrapposte a quelle z vzct:a ;. La contrapposizione ri-
guarda le argomentazioni a sostegno della tesi che tutte le dimostrazioni
scientifiche sono finite, ossia che il numero dei medi attraverso cui si prova
lappartenenza del predicato al soggetto nella conclusione finito: le argo-
mentazioni oy:a ; sono quelle che si basano sulla struttura di una deri-
vazionein generale, mentre quelle z vzct:a ; si basano unicamente sulla
struttura di una dimostrazione scientifica. In altre parole, nel primo caso il
risultato cercato ottenuto come esempio particolare di una dimostrazione
pi generale, nel secondo viene dimostrato direttamente utilizzando le ca-
ratteristiche peculiari che distinguono una dimostrazione scientifica da una
derivazione in genere. Avzct:a ;, dunque, non fa riferimento al fatto
che nelle dimostrazioni si usano sillogismi (questo vero delle derivazioni
in genere), ma al fatto che le dimostrazioni sono analitiche nel senso che,
partendo da ci che devessere dimostrato, si va alla ricerca dei medi che
permettono di costruire proposizioni, a loro volta scientificamente fondate,
da cui pu essere derivata sillogisticamente la conclusione. Tirando le som-
3
Ho sostenuto questa tesi in Dialettica e principi in Aristotele, in M. Barale (a cura di), Ma-
teriali per un lessico della ragione, Pisa 2002, pp. 149-204.
10 Mauro Mariani
me da questi brevi cenni si pu dire che, tranne quando il riferimento ai
metodi dei platonici, le argomentazioni oy:a ; sono complementari ri-
spetto a quelle proprie delle varie scienze (o metascienze, come appunto la
teoria della dimostrazione), ma Aristotele non ne mette mai in dubbio la va-
lidit. Si tratta piuttosto di argomentazioni basate sopra unanalisi pura-
mente concettuale di ci su cui vertono le scienze stesse e che utilizzano,
prevalentemente anche se non esclusivamente, larmamentario tecnico del-
la dialettica aristotelica(citando alla rinfusa, le caratteristiche della defini-
zione, la distinzione tra i predicabili, la suddivisione di ci che viene predi-
cato nelle varie categorie, la distinzione tra i vari tipi didentit). In questo
senso si comprende anche il riferimento ai platonici: nel loro caso si tratta
di argomentazioni, la cui validit dubbia non solo perch utilizzano lar-
mamentario tecnico della dialettica platonica, ma soprattutto perch, lungi
dallessere complementari, pretendono di soppiantare completamente le ar-
gomentazioni basate sui principi propri delle scienze.
Torniamo ora allipotesi che la peculiarit di Met. Z 4-6 consista nel
considerare lessenza oy:a;. In base a quanto ho appena detto questo
dovrebbe pi o meno significare che lessenza viene trattata da un punto di
vista puramente dialettico (quindi, dora in poi, adotter come traduzione
di oy:a; di tipo dialettico, oppure le varianti puramente linguistiche
richieste dal contesto). Si tratta di un punto di una certa importanza teori-
ca. Il rapporto tra filosofia prima (o scienza dellessere in quanto esse-
re) e dialettica infatti controverso: da un lato si sostiene che le argo-
mentazioni utilizzate da Aristotele nella filosofia prima (soprattutto per
quel che riguarda la ricerca dei principi nel libro della Metafisica) sono
quasi esclusivamente di tipo dialettico, dallaltro che la scienza dellessere
in quanto essere , in ultima analisi, strutturata come le altre scienze e
che il modello resta quello degli Analitici Secondi, dove le argomentazioni
di tipo dialettico hanno un ruolo complementare. A mio avviso la seconda
alternativa quella pi plausibile
3
, e questo modo di intendere oy:a;
in linea con questa scelta interpretativa, dal momento che distingue anche
allinterno della scienza dellessere in quanto essere le argomentazioni di
tipo dialettico da quelle proprie di questa scienza.
Si tratta ora di vedere in che cosa consiste il punto di vista dialettico
nella trattazione dellessenza. Sappiamo che il tema principale di Met. Z
la sostanza come forma delle sostanze materiali, e, di conseguenza, il rap-
4
Lo dimostra anche il fatto che in questi capitoli il termine materia non compare e, con
ununica eccezione (Z 4,1030a12, dove si parla di ::8 di un genere, con riferimento, dunque,
non alla forma, ma alle specie dei Topici e della Categorie ma su questo punto ritorner pi
avanti), il termine ::8o; compare riferito unicamente alle idee platoniche.
Identit, essenza ed accidente 11
porto tra la sostanzialit della forma e quella delle sostanze materiali.
Daltra parte, poich la sostanza prima quanto alla conoscenza e cono-
scere qualcosa significa innanzitutto rispondere al domanda che cosa
?, la questione della sostanzialit di qualcosa strettamente connessa
con quella della sua essenza e della sua definizione. Ma questo solleva im-
mediatamente ulteriori problemi a proposito del rapporto tra essenza (e de-
finizione) e materia, tra i quali:
in che senso possibile (se possibile) la definizione delle sostanze
materiali?
possibile definire la forma di una sostanza materiale senza fare riferi-
mento alla materia di cui questultima composta?
che rapporto esiste tra la struttura della definizione e quella della cosa
definita, in particolare com possibile che la definizione, essendo arti-
colata in parti, possa esprimere lessenza di ci che, come la forma,
privo di parti?
A mio avviso Met. Z 4-6 sono capitoli dialettici proprio perch pre-
scindono completamente dalla natura della forma, in particolare dal suo
rapporto con la materia e le sostanze materiali e quindi dalle risposte alle
questioni che ho appena elencato
4
: di conseguenza anche laporia formula-
ta allinizio del paragrafo (le cose identiche alla loro essenza non possono
essere n universali n particolari) risulta irrilevante. In altre parole il ca-
rattere assolutamente generale dellapproccio dialettico al problema com-
porta lirrilevanza, o meglio limpossibilit, di identificare ci cui Aristote-
le si riferisce dicendo ciascuna cosa con questo o quel tipo di cose che
popolano lontologia di Met. Z: molto semplicemente ciascuna cosa
proprio una cosa qualunque, e opportuno ribadirlo nelle dimostrazio-
ni di Z 6 la forma ed il suo rapporto con la materia e le sostanze materiali
non giocano nessun ruolo. Stabilire poi se ad essere identici alla propria
essenza sono le forme o le sostanza materiali, gli universali o i particolari,
sar compito della filosofia prima. E questo, alla luce del risultato del tutto
generale di Z 6 (che perci detto essere di qualche utilit in relazione
alla ricerca sulla sostanza 1031a16-7), vorr dire stabilire se si tratta o
non si tratta di cose dette per s.
5
Parlare di teoria al singolare una brutale ipersemplificazione, ma qui minteressa so-
lo enucleare alcune linee di fondo comuni alle varie teorie della predicazione esposte o sempli-
cemente accennate nellOrganon.
6
Uso le virgolette ... per indicare che si tratta del valore semantico del termine linguisti-
co corrispondente, non del termine linguistico stesso.
12 Mauro Mariani
2. Per s e per accidente
Il carattere non strettamente metafisico di Met. Z 4-6 risulta ancor pi
evidente se si pensa che le distinzioni intorno alle quali ruotano questi
capitoli, ossia quella tra essere detto (o predicato) per s ed essere
detto (o predicato) per accidente e quella tra cose dette per s
(zzctz :yo:vz) e cose dette per accidente (ztz oc-
:o; :yo:vz), hanno la loro origine nella teoria della predicazio-
ne esposta nellOrganon
5
.
Il termine per s possiede una pluralit di accezioni. In An. Post. A 4
e in Met. 18 troviamo due elenchi di queste accezioni, ma non facile
n comprenderne il significato esatto n stabilire se i due elenchi sono del
tutto congruenti. Ai nostri fini sar comunque sufficiente estrapolare le ac-
cezioni rilevanti per Met. Z 4-6:
(1) Bappartiene per s ad Ase B si predica :v ta t: :ot:v di A;
(2) B appartiene per s ad Ase B si predica di A e A fa parte della defini-
zione di B, ad esempio pari
6
appartiene per s a numero perch nel-
la definizione di pari compare numero (in generale si pu dire che le
specie e le differenze specifiche appartengono per s in questa secon-
da accezione al genere corrispondente), oppure maschio appartiene
per s ad animale perch, anche se maschio non determina una spe-
cie di animale, animale compare nella definizione di maschio;
(3) Bappartiene per s ad Ase A il primo recipiente di B(ad esempio la
superficie il primo recipiente di bianco infatti qualcosa bianco
se e solo se lo la sua superficie);
(4) una cosa detta per s se esattamente ci che senza essere qualco-
sa daltro (ad esempio uomo detto per s perch ogni uomo tale
senza in aggiunta essere qualcosa daltro di cui uomo stesso si predi-
ca) al contrario camminante detto per accidente perch non solo
la sua esistenza dipende sempre da quella di un soggetto che cammina,
ma non possiamo parlare di un camminante senza fare riferimento a ta-
le soggetto;
(5) in unaccezione meno ristretta anche cose come bianchezza sono dette
7
Cfr. Met. 7, 1017a22-4: Sono dette essere per s le cose significate dalle varie figure
di predicazione: in quanti modi sono dette, in altrettanti significano infatti lessere.
8
Mentre dire che cos un bianco implica la specificazione del soggetto che bianco pos-
siamo dire che la bianchezza un colore di un certo tipo senza specificare il primo recipiente
della bianchezza.
9
tuttavia probabile che per accidente nella seconda accezione si riduca alla prima:
infatti ci di cui un accidente si predica non rientra mai, in senso stretto, nella definizione
dellaccidente stesso.
10
necessario qualificare in questo modo la semplicit: un corpo, ad esempio, semplice
in questo senso, anche se non lo dal punto di vista della composizione fisica.
Identit, essenza ed accidente 13
per s
7
, in quanto, pur non potendo esistere senza un soggetto che sia
bianco, il discorso che dice che cosa sono pu invece prescindere da
questo soggetto
8
.
La distinzione tra predicazione per s e predicazione per accidente si
basa sulle prime tre accezioni: la predicazione per accidente definita
semplicemente come una predicazione non per s, e quindi avr altrettante
accezioni
9
. La distinzione tra cose dette per s e cose dette per accidente si
basa invece sulle ultime due, ma ad essere dette per accidente sono in pri-
mo luogo cose come uomo camminante o uomo bianco, piuttosto che
camminante. La differenza non molta (dal momento che camminante
detto per accidente proprio perch presuppone un soggetto che cammina, e
uomo camminante non fa che rendere esplicito questo soggetto), ma serve
ad evidenziare che le cose dette per accidente derivano da una predicazio-
ne per accidente nella prima accezione. Quindi una cosa detta per acci-
dente possiede una struttura predicativa intrinseca e deriva, ontologica-
mente, da altre pi fondamentali; al contrario una cosa detta per s sem-
plice, nel senso che non il risultato di una relazione predicativa
10
.
Esiste quindi unevidente asimmetria tra le cose dette per accidente e le
cose dette per s: le prime derivano dalla predicazione di un accidente, le
seconde nonderivano da una predicazione per s. In particolare il rapporto
tra una cosa detta per s e ci che si predica per s nella prima accezione
un rapporto di identit. Scrive infatti Aristotele in An. Post. A 22:
Ancora se qualcosa significa la sostanza significa esattamente (o n:) quel qualcosa
o esattamente un quel qualcosa in relazione a ci di cui si predica; se qualcosa non si-
gnifica la sostanza, ma si dice di un altro come di un soggetto che non esattamente
quel qualcosa o esattamente un quel qualcosa, allora un accidente, ad esempio bian-
co in relazione a uomo. Luomo non infatti esattamente bianco n un bianco, piutto-
sto un animale: infatti luomo esattamente un animale. Quanto appunto non significa
la sostanza devessere predicato di qualcosa daltro come di un soggetto e non possibi-
le che vi sia qualcosa di bianco che sia bianco senza essere qualcosa daltro. (83a24-32)
11
In realt oco:ov vuol dire educato artisticamente, ma per brevit traduco con mu-
sico o cosa musicale. Tra poche righe si vedr che musico si riferisce in realt sia
allastratto musicalit che al paronimo derivato cosa musicale. Aristotele non fa che generaliz-
zare i molti casi in cui nella lingua greca il neutro sostantivato denota anche lastratto: ad esem-
14 Mauro Mariani
Il testo difficile anche per il gergo usato, ma una cosa chiara: in una
predicazione per s soggetto e predicato significano la stessa cosa, e quin-
di la predicazione riducibile, in un certo senso, ad unidentit. Ad esem-
pio, se luomo e il cane sono entrambi animali, luomo identico ad un
certo animale e il cane identico ad un certo altro animale: la presenza
degli indefiniti evita conseguenze paradossali (ad esempio che il cane e
luomo sono identici essendo entrambi identici ad animale), ma, poich ci
che differenzia un certoanimale e un certo altroanimale lasciato indeter-
minato, si pu parlare ugualmente di identit. Di conseguenza lespressio-
ne uomo animale tanto malformata quanto quella formata giustappo-
nendo due espressioni numeriche che denotano lo stesso numero, ad
esempio 9(7+2).
Si pu dire che Met. Z 4-6 hanno a che fare pressoch esclusivamente
con le nozioni e le distinzioni che ho appena esposto. In breve, il risultato
di Z 4 che le essenze nel senso primo e fondamentale del termine corri-
spondono alle definizioni in senso stretto e sono quindi costituite da ci
che si dice per s, nella prima accezione, di cose dette per s nella quarta
accezione, ma non nella quinta. Z 5 affronta le difficolt legate alle acce-
zioni (2) e (5). Infatti cose come maschio (o camuso in relazione al naso)
non possono essere definite se non tramite quello di cui sono dette per s
nellaccezione (2): ma questo costituisce il loro soggetto e nessuna defini-
zione in senso stretto pu fare ricorso a ci cui il definiendumappartiene.
Ma questo vale anche per le cose dette per s nellaccezione (5), e quindi
neppure loro sono definibili in senso stretto. Infine Z 6 cerca di dimostrare
ci che era stato solo enunciato nel gi citato passo di An. Post. A 22, os-
sia che ad essere identiche alla loro essenza sono tutte e sole le cose dette
per s.
3. Identit accidentale
Al centro degli argomenti di Met. Z 6 contro lidentit tra le cose dette
per accidente e la loro essenza c lassunzione che uomo e uomo bianco
nel primo argomento, musico
11
e bianco nel secondo sono identici. La
pio :cov significa sia cosa bianca che bianchezza. Certamente oco:ov non il termine
usuale per riferirsi allastratto musicalit, ma Met. Z 6, 1031b23-32 sfrutta il doppio significa-
to anche di questo termine.
12
Per una trattazione pi approfondita dellidentit accidentale rimando al mio Numerical
Identity and Accidental Predication in Aristotle, in Topoi, 2/19 (2000), pp. 99-110, dove si tro-
va anche una bibliografia sullargomento.
13
Addirittura nella stessa frase. Il cane abbaia, ad esempio, pu voler dire che i cani in
generale abbaiano oppure che un dato cane sta abbaiando.
Identit, essenza ed accidente 15
maggioranza dei commentatori parla a questo proposito di identit acci-
dentali (ztz oc:o; per accidente)
12
ed in effetti sembra esser-
ci una corrispondenza molto precisa con lidentit accidentale come viene
definita in Met. 9:
Le cose si dicono identiche le une per accidente, ad esempio bianco e musico
sono identici perch appartengono accidentalmente alla stessa cosa, e uomo identi-
co a musico perch luno appartiene accidentalmente allaltro, e musico identico a
uomo perch appartiene accidentalmente alluomo. E questultimo [scilicet luomo cui
appartiene accidentalmente musico, ossia uomo musico] identico a ciascuno di
quelli, e ciascuno di quelli a questo, e infatti e uomo e musico sono detti identici a
uomo musico e questultimo a quelli. (Met. 9, 1017b27-33)
Dal confronto con Met. 6, capitolo dedicato alla nozione di uno, ri-
sulta chiaro che A e Bsono accidentalmente identici se la loro combinazio-
ne ununit accidentale: infatti, ad esempio, musico e bianco sono ac-
cidentalmente uno esattamente per la stessa ragione per cui sono acciden-
talmente identici, ossia perch bianco e musico si predicano di uno stes-
so soggetto, mentre uomo accidentalmente identico a musico perch
musico si predica di uomo e quindi uomo musico accidentalmente
uno. Inoltre ununit accidentale come uomo musico accidentalmente
identica sia allaccidente (o meglio al paronimo derivato dallaccidente, os-
sia la cosa musicale) sia a ci di cui laccidente si predica, ossia uomo.
Tutti i termini universali (e quindi anche uomo musico) possono es-
sere usati anche per riferirsi, in un determinato contesto, ad un
particolare
13
. Ed in effetti quando abbiamo a che fare con le cose che sono
accidentalmente uno sembrerebbe che il riferimento non possa che essere
ad un particolare:
Analogamente laccidente si dice in relazione ai generi e ai nomi di un universale,
che cio uomo lo stesso che uomo musico: infatti [questo accade] o perch musi-
co appartiene a uomo inteso come sostanza unitaria [:z oco oco:z], o perch si
predicano entrambi di uno dei particolari, ad esempio Corisco, con la differenza che
non appartengono allo stesso modo, ma certamente uno come genere nella sostanza,
laltro come stato o affezione della sostanza. (Met. 6, 1015b28-34)
14
Naturalmente vi sono universali che non fanno parte della definizione, ad esempio la pro-
priet di avere gli angoli interni pari a due retti che si predica per s dei triangoli. Ma per mo-
strare limpossibilit che gli universali siano in generale accidentalmente identici a qualcosa
detto per accidente sufficiente limitarci a quegli universali che appartengono per s nella pri-
ma accezione.
16 Mauro Mariani
Ritengo che uomo inteso come sostanza unitaria significhi che il
termine uomo funge da soggetto e si riferisce ad un singolo uomo non
specificato, mentre nel secondo caso uomo si predica di un dato uomo
(specificato o specificabile): in entrambi i casi, comunque, uomo bianco
un particolare, non un universale. Questo confermato da unaltra osser-
vazione di Aristotele
Perci anche tutte queste cose non si dicono in universale: non infatti vero dire
che ogni uomo e musico sono identici: luniversale infatti appartiene per s, gli acci-
denti no, ma si dicono direttamente dei particolari. (Met. 9, 1017b33-1018a2)
Losservazione per la verit non chiarissima. Si potrebbe obiettare
che, se si d il caso che ogni uomo sia effettivamente bianco, uomo e uo-
mo bianco, intesi come universali, sono accidentalmente identici; oppure
che, se si d il caso che tutti i musici siano bianchi, musico e bianco,
sempre intesi come universali, sono accidentalmente identici. Formalmen-
te potremmo dire qualcosa del genere:
Luniversale A accidentalmente identico alluniversale B se e solo se ognuno de-
gli A accidentalmente identico ad uno dei B, o viceversa.
Questa obiezione sarebbe valida se luniversale fosse semplicemente
qualcosa che per natura si predica di pi cose (secondo la definizione di
De Int. 7, 17a39-40), ma il fatto che qui gli universali sono detti apparte-
nere per s rimanda piuttosto ad An. Post. A 4, dove luniversale definito
come ci che appartiene a tutti, per s e in quanto s (73b26-7). Poich
qui si parla degli universali in rapporto a ci che cade sotto di essi, per
s deve essere inteso principalmente
14
nella prima della accezioni che ho
sommariamente esposto nel paragrafo precedente, ossia che un universale
appartiene per s perchsi predica :v ta t: :ot:v di ci di cui si pre-
dica. Ora, nel gi citato An. Post. A 22, 83a24-35, Aristotele afferma
lidentit (non accidentale) tra ci che si predica :v ta t: :ot:v e ci di
cui questo viene predicato, e quindi predicare un genere non equivale
semplicemente a predicarlo degli individui che cadono sotto di esso. Que-
sto confermato da Top. Z 6, 144a28-b3, dove Aristotele osserva che il ge-
nere si predica di tutto ci che cade sotto una differenza specifica (di quel
Identit, essenza ed accidente 17
genere, naturalmente), ma non della differenza stessa, mentre si predica
sia della specie che degli individui che cadono sotto la specie: quindi se il
genere Asi predica di tutto ci che cade sotto B non detto che si predi-
chi anche di Be che quindi Bsia identico ad un A. Al contrario ci di cui
un accidente si predica sempre diverso dallaccidente stesso, e quindi,
tanto per fare un esempio, uomo non mai identico ad una cosa bianca,
anche se tutti gli uomini sono bianchi: dunque un accidente si predica di
un universale solo derivativamente ossia perch si predica di ci che cade
sotto luniversale. Riassumendo, sia un individuo I che un universale S
possono essere un B, se B si predica per s di I e di S; ma se B si predica
per accidente di Ssolo gli individui che cadono sotto Spossono essere un
B. Se dunque un universale A accidentalmente identico a B se B un
accidente di Ae A un B, allora una simile identit impossibile.
Le cose accidentalmente identiche sono, secondo Aristotele, numerica-
mente uno, ma differiscono quanto allessere, ossia il discorso (semplice
delucidazione o vera e propria definizione) che esprime che cosa sono
differente. La definizione ufficiale di numericamente uno, daltra parte,
ci i cui nomi sono molti, ma la cosa (nzyz) una (Top A 7,
103a19-20), e non si pu certo dire che sia estremamente chiara. Penso
per che non ci allontaneremmo troppo dallidea di Aristotele se, in termi-
ni moderni, dicessimo che due cose sono numericamente uno se non esiste
nessun count nameche le conti come due, anche se esistono diversi modi
di riferirsi ad esse: nella fattispecie Socrate e Socrate bianco sono nume-
ricamente uno perch non sono, tra laltro, n due uomini n due cose
bianche, anche se Socrate e Socrate bianco sono appellativi distinti.
In Top. H 1 Aristotele afferma che quella che in seguito sar nota come
Legge di Leibniz, ossia lindiscernibilit degli identici, vale per tutto ci
che numericamente uno, ma non precisa se ha in mente anche ci che
identico solo accidentalmente. Altrove per afferma esplicitamente che
questi ultimi la Legge di Leibniz non vale senza restrizioni. Ad esempio:
Non necessario che ci che vero dellaccidente [scilicet del paronimo derivato
cfr. nota 11] lo sia anche del soggetto: infatti solo alle cose che sono indistinguibili
quanto alla sostanza [ossia quanto allessere] e sono uno appartengono esattamente gli
stessi predicati. (El. Soph. 24, 179a36-9)
Aristotele si serve di ci quando risulta utile alla soluzione di paradossi
o alla formulazione di particolari punti teorici: ad esempio in El. Soph. 24
per la soluzione del paradosso delluomo mascherato; in Phys. 3 per
la giustificazione del fatto che un unico processo spesso attualizzazione
18 Mauro Mariani
di potenze diverse, una attiva e laltra passiva; in Phys. 8 per la spiega-
zione del moto rettilineo alternato. Non entrer qui in ulteriori dettagli,
perch quello che ora cinteressa valutare se e in che misura questa re-
strizione della Legge di Leibniz gioca un ruolo negli argomenti di Z 6.
4. Non identit tra le cose dette per accidente e la loro essenza:
primo argomento
Dopo questi preliminari affrontiamo finalmente la questione alla quale
questo articolo dedicato. Il primo argomento che Aristotele propone a
favore della diversit tra le cose dette per accidente e la loro essenza il
seguente:
Riguardo invero alle cose dette per accidente, sembrerebbe che siano diverse, ad
esempio uomo bianco diverso dallessere delluomo bianco. Se infatti fosse identi-
co, anche lessere delluomo e quello delluomo bianco sarebbero identici: infatti, co-
me dicono, uomo e uomo bianco sono identici, quindi lo sono anche lessere delluo-
mo bianco e quello delluomo. (Met. Z 6, 1031a19-24)
Si tratta di una reductio(dimostrazione per assurdo) che, almeno a pri-
ma vista, pu essere schematizzata cos (indicando, in generale, lessenza
di Xcon Ess
X
, uomo con Ue uomo bianco con U.B.):
(1) U=Ess
U
(2) U.B. =Ess
U.B.
(3) U=U.B.
(4) Ess
U
=Ess
U.B.
Ma (4) falsa e quindi dalla verit di (1) e (3) segue la falsit di (2).
Aristotele tuttavia critica la sua stessa argomentazione subito dopo
averla formulata:
O piuttosto non necessario che quanto per accidente sia identico, infatti non in
maniera uniforme (a ozc ta;) che gli estremi diventano identici. (Met. Z 6, 1031a24-5)
Questa osservazione non un modello di chiarezza. Tuttavia almeno
questo chiaro: luso di estremi rimanda ad una struttura sillogistica
(gli estremi sono i termini che compaiono nella conclusione, nella fattispe-
cie Ess
U
e Ess
U.B.
), ed essi diventano identici, ossia si produce la conclu-
sione che ne afferma lidentit, attraverso i medi Ue U.B. Quanto per ac-
cidente, invece, deve riferirsi o a U.B. (cfr. la riga 19) oppure a Ess
U.B.
, e
Identit, essenza ed accidente 19
questo d luogo a interpretazioni differenti. Vediamole in dettaglio.
(a) Se quanto per accidente si riferisce a U.B., Aristotele starebbe di-
cendo che lidentit di questultimo con uomo puramente accidenta-
le: quindi (4) non segue di necessit (necessitas consequentiae) perch
manca luniformit modale delle premesse (infatti (1) e (3) sono, per
ipotesi dassurdo, identit in senso proprio, mentre (2) non che uno
degli esempi aristotelici standard di identit accidentale).
Se quanto per accidente si riferisce invece a Ess
U.B.
ci sono due pos-
sibilit:
(b) Aristotele starebbe dicendo che (4) non necessaria (necessitas conse-
quentis), ma unidentit accidentale che deriva correttamente da (1)-
(3);
(c) Aristotele starebbe dicendo che (4) non segue di necessit (necessitas
consequentiae) perch la derivazione manca della necessaria uniformit.
Vediamo ora le ragioni che possono essere addotte, in base alle diverse
interpretazioni, per giustificare il fallimento di questa reductio. Se si adot-
ta (a), si pu supporre che la conclusione (4) non segua logicamente per-
ch la Legge di Leibniz non vale senza restrizioni nel caso dellidentit ac-
cidentale, mentre la legge logica che cose rispettivamente identiche a cose
identiche tra loro sono anchesse identiche si ottiene mediante due appli-
cazioni della Legge di Leibniz, di cui una riguarda un identit accidenta-
le. Pi precisamente da
U=U.B. ( U=Ess
U
U.B.=Ess
U
)
U.B.=Ess
U
(U.B. =Ess
U.B.
Ess
U
=Ess
U.B.
)
e dalle assunzioni (1)-(3) segue (4); ma questa derivazione non garan-
tita perch la Legge di Leibniz stata applicata allidentit accidentale U
=U.B. Naturalmente questo non significa che (4) non sia in alcun modo
derivabile da (1)-(3), ma solo che non lo se la Legge di Leibniz appli-
cata in questo modo.
In effetti possiamo applicarla in maniera diversa e (anche dal punto di
vista di Aristotele) logicamente corretta, salvaguardando cos la correttez-
za della derivazione (1)-(4), come vuole linterpretazione (b). La Legge di
Leibniz, infatti, vale senza restrizione per ci che pienamente identico, e
quindi, dal momento che (1) e (2) sono per ipotesi identit a pieno titolo,
vale
15
Si tratta di qualcosa di simile alla regola del peiorem che Teofrasto applicava alla sillo-
gistica modale.
16
Cfr. M. Frede - G. Patzig, Aristoteles, Metaphysik Z, Text, bersetzung und Kommentar,
Mnchen 1988, vol. II, pp. 89-91.
20 Mauro Mariani
U.B. =Ess
U.B
(U=U.B. U=Ess
U.B.
)
U=Ess
U
(U=Ess
U.B.
Ess
U
=Ess
U.B.
)
da cui, tramite le assunzioni (1)-(3), segue (4), ma intesa come identit
accidentale. Prendiamo infatti U.B. =Ess
U.B.
(U=U.B. U=Ess
U.B.
).
Il suo significato che, se U accidentalmente identico a U.B., Usar ac-
cidentalmente identico anche a Ess
U.B.
perch la Legge di Leibniz si ap-
plica senza restrizioni a U.B. =Ess
U.B.
, che , per ipotesi dassurdo,
unidentit in senso pieno. Tramite la Legge di Leibniz abbiamo cos giu-
stificato la regola che cose pienamenteidentiche rispettivamente a cose
accidentalmente identiche sono anchesse accidentalmente identiche tra
loro
15
.
Se per la derivazione di (4) corretta, perch la reductionel suo com-
plesso non dovrebbe essere un argomento valido? Le risposte possibili so-
no due: perch Aristotele ritiene (4), intesa come identit accidentale, ve-
ra; oppure perch la ritiene falsa, ma non cos evidentemente falsa da giu-
stificare la reiezione di una delle premesse, infatti in una reductiola fal-
sit della conclusione derivata dallipotesi dassurdo deve essere nota ed
ammessa (cfr. ad esempio An. Post. A 26, 87a9-10). In questultimo caso
la reductiofallirebbe per ragioni pi epistemologiche che logiche. Ora, se
due essenze sono accidentalmente identiche se hanno definizioni differen-
ti, ma sono essenza di cose accidentalmente identiche tra loro, allora
Ess
U.
=Ess
U.B.
, intesa come identit accidentale, deve essere vera perch
per ipotesi vale U =U.B. Ma in tal caso le premesse (1) e (2) sarebbero
inutili e quindi la supposto identit tra le cose dette per accidente e la loro
essenza sarebbe del tutto irrilevante. In base alla prima risposta, dunque,
la reductio fallisce perch da un lato la conclusione della parte diretta
vera, dallaltro la premessa di cui si vuole dimostrare lassurdo irrilevan-
te ai fini della conclusione stessa.
Nel loro commento a Met. Z
16
Frede e Patzig scelgono invece la secon-
da risposta. In realt essi non forniscono nessuna ragione per la falsit di
(4), ma si potrebbe sostenere che due essenze o sono identiche in senso
pieno o non lo sono affatto, ossia che lidentit accidentale tra essenze
sempre falsa (anche se non sempre evidentementefalsa). Inoltre questa la
sola, tra le interpretazione prese finora in considerazione, a spiegare (lo
17
Da ora in poi quando parler di (c) far riferimento unicamente a questo secondo modo
dintenderla.
18
Le due traduzioni corrispondono rispettivamente allinserimento o meno del tz posto tra
parentesi quadre in tz zz y:yv:oz: tzctz [tz] ztz oc:o; (cfr. le righe 26-
7). Entrambi i testi sono attestati nei codici, e neppure gli editori moderni sono in accordo tra lo-
ro: Ross e J aeger inseriscono tz, Frede-Patzig (seguito da Bostock cfr. D. Bostock, Aristotle:
Metaphysics, Books Z and H, translated with a Commentary, Oxford 1994, p. 8) no.
Identit, essenza ed accidente 21
vedremo nel prossimo paragrafo) perch il secondo argomento contro
lidentit tra le cose dette per accidente e la loro essenza non uninutile
ripetizione del primo.
Prendiamo ora in esame (c). Se la non uniformit della derivazione di-
pende dalla non uniformit modale delle premesse, (a) e (c) in pratica
coincidono. Tuttavia (c) lascia spazio anche allipotesi che la non unifor-
mit dipenda unicamentedal fatto che non tutti i medi sono dello stesso ti-
po, infatti alcuni sono per s ed altri per accidente. Senza dubbio nella de-
rivazione compare unidentit accidentale, ma non questo che la rende
logicamente invalida, in altre parole la presenza di medi non omogenei
che di per sdetermina linvalidit, non il fatto che in questo modo alcune
identit finiscono per essere accidentali
17
. Il punto di forza di questa in-
terpretazione che non fa del secondo argomento uninutile ripetizione del
primo, mentre il suo punto debole che non spiega perch la non omoge-
neit dei medi costituisce una fallacia.
5. Non identit tra le cose dette per accidente e la loro essenza:
secondo argomento
Aristotele enuncia brevemente un secondo argomento contro lidentit
tra le cose dette per accidente e la loro essenza:
Ma forse potrebbe sembrare che accada questo, che gli estremi detti per accidente
diventino identici [oppure: gli estremi diventino identici per accidente]
18
, ad esempio
lessere del bianco e lessere del musico: ma sembra di no. (Met. Z 6, 1031a25-28)
Largomento aperto ad una pluralit di interpretazioni. Innanzitutto
non sappiamo con certezza se per Aristotele sia valido: senza contare le
clausole dubitative con cui viene introdotto, quella finale, ma sembra di
no (8o:: 8: oc), pu essere sia una smentita che una conferma
dellipotesi iniziale. Infatti questa clausola pu voler dire:
22 Mauro Mariani
[smentita] potrebbe sembrare che la conclusione segua, ma, ad un pi
attento esame, risulta che invece non segue;
oppure
[conferma] la conclusione segue ed probabilmente falsa perch sembra
che lessere del bianco e lessere del musico non siano la stessa cosa.
In secondo luogo mancano molti dei passaggi attraverso cui si giunge
alla conclusione. Infine nella conclusione lessere del bianco to :ca
::vz: pu significare sia lessere della bianchezza che lessere di una
cosa bianca (cfr. Z 6,1031b22-28), esattamente come labbiamo gi visto
to :cov pu significare sia una cosa bianca che la bianchezza. Lo
stesso, ovviamente, per lessere del musico.
In ogni caso al centro dellargomento c questa catena didentit:
(j) Ess
U.B.
=U. B. =U.M. =Ess
U.M.
da cui segue
(jj) Ess
U.B.
=Ess
U.M.
Se to :ca ::vz: e to oco:a ::vz: significano rispettivamente
lessere di una cosa (nellesempio un dato uomo) bianca e quello di una
cosa musicale largomento finisce qui. Se invece significano lessere della
bianchezza e quello della musicalit, allora da (jj) bisogna derivare
(jjj) Ess
U
=Ess
M
(jjj) ovviamente falso, ma il passaggio da (jj) a (jjj) non pu avvenire
che per cancellazione, procedura la cui invalidit esplicitamente ricono-
sciuta in De Int.11. Per la verit Aristotele sembra in contraddizione ap-
punto con De Int.11 ammetterne la validit in Met. Z 4, 1029b 21-22,
dove inferisce lidentit tra le essenze della bianchezza e della levigatezza
da quella (supposta) tra le essenze di superficie bianca e di superficie le-
vigata. Tuttavia in questultimo caso la superficie il recipiente primo del
bianco (come Aristotele dice ripetutamente) e, presumibilmente, anche del
liscio, per cui, se essere una superficie liscia equivale ad essere una su-
perficie bianca, anche lessere del bianco coincide con quello del liscio.
Ora, difficile pensare che bianchezza e musicalit abbiano lo stesso reci-
piente primo (per la bianchezza infatti la superficie; per la musicalit
con ogni probabilit lanima), e Met. Z 4, 1029b 21-22 non basta perci
per imputare ad Aristotele il passaggio da (jj) a (jjj).
19
Il testo tz zz y:yv:oz: tzctz tz ztz oc:o; non in questo caso giu-
stificato, dal momento che i termini che compaiono in (jjj) sono s essenze di accidenti, ma non
di cose dette per accidente.
Identit, essenza ed accidente 23
Alla luce di questo secondo argomento riprendiamo ora lesame delle
interpretazioni del primo. Il ragionamento che sta alla base di (a) porta a
concludere che la derivazione di (jj) logicamente scorretta esattamente
per le stesse ragioni per cui lo era quella di (4): la sola differenza consiste
nellassumere tra le premesse lidentit accidentale U. B. =U.M. al posto
di U =U.B. Il passaggio da (jj) a (jjj) diventa cos del tutto irrilevante: in-
fatti, anche ammettendone la validit, (jjj) non seguirebbe da (j), e quindi
la reductiofallirebbe comunque. Dunque la clausola finale ma sembra di
no devessere interpretata come una smentita, mentre il testo corretto pu
essere sia tz zz y:yv:oz: tzctz ztz oc:o; sia tz
zz y:yv:oz: tzctz tz ztz oc:o;: il primo se si ritiene
che la conclusione dellargomento sia (jjj)
19
e si vuole sottolineare che
attraverso unidentit accidentale che la conclusione stata raggiunta; il
secondo se si ritiene che la conclusione dellargomento sia (jj) e si vuole
sottolineare che (jj) unidentit di essenze di cose dette per accidente. In
ogni caso, in base a questa interpretazione, il secondo argomento fallisce
perch, proprio come il primo, contiene unidentit accidentale: ed diffi-
cile supporre che Aristotele si illudesse di emendare il primo argomento
semplicemente sostituendo unidentit accidentale ad unaltra (ricordo an-
cora una volta che il passagio a (jjj) , sotto questa interpretazione, quanto
meno superfluo). Per giustificare la presenza del secondo argomento si de-
ve dunque abbandonare (a).
Prendiamo ora in considerazione (b). Se si opta per la verit di (4), il se-
condo argomento non che una reduplicazione del primo, il passaggio da
(jj) a (jjj) irrilevante e la reductiofallisce esattamente per le stesse ragio-
ni. Come ho gi detto, Frede e Patzig optano invece per la falsit di (4), ma
una falsit n evidente n indisputata, mentre la falsit della conclusione
di una reductiodeve essere nota ed ammessa. Il passaggio da (jj) a (jjj)
serve proprio per ottenere, come conclusione della parte diretta della re-
ductio, una falsit di questo tipo. Nella loro ricostruzione, infatti, il secon-
do argomento costituito da questi due quasi-sillogismi
U=U.B. =Ess
U.B.
U=U.M. =Ess
U.M.
dai quali segue (jj), ossia
20
vero che nella ricostruzione di Frede e Patzig il termine uomo compare, ma si tratta di
unaggiunta che non giustificata dal testo: nella loro interpretazione, tuttavia, la questione non
rilevante, mentre diventa cruciale per (c).
24 Mauro Mariani
Ess
U.B.
=Ess
U.M.
Da questultimo segue a sua volta (jjj), ossia
Ess
B
=Ess
M
Ma questultima identit evidentemente falsa e costituisce perci ra-
gion sufficiente per la reiezione di entrambe le premesse U.B. =Ess
U.B.
e
U.M. =Ess
U.M.
(a voler sottilizzare una dimostrazione per assurdo pu falsifi-
care una sola premessa, ma in questo caso U.B. =Ess
U.B.
e U.M. =Ess
U.M.
o
sono entrambe vere o sono entrambe false). Nellinterpretazione di Frede e
Patzig, dunque, la clausola finale ma sembra di no il riconoscimento
della falsit di Ess
B
=Ess
M
e quindi una conferma della validit della re-
ductio; inoltre, poich attraverso lidentit accidentale (jj) che otteniamo
ldentit di Ess
B
=Ess
M
, il testo corretto deve essere tz zz y:yv:-
oz: tzctz ztz oc:o; e la traduzione gli estremi diventino
identici per accidente. La debolezza di questa interpretazione duplice:
da un lato attribuisce ad Aristotele un errore logico, il passaggio da (jj) a
(jjj), che lo stesso Aristotele in altre sedi riconosce essere effettivamente
una fallacia; dallaltro, come ho detto nel paragrafo precedente, Frede e
Patzig non forniscono nessuna ragione per la falsit di Ess
U.B.
=Ess
U.M.
intesa come identit accidentale.
Resta solo (c). In base a questa interpretazione il primo argomento non
valido non perch contiene unidentit accidentale, ma perch contiene
termini non omogenei, ossia cose dette per s, come uomo, e cose dette
per accidente come uomo bianco: quindi il secondo argomento emenda il
primo semplicemnte sostituendo uomo musico a uomo
20
. In base a (c) il
passaggio a (jjj) superfluo, la clausola finale ma sembra di no una
conferma ed il testo corretto non pu essere che tz zz y:yv:oz:
tzctz tz ztz oc:o;. Fin qui tutto bene: purtroppo linterpre-
tazione (c), se non imputa ad Aristotele la fallacia della cancellazione e
rende ragione della presenza del secondo argomento, non poi in grado di
giustificare la validit di questultimo pi di quanto lo fosse di giustificare
linvalidit del primo.
21
Linduzione intesa in questo senso assomiglia, molto pi che allinduzione baconiana, al-
la regola di generalizzazione nella logica dei predicati.
Identit, essenza ed accidente 25
6. Una nuova proposta di soluzione
Finora i risultati sono stati piuttosto magri e nessuna delle interpreta-
zioni proposte si mostrata realmente soddisfacente. Lunica via duscita
sembra essere lipotesi che Aristotele, in fin dei conti, abbia per un mo-
mento giocato con (c), salvo rendersi immediatamente conto che lunifor-
mit dei medi non rendeva affatto largomento pi cogente e perci rinne-
garlo con la clausola finale ma sembra di no (intesa ovviamente come
una smentita).
Non si pu naturalmente escludere che le cose stiano proprio cos; ma,
se si prende ancora pi sul serio il carattere dialettico dellindagine aristo-
telica, si pu forse trovare uninterpretazione che eviti le difficolt delle
precedenti. Vediamo come. La seconda parte di Z 6 dimostra che le cose
dette per s sono identiche alla propria essenza utilizzando le idee platoni-
che come paradigma e facendo vedere quali conseguenze assurde abbia
separarle dalla loro essenza. Ma che valore pu avere tutto ci se Aristote-
le rifiuta le idee? Ora, se vero, com vero, che le idee sono un paradig-
ma delle cose dette per s e che nei suoi argomenti Aristotele fa leva pro-
prio su questa caratteristica (e non su altre peculiarit delle idee platoni-
che), possiamo supporre che Aristotele stia conducendo una dimostrazione
per induzione. Si tratta di uno dei due tipi di dimostrazione utilizzati nella
dialettica (laltro il sillogismo cfr. Top. A 12, 105a10-2), quella in cui
viene generalizzata ad unintera classe una propriet valida per elementi
opportunamente scelti appartenenti alla classe stessa
21
. Non solo, ma an-
che la scelta delle idee rimanda alla prescrizione dialettica che i punti di
partenza delle argomentazioni siano endossali (ossia tali da sembrare veri
a tutti o ai pi o ai pi sapienti, e tra questi o a tutti o alla maggior parte o
ai pi noti e reputati cfr. Top. A 1, 100b21-3). Ma la complessit dialet-
tica di questa sezione ancora maggiore. Aristotele conclude infatti con
laffermazione che largomento presentato adeguato anche se non ci sono
le idee, anzi, in tal caso, forse lo di pi (1031b14-5). Ci che ha in men-
te Aristotele , a mio avviso, qualcosa di questo tipo: ci che questi argo-
menti hanno mostrato non solo che le cose dette per s sono identiche al-
la loro essenza, ma anche la necessit che vi sia qualcosa del genere; cer-
tamente lhanno fatto utilizzando il paradigma delle idee, ma la loro vali-
dit non dipende dallassumere questo paradigma, anzi, poich lesistenza
22
Una conferma di ci si pu ricavare anche dagli Analitici Secondi. Nel paragrafo 2 ho gi
osservato che in A 22, 83a24-32 Aristotele assume lidentit tra le cose dette per s e la loro es-
senza. Subito dopo il passo citato troviamo alle righe 83a32-35 unosservazione dal tono piuttosto
sprezzante (Dunque tanti saluti alle idee: sono infatti suoni privi di senso, e, se esistono, non
hanno alcuna funzione nel discorso razionale: le dimostrazioni vertono infatti su tali cose [scilicet
sulle cose che sono dette per s di cose dette per s ].), nella quale Aristotele asserisce che le
cose dette per s, necessarie per la scienza, non sono le idee. Pi precisamente il fatto che alcuni
itemdi marca aristotelica siano cose per s, identiche alla loro essenza, toglie efficacia allargo-
mento platonico di indispensabilit secondo cui senza le idee la scienza impossibile.
23
Uomo e cavallo e cose di questo genere che si riferiscono ai particolari, ma sono uni-
versali, non sono sostanze, ma composti di questa data forma e di questa data materia prese in
universale.
26 Mauro Mariani
delle idee comporta difficolt insuperabili, meglio che il loro ruolo sia ri-
coperto da altro
22
.
Si pu dunque supporre che anche nella dimostrazione che le cose det-
te per accidente non sono identiche alla loro essenza la procedura sia in
qualche misura analoga. Per sviluppare il primo argomento infatti neces-
sario utilizzare lesempio di una cosa detta per s che sia strettamente cor-
relata con una cosa detta per accidente; daltra parte in Z 4 Aristotele ave-
va contrapposto le cose dette per accidente alle cose che sono prime, e
queste erano stato identificate con le specie di un genere: se, come appare
del tutto ragionevole, le cose che sono prime sono dette per s, uomo in
Z6 deve essere inteso come la specie di un genere, ed uomo bianco come
il composto accidentale di una specie e di un accidente.
facile obiettare che in Met. Z le specie di un genere non sono in
realt sostanze prime. Infatti anche chi, in disaccordo con i gi citati Fre-
de e Patzig, non ritiene che le forme siano individuali tende ad escludere
che possano essere identificate con le specie delle Categorie, le quali, a
loro volta, vengono di solito identificate con quei composti di forma e ma-
teria prese in universale di cui si parla in Met. Z 10, 1035b27-30 e che
non sono sostanza
23
. E comunque, siano o non siano le specie della Cate-
goriecomposti universali, si pu affermare che uomo identico a qual-
cosa come uomo bianco solo intendendo uomo come un composto di
questo tipo. E non importa se questa identit accidentale viene interpre-
tata come quella di un dato uomo con un dato uomo bianco, oppure nel
senso che un universale A accidentalmente identico ad un universale B
se e solo se ognuno degli A accidentalmente identico ad uno dei B, o vi-
ceversa. Abbiamo visto infatti nel paragrafo 3 che si pu parlare di iden-
tit accidentale relativamente ad un universale solo se luniversale viene
inteso semplicemente come qualcosa che per natura si predica di pi
24
Si tratta di una delle tesi principali sostenute in Primary Ousia, Ithaca (New York) 1991.
25
Non risulta molto chiaro, dagli sparsi accenni aristotelici, lesatto significato di questo ti-
po di predicazione. A questo proposito si pu consultare J . Kung, Can Substance be Predicated of
Matter, in Archiv fr Geschichte der Philosophie, 60, 1978, pp. 140-59, che contiene un
elenco esauriente ed una discussione dei passi rilevanti.
Identit, essenza ed accidente 27
cose: ma solo un composto di forma e materia prese in universale un
universale di questo tipo. Infatti, ammesso e non concesso che la forma
sia in qualche senso universale, ci di cui si predica sar, come argomen-
ta convincentemente Loux
24
, la materia e non i composti individuali,
mentre uomo, se deve essere accidentalmente identico a uomo bianco,
pu appartenere solo ai composti individuali. Daltra parte i composti di
materia e forma non sono cose dette per s, infatti posseggono, in un certo
senso, una struttura predicativa intrinseca in quanto sono il risultato di
predicare la forma della materia (senza che questo ne faccia delle cose
dette per accidente, perch la forma non comunque un accidente della
materia)
25
. La situazione dunque paradossale: da un lato lidentit tra
uomo e uomo bianco richiede che uomo sia un composto universale di
forma e materia, e quindi non per s, mentre per sviluppare largomenta-
zione bisogna invece che lo sia. Tuttavia, poich in Met. Z 4-6 la materia
non viene mai menzionata, la distinzione tra le forme ed i composti di for-
ma e materia prese in universale non pu neppure essere formulata: dun-
que, come nelle Categorie, le specie di un genere non hanno struttura
predicativa intrinseca e, nello stesso tempo, si dicono degli individui che
cadono sotto di esse.
Ragioniamo dunque come se uomo fosse un universale (nel senso che
per natura si predica di pi cose) privo di struttura predicativa intrinseca.
La prima cosa da chiedersi sar che cosa significa per un X di questo tipo
essere identico alla propria essenza. A prima vista una risposta adeguata
potrebbe essere che lessenza di X, espressa dalla sua definizione, esauri-
sce (per cos dire) lessere di tutto ci che cade sotto X, ossia, in formule:
(k) x(U(x)Ess
U
esaurisce lessere di x).
Analogamente lipotesi dassurdo che U.B. e la sua essenza sono identi-
ci sar espresso da
(kk) x(U.B.(x)Ess
U.B.
esaurisce lessere di x).
A sua volta lidentit di uomo con uomo bianco pu essere caratteriz-
zata, per le ragioni che ho gi esposto, da
26
Anche in Top. E 4 si parla dellidentit tra uomo e uomo bianco in un contesto dove
evidente che si tratta di universali. Pi precisamente essi sono detti diversi solo perch il loro
essere diverso, e quindi ci sar un senso in cui sono identici: ma, trattandosi di universali, tale
identit non pu essere data che dal fatto che tutti gli uomini bianchi sono accidentalmente
identici a uomini.
28 Mauro Mariani
(kkk) x(U.B.(x ) y(U(y) x=
acc
y))
26
oppure dalla particolarizzazione
(kkk) xy(U.B(x ) U(y) x=
acc
y).
In ogni caso, in base alla definizione di accidentalmente identico, esiste
qualche xche sia uomo che uomo bianco, e quindi, in base a (k) e (kk),
sia Ess
U
che Ess
U.B.
esauriscono lessenza di x: ma questo impossibile
perch Ess
U
e Ess
U.B.
, avendo definizioni differenti, non possono esprime-
re compiutamentelessere di una stessa cosa (o, per contrapposizione, poi-
ch esprimono compiutamente lessere di una cosa, dovrebbero essere
uguali, ma questo falso).
Unovvia obiezione contro questa ricostruzione che rende valido un
argomento che Aristotele ritiene invece invalido. Ma forse (k)-(kkk) me-
no solido di quanto appare a prima vista. vero infatti che nelle Categorie
gli individui sono nominati tramite espressioni del tipo o t:; zvano;
e questo potrebbe far pensare che essere uomo esaurisca lessere, diciamo,
di Socrate. Ma An. Post. A 22 chiarisce, come ho illustrato nel paragrafo 2,
che Ess
X
esprime in generale lessere di un individuo a se a =un certo X
(dove lidentit non qualificata). Alla luce di ci (k) e (kk) dovranno es-
sere cos modificate:
(k) x(U(x)Ess
U
esprime in parte lessere di x)
(kk) x(U.B.(x)Ess
U.B.
esprime in parte lessere di x).
Da (k), (kk) e (kkk) o (kkk) segue che sia Ess
U
sia Ess
U.B.
esprimo-
no in parte lessere di qualche xe questo non palesemente assurdo, dal
momento che, a sua volta, Ess
U
pu essere intesa come una parte di
Ess
U.B.
. Infatti x, in base alle ipotesi, identico (senza qualificazioni) sia
ad un certo uomo che ad un certo uomo bianco: il margine di indetermina-
tezza espresso dal primo un certo maggiore di quello espresso dal se-
condo, ma ci non rende le due identit incompatibili tra loro. Non sto di-
cendo che questa sia la posizione di Aristotele, ma solo che quanto segue
da (k), (kk) e (kkk) o (kkk) non palesemente assurdo.
Il secondo argomento, interpretato in maniera analoga al primo, diventa:
Identit, essenza ed accidente 29
(k) x(M(x)Ess
M
esprime in parte lessere di x)
(kk) x(B(x)Ess
B
esprime in parte lessere di x)
(kkk) xy(B(x ) M(y) x=
acc
y),
da cui segue che ci sono cose la cui essenza espressa in parte sia da
Ess
B
che da Ess
M
. Lunica, ma fondamentale, differenza rispetto allargo-
mento precedente che Ess
B
e Ess
M
non sono una parte dellaltra, e quin-
di le due identit (non qualificate) x=un certo Me x=un certo Bsono in-
compatibili.
Se Ess
B
e Ess
M
sono diverse quanto alla definizione, la specificazione
di Mespressa da un certo in x=un certo M deve comprendere anche
essere B, dal momento x identico anche ad un certo B (analogamente se
partiamo da x=un certo B). Quindi da x=un certo Me x=un certo B
dovrebbe seguire anche x=un certo BM(oppure x=un certo MB) e do-
vrebbe perci esistere qualcosa come Ess
BM
. Ma per Aristotele questo
assurdo perch vorrebbe dire che lessere bianco specifica in qualche mo-
do lessere musico, o viceversa. Certo, neppure Ess
U.B.
un essenza nel
senso pi proprio, ma le ragioni sono diverse: infatti la bianchezza diffe-
renzia gli uomini, anche se non una differenziazione adatta a distinguere
una sottospecie di uomo da unaltra (in realt simili differenziazioni sem-
plicemente non esistono); mentre la musicalit non differenzia i bianchi,
n la bianchezza i musici. Tutto ci una conseguenza dellassunto aristo-
telico che non esistono accidenti di accidenti, assunto espresso con parti-
colare chiarezza in Met. 4, nel corso di un complesso argomento tenden-
te a dimostrare che lesistenza di soggetti a loro volta non predicabili
condizione necessaria della semanticit del linguaggio:
Infatti un accidente non un accidente di un altro accidente, a meno che siano en-
trambi accidenti di una stessa cosa. Voglio dire che il bianco musico e questultimo
bianco solo perch sono entrambi accidenti di uomo. (1007b2-5)
Anche la distinzione dei vari casi di identit accidentale (cfr. la citazio-
ne da Met. 9 nel paragrafo 3) si basa sullo stesso assunto: infatti mentre
uomo identico a musico perch il secondo appartiene accidentalmente
al primo, bianco e musico sono identici perch appartengono entrambi
accidentalmente alla stessa cosa (e non perch uno dei due accidente
dellaltro). Se dunque propriamente parlando, non esiste un bianco musi-
co, tanto meno esister qualcosa come lessere del bianco musico.
Dunque dallassunto che un x bianco e musico esattamente un certo
bianco e insieme un certo musico segue che Ess
B
e Ess
M
sono identiche
quanto alla definizione (non potendo essere, come abbiamo appena visto,
30 Mauro Mariani
diverse), ma questo, come osserva Aristotele, evidentemente assurdo.
Lassunto da cui siamo partiti perci falso, ma questo significa che le co-
se bianche o musicali sono diverse dalla loro essenza.
Ricapitolando, questa proposta una variante dellinterpretazione (c)
perch individua la debolezza del primo argomento nella non omogeneit
dei medi, ma, a differenza di (c), in grado di spiegare in che modo la non
omogeneit rende invalido il primo argomento, mentre lomogeneit rende
valido il secondo. Come ho detto allinizio di questo paragrafo, le specie
del genere (come risultano caratterizzate ad un livello dindagine che non
prende in considerazione la materia) sono utilizzate da Aristotele come pa-
radigma delle cose dette per s, ed i composti specie+accidente come pa-
radigma di quelle dette per accidente; ma il teorema della rispettiva iden-
tit e non identit alle loro essenze viene esteso a tutto ci che struttural-
mente simile rispettivamente alle specie ed ai composti specie+accidente.
