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II Nietzsche e Schopenhauer

Prima di iniziare lanalisi della Nascita della tragedia, opportuno proporre alcune osservazioni sul rapporto di Nietzsche con Schopenhauer. A quanto si apprende dai documenti giovanili, Nietzsche aveva letto il Mondo come volont e rappresentazione fin dal 1865. La sua impressione fu di grande entusiasmo, al punto di considerare Schopenhauer come il pi grande filosofo della modernit: questa scrive nel 1868 lepoca di Schopenhauer (AF, pp. 175-176). Ma la questione ben altrimenti complicata. Gi nei frammenti del 1867-1868, e in alcune pagine dellepistolario, le obiezioni e le critiche appaiono radicali. vero che Nietzsche assume da Schopenhauer il lessico filosofico; ma altrettanto vero che, a mano a mano che la sua indagine procede, quelle parole cominciano a mutare il loro significato, fino a delineare il principio di una filosofia diversa. Cercheremo perci, nella lettura degli scritti di questo periodo, di segnare con cura questi continui strappi speculativi, che lasciano emergere, oltre Schopenhauer, la posizione propria di Nietzsche. Ma come possiamo situare, sul piano storico e sul piano teoretico, questo confronto? In linea molto generale, lopera di Schopenhauer deve essere inserita in quel vasto movimento della filosofia occidentale che pu essere definito post-kantiano. Con questo termine post-kantiano non intendo riferirmi a una nozione cronologica, a un periodo che, semplicemente, segue lopera di Kant. Intendo piuttosto indicare un nodo speculativo che impegna, fin dallinizio, la riflessione di Nietzsche e, poi, la filosofia contemporanea. Kant aveva affermato che la conoscenza oggettiva limitata al campo fenomenico. Nessuna conoscenza concepibile che non sia limitata al fenomeno; e, dunque, una teoria del conoscere obbligata ad affermare che il conoscere non afferra lin s delle cose, ma solo gli oggetti che sono costituiti da un soggetto conoscitivo, cio appunto i fenomeni. Tanto lidealismo Fichte, Schelling, Hegel tanto Schopenhauer (e dopo di lui Nietzsche) vedono nella posizione kantiana di una cosa in s una necessit inderogabile per la teoria del conoscere, ma, al tempo stesso, un problema aperto, che deve ricevere una differente forma. Questa scoperta di Kant non pi rimessa in discussione, n dai filosofi idealisti (neanche da Hegel, che avr bisogno di una fenomenologia per conseguire il sapere assoluto, cio per portare la filosofia oltre la sfera del conoscere) n da Schopenhauer. Questi autori non negano la necessit della cosa in s per il conoscere, ma cercano di ripensarla in una forma adeguata alla ragione filosofica.
Intermezzo: lin s delle cose Se questo vero (se, cio, unintera epoca della filosofia, che abbiamo definito post-kantiana, assume come problema fondamentale la necessit della cosa in s per una teoria del conoscere) dobbiamo proporre qualche osservazione su questo legame necessario e inderogabile tra conoscenza e in s delle cose. La necessit di questo legame significa, infatti che la conoscenza oggettiva limitata, non assoluta, ma si restringe al campo fenomenico. Vedremo in seguito come questo problema rimanga al fondo della prima riflessione di Nietzsche, e ne costituisca il vero e proprio filo conduttore.

