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La pragmatica del vuoto in Ngrjuna | Giacomo Foglietta - Academia.edu

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Type to search for People, Research Interests and Universities Searching... 175 La pragmatica del vuoto in Ngrjunamore by Giacomo Foglietta More Info: Il presente articolo compare tra i contributi del primo numero di "Noma" - rivista on-line di filosofia dell'Universit di Milano. Noema diretta da Rossella Fabbrichesi e Carlo Sini. La redazione composta da Florinda Cambria, Federico Leoni, Enrico Redaelli. Publisher: ojs-unimi.cilea.it Publication Date: Jan 1, 2011 Publication Name: Nema Research Interests: Metaphysics, Philosophy Of Religion, Medieval Theology, Catholic Theology, Indian Philosophy, and 2 morePhilosophy and Philosophical Theologyedit Download (.pdf) Quick view View on riviste.unimi.it EditDeleteMove section 175 Download (.pdf) La_pragmatica_del_vuoto_in_Nagarjuna.pdf 195 KB riviste.unimi.it/index.php/noema/index riviste.unimi.it Hide Sidebar

LA PRAGMATICA DEL VUOTO IN NGRJUNA. DAL GIUDIZIO DI ESISTENZA ALLASSENZA DI GIUDIZIO

Giacomo Foglietta
Sittin here restin my bones, and this loneliness wont leave me alone. (The Dock of the Bay, Otis Redding & Steve Cropper; Irving Music Inc., BMI, 1968)
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Introduzione Sefilosofico volessimo individuare un tratto distintivo pensiero buddhista rispetto a quello greco, allorigine potremmo segnalare il modo, del tutto peculiare per lantichit, di affrontare il problema dellessere e del reale. Se per reale, infatti, intendiamo che qualcosa esiste, possiamo poi porci il problema di definire in che modo lo fa. Sappiamo che il mondo greco diede varie risposte a questa domanda, le quali per avevano tutte un elemento in comune. Da una parte la constatazione che in natura implicito il divenire, cio la trasformazione e il cambiamento; dallaltra levidenza che, bench le cose mutino e non siano quindi mai del tutto uguali nel tempo, esse conservano la propria individualit, la propria unit intrinseca, che le fa essere quello che sono, e non altro. Fu questa necessit - derivata dallesperienza - di conciliare unit e molteplicit a plasmare tutto il pensiero greco da Parmenide fino ad Aristotele. Questultimo, da buon naturalista, opt decisamente in favore di un realismo che vedeva nellente singolo, nella singola creatura, lunione di essere e divenire (superando quella sorta di dualismo che ancora permaneva in Platone tra essere-idea e divenire-singola cosa). La soluzione aristotelica, giungendo in qualche modo alla fine di un percorso teoretico, significativa rispetto al problema iniziale: limpossibilit di far convivere, di mettere in comunicazione essere e divenire, senza sacrificare luno scapito e vice versa, come in Parmenide o in Eraclito. Ilarischio dellaltro infatti quello di un mondo che divenendo non pu essere reale, perch l essere,