Soprattutto i composti di materia e forma, presi in particolare o in univer-
sale, sono esempi di cose dette per accidente in quanto dotate di struttura
predicativa intrinseca (la forma predicata della materia): se, come proba-
bile, le specie delle Categoriecoincidono con i composti di materia e for-
ma prese in universale, ci che fungeva da paradigma delle cose dette per
s finisce per rivelarsi non detto per s. Questo situazione paradossale, cui
ho gi fatto cenno, si inquadra bene nella strategia argomentativa della
Metafisica, ed in particolare del Libro Z: cambiando il livello dellindagine
le stesse cose possono assumere funzioni differenti, per cui ci che a livel-
lo puramente logico per s, al livello di un indagine di carattere pi
specificamente ontologico pu risultare non per s, senza contraddizione
se con apparente.
Abstract
In Met. Z 6 Aristotle argues, inter alia, that things which are spoken of coincidental-
ly are different fromwhat being is for them. Unfortunately the arguments which are
aimed at supporting this claimare less than compelling, and Aristotle himself seems to
cast serious doubt on their validity. The main purpose of this paper is to stress the di-
alectical features of Met. Z 4-6 in order to display the logical structure of the abovemen-
tioned arguments and to put forward a new interpretation that vindicates what is, on my
mind, Aristotles claim, i.e. that his first argument is actually untenable, while his sec-
ond looks sound.
TEORIA 2006/1
Ipseit, diversit e dia-ferenza
Francesco Tomatis
solo a partire dallidentit che possibile stabilire alterit e ogni dif-
ferenza possibile? Oppure lalterit ci che costituisce lidentit, al pun-
to tale che senza differenziazione non possa sussistere identit? O identit
e alterit sono termini relativi che solo allinterno di un ambito complessi-
vo di differenze possono assumere i loro ruoli e la loro fisionomia? Nellap-
profondire le idee assai comuni e genericamente utilizzate nella tradizione
linguistica e di pensiero occidentale di identit, alterit edifferenze, pos-
sibile compiere un cammino volto a comprenderle nel loro significato es-
senziale, nascosto, esoterico, anche se proprio sempre a tale cultura, indi-
cato dai termini: ipseit, diversit e dia-ferenza.
Il termine identit deriva dal latino idem, indicante unidentit autore-
ferenziale, espressa dalluguaglianza di s con s. Vi invece un altro ter-
mine sempre latino, ipse, che indica unidentit scissa, differenziata, costi-
tuente se stessa attraverso un movimento anzich la staticit identitaria e
sostantivale di idem. Dalla identit o medesimezza, misurabile una volta
per tutte in termini di uguaglianza, si distingue dunque la ipseit o stes-
sit, assieme una e molteplicemente in divenire, singolare e almeno po-
tenzialmente onnicorrelativa. Riprendendo gli importanti percorsi etimolo-
gici di Emile Benveniste nel suo Le vocabulaire des institutions indo-eu-
ropennes (1969) osservabile come ipseindichi semplicemente il s, la
stessit (stesso deriva infatti da istum ipsum: questo stesso, istesso) o me-
glio sestessit dellegli stesso, in persona, cio lipseit, in quanto origi-
nato dalla particella originaria *poti- indoeuropea (in latino -pet-, pot- o -
pt-), presente in termini apparentemente eterogenei quali in latino hospes,
lospite, o addirittura hostis, il nemico, oppure anche nel greco desptes, il
signore, colui che padrone, e significativamente nel verbo latino possum:
posso-sono, sono capace.
Lidentit in questione
32 Francesco Tomatis
Lipseit costituente la personalit per un verso quindi tale in quanto
padrona di se stessa: desptese kyris colui che esercita la propria po-
tenza e signorilit innanzitutto su se stesso, prima che sugli altri, e su altri
solo in quanto padrone di se stesso, capace di s; infatti la signorilit non
sta nellesercizio della forza, ma nel suo contenimento, nella potenzialit
di tale forza, nella capacit, nellappropriazione personale, nella pura pos-
sibilit, non costretta a im-possibilizzarsi come se necessitata a farsi in-
ghiottire dal processo ontologico, fagocitare dalla dialetticit storica. Ma
per altro verso lipseit sta anche nel dis-porre questa signorilit, nel con-
tenere nella propria ipseistica identit (o meglio ipseit) spazio per laltro,
lo spazio della diversit: non solo quello dellospite (hospes), ma anche del
nemico (hostis): certamente avversario, tuttavia nel senso che si possa isti-
tuire con lui un antagonismo solo in quanto gli vengano preventivamente
riconosciuti uguali diritti.
Alla radice della stessa idea occidentale di identit, intrisa profonda-
mente della sua essenza ipseistica, sta quindi unapertura al diverso, al
nemico addirittura. Da questo punto di vista non cos scandaloso lappel-
lo di Ges Cristo ad amare i nemici: agapte tos echthros hymn, di-
ligite inimicos vestros (Mt 5, 44; Lc6, 27). Anche il verbo latino possum,
derivante da potis sum, indica la sostanzialit dellipseit, perch a diffe-
renza del verbo essere, che rischia nel coniugare soggetto e predicato
unidentificazione e matematica equivalenza fra i due, possum al tempo
stesso una costituzione di relazione fra soggetto e predicato implicante una
relazione fra diversit. Se noi convertiamo il primo principio della dottrina
della scienza fichteana (secondo la sua prima esposizione: J ohann Gottlieb
Fichte, Grundlage der gesammten Wissenschaftslehre als Handschrift fr
seine Zuhrer, 1794-1795): lio pone lio, io =io, attraverso il possum, nel
senso che lio pu- se stesso, ecco che nellaffermare la sua ipseit la sog-
gettivit apre in s uno spazio a unalterit assoluta, a quella ad esempio
del nemico abitante la propria stessa ipseit.
Se propriamente lidentit non pu essere pensata in termini tautologici
ma solo attraverso il movimento, lapertura della ipseit, apertura e movi-
mento propri anche alla in-transitivit del verbo possum, conseguentemen-
te anche lalterit potr essere pensata in modo diverso, non in termini
contrappositivi rispetto allidentit. Seguendo esemplificativamente i tre
principi della dottrina della scienza del 1794/95, il principio dellalterit
non consiste esclusivamente nel fatto che lio ponga il non-io, e cio che
sia sempre lio a stabilire quale sia lalterit rispetto a s, e quindi che lio
resti comunque centro di un cerchio in suo potere a raggio infinito, che in-
Ipseit, diversit e dia-ferenza 33
cluda tutto solamente in quanto lo derivi da se stesso. Approfondendo
lipseit propria, essenziale allidentit, il principio dellalterit pu essere
pensato, anzich come alterit rispetto a un ego sempre medesimo a se
stesso in ogni propria proiezione rappresentativa di realt, invece come di-
versit, come molteplicit di diversi attraverso i quali vedere lo stesso uno,
legli stesso.
Fu Platone nel Sophists(370-353 a.C. circa) a introdurre lidea di di-
versit, di diverso (hteron) per spiegare il divenire, la molteplicit degli
enti sensibili: proprio attraverso lidea di diverso che possiamo quindi
concepire la pluralit, la molteplicit. Ma allora le differenze saranno tali
solamente in quanto si concepisca letimo pensante e originante di diffe-
renza come dia-ferenza, quel dia-feroche un portare, un partorire, un far
fruttificare attraverso le differenze una particolare identit.
Percorso il passato trascendentale che per noi la lingua nelle sue basi
etimologiche, occorre approfondire le tappe di tale cammino in una eleva-
zione ad un orizzonte pi filosofico, nella presenzialit che ne ascolti
avanti a s leco della voce, assimilandone incessantemente lorigine lon-
tana, proiettandosi in una visione aperta allimprevedibilit futura.
Analizzando lesistenza nella sua singolarit si pu essere innanzitutto
tentati dallidentificarla attraverso la sua inizialit, la sua assoluta libert.
il punto da cui part Thomas Hobbes stesso nel Leviathan(1651), affer-
mando che il diritto naturale essenzialmente la libert soggettiva dellin-
dividuo, quindi lautoespansivit. Certamente questa una caratteristica
dellesistenza, che potrebbe far pensare allidentit nel senso pi comune
fra quelli gi indicati, quello che comporti una concezione della realt
umana come pluralit di identit soggettivisticamente contrapponentisi, in
maniera anche prepotente e violenta. Eppure lesistenza non si limita a
ci, n tale caratteristica sufficiente a definirla: non occorre la sua ini-
zialit solamente. Lesistenza s una libert iniziale, che pu arbitraria-
mente andare in una direzione o in unaltra nellespandere se stessa, ma lo
solo in quanto al tempo stesso sia anche una scelta, cio proprio in
quanto essendo finita, ex-sistente, saltante fuori da non si sa cosa, ma co-
munque trovantesi come gettata in una realt delimitata, debba muoversi e
scegliere e decidersi rispetto ad una situazione data, imposta o donatale.
Lesistenza inizialit solo in quanto al tempo stesso anche scelta.
Lesistenza si trova a dover esercitare la propria libert assoluta solamente
in quanto sia posta in un contesto che essa sceglie ma quasi obbligato-
riamente, anche se liberamente, poich pu solo essere uno scegliersi, uno
scegliere se stessa, diventando ci che essa : quellesistenza. Lesistenza
34 Francesco Tomatis
libert iniziale solo in quanto sia anche scelta di qualcosa che la prece-
de, scelta di s come precedente se stessa, in quanto originata forse da al-
tro. Lesistenza preceduta da qualcosa rispetto al quale essa, soltanto es-
sa, pu essere inizialit, libert. Ma allora lessere preceduta comporta che
la sua inizialit, la sua libert, sia una scelta, cio una libert esercitata ri-
spetto ad alcunch di presupposto. E poich tale presupposto non qual-
cosa di noto allesistenza in quanto tale, anzi altamente ignoto e misterio-
so, ecco che lesperienza di libert propria allesistenza (costituita dalla
polarit inscindibile e inidentificabile di inizio-scelta) propriamente
unesperienza di trascendenza: di autotrascendenza che lesistenza umana
costitutivamente .
Approfondendo lidentit attraverso il suo particolare senso ipseistico,
lesistenza in quanto tale pu essere concepita come apertura alla trascen-
denza nella sua stessa finitezza. Che cosa significa questa autotrascenden-
za? Significa apertura allalterit dellaltro, o pi specificamente alla di-
versit delle molteplici esistenze. Ma non nel senso che attraverso la com-
prensione delle altre identit io possa fondare, concepire la mia identit,
lesperienza di autotrascendenza che lesistenza umana in quanto tale .
Lautotrascendenza non ci dice n che le altre ipseit possano essere spie-
gate esclusivamente partendo dalla mia, n che unaltra particolare ipseit
possa spiegare, giustificare, fondare la mia ipseit. Non attraverso un
processo sostitutivo che possibile comprendere lipseit. Ci mostra allo-
ra bene come le tante ipseit possano s tentare di comprendere se stesse
attraverso il dialogare con altre ipseit, ma secondo un dialogare possibile
non perch svolto attraverso una giustapposizione di ipseit, che compor-
terebbe necessariamente un bellum omnium contra omnes (guerra di tut-
ti contro tutti) o al massimo un patto di non belligeranza decretabile attra-
verso leggi pi o meno naturali, bens perch capace di unapertura alla
trascendenza che trascenda tutte le ipseit: che le trascenda tutte com-
plessivamente e le trascenda singolarmente prese, in quanto esse auto-
comprendendosi si comprendano come autotrascendenza costitutivamente.
Qui si apre allora una prospettiva nella quale forse possibile comprende-
re quanto, attraverso le molte differenze, sia possibile trovare unarmonia
fra di esse, ma solamente allorquando ogni differenza sia appunto ap-
profondita in quel senso specifico della propria esistenzialit che la mostra
come autotrascendenza.
Un simile percorso stato indicato ad esempio da Nicol Cusano, per
gli aspetti teologici e politico-religiosi, ma anche filosofici del tema, nel
suo dialogo De pace fidei, scritto nel 1453 sullonda impressionante della
Ipseit, diversit e dia-ferenza 35
presa di Costantinopoli da parte dei Turchi, ma soprattutto nei suoi princi-
pi primi filosofico-teologici nel dialogo della maturit Directio speculantis
seu de non aliud(1462). In questi dialoghi Nicol Cusano approfondisce il
tema platonico della diversit proprio nel mostrare come la comprensione
dellalterit, a partire da una ipseit, sia possibile solamente nel pensare
ad una non-alterit come loro comune presupposto intrascendibile, tra-
scendente e immanente assieme. Lipseit pi profonda di ogni singolarit
comprensibile solo nellaprirsi alla trascendenza che il non-altro, il
quale presuppone appunto se stesso e gli altri, in quanto non altro che
non-altro. Ma se la non-alterit la dia-ferenza che costituisce la nostra
stessa ipseit, allora alla nostra ipseit fondamentale la comprensione
dellalterit intesa come diversit, perch solo a partire dalle esperienze di
alterit, di incontro con le diversit sar anche possibile comprendere in
maniera pi penetrante come allipseit e alla diversit sia presupposta
una trascendenza, quella trascendenza stessa ancora ulteriore e onniavvol-
gente e imprepensabile che non altro che la non-alterit.
Nei tre principi toccati nel cammino di approfondimento dellipseit
propria al pensiero occidentale possibile coglierne allora la portante ra-
dice quasi immemorabile, grazie alla quale si potranno affrontare le que-
stioni impervie, elevate, abissali, che stanno di fronte a chi abbia a cuore
la possibilit im-possibile di porre in armonica relazione le tante differen-
ze del creato.
Abstract
This paper aims to understand the original meen of the terms ipseity, diversity
and /dia-ferenza/, by studing the occidental ideas of identity and otherness.
Identity comes fromlatin /idem/ that meens an autoreferencial identity, expressed by the
equality of oneself with himself. The latin /ipse/, on the other hand, meens a divided
identity, a differentiated one, which build itself by a mouvement and a relationship with
an other one. In the ipseity we can so understand the /dia-ferenza/ which caracterizes
every different reality, the non-otherness which is capable of every relation.
TEORIA 2006/1
1
Questo scritto appartiene a un programma di ricerca sostenuto dalla Alexander von Hum-
boldt-Stiftung (Bonn), che ringrazio.
2
Hanno parlato di egoismo per caratterizzare il principio della dottrina della scienza ad
esempio Baggesen, Reinhold, Weihuhn, J acobi. Cfr. su questo Reinhard Lauth, Das Fehlver-
stndnis der Wissenschaftslehre als subjektiver Spinozismus, in Id., Vernnftige Durchdringung
der Wirklichkeit. Fichte und sein Umkreis, Ars Una, Mnchen 1994, p. 40 ss.
3
Su questo tema la letteratura secondaria oggi molto amplia. Mi limito perci a
Fichte: lorizzonte comunitario
delletica (le lezioni del 1812)
1
Marco Ivaldo
1. Lungi dallessere un idealismo monologico confinante con legoi-
smo, come per altro le stato rimproverato
2
, la filosofia di Fichte com-
prende lintersoggettivo come condizione trascendentale dellautocoscien-
za e propone unetica della comunicazione e della cooperazione. Nel Dirit-
to naturaledel 1796-1797 viene intrapresa per la prima volta una dedu-
zione della presenza dellaltro come principio ideale-reale che invita lau-
tocoscienza a sorgere a se stessa. Nel Sistema di etica del 1798 la comu-
nit intesa come il trovarsi originario dellio in un mondo comune, ovve-
ro come lessere essenzialmente lun-con-laltro dellio si impone come
momento fondante della prospettiva etica. Al 18 di questopera leggiamo
che il corpo, lintelligenza e lalterit, riconosciuta in un nesso di appello e
libera risposta, sono altrettante condizioni a priori materiali attraverso le
quali lio riflettente per un verso comprende se stesso in rapporto alla ten-
denza morale che lo costituisce in modo essenziale e per laltro verso porta
a realizzazione (o meglio: deve [Soll] con libert portare a realizzazione)
questa tendenza stessa in tutte le sue implicazioni. Daltro lato ( 19) la
comunit completa degli esseri razionali, chiamata anche comunit dei
santi (GA I 5, p. 230), offre la rappresentazione della ragione in se stes-
sa, alla quale ogni persona ha parte. Su questi temi la ricerca su Fichte si
in questi ultimi anni spesso e fecondamente soffermata
3
. In questo mio
Lidentit in questione
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 37
richiamare il noto saggio di Reinhard Lauth che ha esercitato un grande influsso nel sollecitare
lattenzione degli studi fichtiani sul tema interpersonale: Le problme de linterpersonnalit chez
Fichte, Archives de Philosophie, 35 (1962), pp. 325-334 (ora in: Reinhard Lauth, Transzen-
dentale Entwicklungslinien von Descartes bis zu Marx und Dostojewski, Meiner, Hamburg 1989,
pp. 180-195). Ricordo inoltre solo alcuni volumi, omettendo i saggi pubblicati in riviste o i saggi
in volumi: Hans Ulrich Kopp, Vernnftige Interpersonalitt als Erscheinung des Absoluten, Diss.
Mnchen 1972; Charles K. Hunter, Der Interpersonalittsbeweis in Fichtes frher angewandter
praktischer Philosophie, A. Hain, MeisenheimamGlan 1973; Eberhard Heller, Die Theorie der
Interpersonalitt imSptwerk J . G. Fichtes, dargestellt in den Tatsachen des Bewutseins von
1810/11. Eine kritische Analyse, Diss. Mnchen 1974; Hansjrgen Verweyen, Recht und Sittlich-
keit in J . G. Fichtes Gesellschaftslehre, Alber, Mnchen 1975; Alexis Philonenko, La libert
humaine dans la philosophie de Fichte, II ed. aumentata Vrin, Paris 1980; Aldo Masullo, Fichte.
Lintersoggettivit e loriginario, Guida, Napoli 1986; Edith Dsing, Intersubjektivitt und Selbst-
bewutsein. Behavioristische, phnomenologische und idealistische Begrndungstheorien bei
Mead, Schtz, Fichte und Hegel, J rgen Dinter, Kln 1986; Manuel Gonzles Riob, Fichte, fil-
sofo de la intersubjetividad, Barcelona 1988; Robert R. Williams, Recognition. Fichte and Hegel
on the Other, Albany 1992; Ives Radrizzani, Vers la fondation de lintersubjectivit chez Fichte.
Des Principes la Nova methodo, Vrin, Paris 1993.
4
Su queste lezioni cfr. Hans Freyer, Das Material der Pflicht. Eine Studie ber Fichtes sp-
tere Sittenlehre, Kantstudien, 25 (1920), pp. 113-155; Gnter Zller, Einheit und Differenz von
Fichtes Theorie des Willens, Philosophisches J ahrbuch, 106 (1999), pp. 430-440; Carla De Pa-
scale, Le lezioni di etica del 1812: appunti di lettura, in Id., Vivere in societ. Agire nella storia.
Libert, diritto, storia in Fichte, Guerini e associati, Milano 2001, pp. 61-74; Marco Ivaldo, Ethik
der Inkarnation in J .G. Fichtes Vorlesungen ber die Sittenlehre 1812, in Marszalka R.-Nowak-
J uchacz E. (cur.), RozumJ est Wolny, Wolnos c-Rozumna, Wydawnictwo IFiS PAN, Warszawa
2002, pp. 101-116; J acinto Rivera de Rosales, Das Absolute und die Sittenlehre 1812. Sein und
Freiheit, Fichte-Studien, 23 (2003), pp. 39-56; Giovanni Cogliandro, La dottrina morale supe-
riore di J .G. Fichte. LEtica 1812 e le ultime esposizioni della dottrina della scienza, Guerini e as-
sociati, Milano 2005; Marco Ivaldo, Das Wort wird Fleisch. Sittliche Inkarnation in Fichtes
spter Sittenlehre, in G. Von Manz - G. Zller (cur.), Fichtes praktische Philosophie. Eine syste-
matische Einfhrung, Olms, Hildesheim2006, pp. 175-198; Marco Ivaldo, Sittlicher Begriff
als wirklichkeitsbildendes Prinzip in der spten Sittenlehre, relazione tenuta al Fichte-Kongress,
Mnchen 2003 (in corso di pubblicazione).
38 Marco Ivaldo
contributo vorrei invece mettere a fuoco il rilievo specifico che il tema del-
la comunit ha nelletica che Fichte elabora nella fase finale del suo cam-
mino di uomo e di filosofo, cio durante gli anni di insegnamento presso
luniversit di Berlino, allorch egli sviluppa la sua dottrina della scienza
come la teoria delle condizioni per una comprensione della apparizione
dellassoluto in grado di giustificare se stessa. In particolare mi concen-
trer sulle lezioni di dottrina morale (etica, Sittenlehre) tenute da Fichte
dal 12 giugno al 13 agosto del 1812
4
.
noto che dopo la seria malattia attraversata negli anni 1808-1809 il
Filosofo aveva iniziato nellautunno del 1809 gi prima dellapertura uf-
ficiale dellUniversit i propri corsi accademici. Dopo la fase di J ena, e
gli intermezzi di Erlangen e di Knigsberg, Fichte riprende perci linse-
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 38
5
Cfr. Reinhard Lauth, Il sistema di Fichte nelle sue tarde lezioni berlinesi, introduzione a J .
G. Fichte, Dottrina della scienza. Esposizione del 1811, cur. Gaetano Rametta, Guerini e associa-
ti, Milano 1999, p. 41.
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 39
gnamento universitario e lo fa, ancora una volta, articolando la propria
proposta scientifica e formativa secondo un piano organico, come si pu
cogliere dai manoscritti e dai materiali pervenuti e in corso di edizione.
Esso prevedeva tre momenti principali: lintroduzione alla dottrina della
scienza, lesposizione della dottrina della scienza in se stessa, lo svolgi-
mento delle teorie particolari. Il momento introduttivo abbracciava lavvia-
mento alla filosofia trascendentale e la trattazione del compito delluomo
di cultura. Tuttavia allesposizione della dottrina della scienza in senso
stretto Fichte faceva precedere anche una descrizione del sapere filosofico
dal profilo fattuale-fenomenologico (i cosiddetti fatti della coscienza) e
nel 1812 una logica trascendentale, dove il sapere filosofico viene
distinto dalla logica formale e dal sapere empirico. Il centro delle lezioni
era costituito dalla dottrina della scienza, che Fichte illustr cinque volte,
una ogni anno (le ultime due esposizioni sono per incomplete). Ogni
esposizione aveva lo scopo di tematizzare il sapere a partire dal punto di
unit della apparizione dellassoluto secondo livelli di comprensione via
via diversi. Fichte costruisce ogni volta da un nuovo punto di vistalintera
veduta. Il piano di insegnamento prevedeva infine lo sviluppo delle teorie
particolari, che per Fichte sono come noto la teoria della natura, del
diritto, della morale, della religione. Di fatto Fichte ha esposto per in
quegli anni soltanto la dottrina del diritto (Rechtslehre) e quella della mo-
rale (Sittenlehre), entrambe nel 1812.
2. Tra la Dottrina della scienza 1812 che lultima esposizione di cui
Fichte ha potuto offrire uno svolgimento completo e lEtica dello stesso
anno si coglie un produttivo legame. Nella prima Fichte intende muovere
dalla intellezione della legge suprema dellapparizione per passare alla
comprensione delle leggi subordinate dellapparizione stessa nella loro
unit vivente. Come ha osservato Reinhard Lauth, con la Dottrina della
scienza 1812lo sguardo determinato supremo, quello del volere morale,
diventa il centro delle deduzioni successive
5
. Alla conclusione delle le-
zioni questa connessione con letica viene esplicitata con la massima chia-
rezza: Chi ha conosciuto la dottrina della scienza ha conosciuto tutte le
condizioni della volont, e non gli manca pi precisamente che la volont
stessa, vale a dire la libera e indeducibile autodeterminazione pratica,
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 39
6
Georg Gurwitsch, Fichtes Systemder konkreten Ethik, Mohr (Paul Siebeck) Tbingen
1924; riproduzione: Olms, Hildesheim-Zrich-New York 1984.
7
Cfr. Gurwitsch, op. cit., p. 203 ss.
40 Marco Ivaldo
che secondo la tipica convinzione trascendentale non pu venire sosti-
tuita da nessuna deduzione filosofica. In questo senso la dottrina della
scienza soltanto ed esattamente cammino verso la moralit, arte
chiara del divenire morale (GA II 13, p. 178). LEtica 1812 a sua volta
parte dal fatto della dottrina morale (da quello che pu venire legittima-
mente compreso come il fatto stesso della ragionenella versione che Fich-
te intende dare di esso), ovvero che il concetto sia fondamento del mondo
con la assoluta coscienza di esserlo, e sviluppa da qui le articolazioni
portanti di quella che designerei come unetica della incarnazione.
Lespressione giovannea la parola si fatta carne (Gv 1, 14) non a ca-
so menzionata da Fichte nel suo corso di lezioni (Cfr. GA II 13, p. 333)
manifesta perci a mio giudizio il motivo portante di questa prospettiva
etica, che Georg Gurwitsch nel suo grande libro del 1924
6
comprenden-
do il termine fichtiano concetto, in s non troppo felice, come lidea
etica
7
caratterizzava come etica concreta e materiale.
Fichte stesso conferma questa caratterizzazione antiformalistica della
sua etica allorch, prendendo le distanze da Kant, sostiene che non suf-
ficiente intendere il concetto come un imperativo categorico, ma ne-
cessario procurare un contenuto a [questo] vuoto concetto (GA II 13, p.
324; cfr. anche pp. 308 e 328). Se letica attua questa concrezione rinvian-
do ciascuno alla propria consapevolezza morale (Fichte rivendica perci
una competenza etica originaria delluomo), la dottrina della scienza, cio
la filosofia come compenetrazione dellintero dei principi che Fichte de-
signa in questo contesto anche come: superiore dottrina di Dio (hhe-
liegende Gotteslehre) realizza per parte sua questo riempimento contenu-
tistico del concetto in quanto lo comprende come immagine di Dio.
Da qui si percepisce da un nuovo profilo il nesso strutturale che deve
esistere fra la dottrina della scienza e letica. vero che questultima pog-
gia su un punto di riflessione autonomo, quello del fatto della ragione
pratica, e da questo inizia; ma una filosofia che giunga fino in fondo de-
ve comprendere anche questo fatto geneticamente (cosa che Kant ha
omesso di effettuare). Ci esattamente il compito della dottrina della
scienza, della scienza globale del sapere, la quale (platonicamente, ver-
rebbe da dire) spiega il concetto, da cui letica parte, come copia, figu-
ra di un superiore essere (Abbild eines hheren Seyns). Lidea etica in
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 40
8
Su Fichte e Platone cfr.: Paul Wolfgang J unker, Der Begriff der Liebe bei Plato, Eckhart,
Fichte und in der Philosophie des Ungegebenen, I. D. Greifswald 1922; Max Wundt, Fichte als
Platoniker, in Id., Fichte-Forschungen, Stuttgart 1929, pp. 343-368 (nuova ed. Frommann-Holz-
boog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1976); TomRockmore, Le concept fichten de la science et la tradi-
tion platonicienne, Le Savoir Philosophique (Ann. Fac. Lettres Sc. Hum. Nice, Nr. 32), Nice
1977, pp. 31-40; J ean-Louis Vieillard-Baron, Platon et lidalisme allemand (1770-1830), Paris
1979; Wolfgang J anke, Wiederholung der Dialektik. Die bersetzung platonischer Dialektik in Fi-
chtes Wissenschaftslehre, Diskussionsbeitrge des Fachbereichs 2, Philosophie, Theologie der
Gesamthochschule Wuppertal, Nr. 1, Wuppertal 1979; Id., VomBilde des Absoluten. Grundz-
ge der Phnomenologie Fichtes, de Gruyter, Berlin-New York 1993; Karen Gloy, Einheit und
Mannigfaltigkeit. Eine Strukturanalyse des und: systematische Untersuchung zumEinheits-
und Mannigfaltigkeitsbegriff bei Platon, Fichte und Hegel sowie in der Moderne, Berlin-New
York 1981; Barbara Zehnpfennig, Reflexion und Metareflexion bei Platon und Fichte. Ein Struk-
turvergleich des Platonischen Charmides und Fichtes Bestimmung des Menschen, Symposion
82, Freiburg i. Br.-Mnchen 1987; Monika Budde-Burmann, Das lebensorientierende Eine bei
Plato und Fichte. ZumVerhltnis von Platons Parmenides zu Fichtes Wissenschaftslehre
(1804-II), Prima philosophia, 4 (1991), pp. 11-31.
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 41
definitiva immagine, espressione di Dio. Certamente questo esser-immagi-
ne dellidea etica non va inteso in senso statico, ma essenzialmente dina-
mico, o meglio pratico, cosa che sostiene Fichte Platone non avreb-
be chiaramente afferrato nella sua teoria delle idee, teoria cui per compe-
te in ogni caso il grande merito di aver confutato ante litteramloggettivi-
smo dei moderni filosofi della natura (GA II 13, p. 334; cfr. anche p.
338)
8
. Il concetto immagine nella forma di una immagine anticipan-
te (Vor-Bild; cfr. GA II 13, pp. 316-317) di ci che deve essere, ovvero
volendo scegliere una delle molteplici formulazioni con cui Fichte tenta di
caratterizzarne lessenza il concetto si esprime come assolutamente
creativo per loggettivit, [come] fondante il nuovo, ci che mai prima era
esistito (GA II 13, p. 334). In questo senso il concetto la ragione pra-
tica stessa, e lesser-fondamento del mondo che proprio del concetto
esprime la natura della ragione pratica (Cfr. GA II 13, pp. 310, 313,
333-334). Nella sua etica Fichte riceve la teoria delle idee di Platone alla
luce della ragione pratica di Kant, ma allo stesso tempo amplia, senza can-
cellarlo, lorizzonte kantiano grazie a un impulso platonico, che egli valo-
rizza in opposizione ai filosofi della natura (tra i quali comprendeva cer-
tamente Schelling, e forse anche Schleiermacher).
3. Come emerge il tema comunitario nelle lezioni di etica? Sono oppor-
tuni alcuni chiarimenti. Come si detto, letica muove dal fatto della dot-
trina morale: che il concetto sia fondamento (Grund: ratio e causa) del
mondo, cio di una propria manifestazione oggettiva (di un mondo inter-
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 41
9
Sulla struttura della volont morale in Fichte cfr. le riflessioni di Reinhard Lauth, Con
Fichte, oltre Fichte, cur. M. Ivaldo, Trauben, Torino 2004.
10
Cfr. Carl Leonhard Reinhold, Briefe ber die Kantische Philosophie, Bd. 2, Georg J oachim
Gschen, Leipzig 1792, in particolare la lettera sesta e settima.
11
Cfr. su ci le considerazioni di Emilio Brito, J . G. Fichte et la transformation du christia-
nisme, Leuven University Press, Leuven 2004, p. 357 ss.
12
Cfr. Max Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik. Neue Versu-
che der Grundlegung einer ethischen Personalismus(I parte: 1913, II parte: 1916), Francke, Bern
und Mnchen 1966. Ad es.: Ogni dovere fondato in un valore (p. 193).
42 Marco Ivaldo
personale, come vedremo). Orbene, in una serie di svolgimenti non sempre
facili da seguire Fichte precisa anzitutto che, in questo senso, lunica co-
sa che propriamente esiste il concetto: un essere puramente spirituale
(GA II 13, p. 329) e che oltre a questo vero e reale essere spirituale non
esiste un altro essere (dobbiamo intendere: non esiste per letica, dato che
per la scienza del sapere questo essere del concetto a sua volta copia
[Abbild] delluno-essere vivo). Un vero mondo oggettivo esiste perci sol-
tanto attraverso la vita del concetto, cio mediante la prassi dellio che
vuole il dovere (cfr. GA II 13, p. 331). Il mondo oggettivo perci
espressione dellessere spirituale (non viceversa!) attraverso lopera dellio
morale, che tale perch vita, esistenza che vuole (incondizionatamente
ed energicamente) lidea morale
9
. Qui Fichte introduce un chiarimento de-
terminante sulla teoria della libert. La libert morale non la libert di
scelta tra diversi motivi (ad esempio fra un impulso interessato e un impul-
so disinteressato, come il Filosofo puntualizza con un evidente accenno al-
la teoria di Reinhold
10
). La libert morale la facolt di volere o di non vo-
lere il concetto; la sua essenza risiede nel suo poter-volere o poter-non
volere autodeterminarsi in rapporto allidea etica. In questo senso occorre
ammettere una preliminare indifferenza dellio, che non una indiffe-
renza rispetto ai motivi (gi criticata da Leibniz), ma la libert radicale in
cui lio si trova rispetto allidea etica, la quale domanda di essere incondi-
zionatamente ma non meccanicisticamente voluta. Lio libero di fron-
te a una richiesta assoluta, e la sua posizione fondamentale non si determi-
na nella scelta tra natura e libert, ma si gioca interamente nel rapporto fra
la volont e il dovere, fra la libert e lappello dellidea (o del valore) mora-
le che si manifesta come Sollen(GA II 13, p. 322 ss.)
11
. Va precisato infatti
che il concetto irrompe nella coscienza come un Devi (Soll), e questulti-
mo osserva Fichte, anticipando, si potrebbe osservare, la riflessione di
uno Scheler
12
precisamente lidea etica in una immagine e rappresen-
tante (GA II 13, p. 328): il Devi esprime il concetto nella sua capacit
motivanteper la volont, lidea comeideale (cfr. GA II 13, p. 335).
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 42
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 43
Sulla base di questa visione ci che finora si chiamata dottrina morale
(Sittenlehre) leggiamo si trasforma in una dottrina dellessere (Seyn-
slehre). Questa conclusione, prima faciesorprendente, viene spiegata cos:
in virt di queste premesse la dottrina morale si trasforma nella dottrina
dellessere vero, della realt vera e propria (GA II 13, p. 331), cio co-
me ormai sappiamo nella teoria dell essere puramente spirituale, il
concetto. Nelletica lessere il concetto, e viceversa (non cos nel-
la scienza del sapere, per cui il concetto a sua volta immagine
delluno-essere). Dal concetto=essere deve venire dedotto tutto il restante
della manifestazione, anche il mondo oggettivo. Orbene, significa que-
sto che una dottrina morale in senso proprio (GA II 13, p. 332) chia-
rir pi avanti questa espressione non avrebbe pi senso e che essa si ri-
solverebbe semplicemente nella dottrina dellessere spirituale? Formulato
con una terminologia moderna: la teoria dellagire morale si risolverebbe
interamente nella teoria del valore morale?
Fichte non vuole affermare ci. Anzitutto chiarisce che la differenza fra
la dottrina morale e la dottrina dellessere spirituale risiede nella diversa
posizione che in esse ha la libert. La dottrina morale presuppone la li-
bert in quanto quella possibilit dellessere e anche del non essere di
cui ho sopra parlato (=la libert radicale), la vede come una realt vera e
immediatamente conosciuta, e la conduce sotto la legge morale. La dottri-
na dellessere spirituale invece deduce la libert come una forma della
manifestazione, la pone cio non immediatamente nellessere, ma nella
visibilit dellessere come il membro sintetico del rapporto fra lespri-
mersi della vita in una immagine e la vita stessa del concetto; con altre
parole: la libert il medio vivente fra la vita nellimmagine e la vita se-
condo lidea, fra apparizione e realt.
Si capisce allora che la dottrina morale risiede non nel punto di vista
della verit, ma in quello della manifestazione (GA II 13, p. 332; cfr. an-
che pp. 336 e 338) e che essa ha il compito di risolvere la manifestazione
nella verit. Sotto questoprofilo epistemologico legittimo conservare il ter-
mine dottrina morale e attribuirgli un significato specifico. La dottrina mo-
rale in senso proprio il sistema della manifestazione. Il suo presupposto
la libert radicale, lindifferenza in relazione al volere, e ci include
lammissione di un io prima della sua determinazione da parte del concet-
to, cio di un io autonomo e indifferente (=libero) rispetto alla determi-
nazione categorica stessa dellidea etica. La determinazione etica appella,
non necssita, anche se appella in modo incondizionato. Segue da ci che
nellidea etica in s non esiste nessuna indifferenza. Lindifferenza con-
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 43
13
Per questa posizione su Schelling mi riferisco a Reinhard Lauth e alla sua lettura di
Schelling ora raccolta nel volume: Schelling vor der Wissenschaftslehre, Christian J errentrup,
Mnchen 2004.
14
interessante notare che Fichte in queste lezioni di etica riprende la distinzione di dot-
trina della verit, della manifestazione e della parvenza gi avanzata nella Dottrina della scienza
1804-II (cfr. GA II 8, p. 2 ss.).
44 Marco Ivaldo
tro la filosofia dellidentit come indifferenza di Schelling
13
non pu veni-
re posta nella verit, ma deve venire esattamente pensata come una condi-
zione (trascendentale) dellio necessaria per concepire il fenomeno morale,
e appartiene perci (soltanto) alla sfera della visibilit dellessere.
In definitiva: la dottrina morale in senso proprio pensa lesistenza
dellio (libero) in rapporto al valore morale. Essa allora qualcosa di di-
verso dalla teoria del valore, che comunque necessariamente suppone e
che svolge da un altro punto di vista. Ha a che fare con lesistenza, o ver-
rebbe da dire: con la praxis. Orbene, possiamo considerare spiega Fichte
questo rapporto dellio con la moralit da due profili: dellessere e del
divenire. Il primo profilo pone in essere una teoria della manifestazio-
ne dellio (Erscheinungslehre des Ich). Questa la vera e propria etica,
che allora la comprensione dellio vero come manifestazione/esistenza
dellidea etica, ovvero la fenomenologia dellincarnarsi del concetto (si
rammenti il tema giovanneo). Il secondo profilo produce una dottrina
pratica e pragmatica dellarte della moralit (Kunstlehre der Sittlichkeit,
GA II 13, p. 336), che a sua volta si articola in una ascetica, ovvero
nellarte di rafforzare e consolidare la volont morale, e in una pedago-
gia, ovvero nellarte riflessa di educare il genere umano alla moralit.
4. necessario per ulteriormente distinguere fra manifestazione (Er-
scheinung) e parvenza (Schein). Qui Fichte tematizza la scissione fonda-
mentale fra moralit e immoralit, lalternativa etica essenziale. Nella sfera
della manifestazione il principio lio come immagine dellidea che deve
avere vita e forza, esistenza ed energia. Orbene, se questa manifestazione
viene compresa nel suo rapporto alla verit che risiede a suo fondamento, si
realizza la vera e propria dottrina della manifestazione (Erscheinungsleh-
re); se questo rapporto misconosciuto, e la manifestazione presa per la
cosa stessa (GA II 13, p. 338), allora abbiamo una dottrina della parven-
za (ScheinLehre), e nei suoi giudizi nascono parvenza, errore e illusione.
Manifestazione e parvenza: per intendere questa scissione dobbiamo
ancora una volta riferirci alla dottrina della verit, o dellessere, di cui pri-
ma si detto
14
. Questa afferma che il concetto il principio vivente, e
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 44
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 45
che la manifestazione effettuale deve essere perfettamente corrispondente
alla manifestazione che possibile a partire dal concetto stesso. Per
parte sua lio individuale per usare le parole di Fichte una certa re-
gola limitativa per lapparire del concetto assoluto (GA II 13, p. 338), os-
sia una forma determinata di manifestarsi dellidea etica. Se in questa li-
mitazione, cio nellio, la realt appare uguale alla possibilit che il con-
cetto ha di manifestarsi; in altri termini: se lesistenza dellio la vita
stessa dellidea etica senza cesura e mutamento, allora lio individuale
un io morale. Fin qui la teoria della verit.
Al livello della teoria della manifestazione questo significa: lio morale
precisamente colui che limmagine vera e fedele della vita del concet-
to, e ci in modo tale che la sua vita in realt non sua, ma la vita
dellidea etica che lo possiede e lo plasma, sicch si deve dire che il con-
cetto soltanto in lui visibile, e che se venisse richiesto che cosa in defi-
nitiva sia il concetto che non vediamo, bisognerebbe rispondere allio
morale: guardati (siehe dich)!
Diversamente accade al livello della parvenza: qui lio non vita
del concetto, ma soltanto come Fichte si esprime immagine della
sua immagine, del concetto puramente ideale e formale (GA II 13, p.
339). Questo (anchesso non semplice) pensiero fichtiano potrebbe essere
formulato anche fondandosi sulla distinzione fra immediatezza e me-
diatezza che viene avanzata in questo contesto (GA II 13, p. 340) cos:
lio morale immagine immediata del concetto, la vitalit e la capa-
cit motivante dellidea morale sono la sua stessa vita, egli non ha pi
una volont e una vita proprie, ma la sua volont e la sua vita si sono
risolte nellessere visibilit del concetto;
lio immorale ha invece un rapporto con il concetto soltanto mediato
e astratto; egli non radicalmente aperto alla irruzione del concetto
nella sua reale forza motivante e imperativa, e ci a causa di una forza
di resistenza che lo spinge ad autonomizzarsi, mentre al contrario ogni
vano orgoglio dovrebbe venire bandito. Non che il concetto non
esista nella manifestazione dellimmoralit, cio nella parvenza. Lio
immorale ha sempre un rapporto con lidea etica, solo che questo rap-
porto si detto un falso rapporto: la parvenza, limmoralit non
lapparizione della vita del concetto nella sua forza genuina, ma il
cadavere della sua morte, del suo spirare (Erstorbenheit) in una qualche
forma: bench questa morte e questo spirare tuttavia vivano (GA II 13,
p. 341). Limmoralit in definitiva falsificazione del bene per amore di
se stessi.
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 45
46 Marco Ivaldo
5. Possiamo adesso omettendo alcuni passaggi intermedi venire al
tema della comunit. Una tesi fondamentale di queste lezioni, si visto,
che lio deve avere una causalit (una libert) indipendente dal suo esse-
re-morale. Senza questo presupposto non concepibile la moralit, che
tale nella concomitante possibilit del suo contrario (se no, avremmo solo
meccanismo e ripetitivit). Ora, donde emerge una simile causalit nel si-
stema della manifestazione?
A questa domanda Fichte risponde rinviando allempiria, che egli ca-
ratterizza come la sfera al di l della coscienza morale (GA II 13, p.
352). In maniera pi specifica spiega che lempiria la rappresentazione
della capacit formativa (Bildlichkeit) o della forma visualizzante
(Sehform) in un oggetto in generale da parte di un soggetto in generale. Il
dominio empirico in altri termini capacit formativa oggettivata, cosa
che implica lagire immaginante e formante di un soggetto. Questo sog-
getto per precisa il Filosofo in realt una somma di soggetti, di io,
una comunit di io (GA II 13, p. 353). Fichte vuol dire che perch possa
divenire concepibile qualcosa come lempiria necessario porre una co-
munit di individui. Nella sua materialit lempiria emerge come autoat-
tuazione di una forma visualizzante strutturata in maniera intersoggettiva.
Daltro lato soltanto attraverso questa costitutiva mediazione intersogget-
tiva che la capacit visualizzante e formante stessa, chiamata il metaem-
pirico, passa da formale a materiale, si determina cio secondo contenuti
che sono rilevanti per la vita dellindividuo.
Da questo profilo ogni individuo si presenta con un duplice significato.
In parte egli puramente empirico, ovvero espressione del vedere
empirico, e perci prodotto naturale e cosa della natura, retto
dallimpulso naturale di autoconservazione (Cfr. GA II 13, p. 355; cfr. an-
che pp. 353-354). In questa sfera ogni individuo assolutamente eguale
(fattualmente eguale) a ogni altro individuo: lindividuo naturale non ha
ancora un carattere individuale. In parte lindividuo invece qualcosa
in s, membro della comunit, espressione del fattore realedella mani-
festazione; come tale esso impulso (puro) e, ove sia possibile, agire in
vista di un ordinamento (morale) che non dato in una legge della natura,
n da questa richiesto, ma risiede nel suo essere autonomo ed da
questo postulato. Orbene, soltanto in quanto si manifesta nella propria ap-
partenza alla comunit degli io e mediante essa attraverso una pratica
interattiva , lindividuo acquisisce il carattere individuale, il quale ne-
cessariamente un carattere spirituale (GA II 13, p. 356). Il principium in-
dividuationisdeve darsi perci sul piano spirituale, non naturale (sul pia-
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15
Ha richiamato lattenzione sulla differenza nella concezione del carattere individuale che
si pu rilevare fra le precendenti elaborazioni di Fichte e queste lezioni di etica Carla de Pasca-
le, Le lezioni di etica del 1812. Appunti di lettura, op. cit., p. 71.
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 47
no naturale abbiamo uniformit fra gli individui), e lindividuazione cio
la realizzazione della individualit che devo diventare il risultato di
una interazione interpersonale
15
. Lidentit che io sono (meglio: che devo e
posso essere, essendo lidentit lesito mai chiuso di una corrispondenza a
una domanda, espressa in un compito pratico) un processo formativo che
necessariamente rinvia a una interazione comunicativa con una pluralit
di persone. Non c io senza altri. Qualcosa in s [lindividuo] lo soltan-
to come parte di una totalit, e nellordinamento di una totalit; solo la to-
talit infatti in s (GA II 13, p. 357), laddove deve venire chiarito che
totalit (Ganzes) qui equivale a comunit di individui, o anche: degli
spiriti, che il vincolo che la rende tale un rapporto che mediato dalla
libert, che proprio per questa ragione la comunit un in s.
Il processo di costruzione dellidentit personale perci il seguente:
dallessere naturale, determinato dallimpulso autoconservativo, allessere
spirituale, allessere cio un io in s, attraverso la mediazione della co-
munit. Soltanto sollevandosi a questo livello lindividuo riceve un caratte-
re individuale che lo diversifica dalla uniformit e della ripetitibilit gene-
rica dellimpulso autoconservativo.
Ora per tornare al punto da cui siamo partiti: donde loriginaria in-
differenza dellio? , proprio a seguito della acquisizione di questo ca-
rattere individuale che lindividuo pu esistere come un principio auto-
nomo nel mondo oggettivo indipendente dalla legge morale e antecedente
al destarsi di essa (GA II 13, p. 356), pu cio trovarsi come libero in
rapporto al concetto. Per parte sua la manifestazione del concetto del
dovere rispetto al quale la libert chiamata a decidere di s trova
proprio nel carattere individuale, e nel contenuto materiale di capacit e
qualit personali che gli sono proprie, una materia alla quale si unisce e
dalla quale trae il suo proprio contenuto, cio una specificazione quali-
tativa, e ulteriormente determina il carattere stesso. La concrezione del
dovere riguarda lio che io sono e interpella me (da ci la prescrizione:
presta attenzione a te stesso, Attentire auf dich, GA II 13, p. 365). Luni-
versalit del concetto del dovere si particolarizza attraverso la mediazione
del carattere individuale, e questa mediazione richiede a sua volta la me-
diazione della comunit degli individui come totalit vivente di legami
spirituali. Il processo di costruzione della identit personale che non pu
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 47
48 Marco Ivaldo
accadere al di fuori dellorizzonte di una comunit deve essere in defini-
tiva inteso come la premessa e allo stesso tempo il medio per lassunzione
e lesercizio di una responsabilit morale personale.
6. Questa comprensione della comunit sostiene Fichte offre la pos-
sibilit di penetrare nel contenuto del concetto considerato nella sua
pura forma, dato che il contenuto qualitativo del concetto stesso
pu essere rinvenuto soltanto nella coscienza immediata (cfr. GA II 13,
p. 358). Ci pu venire spiegato cos: a) cogliamo lideale qualitativo uni-
versale che viene postulato dallidea etica soltanto se proiettiamo lidea
stessa sullorizzonte della comunit; b) possiamo invece percepire come,
in quali forme ed esigenze specifiche, questo ideale parla a noi, solo facen-
do attenzione a noi stessi, prestando ascolto alla voce della coscienza mo-
rale ed esercitando il giudizio; c) perci il riempimento contenutistico del
concetto avviene nella sua universalit grazie alla mediazione della co-
munit, e nella sua particolarit in virt, come gi abbiamo visto, della
consapevolezza morale personale.
La determinazione contenutistica del concetto grazie allidea della
comunit viene svolta in tre passaggi fondamentali:
I) ci che autonomo nella manifestazione la manifestazione stessa
come essa in s, in quanto immagine di Dio; la manifestazione
ci solo nella sua unit come comunit degli individui; con altre pa-
role: lin s della manifestazione il suo essere-immagine (abbiamo
qui una significativa unit di autonomia e eteronomia, di in s e per
altro), e questo in s lunit della comunit degli io;
II) un tale essere della comunit si presenta come un compito, ap-
pare nella forma di un principio assoluto [pratico]; lideale etico in
definitiva un compito, e questo non in senso proprio un compito
dellindividuo, ma dellintera comunit: la produzione di un certo or-
dine (morale) del mondo, che sempre sulla via di farsi;
III) un tale compito, pur essendo compito per la totalit, non si esprime
per in una coscienza totale (Gesamtbewutsein), ch una tale coscien-
za totale non esiste, ma nella coscienza individuale, e vi si esprime
precisamente come compito in vista della totalit (GA II 13, pp. 358-
359; cfr. anche p. 364 ss.). Si comprende perci meglio il punto enu-
cleato in precedenza, che la coscienza del dovere si particolarizza at-
traverso la mediazione del carattere individuale: ognuno riceve la pro-
posta del compito morale, che necessariamente un compito che ri-
guarda tutti, in maniera individualizzata, cio come un compito che
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16
Ha di recente sottolineato la costruttiva mediazione che Fichte realizza fra universalit e
particolarit in ambito etico Gnter Zller, Konkrete Ethik. Universalitt und Partikularitt in
Fichtes Systemder Sittenlehre, in K. Engelhard-D. H. Heidemann (cur.), Ethikbegrndungen zwi-
schen Universalismus und Partikularismus, de Gruyter, Berlin-New York 2005, pp. 203-229.
17
Fichte enuncia anche un criterio puramente formale: la volont morale vuole eterna-
mente il concetto eterno, cio puramente formale, fatta astrazione da tutte le configurazioni che
esso riceve nel tempo (GA II 13, p. 363).
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 49
interpella proprio lui e che egli deve percepire facendo attenzione a se
stesso nella propria coscienza morale ed esercitando il giudizio
16
.
7. Si detto: il compito in vista della totalit come comunit degli indi-
vidui, precisamente della sua unit come unit morale. Ora, di questa fina-
lizzazione comunitaria del compito morale si possono enucleare diverse,
anche se certamente non antitetiche, declinazioni, che esprimono modalit
differenti di interazione fra gli individui in vista della unit della comunit.
Una prima declinazione la comunicazione in vista delleguaglianza.
Lunit della comunit deve venire intesa come lunit che risulta dalla co-
municazione, dalla messa-in-comune delle rispettive conoscenze e capa-
cit da parte degli individui. Ogni individuo non deve ritenere ci che egli
ha acquisito in conoscenza, capacit pratica e abilit come un possesso
esclusivo e definitivo, ma deve per un verso sempre incrementarlo, per
laltro verso e insieme deve parteciparlo agli altri. In questo senso occorre
superare ogni carattere puramente individuale precisamente ogni misu-
ra limitata di intelligenza e abilit (GA II 13, p. 357; cfr. pp. 357-358) ,
bisogna comunicare agli altri questa misura propria, cos che da questo
dare e ricevere risulti in tutti un solo carattere: il pi alto sviluppo spiri-
tuale possibile nel tempo. Si capisce che ci che destinato a questa co-
municazione universale deve essere ci che in ogni qualit particolare
veramente spirituale e perci universalmente valido, mentre ci che so-
lo individuale, e perci sensibile, deve essere mantenuto da ognuno per
s. Gli individui comunicano realmentein ci che spirituale e universal-
mente valido. Lo scopo di questa comunicazione di pervenire a quella
che potrebbe dirsi una seconda eguaglianza, che non sia pi luniformit
ripetitiva dellimpulso naturale, ma sia questa volta opera della libert e
perci muova da ogni punto individuale, cio dalla differenza.
Una seconda declinazione si collega alla formulazione di quello che Fi-
chte chiama il criterio qualitativamente formale della volont morale
17
,
ovvero che questa vuole [nella] eterna unit [del concetto assoluto] la mo-
ralit di tutti (GA II 13, p. 363). La volont morale vuole che ogni vita
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 49
18
Seguo in questo il suggerimento dei curatori della Edizione completa, cfr. GA II 13, p.
360 nota 42.
50 Marco Ivaldo
allinterno della manifestazione la quale come abbiamo visto ha una
struttura intersoggettiva divenga vita del concetto, sia compenetrata e
plasmata dallidea etica. Tuttavia, comedeve essere perseguita la moralit
di tutti?
Fichte avanza qui unimportante distinzione. Luomo pu agire
spiega privo di ogni moralit per la sola spinta della natura spirituale
in lui. Il criterio formale della sua volont in questo caso che egli vuole
perch vuole, assolutamente e semplicemente, ha cio una volont assolu-
ta che ha come scopo la realizzazione di un certo stato del genere umano.
Con questa caratterizzazione il Filosofo ha in vista quelli che chiama gli
eroi della storia (GA II 13, p. 360): essi sono pieni di entusiamo (Be-
geisterung), sono anche benefattori dellumanit, ma lo sono come cie-
chi strumenti di un qualche singolo concetto. Evoca espressamente il
profeta Muhammad, entusiasta (enthusiast) per il concetto dellunit di
Dio, pieno di odio amaro verso il politeismo, ma si riferisce implicita-
mente anche ai giacobini e a Robespierre, e si pu cogliere nelle righe pu-
re un accenno tacito a Napoleone, che il 24 giugno 1812 aveva iniziato la
campagna di Russia (la lezione in cui vengono pronunciate queste osser-
vazioni del successivo 30 luglio)
18
. Caratteristica di questi entusiasti
di voler costringere con il fuoco e la spada gli uomini al riconoscimento
di una religione, oppure a essere liberi, o felici, nella maniera voluta da
loro stessi. Con un chiaro riferimento a Paolo (1 Cor 13, 2) Fichte stigma-
tizza per questa posizione spirituale cos: Possono fare miracoli, o tra-
sportare le montagne, ma loro non giova a nulla, dato che non hanno
lamore (GA II 13, p. 360).
A differenza che in questo eroismo amorale degli entusiasti
dove lagente strumento inconsapevole di visioni unilaterali e parziali,
che vengono da lui non riconosciute come tali e impropriamente assolutiz-
zate , nella moralit lidea etica penetra invece nella coscienzae come ta-
le viene riconosciuta. La volont morale vuole allora lintera legge del do-
vere, e non suoi frammenti assolutizzati, ed aperta a riconoscere la forma
del dovere in ogni figura in cui si manifesti. Mentre lentusiasta vuole,
come cieco strumento della propria ideologia, costringere gli altri alla
moralit e in tal senso egli fraintende e falsifica il senso del criterio pri-
ma esposto per cui la volont morale vuole la moralit di tutti , luomo
morale vuole invece lidea etica con piena consapevolezza e nella sua
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 50
19
Linterazione nella comunit etica deve avvenire attraverso lazione, che vale come esem-
pio per il concepire dellaltro, e la parola. Questa interazione attraverso concetti richiede
un principio comune. Sono auspicabili perci alcuni concetti fondamentali morali su cui si
realizzi il consenso della comunit etica universale. Ora, laccordo sulla intellezione morale si
chiama simbolo, e la comunit di coloro che riconoscono il simbolo la chiesa. Qui il
punto di partenza della dottrina della chiesa nelle lezioni del 1812, alla quale Fichte dedica la
appendice (GA II 13, pp. 380-392), e che meriterebbe una trattazione specifica, che qui devo
omettere. Cfr. sul tema: Emilio Brito, J . G. Fichte et la transformation du christianisme, cit., pp.