Ora, cosa significa, in generale, conoscere? Quando affermiamo di conoscere alcunch, intendiamo dire che un oggetto, inizialmente estraneo di fronte a noi, ha ceduto qualcosa della propria estraneit, entrando nella sfera della nostra consapevolezza. Affinch il conoscere si realizzi, necessaria questa differenza rispetto alla nostra posizione, cio liniziale estraneit in cui esso si manifesta. Non basta dire, per, che la conoscenza esige la differenza. Occorre, altres, che tale differenza si presenti in un certo modo: che essa manifesti, fin dallinizio, una disponibilit alla relazione. Se i due termini differenti la coscienza e il suo oggetto fossero irrelativi, cio solo differenti, anche in questo caso la conoscenza non potrebbe istituirsi. Affinch si conosca, perci necessario che sia posta la differenza come relazione dei differenti. Se i due termini non fossero differenti, non si potrebbe conoscere nulla; ma, altres, se i due termini, pur differenti, non fossero in una reciproca relazione se la coscienza non fosse coscienza di quelloggetto, e loggetto non fosse oggetto per quella coscienza neanche in tale caso potrebbe sorgere il conoscere. Ci che, nella tradizione filosofica, si chiama verit , appunto, il concetto che realizza questa idea del conoscere. Se osserviamo bene, lidea di verit rappresenta, come in uno specchio pi nitido, il medesimo movimento che costituisce la conoscenza. Secondo lantico adagio, veritas adaequatio intellectus ad rem. Cos si legge in Tommaso dAquino: veritas est adaequatio intellectus et rei. In base a questa definizione, la verit la corrispondenza di tutto ci che possiamo far rientrare nella sfera dellintellectus (pensiero, linguaggio, immagine, ecc.) con tutto ci che caratterizza la res. Come si pu notare, ci che la verit manifesta lo stesso di ci che dice il conoscere, con, in pi, la specificazione della forma della relazione, come adaequatio: affinch la conoscenza sia vera, intellectus e res devono essere adeguati, ossia devono corrispondere. Ora, cosa significa che, nella conoscenza come verit, la coscienza deve essere adeguata al suo oggetto? Perch si dia qualcosa come la verit, necessario, anzi tutto, che si costituiscano realmente i suoi termini lintellectus e la res , i differenti: se, infatti, quei due termini non indicassero una reale differenza, dovrebbero essere considerati, in un modo o nellaltro, come lo stesso. Perch la verit si realizzi, necessario, per, che i differenti stabiliscano una reciproca relazione, e, pi precismente, una relazione che si chiama adaequatio, corrispondenza. Cosa significa, allora, che i differenti debbono corrispondersi? Significa che essi, nel luogo della verit, devono essere lo stesso, ossia devono risolversi in una identit, ma si badi senza smarrire la loro costituzione dessere, cio mantenendosi nella differenza. Nel punto della verit, deve realizzarsi lidentit di termini che, al tempo stesso, devono anche mantenersi differenti. Se, infatti, nel loro essere identici, essi non conservassero la differenza, il risultato sarebbe distruttivo. In termini pi precisi, la verit esige che i suoi termini costitutivi siano, al tempo stesso, identici e non-identici, differenti e non-differenti. La conclusione che la verit (e con essa il conoscere) sia una contraddizione, anzi la contraddizione. Questa conclusione la verit la contraddizione si presta a diverse osservazioni, che ora non possiamo svolgere e sulle quali, se volete, discuteremo in seguito. Ora ci preme, invece, porre in rilievo la relazione che viene a istituirsi tra questo ideale conoscitivo della verit e lipotesi di un in s delle cose. Se ripensate a quanto abbiamo detto fin qui, potete rendervi conto che il concetto di verit come adaequatio include gi la postulazione di un in s delle cose. Quel concetto, in altri termini, esige il sacrificio della trasparenza della cosa. Perch lideale conoscitivo della verit si realizzi, necessario che lente rimanga opaco, non si offra al conoscere nella sua effettiva trasparenza; necessario che nasconda il proprio essere. Abbiamo detto che nel punto della verit, la res, la cosa, deve bens essere lo stesso dellintellectus, deve essere adeguata a esso, ma deve anche mantenersi nella differenza. Abbiamo osservato che, in termini logici, questa una contraddizione. Ma ci significa che un lato della cosa (o, meglio, il suo stesso essere) deve restare sottratto alla presa della adaequatio: deve, cio, conservarsi differente, che qui significa inaccessibile allorizzonte del conoscere. Se cos non fosse, se la cosa non nascondesse il proprio in s, quellideale conoscitivo della verit non potrebbe realizzarsi. Per questo abbiamo detto che la scoperta di Kant di un legame necessario, inderogabile, tra il conoscere e la cosa in s insuperabile nellorizzonte di una teoria del conoscere.