essendo perfetto ed identico a se stesso, non muta; oppure di un mondo dove lunica forma possibile di esistenza leterna differenza della continua mutazione. Il problema dellessere rimanda dunque, immediatamente, a quello della verit, intendendo la verit del giudizio. Da questa conclusione - come messo in evidenza da larga parte della riflessione filosofica del Novecento discende un legame inscindibile tra essere e predicazione , cio un rapporto che lega lessere alla possibilit stessa di parlarne, di comunicarlo, di enunciarlo in quanto verit. Se, seguendo il celebre dialogo di Platone, consideriamo lobiezione del terzo uomo come una critica diretta, in modo implacabile, alla possibilit della predicazione, allora dobbiamo affermare che la verit ununit che si colloca oltre il giudizio, cio oltre la
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verit ununit che si colloca oltre il giudizio, cio oltre la predicazione. Il che equivale a dire che il giudizio non il luogo della verit, e quindi nemmeno Non si, pu, quindi, secondo il Parmenide platonico, dellessere. parlare dell essere poich ogni discorso in quanto tale, non riuscendo ad eludere il paradosso della predicazione, si colloca nel regno del puro non-essere. Rispetto a questa prospettiva, il valore del pensiero di Ngrjuna risiede proprio nelloltrepassare lidea che la predicazione debba avere un corrispettivo ontologico che la fonda. Lontologia, e quindi la determinazione in tutte le sue manifestazioni (individuazione, trasformazione, tempo, spazio, movimento, etc.), superata nella direzione di una totale immanenza della possibilit della predicazione nella predicazione stessa. Non si cerca un fondamento ontologico, perch questa ricerca, come mostrato dalla filosofia greca, non fa che approdare a quel dualismo tra Realt e apparenza che segner tutto il successivo discorso ontologico, allinterno del quale la predicazione frammenta erroneamente lunit del Reale in giudizi determinanti, i quali vengono poi ipostatizzati e resi ontologicamente reali. Ma la realt cos ottenuta, messa a confronto con lunit perfetta dellAssoluto, di nuovo degradata a mera finzione/apparenza/illusione. Ngrjuna, come vedremo, non vede la realt, e quindi lesistenza, nei termini di una opposizione tra essere e non-essere. Egli, al contrario, afferma che proprio tale opposizione ad essere fittizia, perch si fonda suNon una esiste erronea comprensione del rapporto tra essere e predicazione. un

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essere perfetto, che la predicazione rincorre incessantemente senza mai possederlo, bens un vuoto dessere che la predicazione mostra in quanto segno dellassenza di Realt. Si badi bene, non si tratta di una forma di nichilismo, perch una realt c, ed il linguaggio, nella sua veste per eminentemente pragmatica, che nulla ha da rendere conto a nessun fondamento, se non alla predicazione stessa. Il vuoto ngrjuniano sar allora non solo una non-ontologia, ma anche una non-predicazione, che ammetter per il giudizio, e quindi la determinazione, solo ed esclusivamente dal punto di vista della prassi del dire. Al linguaggio non richiesto di parlare dellessere, bens di testimoniare, attraverso la propria inconsistenza, dellassoluta coincidenza di essere e non-essere.

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Antman e realismo atipico

Quello che, per ora, ci interessa porre in chiaro, loriginalit del pensiero buddhista delle origini, perch i tratti fondamentali di tale pensiero costituiscono, a loro volta, il punto di partenza della ulteriore critica di Ngrjuna sia dellontologia classica che della stessa visione buddhista. Per ragioni di spazio, ci serviremo di alcune brevi pennellate tratte dallottimo testo di Paul Williams sul buddhismo indiano1. Il primo elemento da prendere in considerazione lidea che lindividualit non esista, cosa che il buddhismo chiama antman: assenza di un s, intendendo che, se sottoposta ad una seria analisi razionale, lidentit determinata risulta una pura costruzione mentale. Nel passaggio si chiarisce anche in quale senso la posizione del non-s fosse indicata dal Buddha come via di mezzo (madhyamaka): Nel buddhismo, via di mezzo ha anche il senso di posizione mediana tra eternalismo e nichilismo. Secondo questa posizione mediana, noi esistiamo in modo dipendente da fasci psicofisici dinamici prodotti in modo causale per i comuni esseri umani, la persona spiegata in termini di cinque classi di continuum fisici e
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P. Williams, Il Buddhismo dellIndia. Unintroduzione completa alla tradizione indiana, Ubaldini Editore, Roma 2002

psicologici. Ogni continuum un flusso di elementi, e i cinque continuum sono uniti in un fascio dinamico. I principi di questo fascio, ci che mantiene tutti i suoi elementi uniti, sono causali. Lidea che in noi esista pi di quanto rivelato da questa riduzione , nel vero modo essere cose, falsa. Un elemento immutabile, il vero io, undi S, delle semplicemente non esistente Quindi, leternalismo falso. Si noti per che questa disamina del comune essere umano, la persona, presuppone lesistenza di una persona. Perci falso anche il nichilismo Un modo pragmatico di designare questo fascio, assegnandogli un nome quale Arcibaldo o Fiona, in genere considerato lecito. Nel linguaggio quotidiano le persone esistono Il Buddha nega una cosa specifica, il S [ tman, nda], che considera la radice della sofferenza nei non illuminati (che lo sappiano o no). Non sta negando lesistenza delle persone. Non sostiene lassurdit che voi, io e lui stesso non esistiamo, e che sarebbe meglio per noi se lo capissimo. Le persone esistono come modo pragmatico per indicare i fasci di elementi2. www.academia.edu/469215/La_pragmatica_del_vuoto_in_Nagarjuna