369-377; Giovanni Cogliandro, La dottrina morale superiore di J . G. Fichte, cit., pp. 294-310.
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 51
completezza: ci significa per quanto riguarda lo scopo della moralit di
tutti che egli percepisce il dovere come edificazione di tutti nella pro-
spettiva di una sola comunit morale (GA II 13, p. 363)
19
, e in questo
consiste precisamente lamore, di cui dir fra breve. Ancora e insieme:
mentre lentusiasta vuole il proprio scopo cio un certo stato della so-
ciet umana con ogni mezzo, e cos non onora affatto la libert umana,
anzi gli rimane nascosta la destinazione stessa del genere umano alla li-
bert, luomo morale vuole quello scopo soltanto per il medio della mora-
lit di tutti, cosa che richiede che essi comprendano e vogliano lo scopo
stesso, cio implica la loro libert. In altri termini: luomo morale vede il
genere umano soltanto come essente originariamente e per sua essenza
libero (GA II 13, p. 362): la moralit in tutti e in ognuno per lui sempre
e soltanto evento della libert.
8. Assieme al disinteresse, alla veracit e apertura, alla sempli-
cit, lamore viene riconosciuto da Fichte come carattere essenziale
della disposizione interiore delluomo morale, interna manifestazione
del [suo] animo (GA II 13, p. 369; cfr. p. 369 ss.). Sappiamo dalla dottri-
na interpersonale di Fichte del periodo jenese che laltro colui che ap-
pella lautocoscienza a pervenire a se stessa. Abbiamo poi visto nella trat-
tazione che precede che laltro deve venire inteso come il partner irrinun-
ciabile di una interazione comunicativa finalizzata a costruire lunit della
comunit etica. Nella concezione dellamore che Fichte enuclea in queste
lezioni laltro si presenta tuttavia anche in unulteriore e innovativa figura.
Egli colui che lio morale deve (soll) volere come tale, deve volere cio la
sua esistenza come un essere libero. Volere che un altro questoaltro
esista come un essere libero e in un nesso morale con me, significa amare
laltro, questo altro.
Precisiamo anzitutto il carattere fondamentale dellamore etico. Con un
significativo chiarimento riguardo alla concezione della volont Fichte os-
serva che si ama ci in rapporto al quale e in vista del quale si vuole tut-
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 51
20
Cfr. tr. it. Discorsi alla nazione tedesca, a cura di G. Rametta, Laterza, Bari 2003, p. 23.
52 Marco Ivaldo
to ci che si vuole, loggetto fondamentale stabile e permanente della no-
stra volont (GA II 13, p. 373). Lamato ci ( colui) che si vuole fino in
fondo, che impegna per intero la volont. Nel secondo dei Discorsi alla na-
zione tedesca avevamo daltra parte letto: Luomo pu volere solo ci che
ama; il suo amore lunico e in pari tempo infallibile impulso del suo vo-
lere (SW VII, p. 283)
20
. Orbene, per lio immorale ci che amato il
proprio io (lamour propredi Rousseau!), per lio morale invece lintera
umanit, e in particolare coloro con i quali entra in rapporto, per i quali ha
agito e che abbraccia nei suoi progetti, ovvero: lio morale ama il suo
prossimo, volendo designare loggetto del suo amore dice Fichte
con una assai adeguata espressione biblica (cfr. Lv 19, 18; Mt 22, 39).
Questa la prospettiva esatta, dato che egli vuole la moralit e, mediante
questa, la vita beata (Seeligkeit) non soltanto la felicit (Glckse-
ligkeit), come aveva detto Kant nella Metafisica dei costumi (AA VI, p. 393
ss.) di tutti.
Alla enucleazione del tratto fondamentale dellamore etico segue una
sua sintetica fenomenologia.
Anzitutto colui che ama non si separa dagli altri, ma resta in rapporto e
in interazione con loro per quanto glielo consente il compito morale. Chi
volesse occuparsi soltanto di se stesso, della propria moralit, e mante-
nersi cos puro e immacolato, si opporrebbe alla disposizione morale. Un
simile uomo concepisce infatti la moralit soltanto come un non-fare il
male puramente esteriore e negativo, una giustizia e illibatezza esteriore
borghese (brgerlich), ma sarebbe lerrore pi grave Fichte usa qui il
termine fariseismo lo scambiare questa moralit esteriore e negativa
per la moralit vera, che consiste invece nel vivere e nellagire positiva-
mente e che ha di mira la formazione morale degli altri. Chi ama il proprio
dovere potremmo dire in termini kantiani: chi fa del dovere un impulso e
non una regola esteriore ama ipso factola comunit con gli uomini a cui
quel dovere stesso lo rinvia. La sua inclinazione lo sollecita allintima
comprensione con i suoi simili, ed egli si mantiene sempre aperto a intrec-
ciare nuovi legami. Letica dellamore perci non soltanto unetica
dellinterazione, ma unetica della creazionedi nuove relazioni umane
che incarnino lidea etica.
Inoltre luomo morale comprende nel suo amore lumanit intera, consi-
derandola come strumento della moralit. Occorre per intendere bene
questo esser-strumento, che sembra prima facieopporsi allidea kantiana
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 52
Fichte: lorizzonte comunitario delletica (le lezioni del 1812) 53
della persona come fine in s. Sappiamo che lio individuale deve porsi
al servizio dellincarnarsi dellidea etica, deve divenire vita del concet-
to, e precisamente in questo consiste, volendo dire la cosa in termini
kantiani, la sua dignit. Daltra parte lesser-strumento non pu essere
separato dal fatto che ogni individuo al servizio dellidea etica come un
essere libero. Perci il genere umano viene amato s come strumento della
moralit, ma in quanto questo amore si fonda e si riferisce alla base mo-
rale[che ] nelluomo e [allo] sviluppo della stessa (GA II 13, p. 375).
Ogni membro dellumanit viene perci amato dallio morale nel suo es-
ser-capace di moralit, in virt della sua inalienabile e intangibile perso-
nalit morale.
Ne segue che luomo morale ama senza eccezione chiunque abbia vol-
to umano ed pieno di fiducia e di speranza in ogni uomo, sapendo che
finch ogni individuo vive perch lidea etica o Dio stesso vuole of-
frirgli loccasione di diventare migliore. Non che questo atteggiamento lo
porti a essere cedevole di fronte al male: luomo morale non ama, n tolle-
ra, n giustifica affatto il male, ma ama piuttosto la persona vera e perdu-
rante di ognuno, il suo nocciolo morale, che vuole liberare da ogni ri-
vestimento occultante e portare in piena luce. Sa per che questa libera-
zione non pu avvenire con la costrizione e linganno si rammenti la pre-
cedente critica delleroismo e dellentusiasmo amorali ma con la cono-
scenza e attraverso lamore del meglio. In definitiva luomo morale vuole
gli uomini liberi, non schiavi della paura o dellerrore.
Ancora: compiutezza e indigenza caratterizzano luomo morale. Questi
compiuto e autonomo per quanto riguarda la sua volont di fare ci che
giusto, ma indigente in senso esterno e dipendente dallintero genere
umano (GA II 13, p. 375). Ci di cui egli ha propriamente bisogno os-
serva Fichte la cultura morale dellintero genere umano. Si potrebbe
dire: luomo morale s autonomo nella sua volont morale, che non pu
venire prodotta in lui da nessun fattore esterno a lui stesso, ma non auto-
sufficiente nella sua esistenza di fatto, nella quale egli si presenta biso-
gnoso della integrazione morale che nasce dalla moralit di tutti. Linter-
personalit etica perci non solo un dovere, ma anche un bisogno
dellindividuo.
Infine, se luomo morale abbraccia nel suo amore lumanit come stru-
mento della moralit, egli per primo si pone nella condizione dello stru-
mento, sicch pronto e interessato a mettersi al servizio degli altri in mo-
do effettivo e concreto, a partire dalla cura del loro benessere fisico,
dellordine sociale che li abbraccia, della rettitudine della loro costituzio-
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 53
54 Marco Ivaldo
ne, della loro libert, poich egli consapevole di comee quantole condi-
zioni fattuali, materiali, ambientali e giuridiche possano favorire (o impe-
dire) agli uomini di sollevarsi a ci che spirituale e pi alto.
Questo amore etico creativo designato conclusivamente da Fichte co-
me il sigillo della nostra moralit (GA II 13, p. 376), cio come il suo
compimento e insieme come il suo segno di riconoscimento. La concezione
dellamore etico consente probabilmente pi di altri aspetti di percepire e
di apprezzare il cammino che Fichte ha compiuto dal suo primo Sistema di
etica del 1798 nella determinazione dellatteggiamento morale fondamen-
tale delluomo.
Abstract
In his Ethics of the year 1812 Fichte developes a theory of morality as incarnation of
moral values and ethical ideas in a context of communication. The moral idea is im-
age of God. Individual identity can be formed only through the interactive process. No
I without the Other. Moral community is the manifestation of the Absolute.The creative
love is seen as the signet of morality: this is probably the greatest difference fromthe
Ethics of the year 1798.
03 Ivaldo 37 22-11-2010 10:51 Pagina 54
TEORIA 2006/1
1
Cfr. E. Troeltsch, Moderne Geschichtsphilosophie, in Theologische Rundschau, 6, 1903,
tr. it. La moderna filosofia della storia, in E. Troeltsch, Etica, religione, filosofia della storia, a
cura di G. Cantillo, Guida, Napoli 1974, p. 340: Se poi si chiede di altri mezzi di fondazione
dei valori, non si ottiene altro che unalzata di spalle. In un discorso in occasione del suo settan-
tesimo compleanno Dilthey come contributo della grande scienza storica, a partire da Grimm,
Bchk e Ranke, ha indicato lanarchia dei valori. Questo il sentimento latente che domina la
nostra epoca.
Cosa significa diventare ci che si
Forme e aspetti del problema dellidentit
in Martin Heidegger
Antonia Pellegrino
1. Identit e universale
Nonostante lindubbia familiarit del giovane Heidegger con le temati-
che logiche, il problema dellidentit non gli si presenta a partire da questo
ambito. vero che in seguito il principio di identit come legge formale
fondamentale del pensiero diventer uno degli obiettivi tipici della deco-
struzione heideggeriana, ma questo avviene in un contesto in cui la logica
rappresenta loggettivazione di una determinata posizione metafisica, cio
di una specifica (anche se non arbitraria) interpretazione dellessere
dellente. Lidentit che inizialmente gli risulta problematica, come emerge
dai primi corsi friburghesi, immediatamente successivi alla fine della pri-
ma guerra mondiale, lidentit stessa del pensiero occidentale, vale a dire
lidentit della filosofia in quanto pensiero dellOccidente. Sia pure sforzan-
dosi di cercarne la radice ultima e di modificarne anche terminologicamen-
te limpostazione, Heidegger in realt riprende un problema che gi era
motivo di inquietudine per gli intellettuali della generazione precedente: la
crisi dellidentit culturale del mondo moderno occidentale. Il relativismo,
che appariva come il risultato ultimo dellaffinamento della coscienza stori-
ca del secolo precedente e del dibattito sullo statuto epistemologico delle
scienze dello spirito
1
, sembrava quasi inevitabilmente condurre alla perdita
Lidentit in questione
2
Questo avviene in molti corsi universitari, sia precedenti che successivi a Essere e tempo;
la diagnosi sullepoca contemporanea viene da Heidegger infatti continuamente ripresa ed ap-
profondita, nella piena consapevolezza della difficolt di fornire soluzioni credibili che riuscis-
sero ad andare oltre la mera enunciazione programmatica. Da questo punto di vista, anche lana-
litica esistenziale di Essere e temposi rivela una risposta insufficiente. Cfr. come esempio alme-
no Phnomenologie des religisen Lebens(1920/21), GA 60, a cura di M. J ung, T. Regehly, C.
Strube, Klostermann, Frankfurt a. M. 1995, pp. 19-30, tr. it. a cura di G. Gurisatti, Fenomenolo-
gia della vita religiosa, Adelpi, Milano 2003, pp. 52-64; Der deutsche Idealismus (Fichte, Schel-
ling, Hegel) und die philosophische Problemlage der Gegenwart (1929), GA 28, a cura di C. Stru-
be, Klostermann, Frankfurt a. M. 1997, pp. 9-21.
56 Antonia Pellegrino
di fisionomia unitaria di quella cultura da cui pure era scaturito. Il pari va-
lore attribuibile alle diverse visioni del mondo si traduceva nella difficolt
di legittimare i contenuti interni di ciascuna di esse. Anche linteresse ver-
so la molteplicit delle culture e delle loro realizzazioni correva il rischio di
assumere le forme di una ricerca comparativa puramente esteriore, esteti-
camente compiaciuta di se stessa. Da questa diagnosi sullepoca contempo-
ranea erano scaturiti diversi tentativi di ripensare la possibilit di una di-
mensione ideale, che allo stesso tempo si sottraesse alla contingenza storica
e, rispetto alle molteplici realizzazioni dellumanit nel corso del tempo, in-
dicasse i criteri di rilevanza per organizzarle e giudicarle. In questo senso
si era mossa ad esempio la filosofia dei valori, ma anche la teologia liberale
protestante. Heidegger ne ben consapevole, nel momento in cui ripetuta-
mente individua come una delle principali caratteristiche della sua epoca
linclinazione alla metafisica (Zug zur Metaphysik)
2
.
Il primo conflitto mondiale aveva portato allestremo il senso della crisi
dellOccidente, particolarmente in Germania, che esce dalla guerra non so-
lo militarmente sconfitta e umiliata nelle sue ambizioni di potenza ma an-
che stravolta nelle istituzioni politiche. Alcuni giovani intellettuali, e tra
questi sicuramente Heidegger e J aspers, avvertono linutilit di insistere
sullimpostazione del problema e sulle soluzioni prospettate negli anni pre-
cedenti. La filosofia, minacciata nella sua identit dal relativismo, non ri-
trova se stessa nella dimensione dellideale sottratto al tempo, ed indiffe-
rente che questo ideale venga interpretato in termini di dover-essere (di va-
lore) o come oggetto specifico della logica trascendentale elaborata dalla fe-
nomenologia husserliana. Il relativismo si fonda sul riconoscimento della
molteplicit, della differenza, dellindividualit specifica, della temporalit.
Non ha senso contrapporgli ancora, ammantata solo esteriormente di nuove
forme, ununiversalit gi contestata. Il problema che si pone come evita-
re per che tale riconoscimento si rovesci nel suo contrario, ovvero nellin-
differenza verso i contenuti del molteplice, nel considerarli equivalenti in
3
Cfr. M. Heidegger, Zur Bestimmung der Philosophie (1919), GA 56/57, a cura di B.
Heimbchel, Klostermann, Frankfurt a. M. 1987, p. 62, tr. it. a cura di G. Auletta, Per la deter-
minazione della filosofia, Guida, Napoli 1993, p. 68.
4
Cfr. M. Heidegger, Grundprobleme der Phnomenologie (1919/20), GA 58, a cura di H.H.
Gander, Klostermann, Frankfurt a. M. 1992, p. 49.
5
Su Spengler cfr. anche M. Heidegger, Phnomenologische Interpretationen zu Aristoteles.
Cosa significa diventare ci che si 57
senso deteriore, parimenti incapaci di esibire, oltre al dato di fatto della
propria realt oggettiva, il fondamento e il senso della propria specificit:
C in genere un solo fatto, se ci sono solo fatti? In quel caso non c in assoluto
nessun fatto; non c nemmeno nienteperch, con la supremazia della sfera dei fatti,
non c nemmeno un c. C il c?
3
.
Evitare lesito prospettato pocanzi il compito autentico della filosofia,
il cui statuto non comparabile a quello delle scienze positive: essa il
pensiero stesso dellOccidente, che dopo aver scoperto la temporalit ci si
deve confrontare fino in fondo. La scoperta del carattere temporale
dellesistenza non deve privare la filosofia del proprio centro, della propria
fisionomia unitaria, annullando cos di fatto anche se medesima. E il com-
pito della filosofia tanto pi urgente quanto sempre maggiore sembra
laffermazione del relativismo e la connessa diagnosi di definitivo tramonto
dellOccidente e della sua cultura:
Su chi ha visto queste connessioni [le connessioni storiche], anche se dalla pi
grande distanza e in maniera rozza, fa presa lo scetticismo storicistico che, colpendosi
continuamente in faccia, parla in maniera non storica, decisamente obsoleta, sempli-
cemente comica. Questa comica della storia universale, che si manifesta nel libro eu-
ropeo dal titolo Il tramonto dellOccidente, si trasforma per subito in farsa quando
le persone piene di boria spirituale giocano con essa, e interi movimenti giovanili ci si
ammalano. Ma forse questa estrema contaminazione con un tale veleno necessaria
affinch noi o stirpi future possiamo di nuovo prestare ascolto a ci che ci concerne
nel profondo
4
.
Rispetto a Dilthey e alla discussione sulle scienze dello spirito a lui
contemporanea, Spengler non aveva, secondo Heidegger, alcuna connota-
zione originale: la sua interpretazione in termini biologici del corso della
storia, al cui interno le diverse culture erano considerate organismi, poteva
essere assimilata a un residuo della filosofia della storia positivista; la sua
morfologia non comportava innovazioni rispetto allimpostazione compara-
tivista e tipologica. Ma Spengler segnalava, in tutta la sua gravit, lincom-
pletezza delle discussioni sulle scienze dello spirito, era un segno dei tem-
pi, il sintomo di un problema rimasto aperto
5
.
Einfhrung in die phnomenologische Forschung, GA 61, a cura di W. Brcker e K. Brcker-
Oltmanns, Klostermann, Frankfurt a. M. 1984, 1994
2
(edizione riveduta), p. 183, tr. it. a cura di
M. de Carolis, Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenolo-
gica, Guida, Napoli 1990, p. 106: Spengler il segno della situazione di povert del presente.
6
GA 56/57 (=Zur Bestimmung der Philosophie), cit., p. 75, tr. it. cit., pp. 81-82.
58 Antonia Pellegrino
Heidegger, nei suoi primi corsi alluniversit di Friburgo, sostiene la
necessit di mettere radicalmente in discussione le principali coppie di
opposti della tradizione filosofica: ideale/reale, essere/divenire, sistema/
storia. Se la filosofia vuole ritrovare un proprio ambito e un proprio senso,
deve diventare scienza della vita, scienza pre-teoretica della vita (vor-theo-
retische Urwissenschaft) oppure scienza originaria della vita (Ursprungswis-
senschaft), senza ricercare pi il suo oggetto specifico in una ipotetica di-
mensione ideale rispetto alla quale tutte le manifestazioni temporali sareb-
bero contingenti e che rimarrebbe unica depositaria della loro eventuale
rilevanza. La vita tale solo in quanto si esplica in tendenze molteplici,
ognuna delle quali con una propria motivazione, anchessa rintracciabile
solo nella vita stessa. La motivazione non una causa razionale nel senso
della leibniziana ragion dessere, ma il modo in cui un determinato conte-
nuto ha origine dalla vita. Dalla vita si genera tutta la molteplicit dei si-
gnificati nelle loro interconnessioni e la vita questa molteplicit. Ma co-
sa deve intendersi con vita? Non un assoluto che si sostituisca ai prece-
denti conservandone la funzione. Nemmeno vita come concetto biologico,
come totalit degli organismi viventi. Vita chiaramente quella dellessere
umano che vive in una rete di significati, ed capace di replicarne in s la
genesi:
Lesperienza vissuta non mi sta davanti come una cosa che io addito, come un og-
getto, ma io stesso me ne approprio ed essa levento che, secondo la sua essenza, si
fa appropriare
6
.
Dal punto di vista della motivazione vitale non esiste lequivalenza o
lindifferenza dei diversi significati: lesperienza vissuta non si pone il pro-
blema del criterio di rilevanza, lo ha gi in s, nella familiarit con una
determinata sfera di significati, che la riguardano, la coinvolgono, la costi-
tuiscono, e nellestraneit rispetto ad altri. Cercare un criterio diverso dal-
la motivazione vitale non plausibile:
Questi caratteri dellespressivo esser familiare con me stesso, essere accessibile
a me stesso, indicano allo stesso tempo, in tutta la pienezza della ritmica del loro con-
tenuto, i motivi, insiti nella vita stessa anche se di solito non emergenti distintamen-
te , per cui ogni comprensione dei riferimenti vitali della vita si deve lasciar descri-
7
GA 58 (=Grundprobleme der Phmomenologie), pp. 159-160. Laccenno a una concettua-
lizzazione di tipo individualizzante una critica alla filosofia dei valori di Rickert, che distin-
gueva tra una concettualizzazione generalizzante propria delle scienze naturali e una concettua-
lizzazione individualizzante specifica delle scienze storiche, incentrate non sulla ricerca di ci
che comune ma sul coglimento della peculiarit individuale dei singoli fenomeni storici.
8
Ivi, p. 256.
Cosa significa diventare ci che si 59
vere a partire dalla vita stessa e dalla sua pienezza, dalla sua storia. La storia, non co-
me critica delle fonti, storiografia, raccolta di materiale, negozio di antichit, o come
realt empirica dominabile attraverso unelaborazione concettuale di tipo individualiz-
zante e non altrimenti, bens come vita che vive con se stessa, come familiari della
vita con se stessa in tutti i suoi riferimenti, fornisce le esperienze-guida
7
.
Qui lautentica rilevanza della storia: in essa sono depositati i significati
costitutivi dellesistenza concreta, dei quali i singoli possono ripercorrere
la genesi, comprendendone cos anche le oggettivazioni che non sono stati
essi a produrre e che hanno ricevuto come tramandate:
Qui va indicato come si possa assumere che io abbia un ambito materiale da cui at-
tingere una tale ricchezza di fenomeni. Questo un problema serio. Lautentico stru-
mento di comprensione della vita la storia, non come scienza dello spirito o collezio-
ne di curiosit, ma come vita vissuta, come essa e come essa si rapporta a s nella
vita vivente
8
.
Ciascun essere umano non rigenera necessariamente tutti i significati in
cui si trova collocato. I significati, che hanno origine nelle motivazioni
della vita, trovano una loro stabilizzazione nellassetto della realt circo-
stante, nel contesto in cui ciascuno vive ed inserito, nella rete di rapporti
che lega gli individui fra di loro, nelle categorie concettuali, ma anche
emotive, con cui ciascuno si rapporta a se stesso: Umwelt, Mitwelt, Selb-
stwelt sono le categorie costitutive della vita. Il mondo del s (Selbstwelt)
ne rappresenta il centro unificante, in quanto luogo in cui la vita pu ripe-
tere la genesi dei propri significati, in cui ci che si oggettivato pu nuo-
vamente essere ricondotto alla propria origine perdendo la connotazione
statica di dato di fatto.
Ma come stato possibile che dallintrinseca temporalit della vita si
generasse un pensiero che proprio questo carattere tende a disconoscere?
Heidegger individua la radice dellincomprensione della temporalit nel
progressivo assolutizzarsi di una delle tendenze della vita, ovvero la com-
prensione teoretica. Tale modalit espressiva rispondeva allesigenza di
definizione e controllo dellente, e non era n lunica possibile n la prin-
cipale. La sua assolutizzazione, tuttavia, non casuale, ma ha a sua volta
una specifica motivazione vitale, la tendenza deiettiva della vita, ovvero la
9
Phnomenologische Interpretationen zu Aristoteles (1922), a cura di H.-U. Lessing, in
Dilthey-J ahrbuch, 6, 1989, pp. 235-274, p. 245, tr. it. a cura di V. Vitiello e G. Cammarota,
Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele, in Filosofia e teologia, 3, 1990, pp. 496-532, p.
505 (traduzione modificata): Lessere della vita, accessibile nelleffettivit stessa, tale da di-
venire visibile e raggiungibile solo attraverso il contromovimento che si oppone alla tendenza
deiettiva della cura. Questo contromovimento, che proprio dellinquietudine del vivere che non
smarrisce se stesso, il modo in cui lessere autentico della vita, colto nella sua temporalit, si
sviluppa temporalizzandosi. Si designi questo essere autentico, di per s accessibile nella vita
effettiva, col termine esistenza.
10
Ivi, p. 238, tr. it. cit., pp. 498-499: Lesserci effettivo [faktisches Dasein] ci che ,
sempre e solo in quanto esserci determinato, e non un esserci in generale di una qualche uma-
nit universale per la quale bisogna preoccuparsi unicamente di compiti immaginari. La critica
della storia sempre solo critica del presente.
60 Antonia Pellegrino
tendenza allo smarrimento, a interpretarsi a partire da ci che gi stato
oggettivato e appare come possesso stabile e sicuro. Alla tendenza deietti-
va della vita, tuttavia, si affianca anche quella, di segno opposto, alla com-
prensione di s, alla ricerca in s della genesi della molteplicit dei signi-
ficati; ed a partire da essa che pu essere messo in discussione il prima-
to del teoretico, in quanto modalit di comprensione costitutivamente
inappropriata a cogliere il carattere dinamico e temporale della vita.
2. Perdere se stessi o diventare ci che si : analitica esistenziale
Gradualmente, la tematica della vita e della filosofia come scienza della
vita scompare dagli scritti di Heidegger. Si tratta di uno spostamento di
accenti che inizia gi nel 1922: mentre il corso del semestre invernale
1921/22, Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele, ancora incentrato
sulla ricerca sistematica delle categorie e delle tendenze della vita, gi nel
1922 le cosiddette seconde interpretazioni fenomenologiche di Aristote-
le, il Natorpbericht, testimoniano di uno spostamento terminologico e
concettuale: innanzi tutto, dalla vita come origine si passa alla domanda
sullessere della vita
9
; in secondo luogo, sempre pi esplicitamente, il cen-
tro della riflessione filosofica viene individuato nellesistenza umana (il
Dasein)
10
. Il termine vita, presumibilmente, conservava ancora delle
ambiguit che ora vengono eliminate. Innanzi tutto, una inevitabile asso-
nanza con lambito della biologia e della fisiologia. In secondo luogo, una
mancanza di radicalit teorica, in quanto concetto che conservava ancora
un evidente residuo di quella universalit e generalit che era oggetto di
contestazione. Se da un lato i corsi friburgesi fino al 1922, ponendo lac-
cento sullesperienza vissuta e la sua connotazione di familiarit, cos co-
11
Questa oscillazione evidente soprattutto nei corsi sulla fenomenologia della vita religio-
sa, GA 60, pp. 9-18 e pp. 116-125, tr. it. cit, pp. 41-51 e pp. 158-167; si veda anche GA 58, pp.
61-62, sul Cristianesimo come primo emergere della tematica della vita e della Selbstwelt, e
sullellenizzazione del Cristianesimo come momento a partire da cui categorie adatte solo allin-
terpretazione teoretica dellessere dellente vennero utilizzate per la vita e il mondo del s.
Cosa significa diventare ci che si 61
me sul mondo del s (Selbstwelt) quale cardine della vita, lasciavano inten-
dere che con il termine vita si dovesse intendere lesistenza, Heidegger te-
meva evidentemente che questo potesse far assimilare il suo progetto
allindividualismo e al relativismo che cercava di combattere. Il concetto
di essere gli fornisce la soluzione a questa difficolt
11
.
La domanda sullidentit della filosofia si trasforma quindi nella do-
manda sullidentit dellente che, solo fra tutti, ha la possibilit di porre la
domanda sullessere proprio (ovvero sullessere della vita come vita pro-
pria) e sullessere di ci che difforme da s. La filosofia diventa analitica
esistenziale e ontologia.
La crisi dellepoca contemporanea generata quindi da due ordini di
fattori. In primo luogo, il graduale e inarrestabile emergere delle caratteri-
stiche pi proprie dellesistenza, e soprattutto della sua ineliminabile tem-
poralit. Trova cos compimento un processo iniziato con il Cristianesimo,
ma, anche al di l di esso, riportabile a uno dei caratteri fondamentali della
vita, cio la tendenza a comprendere se stessa, a ritrovarsi infine al di l
dello smarrimento in occupazioni e compiti molteplici aventi come proprio
centro lente difforme da s. Allo stesso tempo, tuttavia, la mancanza di
unelaborazione concettuale adeguata a tenere il passo con le nuove pro-
spettive apertesi alla comprensione dellesistenza. Si tratta di una mancan-
za non dovuta a motivi casuali: il pensiero occidentale, sin dalle sue origini
greche, si rivolto principalmente allente intramondano, con il fine di de-
finirlo (di fissarne lidentit) e in questo modo progressivamente di control-
larlo. Da questo squilibrio tra il venire in luce di nuovi problemi e limpos-
sibilit di inquadrarli tramite la concettualit in uso sorgono tutte le aporie
del pensiero contemporaneo. Via duscita pensare fino in fondo la diffe-
renza fra ente e esistenza (Dasein), ovvero riconoscere il carattere peculia-
re dellunico ente in grado di porre la domanda sullessere. E la caratteri-
stica essenziale del Dasein il non essere determinabile in quanto qualco-
sa, il suo continuo divenire se stesso nella propria esistenza temporale:
LEsserci non una semplice presenza che, in pi, possiede il requisito di potere
qualcosa, ma, al contrario, prima di tutto un esser-possibile []. La possibilit come
esistenziale non significa un poter-essere indeterminato del genere della libert di
indifferenza (libertas indifferentiae). LEsserci, in quanto emotivamente situato nel
12
Cfr. Sein und Zeit (1927), tr. it. a cura di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano
1976
2
, p. 183.
13
Cfr. Essere e tempo, cit., p. 460.
62 Antonia Pellegrino
suo essere stesso, gi sempre insediato in determinate possibilit e, in quanto quel
poter essere-che , ne ha gi sempre lasciate perdere alcune; rinuncia incessantemen-
te a possibilit del suo essere, riesce a coglierne talune oppure fallisce. Ci significa
che lEsserci un esser-possibile consegnato a se stesso, una possibilit gettata da ci-
ma a fondo
12
.
Divenire se stesso, divenire ci che gi si , non vuol dire assoluta li-
bert di scegliere e di determinarsi. Essa, al contrario, equivarrebbe alla
posizione di un osservatore oggettivo di fronte a possibilit tra di loro equi-
valenti. Pensare come possibile una tale libert assoluta significa, ancora
una volta, trasferire al Daseinle categorie interpretative adeguate allente
intramondano: lesistenza continuerebbe a essere una forma trascendenta-
le rispetto alla quale le determinazioni singole sarebbero contingenti, le
scelte equivalenti tra di loro. Si ritornerebbe ai problemi connessi con il
relativismo. Comprendere la concretezza dellesistenza significa invece
prendere atto, senza voler eliminare questo aspetto, del suo muoversi sem-
pre in un ambito di possibilit gi date, sulle quali essa non ha potere, che
essa non sceglie, e che non pu scegliere di cambiare. Da tali possibilit
ciascuna esistenza concreta resa quella che . Nella maggior parte dei
casi, lesistenza si muove inconsapevolmente allinterno delle proprie pos-
sibilit, non riflette n sul loro carattere n sulla loro provenienza, le assu-
me semplicemente come un dato di fatto, per occuparsi daltro. Ma lesi-
stenza ha sempre in s la possibilit di ripercorrerne genesi e motivazione,
assumendole consapevolmente, e giungendo alla comprensione di s, che
cosa completamente diversa dallautocoscienza:
La decisione, in cui lEsserci ritorna su se stesso, apre le singole possibilit effetti-
ve di un esistere autentico a partire dalleredit che essa, in quanto gettata, assume. Il
ritorno deciso allesser-gettato porta con s un tramandamento di possibilit ricevute,
bench non necessariamente in quanto ricevute []. Soltanto lanticipazione della
morte elimina ogni possibilit casuale e provvisoria. Solo lessere libero per la morte
offre recisamente allEsserci il proprio fine e installa lesistenza nella sua finitudine.
La finitudine, una volta afferrata, sottrae lesistenza alla molteplicit caotica delle pos-
sibilit che si offrono immediatamente (i comodi, le frivolezze e le superficialit) e
porta lEsserci in cospetto della nudit del suo destino. Con questo termine designamo
lo storicizzarsi originario dellEsserci quale ha luogo nella decisione autentica, stori-
cizzarsi in cui lEsserci, libero per la sua morte, si tramanda in una possibilit eredita-
ta e tuttavia scelta
13
.
14
Ivi, p. 262; cfr. anche ivi, pp. 281-282: C [gibt es] essere, non ente, soltanto in
quanto la verit [ist]. Ed essa soltanto in quanto e fin tanto che lEsserci . Essere e verit
sono cooriginari. Che cosa significhi laffermazione che lessere , posto che lessere debba
esser distinto da ogni ente, pu essere discusso concretamente solo se sono stati chiariti il senso
dellessere e la portata della comprensione dellessere in generale.
Cosa significa diventare ci che si 63
La dimensione vera dellesistenza non quella solipsistica, bens la co-
munit, il popolo, come unit organica di possibilit storiche sviluppate e
tramandate. Da questa prospettiva, lequivalenza delle diverse opzioni cul-
turali non che un falso problema generato da una concettualit non ade-
guata allambito che vuole comprendere. Ciascuna esistenza non sarebbe
tale, ma solo una vuota determinazione formale, senza un legame privile-
giato con determinate possibilit. La sua essenza aver da essere, ma
allinterno della propria finitezza.
In Essere e tempo, Heidegger non affronta mai esplicitamente il proble-
ma costituito dalla gettatezza delle possibilit storiche, e dalla loro even-
tuale legittimazione; esse vengono considerate a partire dalla prospettiva
del Dasein, che, nellesistenza autentica, pu comprenderle e appropriar-
sene (ripeterle, generarle nuovamente in s), cos come, nellesistenza
inautentica, pu muoversi in esse inconsapevolmente:
Certamente solo fin che lEsserci [ist], cio fin che la possibilit ontica della
comprensione dellessere, c [gibt es] essere. Se lEsserci non esiste, allora non
n lindipendenza n lin s. Allora queste espressioni non sono n comprensibili n
incomprensibili; e lente intramondano non n scopribile n tale da poter esser-na-
scosto. Allora non si pu dire n che lente ci sia n che non ci sia. invece ora, ossia
fin che c la comprensione dellessere e quindi la comprensione della semplice-pre-
senza, che si pu dire che lente vi sar anche allora
14
.
Negli anni successivi, questa impostazione verr completamente rove-
sciata.
3. Identit assoluta: antropologia
Un cambiamento tuttaltro che di poco conto nella riflessione heidegge-
riana comincia a verificarsi gi poco dopo Essere e tempo. Negli anni pre-
cedenti, come si visto, le aporie del pensiero e della coscienza contem-
poranee erano state ricondotte allindebita assolutizzazione di una possibi-
lit della vita (o dellesistenza) fra le altre, ovvero la comprensione teoreti-
ca. Lesistenza stessa, nella sua dimensione temporale, era stata interpre-
tata con categorie del tutto inadatte, perch finalizzate non solo alla com-
15
Per questa prima interpretazione, precedente a Essere e tempo, cfr. Prolegomena zur Ge-
schichte des Zeitbegriffs(1925), GA 20, a cura di P. J aeger, Klostermann, Frankfurt a. M. 1979,
1988
2
(edizione riveduta), 1994
3
(edizione riveduta), tr. it. a cura di R. Cristin e A. Marini, Pro-
legomeni alla storia del concetto di tempo, Il Melangolo, Genova 1991, pp. 143-164.
16
Cfr. M. Heidegger, GA 28 (=Der deutsche Idealismus), p. 21.
64 Antonia Pellegrino
prensione dellente ma a un determinato tipo di comprensione dellente.
La vita, o il Dasein, proprio per i loro caratteri costitutivi, mostravano la
tendenza a interpretarsi a partire dallente, e da questo erano nate le
scienze positive che avevano lesistenza umana quale loro oggetto, lantro-
pologia e la psicologia innanzi tutto. La visione antropologica e psicologica
delluomo, in questo contesto, vista come conseguenza di una determina-
ta strutturazione del pensiero
15
; lelaborazione delle categorie della vita
prima, lanalitica esistenziale poi, avrebbero dovuto soppiantarla.
Dopo Essere e tempo, con sempre maggiore decisione lantropologia si
trasforma nel carattere fondamentale del pensiero moderno, e ovviamente
nella causa delle sue aporie. Uno degli esempi pi chiari a riguardo il
corso del semestre estivo 1929 sullidealismo tedesco:
risultato questo: tale tendenza fondamentale [allantropologia] non ha come suo
scopo semplicemente quello di suscitare un apprezzamento particolare verso tutto ci
che umano; essa invece pretende anche di decidere cosa in generale debbano signi-
ficare realt, essere e verit. Con questo si detto anche che essa vuole decidere al
suo interno anche la questione fondamentale della metafisica. Tutto ci avviene certa-
mente in maniera indeterminata e a tastoni, e tuttavia ben chiara la direzione di que-
sta tendenza e di questa rivendicazione. S, la seconda tendenza fondamentale
[dellepoca contemporanea] quella alla metafisica oggi in linea generale si mostra
prevalentemente allinterno della tendenza allantropologia. Per questo non stata ca-
suale la nostra scelta di prenderla in considerazione per prima
16
.
Per questa sua pretesa, forse non completamente consapevole ma non
per questo meno efficace, di decidere, a partire dalluomo, della realt,
dellessere e della verit, la tendenza allantropologia dellepoca contem-
poranea radicalmente diversa da qualsiasi umanesimo o neoumanesimo:
non si tratta della rivendicazione di una dignit specifica e peculiare
delluomo, ma della riconduzione alluomo di tutto ci che . Luomo di-
venta identit assoluta, pieno possesso di s, e vede il diverso come una
propria oggettivazione, che si presenta nella forma di unesteriorit desti-
nata ad essere cancellata dallautocoscienza:
Si tratta di un evento fondamentale di fronte al quale misure del genere risultano
inappropriate, di fronte al quale falliscono e non possono che fallire tutti i programmi
17
Ivi, p. 18.
18
Ivi, pp. 16-17: E tuttavia, nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia luo-
mo. Per nessunaltra epoca luomo stato cos problematico come lo per la nostra.
19
Ivi, p. 17.
Cosa significa diventare ci che si 65
neoumanistici, che siano desunti dallantichit o da qualsivoglia altra parte, perch la
nostra storia non ha ancora mai sperimentato nulla del genere
17
.
Eppure, nonostante lassolutizzazione delluomo rispetto allessere,
nellepoca contemporanea la domanda su cosa luomo sia continua a risuo-
nare senza trovare una risposta adeguata
18
. Questo perch luomo compren-
de se stesso come un ente, e solo a questo patto pu assolutizzare se stesso,
perch il pensiero rivolto allente il pensiero che determina qualcosa in
quanto qualcosa, secondo unessenza definita e in ogni momento verificabi-
le. Alla domanda sulluomo si cercano risposte tramite la psicologia, senza
poter celare il sospetto che essa manchi completamente il bersaglio:
Dato che la spiegazione psicologica deve diventare lalfa e lomega, anche ogni ri-
sposta alla domanda sullessenza delluomo viene a sua volta di nuovo spiegata psico-
logicamente. La si considera come nata da determinate attitudini spirituali e da istinti
inconsci. E con questo la si gi privata di ogni forza
19
.
Come si arrivati a questo cambiamento di prospettiva nella riflessione
heideggeriana? Perch lanalitica esistenziale non rappresenta pi una ri-
sposta sufficiente alla domanda su che cosa sia luomo, o almeno non in
grado di opporsi efficacemente al predominio dellantropologia?
La comprensione di s dellanalitica esistenziale veniva inevitabilmente
a trovarsi di fronte alla gettatezza delle possibilit del Dasein. Limpossibi-
lit per lesistenza di trarre da s le proprie possibilit doveva tradursi nel-
la consapevolezza della propria costitutiva temporalit e quindi anche del
proprio limite. Ma si d un altro possibile esito: la capacit di riappro-
priarsi delle proprie possibilit, di ripercorrerne in s la genesi, pu esse-
re confusa con la capacit di autolegittimarsi, di trarre da s le possibilit
nelle quali si gettati. questa la tentazione dellidentit assoluta con s,
del pieno possesso, del pieno controllo, della piena trasparenza: il progetto
perseguito dallidealismo tedesco. Questo progetto antropologia. Lasso-
lutizzazione del teoretico appare da questo punto di vista in una luce di-
versa: non si tratta della tendenza a interpretrarsi a partire da categorie
adeguate solo allente, ma di un progetto di controllo sullessere stesso,
che viene considerato, esclusivamente, essere dellente e nullaltro che es-
sere dellente, determinabile dal pensiero.
20
Cfr. M. Heidegger, Der Satz der Identitt, in Identitt und Differenz, Neske, Pfullingen
1957, pp. 16-17, tr. it. Il principio di identit, in Identit e differenza, a cura di U.M. Ugazio, in
aut aut, 187-188, gennaio aprile 1982, pp. 5-6. Traduzione modificata.
66 Antonia Pellegrino
4. Differenza assoluta: nuovo inizio del pensiero?
In due saggi del 1957, raccolti nel volumetto Identit e differenza, Hei-
degger procede alla decostruzione del principio di identit, interpretato or-
mai come cardine del pensiero metafisico e onto-teo-logico dellOccidente.
Egli ripercorre la genesi del principio didentit nella sua forma moderna
e contemporanea rintracciandone le origini nel pensiero greco, e questo
con un duplice scopo; da un lato, esplicitare attraverso quale processo e
quali motivazioni (vitali) esso abbia assunto la sua configurazione pi no-
ta; dallaltro, mostrare che la formulazione originaria di tale principio
tuttaltro che assimilabile alla sua forma ultima. Anzi, nella formulazione
originaria era presente qualcosa che il pensiero successivo ha gradual-
mente dimenticato, e che potrebbe rappresentare lambito di un nuovo ini-
zio del pensiero. Il pensiero del nuovo inizio, infatti, sar il totalmente al-
tro dal primo, ma dovr rivolgersi a ci che nellorigine era gi, sebbene
posto poi a margine dalla nascente metafisica:
Il principio di identit asserisce qualcosa circa lidentit? No, per lo meno non im-
mediatamente. Piuttosto il principio presuppone gi che cosa voglia dire identit e di
che cosa essa faccia parte. Come conseguire informazioni su questa presupposizione?
Ce le fornisce il principio di identit stesso se ascoltiamo con cura la sua nota fonda-
mentale, se lo seguiamo col pensiero anzich limitarci a ridire senza pensare la formu-
la A A. In realt la formula va letta cos: A A. Che cosa cogliamo ascoltando? In
questo il principio dice il modo in cui lente , ossia: esso stesso con se stesso lo
stesso. Il principio didentit parla dellessere dellente. Come legge del pensiero il
principio vale solo in quanto una legge dellessere, una legge che dice: ad ogni ente
appartiene in quanto tale lidentit, lunit con se stesso.
Ci che il principio di identit, colto a partire dalla sua nota fondamentale, asseri-
sce, esattamente ci che lintero pensiero europeo-occidentale pensa, e cio che
lunit dellidentit costituisce un tratto fondamentale nellessere dellente
20
.
Il principio di identit pensa lessere dellente, o meglio, pensa lessere
unicamente come essere dellente:
La metafisica pensa lente in quanto tale, ossia in generale. La metafisica pensa
lente in quanto tale, ossia nella sua totalit. La metafisica pensa lessere dellente
tanto nellunit di ci che pi generale, ossia di ci che ovunque equi-valente
[Gleich-Gltigen], unit che ricerca del fondo [ergrndende Einheit], quanto
nellunit della totalit, ossia di ci che sta al di sopra di tutto, unit che fondazione
21
Cfr. M. Heidegger, Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik, in Identitt und
Differenz, cit., p. 55., tr. it. La costituzione onto-teo-logica della metafisica, in Identit e differen-
za, cit., p. 27. Traduzione modificata.
22
Der Satz der Identitt, cit., p. 18, tr. it. cit., p. 6. Traduzione modificata.
Cosa significa diventare ci che si 67
giustificante [begrndende Einheit]. Cos lessere dellente sin dallinizio pensato co-
me fondamento che fonda
21
.
La metafisica, in quanto pensiero dellessere dellente, lo considera nei
suoi tratti comuni, in tutte le caratteristiche formali che consentono di de-
finirlo, di comprenderlo e di gestirlo come tale nellambito della prassi.
Questo fornisce allente il suo fondamento formale, la definizione di ci
che esso . E considera lente nella sua totalit, che a sua volta d a cia-
scun ente la fondazione ontologica, in quanto totalit strutturata mai iden-
tificabile con la mera somma dei singoli enti. Lidentit la connotazione
fondamentale dellessere dellente. La parola-chiave in questo passo il
termine gleich-gltig, in cui si condensa il carattere del principio diden-
tit e allo stesso tempo la sua problematizzazione. Heidegger vi fa giocare
due significati opposti, quello di ugualmente valido, ovvero di valido per
tutto lente, e quello, del resto pi comune dal punto di vista linguistico, di
equivalente, ossia di indifferente. Si riaffaccia ancora, tuttaltro che
risolto, anzi, nella prospettiva heideggeriana, aggravato dagli eventi inter-
corsi, il problema emerso gi negli anni 20, ovvero la straniante vicinanza
fra ci che universalmente valido e ci che non ha pi valore in quanto
indifferente, fra ricerca del fondamento assoluto e relativismo.
Ma allorigine del pensiero occidentale Parmenide pensa lidentit in
termini diversi dalla metafisica:
Lo stesso infatti percepire (pensare) e altrettanto anche essere.
Qui cose differenti, pensare ed essere, sono pensate come lo stesso. Che cosa vuol
dire questo? Qualcosa di completamente diverso rispetto a quella che noi conosciamo
come dottrina della metafisica, che cio lidentit appartenga allessere. Parmenide di-
ce: lessere rientra in unidentit
22
.
Lidentit in senso originario non una connotazione dellessere dellen-
te, per quanto linterpretazione metafisica non sia n casuale n arbitraria,
bens una possibilit che si assolutizzata nascondendo le altre, e ha pre-
valso perch lesistenza in primo luogo rivolta fuori di s, presso lente.
Lidentit in senso originario non la connotazione statica di qualcosa in
quanto qualcosa: prima, infatti, della possibilit stessa di determinare
qualcosa in quanto qualcosa. Lidentit in senso originario lappartenersi
e lappropriarsi reciproco di essere e pensiero, lapertura di determinate
23
Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik, cit., pp. 47-48, tr. it. cit., pp. 22-23.
Traduzione modificata.
24
Ivi, p. 71, tr. it. cit., p. 36. Traduzione modificata.
68 Antonia Pellegrino
possibilit storiche, che proprio da questo evento originario provengono:
La differenza di ente ed essere lambito allinterno del quale la metafisica, il pen-
siero occidentale nella totalit della sua essenza, pu essere ci che . Il passo indie-
tro sincammina quindi verso lessenza della metafisica partendo dalla metafisica. []
Il passo indietro dalla metafisica allessenza della metafisica , visto a partire dal pre-
sente e assunto a partire dalla visione che di tale presente abbiamo, il passo dalla tec-
nologia e dalla descrizione e interpretazione tecnologiche dellepoca attuale allessenza
della tecnica moderna, essenza che rimane ancora da pensare
23
.
Riportare la metafisica alla sua origine dimenticata lunico modo per
comprenderla veramente come destino storico cui il pensiero non poteva
sottrarsi e allo stesso tempo per decostruirla, metterla in discussione, mi-
narne efficacemente le pretese di assolutezza e di autolegittimazione. Solo
in questo modo potrebbe cominciare a vacillare la visione dellente come
oggettivit da controllare, calcolare e modificare a proprio vantaggio con-
solidatasi a partire dalla nascita della scienza moderna e culminata nel
dominio della tecnica nellet contemporanea:
Nessuno pu sapere se, quando, dove e come questo passo del pensiero si dispie-
gher in un cammino vero e proprio (utilizzato nello Ereignis), in un passaggio, in un
cantiere dove si costruisca il cammino. Potrebbe accadere che il dominio della metafi-
sica piuttosto si consolidi, si consolidi nella forma della tecnica moderna e dei suoi
imprevedibili, forsennati sviluppi. Potrebbe anche accadere che tutto ci che si trova
sul cammino del passo indietro venga soltanto asservito alla metafisica non ancora
estinta e rielaborato come risultato di un pensiero rappresentativo
24
.
Lidentit in senso originario ha dunque la caratteristica del poter-esse-
re, non della determinazione esclusiva: la scaturigine delle possibilit
storiche di essere e pensiero, le quali, dal punto di vista delluomo (o del
Dasein) sono possibilit gettate, che ci costituiscono senza che noi stessi
ne possiamo disporre. La metafisica stessa una possibilit gettata, e ap-
propriarsene per Heidegger ancora lunico modo di procedere poi alla
sua limitazione. Ma lappropriazione non implica di per s la nascita del
nuovo pensiero, anchesso possibilit gettata, che luomo non pu prender-
si da s.
Ma lidentit in senso originario ha anche la caratteristica dellessere-
gi: il nuovo inizio del pensiero non sar il totalmente altro dal primo, ma
porter in luce possibilit che nel primo inizio gi erano: se lorigine rima-
25
Cfr. M. Heidegger, Da un colloquio nellascolto del linguaggio, in In cammino verso il lin-
guaggio, tr. it. a cura di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti, Mursia, Milano 1973, p. 88.
26
Cfr. M. Heidegger, Lettera sullumanismo, in Segnavia, tr. it. a cura di F. Volpi, Adelphi,
Milano 1987, p. 267.
Cosa significa diventare ci che si 69
ne sempre futuro, il futuro sempre nellorigine, come lo stesso Heidegger
afferma anche sulla scorta dellinno Il Renodi Hlderlin: Poich / co-
me cominciasti, /cos rimarrai
25
.
Lidentit in senso originario viene dunque ad assumere proprio le
stesse caratteristiche fondamentali che lanalitica esistenziale attribuiva
al Dasein. Ma allora, non siamo nuovamente di fronte, perfino nellesito
ultimo del pensiero heideggeriano, a unulteriore, estrema antropologizza-
zione dellessere, o dellorigine del pensiero? Lessenza dinamica
dellidentit, come Heidegger sottolinea ripetutamente lo si visto poco
sopra ad esempio nel corso universitario del semestre estivo del 1929 su
Lidealismo tedesco (Fichte, Schelling, Hegel) e lattuale problematica filo-
sofica , ha iniziato ad emergere proprio con lidealismo tedesco, ma solo
per essere immediatamente assorbita nellidentit assoluta del fondamen-
to metafisico. Lidea di un nuovo inizio del pensiero che ritorni allorigine
rivolgendosi a possibilit rimaste inespresse (impensate) o portate a esiti
ormai esauriti (la metafisica) si sottrae probabilmente allaccusa di fanta-
sticare di possibilit arbitrarie delle quali in realt non si saprebbe nulla,
ma non a quella di voler considerare ancora una volta lintera storia del
pensiero come gi data, sebbene in una datit che eternamente sfugge
agli uomini e che non in loro potere determinare. La stessa idea
dellagire come portare a compimento ci che , ovvero lessere, espressa
nella Lettera sullUmanismo
26
, che dovrebbe portare lesistenza umana al-
la piena consapevolezza del carattere gettato delle possibilit in cui vive,
allimpossibilit di una loro autolegittimazione e alla consapevolezza del
limite, pericolosamente vicina a scivolare nel compiacimento estetico
rispetto alla situazione spirituale del presente, e allabbandono dellesse-
re che ne uno dei tratti costitutivi. Allora le diverse possibilit concrete
aperte alluomo, che egli pu scegliere o rifiutare nella sua esistenza ef-
fettiva, diventano ancora una volta equivalenti, indifferenti, e probabil-
mente anche di questa condizione emotiva vive e si alimenta lessenza
della tecnica.
70 Antonia Pellegrino
Abstract
This article analyses Heideggers approaches to the problemof identity fromthe ear-
ly university lecturers of the Twenties until Identity and difference, 1957. First of all,
he was faced with the crisis of identity of Western thought arising fromhistoricismand
relativism: his solution was the rejection of timeless universality in favour of life and its
categories. Gradually, this evolved in a reflection on the identity of the human existence
in its difference fromevery fixed essence. In a third form, taking place after Being and
Time, identity, now seen as absolute, becomes the main character of metaphysics, origi-
nated froman anthropological drift of the thought. In Identity and differenceH. distin-
guishes between a metaphysical and an initial meaning of identity: nevertheless he as-
cribes to the initial identity the same characters previously attributed to the existence: is
that still anthropology, and still metaphysics?
TEORIA 2006/1
1
Plato, Soph., 254b-259d, spec. 254e, dove viene introdotta la coppia concettuale identi-
co (to tauton) e diverso (to thateron). Per un approfondimento rimandiamo alla voce Ander-
sheit/AndersseindellHistorisches Wrterbuch der Philosophie, a cura di J . Ritter, vol. 1, Schwabe,
Basel 1971, coll. 297-300. Si veda anche il documentato studio di W. Beierwalters, Identit e
differenza, trad. it. di S. Saini, Vita e Pensiero, Milano 1988.
2
G.W.F. Hegel, Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften, a cura di F. Nicolin e O.
Pggeler, Meiner, Hamburg 1975, p. 112 [Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,
trad. it. di B. Croce, Laterza, Bari 1971, vol. 1, p. 98], dove si afferma che lessere altrimenti
(Anderssein) ci che determina la qualit, ma si sostiene anche che lessere della qualit co-
me tale, di fronte a questo riferimento ad altro, lessere a s, ovvero lidentit (An- sich-sein).
Il primato dellalterit
e le metamorfosi dellidentit
in Emmanuel Levinas
Francesco Camera
La riflessione sulla coppia concettuale alterit/identit ha attraversa-
to, con inevitabili trasformazioni, lintera storia della metafisica occidenta-
le. Gi in Platone la nozione filosofica di alterit viene scoperta in rappor-
to con la categoria di identit e giustificata nel contesto della teoria dei
generi sommi dellessere esposta nel Sofista
1
. Qui il dialogare platonico
ha di mira la confutazione dellontologia eleatica, attraverso un sottile ra-
gionamento che arriva ad introdurre lessere altro inteso come to thate-
ron, come diversit e differenza in senso relativo e non assoluto. Nella cor-
nice della nuova concezione dinamica dellessere, che funge da concetto
basilare, lalterit non esclude lidentit, ma pu convivere accanto ad es-
sa in un rapporto di distinzione reciproca. Nel Medioevo il diverso
(aliquid) viene posto accanto allunumnel contesto della dottrina dei tra-
scendentali, come specificazione del concetto ontologico di ente. Anche
nella ripresa moderna ad opera di Hegel lalterit viene ripensata allinter-
no della pi generale nozione metafisica di essere. Nella cornice della dia-
lettica lessere qualitativamente determinato (il qualcosa) si trova sempre
in relazione con laltro da s e proprio il suo non essere laltro lo costi-
tuisce in quanto tale nella sua identit, particolarit e limitatezza
2
.