Partendo da Kant, ma cercando di procedere oltre, Schopenhauer dichiara che la natura del mondo fenomenico rappresentazione. Rappresentazione significa essere-mio delloggetto fenomenico, cio che loggetto sempre oggetto per un soggetto. Non loggetto in s, ma loggetto di quel soggetto, il quale, nellatto di costituirlo, lo accoglie nel suo orizzonte. Schopenhauer dice appunto che, per intendere il mondo, non bisogna partire n dal soggetto (Fichte) n dalloggetto (Schelling), ma dalla loro relazione originaria (la rappresentazione). Come vedete, parlando di rappresentazione, abbiamo detto soggetto e oggetto. Ma, appunto, questa distinzione rappresentativa, appartiene al mondo come rappresentazione: non una distinzione reale della cosa, ma solo una distinzione rappresentativa. La divisione di soggetto e oggetto non la realt, ma la forma della rappresentazione. Solo in quanto il mondo rappresentazione, sorge la distinzione di soggetto e oggetto. Nellin s del mondo, questa distinzione non esiste, cos come non esistono i termini che la costituiscono. Si presti attenzione a questo aspetto: la distinzione tra soggetto e oggetto non si limita a generare la rappresentazione, ma rappresentazione, cio (in termini kantiani) fenomeno. Questo passaggio molto importante per intendere la filosofia di Schopenhauer e il suo rapporto con Kant. Nella rappresentazione, loggetto rinvia a un soggetto. Ma la relazione che costituisce linsieme di questa situazione (la relazione soggetto-oggetto) , essa stessa, rappresentativa. solo nella rappresentazione che soggetto e oggetto si distinguono. Ci significa, ancora, che la posizione del soggetto non reale, ma fenomenica. Fenomenico non soltanto il manifestarsi delloggetto (la res), ma anche la soggettivit, ossia quellintellectus che, nella relazione conoscitiva, apprende loggetto secondo verit. Il mondo come rappresentazione manifesta una pluralit di cose determinate, individue, ciascuna diversa dallaltra. un mondo di differenze. Ma questa pluralit di cose (il mondo fenomenico) costituita da un principio, che il principio di ragione, o, pi precisamente, principium individuationis. Questo principio stabilisce che ogni cosa effetto di una causa: grazie a questo principio vediamo ogni oggetto come il risultato di una causa, cio lo vediamo nel divenire, nel mutamento. Perch il principium individuationis possa funzionare, occorre che loggetto in quanto effetto di una causa sia collocato nel tempo, cio nella successione delle cause, e nello spazio, che cio abbia una posizione determinata. dunque il principium individuationis che genera la pluralit, il divenire, il tempo, lo spazio, che sono i caratteri essenziali del mondo fenomenico. In altri termini, la forma della rappresentazione (ci che la carraterizza in ultima istanza) la pluralit, ossia la differenza. Solo in quanto vi sono pi cose, A e B ecc., determinatamente differenti, per cui A non B ecc., noi possiamo dire di essere nella forma della rappresentazione. Ma la domanda successiva : come costituita la differenza? Perch la differenza si costituisca, occorre che la relazione tra A e B sia intesa secondo ragione, cio come nesso di causalit. questo nesso che individua la cosa, ed questo principio (il principium individuationis) che genera la successione nel tempo e la posizione nello spazio. Poich la rappresentazione distingue tra un soggetto e un oggetto, accade che alla forma della cosa corrisponda la forma del suo apprendimento. Questo correlato lintuizione intellettuale. Lintelletto, cio, coincide con

il principio di ragione, si risolve in esso. Intuire secondo lintelletto significa collocare gli enti nella catena delle cause e degli effetti, ossia determinarli, individuarli nel tempo e nello spazio. Questo il modo in cui ogni essere vivente conosce concretamente la realt. Ma Schopenhauer ritiene, con Kant, che la rappresentazione sia solo fenomeno, cio forma e manifestazione di una sostanza non-rappresentativa. Come in Kant, dunque, la conoscenza limitata alla sfera del fenomeno. (Ma, potremmo aggiungere, come in Hegel, la sfera limitata del conoscere deve essere infine oltrepassata). Il mondo come rappresentazione spiega Schopenhauer si limita a una descrizione della forma, e non riesce a toccare il contenuto della rappresentazione. Il mondo ci conduce di causa in causa, fino a forze inesplicabili e presupposte. Di qui la domanda: di cosa rappresentazione la rappresentazione? Al quid, allin s delle cose, noi possediamo una chiave di accesso: il corpo. Infatti il corpo si manifesta sotto un duplice aspetto: rappresentazione tra le rappresentazioni, ma anche oggettivazione della volont. Il corpo non soltanto un oggetto, ma un impulso, un sentire immediato, che sfugge al principio dellindividuazione. Per analogia con il corpo, noi possiamo estendere questa duplicit a tutte le cose, organiche o inorganiche. Tutto il mondo manifestazione, oggettivazione della volont, volont che si rende oggetto nella rappresentazione. Perci la volont la cosa in s, la sostanza di ogni oggetto. In questo modo, fenomeno e cosa in s hanno ricevuto una pi stretta determinazione. Il fenomeno rappresentazione; la cosa in s volont. Abbiamo ricordato che Nietzsche considera il pensiero di Schopenhauer come il punto pi alto a cui la filosofia pervenuta dopo Kant. Lo ripete molte volte, dagli appunti del 1868 fino alla terza inattuale. Tuttavia, quando si trova di fronte la struttura specifica di questa filosofia, la modalit peculiare in cui essa ha ripensato la distinzione di fenomeno e cosa in s, nelle figure della rappresentazione e della volont, il suo giudizio oscilla, e a tratti sembra, consapevolmente, prendere le distanze. Questo accadr in modo esplicito nel periodo successivo, ma gi nella prima fase della sua meditazione (quando concentrato sullo studio di Democrito, poi della tragedia attica), Nietzsche manifesta dubbi, perplessit, a volte molto radicali. Il testo forse pi esplicito in questo senso si trova negli appunti scritti tra lautunno del 1867 e la primavera del 1868. Fin dalle prime battute, Nietzsche parla di un fallimento di Schopenhauer. Il fallimento riguarda il fatto che Schopenhauer si rese accessibile la sua cosa in s, senza cogliere la natura oscura di ci che sfugge alla rappresentazione. Scrive:
Un tentativo di spiegare il mondo a partire da un fattore dato. La cosa in s assume una delle sue forme possibili. Il tentativo fallito. Schopenhauer non lo riteneva un tentativo. Si rese accessibile la sua cosa in s. Che non si sia accorto del fallimento si spiega col fatto che egli non voleva sentire quanto di oscuro e e contraddittorio vi sia nella regione dove cessa lindividuazione.