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La pragmatica del vuoto in Ngrjuna | Giacomo Foglietta - Academia.edu sarebbe meglio per noi se lo capissimo. Le persone esistono come modo pragmatico per indicare i fasci di elementi2.

Quindi, riassumendo: lindividualit non esiste in quanto potremmo dire in quanto ente sostanziale, ma c comunque un principio che fa esistere le cose: il principio causale. Ci determina anche il fatto, come nota giustamente Williams, che nel buddhismo non sia corretto parlare di essere e di non-essere nei termini delloriginaria contrapposizione occidentale tra essere eterno ed immutabile (eternalismo) e non-essere altrettanto assoluto
sostanza ,

(nichilismo), ma che delle comunque si possariferimento parlare di essere, cio di modalit di esistenza cose, facendo alla nozione di nesso causale. Si introduce qui il secondo elemento portante del pensiero buddhista, lidea che tutto ci che esiste lo faccia come prodotto e condizionato, originato in dipendenza da una serie complessa e ramificata di interazioni causali: Al posto dellidentit e della differenza, e al posto delleternalismo e del nichilismo, il Buddha pone invece loriginazione dipendente, nel senso di dipendenza causale. Cos, loriginazione dipendente
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P. Williams, Il Buddhismo dellIndia. Unintroduzione completa alla tradizione indiana, cit., p. 62

diventa un significato ulteriore della via di mezzo. Ma si noti che, bench quanto detto si applichi soprattutto al processo della rinascita il Buddha lo applica anche alla vita attuale. Nel corso della vita in atto un continuo cambiamento in dipendenza delle leggicerta causali dei processiessa del giusto Tra uno a una ete(qualunque sia) e tipo. a unaltra etstesso della individuo sua vita, il rapporto non n di identit n di diversit; un rapporto di originazione dipendente3. Sebbene tale visione si applichi primariamente allindividuo, come categoria interpretativa estendibile allinsieme del reale. Va precisato, a questo punto, che nel ricorrere alla categoria di nesso causale il buddhismo, soprattutto quello successivo alla morte del Buddha, vuole mettere apertamente in discussione unidea della causalit come trasformazione di una natura determinata, che presuppone a sua volta unidea di essere in quanto continuum sostanziale o, potremmo dire, in quanto substrato . Ci si evince chiaramente gi dai discorsi del Buddha stesso, nei quali troviamo la
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chiaramente gi dai discorsi del Buddha stesso, nei quali troviamo la prima enunciazione della legge di originazione dipendente: Questa legge impersonale causale ben chiarita nella formula standard delle originarie fonti buddiste: Questo esiste, esiste quello; questo sorgendo, sorge quello; questo non esistendo, non esiste quello; questo cessando, cessa quello (Gethin 1998, p. 41). Questa la causalit secondo loriginario pensiero buddhista. E un rapporto tra eventi, consistente nel fatto che se X accade, ne consegue Y, e se X non accade, Y non ne consegue. La causalit tutta qui. E poich la causalit impermanente e agisce come una legge, il Buddha pone l originazione dipendente al centro della sua via di mezzo4. Loriginalit della visione buddhista, fin dagli inizi, risiede quindi nella descrizione del reale attraverso la combinazione delle tre nozioni di: assenza di un s, originazione dipendente e nesso causale. Tali nozioni che, per il rigore con cui nel corso dei secoli
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P. Williams, Il Buddhismo dellIndia. Unintroduzione completa alla tradizione indiana, cit., pp. 69-70 P. Williams, Il Buddhismo dellIndia. Unintroduzione completa alla tradizione indiana, cit., p. 65
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