Lidentit in questione
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3
Per una definizione concettuale della nozione di alterit rimandiamo allo studio sistema-
tico J . de Finance, A tu per tu con laltro. Saggio sullalterit, Pontificia Universit Gregoriana,
Roma 2004. Per una visione dinsieme dei differenti approcci a questo tema nella storia della fi-
losofia occidentale utile la ricostruzione di G. Cicchese, I percorsi dellaltro. Antropologia e sto-
ria, Citt Nuova, Roma 1999. Per le discussioni nel contesto del dibattito contemporaneo si veda
P.A. Rovatti (a cura di), Scenari dellalterit, Bompiani, Milano 2004.
72 Francesco Camera
Come si pu constatare da questi brevi accenni, sia per Platone sia per
Hegel la riflessione sullalterit si accompagna a quella sullidentit, tan-
to che i due concetti sembrano essere strettamente correlati. Questa im-
postazione costituisce lo sfondo delle principali opere filosofiche di Levi-
nas, lautore che pi di altri nella seconda met del Novecento ha posto al
centro delle sue riflessioni il problema dellalterit nella molteplicit se-
mantica delle sue possibili manifestazioni
3
. Gi ad una prima lettura nel-
le sue opere principali assistiamo ad una profonda critica dellimpostazio-
ne tradizionale, che arriva a porre lalterit sganciata dallessere e indi-
pendente dallidentit. Lalterit non pi pensata come essere altro
(Anderssein), come categoria ontologica neutra, ma viene descritta concre-
tamente a partire dallo scenario umano: a partire dallepifania del visage
dautrui, che si manifesta per s con autonomi semantemi e contenuti
etici senza il bisogno di ulteriori argomentazioni o giustificazioni. Inoltre,
ad una lettura pi approfondita, nelle opere filosofiche levinassiane
presente anche il tentativo di approfondire e ridisegnare la nozione di
identit; essa pu assumere un significato non esclusivamente negativo se
viene sganciata dallessere e subisce una profonda torsione che la capo-
volge in alterit. Il contributo di Levinas quindi non limitato ad una
strenua difesa del primato dellalterit al di fuori da ogni rapporto con
lidentico, ma in una forma paradossale e provocatoria coinvolge an-
che la nozione di identit lungo un percorso che non esita a mettere in di-
scussione limpostazione ontologica del pensiero tradizionale nel suo
complesso e non si limita affatto a fissare entrambi i termini in significati
univoci tra loro contrapposti.
1. Lo scenario dellalterit e dellidentit
La tesi principale delloriginale proposta filosofica di Levinas si pu
riassumere nel primato delletica, nel tentativo di proporre unautonoma
trattazione dellobbligazione morale che non ha bisogno di venire giustifi-
cata da alcuna argomentazione ontologica. Come egli afferma esplicita-
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4
E. Levinas, Totalit et Infini. Essai sur lexteriorit, Nijhoff, La Haye 1961, p. 281 [Tota-
lit e Infinito. Saggio sullesteriorit, trad. it. di A. DellAsta, J aca Book, Milano 1980, p. 313].
Si veda anche il saggio programmatico Lthique comme philosophie premire, in AA.VV.,
J ustification de lthique, ditions de lUniversit de Bruxelles, Bruxelles 1982, pp. 41-51. Nelle
analisi che seguono abbiamo spesso fatto riferimento allampia monografia di G. Ferretti, La filo-
sofia di Levinas. Alterit e trascendenza, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; inoltre abbiamo te-
nuto presente anche il lavoro di G. Bailhache, Le sujet chez Emmanuel Levinas. Fragilit et
subjectivit, Puf, Paris 1994.
5
Come si afferma in E. Levinas, La pense juive au jourdhui (1961), in Id., Difficile libert.
Essais sur le judasme, Albin Michel, Paris 1983
3
, p. 209 [Difficile libert. Saggi sul giudaismo,
trad. it. di S. Facioni, J aca Book, Milano 2004, p. 199]: il senso del reale si comprende in fun-
zione delletica.
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 73
mente, la morale non un ramo della filosofia, ma la filosofia prima
4
,
una tesi che non intende ordinare gerarchicamente le diverse discipline in
un sistema, ma intende sostenere che soltanto dalla prospettiva morale
pu acquistare senso e valore lo svolgimento del discorso filosofico e lin-
tero rapporto con la realt
5
.
A questa tesi Levinas perviene attraverso unattenta descrizione feno-
menologica della relazione intersoggettiva, che intende ridefinire i rappor-
ti di ciascun uomo con gli altri (col prossimo) in termini esclusivamente
etici. Lo scenario, in cui viene rintracciata la manifestazione originaria
dellalterit e in cui viene condotto un radicale ripensamento dellidentit,
dunque costituito dalla trama concreta delle relazioni umane, dallambi-
to della socialit. In questo contesto identit innanzitutto ci che osta-
cola la socialit ed ha quindi un significato prevalentemente negativo:
per lo pi sinonimo di autonoma posizione dellio, che attraverso la propria
(auto)identificazione assume un ruolo egemone, esclusivo e separato nei
confronti di ogni diversit. Lalteritinvece manifestata immediatamente
dallaltro uomo e trova un rimando verticale allinfinito verso lalterit as-
soluta, verso la trascendenza del totalmente Altro, nella cui traccia si
trova collocato lumano. Si tratta di unimpostazione che si segnala per la
sua originalit, ma anche per uninevitabile paradossalit dovuta al fatto
che allinterno della relazione tra lio e laltro i due termini chiave alte-
rit e identit sono considerati da un lato radicalmente separati e con-
trapposti, dallaltro sono mantenuti in una relazione feconda, che per ri-
mane sempre sproporzionata e asimmetrica.
Questa paradossalit si registra gi nei primi saggi in cui viene descrit-
ta la relazione intersoggettiva a partire dallincontro col visage dautrui.
Levinas insiste sul fatto che la relazione con laltro uomo non pu mai es-
sere ridotta ad un rapporto di tipo intellettualistico secondo lo schema
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6
E. Levinas, Lontologie est-elle fondamentale? (1951), in Id., Entre nous. Essais sur le
penser--lautre, Grasset, Paris 1991, pp. 13-24; la citazione a p. 24 [Tra noi. Saggi sul pensa-
re-allaltro, trad. it. di E. Baccarini, J aca Book, Milano 1998, pp. 29-40; la citazione a p. 40].
7
E. Levinas, thiqueet esprit (1952), in Id., Difficilelibert, cit., pp. 15-24; la citazione a p.
22 [trad. it. cit., pp. 17-25; la citazione p. 23]: Il volto non linsieme di naso, fronte, occhi,
ecc., tutto questo, ovviamente, ma assume il senso di volto attraverso la dimensione nuova che
inaugura nella percezione di un essere. Attraverso il volto lessere non solo catturato nella sua
forma e offerto alla mano: aperto, si installa in profondit e, in tale apertura, si presenta in qual-
che modo in persona. Il volto una modalit irriducibile in cui lessere pu presentarsi nella sua
identit (identit). Le cose non si presentano mai in persona e, in fin dei conti, non hanno identit.
8
Ibidem.
9
E. Levinas, Le moi et la totalit(1954), in Id., Entre nous, cit., pp. 25-52; la citazione a
p. 48 [trad. it. cit., p. 64].
74 Francesco Camera
gnoseologico basato sulla distinzione tra soggetto e oggetto. Altri (Autre)
innanzitutto linterlocutore al quale rivolgo un saluto senza conoscerlo, col
quale socializzo in una banale conversazione; ma soprattutto visageche
significa altrimenti rispetto alle astratte concettualizzazioni perch isti-
tuisce una relazione che non un potere
6
. La relazione intersoggettiva
viene descritta a partire dal faccia a faccia in cui lo sguardo intenziona
il volto; questultimo per, proprio perch manifestazione di alterit,
anche un modo irriducibile secondo il quale lessere pu presentarsi nel-
la sua identit
7
. Il manifestarsi del visagediventa quindi il luogo privile-
giato in cui alterit e identit si incrociano e si ordinano in un rapporto
che sembra assumere la figura di un chiasmo.
In questi primi abbozzi lalterit daltri non si contrappone tout-court
allidentit. Levinas parla anzi di unidentit personale e positiva del volto,
che nellincontro si impone come alterit irriducibile e che mette a tacere
le pretese egoistiche ed egemoniche dellio. I caratteri di questa identit
originaria coincidono con i tratti propri del volto: esteriorit, indipenden-
za, autosignificanza e soprattutto inviolabilit. Infatti, il volto oppone una
resistenza assoluta al possesso e alla sua forma estrema di negazione rap-
presentata dalla tentazione dellomicidio. Scrive Levinas:
Il volto inviolabile; gli occhi assolutamente senza protezione, la parte pi nuda del
corpo umano, offrono tuttavia una resistenza assoluta al possesso, resistenza assoluta
in cui si inscrive la tentazione dellomicidio: tentazione di una negazione assoluta.
Laltro il solo essere che si pu essere tentati di uccidere. La tentazione dellomici-
dio e limpossibilit dellomicidio costituiscono la visione stessa del volto. Vedere un
volto gi intendere Tu non ucciderai
8
.
Il comandamento che vieta lomicidio e la violenza si inscrive sul volto
e costituisce la sua alterit (alterit)
9
. Nella relazione lio viene trasporta-
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10
Ivi, p. 24 [trad. it. cit., p. 25].
11
E. Levinas, Le moi et la totalit, cit., p. 26 [trad. it. cit., p. 38].
12
E. Levinas, Une religion dadultes(1957), in Id., Difficile libert, cit., pp. 25-41; la cita-
zione a p. 33 [trad. it. cit., pp. 27-41; la citazione a p. 34].
13
E. Levinas, Le moi et la totalit, cit., p. 38 [trad. it. cit., p. 54]: Luomo una singolarit.
Singolarit differente da quella degli individui che si sussumono sotto un concetto []. Lio
ineffabile perch parlante per eccellenza; perch risponde, responsabile. Viene qui introdotta
la fondamentale determinazione etica della responsabilit.
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 75
to verso un inoltrepassabile infinito in cui si avventura e naufraga linten-
zione omicida
10
.
Attraverso queste descrizioni fenomenologiche Levinas va alla ricerca
di una relazione tra volti che impedisca ogni forma di assimilazione
dellesteriorit e di annullamento dellalterit. Nellincontro laltro uomo si
presenta come interlocutore che mi guarda e mi parla comunicando un in-
segnamento, un imperativo o un comando eteronomo. Daltro canto lio vie-
ne descritto come interiorit centrata su se stessa, che non si preoccupa di
porsi in rapporto con lesteriorit. Anche questo io ha una sua identit,
che per di segno opposto a quella di altri e che lo costituisce essenzial-
mente come medesimo (Mme)
11
. Se si pensa lio avulso dalla trama del-
la relazione con altri, al di fuori del rapporto con lesteriorit e con la so-
cialit, esso caratterizzato da una forma di identit negativa (o cattiva
identit), intesa come medesimezza, ipseit, interiorit, autocoscien-
za. Tutti questi termini stanno ad indicare la chiusura nei confronti
dellesterno, lesclusivo riferimento a s, che identifica lio come totalit
autosufficiente e proprio per questo colpevole o usurpatrice. Infatti, la
coscienza del mio io non mi rivela alcun diritto. [] Essere per s gi
sapere la mia colpa commessa verso laltro
12
.
Allinterno della relazione intersoggettiva lio pu invece acquistare una
sua specifica singolarit, che per una conseguenza dellappello che il vi-
sage dautrui gli rivolge, obbligandolo a rispondere. Luomo, infatti, pu di-
ventare una singolarit irriducibile ed inalienabile un individuum solo
quando risponde allappello dellaltro
13
. In questo caso la singolarit si di-
stingue dallidentit negativa, ma non ha nulla in comune con lidentit
dellaltro uomo. Altri, infatti, appartiene ad un genere diverso: non una
riedizione dellio e nella sua qualit di altro si situa in una dimensione di
superiorit o di altezza che comunica un insegnamento dotato di autorevo-
lezza. Lidentit del volto, il suo essere autonomo, si intreccia profondamen-
te con la sua alterit. Questultima non ha affatto bisogno dellio, mentre la
singolarit responsabile sembra essere il risultato del rapporto con altri e
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14
Ivi, p. 46 [trad. it. cit., p. 62].
15
E. Levinas, La philosophie et lide de lInfini (1957), in Id., En dcouvrant lexistence
avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 1982
3
, pp. 165-178 [Scoprire lesistenza con Husserl e Hei-
76 Francesco Camera
viene a dipendere dalla sua irruzione. Per questa ragione Levinas pu af-
fermare che nella ricerca dellidentit autentica laltro non pesa mai sul
medesimo e che solo la presenza del volto pu essere detta in senso positi-
vo e primario identica. Il volto lidentit stessa di un essere. Egli vi si
manifesta a partire da se stesso, senza concetto []. La presenza sensibile,
qui, si desensibilizza, per lasciare apparire direttamente colui che si riferi-
sce unicamente a s, lidentico [lidentique]
14
.
Da queste parole emerge chiaramente come il visage dautrui, che si
manifesta autonomamente a partire da se stesso, sia per Levinas il luogo
epifanico che attesta il primato indiscutibile dellalterit e in cui diventa
possibile conferire un significato positivo allidentico, ripensando entrambi
i termini al di fuori di un orizzonte sostanzialistico o ontologico. Come si
pu notare, in questo ripensamento avvenuto un capovolgimento dellim-
postazione tradizionale; lalterit non pi esser altro e la vera identit
non ha origine nellio (nellinteriorit del soggetto alla prima persona sin-
golare), ma nel volto daltri. Alla descrizione fenomenologica la relazione
intersoggettiva si presenta quindi come uno scenario in cui ciascun io si
trova esposto ad un interlocutore altro che, manifestando se stesso come
alterit, mette radicalmente in discussione lidentit egoistica. In questo
confronto lio il moi hassaiblecon la sua cattiva identit viene chia-
mato a subire una profonda trasformazione in senso etico. Lo scenario del-
la relazione intersoggettiva permette quindi a Levinas di introdurre il pri-
mato dellalterit sullidentit, ma al tempo stesso di ripensare anche la
pluralit significante di entrambi i termini e i loro possibili intrecci.
2. Lanello di Gige e la cattiva identit
Il tentativo di pensare altrimenti la relazione al di fuori delle catego-
rie ontologiche costituisce il tema principale di Totalit et Infini. In que-
stopera viene criticata in forma sistematica la concezione del soggetto-
io (del medesimo o dello stesso, che tende a permanere chiuso nel
suo essere identico) e viene rivendicato il primato dellaltro uomo portato-
re di alterit. Nel contesto del libro e dei saggi coevi che ne riassumono i
contenuti principali
15
il pensiero levinassiano sembra per lo pi preoc-
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degger, trad. it. di F. Sossi, Cortina, Milano 1998, pp. 189-204]; Transcendance et Hauteur
(1962), in Id., Libert et commandement, a cura di P. Hayat, Fata Morgana, Montpellier 1994,
pp. 49-100; La trace de lautre(1963), in Id., En dcouvrant lexistence avec Husserl et Heidegger,
cit., pp. 187-202 [trad. it. cit., pp. 215-233].
16
E. Levinas, Totalit et Infini, cit., p. XVI [trad. it. cit., p. 26]: Lopposizione allidea di
totalit ci ha colpito nello Stern der Erlsung di Franz Rosenzweig, troppo spesso presente in
questo libro per poter essere citato. Si veda F. Rosenzweig, La Stella della Redenzione, trad. it.
di G. Bonola, Marietti, Casale Monf. 1985, in particolare lintroduzione programmatica Sulla
possibilit di conoscere il Tutto, pp. 3-23.
17
E. Levinas, La philosophie et lide de lInfini, cit., p. 166 [trad. it. cit., p. 191].
18
Ivi, p. 167 [trad. it. cit., p. 192].
19
E. Levinas, La trace de lautre, cit., p. 188 [trad. it. cit., p. 216].
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 77
cupato di giustificare con analisi pi approfondite la critica alla concezio-
ne tradizionale di identit, al fine di sostenere il primato dellalterit.
Memore della critica di Rosenzweig alla categoria metafisica di tota-
lit
16
, la discussione del primato del soggetto-io viene condotta da Le-
vinas con la consapevolezza che nella comprensione dellumano la filoso-
fia occidentale ha privilegiato la strada della riduzione dellaltro al mede-
simo. Lio stato definito per lo pi come identificazione del diverso,
come se stesso dotato di libert assoluta. Cos il pensiero occidentale
apparso molto spesso escludere il trascendente, inglobare qualsiasi Altro
(Autre) nello Stesso (Mme) e proclamare il diritto di primogenitura filoso-
fica dellautonomia
17
. A questa concezione dellio in cui rientra sia
lanima che dialoga con se stessa (il paradigma classico) sia lio penso
(il soggettivismo moderno) non sono estranei un certo narcisismo e una
forma di violenza. Ogni conoscere infatti un riconoscere, in quanto
ogni insegnamento introdotto nellanima si trova gi in essa; al tempo stes-
so ogni forma di rispecchiamento un atto di appropriazione e di assimila-
zione, che annulla le differenze. Lidentificazione dellio, la meravigliosa
autarchia dellio, il naturale crogiolo di questa trasmutazione dellAltro
nello Stesso
18
, che dissolve ogni alterit. Di conseguenza, Levinas arriva
ad affermare che la filosofia occidentale coincide con quel disvelamento
dellAltro in cui lAltro, in quanto si manifesta come essere, perde la pro-
pria alterit. Sin dalla sua infanzia la filosofia affetta da un orrore verso
lAltro, da uninguaribile allergia
19
.
Di fronte a questo esito del pensiero occidentale, Levinas cerca una via
che rompa la supremazia del medesimo, che superi la cattiva identit e
arrivi ad anteporre laltro al medesimo. Questa ricerca avviene valorizzan-
do alcuni momenti della storia della filosofia in cui lalterit (o la trascen-
denza) stata pensata al di l o al di sopra dellessere e della coscienza.
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20
E. Levinas, Totalit et Infini, cit., p. XV [trad. it. cit., p. 25]. Si veda anche Id., La philo-
sophie et lide de lInfini, cit., p. 191 [trad. it. cit., p. 219]: al mito di Ulisse che ritorna a Itaca,
noi vorremmo contrapporre la storia di Abramo che lascia per sempre la sua patria per una terra
ancora ignota e che interdice al suo servo persino di ricondurre suo figlio al punto di partenza.
21
E. Levinas, Totalit et Infini, cit., p. XIV [trad. it. cit., p. 24], dove si afferma esplicita-
mente che il libro si presenta come una difesa della soggettivit, ma non la coglie a livello della
sua portata puramente egoistica [], ma come fondata nellidea di infinito. Esso proceder di-
stinguendo tra lidea di totalit e lidea di infinito e affermando il primato filosofico dellidea di
infinito. Racconter come linfinito si produce nella relazione del Medesimo con lAltro.
78 Francesco Camera
Questi passaggi, che aprono un varco oltre lontologia dal suo interno, ven-
gono individuati nella definizione platonica del Bene come epekeina tes
ousias, nella concezione aristotelica dellintelletto agente, nella teoria
delluno plotiniano come epekeina noued infine nellidea dellInfinito in
noi teorizzata da Cartesio. Questo sfondo filosofico si intreccia con
lesperienza dellesodo propria del popolo ebraico. A questo proposito Le-
vinas contrappone esplicitamente allavventura di Ulisse che desidera
soltanto di tornare a casa sua la storia di Abramo che lascia per sempre
la propria patria per incamminarsi verso una terra che non arriver a cono-
scere
20
. Come per il popolo ebraico luscita dallEgitto avvenuta ad opera
dellintervento esterno e decisivo di J hwh, cos nel caso della relazione in-
tersoggettiva la rottura dellidentit del medesimo viene provocata dallin-
contro col visage dautrui. Il volto daltri espressione di una esteriorit
radicale, di una differenza assoluta rispetto allio ripiegato su di s che
non pu essere contenuta da nessuna tematizzazione concettuale e non
pu essere preda di alcuna appropriazione.
Questa ricerca viene esposta in modo organico in Totalit et Infini, se-
guendo la via indicata dai due termini che compaiono nel titolo e che allu-
dono rispettivamente allidentit e allalterit. Il termine totalit rimanda
alla tendenza del pensiero occidentale che racchiuderebbe lumano nella
sintesi totalizzante (e totalitaria) della conoscenza; il termine infinito ri-
manda invece a ci che opera la rottura della totalit, allappello che pro-
viene dallesterno, dal volto dellaltro uomo incontrato nella relazione in-
tersoggettiva. Muovendosi tra questi due poli, Levinas opera una critica ra-
dicale della nozione di identit egoistica, che costituisce la premessa della
nuova concezione della soggettivit etica, capace di accogliere lalterit
21
.
Nella Sezione prima del libro la relazione intersoggettiva viene ana-
lizzata nella sua struttura generale a partire dagli elementi che la compon-
gono. Essa si presenta come una relazione tra il medesimo e laltro, in cui
si fronteggiano interiorit ed esteriorit, identit e alterit, senza alcuna
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22
Ivi, p. 3 [trad. it. cit., p. 31].
23
Ivi, p. 9 [trad. it. cit., p. 37]. Occorre osservare che il termine Autreviene precisato nel
senso dellaltro uomo, del prossimo che si incontra nella relazione, dal termine Autrui. questo
il senso dellaffermazione Lassolutamente Altro Altri (ivi, p. 9 [trad. it. cit., p. 37]); LAltro
in quanto altro Altri (ivi, p. 42 s. [trad. it. cit., p. 69]). Autrui quindi non altri in senso nu-
merico, ma in senso qualitativo.
24
Ivi, p. 6 [trad. it. cit., p. 34].
25
Ivi, p. 7 [trad. it. cit., p. 35]. Questa impostazione levinassiana stata criticata da P. Ri-
coeur, S come un altro, trad. it. di D. J annotta, J aca Book, Milano 1993, pp. 451 ss. Per un ap-
profondimento del confronto tra i due pensatori rimandiamo a quanto scrive G. Ferretti, Il Bene
al-di-l dellessere. Temi e problemi levinassiani, ESI, Napoli 2003, pp. 265-290. Anche B. Wal-
denfels, Fenomenologia dellestraneit, a cura di G. Baptist, Vivarium, Napoli 2002, vede
nellimpostazione levinassiana una problematica contrapposizione tra identit e alterit, che ren-
derebbe difficile parlare di relazione tra lio e laltro.
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 79
possibilit di mediazione o di sintesi. Allinizio lalterit viene presentata
con la metafora utopica dellaltrove
22
; essa non rappresentabile o anti-
cipabile da alcun concetto universale gi disponibile; proprio per questo
viene posta come assolutamente trascendente e chiamata alterit metafi-
sica. Questa locuzione vuole indicare lesteriorit dellaltro uomo, che si
trova separato rispetto allio e nel suo significato principale designa pro-
prio il contenuto dellAltro
23
. Fin dallinizio Levinas premette che questa
alterit originaria non il semplice rovescio dellidentit, ma qualitati-
vamente eterogenea e anteriore rispetto ad ogni identificazione. Invece
essere io, essere soggetto alla prima persona, consiste nellidentificar-
si, nel trovare la propria identit in tutto quello che gli succede, significa
avere lidentit come contenuto
24
, al di l di ogni individuazione. Anche
quando lio si separa da se stesso provando una certa estraneit, anche
quando si scopre altro o non si riconosce, queste esperienze non hanno
nulla a che vedere con lalterit originaria. Infatti, lio permane identico a
se stesso anche nelle sue molteplici alterazioni: lio (je), come altro,
non un Altro (Autre)
25
.
Tuttavia, lidentificazione dellio e il suo porsi come medesimo non se-
gue il principio di identit, non il risultato di unoperazione logica pura-
mente formale che corrisponderebbe ad una vuota tautologia (nel senso di
A =A). Si tratta invece di un complesso processo di interazione, attraverso
il quale lio trova nel mondo un luogo in cui soggiornare come a casa pro-
pria, completamente separato da altri. La cattiva identit si costituisce
quindi attraverso un processo di separazione e di appropriazione. Lio,
chiuso nel suo psichismo, non ha alcun rapporto di partecipazione con
lesterno e con lestraneo; ipseit che si crede assolutamente indipen-
dente e autosufficiente, che non ha bisogno di alcun riconoscimento da
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26
E. Levinas, Totalit et Infini, cit., p. 32 [trad. it. cit., p. 59]: Il mito di Gige appunto il
mito dellIo e dellinteriorit che esistono non riconosciuti.
27
Ivi, p. 107 [trad. it. cit., p. 135].
28
Ivi, p. 150 [trad. it. cit., p. 180].
29
Ivi, p. 148 [trad. it. cit., p. 176].
80 Francesco Camera
parte di altri e che cerca la verit nel segreto della sua anima. Si tratta di
una posizione che rievoca il mito di Gige, il mito dellio e dellinteriorit
che esistono non riconosciuti
26
.
Nella Sezione seconda dellopera Levinas si sofferma a descrivere al-
cuni eventi che contribuiscono alla costituzione dellidentit del medesi-
mo. Essa si produce come unattivit psichica basata sul godimento che
basta a se stesso senza alcun rinvio ad altro da s, in un orizzonte senza
volti. Nel godimento io sono assolutamente per me, egoista senza riferir-
mi ad altri sono solo senza solitudine, innocentemente egoista e solo []
assolutamente sordo nei confronti di altri
27
. Nella felicit del godimento
lio separato da tutto, assolutizzato nel finito, senza alcun riferimento
allinfinito. Questo processo di identificazione si rafforza mediante il rac-
coglimento dellio in una dimora o in una casa propria. Questultima la
condizione dellinteriorit in cui si attua concretamente la separazione dal
mondo pubblico e sociale. Nellintimit della casa lio, attraverso il lavoro,
prende possesso delle cose e ne dispone esclusivamente per i suoi bisogni.
Lappropriazione rimanda al luogo privato in cui avviene; labitazione
quindi a rendere possibile il lavoro e la propriet e a fondare la dimensio-
ne economica. Per questo Levinas pu affermare che lesistenza econo-
mica [] dimora nel Medesimo e riduce al Medesimo ci che, in un
primo momento, si offre come altro
28
. Anche in questa dimensione ritor-
na il riferimento al mito di Gige per sottolineare la separazione quale tratto
distintivo della cattiva identit: Gige proprio la condizione delluo-
mo, la possibilit dellingiustizia e dellegoismo radicale, la possibilit di
accettare le regole del gioco, ma di barare
29
.
3. Lalterit come principio e il riscatto dellidentico
In Totalit et Infini la rottura della cattiva identit e la manifestazio-
ne dellalterit originaria (lalterit metafisica) non avviene con un pas-
saggio graduale a partire dalla dimensione economica. Pu accadere
soltanto attraverso un evento che proviene dallesterno: ad opera dellin-
contro col visage dautrui. Lalterit, il contenuto di Altri (Autrui), si pre-
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30
Ivi, p. 20 s. [trad. it. cit., p. 48]. Si veda anche ivi, pp. 18 ss.; 168 ss.; 268 ss. [trad. it.
cit., pp. 46 ss.; 199 ss.; 300 ss.]. Per i testi cartesiani cfr. R. Descartes, Mditation mtaphysi-
ques, in Oeuvres, a cura di Ch. Adame P. Tannery, Cerf, Paris 1904 ss., t. IX, pp. 27-42 [Medi-
tazioni metafisiche, trad. it. di A. Tilgher, in Opere, a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1992,
vol. 2, pp. 43 ss.]. Per un approfondimento del tema dellinfinito in riferimento alla tradizione fi-
losofica cui Levinas stesso si richiama rimandiamo al saggio di S. Moses, Lidea di infinito in
noi, in Aut Aut, 1988, n. 228, pp. 43-61.
31
E. Levinas, Totalit et Infini, cit., p. 33 [trad. it. cit., p. 60].
32
Ibidem, in cui viene introdotta la distinzione tra desiderio e bisogno: Il Desiderio
unaspirazione animata dal desiderabile; nasce a partire dal suo oggetto, rivelazione. Invece il
bisogno un vuoto dellAnima, parte dal soggetto.
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 81
senta concretamente come visage, producendo una situazione in cui lio si
trova di fronte a ci che estraneo senza poterlo inglobare allinterno del
proprio orizzonte. Si tratta di una situazione che pu essere descritta filo-
soficamente sfruttando uno dei pochi varchi che la tradizione metafisica
ha inconsapevolmente aperto: la concezione cartesiana dellidea dellinfi-
nito. Infatti, essa designa una relazione con un essere che mantiene la
sua esteriorit totale rispetto a chi lo pensa
30
. Il pensiero dellinfinito non
pu affatto contenere linfinito stesso; lidea indica la relazione, ma lidea-
tumrimane esteriore, rimane al di l, altro e trascendente rispetto allidea.
Attraverso questo riferimento Infinito diventa un termine chiave, che
permette di articolare la riflessione sullalterit accentuando la sua auto-
noma configurazione rispetto ad ogni posizione di identit.
Tuttavia occorre rilevare che Levinas preferisce parlare di separazio-
ne e non di opposizione puramente antitetica tra il Medesimo e lAltro,
tra identit e alterit. Tra i due termini prevale una profonda asimmetria,
che per non esclude la possibilit di una forma di rapporto. In ogni caso
opportuno sottolineare che il superamento di questa situazione di separa-
zione, che produce lestroflessione dellio, non avviene dallinterno. Infatti,
la conversione dellanima allesteriorit o allassolutamente altro o allInfinito non
deducibile dallidentit stessa di questa anima, poich non proporzionata a
questanima. Lidea dellInfinito non parte dunque da me, n da un bisogno dellIo che
misuri esattamente i suoi vuoti
31
.
Laltro colui che per s (kathauto), che separato nel senso
positivo di esteriore o trascendente non viene cercato per soddisfare un
bisogno proprio dellio e quindi per consolidare la sua cattiva iden-
tit. Mentre il bisogno parte dal soggetto e tende a colmare un suo vuo-
to, laltro il desiderabile che accende un desiderio infinito destinato a
rimanere inappagato
32
. Questo desiderio infinito si concretizza nel visa-
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33
Ivi, p. 13 [trad. it. cit., p. 41]: Questa messa in questione della mia spontaneit da parte
della presenza dAltri (Autrui) si chiama etica. Occorre tenere presente che per Levinas letica
precede lontologia ed ogni approccio teoretico.
34
Ivi, p. 34 [trad. it. cit., p. 61]. Levinas parla di una inversion foncire, che mette in di-
scussione i concetti classici di sostanza e di identit propri della tradizione ontologica.
35
Ivi, p. 59 [trad. it. cit., p. 86].
36
Ivi, p. 60 [trad. it. cit., p. 87].
37
Ivi, p. 65 [trad. it. cit., p. 91].
82 Francesco Camera
ge. Il suo apparire non viene inglobato in un orizzonte che delimiterebbe il
terreno comune del rapporto intersoggettivo; la sua irruzione supera lidea
dellaltro in me ed istituisce una forma di relazione in cui i termini non
producono alcuna sintesi ma si assolvono dalla relazione stessa senza ne-
garla. Questa particolare relazione essenzialmente linguistica e ha una
valenza etica. La manifestazione del volto discorso che si esprime nel-
la forma di un appello rivolto allio, si produce concretamente come la
messa in questione del Medesimo da parte dellAltro, cio come etica
33
.
Rispetto al processo di identificazione precedentemente descritto nei saggi
degli anni Cinquanta, assistiamo qui ad un rovesciamento fondamen-
tale
34
dellipseit che mantiene laltro nella sua eterogeneit e che
allegoismo sostituisce la giustizia. Questo termine precisa ora in senso
etico lazione dellalterit originaria, che trasforma la cattiva identit in
accoglienza dAltri e in responsabilit per Altri.
Levinas sottolinea a pi riprese che questo riscatto non la conseguenza
di una libera scelta dellio. Piuttosto nel faccia a faccia, quando Altri
(Autre) si presenta come lAltro (Autrui), la libert dellio messa radical-
mente in discussione e giudicata ingiusta. La trasformazione dellio inve-
ce opera di un risveglio per iniziativa gratuita di altri, che corrisponde al
vero e proprio inizio della coscienza morale. Nella relazione asimmetrica
lAltro si impone [] come ci che pi originario di tutto quanto accade
in me. LAltro, la cui presenza eccezionale si inscrive nella impossibilit
etica di ucciderlo [], mi indica la fine dei poteri
35
. In questo modo scar-
dina la roccaforte dellidentit egoistica e confuta il suo primato. Prenden-
do congedo da una consolidata tradizione filosofica che cercava in s il
fondamento di s, al di fuori delle opinioni eteronome, Levinas arriva ad
affermare che lidentit non lultimo senso del sapere, ma il rimettersi in
questione, il ritorno verso ci che prima di s, alla presenza dellAltro
36
.
Una presenza che non pu essere conosciuta oggettivamente e che sfugge
ad ogni forma di sapere, pur rimanendo origine incondizionata del senso e
criterio di giudizio di qualsiasi significazione. Infatti Altri principio
37
.
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38
Ivi, p. 153 [trad. it. cit., p. 182].
39
Ivi, p. 222 [trad. it. cit., p. 250].
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 83
La ricerca di un varco al di l del dominio totalizzante e totalitario del
medesimo ha come esito finale linstaurazione del primato dellalterit
sullidentit e il riconoscimento della sua natura indimostrabile e indedu-
cibile secondo le modalit dellargomentare apofantico. Lalterit si impo-
ne al di fuori di ogni concetto e ragionamento analogico come un principio
anarchico, che riscatta la cattiva identit dellegoismo.
4. Il contenuto etico dellalterit: la responsabilit
Vediamo ora di approfondire brevemente come avviene il superamento
della cattiva identit e si impone lalterit come principio. Il suo prima-
to accade come effetto di un giudizio cui viene sottoposto il medesimo ad
opera di altri, che lo mette in discussione e mostra infondata la sua assolu-
tezza. La manifestazione del volto daltri nella sua nudit, miseria e po-
vert una accusa che contesta il potere egemonico dellio e la sua
tentazione di affermare se stesso. Tuttavia questo giudizio non soltanto
inquisitorio, ma anche liberante: rende possibile allio di acquistare una
nuova forma di identit di segno positivo. Infatti, se dopo questo verdetto
lio non pi per s, questo non significa che esso si trovi nella relazio-
ne rinunciando alla sua singolarit. Come osserva Levinas, solo andando
incontro ad altri sono presente a me stesso, [] sono ricondotto alla mia
realt ultima
38
. Esiste quindi una realt ultima dellio che si produce
come responsabilit ogniqualvolta avviene il rovesciamento dellio egoisti-
co in ospitalit e donazione.
Questa tesi viene approfondita in modo incisivo nella Sezione terza
di Totalit et Infini, in cui Levinas ribadisce che solo lepifania del volto
daltri trasforma la singolarit separata in intersoggettivit o in soggetti-
vit sociale. Mettendo laccento su questa conversione, Levinas mostra
come la responsabilitsia ora il tratto caratteristico della nuova individua-
lit, che esce da s e si approssima ad altri.
Lesaltazione della singolarit nel giudizio si produce [] nella responsabilit infinita
della volont suscitata dal giudizio. Il giudizio diretto su di me nella misura in cui
mi ingiunge di rispondere. [] Lingiunzione esalta la singolarit. [] La possibilit
di un punto nelluniverso in cui si produce un simile eccesso della responsabilit, de-
finisce, forse, in fin dei conti, lIo
39
.
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40
Ivi, p. 222 [trad. it. cit., p. 250]: Lio [] si conferma nella sua singolarit svuotandosi
di questa gravitazione, che continua a svuotarsi e che si conferma, appunto, in quanto incessante
sforzo di svuotarsi. Si tratta di un aspetto che sar ripreso in Autrement qutree poi ripensato
attraverso il termine religioso di kenosi: cfr. E. Levinas, J udaisme et knose(1985), in Id., A
lheure des nations. Lectures et discours talmudiques, ditions de Minuit, Paris 1988, pp. 133-
151 [Nellora delle nazioni. Letture talmudiche e scritti filosofico-politici, trad. it. di S. Facioni,
J aca Book, Milano 2000, pp. 131-149].
41
E. Levinas, Totalit et Infini, cit., p. 223 [trad. it. cit., p. 251].
42
Ivi, p. 224 s. [trad. it. cit., p. 252].
84 Francesco Camera
Come si pu constatare, lindividuazione dellio viene caratterizzata in
termini etici proprio attraverso la nozione di responsabilit, che diventa il
vero e proprio principio di identificazione. Tuttavia, allorigine di questa
nuova forma di identit positiva vi sempre lalterit come principio: vi
il volto dellaltro uomo che esige una risposta e crea la singolarit respon-
sabile. interessante osservare come gi qui per indicare la destituzione
dei tratti egoistici dellio Levinas introduca limmagine azzardata dello
svuotamento: lio risulta tanto pi confermato nella sua singolarit e
identit quanto pi si svuota di s o si allontana dal suo centro
40
.
Accanto alla responsabilit, un altro elemento viene a definire ora la
nuova concezione dellidentit resa possibile a partire dallalterit: lelezio-
ne. Infatti, in quanto chiamato a giudizio, lio scelto personalmente nella
sua individualit e insostituibilit; questo vuol dire che essere io
un privilegio o unelezione. []. Linvito alla responsabilit infinita conferma la sog-
gettivit nella sua posizione apologetica. [] Dire io affermare la singolarit irri-
ducibile in cui viene proseguita lapologia significa possedere un posto privilegiato
rispetto alle responsabilit nelle quali nessuno mi pu sostituire e dalle quali nessuno
mi pu liberare. Non potersi sottrarre ecco lIo
41
.
Da queste affermazioni emerge come il non potersi sottrarre allirruzio-
ne dellalterit sia per Levinas segno di investitura personale, espresso dal
termine elezione. Concretamente il processo di identificazione va di pa-
ri passo con lascolto delle istanze della moralit, con lesecuzione del ser-
vizio verso il povero, lo straniero, la vedova e lorfano. Essere io, infatti,
significa appunto essere capaci di vedere loffesa delloffeso o il volto
42
.
Non si tratta quindi di unidentit compresa e definita nel concetto, ma di
un insieme di azioni, di una prassi orientata verso il bene al di l
dellessere. Lidentit viene suscitata, risvegliata, costituita nel faccia a
faccia della relazione con il volto dellaltro uomo e questo atto di nascita
corrisponde allidentificazione del soggetto morale, che viene a dipendere
totalmente dalla manifestazione dellalterit come principio.
05 Camera 71 22-11-2010 10:53 Pagina 84
43
E. Levinas, Autrement qutre ou au-del de lessence, Nijhoff, La Haye 1974 [Altrimenti
che essere o al di l dellessenza, trad. it. di S. Petrosino e M.T. Aiello, J aca Book, Milano 1983].
44
Nella Nota preliminare, che apre il libro, Levinas parla a questo proposito di identit
divisa. Egli scrive infatti: Riconoscere nella soggettivit uneccezione che scompagina la con-
giunzione dellessenza []; vedere nella sostanzialit del soggetto, nel duro nocciolo delluni-
co in me, nella mia identit divisa, la sostituzione ad altri; pensare questa abnegazione, prima
di volerla, come unesposizione senza ringraziamento, al trauma della trascendenza [], ecco le
proposizioni di questo libro che nomina lal di l dellessenza (ivi, p. X [trad. it. cit., p. 2]).
45
Ivi, p. 14 [trad. it. cit., p. 16]. Levinas si richiama in questo contesto alla concezione del-
la sensibilit come facolt ricettiva, ma le attribuisce un ruolo diverso da quello assegnatole
dalle tradizionali teorie della conoscenza.
46
Ivi, p. 64 s. [trad. it. cit., p. 64 s.].
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 85
5. Linversione dellidentit e il paradosso della sostituzione
Questa tesi, che ripensa la correlazione di alterit e identit stabilendo
un odine gerarchico tra i due termini, viene ulteriormente approfondita in
Autrement qutre ou au-del de lessence
43
. Anche qui largomento princi-
pale del libro costituito da una descrizione dellincontro col volto dellal-
tro uomo da parte dellio, che in questo evento si trova deportato al di l
della sua essenza egoistica. Tuttavia, per descrivere la relazione, ora Levi-
nas non prende le mosse dallesteriorit del volto, ma si concentra sul
s che si costituisce in rapporto ad altri. Con questa nuova impostazione
la cattiva identit si trasforma in dis-inter-esse, ovvero in una respon-
sabilit che si dilata allinfinito e che si trasforma in sostituzione
44
.
Prima di soffermarci su questa ulteriore configurazione dellidentit, oc-
corre ricordare che anche in questo libro Levinas prende le mosse da una
serrata critica alla concezione della coscienza di s che, nelle sue mol-
teplici fasi temporali, si perde, si ritrova o si possiede nella sua unit coin-
cidendo sempre con se stessa. A questa concezione viene contrapposta
una visione della soggettivit che non riceve la propria identit da se stes-
sa, arrivando a sostenere che in primo luogo lio non centro autocoscien-
te di attivit ma esposizione ad altri e quindi passivit. Questo significa
che il soggetto non pu porsi al nominativo, ma si d originariamente
allaccusativo; la condizione di passivit, infatti, non permette di parlare
di io ma di s
45
. Lio risulta caratterizzato da una passivit pi passi-
va di ogni passivit, in cui il per-laltro [] si astiene dal per-s[]
malgrado s
46
. Ora, proprio questa paradossale condizione di essere
per laltro malgrado s che mette in luce lintreccio di alterit-identit e
che mostra come il tentativo di ripensare altrimenti lidentico lo man-
tenga in costante tensione con laltro da s.
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47
Ivi, p. 128 [trad. it. cit., p. 126].
48
Ivi, p. 130 [trad. it. cit., p. 128].
49
Ivi, p. 134 [trad. it. cit., p. 132].
50
Ivi, p. 141 [trad. it. cit., p. 139].
51
Ivi, p. 135 [trad. it. cit., p. 133]. E ancora: il se stesso una torsione irriducibile al bat-
tito della coscienza di s, del rilassamento e del ritrovamento del Medesimo, una identit
singolare che si attua nella permanenza della perdita di s (ivi, p. 136 [trad. it. cit., p. 134]).
86 Francesco Camera
Per sottolineare lirriducibilit di altri alla coscienza di s, Levinas pre-
senta la prossimit con i tratti inquietanti dellossessione e della per-
secuzione. Altri una presenza che sconvolge lidentit dellio, che at-
traversa la coscienza contro-corrente, inscrivendosi in essa come estranea:
come squilibrio, come delirio
47
. Emerge qui un tratto nuovo della rifles-
sione levinassiana: laltro non pi esteriorit radicale, ma si inserisce nel
medesimo per interrompere il suo primato dallinterno; di conseguenza al-
terit e identit non si trovano separate o contrapposte, ma si intersecano e
si intrecciano formando un nodo sempre pi complesso. Queste pagine si
interrogano a lungo sulla condizione soggettiva, sul senso di
quellidentit che si chiama Me (Moi) o Io (J e)
48
; la sua vera origine vie-
ne trovata prima o fuori della coscienza, ma viene descritta come un
in s in esilio effetto di una espulsione. Lidentico, il nodo
dellipseit, non deve essere pi pensato come centrato su di s: deve es-
sere sciolto dal nominativo ed inteso sempre allaccusativo. Lio costitui-
to antecedentemente da una identit gi compiuta di cui non dispone,
che ritorna (o ricorre) alle spalle di ogni suo atto e che quindi altra.
Il se stesso non nato di sua propria iniziativa, come vorrebbero le filo-
sofie idealiste; piuttosto:
Il se stesso si ipostatizza altrimenti: esso si annoda indissolubilmente in una re-
sponsabilit per gli altri []. Nellesposizione alle ferite e agli oltraggi, nel sentire
della responsabilit, il se stesso provocato come insostituibile, come votato senza di-
missioni possibili agli altri
49
.
Levinas chiama lassunzione di questa responsabilit la gestazione
dellaltro nel medesimo (lautre dans le mme)
50
, lasciando intendere che
la sua riflessione non intende dipanare lintreccio di alterit e identit, ma
mira a mantenerlo in tutta la sua tensione. Il s allaccusativo, convoca-
to a rispondere, non affatto una coscienza altruista, ma unipostasi
pre-logica e pre-sintetica: una identit ingiustificabile in se stessa, una
identit precedente il per s
51
. Qui la nozione tradizionale di identit
risulta decostruita e rovesciata: essa ora disuguaglianza a s, perdita
05 Camera 71 22-11-2010 10:53 Pagina 86
52
Si tratta del paragrafo 4 del capitolo IV: ivi, pp. 144-151 [trad. it. cit., pp. 142-149].
53
Ivi, p. 142 [trad. it. cit., p. 140].
54
Ivi, p. 143 [trad. it. cit., p. 141].
55
Ivi, p. 146 [trad. it. cit., p. 143]. Il corsivo nostro. Questo tema trover la sua prosecu-
zione nelle analisi sul risveglio e sulla vigilanza dellio in E. Levinas, De Dieu qui vient a
lide, Vrin, Paris 1982, pp. 39 ss.; 186 ss. [Di Dio che viene allidea, trad. it. di G. Zennaro, J a-
ca Book, Milano 1983, pp. 46 ss.; 241 s.].
56
Autrement qutre, cit., p. 146 [trad. it. cit., p. 143].
57
Ivi, p. 147 [trad. it. cit., p. 144].
58
Ivi, p. 148 [trad. it. cit., p. 145].
59
Ivi, p. 131 [trad. it. cit., p. 129].
60
Ivi, p. 142 [trad. it. cit., p. 139 s.]. Si veda anche ivi, p. 133, nota 9 [trad. it. cit., p. 131
s.]: La singolarit del soggetto non lunicit dellapax. [] Essa nellunicit del convocato
[], una convocazione a rispondere senza indietreggiare, che convoca il s come s. Il tema
dellunicit del soggetto, gi accennato in Totalit et Infini, era gi stato anticipato a p. 73 [trad.
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 87
di s, esilio in s. Di conseguenza lio, costantemente esposto allinizia-
tiva di altri, non riposa mai in pace con se stesso ma inquietudine fino
allesplosione, allo svuotamento e allespropriazione di s.
Questa radicale alterazione dellidentico trova il suo apice nelle pagi-
ne di Autrement qutrein cui si parla della sostituzione ad altri, con la
quale lio subisce proprio una sorta di espulsione di s fuori di s nella
forma di unesagerazione iperbolica
52
. Ora il subire a causa di altri defini-
sce quella particolare figura della singolarit eticamente responsabile in
cui unidentit sindividua come unica
53
. Il vero s prima (ed
quindi pi originario) della coincidenza con se stesso; infatti, nellesposi-
zione totale, io sono in s attraverso gli altri
54
. Anche in questo caso
lidentificazione proviene da altri, ma si tratta di una identit per sostitu-
zioneche si costituisce a causa di unalterit in me
55
. Levinas pu quin-
di affermare che attraverso la sostituzione lidentit sinverte
56
, nel sen-
so che il s si assolve da se stesso, si pone alla rovescia e si pu co-
gliere diseguale nella sua identit
57
. Nella sostituzione ad altri il s
viene spinto in un non luogo al di l della sua essenza, al di qua della
sua identit nellAltro
58
.
Lidentit del s data dalla sua unicit irriducibile, dalla sua inso-
stituibilit: Io sono uno e insostituibile uno in quanto insostituibile nel-
la responsabilit
59
. Infatti, la responsabilit che incombe su di mecome
singolo solo mia, non uguale a quella di nessun altro e quindi non ge-
neralizzabile o trasferibile ad altri. In essa il s unico: nella passi-
vit dellossessione [] che unidentit si individua come unica []
nellimpossibilit di sottrarsi senza carenza alla convocazione per lal-
tro
60
. Il paradosso di questa forma di identit consiste proprio nel fatto
05 Camera 71 22-11-2010 10:53 Pagina 87
it. cit., p. 72]: Unicit significa qui impossibilit di sottrarsi e di farsi sostituire, unicit nella
quale si annoda la ricorrenza stessa dellio. Unicit non assunta, non sus-sunta, traumatica: ele-
zione nella persecuzione. Questo tema ritorna nel saggio De lunicit(1986), in Id., Entre nous,
cit., pp. 209-217 [trad. it. cit., pp. 223-231].
61
E. Levinas, Autrement qutre, cit., p. 145 [trad. it. cit., p. 143]; cfr. anche pp. 180 s. e
185 s. [trad. it. cit., pp. 178 e 182 s.]. Nel tema delleccomi traspare un esplicito riferimento
al linguaggio religioso: alla teofania di Es 3,6 e alla missione profetica di Is 6,8.
62
Quanto il tema dellesecuzione del comandamento che precede ogni comprensione sia col-
legato allo sfondo religioso ebraico emerge con chiarezza dalla lettura talmudica intitolata La ten-
tation de la tentation, in Id., Quatre lectures talmudiques, ditions de Minuit, Paris 1968, pp. 67-
109 [Quattro letture talmudiche, trad. it. di A. Moscato, il melangolo, Genova, 1982, pp. 67-97].
63
Ivi, p. 158 [trad. it. cit., p. 155].
64
Ivi, p. 151 [trad. it. cit., p. 148]. Levinas sottolinea che lespiazione non un atto volonta-
rio: Lio non un ente capace di espiare per altri: lio questa espiazione originale involon-
taria poich anteriore alliniziativa della volont (anteriore allorigine), come se lunit e luni-
cit dellio fossero gi la presa su di s della gravit dellaltro (ibidem).
88 Francesco Camera
che essa impossibilit di sottrarsi (passivit) edonazione gratuita (atti-
vit). Lio realizza se stesso solo quando si trova nel vicolo cieco di una re-
sponsabilit illimitata che lo obbliga a sostituirsi ad altri. Come si pu in-
tuire, la nozione di sostituzione ottenuta attraverso lesasperazione,
leccesso o la dilatazione della responsabilit individuale e mantiene quin-
di un significato etico. In questa situazione la parola io significa eccomi,
rispondente di tutto e di tutti
61
. Con questo termine anchesso allaccu-
sativo Levinas intende indicare labnegazione di s che lo impegna con-
cretamente prima ancora di aver udito o compreso il comandamento
62
.
Lesasperazione della responsabilit comporta quindi una profonda iden-
tificazione dellio per sostituzione come conseguenza immediata della po-
sizione di totale soggezione nei confronti di altri. Ora questa responsa-
bilit per il prossimo, questa sostituzione di ostaggio, la soggettivit e
lunicit del soggetto
63
.
Come si pu constatare, la nozione di identit viene sottoposta ad una
torsione paradossale, che intende deliberatamente stravolgerne il tradizio-
nale significato logico e ontologico, al fine di metterne in luce il senso eti-
co. a questo punto che Levinas afferma: qui bisogna parlare di espiazio-
ne come di ci che unisce identit e alterit
64
. Egli ritiene, infatti, che so-
lo se la responsabilit si accresce fino allespiazione delle colpe di altri lio
egoistico non riprende il sopravvento e non ritorna la cattiva identit.
Nellespiazione, in quanto atto gratuito che precede qualsiasi iniziativa del-
la volont, lio pu essere se stesso senza affermare se stesso. Infatti, latto
di donazione gratuita una individuazione o una sovradeterminazione
dellIo, in cui si disfa il mio essere mio e non di un altro, ma al tempo
05 Camera 71 22-11-2010 10:53 Pagina 88
65
Ivi, p. 163 [trad. it. cit., p. 160]. interessante notare come lidentit per sostituzione
permetta ora di usare il termine ipseit in senso positivo.
66
Ivi, p. 147 [trad. it. cit., p. 145]: Il s sub-jectum: sotto il peso delluniverso re-
sponsabile di tutto. Lunit delluniverso non ci che il mio sguardo abbraccia nella sua unit
dellappercezione, ma ci che da tutte le parti mi incombe, mi riguarda nei due sensi del termi-
ne: mi accusa ed affar mio.
67
A questo proposito rimandiamo ai numerosi riferimenti presenti in E. Levinas, Autrement
qutre, cit., pp. 174-207 [trad. it. cit., pp. 172-203], e alle riflessioni sviluppate nelle letture tal-
mudiche dedicate al tema del messianismo: Textes messianiques (1960/61), in Id., Difficile
libert, cit., pp. 83-129 [Il messianismo, trad. it. di F. Camera, Morcelliana, Brescia 2002]. Per
un approfondimento ci sia concesso di rinviare al nostro precedente saggio Responsabilit etica e
testimonianza messianica in Emmanuel Levinas, in D. Venturelli (a cura di), Religioni, etica
mondiale, destinazione delluomo, il melangolo, Genova 2002, pp. 197-232.
68
P. Ricoeur, op. cit., p. 284.
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 89
stesso con questa sostituzione che io sono non un altro ma io. [].
Lipseit di conseguenza un privilegio o una elezione ingiustificabile che
mi elegge io (moi) e non lIo. Io unico ed eletto. Elezione per soggezione
65
.
evidente che questa identit per sostituzione disegna una nuova con-
figurazione della singolarit che ricorre ad una terminologia proveniente
dalla tradizione religiosa ebraica. Lio identifica se stesso a causa di al-
tri quando nella donazione si trova ad essere insostituibile, a prendere
sulle proprie spalle il peso dellintero universo. Egli non per s, ma
per tutti
66
. Attraverso la sostituzione, lidentit dellunico assume ora
unampiezza universale e cosmica; essa si trova sottoposta ad un compito
in cui identit e alterit si intrecciano senza confondersi, in un intrigo
etico che si profila come testimonianza profetica e messianica
67
.
6. Linsolubile intreccio di alterit e identit
Come ha giustamente sottolineato Ricoeur, tutta la filosofia di Levinas
riposa sulliniziativa dellaltro nella relazione intersoggettiva
68
, sul pri-
mato dellalterit sullidentit. Lalterit si presenta come un principio as-
soluto, il cui contenuto non definibile dalla semplice negazione
dellidentico. E tuttavia sarebbe riduttivo limitare il contributo della rifles-
sione levinassiana ad una mera contrapposizione (o separazione) tra la
bont dellaltro e legemonia egoistica del medesimo. Come abbiamo tenta-
to di mostrare, si tratta infatti di una riflessione niente affatto scontata, che
nel tentativo di ripensare lalterit al di fuori delle categorie ontologiche o
soggettivistiche non pu evitare di dire altrimenti anche lidentit. Ne
scaturisce una visione originale in cui tra i due termini (e tra le rispettive
05 Camera 71 22-11-2010 10:53 Pagina 89
69
Mentre nella tradizione ontologica lalterit e lidentit trovano la loro mediazione allin-
terno del pi generale concetto di essere, Levinas rifiuta nettamente questa soluzione. Una via,
che accetta la sfida della posizione levinassiana ma che tenta di pensare loriginaria unit tra i
due termini nella libert, stata tratteggiata da C. Ciancio, Riconoscimento dellaltro e alterit
della libert, in Giornale di Metafisica, n.s., XXVII (2005), pp. 45-62.