Come si vede, ci che Nietzsche contesta laccessibilit della cosa s. Non ne contesta lessere. Cio Nietzsche non contesta che rappressentazione rinvii allin s delle cose, e che, in termini kantiani, postulazione dellin s sia una necessit inderogabile. Ma la pretesa

in la la di

Schopenhauer stata quella di trarlo dalloscurit, di farne oggetto di un discorso determinato. Dunque, il punto problematico di Schopenhauer consiste nel passo avanti rispetto a Kant: nella pretesa di determinare la cosa in s come volont, come vita. Alla domanda di Goethe Ob nicht Natur zuletzt sich doch ergrnde?, se la natura non si lasci scrutare, Schopenhauer risponde con un s, che la natura (la cosa in s) si lascia scrutare, si lascia dire, si lascia determinare come volont. Intorno a questo nodo (se Schopenhauer abbia davvero superato Kant), Nietzsche insiste a lungo. La dottrina di Schopenhauer, scrive, soggetta ad alcune critiche fondamentali. La prima obiezione tratta dal testo di Lange:
Il primo e pi generale attacco, rivolto contro Schopenhauer solo in quanto egli non and, come pure qui era necessario, al di l di Kant, prende di mira il concetto di cosa in s e vede in questa solo una categoria nascosta.

In primo luogo, dunque, si attacca la pretesa fondamentale di Schopenhauer, quella di andare oltre Kant. in gioco il nascondimento della cosa in s. Che la cosa in s sia nascosta significa: non pu essere determinata ulteriormente, tanto meno come volont. E infatti, la seconda critica dice cos:
Ma anche concedendo a Schopenhauer il diritto di seguire Kant su quel pericoloso cammino, ci che egli pone in luogo della x kantiana, la volont, generata soltanto grazie a una intuizione poetica, mentre i tentativi di dimostrazioni logiche non possono soddisfare n Schopenhauer n noi.

Ecco la conseguenza. Schopenhauer non pu superare Kant con la ragione, ma solo in forma poetica. Cosa significa che la volont una intuizione poetica? Significa che solo unimmagine, ingiustificata e non dedotta, con la quale si riempie determinatamente la x indeterminata dellin s. La terza obiezione aggiunge unosservazione ulteriore. In quanto determina la cosa in s come volont, Schopenhauer le assegna dei predicati. Ma tutti questi predicati, queste determinazioni, non possono derivare dallin s, bens dallantitesi di ci che, soltanto, appare determinato e individuato, cio il fenomeno come rappresentazione.
In terzo luogo siamo costretti a opporci ai predicati che Schopenhauer assegna alla sua volont, i quali, per qualcosa che per definizione impensabile, sono fin troppo determinati e tutti ricavati dallantitesi con il mondo della rappresentazione.

Ma si presti attenzione a quanto segue:


mentre tra la cosa in s e il fenomeno neppure il concetto di antitesi ha senso.