70
A questo proposito rimandiamo ai numerosi riferimenti al tema del sacrificio e della so-
stituzione vicaria presenti in E. Levinas, Autrement qutre, cit., pp. 148 s.; 180; 185 s.; 190 s.
[trad. it. cit., pp. 145; 178; 182 s.; 187 s.]. Si tratta di elementi che confermano lo sfondo religio-
so o pre-filosofico, in cui si colloca lintera meditazione levinassiana sullalterit.
71
P. Celan, Lob der Ferne, in Id., Gesammelte Werke, a cura di B. Allemann e S. Rei-
90 Francesco Camera
costellazioni terminologiche: esteriorit/identit, eccentricit/medesimezza,
socialit/egoismo) rimane un rapporto ineludibile, che per di tipo asim-
metrico. Alterit e identit si richiamano costantemente, ma rimangono
sempre distinte e soprattutto non si risolvono mai in una unit superiore in
grado di operare una mediazione
69
.
Il tratto caratteristico dellimpostazione levinassiana rimane comunque la
subordinazione dellidentit allalterit, una tesi che non trova una giustifi-
cazione mediante argomentazioni razionali o discorsive, ma che si impone a
motivo del suo contenuto etico. Nellorizzonte delletica (e non dellontolo-
gia) diventa quindi possibile mantenere il nesso tra i due termini, ma al
tempo stesso si apre la strada ad una possibile dissoluzione dellidentit in-
dividuale nellalterit. Questo esito paradossale, presente nella tesi
dellidentificazione della singolarit per sostituzione o per espiazione, sem-
bra abbandonare definitivamente il terreno dellargomentazione filosofica.
In questo contesto, per difendere lalterit come principio, Levinas si richia-
ma sempre pi esplicitamente alla tradizione religiosa del profetismo bibli-
co, delineando lidentit dellunico con i tratti del servo sofferente
70
.
Di fronte a queste esasperazioni paradossali, ci sembra invece che il
merito principale della riflessione levinassiana sia stato proprio quello di
aver insistito sullintreccio (sullincrocio o intrigue) inevitabile di alterit e
identit. Infatti, descrivendo dallinterno la relazione antropologica o so-
ciale, sarebbe piuttosto problematico considerare lestraneit o lalterit
separata dallidentit. Ci sembra quindi che limportanza della riflessione
levinassiana vada cercata non tanto nel tentativo di stabilire ordini gerar-
chici tra i due termini o nelloperare il capovolgimento dellidentit in so-
stituzione, quanto nello sforzo di pensare lalterit in me, mantenendo la
tensione nellorizzonte precario delletica. Si tratta di uno sforzo appassio-
nato, al di l del concetto e ai limiti del linguaggio, che gi una autore-
vole vox hebraica aveva evocato nei versi che cantano lesperienza della
lontananza: Ich bin du, wenn ich ich bin
71
.
05 Camera 71 22-11-2010 10:53 Pagina 90
chert, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992
2
, vol. I, p. 33 [Poesie, trad. it. a cura di G. Bevilacqua,
Mondadori, Milano 1998, p. 51]. Il verso Io sono tu, quando io sono io posto da Levinas in
esergo al capitolo IV di Autrement qutre, cit., p. 125 [trad. it. cit., p. 123].
Il primato dellalterit e le metamorfosi dellidentit 91
Abstract
The intention of this paper is to examine the relationship between identity and other-
ness in philosophical work of Emmanuel Levinas. In this work we find the ethical su-
premacy of otherness, which is separated frombeeing and fromidentity. But identity
doesnt disappear, undergoes a deep ethical change through the paradoxical theses of
substitution and expiation
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TEORIA 2006/1
Sulla logica dellopposizione:
lalterit tra Derrida e Levinas
Leonardo Samon
Il compito pi urgente della filosofia non sembra pi riassumibile nella
formula: pensare luno, quanto piuttosto in quella opposta: pensare
laltro. Un tale rivolgimento di senso nei confronti di unantica e autore-
vole tradizione scaturisce dalla denuncia di un gesto negativo, di esclusio-
ne, nascosto nella posizione di un principio stabile e immutabile del pen-
siero. Listituzione metafisica dellidentico, sottoposta a questo spostamen-
to dellinterrogazione filosofica, lascia trasparire sullo sfondo una violenta
opera di riduzione della diversit, e insieme il moto ad essa contrario di
uninesauribile resistenza dellalterit, che assegna un profilo antinomico
alla questione del fondamento.
Tuttavia non sarebbe difficile sostenere che una tale mossa critica non
fa che rinnovare con una diversa tonalit unantica battaglia sullessere,
annunciata gi da Platone con quella svolta verso il non-essere che, come
egli avverte, potrebbe apparire persino nella forma ostile di un parrici-
dio di Parmenide. Gi secondo un decisivo argomento di questantica di-
sputa, un pensiero che si richiude nellunit dellessere occulta una mossa
dialettica di negazione attraverso cui si costituisce nellidentit, e assume
in realt, sia pure in forma di una fuga dallapparenza e dallinganno, un
riferimento alla diversit. La filosofia sembra aver ben presto assunto un
atteggiamento critico nei confronti di simili salti troppo facili e rassicuran-
ti nel possesso della verit. Lidentit si deve cercare piuttosto attraverso
la via lunga dellinclusione della diversit, nella differenza e anzi come
differenza, e in base a ci perfino come un che di altro dalla physis, da
questultima implicato come proprio necessario riferimento: insomma, co-
me un principio meta-fisico.
In che consiste allora il gesto pi radicaleche un pensiero dellalterit,
come quello di Derrida e Levinas, pretende di compiere? Quella che sem-
Lidentit in questione
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 93
94 Leonardo Samon
brerebbe lasciarsi misurare appena come ripetizione del percorso attraver-
so il quale si costituita lidentit metafisicaacquista invece una forza cri-
tica rilevante se si guarda, pi che alla mera contrapposizione di identit e
alterit, al rovesciamento di senso conferito al loro intreccio da un pensie-
ro che tiene bens dietro al percorso metafisico di riflessione dellesse-
re, ma ne rimette poi radicalmente in questione lorientamento autorefe-
renziale alla luce di un appello irriducibile di Altri, capace di stabilire
letica come filosofia prima. I passi che portano a un tale primato deli-
neano, nella ripetizione della tradizione metafisica, un profondo rivolgi-
mento e una parabola aporetica alla fine dirompente nei confronti del pen-
siero dellidentico. La scansione di questa parabola si pu indicare grosso-
modo cos: a) una reinterpretazione dellidentit che la delinea nella forma
mediata di una strategia di governo della diversit; b) il conseguente rinvio
dellidentit alla dimensione autoreferenziale del S, del soggetto, della
coscienza; c) la descrizione dellordine della soggettivit attraverso la logi-
ca violenta del predominio; d) la strutturale, irriducibile socialit evocata
dal predominio del S in base al suo antinomico accoglimento dellopposi-
zione; e) la conseguente, finale riconfigurazione del S e dellidentit a
partire da altro e da Altri. Possiamo seguire una tale parabola, che con-
duce a un contrasto irriducibile dentro lidentit metafisica, attraverso
quellaltra parabola, che invece ha trasformato in modo crescente la con-
troversia tra Derrida e Levinas in un profondo sodalizio, sotto la spinta di
una sollecitudine sempre pi concorde per le ragioni dellAltro con le qua-
li si misura lorganizzazione logica e concettuale del pensiero.
1. La parabola aporetica dellidentit metafisica
proprio il senso da dare al legame tra identico e diverso il punto di
divaricazione da un cammino metafisico che ha nominato sin dalle origini
la differenza solo per raccogliere con decisione il pensiero nello slancio
verso lidentico (lo stesso pensare ed essere). A partire da questo mo-
dello, anche se nella forma esplicita di una retractatio dello Stesso e
dellUno, la dimensione pi essenziale dellidentit ha conquistato ben
presto la sua posizione saldissima con una mossa dialettica, che si av-
vantaggia proprio della critica al carattere esclusivo e difettivo delluno
pensato controi molti. Il nome per una tale unit dialettica divenuto, gi
nel Sofista platonico, lintreccio (symplok) dei generi somminellessere,
dopo che essi sono stati necessariamente distinti dallessere stesso, il qua-
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 94
1
Cfr. Platone, Sophista, 258 e e 251c.
2
Cfr. Aristotele, MetaphysicaI, 3 e 4.
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 95
le anche uno tra i diversi. Lessere si mantiene sempre lo stessoattraver-
so i distinti; in un certo senso esso differisce da s, perch va pensato co-
me il legame il logos che tiene assieme i differenti e dunque va affer-
rato essenzialmentein questa sua differenza. Con una tale ritrattazione il
non essere entra certamente nel territorio dellente che sempre, ma so-
lo in quanto diverso, cio in un modo che mantiene la funzione della
differenza allinterno dellunit intelligibiledellessere, ed esclude invece
come frutto di una dialettica immatura e indegna di un filosofo quei di-
scorsi che pretendano di lasciare aperta la contraddizione, presumendo di
portare nel pensiero il contrario dellessere
1
.
Il carattere metafisico dellunit sembra convalidato con forza pro-
prio dallaccortezza critica con cui si lasciano entrare molteplicit, diver-
sit, differenza, dentro lessere senza disintegrarlo, ma al contrario in mo-
do tale da rinsaldarne lunit totalizzante e riflessa in s. Una tale strategia
di pensiero sembra trovare la sua formalizzazione nella demarcazione ari-
stotelica tra la contraddizione e le altre forme di opposizione
2
. In ogni altra
opposizione si d sempre un termine comune che regola la distanza degli
opposti entro un orizzonte unitario, non solo nel caso dei relativi, ma an-
che nel caso dei contrari (in cui identico il genere) e della privazio-
ne (in cui identico il sostrato). La differenza concepibile solo allinter-
no di questo orizzonte unitario. Differenti sono le cose che hanno qual-
cosa di identico, per cui si possono abbracciare insieme nel logos. lo
spazio della contrariet a costituire lambito concettualmente abbracciabi-
le, mentre la contraddizione viene posta come un errore logico, un effetto
di superficie del discorso. Lerrore, del resto, poggia suo malgrado su una
profonda connessione unitaria dellessere, sempre capace di spiegare la
contraddizione, cio di riportarla al suo contrario. Rispetto a questultima
anche la semplice diversit o alterit, quale distinzione che eccede lunit
del genere o del sostrato (e che va distinta dalla differenza vera e propria),
finisce per essere assimilata alle forme di opposizione, perch riposa co-
munque su una comunanza dellessere, ossia perch si predica solo di ci
che , o ancora perch riferita alluno per contrariet. Il diverso pensa-
bile solo allinterno di una continuit dellessere, di una sua natura uni-
taria. Una diversit resistente allunit ristretta alla fine nella contra-di-
zione; e viene confutata come unopposizione falsa, perch meramentedi-
scorsiva, nel senso che rende vuoto il logos e ne lascia emergere per
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 95
3
Cfr. Met , 2, 1003 b 18.
4
Cfr. Met , 2, 1004 a 5.
5
Cfr. De Anima, , 8, 431 b 21.
96 Leonardo Samon
contrasto la significativit, il legame originario con ununit trans-generica
(detta poi analogica) dellessere. Questunit non entra nel discorso nel-
la forma di semplice predicato (categoria), ma in un certo senso per diffe-
renza, come un fondamento dal quale dipendono
3
i diversi generi
dellessere e vengono subito
4
pensati gli enti nella loro diversit. Lunit
riferisce ogni predicato alla sostanza, creando una gerarchia di significati
e una totalit esente da ogni ulteriore opposizione; ma non solo: essa per-
mette il governo della diversit nella forma di unistanza a questa so-
vraordinata, e converge in tal modo in Dio, principio unificante nella for-
ma dellatto e del pensiero (pensiero di pensiero) e, in questa forma, at-
tuazione suprema dello stesso ordine.
Lintreccio di identit e alterit si sviluppa cos in quella direzione che
Heidegger ha chiamato costituzione onto-teo-logica della metafisica. La
posizione fondamentaledellidentit riflessiva, tale in quanto riconduce a
s molteplicit e contrariet, non solo permette di distinguere il modo
dessere (lintelletto) divino, ma conferisce un ruolo ontologico progressi-
vamente sempre pi deciso al S, cio allanima, allintelletto, poi al sog-
getto come coscienza e come persona. Quale modo dessere radicalmente
connesso con il diverso (lanima in certo modo tutte le cose
5
), il sog-
getto si presenta come lesser-altro che si attua nel ritorno e nel raggiungi-
mento di s. La soggettivit viene cos a identificarsi, in un cammino che
corrisponde allo sviluppo del pensiero moderno, con il soggetto umano o
persona. La persona assume un carattere nuovo e irripetibile dellesser
soggetto, nel senso che abbandona progressivamente la posizione unilate-
rale di sostrato originario di ogni predicazione, per configurarsi sempre
pi nettamente nellintero della sua dimensione relazionale. Con questo
mutamento di senso lo stesso concetto di soggettivit viene a distinguersi
sempre pi nettamente dal tratto immediato e irriflesso del principio so-
stanziale e dal concetto stesso di cosa (res), determinando lio in modo
unico e irripetibile rispetto al mero carattere di ente. Con questa trasfor-
mazione il pensiero moderno delimita anche lo spazio per la critica nove-
centesca del soggetto cartesiano. Lunit moderna del soggetto si trova in-
fatti gi a dover governareun modo dessere intimamenteaperto non solo
allinsieme degli enti ma anche allalter-ego, allaltra coscienza, e allas-
solutamente altro.
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 96
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 97
2. Le aporie del soggetto e il pensiero dellalterit
La destituzione novecentesca, di origine nietzscheana, del soggetto car-
tesiano si trova cos sotto il peso dellesito pi maturo raggiunto dalliden-
tit riflessiva della metafisica, e tenta di riguadagnarlo come una risorsa
riconducendone la genesi alla volont di verit, cio al tratto vitale
dellidentit quale relazione a s. Riportata allautoposizione dellio, la ve-
rit inconcussa di una tale identit quale principio (arch, letteralmente
ci che comanda) frana: essa non appare altro che rimozione della di-
versit, dellinterminabile variet della vita, del divenire e del tempo;
nientaltro insomma che impulso vitalead autoconservarsi e a rimediare al
disordine della vita stessa, fino a tradursi in rifiuto della vita, non ricono-
sciuto per come tale, ma al contrario mascherato quale eterna anteriorit
di un ente separato, meta-fisico nel quale si raccoglie in unit perfettatut-
to lessere. In questo rifiuto agisce per a sua volta lessenza vitale nella
forma di volont di potenza: essa che alla fine di un lunghissimo per-
corso ha reso favola il presunto mondo vero dellessere immobile ed
eterno.
Ma si esce davvero in questo modo dal cerchio dellidentico, che ripren-
de in unestrema affinit il dissidio tra vita e coscienza? O invece, mentre
travolge nel suo incessante dinamismo generativo ogni identit fissa e de-
terminata, la vita, nietzscheanamente intesa, ripropone in forma di eterno
ritorno il predominio soggettivistico delleguale? Leterno ritmo vitale
bens laltro che emerge in contrasto con la presenza intesa come il
tempo nel quale si costituisce la coscienza; e tuttavia la forma del contrasto
restituisce la variet e il mutamento al loro saldo sostegno, alla costanza
del divenire che li riprende nellincessante ripetizione delleguale. La vita
strappa cos alla coscienza il modello della relazione a s solo per ripropor-
lo in termini di un predominio dellidentico perfino pi saldo, portando a
compimento la metafisica proprio attraverso lavvento finale della volont
di potenza, nella quale diviene finalmente esemplare la logica del dominio
che da sempre governa lautoaffermazione dellidentit soggettiva.
Se lopposizione di una soggettivit vitale al soggetto metafisico ribadi-
sce e anzi consolida il primato dellidentico, si apre nel circolo di
questantitesi la possibilit di un percorso che riesamini le risorse fondati-
ve della diversit non al di sopra o a fondamentodel movimento di ritorno
a s della coscienza, ma allinternodi essa e della sua vitale conserva-
zione di s. Un pensiero attento alle aporie dentro le quali restano avvolti
sia il primato violento dellidentico, sia una critica meramente eversiva
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 97
98 Leonardo Samon
dellidentit riflessiva della metafisica, deve accettare i paradossi della ri-
petizione dei fondamenti logico-ontologici attraverso i quali si imposta
lidentit metafisica; deve insomma far risuonare in modo nuovo la tradi-
zione prima ancora di denunciarne gli errori di fondo.
Il tema derridiano della differenza e quello levinassiano dellalterit
maturano sullo sfondo di un tale intenso rapporto con la tradizione filosofi-
ca, nella quale intendono mettere allo scoperto la resistenza inesauribile e
perci dirompente di differenza e alterit, capace di sradicare dalle sue
pretese fondative il legame tradizionalmente indissolubile di essere e
identico. Il terreno consapevolmente scelto per la disputa per proprio lo
spazio metafisico della riflessione, attraverso la quale luno sdoppiato e
ricostituito come totalit, ovvero ancora pensato nella posizione di fonda-
mento e di soggetto, come lo Stesso distinto dallidentit immota e indif-
ferenziata. Si potrebbe dire che il diverso effetto generato dalla resistenza
allunificazione nelle due forme di opposizione uno-molti e identico-di-
verso definisce in certo modo legame e distinzione tra differenza e alte-
rit, e tra Derrida e Levinas. Nel primo caso la differenza rovescia la dire-
zione univoca del logos, del legame, verso lunit, pensando questultima,
attraverso il linguaggio, nella luce della contaminazione, che attesta apore-
ticamente la resistenza irriducibile dellopposizione alle pretese gerarchi-
che delluno. Nel secondo caso laccento sullalterit sottolinea la separa-
zionedi Altri, facendone il principio della comunicazione che rompe la
tendenza neutralizzante dellidentico, in un riferimento anche positivo, su-
bito rivendicato, alla tradizione del S.
La salvaguardia dellopposizione si accompagna per a prima vista alla
ripresa di tratti in certo modo opposti della tradizione metafisica. Per Levi-
nas occorre infatti riguadagnare la trascendenza metafisica verso laltro,
cio verso lorigine, il principio, il mistero che sta oltre quanto ci fami-
liare e consueto, e che dunque suscita la nostra inquietudine e le nostre
domande su tutto ci che ci circonda e ci fa sentire a casa nostra suscita
insomma un inestinguibile desiderio metafisico che contrasta la reductio
ad unum. Per Derrida si tratta invece di mantenersi in una paradossale
continuit con la mediazione metafisica degli opposti, e anzi ripercorrere
la connessione strutturale cercata dalla metafisica tra il dentro e il fuori,
luno e i molti, lidentico e il diverso, contro la separazione immediata e
assoluta di due mondi.
La ripetizione decostruttiva della metafisica per sempre pi esplici-
tamente guidata dal riferimento levinassiano allalterit. Sin dallinizio la
critica di Derrida a Levinas si anzi svolta come un tentativo di radicaliz-
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 98
6
J . Derrida, Violence et mtaphysique. Essai sur la pense de E.L. (VM), in Id., Lcriture et
la diffrence, Seuil, Paris 1967, p. 119 (tr. it. di G. Pozzi, Einaudi, Torino 1971, p. 100). Per una
presentazione complessiva del confronto tra Derrida e Levinas si veda S. Petrosino, Lumanit
dellumano o dellessenza della coscienza. Derrida lettore di Levinas, prefazione a J . Derrida, Ad-
dio a Emmanuel Levinas, tr. it. a cura di S. Petrosino, J aca Book, Milano 1998, pp. 9-51. Mi per-
metto di rinviare anche a L. Samon, Diferencia y alteridad. Despus del estructuralismo: Derrida
y Levinas, Akal, Madrid 2005.
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 99
zare ulteriormente lirriducibilit levinassiana dellaltro. Linteresse di
Derrida per Levinas nasce dallattenzione al significato pi profondo
dellinterrogazione filosofica, che da sempre ha il carattere di unevasio-
ne fuori dal cerchio rassicurante dei dati, dei fatti, delloggettivit,
dellessente nella sua totalit, verso unaltra origine o unorigine altra, at-
traverso la quale soltanto possibile daltra parte giustificare la stessa do-
manda filosofica, e con essa la libert dinterrogazione
6
. Uninterroga-
zione filosofica radicale ha preteso da sempre di portare nel discorso ci
che lo mette in questione, lo revoca in dubbio, gli si oppone. E si artico-
lata dunque in un doppio gesto: liberare lopposizione di contro al discorso
compiuto e immetterla, allo stessotempo, nel discorso. Ma cos entra alla
fine in gioco, nello spazio dellinterrogazione, il senso dellopposizione,
cio la negoziazione del suo rapporto con lo Stesso, della sua dipenden-
za da esso. La decostruzione il lavoro filosofico che libera lopposizione
dalla regola gerarchica che la costringe, proprio negoziando con questa
regola, ossia facendo i conti con limplicazione reciproca degli opposti,
con una certa inevitabile contaminazione dellAltro con lo Stesso. Lalte-
rit levinassiana sviluppa tutta la sua forza dirompente solo se la si immet-
te di nuovo nellinterrogazione greca, cui egli si oppone nel tentativo di ec-
cedere la chiusura metafisica nellidentico. Ma questo significa necessa-
riamente far cadere la pretesa levinassiana di ricondurre lopposizione alla
separazione: a causa del rigido mantenimento dellantitesi dentro/fuori,
alto/basso, la separazione rischia infatti di lasciare in ombra e anzi di as-
sumere acriticamente a fondamento proprio quel principio gerarchico che
ha reso possibile fin dagli esordi della filosofia occidentale lassoggetta-
mento dellalterit allidentico.
3. Identit, alterit, violenza in Derrida
La salvaguardia dellalterit implica una salvaguardia dellopposizione.
questo uno degli aspetti pi significativi della logica filosofica di Der-
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 99
7
VM 188 (162).
100 Leonardo Samon
rida. Si potrebbe dire che si tratta di una certa ripresa della distinzione ari-
stotelica tra diversit e differenza, che tuttavia (con una decisa lettura di
Hegel quale compimento della filosofia occidentale nel suo insieme) consi-
dera lordine metafisico del discorso sin dagli inizi guidato da una strategia
tesa a unificare tutto lo spazio dellalterit entro lorizzonte egemonico
dellidentico, e dunque risale verso diversit e alterit ripartendo dal go-
verno metafisico dellopposizione. Lidentit metafisica non mai senza op-
posizione: essa ha infatti il carattere di un ritorno a s mediante laltro.
Lidentit metafisica perci piuttosto per Derrida il conferimento di un
senso unico allopposizione attraverso un gesto violento di esclusione, che
assoggetta la diversit entro una forma di opposizione gi regolata dal pre-
dominio del suo opposto, mentre estromette lopposizione a questo predo-
minio. Non si tratta per di rovesciare questa logica. Si tratta piuttosto di
coglierla come la smentita di unaltra logica, cio come un doppio lega-
me che accoglie e insieme respinge lopposizione. Il doppio legame la
logica della decostruzione, che sdoppia la necessit logica, trasformandola
in unobbligazione senza costrizione, in un legame eticocon lalterit.
Ma questo percorso argomentativo implica il passo pi difficile: lam-
missione di una violenza necessaria nel darsi insieme dello Stesso e
dellAltro. Ossia lammissione di una violenza non imputabile per un verso
soltanto alla rottura di ununit originaria, che si presume invece immune
dalla violenza, ma per altro verso nemmeno soltanto a una prevaricazione
di questunit sullaltro. La violenza va invece gi imputata a ci che si
colloca prima di queste relazioni negative, cio alla stessa indifferente
coesistenza dello Stesso e dellAltro, nella loro separatezza. Una tale coe-
sistenza violentemente estranea alla diversit, gi decisa nel rifiuto di
questa; lo stesso insorgere della violenza, che a questo livello Derrida
chiama pre-etica
7
, perch si colloca prima della relazione ad altro e de-
finisce proprio lindifferenza di questo esser prima. Nella coesistenza
originaria gi deciso il destino delluno rispetto allaltro. La violenza
insita nellindifferenza di ognuno dei due termini rispetto alla sussistenza
dellaltro, nella dissimmetria tra i due termini generata dallindifferen-
za. Ma poich in questultima ognuno dei due laltro dellaltro, la dissim-
metria produce una strana simmetria, nella quale Derrida circoscrive la
violenza pre-etica, conferendole la figura paradossale di un diallele: la
violenza originariamentela cancellazione dellopposizione, la cancella-
zione violenta della violenza stessa.
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8
VM 189 (163).
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 101
Recuperata questa forma aporetica delloriginario, Derrida vi scorge ora
il lavoro dellopposizione irriducibile. Se infatti la dissimmetria implica
necessariamente la relazione allaltro, essa rimanda ad altro in un duplice
senso, cio anche prima di tener conto di esso. Ed ecco allora affiorare
una direzione non prevista di senso, o se vogliamo una contaminazione ori-
ginaria del senso. La violenza che possiamo dire trascendentale non
pu essere infatti mai soltantoabolizione dellopposto, perch proprio que-
sto concetto implica la resistenza di una relazione e di una differenza im-
pure, che eccedono lunit e il posto subordinato in essa assegnato allal-
tro. La violenza ha bisogno sempre del suo opposto: essa gi sempre con-
taminata con la non-violenza. Rispetto a questa tesi la ricerca di una non-
violenza pura o di unalterit pura non soltanto sviante, ma cerca la non-
violenza in uno spazio in cui questa gi perduta.
La disputa tra purezza (santit) e contaminazione dellalterit
diviene la posta in gioco per la salvaguardia effettiva dellalterit. Derrida
adopera la concettualit greca per costringere allaporia lidea levinassiana
di alterit pura, che rischia a suo giudizio di inficiare un pensiero radi-
cale dellopposizione. Ma lalternativa comporta lammissione di una certa
violenza minore, e con essa, dunque, di unineludibilit della violenza.
Come origine del senso e del discorso nel regno della finitezza
8
la vio-
lenza da un lato inevitabile. Il pensiero dellAltro si pu attuare solo nel-
la forma di uneconomia della violenza, mantenendo una qualche identit
degli opposti nella loro simmetrica spinta al predominio. In questo modo
la custodia dellopposizione la liberazione della diversit dallordine ge-
rarchico con il suo carico di oppressione: nella simmetria c lammissione
dellaltro nellordine dellidentico e la possibilit di discriminare tra la
violenza etica, che tiene conto dellaltro in modo solo negativo, riducen-
dolo e assoggettandolo, e la non-violenza altrettanto etica, che tiene
conto dellaltro riconoscendolo in quanto altro, cio contaminando lassog-
gettamento dellaltro con il moto contrario che ad esso fa resistenza.
Una parziale accettazione della logica greca del discorso filosofico
lunica via per rovesciarne efficacemente le pretese gerarchiche, che si so-
no mantenute intatte nel loro principio fino alla conciliazione hegeliana
degli opposti. La contaminazione investe come un cattivo infinito la
stessa conciliazione, e in tal modo colpisce il vero nucleo essenziale
dellidentit metafisica, ovvero la distinzione gerarchica e il predominio
dellidentico sullalterit. A questo punto diviene per decisivo tracciare la
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 101
9
VM 227 (197).
10
VM 224 (194).
102 Leonardo Samon
sottilissima differenza rispetto a un gesto analogogi sin da Platone pre-
sente nella filosofia greca. Accogliendo lalterit in generale nel cuore
del logos, il pensiero greco si protetto per sempre contro ogni convoca-
zione assolutamente sorprendente
9
: sembra che Derrida intenda con que-
stosservazione invitare i filosofi che insistono su differenza e alterit a
ridiventare classici
10
. In realt per egli mira a ritrovare altri motivi di
divorzio tra la parola e il pensiero, sollecitando il terreno ineludibilmente
greco del discorso con lirruzione del tuttaltro di cui da sempre sono in-
tessuti il senso e la parola. Il divorzio tra parola e pensiero, leccedenza
della parola, come scrittura, sul pensiero, sono innestati nel rapporto apo-
retico del discorso filosofico con la disseminazione del senso. proprio la
capacit filosofica di proteggersi dallaltro, accogliendolo allinterno della
potenza di appropriazionedellidentico, ad attestare la doppiezzadel vinco-
lo tra unit e molteplicit. In effetti la violenza metafisica, consistente nel-
la riduzione dellaltro alluno, nasce secondo Derrida con la sua seconda
parola, cio con la rinuncia di Platone, nel Sofista, allopposizione asso-
luta che sarebbe la violenza assoluta, cio la pretesa di cancellare la re-
lazione. La violenza metafisica dunque gi un gesto di riduzione della
violenza. Ma proprio a partire da questa osservazione possibile mostrare
che la reductio ad unummetafisica non pu evitare lintreccio con il movi-
mento ad essa contrario di decostruzione del totalitarismo del logos. Il lo-
gos metafisico ospita al suo interno lopposizione, con tutto il potere, che
questa detiene, di modificare strutturalmente il senso dellunit. La deco-
struzione pu cos risvegliare la metafisica alla sua origine, e cio alla sua
finitezza e al suo altro, e pu portare alla luce in essa linevitabile conta-
minazione dei diversi, il doppio legame tra loro.
Ma una tale economia della violenza si estende necessariamente an-
che alle pretese di un pensiero puro della differenza pura, con la sua im-
propria inscrizione nellordine filosofico dellannuncio messianico della fi-
ne della guerra. Quando Levinas distingue laltro in quanto altro dallaltro
relativizzato e assoggettato allidentico, egli tenta secondo Derrida di sbi-
lanciare a sua volta lopposizione, nella quale domina lappropriazione, in
obbligazione irreversibile dellidentico verso laltro. Ma in questo rove-
sciamento egli cerca di pensare dallinterno del logos il puramente ester-
no, e dunque di anticipare impropriamente il regno messianico nellesca-
to-logia: la non-violenza, la non-negativit si presentano ingannevolmente
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 102
11
VM 158 (136).
12
VM 170 ((146).
13
J . Derrida, En ce moment mme dans cet ouvrage me voici (1980) (EMM), ora in J . Derri-
da, Psych, Galile, Paris 1987, pp. 167-8.
14
VM 161 (138).
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 103
come il vero infinito rispetto al quale la totalit, come un cattivo infi-
nito, ancora il mero negativo, e pertanto appunto laltro in quanto ristret-
to nella sua difettivit. In questo rovesciamento c di nuovo il principio
del dominio: la non-violenza pura rimette in gioco la violenza pura.
Questo problema coinvolge innanzitutto lassolutamente altro, il concet-
to di infinito o di Dio chiamato in causa da Levinas. Lopposizione allap-
propriazione resiste per il filosofo di Kaunas nel volto dAltri, ossia nel
fenomeno della non-fenomenicit, che quella modificazione della co-
scienza intenzionale in cui laltro si manifesta come altro dalla sua manife-
stazione. Ma il salto affrettato verso laldil del volto perde la connessione
fenomenica che il volto dAltri di per s reclama. Cos, il faccia a faccia
non pi originariamente il fronteggiarsi di due uomini eguali ed eret-
ti
11
, perch alle sue spalle c il faccia a faccia delluomo con la nuca
spezzata e con gli occhi levati in alto, verso Dio. Il faccia a faccia, cos
concepito, non esclude linferiorit, e perci rilancia lobiezione feuer-
bachiana secondo cui luomo un Dio venuto troppo presto, e Dio ap-
penaci che sta pi in alto della sua umilt.
La protezione dellaltro dalloppressione dellidentico diviene una sim-
metrica oppressione se non si punta a decostruire il principio stesso del
dominio, cercando nel logos greco dellidentit un altro intreccio (un
tuttaltro testo) e nella simmetria la rottura dellordine gerarchico cui
mira il logos. A questo punto occorre accettare la sfida di domande atee
che inscrivono Dio nella storia
12
, sinterrogano se Dio, il nome pieno della
presenza piena, non sia uneffetto di traccia, e dunque fanno spazio nel
discorso a quellaltra symplok
13
per la quale il volto non n la faccia
di Dio n la figura delluomo: ne la somiglianza
14
, che bisogna pensare
prima o senza il soccorso dello stesso. E occorre perfino ammettere la
simmetria con loperazione metafisica che accoglie duplicit e differenza
dentro la purezza e lunicit del senso filosofico. Occorre insomma ammet-
tere, in una certa simmetria con Hegel, una struttura quasi apriori, che
lega gli opposti senza tuttavia chiedere soccorso alla riunificazione hege-
liana in unidentit pi alta, riferita solo in modo ostile alla resistenza
dellalterit nella posizione pi bassa, cio allemergere della somi-
glianza con questultima. Il quasi apriori della somiglianza, che
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15
J . Derrida, Positions, Minuit, Paris 1972, p. 132 (tr. it. a cura di G. Sertoli, Bertani, Vero-
na 1975, p. 127).
104 Leonardo Samon
nellapriori dialettico del ritorno a s dellidentico introduce lapriori
antitetico della distanza intoglibile, per Derrida la diffrance(con la a),
il legame estremo che tiene conto della dissimmetria opposta, della violen-
za opposta, cio della resistenza alla violenza, della non-violenza, che
violenza dellaltro e non dello stesso. Lalterit dellaltro inscrivenel rap-
porto ci che non pu essere in nessun caso posto. Linscrizione, allo-
ra...non una semplice posizione
15
: la diffrancefa spazio nella sua scrit-
tura a quel resto che resiste alla violenza e la riduce entro un tuttaltro
legame. La riduzione della violenza uneconomia di essa sia nel senso
che la rende minore inscrivendovi la relazione che essa mira a cancella-
re, sia nel senso che la ammette come necessaria, la include nella forma
originariamente contaminata (originariamente non-originaria) della resi-
stenza alla violenza; la riconosce insomma come violenza dellaltro, che ri-
duce la riduzione allidentico, e dunque mantiene la contesa dellidentico
e dellaltro senza cedere a ununificazione segnata dal predominio di uno
dei due opposti.
Questo lo spazio aporetico attraverso il quale quella che possiamo
chiamare la sollecitudine per laltro, ossia un orientamento etico-politico
verso la riduzione della costrizione, si fa strada in Derrida come filosofia
prima. Una formula che in questo caso va assunta in un senso ambiguo,
perch linaggirabilit del riferimento allaltro simpone nel medesimotem-
po come cura per laltro e come diffidenza nei confronti di ogni forma di
conciliazione con laltro, di fronte alla quale viene mantenuta viva loppo-
sizione. Da una tale conflittuale preoccupazione guidata per non solo la
critica alla conciliazione hegeliana, ma anche con una disputa che
per questa volta verte sulla medesimasollecitudine per laltro la critica
al concetto levinassiano di separazione: nella misura in cui si costruisce
attraverso una rottura e una riduzione della relazione, la separazione spin-
ge infatti il pensiero in direzione contraria a quella del rispetto dellaltro,
da cui parte, ossia in direzione di un totalmente esteriore, asimmetrico e
indifferente alla relazione. il trionfo della violenza pura, sia pure nel no-
me di una salvaguardia dellAltro dalla violenza dello Stesso. Se, di contro,
anche la separazione dellAltro viene inscritta nella relazione, questulti-
ma si mostra a sua volta inevitabilmente connessa con lesteriorit irridu-
cibile, per cui attesta nel modo pi coerente il riferimento allalterit. Il
rovesciamento della separazione in un legame estremo mira a raggiungere
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 104
16
E. Levinas, Noms propres, Fata Morgana, Montpellier 1976, tr. it. a cura di F. P. Ciglia,
Marietti, Casale Monferrato 1984 (NP), p. 72.
17
E. Levinas, De lexistence lexistant, Vrin, Paris 1947, tr. it. a cura di P.A. Rovatti, Ma-
rietti, Casale Monferrato 1986 (EE), p. 87.
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 105
con una strategia indiretta e paradossale proprio lo stesso obiettivo levi-
nassiano, che rischia altrimenti di tramutarsi, contro ogni sua intenzione,
in una reintroduzione delle pretese gerarchiche delluno. La decostruzione
della separazione custodisce insomma in modo pi adeguato la separazio-
ne. Proprio questultimo passo traccia nel suo disegno fondamentale il
cammino di approssimazione di Derrida a Levinas; e conferisce alla deco-
struzione il suo tratto pi essenziale di operazione che non si limita a rove-
sciare, ma alla fine riprende in altro modo lo stessodiscorso decostruito.
4. Alterit e separazione in Levinas
interessante per notare che la risposta di Levinas a queste obiezioni
appare guidata in ultima istanza dalla stessa diffidenza nei confronti di un
pensiero della conciliazione. E la separazione per lui il vero segno del li-
mite di un governo metafisico dellopposizione, larticolazione stessa dello
scambio comunicativo che definisce i concetti di identit e alterit. Solo
lesteriorit e la divisione, leterogeneit degli esseri e la secondariet di
ogni totalizzazione, garantiscono laccoglimento nel pensiero dellorigina-
riet dellaltro. Il passaggio necessario diventa qui la rottura del fonda-
mento sostanziale e soggettivo della relazione, che richiude il per s nel
suo moto esclusivamenteautoreferenziale: lun-per-laltro non , nella sua
decisiva sospensione del per s, il per-laltro della mia responsabilit per
altri?
16
Levinas mette subito al centro del suo percorso argomentativo
lidentit del S. Proprio lautoriferimento, lunit nella figura dellautoco-
scienza, il naturale egoismo dellio, liberano un riferimento positivo e
pre-originario allalterit nel cuore dellidentit: solo il S in quanto
altro. Lesteriorit sociale originaria
17
. Per essa non valgono le cate-
gorie di unit e molteplicit che sono valide per le cose ossia per
quellunificazione che di uno spirito solo, quale suo mondo o insieme
dei rimandi. Nel caso dellesteriorit sociale ci che lega non mai senza
opposizione, perch senza questultima la natura riflessiva del S perde
il suo senso; e lesteriorit mostra il suo carattere originario persino rispet-
to allunivocit della relazione ad altro.
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 105
18
NP 73.
106 Leonardo Samon
Lalterit implica dunque unidentit radicalizzata nel modo dessere
del S: lalterit dellaltro uomo o di Dio nella sua intimit con il S. Solo
sulla base di questa svolta epocale nella comprensione dellidentit si pu
cogliere il debito del pensiero delluno nei confronti dellesteriorit. Qui si
radica il legame per certi versi sorprendente di Levinas con la tradizione
moderna dellIo, e il suo particolare umanesimo dellaltro uomo. NellIo
Levinas non cerca il principio universale o la condizione trascendentale,
ma il singolo, la persona, nella cui costitutiva apertura si presenta una
molteplicit di S non pi riunificabili in un universale, non raccoglibili in
un logos inteso come piena comunicazione, in certo modo dunque ineffabi-
li, e per questo al di l dellessere. Nella persona, leterogeneit, leste-
riorit in qualche modo presupposto del divenire s da parte del sogget-
to: la riduzione della differenza deve cedere il posto alla conservazione di
essa e dunque al riconoscimento di s come un altro. In questo riconosci-
mento c unaccoglienza a partire dalla quale si struttura il S: c un pre-
cedente, un passato dellunit, che sospende la chiusura dellio in uniden-
tit perfetta.
La sospensione del S, in base alla diacronia che ne mostra il carattere
secondario di ritorno, e ne rende dunque impossibile il raccogliersi in una
presenza piena, non pu essere pensata secondo Levinas alla luce di un
surplus di unit ancora sopravvivente oltre il S, perch dietro questul-
tima ritorna ostinatamente proprio la pretesa di interiorizzarepienamente
la relazione. Il senso della relazione va cercato invece proprio nella stessa
alterit del S, in quello che in esso Levinas indica come il megliodella
prossimit
18
, cio la decisione preoriginaria per il bene, lestroversione
che precede lindifferente spinta allappropriazione. Questo il senso
delletica prima dellessere, dellappello che proviene da Altri e obbliga
originariamente ad altri. Ebbene, Derrida rischia secondo Levinas di rica-
dere dal lato di uninterpretazione universalizzante della relazione, la-
sciando che lindifferenza copra il pi nel meno, cio il meglio
dellalterit. La sua decostruzione, che non a caso parte dallaccettazione
di una violenza trascendentale, fa ricorso a una struttura nella quale so-
pravvive lidea di un fondamento unitario e impersonale dellessere. Il
pensiero della diffrancetorna cos a far leva sulla neutralizzazione metafi-
sica dellalterit perch, a dispetto del suo potenziale critico nei confronti
della presenza, cede allorizzonte della simultaneit e del possesso pieno,
di cui ripropone unestrema metamorfosi. Nel mostrare limpossibile pie-
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19
NP 70.
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 107
nezza della presenza, il movimento del differire continua infatti a muo-
versi nel cerchio dellessere e del nulla, conservando il modello di
unidentit perfetta sia pure nella figura negativa della disfatta della feli-
cit sperata, nel simulacro della defezione della presenza; e cos semplice-
mente trasfigura latteggiamento metafisico in uninterminabile critica de-
costruttiva: una perseveranza nella tradizione ontologica attraverso il gu-
sto dellinfelicit, perch sotto lunico segno persistente di una violenza
trascendentale.
In generale, il concetto di differenza offre un estremo rifugio alla pre-
senza
19
, fino a quando non viene rinviato allalterit che eccede il differi-
re e lo riformula come non-indifferenza ad altri. Solo se integrata con
questo riferimento, la diffrancepu certamente ritornare preziosa per de-
finire il senso di una relazione che nasce dalla rottura della relazione. Ri-
pensato alla luce della non-indifferenza, lapproccio decostruttivo di
Derrida al governo non-contraddittorio dellopposizione offre a Levinas un
appoggio per non schierare il proprio discorso n nellorizzonte del princi-
pio di non-contraddizione n tra gli eversori a cuor leggero di un tale prin-
cipio e, con esso, dellunit, dellunico, del singolo; e per fare entrare nel
discorso, ripensato come il terreno del dire e del contra-dire, linterlocuto-
re con la sua prossimit che non mai presenza. La prossimit intende va-
lere per un verso come una precisa antitesi rispetto alla contaminazione;
ma per altro verso mette in gioco anchessa una relazione che insieme
rottura della relazione. Proprio la critica pi rilevante di Derrida, quella
che libera il tempo dalla subordinazione alla presenza, suggerisce la pos-
sibilit di una relazione non pi regolata da qualcosa di comune, bens
orientata dalla diacronia irriducibile dellaltro: la non-in-differenza si pu
considerare senzaltro, in questo senso, ancora una differenza, ma non pi
misurata in maniera ultimativa dallidentico, cos da essere relegata nel
territorio puramente nominale della contraddizione. La liberazione dellin-
terlocuzione dal concetto formale di contraddizione trasforma anche la
controversia con Derrida: si perderebbe la distanza del detto dal dire, la
non-simultaneit che impedisce la contraddizione, se in una posizione co-
me quella di Derrida ci si limitasse a cogliere il riferimento negativo (e gi
esposto allargomento antiscettico) al fallimento della presenza; ci si fa-
rebbe ancora catturare, insieme al proprio interlocutore, in un presunto
luogo della lingua, la quale, interamente a disposizione di colui che par-
la, simula la sincronia stessa, e ripropone perci la presenza per eccel-
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 107
108 Leonardo Samon
lenza di un sistema o struttura che possiede pienamente ci che invece fa
difetto a ogni simultaneit empirica. Invece, proprio sulla base del lavoro
decostruttivo di Derrida, anche se in parte in opposizione a lui, si pu rin-
viare dal detto al dire, e cio allinterlocutore, allaltro uomo; e si pu an-
dare incontro nellinterlocuzione a un essere che presente alla sua mani-
festazione, ma in una relazione mai risolvibile nellenunciato o nel detto.
Attraverso linterlocuzione la critica al primato dellidentit si estende al
paragone degli incomparabili, che continua a sedurre Derrida in direzio-
ne di una necessit di sapere e di una mediazione neutrale del concetto,
nelle quali gi tacitata la primitiva struttura dinvocazione del discorso, e
cio il suo averesenso solo a partire dallappello preoriginario di Altri.
Al contrario, solo la separatezzafino allateismo per Levinas la dimensio-
ne nella quale diviene possibile il legame non totalizzante, la dipendenza
senza simili, senza comparazioni e riaffermazioni dellidentico, ossia pro-
prio quel legame che egli chiama religione: questo infatti il nome della
relazione che non costringe, della prossimit reale, della fraternit, che
sovrabbonda in seno allassoluta unicit nella separazione. Anche la crea-
turalit, difesa fino in fondo come condizione in certo modo ultima, non in-
tende definire unestrema, insormontabile gerarchia se non addirittura una
schiavit, quanto piuttosto determinare nel modo pi radicale la condizione
di finitezza come una dimensione nella quale lautosufficienza rimanda alla
passivit, liniziativa al dono, la libert alla responsabilit.
Il recupero dellesteriorit come fondamento e senso di uninteriorit re-
sponsiva e responsabile non pu del resto avere soltanto il tratto negativo
dellinsistente rinvenimento di aporie in ogni figura dellidentit, sicch
laccesso allAltro ne risulti sempre richiesto e insieme sbarrato, ma sfrut-
ta anche le risorse relazionali nascoste nellidentit riflessa. Il modo
dessere del S (quello che anche Ricoeur ha chiamato identit-ipsee con-
trapposto allidentit che esclude la diversit, o identit-idem) suggerisce
unapertura e unaccoglienza irriducibili della coscienza, un suo esser-al-
tro al di l del senso attivo della capacit dinteriorizzazione. Le risorse
comunicative dellio sono affidate da Levinas addirittura a ridefinizioni
passive del soggetto quale ostaggio o sostituto dellAltro. Liden-
tit-ipsedeve accogliere, per costituirsi, un aspetto diacronico della rela-
zione, mai riappropriabile nellidentit stessa e anzi addirittura nemmeno
nella relazione a due che fa rivivere lidentico nella reciprocit di Io e Tu.
La distanza incolmabile nella relazione di interlocuzione fa s che, mentre
laccesso diretto allAltro impossibile, un accesso indiretto non solo
possibile, ma la stessa attuazione del S. Qui la separazione irrinuncia-
06 Samon 93 22-11-2010 10:54 Pagina 108
20
EMM 182.
Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 109
bile: la resistenza dellopposizione allinclusione nellidentit dovuta
proprio allimpossibilit di riunificare lalterit dellaltro e laltro nelliden-
tico; di pensare in una cornice di comparabilit laltro dellaltro; di ridurre
in qualche modo lunicit di Altri. Levinas recupera perci il richiamo di
Derrida allaltro dellaltro, che sembrava un passaggio inesorabile verso la
contaminazione, riconfigurandolo in modo decisivo attraverso lidea di giu-
stizia, intesa come una pi radicale scomposizione, attraverso il terzo
che turba lesteriorit a due, della mia relazione con lunico e lin-
comparabile, ancora in certo modo attratta nellidentit della coscienza.
La giustizia non ristabilisce nel posto pi alto lequiparazione, ma radica
definitivamente nellincomparabilit e nellirriducibile singolarit lequili-
brio possibile della relazione. Il terzo che essa introduce non il termine
medio, ma anzi sempre lunico in eccesso rispetto alla relazione.
5. La difesa comune dellopposizione
Lo strettissimo terreno di scontro tra Levinas e Derrida, come mostra
anche lulteriore sviluppo della discussione tra i due pensatori, proprio il
senso del legame etico, inteso quale logica dellalterit. Il rifiuto del-
la contaminazione (un Dio non contaminato dallessere) che apre come
una dichiarazione programmatica Autrement qutredi Levinas, torna ad
essere discusso, nel saggio derridiano En ce moment mme, come un atteg-
giamento che tiene in sospeso la scrittura levinassiana, poich la porta a
lottare contro una contaminazione necessaria in ogni ripresa di ci che
altro dal detto, fuori dalla sua sincronizzazione. La contaminazione la
parola-chiave, su cui si deveprendere posizione, perch si d apriori, pri-
ma del contatto, nella semplice necessit di annodareinsieme delle inter-
ruzioni come tali
20
. Ma nel dire altrimenti di Autrement qutre viene
ora seguito lo spostamento significativo del concetto di relazione: attraver-
so linterruzione del rapporto di appropriazione, nella quale lopposizio-
ne dello Stesso e dellAltro viene superata e assoggettata allidentit rifles-
siva, si fa strada il legame eticodi un rapporto dinterruzione; lopposi-
zione perde il carattere di contrariet (governata per sua natura dal predo-
minio apriori dello Stesso) e acquista quello di somiglianza; questulti-
ma non il semplice sigillo impresso in una diversa materia, n il rimando
gerarchico della copia al modello, ma la contaminazione di eterogenei, la
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110 Leonardo Samon
presenza dellAltro nello Stesso: la rottura nella relazione, limpossibilit
di unattuazione pura della somiglianza stessa, la persistenza stessa
dellopposizione. questo il legame che non costringe, il legame con lim-
presentabile, il dono (nel presente), cio la presentazione dellimpresen-
tabile (e in questo senso effettivamente la religione). Il lavoro della con-
taminazione consiste ora in unincessante reinscrizione del resto,
dellaltro dellaltro, che ogni ammissione univoca dellalterit in prima
istanza vuole escludere; e a una tale ammissione oppone invece unapertu-
ra incondizionata allalterit, sia disseminando il senso religiosodel do-
no con unanalogia tra tutti i nomi propri, che orientano il discorso verso il
non accomunabile; sia combinando lalterit assoluta con la differenza ses-
suale, con il nome di uomo o di donna, che fanno da ostacolo a una sepa-
razione pura.
La contaminazione acquista in Derrida sempre pi i tratti di un ripen-
samento dellidentit come aporia. Identit e alterit convergono nella re-
sistenza dellaporia, nellimpossibile pensiero della disgiunzione, cio di
una particolarissima connessione o struttura che nasce dalla presenza
doppia dellaltro nel dono. Il doppio legame che lopposizione fa traspa-
rire dietro il pensiero della disgiunzione deveessere semplicemente pos-
sibile, cio necessariamente inattuato, aporetico rispetto allalterit. Alla
negoziazione tra lo stesso e laltro Derrida affida la possibilit estrema
di un passo, di un passaggio dentro laporia, e la possibilit di esercizio
della filosofia di fronte al pensiero, insieme inaccessibile e inaggirabile,
dellalterit.
Il punto fermo, non decostruito n decostruibile, del confronto tra i due
pensatori rimane fino allultimo lopposizione: essa chiamata a misurare i
rischi ora dellassolutamente Altro levinassiano, ora della neutralit della
differenza derridiana. La polemica stessa tra i due pensatori attratta irre-
sistibilmente nel circolo che Derrida aveva descritto come la strana sim-
metria nella quale solo la riduzione della violenza pu stabilire la pace.
In questo modo arriva a un punto critico laporia tra salvaguardia dellaltro
dalloppressione dello stesso, e contenimento di quella violenza trascen-
dentale che in questa stessa salvaguardia fatalmente in azione. Alla luce
di una tale aporia la cura levinassiana dellaltro implica necessariamente
il confronto derridiano con la contaminazione nella forma della violenza.
In Derrida la cura dellimpossibile fa emergere finalmente il riferimento
non decostruibile delle decostruzioni. Limpossibile laltro, accolto senza
pi risorse critiche di fronte alla contaminazione ultima tra perdono e giu-
stizia, tra conciliazione e violenza; e la contaminazione si appoggia a sua
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Sulla logica dellopposizione: lalterit tra Derrida e Levinas 111
volta saldissimamente a unostilit insuperabile verso il risvolto vittimario
che si crede di ravvisare nella sua figura estrema proprio l dove la filoso-
fia ha voluto la conciliazione. Qui si tocca il limite pregiudiziale della de-
costruzione: la cura del diverso (la sollecitudine per la vittima, per usare
unespressione di Ren Girard) trascina in unostilit irremovibile verso
una conciliazione che stia pi in alto dellopposizione, e dunque in assolu-
to verso la conciliazione. La cura per lalterit riduce la violenza in una di-
mensione residuale ma non pi decostruibile, a partire dalla quale possi-
bile finalmente esibire la verit dellAltro, e con mossa antiscettica barri-
carla contro ogni possibile obiezione: un uso estremo della confutazione,
questo, che Derrida accetta senzappello come violenza minore.
Anche per Levinas lopposizione irriducibile quella tra lindifferenza
e il meglio costituito dalla non-in-differenza. La filosofia deve prendere
misura da questa opposizione, che definisce anche i limiti della socialit e
persino i limiti che lasimmetria detta allaccoglienza dellaltro. Lacco-
glienza sembra significare anche qui accettazione della violenza legata
inesorabilmente alla giustizia. La diffidenza per la contaminazione nasce
anchessa dalla difesa del tratto irriducibile nellopposizione. Anche in
questo caso, nella difesa dellaltro viene identificato il limite della possibi-
lit per il pensiero di svincolare laccoglienza dalla violenza. Approdiamo
in tal modo allesito aporetico dellapertura del pensiero allalterit, nella
forma rigorosa che Levinas e Derrida hanno sviluppato, portando linterro-
gazione filosofica al cuore della formazione soggettivadellidentico a parti-
re dallopposizione. Ci rimane cos in consegna un lavoro dinterrogazione
sullintreccio tra violenza e accoglienza: un lavoro che dovrebbe forse sfi-
dare con una lettura conciliativa (ma materia per un altro testo) il contra-
sto nel quale si ritrovano catturati i due pensatori allinterno della comune
battaglia contro quella che giudicano come la tendenza filosofica ad oppri-
mere la resistenza della diversit.
Abstract
Derrida got nearer and nearer to the thought of otherness by deconstructing the
metaphysical supremacy of identity, using a new logic: the logic of the double bind to
opposition which is accepted when its subjected by the supremacy of the identity, but
which is refused when its opposed to this supremacy. By considering this opposition in
its irreducibility Derrida accepted the attention for the other typical of Levinas philoso-
phy; but, in this way, the thought of otherness comes to be linked with violence.
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TEORIA 2006/1
1
E. Severino, Verit, negazione, differenza, Teoria, XXII/2002/2 (Nuova serie XII/1),
pp. 3-15.
2
L. Tarca, Differenza e negazione. Per una filosofia positiva, La Citt del Sole, Napoli
2001.
3
Salvo diversa indicazione, in tutto il presente saggio i numeri di pagina si riferiscono
allarticolo di Severino sopra citato.
Tutto diverso dalla negazione
Luigi Vero Tarca
Tratter il tema identit/alterit a partire dalla nozione di differenza, in
particolare in relazione alla distinzione, che ritengo fondamentale, tra la
differenza e la negazione, o, per essere pi preciso, alla distinzione tra la
differenza e la differenza negativa. A tal fine prender lo spunto da un arti-
colo
1
nel quale qualche tempo fa Emanuele Severino ha preso in esame un
mio libro
2
muovendo al suo contenuto alcuni rilievi critici. Le osservazioni
che l mi vengono fatte sono di vario genere, ma la riserva centrale (p.
9)
3
che egli avanza nei confronti della mia posizione che la nozione chia-
ve sulla quale essa si fonda, cio quella di differenza intesa come unentit
diversa dalla negazione, non assume alcun senso (ibidem); anche se lo
stesso Severino ammette poi la possibilit che una pi attenta ricerca
(ibidem) possa invece giungere a una conclusione diversa.
Cercher dunque di rispondere a questa osservazione di Severino espli-
citando la mia posizione per quanto riguarda la distinzione tra la differen-
za e la differenza negativa; tale chiarimento dovrebbe consentire poi di
fornire una risposta generale alle altre critiche di Severino, anche se que-
sta seconda parte del discorso verr qui solo accennata, in quanto un suo
svolgimento completo richiederebbe uno sviluppo troppo ampio.
Potrei incominciare dicendo che sono io che vorrei chiedere a Severino
e a molti altri filosofi qual esattamente il senso che loro danno ai termini
differenza e negazione, e alla distinzione tra le due nozioni; perch ho la
Lidentit in questione
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 113
114 Luigi Vero Tarca
netta impressione che quasi sempre tali parole vengano assunte in manie-
ra ovvia e scontata, come se fosse del tutto chiaro e pacifico che cosa esse
significhino. Lintento del mio lavoro filosofico in gran parte proprio
quello di contribuire a chiarire queste due nozioni (differenza e negazio-
ne), la loro reciproca relazione e quindi anche la differenza tra di esse.
Per essere pi esplicito ed entrare subito nel cuore della questione, di-
rei che mi pare che nel discorso filosofico (come del resto anche in quello
ordinario) valga generalmente un tacito presupposto, precisamente lassun-
zione che non vi sia differenza che non sia una forma di negazione, e che
quindi ogni differenza sia una negazione, quanto meno nel senso che la
differenza equivale comunque alla negazione della identit dei differenti.
Ritengo che questa identificazione della differenza con la negazione
dellidentit, conferendo un privilegio aprioristico alla negazione, ostacoli
una soluzione soddisfacente dei problemi filosofici, la risposta ai quali esi-
ge che si pensi una nozione di differenza distinta da ogni forma di negazio-
ne (compresa la negazione dellidentit), quella che appunto per ci io
chiamo pura differenza.
Ancora a livello di battuta preliminare potrei aggiungere che forse uno
dei motivi per i quali Severino dice di non trovare nei miei scritti il signifi-
cato o, se vogliamo, la definizione della pura differenza consiste nel fatto
che anchegli come del resto, per quanto mi dato di vedere, quasi tutti
coloro che ascoltano i miei discorsi si attende di trovare una definizione
del termine, o una determinazione del suo significato, di tipo negativo, tale
cio che laffermazione di una proposizione implichi automaticamente la
negazione di almeno unaltra proposizione (per esempio, e in particolare,
la negazione della sua negazione); naturale allora che ci che egli trova
in un discorso come il mio, il quale ha invece cura di distinguere chiara-
mente laffermazione di una proposizione (p) dalla negazione di qualsiasi
proposizione (compresa la negazione della negazione di p), sia essenzial-
mente diverso da ci che egli si aspetta, e appaia quindi insoddisfacente o
addirittura privo di senso dal suo punto di vista. Insomma, credo di poter
dire che la comprensione della mia proposta filosofica richiede una rota-
zione dello sguardo, cio lapertura di un modo nuovo e poco usuale di ve-
dere la realt; cos che se le mie parole vengono assunte allinterno della
vigente interpretazione negativa od oppositiva, esse finiscono per avere
un significato contraddittorio o per apparire prive di significato. A questo
proposito significativo lincipit (p. 3) del discorso di Severino (Tra le
critiche pi interessanti ed originali rivolte al mio discorso filosofico
[...]); perch se il mio discorso viene inteso come una criticanei confronti
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 114
4
Tengo a precisare che, anche se a me pare che siano assenti, in quel mio libro, espressio-
ni che abbiano una forma esplicitamente negativa, del tipo Questa proposizione di Severino non
vera e simili, probabilmente Severino ha qualche ragione nel ritenere che almeno alcuni passi
di quel libro suonino come una critica (negativa) nei confronti della sua posizione; sicch, nella
misura in cui cos , nella misura cio in cui il mio testo suona come una negazionedel suo pen-
siero e della sua verit, allora sono io il primo a riconoscere che opportuna una riformulazione
del mio discorso capace di conferirgli un aspetto differente da quello che lo fa consistere in una
posizione critico-negativa.
5
Cfr. anche: [...] se la liberazione dalla contraddizione non pu esserenegazione della
contraddizione (p. 7, corsivo mio).
Tutto diverso dalla negazione 115
del discorso di Severino, e se, naturalmente, il termine critica possiede
una carica negativa (come accade se, per esempio, implica proposizioni
negative del tipo La posizione di Severino non vera, oppure ...non
adeguata, e simili), allora effettivamente il mio discorso si espone fatal-
mente a delle obiezioni radicali
4
.
Sempre in relazione a queste note preliminari (e tuttavia importanti)
vorrei rilevare che anche a Severino come del resto praticamente a tutti
coloro che si riferiscono alla mia filosofia risulta difficilissimo formulare
la mia posizione in maniera effettivamente conforme allintenzione che
guida i miei scritti; perch quasi sempre essa viene automaticamente tra-
dotta e formulata mediante espressioni negative, cio mediante proposizio-
ni nelle quali qualcosa viene in qualche modo negato.
Per esempio, nellarticolo in questione si dice, a proposito della mia po-
sizione:
Essa nonsostiene dunque che la differenza non negazione (altrimenti la diffe-
renza sarebbe negazione della negazione, e quindi sarebbe contraddizione), ma sostiene
che la differenza differisce dalla negazione. E, analogamente, nonsostiene che lamore
non odio (altrimenti lamore sarebbe negazione dellodio, e dunque contraddizione),
bens che lamore, semplicemente, differisce dallodio. E la verit non negazione
dellerrore, ma, semplicemente, differisce dallerrore [p. 7; i corsivi sono miei].
Proprio nel momento in cui presta la massima attenzione per cercare di
restare fedele al senso del mio discorso (e infatti ha cura di distinguere la
mia posizione da quella che, affermando per esempio che la differenza
non negazione, nega lesser negazione da parte della differenza), questa
formulazione ripropone poi, nel presentarlo, formule di tipo negativo (non
sostiene; non negazione)
5
. In questo modo ecco una prima osserva-
zione la mia posizione viene automaticamente presentata come quella
che si contrappone alla posizione affermante che la verit negazione
dellerrore e quindi come quella che in qualche senso nega la verit di
questa proposizione (La verit negazione dellerrore). Losservazione,
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6
Mi ricordo che durante la correzione delle bozze di Differenza e negazioneho passato un
numero considerevole di ore a emendare le pagine da (quasi) tutti i passi nei quali la mia posi-
zione veniva espressa mediante formule negative, e tuttavia possibile che alcune di queste sia-
no rimaste. Inoltre si pone qui un problema delicatissimo, quello cio di distinguere questo mo-
do di trattarele negazione da ogni eliminazione della negazione che ne presupponga la negazio-
ne, giacch questo risulterebbe immediatamente contraddittorio.
7
Gli opposti (o negativi) sono luno la contro-parte dellaltro. Vi per esempio differenza
negativa tra pari e dispari, se si intende che il fatto che un numero sia pari esclude che esso sia
116 Luigi Vero Tarca
che a prima vista pu sembrare un eccesso di pignoleria, invece decisi-
va; perch la mia posizione, in quanto quella che definisce la verit co-
me differente rispetto a ogni contenuto negativo (cio determinato median-
te una negazione), se viene letta negativamente (ovvero in maniera tale che
ogni differenza viene tradotta con una negazione) finisce per presentare la
verit come negazione di ogni contenuto negativo e quindi anche di ogni
negazione; ma in tal modo la mia stessa posizione viene a costituirsi ol-
tre che come negazione delle proposizioni negative altrui (quali Lessere
non il non essere, Lessere non diviene, La verit non lerrore, e si-
mili) pure come negazione di se medesima (in quanto anchessa una
negazione).
doveroso precisare, da parte mia, che in questa traduzione in negati-
vo della mia posizione Severino si trova in buona compagnia, e direi anzi
ottima, se si considera che tra tutti coloro ai quali capitato, traducendo
in negativo quello di cui il mio discorso intende parlare, di rovesciarne il
senso autentico (cio quasi tutti e quasi sempre) devo includere anche il
sottoscritto, dal momento che mi capitato di trovare nei miei scritti, so-
prattutto in quelli meno recenti, alcune formulazioni negative che, anche
se spesso giustificate, oltre che da un inveterato automatismo, dalla ne-
cessit di essere sintetico e di evitare perifrasi troppo complicate, finisco-
no per per rendere problematico il mio discorso o addirittura per confe-
rirgli un aspetto contraddittorio
6
.
* * *
Veniamo dunque al punto. Incomincio con il precisare quello che inten-
do per differenza negativa.
Chiamo differenza negativa la differenza che istituisce una bipolarit (o
dualit) dicotomicatale che ciascuno dei due poli esclude almeno un tratto
dellaltro, precisamente quel tratto che definisceil secondo polo come diffe-
rente dal primo. La differenza negativa istituisce dunque unopposizione
(contrapposizione) tra i differenti, che per questo vengono chiamati opposti
7
.
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 116
anche dispari (e viceversa). Lo stesso vale per la differenza tra maschio e femmina (un individuo
maschio non pu essere femmina, e viceversa), tra bene e male, tra freddo e caldo, tra vero e fal-
so; ma anche tra freddo e non freddo, tra vero e non vero, ecc. In generale si istituisce una diffe-
renza negativa tutte le volte che la differenza implica che vi sia almeno un elemento dellun ter-
mine, precisamente quello che lo definisce differenziandolo dallaltro, che viene negato rispetto
a questultimo. Per esempio la differenza negativa tra il pari e il dispari consiste nel fatto che il
numero pari possiede un tratto (la divisibilit senza resto per due) che invece viene escluso ri-
spetto al numero dispari. La differenza negativa tra il caldo e il non caldo (il contraddittorio del
caldo) il fatto che il non caldo (poniamo per esempio il verde) manca di almeno una propriet
che rende caldo il caldo (poniamo: la capacit di alzare la temperatura di un altro corpo con il
quale entri in contatto); e cos via. Come si vede, tale definizione include tanto quelli che tradi-
zionalmente vengono chiamati i contrari (bene/male) quanto quelli che vengono chiamati i con-
traddittori (bene/non bene).
8
Per esempio la relazione di vicinanza istituisce la differenza tra i vicini. Se si volesse dire
che i vicini, per essere differenti, devono essere non identici, si pu osservare che in tal modo
viene attribuito, ai differenti, un carattere negativo che aggiuntivo rispetto a quello della diffe-
renza, e di questa aggiunta bisogna allora rendere ragione. Ovvero si pu osservare che limpli-
cazione necessaria tra la differenza e la negazione presuppone una particolareconcezione di dif-
ferenza, quella appunto che la identifica con la negazione dellidentit dei differenti. Qui, inve-
ce, si definiscela differenza tra la differenza (ci che istituisce le determinazioni) e la differenza
negativa (ci per cui le determinazioni risultano reciprocamente escludentisi); nel seguito imme-
diato del discorso si mostrer come lassunzione della equivalenza delle due figure (differenza e
differenza negativa), ovvero lidentificazione della differenza con la negazione dellidentit, con-
duca a conclusioni contraddittorie.
9
In quanto istituisce le determinazioni, la differenza ne costituisce lelemento definitorio e
quindi essenziale. Di conseguenza, la differenza negativa costituisce un tratto essenziale dei due
poli opposti che mediante essa vengono istituiti.
10
Si faccia attenzione a quanto segue. O si dice che i termini differenza e negazione sono
assolutamente sinonimi, ma allora anche la semplice differenza (per esempio) tra lEssere e len-
te, o tra il bianco e la neve, viene ad essere una reciproca negazione dei due differenti, con con-
seguente estensione universale della contraddizione (giacch la semplice attribuzione dellesse-
re allente equivale alla congiunzione di due elementi incompatibili); oppure si riconosce che i
due termini hanno significati diversi, ma allora chi afferma che vi un nesso necessario tra la
differenza e la negazione (come costretto a fare chi afferma che ogni differenza una negazio-
ne) che ha lonere di dimostrare la necessit di questo nesso. Ora, a me pare che ogni dimostra-
zione siffatta presupponga il nesso necessario tra differenza e negazione. Ci vale anche per la
tradizionale fondazione elenctica dellopposizione. Questa, infatti, dimostra che, se vi fosse
una determinazione differente da quella negativa, essa sarebbe non negativa, e costituirebbe con
Tutto diverso dalla negazione 117
La differenza negativa si presenta cos come un aspetto della differenza,
la quale viene qui definita in generale come ci che istituisce le determina-
zioni
8
. Queste, infatti, sono tali proprio in quanto vengono determinate(de-
finite) mediante la propriet che le distingue dalle altre determinazioni
9
.
La negazione invece ci che rende le determinazioni reciprocamente
escludentisi (almeno per un tratto), e quindi contrastanti. La differenza ne-
gativa cos quel tipo di differenza che, nellistituire le determinazioni, le
rende incompatibili, ovvero reciprocamente escludenti
10
. Le determinazio-
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ci stesso una individuazione proprio di ci a cui vorrebbe sfuggire. Ma questo tipo di confuta-
zione presuppone appunto quella equivalenza tra differenza e negazione che si tratta invece di
giustificare. E se persino la confutazione elenctica (di tipo negativo) fallisce nella giustificazione
di quella proposizione, ci si deve chiedere quale altro tipo di giustificazione filosofica si potreb-
be proporre a suo sostegno. Ma per una trattazione meno sintetica di questo punto devo rimanda-
re agli altri miei scritti indicati nella nota 27.
118 Luigi Vero Tarca
ni che vengono istituite mediante una differenza negativa si chiamano na-
turalmente determinazioni negative.
In quanto si escludono reciprocamente per almeno un tratto, entrambi i
poli opposti si differenzianoda (qualcosa di) ci che contribuisce a renderli
differenti. In particolare essi si differenziano sia dallinsiemeche li costi-
tuisce sia dalla differenzache li rende opposti alla loro contro-parte. Il loro
insieme, infatti, un tutto costituito, oltre che dei due poli, anche degli
elementi che ciascuno di essi esclude rispetto allaltro. La differenza, in-
vece, si configura come un momento del differente, precisamente quel suo
aspetto per il quale esso si differenzia oppositivamente dal polo opposto.
In tal modo linsieme si costituisce come una entit ulteriore(terza) rispet-
to ai due poli (in quanto) contrapposti; e lo stesso vale, sia pure in modo
diverso, per la differenza. Infatti il primo, per cos dire, incrementa la de-
terminazione negativa allesterno; la seconda la incrementa allinterno.
Questo vuol dire che sia linsieme dei due poli sia le loro differenze inter-
ne sono determinati mediante qualcosa (una differenza) che (anche) altro
rispetto a ci che determina ciascuna delle due determinazioni negative.
Ora, ogni espressione di carattere negativo (A non B, A non corre,
ecc.) esprime ed indica (testimonia) una differenza negativa e istituisce
quindi delle determinazioni negative. La negazione dellidentitdi due dif-
ferenti, che costituisce essa stessa una differenza negativa, la base co-
mune di qualsiasi differenza negativa. Si osservi che, se si fa coincidere la
differenza con la negazione dellidentit, allora ogni differenza viene auto-
maticamente ad essere negativa.
Tutto questo ha delle conseguenze.
Se si assume che non vi sia altra differenza oltre quella negativa, e quin-
di che ogni differenza sia negativa (e conseguentemente che non vi sia al-
tra determinazione oltre quella negativa, e quindi che ogni determinazione
sia negativa), allora tutte le figure (le determinazioni) che definiscono (de-
terminano) la totalit, cio che abbiano come loro tratto essenziale la for-
ma della totalit, vengono ad essere contraddittorie. Pertanto, nella misura
in cui le figure filosoficheeminenti hanno essenzialmente a che fare con la
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 118
11
Anche se si dice che solo la parte che manca di alcuni tratti, ma non il Tutto, e che la
differenza tra i due data proprio dal fatto che la parte manca di qualche tratto mentre il Tutto
non manca di alcun tratto; ebbene, anche in questo caso resterebbe fermo che il Tutto manche-
rebbe almeno del tratto di mancare di qualche tratto. Il Tutto mancherebbe almeno del tratto di
non essere il Tutto (di non essere identico al Tutto), tratto che invece la parte possiede.
Tutto diverso dalla negazione 119
determinazione della totalit, tutte le figure filosofiche vengono ad essere
contraddittorie. Quindi il discorso filosofico coerente (e compiuto), in quan-
to distinto da quello incoerente o contraddittorio (e incompiuto), distin-
to dal discorso che istituisce differenze negative; in quanto tale esso pre-
suppone una nozione di differenza diversa da quella negativa.
Illustrer ora questa circostanza in relazione ad alcuni esempi emble-
matici.
Primo caso: il Tutto
Chiamo Tutto la realt in quanto essa comprende ( costituita di) ogni
e qualsiasi entit (determinazione). Il Tutto linsieme di ogni realt: ogni
tratto della realt costituisce il Tutto e gli appartiene.
Se il Tutto viene determinato mediante una differenza negativa (cosa
obbligatoria, se non vi altra differenza oltre quella negativa e quindi ogni
differenza negativa), allora esso si costituisce come una determinazione
negativa, e quindi come polo di una dualit dicotomica il quale esclude al-
meno quel tratto che invece compete (appartiene) alla sua contro-parte in
quanto la definisce.
Il Tutto si differenzia dalle parti che lo compongono (lo costituiscono).
Esso si determina differenziandosi dalle sue parti: bisogna distinguere il
Tutto della realt dalla casa e dalla pianta, che pure lo costituiscono. Se
tale differenza negativa allora il Tutto manca di almeno un tratto che in-
vece le parti posseggono (si badi che, nellottica negativa, mancare di
equivale a non possedere). Se ogni differenza negativa, allora la parte,
in quanto differisce dal Tutto, non il Tutto; e per converso il Tutto, in
quanto differisce dalla parte, non la parte. Ma allora il Tutto manca al-
meno di quel tratto che fa essere parte la parte
11
.
In quanto il Tutto, nel suo determinarsi negativamente, resta definito
come mancante di almeno un tratto, esso viene ad essere differente da ci
che resta definito come comprensivo di ogni e qualsiasi tratto, ma questo
appunto il Tutto. In tal modo ci che viene determinato come Tutto (il Tut-
to-determinato) viene ad essere diverso dal Tutto. Ma poich anche questa
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12
Naturalmente si pu tentare di evitare tale contraddizione sopprimendo la figura del Tut-
to. Questa, del resto, la strada imboccata da gran parte del pensiero contemporaneo, soprattut-
to a seguito dellantinomia di Russell e degli studi di Gdel e Tarski. Essendo per qui il mio in-
terlocutore principale Severino, posso dare per scontato che tale figura sia filosoficamente es-
senziale. Chi invece richiedesse una giustificazione di tale assunzione, pu fare riferimento, ol-
tre che agli scritti di Severino, anche al mio libro sopra citato. In questa sede mi limiter dunque
a una battuta di ispirazione wittgensteiniana. A chi dice che il Tutto non pu esistere si deve
chiedere: Che cosa , esattamente, che non esiste?. Se egli replica che con ci si intende solo
dire che la parola Tutto non ha significato, gli si pu chiedere giustificazione di tale affermazio-
ne. Se poi come giustificazione viene addotta la circostanza che appunto essa comporta contrad-
dizione, allora gli si deve chiedere ragione della inviolabilit del principio di non contraddizio-
ne; a questo punto proprio il tentativo di fondare rigorosamente tale principio pone il problema
della giustificazione elenctica e, attraverso questa, conduce alla contraddizione che caratterizza
la figura del negativo di cui qui di seguito si dice. Per lapprofondimento di questi aspetti mi
permetto di rimandare ai miei scritti citati nella nota n. 27.
13
La realt in quanto negativo differisce dalla realt in quanto tavolo, sedia ecc. Dun-
que il negativo differisce da tutto ci che altro da esso; il negativo resta appunto determinato
mediante tale differenza essenziale.
14
Questo si badi vale sia se si intende (estensionalmente, potremmo dire, ma con tutte
le cautele del caso, considerati i presupposti della logica formale) il negativo come linsieme di
tutto ci che possiede il tratto del negativo, sia se lo si intende (intensionalmente) come ci che
tale da rendere negativa qualsiasi cosa lo possegga.
120 Luigi Vero Tarca
differenza ex hypothesi negativa (questo, infatti, il postulato originario),
il Tutto resta determinato come non Tutto (appunto perch viene definito
come non includente almeno un tratto della realt). Insomma, la differenza
che determina il Tutto come diverso dalle parti che lo compongono lo de-
termina pure come diverso dal Tutto, cio da se stesso. La definizione del
Tutto lo determina come differente dal Tutto, quindi come non Tutto, e per-
ci come figura contraddittoria
12
.
Secondo caso: il negativo
Chiamo negativo la realt in quanto essa viene istituita (determinata)
mediante una differenza negativa. Ogni determinazione negativa appartie-
ne dunque al negativo, partecipa di esso: negativo. Anche il negativo,
dunque, nella misura in cui determinato (definito), viene a differire da
ci che altro da esso
13
.
Ora, se non vi altra differenza oltre quella negativa e se quindi ogni
differenza (determinazione) negativa, allora anche la differenza che de-
termina il negativo (che lo istituisce come determinazione) negativa, e di
conseguenza anche il negativo una determinazione negativa
14
.
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 120
Tutto diverso dalla negazione 121
Ma (sempre se ogni differenza-determinazione negativa) la determina-
zione del negativo d luogo a una contraddizione. Perch ci che differente
dal negativo(e questo ci deve essere, dato che il negativo si determina per
differenza rispetto al suo altro) viene ad essere (per definizione, stante che
la differenza negazione della propriet che definisce la contro-parte) non
negativo; ma allora, proprio in quanto nonnegativo (negativo rispetto al ne-
gativo), viene ad essere negativo. La determinazione della realt che la de-
finisce come altra rispetto al negativo viene ad essere contraddittoria.
In tal modo, contraddittoria viene ad essere pure la determinazione del
negativo, dal momento che questo: da un lato deve escludere il tratto che
definisce il suo opposto (il non negativo), e cio deve escludere da s la
propriet di non essere negativo, ma dallaltro lato, in quanto negativo
almeno nei confronti di quel negativo che il non negativo, viene a sua
volta ad essere negativo nei confronti del negativo (quanto meno nei con-
fronti di una parte del negativo).
Vale la pena di evidenziare sia pure solo di passaggio la rilevanza che
questa circostanza ha dal punto di vista etico. Perch nella misura in cui si
attribuisce una valenza etica alla distinzione negativo/positivo, tale cio che
il primo corrisponda in qualche modo al male e il secondo al bene, ecco che
(sempre assumendo che ogni differenza sia negativa) il bene, inteso come
non male, viene ad essere a sua volta una forma del male. In tal modo ogni
tentativo di realizzare il bene inteso come non male (la pace come non guer-
ra, ecc.) si determina automaticamente come lopposto di ci che intende es-
sere, cio (anche) come male. Questo tema che per altro va trattato con
estrema cautela ricorre spesso nei miei scritti; perch secondo me esso
contribuisce a rendere ragione di molte tragedie che affliggono lumanit,
specialmente in merito alla circostanza che quasi sempre i grandi progetti
emancipativi rispetto al male hanno effetti opposti a quelli desiderati.
Si badi che lequivalenza tra positivo/negativo da una parte e bene/male
dallaltra equivalenza che per altro, giova ribadire, solleva una serie di
questioni filosofiche di estrema complessit e delicatezza tuttaltro che
peregrina. Tale equivalenza, infatti, motivata in particolare dalla circo-
stanza che il negativo viene inteso come un male in quanto espressione
del rifiuto di almeno qualche aspetto della realt (e il rifiuto esperienza
di dolore, quindi male); pertanto la distinzione del bene dal male richiede
la determinazione di ci che differisce da ogni forma di male e quindi di
rifiuto. Solo che se il bene resta definito negativamente allora esso viene a
sua volta ad assumere il volto di un negativo, cio di un rifiuto e quindi di
un male. significativo, da questo punto di vista, che alla base delle prin-
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 121
15
Che una determinazione completa e conclusiva significa qui semplicemente che essa
determinata in tutti i suoi aspetti. Si badi per che anche la determinazione pi vaga, sfuggente
e confusa risulta comunque completamente (conclusivamente, perfettamente) determinata (ap-
punto come vaga, sfuggente e confusa).
16
Si tratta in particolare, come si ricorder, da un lato dellinsieme che costituito dei due
poli opposti, e dallaltro lato della differenza che oppone ciascuno di essi allaltro. Questo punto
pu essere chiarito mediante la seguente semplice considerazione. Si consideri la differenza tra
xe y. Se tale differenza negativa, allora vi anche una nuova entit (z) differente da entrambi.
Ma se tutte le differenze sono negative, allora anche la differenza tra xe zdetermina una nuova
entit (z1), come pure la differenza tra ye z(z2); e cos via allinfinito.
122 Luigi Vero Tarca
cipali forme sapienziali dellumanit vi sia proprio una figura equiparabile
a quello che ho chiamato il Tutto, inteso appunto come ci che includendo
tutto differisce da ogni negativo.
Terzo caso: la determinatezza
Nella misura, poi, in cui la determinazione in quanto tale in qualche
modo completa, e in questo senso conclusiva (appunto perch essa, deter-
minandola realt, la chiude e quindi in qualche senso la con-clude
15
), ec-
co che tale nozione (determinazione) viene ad essere contraddittoria (sem-
pre se non vi altra differenza oltre quella negativa e se quindi ogni diffe-
renza/determinazione negativa). Perch la determinazione completa in
quanto tale che tutti i differenti aspetti che la costituiscono sono definiti
(determinati); ma daltro canto, in quanto negativa, essa viene a costituir-
si come un processo che si sviluppa senza fine (regressus in indefinitum).
Perch, qualunque sia la determinazione che viene definita, se questa
negativa allora essa in base a quanto abbiamo visto sopra implica (al-
meno) un ulteriore elemento, diverso da essa e terzo rispetto ai due poli
contrapposti, quindi determinato mediante qualcosa di diverso dalle diffe-
renze che determinano entrambi i poli (in quanto) negativi
16
.
* * *
Se, assumendo che non vi sia altra differenza oltre quella negativa e che
quindi ogni differenza sia negativa, ci si viene a trovare nella situazione
per cui tutte le posizioni filosofiche risultano essere contraddittorie, allo-
ra la posizione filosofica coerente come tale differente da quelle contrad-
dittorie comporta un altro tipo di differenza, oltre quella negativa, un tipo
di differenza definito appunto da questa sua alterit rispetto alla differenza
negativa.
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 122
17
Per esempio, in una scacchiera, una casella bianca costitutiva (co-istitutiva) della vici-
na casella nera, perch contribuisce a costituire quella (a costituirla come casella nera della
scacchiera); questo per molto diverso dal dire che la casella bianca identica a quella nera, e
ancor pi diverso dal negare che luna differisca dallaltra.
18
Puro, infatti, significa qui distinto da tutto ci che negativo, essendo il negativo lo
ricordiamo tutto ci che definito-determinato negativamente, ovvero mediante differenza
negativa.
Tutto diverso dalla negazione 123
Chiamo differenza positiva quella differenza che istituisce due deter-
minazioni definite dal fatto di essere totalmente costitutive luna dellaltra
(co-istitutive), e quindi totalmente compatibili luna con laltra (onnicom-
patibili). Questo vuol dire che le determinazioni positive sono caratterizza-
te dal fatto che ciascuno dei loro tratti costitutivo di ogni tratto dellaltra.
Si badi che dire x costitutivo di y diverso da dire x identico a y
17
.
Ora, evidente che la differenza positiva differisce da quella negativa;
ed altrettanto evidente che essa definita proprio dalla relazione di dif-
ferenza rispetto alla differenza negativa. Le determinazioni istituite per
mezzo di tale differenza sono le determinazioni positive.
Lintroduzione di questa differenza positiva sufficiente a risolvere i
nostri problemi filosofici?
Vediamo. Se noi interpretiamo questa differenza, in quanto essa diffe-
rente da quella negativa, come una differenza non negativa, accade che,
quando abbiamo a che fare con il Tutto, si riproduce una situazione apore-
tica simile a quelle che sopra abbiamo incontrato. Perch, come la diffe-
renza negativa istituisce una determinazione negativa, cos la differenza
non negativa istituisce una determinazione non negativa. Ma la determina-
zione non negativa , proprio in quanto nonnegativa, il polo di una dicoto-
mia che esclude il carattere opposto, cio quello della determinazione ne-
gativa; per questo motivo il Tutto, in quanto costituito di ogni e qualsiasi
momento della realt, viene ad essere diverso (dal momento che come
abbiamo visto diverso da tutto ci che possa essere determinato negati-
vamente) pure da tutto ci che determinato negativamente rispetto al ne-
gativo, quindi pure dal non negativo. In tal modo il Tutto viene ad essere
diverso tanto da ogni determinazione negativa quanto da ogni determina-
zione non negativa; o, forse meglio: il Tutto, in quanto diverso da ogni de-
terminazione negativa, diverso pure da ogni determinazione non negativa.
In quanto differente da ogni determinazione negativa (quindi anche da
quelle non negative), il Tutto viene ad essere una determinazioneche chia-
mopuramente
18
positiva. La differenza che costituisce tale pura determina-
zioneviene chiamata pura differenza. In altri termini, dunque, mentre la
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19
La pura determinazione istituisce (persino) la determinazione negativa come pura deter-
minazione. Anchessa, infatti, in quanto istituita mediante la pura differenza, distinta da
qualsiasi determinazione negativa. La determinazione negativa (in quanto pienamente, compiu-
tamente determinata) costituita dunque di due aspetti: quello per il quale essa negativa-
escludente nei confronti del suo opposto, e quello per il quale essa stessa pienamente compati-
bile (com-ponibile) tanto con il suo opposto quanto con il suo stesso essere negativa nei suoi
confronti. Questo secondo aspetto richiede, per essere determinato coerentemente, una differen-
za puramente positiva, perch fin tanto che esso viene determinato mediante una differenza ne-
gativa si ripropone il problema di un aspetto che invece sfugge alla determinazione in questione.
124 Luigi Vero Tarca
differenza positiva quella che definita (in generale) dal fatto di istituire
determinazioni reciprocamente costituentisi, la pura differenza
quellaspetto della differenza positiva che distingue (in generale) la deter-
minazione (in quanto) positiva dalla determinazione (in quanto) negativa (e
quindi anche dalla determinazione in quanto non negativa, cio negativa
nei confronti delle determinazioni/differenze negative).
La pura differenza dunque quella che istituisce positivamente la deter-
minazione positiva definendola positivamente rispetto alla determinazione
negativa in generale, e quindi anche rispetto a quella particolare forma di
determinazione negativa che la determinazione non negativa
19
.
Il compimento coerente del discorso filosofico esige dunque la definizione
positiva della determinazione positiva e della differenza positiva; richiede
cio che si definisca la realt mediante una differenza puramente positiva,
ossia mediante la pura differenza.
* * *
Le nozioni pura determinazione e pura differenza consentono di parlare
in maniera coerente di ci di cui invece allinterno di una prospettiva nega-
tiva (quella per la quale non vi altro tipo di differenza/determinazione
che quella negativa, e quindi ogni differenza/determinazione negativa) si
parla in maniera contraddittoria.
Allinterno dellottica che possiamo chiamare puramente positiva, risul-
ta infatti possibile determinare (e quindi pensare) in maniera coerente il
Tutto. Perch la pura differenza, consentendo di pensare la differenza co-
me qualcosa di diverso dalla negazione dellidentit, consente di affermare
che la determinazione del Tutto (intesa sia come determinazione di tutto
sia come determinazione-Tutto, cio come Tutto-determinato) diversa dal
Tutto e pur tuttavia coincide con esso. La pura differenza, insomma, con-
sente di pensare la parte come diversa dal Tutto eppure (e pure) come nel-
lo stesso tempo coincidente con esso; ed appunto questo ci che consen-
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20
Il Tutto potrebbe essere definito come la realt in quanto completa (compiuta, perfetta);
perch, qualunque aggiunta di parti si realizzi, il Tutto resta identico. Per esempio, se allEuropa
(intesa come il tutto che comprende lItalia) aggiungo lItalia, il risultato ancora lo stesso del
punto di partenza (lEuropa). Infatti lEuropa identica allEuropa-comprendente-lItalia, e lIta-
lia a sua volta identica allItalia-appartenente-allEuropa. Se si intende invece che il darsi
dellItalia costituisce laggiunta di qualcosa che non gi dato con il darsi dellEuropa, perch
si sottintende un ulteriore punto di vista, per il quale lEuropa non veramente il Tutto. Se noi
ora pensiamo al Tutto che davvero il Tutto, ecco che qualsiasi aggiunta ad esso lascia immu-
tato il totale.
Tutto diverso dalla negazione 125
te di fermare il regresso senza fine; perch la differenza che istituisce la
parte , in ogni suo tratto, la stessa che costituisce il Tutto. In unottica ne-
gativa (per la quale ogni differenza coincide almeno con la negazione
dellidentit, e per converso ogni identit coincide con la negazione della
differenza) assumere la differenza di due entit equivale a escluderne
lidentit. In questottica, dunque, la differenza che istituisce-definisce la
parte non la stessa che istituisce-definisce il Tutto ( unaltra, e cos esse
sono due); nellottica puramente positiva, invece, la parte sempre pensa-
ta come coincidente con la-parte-del-Tutto, di quel Tutto che a sua volta
coincide con il-Tutto-che--costituito-della-parte
20
.
Per questo, dato che il termine identico viene quasi sempre automati-
camente usato come sinonimo di non differente, potrebbe essere utile,
parlando del rapporto tra la parte e il Tutto, dire che quella, pur essendo
differente dal Tutto, fa tuttunocon questo. Tale espressione (fare tuttuno)
ha tra laltro il pregio di evocare immediatamente quel senso originario
dellesperienza filosofica per il quale la realt viene considerata come hen
kai pan, come uno e tutto. La cosa decisiva, qui, comprendere che se
lesser uno della realt viene pensato come incompatibile con il suo essere
le infinite, molteplici determinazioni che la compongono (comprese sia
detto di passaggio, ma losservazione fondamentale le determinazioni
che si contraddicono reciprocamente e quindi persino quelle che in qual-
che senso contraddicono il Tutto, cio tutte le determinazioni negative), al-
lora il Tutto cos determinato viene, da capo, ad essere una figura contrad-
dittoria, che in quanto tale allude al (vero) Tutto come a qualcosa di diver-
so da ci che in tal modo viene determinato.
chiaro che, come prima si parlato di differenza positiva e di pura
differenza, si pu ora parlare di identit positiva (quella che costituita
dellinsieme di differenti determinazioni) e di pura identit (quella che
consiste nellidentit positiva che raccoglie insieme le determinazioni po-
sitive e quelle negative.
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 125
21
Possiamo ben dire che T differisce da A perch la parte (A) definitain maniera diversa
da T, precisamente perch A la realt in quanto la si considera determinatasolo mediante al-
cuni tratti differenziali; per esempio: La neve (A) la realt in quanto bianca e fredda. In questo
sensopossiamo dire coerentemente che A determinata parzialmente, mentre T determinato
totalmente. Ma, come abbiamo visto, in unottica positiva una determinazione co-istituita da
tutti i tratti che definiscono le determinazioni da essa differenti, pur restando distinta da quelle.
Nel nostro caso, dunque, T (in quanto a sua volta una determinazione) differisce da A, pur es-
sendo co-istituito (determinato) mediante tutti i tratti di A, come peraltro A co-istituita (deter-
minata) mediante tutti i tratti di T. Questo significa che A viene determinata medianteil Tutto; e
il Tutto viene determinato medianteA. Si pu insomma dire che, se per un verso A una parte
di T, per un altro verso T che un momento di A, precisamente quel momento grazie al quale
A co-istituita da tutte le altre determinazioni della realt. Essi, dunque, sono reciprocamente
co-istitutivi; e tuttavia restano distinti; perch in-quanto-A che T resta determinato mediante
A; ed in-quanto-T che A resta determinato mediante T. (Si noti di passaggio che T distin-
to da T-in-quanto-T; in altri termini: T distinto da T-determinato; ovvero da T-differente-da-A).
126 Luigi Vero Tarca
Risulta dunque possibile parlare in maniera coerente del Tuttocome di
ci che costituito di ogni e qualsiasi aspetto della realt. Determinandolo
in questo modo lo si differenzia certo da ogni altro aspetto della realt (che
indicheremo con A), e daltro canto ciascuno di questi aspetti il Tutto: fa
tuttuno con il Tutto, coincide con esso, e quindi anche puramenteidenti-
co ad esso. Ma la congiunzione di queste proposizioni (A si differenzia dal
Tutto da una parte e A fa tuttuno con il Tutto ovvero A il Tutto dallal-
tra parte) ora diversa da una contraddizione, appunto perch affermare
che A diverso dal Tutto cosa diversa dal negare che A sia il Tutto (cio
dallaffermare A non il Tutto).
A me pare che una formulazione di tipo puramente positivo riesca a
esprimere bene, cio in maniera coerente, la relazione tra la parte (A) e il
Tutto (T). Per formulazione puramente positiva intendo quella che, distin-
guendosi da qualsiasi negazione, esprime la compatibilit e la com-posi-
zione, nel Tutto, di ogni determinazione con tutte le altre. Cos noi possia-
mo distinguere laffermazione positiva (p) Il Tutto la realt in quanto es-
sa costituita di (include) ogni e qualsiasi tratto dalla corrispondente ne-
gativa (n) Il Tutto la realt in quanto essa non manca di (non esclude) al-
cun tratto.
Se per definire il Tutto noi usiamo n, accade che, affermando Il Tutto
non esclude alcunch, sembra (dal momento che la parola non indica
normalmente una esclusione) che stiamo affermando che il Tutto esclude
tutte le esclusioni; e questa formulazione appare immediatamente contrad-
dittoria. Se invece allo stesso fine noi usiamo p, allora laffermazione che T
include A suona diversa da una contraddizione anche se si tiene fermo che
A si differenzia da T
21
. Ed possibile affermare questo carattere di T an-
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 126
T, in quanto include ogni tratto, include pure A e, con essa, tanto il suo (di A) essere determina-
ta parzialmente (cio il suo differire da T) quanto il suo (di A) essere (in-quanto-T) determinata
totalmente. Insomma T, in quanto costituito di ogni entit, costituito pure della parzialit, e
in questo sensosi pu dunque dire che pure T parziale. In tal modo T ed A restano distinti, ma
perch A consiste di una parte del Tutto, mentre T consiste di tutto (compreso A e il suo consi-
stere di una parte di T). Insomma, la formulazione puramente positiva del Tutto quella che di-
stingue la presente formulazione del rapporto parte/Tutto da quella aporetica presentata sopra,
nella nota n. 11.
22
Se si obietta che in tal modo anche T viene a possedere i caratteri negativi ed escludenti
che caratterizzano N, si deve rispondere che ci in un certo senso vero (T, infatti, in quanto
costituito di ogni tratto, costituito pure dei tratti negativi ed escludenti di N); ma ci diverso
da una contraddizione; perch in-quanto-N che T negativo ed escludente, mentre invece in-
quanto-T esso includente anche N e tutti i suoi tratti, compresi quelli negativi. appunto la
pura differenza tra linclusione totale (T) e lesclusione (N) ci che consente di pensare insieme
N e T, e di pensare N come (co-istitutivo di) T.
Tutto diverso dalla negazione 127
che in relazione a ogni determinazione negativa ed escludente (che per
questo indicheremo con N); perch T include integralmente pure N con
tutti i suoi caratteri negativi ed escludenti
22
.
Io ho limpressione che questo modo di considerare il problema dovreb-
be essere compatibile con il discorso di Severino; anzi, a me pare che esso
sia strettamente imparentato proprio con alcuni aspetti centrali del suo in-
segnamento; ma questo, naturalmente, tocca a lui valutarlo. Il punto che,
se noi definiamo il Tutto mediante formulazioni negative, rischiamo di
creare equivoci e complicazioni.
Mediante la coappartenenza di identit e differenza, coappartenenza re-
sa possibile dalla pura differenza/determinazione, come possibile parlare
coerentemente del Tutto, cos risulta possibile parlare coerentemente an-
che del negativo(di cui abbiamo visto sopra la definizione). Perch ora
possibile definire-delimitare-determinare il negativo (sia esso inteso come
totalit del negativo o come ci per cui qualcosa un negativo) distinguen-
dolo da ci che da esso si differenzia, dal momento che questo altrorispet-
to al negativo ora qualcosa di diverso dal non negativo. Cos, lafferma-
zione Esiste un xtale che questo x diverso dal negativo viene ora ad es-
sere diversa da una contraddizione; cosa che accade, invece, quando si di-
ce Esiste un xtale che questo xnon negativo (perch in quanto non ne-
gativo tale x negativo nei confronti del negativo).
Mediante la pura differenza (e la pura determinazione) poi possibile
parlare coerentemente pure della determinazione in generale, evitando
quel regressus in indefinitumche ne caratterizza invece la definizione
allinterno di unottica negativa. Perch ora possibile affermare la diffe-
renza tra xe ye nello stesso tempo affermare che tutti i momenti di xsono
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 127
23
Se, a questo proposito, ci si chiede perch ci si debba liberare dalla contraddizione (cfr.
Severino, pp. 7, 8 e 12), in questa sede basti rispondere che la libert nei confronti della con-
traddizione la stessa libert che sussiste nei confronti del negativo; e tale libert semplice-
mente la differenza nei confronti del negativo, la quale implicita nella stessa determinazione
del negativo, ovvero nella stessa differenza tra il Tutto e il negativo. Cos, la libert rispetto alla
contraddizione gi implicita nella contraddizione stessa. Che una realt sia determinata con-
traddittoriamente significa che la sua determinazione compiuta sta al di l di ( diversa da) ci
che viene determinato contraddittoriamente. Nel caso del Tutto, dunque, la contraddittoriet
della sua determinazione sta a significare che il Tutto diverso da ci che resta determinato
contraddittoriamente come Tutto.
128 Luigi Vero Tarca
costitutivi (co-istitutivi) di y (e viceversa); sicch la differenza tra x e y
coincideora con il darsi di xe y(fa tuttuno con esso). Vale qui (in relazio-
ne al tutto costituito di xe y) quello stesso che abbiamo visto valere a pro-
posito del Tutto e delle sue determinazioni: la differenza tra xe y total-
mente compresa nellinsieme di xe y. Ora questo pu essere detto in ma-
niera coerente, perch risulta possibile affermare coerentemente che quel-
la parte di xche la sua differenza rispetto a yfa tuttuno con x.
A questo punto, potremmo sintetizzare il tragittopercorso nel modo se-
guente. La differenza negativa, in quanto espressione di una logica dico-
tomica, spezza la realt in due ambiti reciprocamente escludentisi. Pro-
prio per questo tale logica rende contraddittori: (a) il discorso che intende
definire linsieme di ogni realt (il Tutto); (b) il discorso che intende di-
stinguere il positivo dal negativo; e infine (c) il discorso che intende deter-
minare conclusivamente la realt. In generale possiamo dunque dire (ri-
cordando che intero ha a che fare con integro) che la logica dicotomica
rende contraddittorio il discorso che testimonia quellaspetto della realt
che possiamo chiamare la sua dimensione interale. Tali discorsi possono
essere resi coerenti mediante lintroduzione della pura differenza e quindi
della pura determinazione
23
.
* * *
Chiarito dunque per quanto era qui possibile fare il senso della dif-
ferenza diversa da quella negativa, il discorso potrebbe ritenersi concluso.
Tuttavia pu risultare opportuno, a completamento di quanto detto, indica-
re in che modo la prospettiva qui illustrata potrebbe essere utilmente mes-
sa in relazione con alcuni importanti punti della filosofia di Severino. Il
senso di questa mia proposta distinto sia da qualsiasi negazione della ve-
rit delle proposizioni di Severino, sia anche dalla semplice sottolineatura
della differenza, fosse anche positiva, tra le nostre due filosofie. Certo,
evidente che da un certo punto di vista si tratta di discorsi diversi (linsie-
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 128
24
Cos, per esempio, unespressione come xnon y, anche intesa come semplice negazio-
ne della identit dei due differenti x e y, implica in qualche modo che xresti definito come qual-
cosa che manca del tratto che compete a y(e lo stesso vale per y). Questo, si badi, accade anche
se si intende ycome ci che manca di qualcosa ed xcome ci che non manca di nulla. Anche in
questo caso, infatti, xviene a mancare, di contro a y, del fatto di mancare di qualcosa. Anche in
questo caso, dunque, il Tutto inteso come ci che completo di tutto va distinto da ci che non
manca di nulla. Anche in questo caso, insomma, la determinazione del Tutto si distingue dalla
determinazione negativa che resta testimoniata dalla proposizione negativa.
Tutto diverso dalla negazione 129
me e lordine delle parole della lingua italiana che compongono questo
mio scritto sono diversi, che io sappia, da quelli che compongono qualsiasi
scritto di Severino). Anche il loro significato, dunque, sar, almeno in
qualche senso, diverso. Quello che qui per mi interessa , piuttosto che
insistere sulla differenza tra le nostre scritture filosofiche, chiedermi che
cosa possa succedere accostandole. In particolare ci si pu chiedere se per
caso la prospettiva qui sintetizzata sia in grado di gettare qualche luce su
alcuni punti rilevanti della stessa filosofia severiniana (alla quale sia
detto qui per inciso, ma credo che chi ha letto quanto precede se ne sia gi
accorto la mia stessa prospettiva in gran parte debitrice).
Innanzi tutto, e a mo di premessa, dovrebbe ora essere possibile preci-
sare meglio il senso dellaffermazione, criticata da Severino nel suo inter-
vento (pp. 6 ss.), Ogni negazione una contraddizione. Con questa affer-
mazione intendo dire che ogni formulazione che identificail Tutto con una
determinazione negativa (lo determina cio mediante una differenza nega-
tiva) risulta contraddittoria; perch da un lato essa pone il Tutto (proprio in
quanto esso tale) come completo di ogni tratto (come totalmente compiu-
to, perfetto), ma dallaltro lato (in quanto lo istituisce come una determina-
zione negativa) lo pone come mancante di qualcosa (non completo). Se ci
che si sta determinando il Tutto, allora contraddittoria qualsiasi nega-
zione, nella misura in cui questa implica lesclusione, rispetto a ci di cui
si sta parlando, di un qualche tratto della realt
24
.
Dunque quellaffermazione (Ogni negazione una contraddizione) vale
sostanzialmente in riferimento alla definizione del Tutto. Con laggiunta,
per, che, nella misura in cui ogni entit il Tutto, essa vale per la defini-
zione di qualsiasi realt. Si potrebbe dire, un po scherzosamente: quella
affermazione vale soloper il Tutto; con il sottintenso, per, che quindi vale
per tutto(sia pure in quanto visto come Tutto).
Credo che questo punto abbia qualcosa a che fare con il fondamentale
tema severiniano della contraddizione originaria, cio la contraddizione
vale la pena qui di ricordare brevemente consistente nel fatto che qual-
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 129
130 Luigi Vero Tarca
siasi determinazione, in quanto appare solo parzialmente, cio come man-
cante di alcune relazioni che la costituiscono, appare diversa da come essa
. Questa contraddizione ha una natura peculiare. Mentre le contraddizio-
ni normali affermano e negano lo stesso del medesimo (per esempio la
contraddizione nichilista nega lessere di un essente, cio di qualcosa di
cui peraltro viene affermato lessere), la contraddizione originaria, per Se-
verino, contraddizione non perch affermi e neghi contemporaneamente
qualcosa, ma solo perch non afferma concretamente il Tutto: contraddi-
zione non per ci che dice, ma per ci che non dice.
La peculiare difficolt insita in questa singolare figura legata al fatto
che laffermazione che una determinazione (A) appare diversa da come
sembra implicare laffermazione (contraddittoria) che quella cosa diversa
da se stessa. Infatti restando allinterno di una logica oppositiva o la
determinazione concreta (cio ricca di tutte le sue propriet e relazioni)
non differisce dalla determinazione astratta (quindi il concreto identico
allastratto), ma allora abbiamo una contraddizione; oppure le due non so-
no identiche, ma allora vi almeno un tratto di A-in-quanto-astratta che
non compete ad A-in-quanto-concreta (e da capo questa una contraddi-
zione, dato che A definita come concreta proprio per il fatto di possedere
tuttele relazioni che competono ad A, dunque anche tutte quelle che le
competono in quanto astratta). A me pare che se pensiamo la relazione tra
il concreto e lastratto in maniera simile a quella in cui sopra ho definito il
rapporto tra il Tutto e la determinazione negativa (cio mediante la pura
differenza) possiamo dire in maniera coerente che il concreto differisce
dallastratto (che un suo momento); perch possiamo tenere fermo tanto
il differire del concreto dallastratto quanto il fatto che il primo include il
secondo (con tutti i suoi tratti) come suo momento, dato che adesso il diffe-
rire delluno dallaltro diverso da quel differire che implica la negazione
dellidentit dei differenti, cio lesclusione reciproca di almeno uno dei
tratti che costituiscono la contro-parte.
Dato che sopra abbiamo detto che ogni determinazione (A) co-istituisce
il Tutto (T) pur differenziandosene, adesso possiamo dire che questo vale
anche per quella specifica determinazione che lastratto. Io credo che un
contributo alla chiarificazione della distinzione tra lastratto e il concreto
possa venire proprio dallinterpretazione che considera lastratto come la
determinazione in quanto negativa (cio come N), e il concreto come il
Tutto. Perch allora si ripropone la situazione per cui il concreto, in quan-
to include tutti i tratti della determinazione, ne include pure i tratti negati-
vi. Ed allora proprio la pura differenza che pu esprimere il rapporto tra
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 130
Tutto diverso dalla negazione 131
i tratti negativi (astratti) della determinazione A e linsieme totale (concre-
to) dei suoi tratti. Ch, fin tanto che tale relazione resta negativa, accade
che il concreto resta privato dei tratti dellastratto, cio resta astratto alme-
no rispetto allastratto.
Consideriamo ora la questione da un punto di vista leggermente diver-
so. Sto cercando di attirare lattenzione sul fatto che il negativo (e anche il
contraddittorio) un determinatoaspetto della realt, come i gatti e le rose
(cfr. Severino, p. 8). E allora, come il discorso che definisce rose e gatti
diverso da quello che definisce il Tutto, altrettanto lo il discorso che de-
finisce il negativo. Per questo sto cercando di far notare la differenza tra il
discorso in quanto esso determina il Tutto e il discorso in quanto istituisce
delle determinazioni negative; quindi anche tra il discorso in quanto de-
termina il Tutto e il discorso in quanto contraddittorio.
Quanto qui affermato diverso dallaffermare che il discorso di Severi-
no, in quanto usa formule negative, non una testimonianza del Tutto. Se,
infatti, parlando di una determinazione negativa non fosse possibile testi-
moniare il Tutto, perch questo dovrebbe essere possibile parlando di rose
e di gatti? Ma, appunto, come quando, se si parla di rose e di gatti, ci si
chiede, in quanto filosofi, in che misura questo discorso testimoni coeren-
temente il Tutto, allo stesso modo ci si deve chiedere in che misura, par-
lando di quel particolare aspetto del Tutto che il negativo, si stia renden-
do testimonianza del Tutto. Si invece spesso indotti a credere che quan-
do si parla di certe forme del negativo (particolarmente quando si parla di
quella singolare forma di negativo che lin-negabile, in quanto appunto
esso non negativo) si sia per ci stesso esonerati dal porsi tale domanda.
Questa proposta di lettura di un tema come quello della contraddizione
originaria, ripeto, qualcosa di molto diverso da qualsiasi confutazione
del discorso di Severino. In un certo senso sto solo ponendo una questione
di formule linguistiche. In effetti, potrei rispondere a Severino, quando
egli mi dice che de verbis non est disputandum (p. 11), che proprio de
verbische si sta disputando; fermo restando che, dal mio punto di vista,
pi che di disputare, si tratta di scambiarsi amichevoli consigli volti a far
s che ciascuno riesca a testimoniare quanto pi chiaramente possibile e
nella maniera pi propria la verit. Voglio aggiungere che quanto ho detto
diverso anche dal sostenere che le mie formule filosofiche siano migliori
di quello di Severino; sto solo suggerendo di provare a considerare la cosa
da questo punto di vista, che per me in molte occasioni si rivelato illumi-
nante. Ho infatti limpressione che un linguaggio che tratta le negazioni in
maniera da rendere palese la pura differenza tra il Tutto e qualsiasi deter-
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 131
25
Espressioni come xnon y (anche intesa come mera negazione dellidentit di xe y) te-
stimoniano la differenza/determinazione negativa. In quanto tali esse portano lattenzione
sullaspetto negativo della realt, che un particolareaspetto di questa. Anche quando parlano
del Tutto, evocano sempre quel suo particolare aspetto che il negativo. Per parlare propriamen-
tee direttamentedel Tutto occorre dunque un linguaggio diverso da quello negativo. Attenzione,
per. Dire che il discorso negativo testimonia un particolare aspetto della realt (quello negati-
vo), cosa diversa dal dire che allora esso nontestimonia il Tutto (anche il negativo, infatti, un
momento del Tutto; sicch, se possibile testimoniare il Tutto parlando di rose e di gatti, allora
possibile fare ci anche parlando del negativo). Resta tuttavia fermo che la testimonianza di-
retta e autentica del Tutto, come diversa da quella che parla semplicementedelle rosse e dei
gatti, cos diversa pure da quella che parla del negativo. Caratteristica propria del linguaggio
che testimonia propriamente il Tutto il fatto di testimoniare differenze positive, e quindi anche
puramente positive.
132 Luigi Vero Tarca
minazione negativa sia particolarmente adatto a testimoniare il Tutto come
ci che si distingue da qualsiasi determinazione (ma attenzione se ne
distingue proprio perch ci che fa tuttuno con ciascuna di esse; ed
quindi ci per cui ognuna fa tuttuno con tutte le altre dalle quali pure si
differenzia). Questo, tra laltro, mi pare che contribuisca a fare chiarezza
su quella singolare esperienza per la quale il Tutto viene visto, piuttosto
che come ci che si coglie attraverso continue, infinite aggiunte di deter-
minazioni parziali, come ci che inogni determinazione; o, forse meglio,
ci che comeogni determinazione
25
.
Ho insomma limpressione che proprio un linguaggio del tipo di quello
qui proposto sia particolarmente adatto a testimoniare quella dimensione
che, collocandosi al di l di ogni contraddizione, sta al di l anche della
contraddizione originaria. A volte ho limpressione che la proposta teorico-
linguistica che sto elaborando potrebbe consentire di affrontare con qual-
che vantaggio la questione di un linguaggio idoneo a testimoniare al me-
glio la dimensione del Tutto e della sua Gioia. Per dare forma linguistica
alla pura differenza, distinguendola sia dalla differenza che negazione
dellidentit sia per anche dalla differenza che non negazione delliden-
tit, potremmo usare unespressione di questo tipo: la differenza anche-
diversadalla non identit.
Questa conversione linguistico-stilistica pu a mio avviso risultare uti-
le in relazione ad altre decisive situazioni teoriche. Penso per esempio al
tema della fondazione elenctica(innegabile) della verit filosofica. In que-
sta circostanza pu essere utile distinguere laffermazione La negazione
della verit autonegazione dallaffermazione La verit negazione di
ci che autonegazione. Naturalmente anche questa seconda proposizio-
ne vera; ma essa evidenzia laspetto negativo della verit, e allora resta il
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 132
26
A questo giro di problemi allude la proposizione, criticata da Severino (p. 13) che la verit
la negazione della negazione in generale. Ricordo, brevemente, che lin-negabile, inteso (alla
lettera) come negazione di ogni negativo, appunto il negativo; precisamente perch persino la
sua negazione (il non negativo) negativo (e quindi lo riafferma). Ma proprio attraverso questa
estrema contraddizione per la quale il negativo, essendo linnegabile, viene ad essere il negativo
del negativo (cio di se stesso), si manifesta la verit intesa come pura differenza/determinazione.
Da questo punto di vista, dunque, ha pienamente ragione Severino a ricordare che la verit di-
stinta dalla negazione di ogni negazione; ma questo, a mio avviso, va appunto inteso nel senso
che essa va distintada ogni negazione, quindi anche dalla negazione della sua negazione.
27
Qui mi limito ad osservare che, per quanto riguarda la libert (cfr. p. 10), essa va letta
semplicemente come pura differenza rispetto al negativo. Quanto al termine antinichilismo
(pp. 3 ss.), con esso intendevo semplicemente riferirmi alla circostanza che la verit viene defi-
nita da Severino come negazione (sia pure non ontologica) del nichilismo. In relazione poi
allimpressione idealistica del mio discorso (cfr. p. 3), direi che da un lato Severino coglie nel
segno (e quindi accoglierei i suoi suggerimenti), ma che da un altro lato la questione deve essere
ripensata alla luce del rapporto puramente positivo tra il Tutto e la dimensione storica. Per
esempio la verit puramente positiva va pensata come altro da un semplice lasciarsi alle spal-
le (p. 8) quella di Severino. Nel frattempo, per un approfondimento di questi temi mi permetto
Tutto diverso dalla negazione 133
problema di quellaspetto della verit che la testimonianza del Tutto de-
finito come la realt in quanto essa ben altro rispetto a tutto ci che resti
definito come polo negativo rispetto a qualcosa. In questottica, insomma,
il Tutto si distingue pure dal Tutto-innegabile
26
.
A questo punto dovrebbe risultare pi chiaro anche il modo in cui pro-
pongo di considerare il problema della logica della non contraddizione. Il
pensiero della pura differenza d vita a una filosofia che, pur distinguen-
dosi dal discorso governato da quello che normalmente chiamato il prin-
cipio di non contraddizione, tuttavia piuttosto che un rifiuto o un rinnega-
mento di tale principio ne costituisce un pieno compimento. Perch, allin-
terno di quella prospettiva per la quale nel senso precisato ogni nega-
zione una contraddizione, evidente che la soluzione generale del pro-
blema della contraddizione deve essere individuata in qualcosa di diverso
(di anche-diverso) dalla negazione della contraddizione (cio, appunto, dal-
la non contraddizione). Precisamente perch questa, proprio in quanto
negazione(sia pure della contraddizione), per ci stesso destinata a ri-
produrre almeno quella contraddizione che implicita in quella negazione
in cui essa consiste.
Alla luce di tutto questo dovrebbero assumere un anche-diverso signifi-
cato pure tutte le altre questioni filosofiche; come dovrebbero apparire sot-
to anche-diversa luce pure le critiche formulate da Severino nel saggio so-
pra citato, bench una risposta analitica a queste debba essere rimandata
ad altra occasione
27
. Quanto qui detto dovrebbe poi consentire di riprende-
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 133
di rimandare, chi fosse interessato, oltre al gi citato Differenza e negazione, ai seguenti miei
scritti: il saggio Filosofia ed esistenza oggi. La pratica filosofica tra epistme e sopha, in R. M-
dera - L.V. Tarca, La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, Bruno
Mondadori, Milano 2003, pp. 111-220; il volume Dare ragioni. Unintroduzione logico-filosofica
al problema della razionalit, Cafoscarina, Venezia 2004; il saggio Parmenide (Frammento 2,
verso 3), in A. Petterlini - G. Brianese - G. Goggi, Le parole dellEssere. Per Emanuele Severino,
Bruno Mondadori, Milano 2005, pp. 581-631; e infine il volume Quattro variazioni sul tema ne-
gativo/positivo. Saggio di composizione filosofica, Ensemble 900, Treviso 2006, scritti nei quali
possibile trovare pure altre indicazioni bibliografiche.
28
Penso in particolare agli interventi di Enrica Lisciani Petrini, Adriano Fabris, Francesco
Berto, Vincenzo Vitiello, Massimo Adinolfi e Massimo Don, ai quali pure devo dare appunta-
mento a una prossima occasione, giacch lintroduzione di contesti teorici e di universi di di-
scorso cos diversi tra di loro risulterebbe qui, per limiti di spazio, sostanzialmente liquidatoria
nei confronti di questi autori.
29
Mi riferisco in particolare a R. Panikkar, La realt cosmoteandrica. Dio-uomo-mondo(a
cura di Milena Carrara Pavan), J aca Book, Milano 2004; per esempio alle pp. 15, 81, 107, 111,
112, 139.
134 Luigi Vero Tarca
re con maggiore chiarezza pure il colloquio avviato con altri pensatori che
si sono seriamente interessati alla prospettiva filosofica da me suggerita
28
.
* * *
Io credo che una rilettura dei temi severiniani svolta a partire dalle con-
siderazioni qui proposte potrebbe favorire lo sviluppo di una reciproca
comprensione e valorizzazione tra il discorso di Severino da una parte e le
pi significative istanze del pensiero contemporaneo dallaltra. Mi riferisco,
in particolare, proprio al tema cruciale della relazione tra identit e diffe-
renza; e penso per esempio ad autori come Heidegger, Wittgenstein, Deleu-
ze, Derrida, che peraltro qui devo limitarmi semplicemente a nominare.
Ma poi, nellepoca della globalizzazione, ritengo che sarebbe utile pen-
sare a una possibile mutua fecondazione (espressione che prendo in pre-
stito da Raimon Panikkar) tra il pensiero di Severino e alcuni momenti alti
della sapienza orientale. Penso innanzi tutto alla prospettiva advaita, la
quale a mio avviso pu assumere una valenza filosofica particolarmente si-
gnificativa quando venga letta alla luce della verit severiniana pensata
sulla base delle proposte teoriche qui avanzate: la realt, in quanto distin-
ta da ogni scissione dicotomica (cio in quanto diversa sia dal due sia
dalluno), pu essere pensata coerentemente, allinterno della relazione
della pura identit/differenza, come tempiterna inter-in-dipendenza di
ogni entit (anche qui il riferimento al pensiero di Raimon Panikkar
29
).
Ma un discorso analogo vale poi anche per quanto riguarda una possibile
interpretazione del vuoto buddhista (nyat) che lo reinterpreti all inter-
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 134
30
Mi riferisco a Thich Nhat Hanh, Essere pace(trad. it. Giampaolo Fiorentini), Ubaldini,
Roma 1989; in particolare alle pp. 14-15 [Being Peace, Parallax Press, Berkeley 1987].
Tutto diverso dalla negazione 135
no di una prospettiva che legga limpermanenza, anzich come una forma
radicale di negativismo, come l assoluto inter-essere (per dirla con Thich
Nhat Hanh
30
) di ciascuna entit rispetto a ogni altra.
Allinterno di tale quadro interpretativo mi pare per concludere che
i chiarimenti proposti circa la differenza tra la differenza e la negazione
possano fornire un contributo anche alla chiarificazione delle problemati-
che connesse a classiche nozioni filosofiche quali sono appunto lidentit e
lalterit.
Abstract
By answering to a Severinos critic who objects himthat there is no kind of difference
which is not a formof negation, Tarca, in this paper, aims to show the distinction be-
tween difference and negative difference.
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 135
07 Tarca 113 22-11-2010 10:55 Pagina 136
TEORIA 2006/1
Lidentit come pratica
dellidentificazione
Flavia Monceri
1. Introduzione
In questo lavoro considero alcuni aspetti problematici del concetto di
identit a partire dal presupposto che tale concetto sia viziato da un
equivoco di fondo derivante da una sovrapposizione fra i concetti di iden-
tit e di identificazione. Tale sovrapposizione dovrebbe essere esplici-
tamente tematizzata, soprattutto tenuto conto che lidentit ha una funzio-
ne socialedi notevole importanza: quella di far s che i singoli individui si
percepiscano come esseri dotati di caratteristiche chiaramente individua-
bili che li definiscono cos e non altrimenti sia al livello dellimmagine di
s, sia al livello dellimmagine proiettata verso lesterno e percepita da
altri. La tesi che intendo sostenere che al livello individuale il riferi-
mento allidentit non sia necessario, perch la selezione e la rielaborazio-
ne delle caratteristiche che trasformano un individuo generico in questo
individuo attribuendogli una particolare identit simpone soltanto nel mo-
mento in cui egli entra in interazione con quello o quegli individui. Infatti,
soltanto nel momento dellincontro con laltro che diviene inevitabile una
(auto)identificazione che si sostanzia in una selezione fra glinfiniti carat-
teri del s in grado di fornire una sua presentazione adeguata alla con-
creta situazione in cui avviene linterazione.
Stando cos le cose, ritengo che da un punto di vista teorico sarebbe pi
corretto usare il solo termine identificazione sia perch il relativo con-
cetto pi originario di quello di identit, sia e soprattutto per gli errori
cui pu indurre sul piano della prassi concreta la concezione secondo cui
lidentit dellindividuo sarebbe qualcosa di oggettivamente dato, suffi-
ciente a descriverne lessenza. In particolare, bench sia inevitabile ri-
correre allidentit per la sua utilit in quanto criterio orientativo per ca-
Lidentit in questione
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 137
138 Flavia Monceri
tegorizzare o altrimenti stereotipizzare ogni singolo individuo ai fini
delle interazioni concrete, la rimozione della consapevolezza che essa de-
riva da una preliminare operazione di identificazione di caratteristiche ar-
bitrariamente selezionate fra le infinite possibili che concorrono a configu-
rare questo individuo cos e non altrimenti ha leffetto collaterale di negare
in misura variabile il ruolo costitutivo anchedelle caratteristiche espunte
o altrimenti eliminate nel corso di quella operazione. Ci coincide, peral-
tro, con il negare in varia misura la diversitdi questo individuo rispetto a
qualsiasi altro.
Daltro lato, tuttavia, per ogni singolo individuo avereunidentit che gli
permetta di identificarsi, ovvero di declinare le proprie generalit a
richiesta, diviene la condizione obbligata per far parte di un qualsiasi
gruppo, e in particolare per essere legittimato a chiedere di essere rico-
nosciuto dal gruppo dominante, vale a dire dal gruppo dei normali di
coloro che si riconoscono nellinsieme di caratteristiche mediamente sele-
zionate, diffuse e condivise quali elementi costitutivi delle identit accet-
tabili. Questo risvolto immediatamente politico del rapporto che lega
identit e identificazione appare evidente soprattutto nellatteggiamento
dei normali nei confronti dei diversi comunque la normalit e la di-
versit vengano declinate ed a fondamento tanto delle pratiche discri-
minatorie quanto di quelle volte allinclusione della diversit, visto che il
presupposto imprescindibile consiste in entrambi i casi nellindividuazione
delle identit da rifiutare ed emarginare, ovvero accettare e includere.
Loggetto di questo lavoro pu essere allora pi specificamente circo-
scritto allanalisi dellidentit individuale nei suoi rapporti con una iden-
tit sociale intesa come pratica dellidentificazione. Lidentit sociale di
ciascun individuo, infatti, emerge dalla richiesta di autoposizionarsi in
modo statico e chiaramente individuabile a partire dallaccettazione di una
configurazione del s aderente agli elementi/attributi riconosciuti tipici
o normali per una determinata identit (e che sono tali anche nel caso
delle identit anormali o devianti). Tuttavia, anche in questo caso si
pu affermare che lidentit non esiste come tale, e che al suo posto esisto-
no soltanto infiniti processi di identificazione che scaturiscono dalla ne-
cessit per ogni singolo individuo di entrare in interazione con altri che lo
interrogano sulle sue generalit al fine di poterlo decifrare ovvero
leggere in modo tendenzialmente univoco. Piuttosto, al livello indivi-
duale la cosiddetta identit si configura come un processo dinamico, con-
tinuo e infinito di costruzione di un s che certo tiene conto anche delle
pratiche di identificazione attualizzate al livello interindividuale, ma che
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 138
1
Cfr. E. Goffman, Stigma. Lidentit negata, ombre corte, Verona 2003.
2
Cfr. H.J .M. Hermans, H.J .G. Kempen e R.J .P. Van Loon, The Dialogical self: Beyond in-
dividualismand rationalism, in American Psychologist, 47 (1992), pp. 23-33; H.J .M. Her-
mans e H.J .G. Kempen, The Dialogical Self: Meaning as movement, Academic Press, San Diego,
CA 1993; H.J .M. Hermans, The Dialogical Self: Toward a Theory of Personal and Cultural Posi-
tioning, in Culture & Psychology, 7/3 (2001), pp. 243-281. Per una introduzione al dibattito
sul concetto di dialogical self cfr. i contributi raccolti in Culture & Psychology, vol. 7/3
(2001); cfr. inoltre M.W. Katzko, Unity Versus Multiplicity: A Conceptual Analysis of the Term
Self and Its Use in Personality Theories, in J ournal of Personality, 71/1 (2003), pp. 83-114;
M.B. Tappan, Domination, Subordination and the Dialogical Self: Identity Development and the
Politics of Ideological Becoming, in Culture & Psychology, 11/1 (2005), pp. 47-75.
Lidentit come pratica dellidentificazione 139
non pu essere a esse ridotto perch tiene conto anche di tutte le differen-
ze che concorrono a configurare in ogni momento dato questoindividuo co-
s e non altrimenti.
Naturalmente non possibile affrontare questa complessa problematica
in modo sufficientemente adeguato nello spazio qui a disposizione, che in-
tendo usare semplicemente per introdurre alcuni suoi nodi concettuali ar-
ticolando la mia argomentazione in due sezioni. Nella prima, considero il
problema del rapporto fra identit e identificazione sulla scorta del fonda-
mentale e ancora estremamente attuale concetto di stigma ampiamente
analizzato pi di quarantanni fa in ambito sociologico da Erving
Goffman
1
, cui affianco un richiamo al paradigma del s dialogico di re-
cente elaborato in ambito psicologico
2
, che si colloca fra quelli pi ricchi
di spunti di riflessione anche per una radicale riconsiderazione del con-
cetto di identit individuale in ambito filosofico. Nella seconda presento
un caso concreto, quello dellidentit sessuale/di genere, in particolare
delle persone transgender. In questo particolare caso, lambiguit del
concetto di identit si presenta con tutta evidenza nel suo essere un risul-
tato di pratiche di identificazione attualizzate nelle interazioni entro un
contesto dato, che danno luogo a connesse pratiche di discriminazione allo
scopo di tenere sotto controllo il potenziale eversivo della diversit esibi-
ta da coloro che rifiutano di fornire a richiesta una definizione statica
della propria identit.
2. Stigma, identit e identificazione
In uno dei suoi pi celebri lavori, Erving Goffman indaga il concetto di
stigma, un termine usato gi dai Greci per indicare quei segni fisici
che vengono associati agli aspetti insoliti e criticabili della condizione mo-
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 139
3
E. Goffman, Stigma, cit., p. 11. Fra i lavori pi noti e importanti di questo autore si veda-
no almeno E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna 1969; Il ri-
tuale dellinterazione, il Mulino, Bologna 1988; Espressione e identit. Gioco, ruoli, teatralit, il
Mulino, Bologna 2003.
4
Ivi, pp. 14-15.
5
Ivi, p. 12.
6
Ibidem.
7
Ivi, p. 86.
140 Flavia Monceri
rale di chi li ha
3
, e che pu riguardare tre ambiti diversi: quello delle
deformazioni fisiche, quello degli aspetti criticabili del carattere e
quello degli stigmi tribali della razza, della nazione, della religione
4
. Al
di l della specifica ricostruzione goffmaniana delle forme in cui lo stigma
si presenta e delle pratiche specifiche cui d luogo pur ricca di numero-
si spunti di riflessione , sono almeno due gli aspetti generali che risulta-
no di notevole interesse per lanalisi del rapporto fra identit e identifica-
zione: laspetto dellaccertamento cognitivo dellidentit e quello del
rapporto fra stigma e normalit.
Goffman mette in chiaro fin dalle prime pagine del lavoro che la so-
ciet a stabilire quali strumenti debbano essere usati per dividere le per-
sone in categorie e quale complesso di attributi debbano essere considera-
ti ordinari e naturali nel definire lappartenenza a una di quelle
categorie
5
. In altri termini, la societ ha fra i suoi compiti quello di forni-
re i criteri orientativi per collocare univocamente gli altri individui con
i quali questo individuo entra in interazione in un determinato contesto
e viceversa in modo che ciascuno di essi possa elaborare una fondata
aspettativa sullesito delle concrete interazioni nelle quali si trova coinvol-
to. Da tale processo scaturisce anche il concetto di identit sociale:
Quando ci troviamo davanti un estraneo, probabile che il suo aspetto
immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene
e quali sono i suoi attributi, qual , in altri termini la sua identit socia-
le
6
. In questo contesto, lo stigma gioca un ruolo fondamentale proprio ai
fini del riconoscimento o accertamento cognitivo dellidentit delle
persone con le quali si entra in interazione e che consiste nellatto per-
cettivo di situare una persona sia in una particolare identit sociale che
in una specifica identit personale
7
.
Infatti, lindividuazione degli attributi non ordinari e non naturali che
trasformano una particolare identit in una identit stigmatizzata di
estrema rilevanza per fornire criteri orientativi ai normali sui comporta-
menti da tenere e sui giudizi di valore da emettere nei confronti degli
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 140
8
Ivi, p. 23.
Lidentit come pratica dellidentificazione 141
stigmatizzati a vario titolo. Si pu infatti concordare con Goffman sul
fatto che quando persone normali vengono a trovarsi in presenza fisica
di uno stigmatizzato, specialmente quando si cerca di intavolare una con-
versazione, viene a crearsi una delle situazioni problematiche fondamenta-
li della sociologia soprattutto perch accade spesso che in tali momenti
tutti e due gli interlocutori si trovino costretti ad affrontare apertamente le
cause e gli effetti dello stigma
8
. Dunque, quel che accade nella concreta
situazione dellincontro fra il normale e lo stigmatizzato , da un punto di
vista strettamente cognitivo, che viene messo in discussione il complesso
di attributi che definiscono una identit normale. Detto diversamente,
diviene evidente il carattere stereotipico e socialmente costruitodella nor-
malit, una situazione agli effetti destabilizzanti della quale la costruzione
sociale dello stigma cerca di porre rimedio con lindividuare un complesso
di attributi che possano essere legittimamente rifiutati, combattuti, accet-
tati con riserva, trascurati o altrimenti rimossi come anormali.
a questo punto che la tematica del rapporto fra normalit e stigma in-
contra quella del rapporto fra identit e identificazione. Lidentit del nor-
male una identit socialmente costruita al pari di quella dello stigmatiz-
zato. Ma come si giunge a tale identit? Attraverso un processo di identifi-
cazione degli attributi che devono entrare a far parte del complesso che de-
finisce quella particolare identit, un complesso che ogni singolo individuo
deve possedere per poter essere riconosciuto come portatore di una iden-
tit normale. In altri termini, allora, lidentit normale, al pari di quella
stigmatizzata, scaturisce da un duplice processo di identificazione. Da un
lato, infatti, si ha lidentificazione a livello intersoggettivo di questoindivi-
duo da parte di altri sulla scorta della sua aderenza o meno allinsieme di
attributi che definiscono il modello di identit al quale viene ricondotto.
Dallaltro, invece, si ha il processo attraverso il quale questoindividuo si
identifica con uno dei modelli disponibili sulla base degli attributi gi in-
dividuati creandosi una identit sociale pi o meno chiaramente riconosci-
bile e accertabile. Stando cos le cose, si pu affermare che lidentificazio-
ne precede la costruzione dellidentit, e anzi ne costituisce il presupposto.
Di pi, si pu affermare che lidentit dipende dallidentificazione pri-
ma di tutto nel senso che il singolo individuo deve essere a conoscenza dei
criteri di identificazione che circolano a livello sociale e che concorrono a
costruire i diversi tipi di identit normali e stigmatizzate perch que-
sta conoscenza per lui di fondamentale importanza per aderire alluna o
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 141
9
Ivi, p. 64
10
Ivi, p. 65.
11
Ivi, p. 74.
12
Ibidem.
142 Flavia Monceri
allaltra, ovvero nel caso non sia possibile una scelta per il tipo di stigma
che si costretti a portare per elaborare strategie di sopravvivenza entro
un contesto ostile nel quale egli comunque obbligato allinterazione con
altri. Infatti, come ricorda anche Goffman, il presupposto da cui muove
ogni individuo che egli abbia la stessa identit sociale degli altri
9
al-
meno finch tale presupposto non si scontri con una diversit che si fa evi-
dente nella concreta situazione interattiva. In questultimo caso, si pu af-
fermare che le informazioni generalmente note riguardo a se stesso costi-
tuiscono la base da cui lindividuo deve muovere quando deve decidere
latteggiamento da prendere rispetto al suo stigma e ci comporta che
qualsiasi modifica nel modo in cui lindividuo deve sempre e comunque
presentarsi sar, proprio per queste ragioni, fatale
10
.
Lo stretto rapporto fra identit e identificazione diviene ancora pi evi-
dente nel caso della cosiddetta identit personale che Goffman definisce
come i segni positivi o piastrine di riconoscimento e la combinazione
unica degli elementi della sua vita che viene ad essere attribuita allindi-
viduo con laiuto di questi segni della sua identit. Tale identit viene co-
struita con lausilio di un processo di identificazione personale che ha
lo scopo di rendere unico lindividuo, nonostante ne risulti piuttosto, e
paradossalmente, un ruolo strutturato, abitudinario, standardizzato,
nellorganizzazione sociale, proprio a causa di questa sua unicit
11
. Goff-
man lascia qui da parte un terzo possibile carattere distintivo dellidentit
personale, quello che ha a che fare con il fulcro del suo essere, un aspet-
to generale e insieme centrale di lui, che lo rende diverso completamente,
e non soltanto dal punto di vista dellidentificazione, da quelli che sono in
gran parte come lui
12
. Questa scelta sembra essere piuttosto indicativa.
Infatti, a mio avviso Goffman tralascia questo aspetto sia perch intende
occuparsi dellidentit personale rilevante per la societ e non del residuo
irriducibile e incomunicabile proprio dellindividuo in quanto singolo, sia
perch il tentativo di analizzare questo aspetto non rientra fra i compiti
della sociologia, ma semmai in quelli della psicologia e della filosofia. Co-
munque stiano le cose, il punto decisivo che anche Goffman sembra rite-
nere che lidentit personale rilevante a livello sociale coincida con un
processo di identificazione il cui risultato non la scoperta del vero s
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 142
13
Ivi, pp. 133-134.
14
Su questa tematica, cui non pu essere qui dedicato uno spazio adeguato, si vedano al-
meno le affermazioni di Goffman sul rapporto fra normalit, stigma e devianza (ivi, pp. 157-172)
e sul concetto di devianza in generale (ivi, pp. 173-181).
Lidentit come pratica dellidentificazione 143
dellindividuo, quanto piuttosto la costruzione di un s adeguato alle ri-
chieste di normalizzazione da parte del gruppo di appartenenza attra-
verso uno schema di identificazione standardizzato (che include attributi
biologici, laspetto fisico, il nome ecc.) e la conseguente creazione di una
biografia che permetta di seguire il posizionamento del relativo indivi-
duo nel corso del tempo.
Daltra parte, tuttavia, ci che resta almeno in parte escluso dallanalisi
di Goffman il rapporto fra lidentit che lindividuo esibisce su richiesta
vale a dire la sua autoidentificazione e quella, ammesso che esista, che
egli ritiene di avere al di l di tale richiesta. Infatti, per quanto sia molto dif-
ficile distinguere laspetto propriamente personale da quello sociale
dellidentit, non sembra tuttavia sufficiente ridurre lidentit individuale a
quella sociale proprio perch, come scrive anche Goffman, chiaro che
lindividuo costruisce limmagine di se stesso con i materiali da cui altri
hanno costruito unidentificazione sociale e personale di lui, ma egli si pren-
de importanti libert per ci che riguarda il modo di modellare tale materia-
le
13
. Ci coincide con laffermare che lindividuo qualsiasi individuo, an-
che quello normale, bench la cosa accada pi frequentemente nel caso
dello stigmatizzato ha sempre la possibilit di reinterpretare gli schemi
di identificazione ricevuti (i modelli di identit) modificandoli per adeguarli
alla sua diversit, vale a dire per far s che vi trovino collocazione anche i
suoi attributi differenti da quelli ritenuti normali e naturali
14
.
Proprio queste ultime affermazioni dimostrano che quel terzo carattere
distintivo ha una notevole rilevanza per lindagine del processo che condu-
ce allemergere di una identit individuale anche in connessione con le
pratiche di identificazione continuamente in atto a livello intersoggettivo, e
che perci la filosofia dovrebbe dedicarsi alla sua analisi in modo ap-
profondito, riconsiderando soprattutto alcuni concetti tradizionali come
individuo, soggetto e s. Naturalmente, il rapporto fra la dimensione
sociale dellidentit che ha sempre a che fare con pratiche di identifica-
zione e quella propriamente individuale chiama in causa anche una rin-
novata riflessione sul sdal punto di vista psicologico, per stabilire come si
configuri lidentit personale al microlivello individuale. Il paradigma del
s dialogico che ho menzionato in precedenza cerca appunto, come scrive
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 143
15
H.J .M. Hermans, The Dialogical Self, cit., p. 243.
16
Ivi, p. 248. Cfr. anche H.J .M. Hermans, H.J .G. Kempen e R.J .P. Van Loon, The Dialogi-
cal self, cit.
17
Ibidem.
18
Cfr., per fare un solo esempio, G. Adams e H.R. Markus, Culture as Patterns: An Alterna-
tive Approach to the Problemof Reification, in Culture & Psychology, 7/3 (2001), pp. 283-296.
19
H.J .M. Hermans, The Dialogical Self, cit., p. 249.
144 Flavia Monceri
Hubert Hermans, di presentare uno schema teorico per la reciproca inclu-
sione del s e della cultura
15
, coniugando le posizioni di WilliamJ ames e
di Michail Bakhtin relative alla dinamica comunicativa che sinstaura
allinterno dellindividuo (ma in continua interdipendenza con il mondo
esterno), e che potrebbe essere definita come un dialogo fra Io e Me.
Per il paradigma del s dialogico, allora, il s pu essere concepito nei
termini di una molteplicit dinamica di posizioni dellIorelativamente au-
tonome, visto che lIo ha la possibilit di muoversi da una posizione
spaziale allaltra in accordo con i mutamenti nella situazione e nel tempo;
esso fluttua fra differenti e persino opposte posizioni, e ha la capacit di
dotare tramite limmaginazione ogni posizione di una voce, tanto che pos-
sono instaurarsi relazioni dialogiche fra le posizioni
16
. A loro volta, tali
voci funzionano come i personaggi che interagiscono in una storia, coin-
volti in un processo di domanda e risposta, accordo e disaccordo, perch
ciascuno di loro ha una storia da raccontare su se stesso: In quanto voci
differenti, questi personaggi scambiano informazioni sui loro rispettivi Me,
e ne risulta un s complesso, strutturato narrativamente
17
.
La concezione del s come dialogico nonostante le obiezioni che posso-
no essergli mosse
18
si dimostra utile anche per la tematica qui in discus-
sione perlomeno perch pone laccento sulla impossibilit di definire una
volta per tutte in modo statico e univoco il s, e da qui lindividuo e la sua
identit. Infatti esso conduce a ritenere che tale identit debba essere
concepita come un insieme di posizioni simultaneamente date che possono
essere occupate dalla stessa persona, mentre lIoin una posizione, inoltre,
pu essere daccordo e in disaccordo, comprendere e fraintendere, opporsi,
contraddire, interrogare, sfidare e persino ridicolizzare lIoin unaltra posi-
zione
19
. Il s dialogico ha per di pi una dimensione immediatamente so-
ciale, non nel senso che lindividuo inteso come entit in s conchiusa en-
tra nelle interazioni sociali con altre persone esterne, ma nel senso che altre
persone occupano posizioni in un s che ha molte voci, perch io sono in
grado di costruire unaltra persona o essere come una posizione che posso
occupare e come una posizione che crea una prospettiva alternativa sul
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 144
20
Ivi, p. 250. Sulla posizione di G.H. Mead cfr. Mind, self, and society, University of Chica-
go Press, Chicago, IL 1934; e J . Martin, Perspectival Selves in Interaction with Others: Re-reading
G.H. Meads Social Psychology, in J ournal for the Theory of Social Behaviour, 35/3 (2005), pp.
231-253.
21
Per una introduzione al concetto e alle forme e modalit del transgenderismo cfr. almeno
R. Ekins e D. King (a cura di), Blending Genders. Social Aspects of Cross-dressing and Sex-chan-
ging, Routledge, London and New York 1996; B. Bullough, V.L. Bullough e J . Elias (a cura di),
Gender Blending, Prometheus Books, Amherst, New York 1997; S. Whittle, The Transgender De-
bate. The Crisis Sourrounding Gender Identities, South Street Press, Reading 2000; P. Califia,
Sex Changes. Transgender Politics, II edn., Cleis Press, San Francisco, CA 2003
22
Sul concetto di identit di genere cfr. E. Ruspini, Le identit di genere, Carocci, Roma
2003.
Lidentit come pratica dellidentificazione 145
mondo e su me stesso, mentre a sua volta tale prospettiva pu essere anche
del tutto immaginaria e non corrispondere affatto alla prospettiva dellaltro
effettivo, come ha potuto ritenere per esempio George H. Mead
20
. Ci che
rende il modello del s dialogico interessante dal punto di vista di altre
scienze sociali (in particolare della filosofia e della sociologia) sembra esse-
re per lappunto il suo tentativo di considerare lindividuo in relazionecon il
proprio contesto senza sacrificare la sua unicit, e tuttavia intendendo tale
unicit anche come il risultato di continue interazioni, vale a dire scambi
comunicativi, che avvengono tanto con linternoquanto con lesterno.
3. Lidentificazione obbligata: identit sessuale/di genere
e transgenderismo
Lidentit sessuale/di genere rappresenta certamente uno dei casi in cui
si fa pi evidente il fatto che la costruzione dellidentit individuale corri-
sponde in realt a una cristallizzazione di pratiche di identificazione con-
dotte sulla scorta del complesso di attributi ritenuto normale e naturale in
un contesto spaziotemporale dato. Questo caso particolarmente interes-
sante perch il complesso di attributi sembra essere incontrovertibilmente
dato per natura, in particolare dallanatomia dei corpi umani intesi come
oggetti del mondo fisico. Tuttavia, come cercher di mostrare attraverso
la discussione di posizioni espresse (pur con una infinita variet di sfuma-
ture) in ambito transgender
21
, anche questa identit, lungi dallessere
qualcosa di oggettivamente dato, invece il risultato di una continua ri-
chiesta di identificazione mossa allindividuo che vale indistintamente per
lidentit sessuale e per quella di genere, nonostante tutti i tentativi di di-
stinguere fra le due espressioni
22
. Anzi, la caratteristica peculiare di questo
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 145
23
M. Foucault, The Abnormals, in Ethics Subjectivity and Truth. Essential Works of Foucault
1954-1984, vol. I, a cura di P. Rabinow, The New Press, New York 1997, pp. 51-59, qui p. 51.
Sul concetto di normalit in ambito sessuale/di genere si veda anche M. Warner, The Trouble
with Normal. Sex, Politics, and the Ethics of Queer Life, Harvard University Press, Cambridge,
MA 2000.
24
C. Chase, Hermaphrodites with Attitude: Mapping the Emergence of Intersex Political Acti-
vism, in R.J . Corber e S. Valocchi (a cura di), Queer Studies. An Interdisciplinary Reader,
Blackwell, Malden, MA e Oxford 2003, pp. 31-46. Dopo aver subito personalmente una serie di
interventi chirurgici intesi a conferirle una chiara identit sessuale/di genere, Chase ha fon-
dato nel 1993 la ISNA- Intersex Society of North America. Di particolare interesse, soprattutto
per quanti, pur dichiarandosi sostenitori dei diritti umani, tendono a coglierne la violazione sol-
tanto nelle culture altre e non anche qui da noi, la sua posizione sulla questione della clito-
ridectomia in Africa, le cui rappresentazioni manifestano tutte una profonda trasformazione in
altro della clitoridectomia africana che contribuisce al silenzio che circonda pratiche mediche
simili nelloccidente industrializzato. Il loro taglio dei genitali un rituale barbarico; il no-
stro scientifico. Il loro sfigura, il nostro normalizza il deviante (ivi, p. 41). Pi in generale,
146 Flavia Monceri
tipo di identit che la richiesta di identificazione si traduce in pratiche
unilateralmente messe in atto da altri fin dal momento della nascita di
ciascun individuo e persino da prima per adeguarlo ai modelli so-
cialmente accettati, che in questo caso sono soltanto due. Infatti, nellambi-
to sessuale/di genere o si maschi o si femmine: tertiumnon datur.
Un primo esempio di questo tipo costituito dalle pratiche di mutila-
zione che tali restano al di l di qualsiasi giustificazione razionalmente
argomentabile messe in atto sul corpo dei neonati che presentano ca-
ratteristiche tali da costituire per lappunto quel non meglio specificato
terzo che non pu darsi nel caso dellidentit sessuale/di genere. Si trat-
ta degli individui solitamente indicati dai termini intersessuale o er-
mafrodito, che rappresentano peraltro una delle categorie di anormali il
cui stigma, per riprendere termini goffmaniani, consiste in una deforma-
zione fisica, e che dunque possono essere a buon diritto (dal punto di
vista dei normali) inseriti nella categoria dei mostri umani, per dirla
con Michel Foucault. Infatti, secondo Foucault il mostro umano colui
che combina limpossibile e il proibito ci che non pu essere reale
con ci che non pu essere morale , mentre quel che lo rende un mo-
stro non soltanto la sua eccezionalit relativa alla forma della specie;
il disturbo che introduce nelle regolarit giuridiche
23
. E ci anche quan-
do leccezionalit sembra non essere propriamente tale, se vero che, co-
me ricorda Cheryl Chase, circa un neonato su cento esibisce una qualche
anomalia nella differenziazione sessuale, e circa uno su duemila abba-
stanza differente da rendere problematica la domanda un bambino o
una bambina?
24
.
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 146
sugli intersessuali si veda almeno S.J . Kessler, Lessons fromthe Intersexed, Rutgers University
Press, New Brunswick, NJ and London 2002.
Lidentit come pratica dellidentificazione 147
Perch questa la prima domanda alla quale ciascun individuo cia-
scuno di noi chiamato a rispondere fin dalla nascita allo scopo di iden-
tificarsi, o meglio in questo caso di essere identificato, per acquisire una
identit sociale riconoscibile, accertabile e accettabile che lo accompa-
gner per il resto della vita e che fin da subito, prima ancora che lindivi-
duo coinvolto se ne renda conto, viene confermata da numerosi simboli
visibili a carattere pi o meno invasivo. Allaccertamento dei caratteri
anatomici, e alla loro correzione nel caso di eventuali errori, segue
lattribuzione di un nome adeguato che stabilisca una volta per sempre che
quellindividuo un M (maschio) o un F (femmina), un nome che viene
certificato nellatto di nascita e che seguir (o perseguiter, a seconda
delle circostanze) quellindividuo tanto nella formazione dellidentit per-
sonale, quanto nellesibizione e rappresentazione della sua identit socia-
le. In molte lingue umane, questa attribuzione continuamente riaffermata
dalla loro struttura, visto che pronomi, forme verbali, sostantivi, aggettivi e
quantaltro contribuiscono a rendere immediatamente percepibile anche
quale sia la categoria sessuale/di genere cui appartiene il parlante.
Inoltre, solo per fare qualche altro esempio, ancora prima della nascita la
futura mamma e il gruppo dei familiari si danno da fare per preparare un
corredino intonato al sesso/genere del nascituro, con una prevalenza di ro-
sa per F e di celeste per M, mentre il fiocco appeso alla porta di casa o in
altro luogo per partecipare la nascita a livello sociale ancora una volta
rosa o celeste.
E finch certi caratteri non diverranno abbastanza evidenti, nel modo di
vestire, di muoversi, di parlare in accordo allidentit assegnata, insomma
finch non sar possibile chiedere direttamente al nuovo nato di identifi-
carsi, i genitori o chi per loro si sentiranno continuamente rivolgere la do-
manda: Che bel bambino un maschio una femmina?. Ma cosa acca-
de se non possibile rispondere a quella domanda neppure con il passare
del tempo, ossia se il bambino ormai cresciuto ma la cui identificazione
come M o F non abbastanza immediata si sente continuamente rivolgere
quella domanda in una nuova forma: Sei un maschio o una femmina?.
Questa domanda perseguita tutti coloro che a vario titolo si riconoscono in
una delle infinite identittransgender, vale a dire quelle identit che si di-
scostano in maniera pi o meno marcata, ma chiaramente percepita (alme-
no al livello individuale), dai due modelli socialmente accettati.
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 147
25
L. Feinberg, TransLiberation. Beyond Pink or Blue, Beacon Press, Boston 1998, p. 1. Nel
riportare le affermazioni di Feinberg impiego la forma italiana maschile, che va intesa come
neutra, nel tentativo di rispettare la preferenza di Feinberg per forme grammaticali neutrali
rispetto al genere che peraltro personalmente condivido.
26
Ivi, p. 6.
27
Ivi, p. 8.
28
E. Goffman, Stigma, cit., p. 17.
148 Flavia Monceri
Il dramma di questa identificazione obbligata chiaramente presentato
da Leslie Feinberg: Sono una persona che sperimenta una difficolt quasi
insormontabile quando si richiede di riempire la casella F o M sui do-
cumenti di identificazione. Non sono in disaccordo con lessere nato con
un corpo femminile. N mi identifico come un sesso intermedio. Semplice-
mente non rientro nei concetti prevalenti in occidente su come una donna
o un uomo dovrebbero apparire. E questa realt ha drammaticamente
indirizzato il corso della mia vita
25
. Una persona come Feinberg, che non
esibisce unidentit sociale chiaramente accertabile e riconoscibile de-
stinata a innervosire molte altre persone: Quando mi guardano, vedono
un caleidoscopio di caratteristiche che associano sia ai maschi che alle
femmine [] Cos mi pongono febbrilmente la domanda: donna o uomo?
Sono quelle le uniche due parole che la maggior parte delle persone ha a
disposizione per formulare la propria domanda
26
. Tuttavia, il vero proble-
ma che in questo modo essi stanno cercando di comprendere la mia
espressione di genere tramite la determinazione del mio sesso e qui sta
il nocciolo! Proprio come la maggior parte di noi cresciuta avendo a di-
sposizione soltanto i concetti di donna e uomo, i termini femminile e ma-
schilesono gli unici due strumenti che la maggior parte della gente ha a
disposizione per parlare delle complessit dellespressione di genere
27
.
In generale, uno dei problemi che si trovano ad affrontare le persone
transgender quello di costruirsi una identit sociale alternativa che a sua
volta scaturisce anchessa da pratiche di identificazione che accomunano
un particolare gruppo di devianti o di non normali, unidentit palese-
mente contrapposta o altrimenti distinta da quella della maggioranza dei
normali. Ancora una volta, questo processo di spostamento e di riformula-
zione dellidentit sociale dello stigmatizzato viene ben ricostruito da Goff-
man, a partire dal presupposto che lindividuo stigmatizzato tende ad ave-
re le stesse credenze, riguardo allidentit, che abbiamo noi, mentre le
sue pi profonde convinzioni riguardo a ci che egli possono costituire il
suo senso di essere una persona normale, un essere umano come chiun-
que altro, una persona dunque che merita opportunit e riconoscimenti
28
.
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 148
29
Ibidem.
30
Su questa nozione, sulla quale sto lavorando da qualche tempo tanto in ambito intracultu-
rale, quanto in ambito interculturale cfr. F. Monceri, The Transculturing Self: A Philosophical
Approach, in LAIC-Language and Intercultural Communication, 3/2 (2003), pp. 108-114.
31
Si vedano almeno K. Bornstein, Gender Outlaw: On Men, Women and the Rest of Us, Rou-
tledge, New York and London 1994; L. Feinberg, TransLiberation, cit.; J . Nestle, C. Howell e R.
Wilchins, Genderqueer. Voices frombeyond the sexual binary. Alyson Books, Los Angeles/New
York 2002; P. Califia, Sex Changes, cit.; R. Wilchins, Queer Theory, Gender Theory. An Instant
Primer, Alyson books, Los Angeles 2004.
Lidentit come pratica dellidentificazione 149
Con ci data anche la possibilit di costruire identit minoritarie che
tuttavia possono aspirare al riconoscimento e allaccettazione soltanto se il
loro stigma comune abbastanza diffuso e condiviso da trasformarsi in un
criterio univoco di identificazione. Lindividuo che accetta una tale identit
basa le sue richieste non su ci che ritiene sia dovuto a tutti, ma solo a
coloro che fanno parte di una categoria sociale di cui egli membro, per
esempio tutti quelli della sua et, sesso, professione e cos via
29
. In effet-
ti, la costituzione di identit alternative, basate su pratiche alternative di
identificazione, allorigine anche della possibilit di ottenere un ricono-
scimento sociale di gruppo (come nel caso di una maggioranza che rico-
nosca una minoranza stigmatizzata), e dunque di usufruire di un tratta-
mento meno discriminatorio garantito, per esempio, da politiche e da prov-
vedimenti a carattere giuridico cosiddetti di tutela delle minoranze.
E tuttavia, il presupposto per ottenere tale riconoscimento la rinuncia
nei confronti della propria diversit in quanto individuo, in quanto s con-
tinuamente coinvolto nel processo di costruzione di una identit a caratte-
re fluido, e mai definitivamente in grado di sedimentarsi, come dimostra il
paradigma del s dialogico, o come potrebbe anche dedursi da una defini-
zione del s come s transculturante
30
. In cambio di questa rinuncia a
esibire le proprie diversit e a chiederne il riconoscimento e laccettazione
in quanto tali cio nei termini di differenze che hanno diritto allesisten-
za in quanto costitutive dellindividuo che le esibisce , e in cambio
dellaccettazione di una serie di pratiche attraverso le quali egli si identifi-
ca a beneficio di altri, lindividuo conquista una identit stabile e ricono-
scibile che lo mette al sicuro dalle conseguenze indesiderate che potreb-
bero risultare dallesibizione dello stigma da cui segnato, e che condi-
vide con altri da cui pu fondatamente aspettarsi di ricevere supporto.
Ci nonostante, il caso delle persone transgender mette in discussione
proprio la stessa possibilit dellidentificazione
31
, perch tali persone ten-
dono a mostrare una variabilit nei caratteri che li differenziano dai nor-
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 149
32
Cfr. fra gli altri S. Whittle, Gender Fucking or Fucking Gender? Current Cultural Contri-
butions to Theories of Gender Blending, in R. Ekins e D. King (a cura di), op. cit., pp. 196-215;
W.O. Bockting, Transgender Coming Out: Implications for the Clinical Management of Gender
Dysphoria, in B. Bullough, V.L. Bullough e J . Elias, op. cit., pp. 48-53.
33
Sui risvolti del sadomasochismo in termini di rovesciamento dellidentit sessuale/di ge-
nere e dei rapporti di potere che essa presuppone si vedano, fra gli altri, P. Califia, Public Sex.
The Culture of Radical Sex. II edn. Cleis Press, San Francisco, CA 2000; M. Foucault, Sex,
Power, and the Politics of Identity, in Ethics Subjectivity and Truth, cit., pp. 163-175.
34
Sul rapporto fra teorie queer e teorie di genere cfr. il recente R. Wilchins, Queer Theory,
cit. Per una introduzione alle teorie queer cfr. J . Butler, Gender Trouble. Feminismand the Sub-
version of Identity, Routledge, New York 1990; J . Butler, Bodies that Matter. On the Discursive
limits of Sex, Routledge, New York/ London 1993; A. J agose, Queer Theory. An Introduction,
New York University Press, New York 1996; W.B. Turner, A Genealogy of Queer Theory, Temple
University Press, Philadelphia 2000; R.J . Corber e S. Valocchi (a cura di), Queer Studies. An In-
terdisciplinary Reader, Blackwell, Malden, MA and Oxford 2003; D.E. Hall, Queer Theories, Pal-
grave Macmillan, Houndsmill, Basingstoke, Hampshire/ New York 2003; N. Sullivan, A Critical
introduction to Queer Theory, Edinburgh University Press, Edinburgh 2003.
150 Flavia Monceri
mali, e anche fra di loro, alla quale non intendono rinunciare, e che anzi
in molti casi risulta nel tentativo di sovvertire la pratica dellidentit in ge-
nerale attraverso la creazione ed esibizione di identit/identificazioni flui-
de, mutevoli e ibride. Esse possono anche mostrarsi tramite modificazioni
anormali del corpo fisico (come nel caso dei transessuali che si sotto-
pongono solo parzialmente al trattamento chirurgico
32
), o tramite lappro-
priazione di un ruolo sociale non adeguato alla conformazione visibile di
quello stesso corpo (come nel caso dei cross-dressers), o tramite lattua-
lizzazione di pratiche sessuali perverse o aberranti che giocano
con il genere e con tutti gli atteggiamenti o ruoli ad esso assegnati anche
in termini di rapporti di potere (come nel caso del sadomasochismo
33
).
Questo superamento dellidentit sul piano concreto ha peraltro un ri-
svolto in ambito teorico nella Queer Theory sulla quale non possibile
qui soffermarsi che tuttavia non ancora riuscita a influenzare il pensie-
ro scientifico-sociale pi generale anche per il suo carattere frammentario,
che rifiuta di confluire in unico paradigma proprio per difendere la variet
inesauribile dei fenomeni identitari di cui si occupa
34
.
4. Conclusioni
In questo lavoro ho cercato di sollevare il problema del rapporto che le-
ga il concetto di identit a quello di identificazione, in particolare tentando
di mostrare che lidentit il risultato delle infinite pratiche di identifica-
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 150
Lidentit come pratica dellidentificazione 151
zione messe in atto da ciascun individuo nellambito delle situazioni inte-
rattive concrete. Bench la tematica sia complessa e certamente non esau-
rita dallargomentazione fin qui condotta, mi sembra possibile presentare
almeno alcune considerazioni conclusive da intendersi anche nel senso di
suggerimenti per lulteriore riflessione. Il primo punto da sottolineare
linevitabilit del ricorso a pratiche di identificazione, per il semplice moti-
vo che a esse ci obbliga la nostra struttura cognitiva di esseri umani. Detto
altrimenti, non credo sia possibile evitare il ricorso allidentificazione di se
stessi e di altri, e la conseguente creazione di modelli di identit, perch
questa operazione coincide con la modalit fondamentale dellattivit co-
noscitiva umana, la quale consiste nel ridurre lignoto al noto tramite una
selezione di caratteri in seguito rielaborati nella forma di modelli mentali
stereotipici. Quel che invece possibile fare acquisire e mantenere la
consapevolezza dellarbitrariet di tale operazione di riduzione, e della
conseguente arbitrariet dei modelli identitari proposti a livello sociale.
Per il singolo individuo lidentit un concetto non necessario perch
la sua configurazione cos e non altrimenti non un prodotto, ma un pro-
cessoinfinito di trasformazione del s che non ha bisogno di ununica defi-
nizione. Tuttavia, poich tale processo non avviene nel vuoto, per cos di-
re, ma nel contesto di interazioni concrete, nelle quali viene richiesto a
ogni individuo di negoziare e rinegoziare continuamente la propria diver-
sit per corrispondere alle richieste di identificazione mossegli da altri,
inevitabile che una qualche identit si sedimenti in ogni momento dato co-
me risultato di pratiche simultanee di identificazione e di autoidentifica-
zione. Tale identit, tuttavia, non esaurisce lindividualit, e semplicemen-
te si configura in modo tale da rintracciare un punto di equilibrio fra la di-
versit del s e la richiesta di normalizzazione da parte del contesto.
Lidentit individuale, in definitiva, si configura come quellinsieme di ca-
ratteri che ciascuno di noi sperimenta essere la pi adeguata per identifi-
carsi in ogni situazione data ai fini dellinterazione comunicativa.
Essa non risulta problematica finch la diversit esibita non sia tanto
divergente rispetto ai modelli dominanti da revocare in dubbio la loro na-
turalit e normalit, vale a dire finch si pu perlomeno presumere che
lidentit personale di un individuo sia sufficientemente aderente alla sua
identit sociale. Tuttavia, si tratta di un equilibrio sempre fragile, soprat-
tutto per la tendenza a ritenere che una volta costruita lidentit possa es-
sere data per scontata senza pi ricordare che la sua origine va rintraccia-
ta nellidentificazione. per questo motivo che un caso come quello delle
persone transgender ha una notevole rilevanza anche per la riflessione teo-
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 151
152 Flavia Monceri
rica: perch revoca in dubbio lequivalenza fra identit ed essenza
dellindividuo, sottolineando piuttosto che tale equivalenza finisce per sa-
crificare per lappunto lidentit individuale, dellindividuo con tutte le sue
differenze.
Abstract
In this article the author maintains that the notion of identity originates at the inter-
subjective level fromidentification and self-identification practices, whose actualization
is needed in order for individuals to interact with each other. Therefore, the very term
identity should be considered as misleading in that it always entails a reference to (so-
cial) identification. In the first section, the relationship between identity and identifica-
tion is considered in the light of Erving Goffmans notion of stigma. In the second
section, the case of the sexual/gender identity of transgendered persons is briefly dis-
cussed in order to show in what sense the overlapping between identity and identifica-
tion is closely related to the social control of individual diversity.
08 Monceri 137 22-11-2010 10:56 Pagina 152
TEORIA 2006/1
1
H. Goldberg, The Hazard of Being Male, NAL-Dutton, New York 1976.
2
W. Farrell, Why Men are The Way They Are, McGraw-Hill, New York 1986 (tr. it.: Perch
gli uomini sono come sono, Frassinelli, Milano 1986). La traduzione italiana fuori commercio
ed introvabile.
Problemi di identit maschile
Giovanni Ventimiglia
1. Introduzione
1.1. Movimenti maschili
Si moltiplicano da qualche tempo anche in Italia i movimenti e le ini-
ziative di gruppi di uomini a difesa dei diritti degli uomini e, in generale,
della cultura maschile. Baster fare un giro in rete per cominciare a farsi
una idea di quanto ampio sia il coinvolgimento degli uomini in questa che
appare come una nuova forma di lotta post (e a volte anti) femminista.
Per la verit si tratta di echi di movimenti iniziati gi da qualche decen-
nio negli Stati Uniti. Risale infatti al 1972 Mens Defense, la prima organiz-
zazione in difesa della parit dei diritti degli uomini. Del 1976 invece il
testo fondamentale dello psicologo Herb Goldberg, The Hazard of being Ma-
le: surviving the myth of the masculine privilege
1
. Nel libro si denuncia tra
laltro il femminismo, per aver contribuito a perpetrare i ruoli tradizionali,
allorquando questi facevano ancora comodo alle donne. Il libro allorigine
della Fondazione Free Men(oggi National Coalition of Free Men).
Altro testo fondamentale nella storia del movimento maschile america-
no il bestseller (in America) di Warren Farrell, Why Men are The Way
They Are
2
, del 1986, che il New York Times ha definito come il miglior
libro mai scritto sullamore, il sesso e lintimit. Farrell ha una storia sin-
golare. Gi noto per essere stato uno dei primi e pi convinti uomini fem-
ministi (fu lunico uomo ad essere mai stato eletto al comitato esecutivo
Lidentit in questione
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 153
3
Idem, The Myth of Male Power: Why Men Are The Disposable, Simon and Schuster, New
York 1993 (tr. it.: Il mito del potere maschile, Frassinelli, Milano 1994). La traduzione italiana
fuori commercio ed introvabile.
4
R. Bly, Iron J ohn. A Book about Men, Addison-Wesley, Reading Mass. 1992 (tr. it.: Per
diventare uomini. Come un bambino spaventato si pu trasformare in un uomo completo e maturo,
Mondadori, Milano 1992). Anche in questo caso, la traduzione italiana fuori commercio ed in-
trovabile. In commercio invece The Sibling Society, Addison-Wesley, Reading Mass., 1996; tr.
it.: La societ degli eterni adolescenti, Red, Como 2000.
5
S. Keen, Fire in the Belly. On Being Man, Paperback, BantamUSA 1991 (tr. it.: Nel ven-
tre delleroe. Viaggio alla scoperta del nuovo maschio, Frassinelli, Milano 1993).
154 Giovanni Ventimiglia
della National Organization for Women), autore di un famoso testo femmi-
nista, The Liberated Man (1974), negli anni Ottanta cambia completamen-
te atteggiamento nei confronti delle donne: gli uomini avrebbero prestato
fin troppa attenzione al senso di impotenza vissuto dalle donne di fronte
alla classe maschile dominante e privilegiata. Era invece tempo, per Far-
rell, di prestare finalmente attenzione al senso di impotenza e, in generale,
alle emozioni degli uomini. Farrell scriver pi tardi un altro testo di rife-
rimento per il movimento degli uomini: The Myth of Male Power: Why Men
Are The Disposable Sex
3
.
Del 1990 il bestseller del poeta Robert Bly, Iron J ohn
4
, libro di testo
principale di gruppi di autocoscienza maschile molto seguiti negli USA.
Al pari di Goldberg e Farrell, Bly d molta importanza alle emozioni degli
uomini, da riscoprire in percorsi analitici ispirati ai miti delluomo selva-
tico. Famose (sempre in America) sono le sue pagine contro il maschio
tenero degli anni Settanta: premuroso e passivo, incapace di vitalit pro-
pria e di reazioni contro gli attacchi delle donne forti, non riesce alla fine
nemmeno ad essere oggetto del loro desiderio. Le donne infatti preferireb-
bero pur sempre gli uomini forti, selvatici appunto. Riscoprire il selvati-
co dentro di s avrebbe dunque per Bly il doppio vantaggio di riscoprire
le proprie autentiche, naturali emozioni e, di pi, sperimentare di nuovo il
desiderio erotico delle donne.
Bly differisce da Farrell e Goldberg per limportanza attribuita alla se-
parazione dal padre come origine dei disturbi dellaffettivit e per la pro-
posta di riscoprire i riti di iniziazione al maschile (da uomo a uomo) nel
percorso verso la riscoperta di s.
Un altro libro importante, in questa brevissima storia del pensiero ma-
schile, il bestseller del trapezista e scrittore (gi professore di teologia e
giornalista) Sam Keen, Fire in the Belly. On Being Man
5
.
Gli autori e i testi menzionati sono, di solito, allorigine dei principali
movimenti degli uomini in Italia. Fa eccezione il movimento, davvero no-
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 154
6
Cfr. www.maschio100x100.com
7
Cfr. www.uomini3000.it
8
Cfr. www.maschiselvatici.it nonch i libri di Claudio Ris, Il maschio selvatico. Ritrovare
la forza dellistinto rimosso dalle buone maniere, Red, Como 1993; Idem, Maschio amante felice.
Ovvero della bellezza di essere uomini, Frassinelli, Milano 1995; Idem, Il padre lassente inaccet-
tabile, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003. La bibliografia completa di Ris si trova sul suo sito:
http://www.claudio-rise.it
Problemi di identit maschile 155
strano anzi ruspante, denominato maschio 100% o lega maschio, fon-
dato da Salvatore Marino, con sede a Pescara, che ha come scopi: una ri-
voluzione sessuale, morale, culturale e politica del maschio contro lo
strapotere nazi-femminista
6
. Ha persino un braccio politico, denomi-
nato Lega Sud. A Farrell si ispira invece il movimento Uomini 3000
Associazione etica maschile, con sede a Urbino, fondato da Rino Della
Vecchia
7
. A Robert Bly si ispirano, per finire, il movimento dei maschi
selvatici e il movimento per il padre, fondato e animato dallo psicoana-
lista junghiano e giornalista Claudio Ris
8
.
Accanto ai libri, anche molti film di successo, americani e non, testimo-
niano in modo evidente il ritorno del maschile, del cavaliere, del guer-
riero o semplicemente del padre: Lultimo dei moicani (di Michael Man),
Lultimo samurai (di Edward Zwick), Il mestiere delle armi (di Ermanno Ol-
mi), Il gladiatore(di Ridley Scott), I cavalieri che fecero limpresa (di Pupi
Avati), Il ritorno(di Andrey Zvyaginstev), per citare solo qualche titolo.
1.2. Due cause
venuto il momento di chiedersi quali siano le cause che hanno deter-
minato un tale risveglio di interesse per il maschile ed i suoi valori.
1.2.1. Il primo e pi evidente motivo alla base del movimento degli uo-
mini lemancipazione femminista. Anche se molta strada ancora da
percorrere in questa direzione, tuttavia sono innegabili le conquiste che,
spesso con molta fatica, sono state ottenute dalle donne. Al riguardo si so-
no avute, mi sembra, due fasi, diverse anche cronologicamente. La prima,
che va grosso modo dalla Rivoluzione francese agli anni Sessanta, quella
della parit, allorch le donne hanno reclamato giustamente gli stessi di-
ritti degli uomini: diritto allistruzione, di voto, di accesso alle libere pro-
fessioni. La seconda fase, che parte dagli anni Settanta, quella della dif-
ferenza, allorch le donne hanno reclamato alcuni diritti come propri ed
esclusivi: si pensi a campi quali laborto o laffidamento dei figli in cui i
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 155
9
L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, tr. it., Feltrinelli, Milano 1985. Per questo, co-
me per i testi che seguono non ho ritenuto necessario citare la prima edizione in lingua origina-
le, non essendo a tema la storia del pensiero femminista.
10
C. Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalit, tr. it., Feltrinelli, Mi-
lano 1987.
11
L. Muraro, Lordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991.
12
L. Muraro, Se il cardinale fosse un mio studente, Il Manifesto, 7 agosto 2004.
156 Giovanni Ventimiglia
diritti delle madri (ad abortire o a ricevere laffidamento dei figli) preval-
gono senzaltro, secondo la legge e la prassi giuridica, sui diritti dei padri
(a tenere il bambino o ricevere laffidamento dei figli). Si pensi, poi, alle
quote femminili, obbligatorie in alcuni paesi nellambito del lavoro, se-
condo cui, a prescindere dal merito, una parte dei posti di un determinato
ente pubblico o privato devono essere riservati alle donne. Come si vede,
si tratta di diritti che le donne reclamano non in quanto uguali agli uomini,
ma proprio in quanto donne: zone franche in cui nessun uomo pu entrare.
a questa seconda fase del movimento femminista che si oppongono,
oggi, molti uomini: padri che non accettano le decisioni abortive delle loro
compagne, o desiderosi, magari pi delle madri, di prendersi cura dei pro-
pri figli in seguito ad un divorzio; o semplicemente uomini meritevoli,
esclusi da posti di lavoro, a causa delle quote femminili, soltanto, dun-
que, perch maschi.
Non per ancora tutto. Perch, al di l dellambito puramente politico,
lambito delle proposte culturali a spaventare luomo. Anche in questo
caso bisogna distinguere due correnti del femminismo, diverse stavolta
non gi cronologicamente ma, piuttosto, geograficamente. Il femminismo
europeo, infatti, quello di Luce Irigaray
9
, di Carol Gilligan
10
e di Luisa
Muraro
11
, conosciuto anche come femminismo della differenza sessuale,
non spaventa tanto gli uomini, dal momento che la differenza, e dunque
lesistenza di entrambi i sessi, vista come un valore positivo da difendere
a tutti i costi contro lappiattimento e lomologazione indifferenziata dei
sessi (tipico della prima ondata del femminismo). Luisa Muraro, per esem-
pio, in Italia continua a rivolgere agli uomini appelli incoraggianti e per
nulla ostili, affinch gli uomini prendano coscienza dei valori contenuti
nella teoria della differenza sessuale, e comincino di conseguenza un per-
corso di presa di coscienza di se stessi in quanto uomini (non in quanto
neutri universali, come avvenuto fino ad ora)
12
.
invece il femminismo soprattutto americano a spaventare gli uomini.
E difatti proprio l che sono nati, come abbiamo visto, i primi movimenti
maschili. Si tratta della originaria corrente emancipazionista divenuta or-
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 156
13
S. Firestone, La dialettica dei sessi: autoritarismo maschile e societ tardo-capitalista,
trad. it., Guaraldi, Rimini-Firenze 1974.
14
A. Dagnino, Uoma: la fine dei sessi, Mursia, Milano 2000.
15
Donna J . Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, trad. it.,
Feltrinelli, Milano 1995.
16
Ibi, p. 41. Pi avanti scrive: Il cyborg una sorta di s postmoderno collettivo e perso-
nale, disassemblato e riassemblato. il s che le femministe devono elaborare e ancora: Que-
sto saggio vuole essere un argomento a sostegno del piaceredi confondere i confini e della nostra
responsabilitnella loro costruzione. Al riguardo rimando al mio: Uomo, donna, cyborg? in Atti
del Convegno Che genere di bioetica?: la differenza uomo/donna nelle questioni bioetiche, Lumsa,
Roma 15-16 aprile 2005 (di prossima pubblicazione per i tipi della Giappichelli).
Problemi di identit maschile 157
mai tanto matura da proporre visioni del mondo e della societ affrancate
completamente dagli uomini e dalle sue funzioni.
Fra i tanti che si potrebbero citare, baster qui far riferimento al testo
di Shulamith Firestone, La dialettica dei sessi
13
, in cui lautrice, riflettendo
sui grandi vantaggi portati alle donne dagli elettrodomestici, ipotizzava un
futuro finalmente libero dal peso degli uomini.
Sulla stessa lunghezza donda, per rimanere sempre nellambito degli
esempi, si colloca il libro di Arianna Dagnino, Uoma: la fine dei sessi
14
, in
cui viene preconizzata una nuova era dellumanit che, con laiuto delle
tecnologie, far a meno degli uomini.
Fondamentale, infine, in questa ottica poi Manifesto Cyborgdi Donna
Haraway
15
, non a caso biologa di formazione, che ipotizza per il suo cy-
borg post-genere (ma in realt femminile) forme di riproduzione umana in
cui luomo non ha alcuna parte.
Importante notare che per la Haraway, a differenza che per la Dagni-
no, il processo che porter al cyborg trans-genere (ma di fatto donna), non
sar un processo deterministico ma il risultato di una lotta politica delle
donne contro gli uomini: il cyborg la nostra ontologia scrive ci d la
nostra politica
16
. Insomma, per la Haraway, se siamo gi tutti cyborg non
lo siamo ancora del tutto: lultimo tratto di strada dovr essere gestito dalle
donne che, sfruttando le tecnologie, si sbarazzeranno definitivamente degli
uomini.
Bisogner ritornare, alla fine di questo articolo, sulla proposta della Ha-
raway, perch quella che meglio di tutte si sforza di pensare il problema
della differenza di genere al passo con la situazione della societ contem-
poranea, in cui, volenti o nolenti, siamo tutti dei cyborg.
Per ora, baster notare come, di fronte a tali proposte culturali, sia com-
prensibile che gli uomini abbiano cominciato a risvegliarsi, a riunirsi, a
fondare movimenti culturali, a scrivere libri e girare film.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 157
158 Giovanni Ventimiglia
1.2.2. La seconda e pi profonda causa del risveglio maschile da ri-
cercarsi proprio nelle possibilit di quelle tecnologie, invocate e strumen-
talizzate in funzione antimaschile nel femminismo come quello della Ha-
raway. La vera questione, infatti, e non si insister mai abbastanza sullar-
gomento, quella delle possibilit della scienza e della tecnica, che met-
tono in discussione fin nelle radici lidentit maschile e femminile.
Considero anzitutto le tecnologie quali artefatti domestici, elettrodome-
stici e leve meccaniche: i primi permettono agli uomini di fare agevolmen-
te in casa quanto una volta era compito esclusivo delle donne: si pensi sol-
tanto al biberon. Le seconde, le leve meccaniche, le gru, gli argani, i trat-
tori e cose di questo tipo rendono del tutto obsoleta la forza muscolare de-
gli uomini.
Ci sono poi soprattutto le possibilit scientifiche e tecnologiche
nellambito della riproduzione umana, la cosiddetta artificializzazione del-
la riproduzione. Se si pensa alla contraccezione, allaborto, alle tecnologie
riproduttive, si comprende come donne e uomini hanno dovuto cominciare
a scindere mentalmente cose come la sessualit e la fertilit o la sessualit
e la procreazione. Si tratta di rivoluzioni mentali che non possono non aver
avuto conseguenza sulla coscienza che gli uomini hanno di se stessi e del-
le proprie capacit. Si pensi poi alla possibilit per le donne di riproduzio-
ne senza partner, sia nel caso della single, sia nella clonazione, o alla ri-
produzione con pi di due partner, o la riproduzione in et avanzata, la ri-
produzione post-mortem, la riproduzione senza partner biologico, attraver-
so la clonazione. Si tratta di situazioni difficili da elaborare per gli uomini.
La biologa Donna Haraway spera in forme di replicazione non collegate al-
la riproduzione organica, come quella delle felci e degli invertebrati, in
cui luomo non avr pi alcuna funzione nemmeno in quanto fuco. A ti-
rar le conclusioni, per ora sommarie dal momento che bisogner tornare
sullargomento alla fine di questo articolo, bisogna riconoscere che la
scienza e la tecnica continuano in ogni momento a rendere obsolete tutta
una serie di prerogative e funzioni un tempo maschili.
Come non pensare ad una profonda influenza di tali scenari nellimma-
ginario maschile?
2. Tre teorie pi una quarta
Con quali teorie sul genere maschile hanno reagito gli uomini alleman-
cipazione della donna e alle inquietanti possibilit delle tecnologie ripro-
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 158
17
O. Weininger, Sesso e carattere, tr.it. Bocca, Roma 1956.
Problemi di identit maschile 159
duttive? Addentrarsi nella vasta congerie delle proposte, spesso di valore
diseguale, relative allidentit maschile non per nulla semplice. Tenter
qui una catalogazione, avvertendo fin dallinizio che spesso uno stesso mo-
vimento o uno stesso autore pu appartenere a pi categorie. Il criterio per
distinguere le varie teorie sullidentit maschile basato sul diverso modo
di concepire lidentit femminile. Daltra parte da sempre stato un metodo
filosofico: dal momento che il linguaggio ordinario, fino ad oggi, considera
la parola donna opposta semanticamente alla parola uomo, le teorie
sulluomo si potranno distinguere pi facilmente sulla base delle diverse
caratterizzazioni che danno delle donne: omnis determinatio est negatio.
Ora nel panorama della riflessione, invero quasi mai filosofica fino ad
oggi, sullidentit maschile, si possono distinguere almeno tre diverse con-
cezioni del rapporto tra il maschile ed il femminile. Per semplicit le chia-
mer per ora cos: la teoria delluomo macho; quella delluomo dolce;
quella delluomo selvatico. Una quarta teoria, che a mio avviso potrebbe
rappresentare il preludio di una fase filosoficamente e psicologicamente
nuova, quella delluomo padre.
2.1. Luomo macho
Nelle teorie neo-maschiliste delluomo macho, oggi molto diffuse special-
mente in certa cultura estremista di destra, il femminile considerato come
qualcosa di totalmente esterno ed estraneo allidentit maschile: luomo
appunto solo maschio, o maschio al 100%. Questa concezione ha poi a
sua volta almeno tre varianti, a seconda che la donna venga considerata co-
me essere inferiore da sfruttare (versione patriarcale), nemica da combattere
(versione misogina) o preda da conquistare (versione seduttrice). Se si do-
vesse citare un testo significativo emblematico di tale posizione bisognereb-
be indicare il poderoso vecchio libro di Otto Weininger, Sesso e carattere
17
,
in cui si cerca di dimostrare linferiorit morale ed intellettuale delle donne.
2.2. Luomo dolce
Opposta a questa la teoria dellidentit maschile che considera il fem-
minile come uno dei due tratti (maschile e femminile) presente in ogni in-
dividuo, tratto dolce e sentimentale che gli uomini moderni non devono af-
fatto nascondere ma, al contrario, coltivare e manifestare senza vergogna.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 159
18
C.G. J ung, Tipi psicologici, tr. it., Torino 1996, p. 421.
19
M. Mieli, Elementi di critica omosessuale, Feltrinelli, Milano 2002 (la prima edizione
del 1977) che molto deve a testi junghiani. Si rif anche a questo testo: R.W. Connell, Maschi-
lit. Identit e trasformazioni del maschio occidentale, tr.it., Feltrinelli, Milano 1996.
20
Cfr. la nota 8.
160 Giovanni Ventimiglia
La teoria ha origine in C.G. J ung che, come noto, individuava nellAni-
mus e nellAnima le qualit rispettivamente maschili e femminili di ogni
individuo, tanto pi presenti nellinconscio quanto pi cosciente il tratto
opposto. Cos un uomo molto virile ha unanima femminile. Un tale con-
trasto proviene dal fatto che luomo, ad esempio, non del tutto e in ogni
cosa virile; normalmente ha anche determinati tratti femminili. Quanto pi
virile il suo atteggiamento esterno, tanto pi sono cancellati in esso i
tratti femminili, che compaiono perci nellinconscio. Questa circostanza
spiega perch proprio uomini molto virili vadano soggetti a caratteristiche
debolezze: di fronte ai moti dellinconscio essi si comportano con unim-
pressionabilit e uninfluenzabilit tipicamente femminili
18
. Si intuisce
gi da queste poche frasi la necessit per J ung di portare a coscienza e vi-
vere con la massima naturalezza anche i tratti femminili, onde evitare un
contrasto troppo forte tra conscio ed inconscio.
A partire dai testi di J ung (un altro classico in proposito Aion: ricerche
sul simbolismo del s) e confermate dalla religione taoista (che vede in Yin
e Yan i principi maschile e femminile delluniverso), si sono sviluppate
una serie di teorie sulla naturale femminilit delluomo fino a quelle sul-
lomosessualit
19
.
Naturalmente lesito omosessuale non un finale obbligato della cor-
rente di pensiero che andiamo esaminando. La sua versione pi soft, oggi
la pi diffusa, consiste nella teoria che chiamo delluomo jolly cos rias-
sumibile: luomo pu vivere, a seconda delle circostanze, con la stessa na-
turalezza ruoli tradizionalmente maschili (per esempio, come suggerisce la
Gilligan, il giudice) e ruoli tradizionalmente femminili (per esempio: lin-
fermiere). Di fatto, come ha denunciato Goldberg, tale concezione fa
delluomo un jolly, utilizzato al momento opportuno e secondo le necessit
del caso, dalle donne.
In altre parole luomo dolce coincide con luomo tenero degli anni
Settanta di cui parlano Bly e, in Italia, Ris, un uomo matrizzato, cio do-
minato psicologicamente dal mito della Grande Madre, incapace di vivere
le sue vere, virili emozioni di uomo, condannato al carcere delle buone
maniere imposte da mamma e del politicamente corretto imposto dalla
societ capitalista materna
20
.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 160
21
Cfr. il manifesto Per il padre, di cui chi scrive firmatario: www.maschiselvatici.it/
menu/perilpadre.htm
Problemi di identit maschile 161
2.3. Luomo selvatico
Antidoto alluomo tenero , secondo Bly, il maschio selvatico. In questa
teoria il femminile gioca un ruolo ambivalente: da un certo punto di vista
quasi assente (tanto ci si concentra sul cammino di iniziazione che gli uo-
mini, in compagnia di altri uomini-guida, devono compiere per ritrovare la
forza dellistinto sepolto dalle buone maniere); dallaltro identificato nel-
la Grande Madre, nemico simbolico principale del selvatico.
Apparentemente diversa sia dalla teoria delluomo macho che da
quella delluomo tenero, in realt la teoria del selvatico ha tratti comuni
sia con luna che con laltra. Come il macho il selvatico si percepisce
diverso dalle donne, ma, come luomo dolce, diverso dagli altri uomini,
tanto da innamorarsi, come le donne, degli uomini iniziatori, specie se ca-
valieri, guerrieri, saggi e forti. In altri termini la teoria del selvatico ma-
schilista espressamente (dal momento che si considera alternativa al
femminismo) e omosessuale implicitamente (dal momento che, teoriz-
zando lomosessualit come tappa del cammino di iniziazione al maschile,
finisce con lidentificarsi proprio con i sentimenti femminili di amore per
luomo forte).
2.4. Luomo padre
Si sviluppa da una corrente della concezione del selvatico la teoria
delluomo padre
21
. Al di l di altre considerazioni, qui interessa sottoli-
neare come la dimensione altruistica e oblativa, tipica del paterno, rappre-
senti una maturazione rispetto al narcisismo del selvatico, e una novit
concettuale nel discorso sullidentit maschile. Il femminile, infatti, non
viene considerato stavolta n come qualcosa di esterno al maschile (uomo
macho), n come qualcosa esistente allinterno delluomo come tratto tipi-
camente femminile contiguo rispetto al maschile (luomo dolce), ma come
una modalit di cura, di dono di s, di relazione agli altri tutta maschile.
In altre parole, se nella concezione delluomo dolce, la femminilit per-
cepita come un tratto del tutto femminileesistente nelluomo, nella conce-
zione delluomo padre, la femminilit non altro che una modalit tutta
maschilee virile di prendersi cura dellaltro, una modalit appunto pater-
na. Ritorneremo sullargomento.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 161
22
Nella tradizione occidentale sono esistiti persistenti dualismi e sono stati tutti funzionali
alle logiche e alle pratiche del dominio sulle donne, la gente di colore, la natura, i lavoratori, gli
animali: del dominio cio di chiunque fosse costruito come altro, col compito di rispecchiare il
s. Primeggiano tra questi problematici dualismi quelli di s/altro, mente/corpo, cultura/natura,
maschio/femmina, civilizzato/primitivo, realt/apparenza, intero/parte, agente/espediente, artefi-
ce/prodotto, attivo/passivo, giusto/sbagliato, verit/illusione, totale/parziale, Dio/uomo. Il S
lUno che non dominato, e le servit dellaltro glielo confermano, laltro colui che possiede il
futuro, e lesperienza della dominazione glielo conferma, smentendo lautonomia del s. Essere
lUno significa essere autonomo, essere potente, essere Dio, ma significa anche essere unillusio-
ne e quindi essere intrecciato allaltro in una dialettica apocalittica. Ma essere laltro significa
essere multiplo, senza confini precisi, logorato, inconsistente. Uno troppo poco, ma due sono
troppi (Haraway, Manifesto cyborg, cit., p. 78)
23
Sciascia sosteneva che la mafia nata quando un gruppo di uomini ha deciso di mettersi
insieme per esercitare almeno fuori casa quel potere che in casa non era loro dato di esercitare.
162 Giovanni Ventimiglia
3. Aporie
Dopo aver brevemente catalogato ed esposto le principali concezioni
contemporanee relative allidentit maschile, vorrei ora evidenziarne alcu-
ne aporie filosofiche e psicologiche.
3.1. Aporie delluomo macho
I vantaggi della concezione delluomo macho sono ben pochi, dal mo-
mento che si propone di restaurare modelli tradizionali ormai impraticabili
nelle societ avanzate o praticabili solo con la forza. Forse un vantaggio
quello di proporre ruoli chiaramente definiti, proprio come succedeva una
volta. Solo che una volta non oggi.
Pi evidenti sono le aporie. Quella filosofica ben individuata da Don-
na Haraway e allude implicitamente alla dialettica hegeliana di servo-pa-
drone
22
. La teoria del macho infatti ha una struttura necessariamente dua-
le, in cui apparentemente uno il positivo, il padrone, il maschio, e laltro
il negativo, il servo, la donna. Tuttavia, qualunque sia la versione consi-
derata (patriarcale, misogina o seduttrice) evidente che il polo positivo,
il maschio, ha bisogno vitale ed essenziale del polo negativo proprio per
potersi affermare in quanto tale. Se non esistesse la donna, che ne sarebbe
del macho? La sua superiorit dunque del tutto subordinata alla donna,
sia essa, appunto, serva, nemica o preda. Cos accade con facilit che la
serva diventi di fatto la padrona, precisamente come succedeva e succede
ancora specialmente nei paesi latini e mediterranei, dove la donna eserci-
ta di fatto in casa un potere enorme
23
.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 162
Problemi di identit maschile 163
Laporia psicologica di tale concezione, invece, stata individuata bene
da Freud. Luomo che odia le donne in realt ne ama una sola: la mamma.
Lo stesso vale per il seduttore, notoriamente incapace di sceglierne una
per sempre: di solito succede perch egli rimane fedele solo a sua madre.
Cos, chi odia le donne in realt perdutamente e inconsciamente inna-
morato del modello di tutte le donne, che per lui la madre.
3.2. Aporie delluomo dolce
I vantaggi delluomo dolce sono quelli che mancano alluomo
macho, incapace com, questultimo, di riconoscere i tratti femminili di
s, rigidamente rimossi (ma fortemente presenti). Luomo dolce, al contra-
rio, non ha vergogna di vivere tutti quegli aspetti della sua persona tradi-
zionalmente attribuiti alle donne: la cura, la responsabilit, la comunica-
zione, le relazioni interpersonali, laccoglienza, leros, lemozione, lempa-
tia, la mediazione, lattenzione allaltro, il legame con la terra e la natura,
la capacit dellaltro, lessere per laltro, lamore. Per questo motivo, come
abbiamo visto sopra, luomo dolce pratica lautodeterminazione della pro-
pria identit, non disdegnando, ove lo sentisse, di optare per lavori fem-
minili (infermiere, baby sitter, tanto per fare due esempi), o per stili ses-
suali femminili (omosessualit).
Si nascondono in questa visione dellidentit maschile, peraltro assai
diffusa, due aporie filosofiche di tipo platonico che chiamo: essenziali-
smo dei generi ed essenzialismo tra generi. Lessenzialismo dei generi
consiste nel considerare i generi, maschile e femminile, come essenze esi-
stenti in s e per s, al modo delle idee platoniche, separate dai corpi.
Lessenzialismo tra generi consiste nel considerare gli stessi generi come
essenze esistenti in uno stesso corpo ma per cos dire separate luna
dallaltra (starei per dire separate in casa).
Vale la pena di soffermarsi su queste due aporie. Considero la prima. Se
possibile per un uomo vivere ruoli, lavori, pratiche sessuali femminili, ne
segue che il corpo indifferente rispetto alla costituzione dellidentit di
genere. Guardando la stessa cosa dalla parte del genere maschile o femmi-
nile, si scopre che, in questo modo di pensare, il femminile pu vivere in-
differentemente in corpi morfologicamente femminili o in corpi morfologi-
camente maschili (e lo stesso vale per il maschile). Quindi maschile e fem-
minile sembrerebbero essere dotati di vita propria, per dir cos, esistenti in
s e per s a prescindere dai corpi in cui, platonicamente, cadrebbero.
Ora per necessario fare un passo avanti e chiedersi che cosa , in
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 163
24
Cfr. per esempio: V. Melchiorre, Metacritica delleros, Vita e Pensiero, Milano 1977, pp.
25-27; 60-69. Melchiorre si rif espressamente anche a E.H. Erikson, Infanzia e societ, tr. it.,
Roma 1970 e a A. Zarri, Impazienza di Adamo, ontologia della sessualit, Torino 1964.
164 Giovanni Ventimiglia
questa visione, il femminile. Non si potr fare a meno di enumerare co-
se come quelle menzionate sopra, cio la cura, lempatia, la capacit di re-
lazioni personali, laccoglienza, la ricettivit e cose simili. E ora viene il
bello. Perch alla domanda sullorigine di queste caratteristiche non si po-
tr che rispondere una cosa del genere: quelle virt nascono dallesperien-
za fisica della donna, dalla sua morfologia ricettiva, una cosa sola con la
ricettivit tipica delle donne; nascono dalla sua maternit, dove prendono
forma tutte quelle virt correlate come la cura dellaltro, lempatia, la ca-
pacit di relazione personale con gli altri
24
. Si arriva dunque ad una situa-
zione singolare: quel femminile che si definisce e si comprende solo a par-
tire dallesperienza fisica di corpi femminili, pu per tranquillamente ri-
trovarsi in corpi maschili. Insomma il femminile nasce, aristotelicamente,
da corpi di donna, ma poi vive, platonicamente, in s e per s, a prescin-
dere da corpi di donna. A chi crede ancora nella validit del principio di
non contraddizione tutto ci non potr che apparire davvero strano: qual-
cosa di essenzialmente legato allesperienza fisica delle donne, come la
cura, si pu poi ritrovare, tale e quale, con tutti i tratti della femminilit,
anche in un corpo di uomo.
Considero a questo punto la seconda aporia, lessenzialismo fra generi,
che risulter adesso conseguenza della prima. Infatti, se considerato na-
turale per un uomo vivere e praticare stili di vita femminili, significa
che il femminile quando capita in un corpo maschile rimane tale e qua-
le, cio tipicamente femminile. In un certo senso si dovrebbe dire che non
si mescola con il tratto maschile, non si integra con esso. Non viene nem-
meno presa in considerazione la possibilit di vivere in modo del tutto vi-
rile atteggiamenti femminili, come la cura dellaltro, ad esempio. Quando
un uomo decidesse di prendersi cura dellaltro, ebbene, secondo questa
teoria (che poi pratica di vita per molti), in quel momento sarebbe pi
femminile. Il suo corpo dovrebbe dunque assumere atteggiamenti femmi-
nili per essere in pari con la femminilit della cura. Ma non esistono mo-
dalit maschili di prendersi cura dellaltro? Per forza bisogna effeminarsi
per poter prendersi cura dellaltro?
Si comprende a partire da questa seconda aporia filosofica appena
esposta laporia psicologica della teoria delluomo dolce. Essa consiste in
ci che luomo portato ad imitare modelli femminili quando volesse pra-
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Problemi di identit maschile 165
ticare cose come la cura, lamore, la donazione di s e simili, e invece si
sentirebbe uomo solo nella pratica del potere o del diritto. Ora non diffi-
cile immaginare, anche per i non addetti ai lavori, come una tale concezio-
ne non giovi affatto a livello psichico, dal momento che limitazione di mo-
delli altrui si oppone radicalmente a quella vita a partire da s, che la
psicologia di qualsiasi orientamento individua come metodo di una iden-
tit non patologica. Un corpo impari, sbagliato e diverso rispetto al femmi-
nile, un io in costante imitazione di stili femminili di altruismo: ecco lapo-
ria psicologica della teoria delluomo dolce. Il femminile diventa per un
uomo una imitazione obbligata e avvilente non uno stile naturale di vita,
armonica con il proprio corpo e la propria morfologia. Alla fine il sospetto
non pu che venire: non sar che il corpo per sua natura indifferente ri-
spetto alla mia identit maschile o, addirittura, traditore del mio desiderio
di prendermi cura dellaltro, percepito come femminile? Non sar che il
corpo un carcere? Ed eccoci dunque tornati a Platone, al disprezzo del
corpo, allidealismo dellio, proprio a partire da una concezione attenta, in
teoria, ai desideri del corpo.
3.3. Aporie delluomo selvatico
Una delle caratteristiche delluomo dolce, messo bene in luce, tra gli al-
tri, da Robert Bly il fatto che non oggetto di desiderio da parte delle
donne. Sottomesso e condiscendente, magari finanche compagno delle
donne nelle lotte femministe, come lo fu ad esempio Farrell, non riesce ad
attirare linteresse erotico di molte donne, che invece sognano cavalieri
medievali, selvatici e guerrieri. Il dato non pu essere trattato con superfi-
cialit. Perch se la teoria delluomo dolce nasce come apertura del ma-
schile al femminile, come accoglienza del femminile dentro di s da parte
delluomo, strano poi che finisca in un vicolo cieco in cui maschile e
femminile, nel senso di donne e uomini, non si attraggono pi.
Luomo selvatico, come si detto allinizio di questo saggio, possiede il
doppio vantaggio di disegnare un percorso di comunicazione tra luomo e i
propri istinti originari e, nello stesso tempo, tra luomo e i desideri profon-
di delle donne. C inoltre, in questo percorso, una maggiore importanza
accordata alla corporeit, che ora viene ascoltata pi che piegata alle esi-
genze di una inesistente maschilit e femminilit in s e per s.
Le aporie tuttavia, anche in questa concezione dellidentit maschile,
non sembrano mancare.
Quella filosofica ricorda le contraddizioni dellantropologia roussoviana,
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 165
166 Giovanni Ventimiglia
di cui inconsapevole discendente. Lidea che lidentit autentica delluo-
mo, in questo caso nel senso di maschio, sia da ricercarsi al di l della ci-
vilt, al di l della tecnica, nasconde unidea eccessivamente romantica
delle origini, in ogni caso inadeguata alla caratterizzazione dellessere
umano. Questi infatti si distingue proprio dagli altri esseri viventi proprio
perch misto, fin dallinizio, di natura e civilt. La natura non gli fornisce
tutto quanto avrebbe bisogno per vivere, cosicch costretto, dalla natura,
ad essere civile: a costruirsi abiti, utensili, armi di difesa e via via tutto il
resto. La natura umana per sua natura cultura, civilt. Per questo il ritor-
no alla wildness, alla selvatichezza, appare alla fin fine non gi un ritorno
alla natura ma un ritorno ad un determinato tipo di civilt, in particolare
passata e primitiva, solo apparentemente pi vicina alla natura di quella
attuale. Non affatto detto infatti che la semplicit degli artefatti sia sinto-
mo di un rapporto pi autentico con la natura e di conseguenza con la par-
te pi naturale, selvatica, di noi. pi naturale, per luomo, mangiare con
le mani o con le posate? Eppure gli uomini selvatici non avrebbero dubbi,
stigmatizzando come buone maniere o politicamente corretto luso
delle posate. Mi verrebbe da chieder loro se, nei riti di iniziazione nel bo-
sco, utilizzano o no qualche artefatto umano: automobili, treni o aerei, per
raggiungere il bosco, scarpe con la para, giacche a vento e guanti, cio co-
se non proprio selvatiche, o se partono da casa loro alla volta del bosco
cos nature, scalzi e nudi. Robert Bly sarebbe pronto, credo, ad optare
per questultima soluzione. Non a caso, infatti, propone come ideale antro-
pologico luomo peloso (simbolo persino del sito italiano www.maschisel-
vatici.it): bisogna sperare di non essere glabri e donne per riuscire mini-
mamente a fronteggiare il freddo.
Insomma luomo selvatico sembra rifugiarsi non gi nella natura ma in
una precisa cultura, primitiva, della naturalezza, eludendo di fare i conti
fino in fondo, di affrontare virilmente starei per dire, la questione: quella
della civilt della tecnica in cui anche i selvatici sono costretti irrimedia-
bilmente a vivere. La questione, si ricorder, rappresenta proprio una del-
le cause pi profonde della nascita dei movimenti degli uomini. proprio
l, infatti, che si nascondono i veri pericoli per lidentit maschile ed
proprio l, di conseguenza, che la partita dovr essere giocata, in un corpo
a corpo con scienza e tecnica. Di questo per si parler pi avanti.
Andando ora allaporia psicologica presente nella teoria delluomo sel-
vatico si pu notare quanto segue. Anzitutto luomo selvatico soffrir delle
stesse aporie psicologiche del macho e del dolce nella misura in cui
gli assomiglia (come si visto sopra il selvatico possiede, a livello conscio,
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Problemi di identit maschile 167
tratti del primo e a livello inconscio tratti del secondo): in sintesi un rap-
porto irrisolto con le donne sentite ora come diverse e da odiare, ora come
tanto interne da condividerne le preferenze anche sessuali.
A queste problematiche se ne aggiunge per unaltra, specifica del
maschio selvatico. Infatti, valorizzando alcune figure mitiche maschili,
come il selvatico, il peloso, il cavaliere, il guerriero, il samurai etc. neces-
sarie nel percorso iniziatico verso la riscoperta della propria virilit, si ri-
schia di vivere in costante ammirazione di figure per lappunto mitiche,
inimitabili concretamente, rinviando asintoticamente il momento della in-
teriorizzazione della maschilit, quando il vero uomo non sar pi il guer-
riero mitico fuori di me ma, finalmente, il maschio cos cos che sono io.
C insomma qualcosa di adolescenziale, e ancora narcisistico, nel tributo
che alcuni uomini selvatici riservano a mitici eroi del passato: ricordano i
poster dei miti del momento nella stanza degli adolescenti.
3.4. Aporie delluomo padre
A proposito della teoria del padre, vorrei invertire lordine dellesposi-
zione, evidenziandone prima le aporie, per poi passare alle acquisizioni.
Le aporie sono abbastanza semplici e simili a quelle delluomo selvati-
co, di cui questa teoria una emanazione (sia Bly che Ris, infatti, difen-
dono il selvatico e, poi, il padre).
Anzitutto si riscontra una mancata tematizzazione dei problemi della
tecnica nella individuazione dellidentit maschile. Se il selvatico combat-
teva la civilt della tecnica, le teorie del padre non sembrano curarsene.
Eppure, come si gi detto, sono proprio le tecnologie, specialmente quel-
le relative alla riproduzione, che mettono oggi profondamente in discussio-
ne il ruolo, la funzione e la indispensabilit del padre. Come mai non si af-
fronta di petto il problema?
Per quanto riguarda le aporie psicologiche noto quanto segue. Anche
qui, come per la teoria del selvatico, c il rischio di mitizzare, di idealiz-
zare troppo la figura paterna. Questa circostanza soffre delle stesse diffi-
colt evidenziate prima (imitazione di figure mitiche che difficilmente fa-
voriscono un processo di interiorizzazione), a cui se ne aggiunge una nuo-
va. Se di guerrieri di solito il maschio non ha mai fatto davvero la cono-
scenza, di padri invece s: in particolare del proprio. Ora, il confronto ine-
vitabile tra il mito del padre e il proprio padre reale non qualcosa di fa-
cilmente gestibile, proprio in sede analitica, allinterno di una simile con-
cezione: non tutti i padri infatti sono mitici. Anzi di solito sono stati assen-
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25
Semmai potrebbe essere vero proprio il contrario: molti analisti che mitizzano il padre e
odiano nascostamente le altre donne in quanto possedute dalla Grande madre, potrebbero essere
inconsciamente innamorati di ununica donna, cio della propria madre.
168 Giovanni Ventimiglia
ti, in difficolt e qualche volta addirittura inaccettabili e impresentabili.
Come fare? possibile prendere davvero le distanze dal proprio padre, se
il padre in quanto tale presentato come figura positiva? La strategia
psicologica della psicoanalisi junghiana paterna quella di interpretare il
paziente che ha difficolt con il proprio padre come un individuo legato
narcisisticamente ancora alla madre e, pertanto, incapace di scoprire gli
aspetti positivi del proprio padre. una strategia inadeguata. C una in-
sanabile contraddizione tra la mitizzazione del padre in quanto tale e la
prosaicit dei veri padri. Non vero che tutti i pazienti maschi in difficolt
con il proprio padre soffrono di un attaccamento ancora narcisistico alla
madre
25
.
A questa aporia psicologica relativa alla elaborazione del rapporto con
il proprio padre, si deve aggiungere poi la difficolt, facilmente intuibile,
di gestire il rapporto con la propria paternit, nel caso, ad esempio, che
questa non possa realizzarsi. Se luomo per natura sua padre, che ne sar
di un uomo che padre non pu esserlo? E se si risponde che padre da
intendersi in senso simbolico, allora perch scegliere proprio la figura del
padre e non, poniamo, quella del sacerdote o della maestra che
funge da padre? Anche queste altre figure, infatti, possono essere simbo-
licamente paterne. Ma se cos, allora, come fare ad argomentare a favo-
re del padre come di quel tratto tipicodella mascolinit?
Passando ora agli aspetti positivi della teoria del padre, baster ripren-
dere quanto gi accennato sopra. Il positivo di questa teoria quella di ri-
pensare, in termini virili, la dimensione della cura e del dono di s, attri-
buita spesso, nel comune modo di pensare occidentale contemporaneo, al
femminile in quanto tale. Molte delle pubblicazioni novecentesche sulla
donna, che hanno avuto peraltro lindiscutibile merito di mettere in luce
alcune virt femminili, prima fra tutte la capacit di cura (si pensi a Ca-
rol Gilligan), hanno per generato lidea che la cura sia una caratteristica
essenziale ed esclusiva del femminile. Fino al punto da costringere gli uo-
mini altruisti ad imitare, come si gi detto sopra, modelli femminili.
Ora, la rivalutazione della figura del padre ha questo di positivo e di
nuovo: mostra lesistenza di modalit altruistiche, oblative, attente agli al-
tri, tipicamente maschili. Nel padre vivono, insomma, tutta una serie di
virt altruistiche che lo rendono gentile. La figura da riscoprire, se pro-
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Problemi di identit maschile 169
prio bisogna trovarne una, sarebbe quella del gentil-uomo, del tutto uo-
mo e del tutto gentile, proprio in quanto uomo. Credo tuttavia che una tale
proposta non verrebbe accettata dai sostenitori del padre, legati al sel-
vatico come al loro modello originario di uomo, e di conseguenza sospetto-
si nei confronti di tutto quello che ricorda, come il gentiluomo, le buone
maniere.
Il punto tuttavia non tanto qui perch, se gentiluomo ha da essere, luo-
mo del Terzo Millennio ha da esserlo allinterno della civilt della tecnica
nella quale vive. In altre parole se sar gentiluomo, lo sar solo da cyborg.
4. Cyborg de-genere
La cosa non sar semplice. Lo spiego ricorrendo a Montale. Una delle
sue pi belle e pi note poesie quella dedicata a sua moglie, che inizia
cos: ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. Limmagi-
ne riassume da sola il tipo di relazione fra i generi, prima dellavvento del
femminismo. La stessa situazione, infatti, non si sarebbe presentata negli
anni seguenti. facile immaginare che allofferta di un braccio, negli anni
del femminismo emancipatorio e rivendicazionista, la donna avrebbe ri-
sposto con un secco: faccio da me!.
E oggi? Che cosa farebbero oggi un uomo ed una donna in procinto di
scendere le scale? Assolutamente niente! Le scale sono mobili. Il braccio
delluomo gentiluomo inutile, come inutile la rivendicazione delle
donne di fare da s. Oggi fa tutto la scala mobile.
Lesempio riassume bene la situazione, messa ben in luce da Donna
Haraway: che senso ha parlare di differenza di genere nellepoca delle
nuove tecnologie? Il cyborg che siamo gi in parte noi tutti rischia di esse-
re trans-genere o de-genere
La scala mobile, naturalmente, lultimo dei problemi che deve
affrontare una filosofia intenta a difendere la sopravvivenza del genere ma-
schile. Pi seri sono i problemi posti dagli elettrodomestici che, come ab-
biamo gi visto allinizio di questo articolo, permettono agli uomini di svol-
gere attivit un tempo considerate femminili, o i problemi posti da tutte le
forme di leve e utensili meccanici, in grado di rendere inutile la forza mu-
scolare delluomo.
chiaro che i casi pi seri di tutti, poi, sono oggi costituiti dalle tecno-
logie riproduttive che rendono sempre pi obsolete alcune funzioni ma-
schili e femminili (tanto vero che la Haraway ipotizza, come abbiamo vi-
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 169
26
Cfr. A. Gehlen, Luomo nellera della tecnica, tr. it., Sucargo, Milano 1984.
170 Giovanni Ventimiglia
sto, altre modalit di riproduzione per i cyborg, che non necessitano dei
maschi).
Tuttavia, il motivo per cui il cyborg mi sembra costituire un vero pro-
blema per luomo pi profondo.
Per spiegarlo, torno allesempio della scala mobile. Immaginiamo che
un giorno la scala mobile si rompa e i nostri cyborg si ritrovino cos allim-
provviso nella necessit di dover scendere le scale a piedi. Si dir: ci si ri-
troverebbe nella stessa situazione di cento anni fa. E invece no! Qui la
differenza. I cyborg non sono pi abituati a scendere le scale a piedi. fa-
cile immaginare che non sarebbero pronti, sia fisicamente che psicologica-
mente, ad affrontare un simile imprevisto, o almeno non sarebbero pronti
come lo erano i loro antenati umani cento anni fa.
In altre parole se, come direbbe Gehlen, le scale mobili agevolano, tut-
tavia, nello stesso tempo, esonerano
26
. Di conseguenza rendono il soggetto,
che ha delegato alle tecnologie le sue capacit, meno capace di affrontare
la difficolt, limprevisto, il rischio, la fatica, il negativo in generale.
Luomo tecnologico un umano potenziato e nello stesso tempo protetto
in genere grazie ad uno schermo (di computer, televisione, display, cine-
ma) da ogni genere di pericolo. un uomo safe. Daltra parte per,
proprio mancandogli lesperienza del rischio e del negativo, gli manca la
palestra per diventare uomo (o donna).
Immaginiamo che le tecnologie della riproduzione riescano a rendere
del tutto inutile lapporto del maschio. Che ne sarebbe del suo apparato ri-
produttivo fisico? Probabilmente comincerebbe un lento processo di atro-
fizzazione. E che ne sarebbe di tutte quelle caratteristiche di donazione, di
disposizione al rischio, di forza, di altruismo, attribuite agli uomini proprio
sulla base della sua capacit procreativa paterna? Si dice, infatti, che al-
cune virt tipicamente maschili, come quelle appena menzionate, sono
conseguenza simbolica della capacit delluomo di donare il proprio seme
alla donna. Credo che sia vero: anche luomo, come la donna, ha plasmato
il suo carattere nei secoli a partire da alcune sue esperienze fisiche fonda-
mentali, come la caccia, la donazione dello sperma etc. Ora per, se le
tecnologie rendono quelle attivit primordiali obsolete, che ne sar delle
virt corrispondenti? Anche queste diverrebbero presto cose di altri tempi.
Con ci per si sarebbe detto addio anche a molti atteggiamenti e virt ti-
picamente maschili.
Il caso dellesclusione del maschio dal processo riproduttivo della spe-
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 170
27
Lesperienza autentica sempre unesperienza negativa () Solo qualcosa di inaspetta-
to pu produrre, in chi possiede esperienza, unesperienza nuova (). Lesperienza sempre an-
zitutto esperienza della nullit: in essa ci si accorge che le cose non sono come credevamo ()
Non significa solo esperienza nel senso di informazione che si possiede su questa o quella cosa
(). Per quanto possa costituire uno specifico obiettivo della preoccupazione educativa, per
esempio dei genitori verso i figli, quello di risparmiare a qualcuno determinate esperienze,
lesperienza come tale nel suo insieme non qualcosa a cui qualcuno possa sottrarsi. In questo
senso, essa comporta necessariamente una molteplicit di delusioni e solo attraverso questa pu
essere acquistata. Che esperienza in questo senso indichi prevalentemente qualcosa di doloroso
e di spiacevole non indizio di una colorazione pessimistica del termine, ma legato immedia-
tamente alla sua stessa essenza. Gi Bacone aveva insegnato che solo attraverso le istanze nega-
tive si perviene a una nuova esperienza. Ogni esperienza degna di questo nome viene a turbare
una certa aspettativa. Sicch lessere storico delluomo contiene come suo momento essenziale
una fondamentale negativit, che viene in luce nel rapporto che si stabilisce tra esperienza e
giudiziosit (). Se si vuol citare un testo significativo per questo terzo momento costitutivo
dellesperienza che qui intendiamo evidenziare, esso andr cercato senzaltro in Eschilo. Egli ha
trovato, o meglio riconosciuto nel suo senso metafisico, la formula che esprime lintima storicit
dellesperienza: imparare attraverso la sofferenza (patei matos) (H.G. Gadamer, Verit e metodo,
tr. ti. Milano, Bompiani 1994, p. 409).
28
Non voglio sostenere qui che la tecnologia eliminer il negativo. Sarebbe una visione ot-
tocentesca che ha ricevuto abbondanti smentite. Basti far riferimento alla nemesi di cui parla
Problemi di identit maschile 171
cie umana solo un esempio di una situazione generale in cui non avreb-
be pi senso parlare di uomini. Lanalisi di una espressione del linguag-
gio ordinario viene qui in soccorso. Quando parliamo ancora oggi di gran-
di uomini? A che cosa viene associata questa espressione se non a straor-
dinarie capacit di affrontare pericoli, rischi, difficolt e, in generale, il
negativo della vita? E se tale capacit fossero divenute obsolete a motivo
delle agevolazioni tecnologiche, che ne sarebbe dei grandi uomini?
Il cyborg interconnesso in rete e con-fuso con la tecnologia, a cui ha de-
legato tutta una serie di compiti, non potrebbe essere se non un bambino
immaturo, ch la maturit ha a che fare, secondo modalit diverse nella
donna e nelluomo, con la capacit di affrontare il negativo e apprendere
dallesperienza di esso, secondo linsegnamento, tra gli altri, di Gadamer
27
.
Parole come grandi uomini, coraggio, forza, donazione, che
insieme costituiscono ancora oggi quello che limmaginario associa alla
parola uomo, rischiano di non aver pi senso nellepoca dei cyborg al-
meno per due motivi: anzitutto perch la tecnologia tender a sostituirsi
agli uomini in tutta una serie di funzioni; in secondo luogo, e pi in
profondit, perch, proprio a causa delle deleghe alle tecnologie, stavolta
concepite in senso generale, gli uomini, come eterni bambini, non avranno
maturato alcuna capacit di affrontare, con coraggio, forza, donazione,
amore del rischio, gentilezza, e altre qualit simili, il negativo della vita
28
.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 171
Ivan Illich in tutte le sue opere. sotto gli occhi di tutti che le tecnologie producono una serie di
effetti collaterali, divenuti ormai superiori rispetto al progresso che promettono. Tuttavia, uno
degli effetti collaterali pi vistosi proprio, come rileva acutamente lo stesso Illich, la incapa-
cit di affrontare in prima persona la sofferenza e la morte, labdicazione ad ogni arte di vivere e
di morire. La nostra societ, scrive Illich, rende oggi difficilissimo ammettere che la capacit di
soffrire pu essere un segno di buona salute (I. Illich, Nemesi medica. Lespropriazione della sa-
lute, tr. it., Bruno Mondadori, Milano 2004, p. 167. La pazienza, la sopportazione, il coraggio,
la rassegnazione, lautocontrollo, la perseveranza, la mansuetudine esprimono ciascuna una di-
versa sfumatura delle risposte con le quali le sensazioni dolorose venivano accettate, trasformate
nellesperienza del soffrire e sopportare (Ibi, p. 148).
29
Illich, Nemesi, cit. p. 303.
30
Cfr. O. Marquard, Abschied vomPrinzipiellen, Reclam, Stuttgart 1981; Idem, Apologie des
Zuflligen, Reclam, Stuttgart 1986; Philosophie des Stattdessen, Reclam, Stuttgart 2000.
172 Giovanni Ventimiglia
5. Un-cyborg-per-genere
Rimango sullesempio della scala e do la parola a Ivan Illich: Vi parlo
nella speranza di rendere plausibile quella che io chiamo skesis. Intendo
con questa parola oggi levitare deliberatamente il consumo quando esso
prende il posto dellazione conviviale. lskesis e non il pensiero della
salute a farmi salire a piedi le scale nonostante la porta spalancata
dellascensore, a farmi mandare un biglietto scritto a mano invece di batte-
re una e-mail
29
. Salire le scale a piedi, nonostante lascensore o le scale
mobili: ecco una piccola pratica di resistenza, di skesis, da parte di uo-
mini e donne contro lomologazione del neutro tecnologico.
Daltra parte lo sostiene la stessa Haraway, come abbiamo visto allini-
zio di questo saggio: il cyborg non solo unontologia, anche una politi-
ca! Se esiste dunque, ancora, la possibilit di negoziare la nostra transizio-
ne verso il cyborg, allora non vedo perch si debba negoziare al modo del-
la Haraway.
Daltra parte mi sembra ci sia qualche elemento per dire che si tratta di
una negoziazione che rischia di essere gi vecchia, nonostante lapparente
novit. Provo a spiegare questo concetto, ricorrendo alla teoria della com-
pensazione di Odo Marquard
30
.
Secondo il filosofo tedesco, la storia funziona in base alla legge di com-
pensazione. Cos, per esempio, se una tendenza storica va verso la costru-
zione di oggetti artificiali, nascer, per compensazione, una tendenza op-
posta che rivaluta come mai prima gli oggetti naturali. Il contrasto tra le
due tendenze finir poi necessariamente secondo Marquard nel mo-
mento in cui esse si fonderanno in ununica nuova tendenza che costruir
oggetti artificiali con materiali naturali. Non esattamente quello che av-
viene di fronte ai nostri occhi?
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 172
Problemi di identit maschile 173
Se ora applichiamo lo stesso discorso al caso del rapporto tra nuove tec-
nologie e problema del genere, ci renderemo facilmente conto di come ri-
schi di essere gi superata la tesi di Donna Haraway. Infatti, la tendenza
delle nuove tecnologie (dagli elettrodomestici alle gru, dalle nuove tecno-
logie di riproduzione artificiale alla chirurgia plastica) a superare la diffe-
renza di genere, ha prodotto, per compensazione, una contro-tendenza alla
difesa della naturalit della differenza tra uomo e donne tendenza di
solito (ma non sempre) molto conservatrice e anti-tecnologica. Non , a
questo punto, facilmente ipotizzabile la nascita del terzo momento, quello
in cui le tecnologie saranno pensate e costruite non pi controma a favore
della differenza corporea e di genere tra donne e uomini?
Sta gi avvenendo cos a proposito dellambiente. Si pensi ai pc portatili
wireless che permettono di mandare mail a tutto il mondo seduti su un
prato in montagna. Si pensi alla diffusione delle automobili catalitiche o
elettriche, tecnologie non pi controma per lambiente.
Ora, se avviene cos gi nei rapporti tra le tecnologie e lambiente, per-
ch non immaginare un processo analogo anche a proposito della differen-
za tra donne e uomini? Lesempio dellenorme diffusione dellecografia,
cio di una tecnologia a servizio della maternit e non sostitutiva di essa
solo uno dei tanti segni che si potrebbero indicare della tendenza che
sto cercando di descrivere.
A differenza per di quanto riteneva Marquard, e in accordo con la tesi
anti-determinista di Donna Haraway, credo che tale tendenza non sia una
necessit ineluttabile, ma solo una possibilit che si nutre della volont di
tutte le donne e gli uomini. Un cyborg che non si sostituisca ma che sia al
servizio di donne e uomini , cio, anche un compito politico. vero dun-
que, come scrive la Haraway che il cyborg la nostra ontologia, ci d la
nostra politica. Solo che la nostra politica, quella delle donne e degli
uomini che amano la differenza, combatter contro un cyborg de-genere,
cio un unico neutro cyborg, degenerazione patologica della differenza di
generi. Al contrario combatter a favore di un cyborg per genere, intenden-
do con questa formula sia la necessit di pensare ad uncyborg per genere,
cio a duecyborg sia, al tempo stesso, la necessit di progettare due cy-
borg non al posto di ma a servizio di per donne e uomini. La nostra po-
litica non permetter alla tecnologia di invadere i nostri corpi, di impos-
sessarsi della differenza di genere e di eliminare gli uomini e le donne.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 173
174 Giovanni Ventimiglia
Abstract
In the last years many associations and movements in defense of mens rights and
mens culture are rising in the world. This paper aims to analyse the causes of this phe-
nomenon and the theories which lie beneath it. But a real analysis of these theories
could not be developed without studing the influence of new technologies in the relation-
ship between genders. For the paper includes a discussion of the concept of cyborg in
relation with genders problems.
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 174
Finito di stampare nel mese di giugno 2006
in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com
09 Ventimiglia 153 22-11-2010 10:57 Pagina 175
Scritti di: Adriano Fabris, Mauro Mariani, Francesco Tomatis,
Marco Ivaldo, Antonia Pellegrino, Francesco Camera,
Leonardo Samon, Luigi Vero Tarca,
Flavia Monceri, Giovanni Ventimiglia
Lidentit
in questione
Prospettive filosofiche
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T E O R I A
Rivista di filosofia
fondata da Vittorio Sainati
XXVI/2006/1 (Terza serie I/1)
Edizioni ETS
L
a questione dellidentit e il rapporto di questo concetto con
quello correlato di alterit sono problemi ormai impostisi
nellodierno dibattito socio-culturale. Bisogna per pensar-
li, al tempo stesso, da un punto di vista propriamente filosofico.
questo che si propone i l presente fasci col o di Teori a, l a ri vi sta
fondata da Vittorio Sainati che inaugura qui la sua terza serie.
In questo numero non mancano contributi che si riferiscono ad au-
tori classici e contemporanei del pensiero occidentale (da Aristotele
a Cusano, da Fichte a Heidegger, da Levinas a Derrida, fino a Se-
verino). Ma, insieme, si trovano scritti che affrontano la differenza
di genere, lambito transgender e i problemi dellidentit maschile.
Il tutto per offrire unintroduzione complessiva e una mappatura
adeguata dei diversi modi in cui si pu parlare, oggi, di identit.
18,00
ISBN 88-467-1577-2
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