Questa, in effetti, losservazione fondamentale. Il concetto di antitesi tra fenomeno e cosa in s non ha senso. Non ha senso perch lantitesi una relazione, e la relazione ha senso solo tra enti parimenti determinati. Qui, invece, si pretende di stabilire un rapporto di antitesi tra il determinato e lindeterminato. E questo impossibile. I predicati della volont indicano soltanto ci che non la rappresentazione. Ma il non essere, che qui compare come costitutivo di quei predicati, dovrebbe manifestare la differenza tra il determinato e lindeterminato. Ora, la differenza gi la

forma della rappresentazione, ossia di ci che determinato, individuato. Insomma, si spaccia per cosa in s una rappresentazione, con la conseguenza assurda che la volont rappresentazione. Quindi, conclude, determinare la cosa in s come volont tirare a indovinare. Come si vede, questa pagina di Nietzsche straordinariamente acuta. Al fondo, Nietzsche non si limita a mettere in discussione la traduzione della cosa in s kantiana nella volont di Schopenhauer, ma va oltre, ponendo una domanda radicale sulla possibilit stessa di concepire un in s delle cose. Concepirlo significa determinarlo; ma determinarlo significa smentire con il concetto ci che si dichiara con le parole. La cosa in s impensabile, questa la conclusione che si pu trarre. Eppure Nietzsche non giunge esplicitamente a questa conclusione. Anzi sente, come Kant, la necessit di ammettere questo fondo oscuro. Sente il problema (post-kantiano) dei limiti del mondo fenomenico. Capisce che loscuro va lasciato nella sua oscurit, che non si lascia toccare dal concetto. Ma, nondimeno, continua ad avvertire lesigenza filosofica che il mondo fenomenico sia pensato come un mondo che ha un limite, che non coincide con la verit e non la esaurisce. Vedremo come questo problema verr articolandosi nella concezione del dionisiaco. A partire dalla situazione speculativa che abbiamo illustrato, Schopenhauer pu offrire una spiegazione dellarte, della tragedia e della musica. E qui tocchiamo un aspetto essenziale della ricerca di Nietzsche. Per spiegare lessenza dellarte, Schopenhauer si rivolge a Platone: arriva cio ad ammettere lesistenza di idee primitive, che siano unoggettivazione iniziale e adeguata della volont. Si presti attenzione a questo punto: le idee sono oggettivazione adeguata della volont, perch sono capaci di rispecchiarla fedelmente, al di fuori del tempo e dello spazio. Perci si distinguono dai fenomeni rappresentativi e dai concetti, che invece sono astrazioni. Le idee sono ante rem, i concetti sono post rem. Ora, per conoscere le idee, necessaria una facolt che non generi rappresentazioni, che non sia intelletto, che non lavori con il principio di ragione, ma che anzi penetri la rappresentazione, torni al di qua di essa. Questa particolare forma di conoscenza la contemplazione, o intuizione: essa porta loggetto fuori della relazione con altri oggetti, cio fuori del tempo e dello spazio. Lintuizione sottrae la cosa alla differenza, alla pluralit, quindi alla relazione che essa intrattiene con altre cose, e la contempla come tale. E cos spezza il principio di ragione. Pensate, per avere un esempio, al David di Michelangelo: il corpo, lo sguardo, la tensione delle braccia, non incontrano altro, sono manifestate in s stessi. Questa lopera del genio, ed il compito proprio dellarte in generale. Larte non conosce le cose, ma contempla lidea delle cose, ante rem, cio prima del loro pluralizzarsi nel mondo della rappresentazione. Abbiamo detto che Schopenhauer si volge a Platone. Per spiegare cosa sia lidea, Schopenhauer rinvia, in effetti, a Platone. Ma la differenza tra lidea di Schopenhauer e quella di Platone rimane tuttavia enorme. In Platone, le idee costituiscono una struttura originaria, di cui il mondo sensibile copia. Per Schopenhauer, invece, le idee non sono una struttura originaria, ma una copia adeguata delloriginario, cio della volont. In altri termini, le idee di Schopenhauer costituiscono una struttura intermedia tra la volont, che indica lin s delle cose, e luniverso della rappresentazione.

Questa concezione dellarte realizzata perfettamente dalla tragedia. La tragedia manifesta lessenza dellarte. Infatti la tragedia attraversa il principio di individuazione, lo penetra, fino a mostrare il fondo orrido della vita. Mostra la lotta della volont con se stessa, fino a rivelare il peccato originale, cio il male che appartiene alla nascita: haber nacido, secondo le parole di Caldern nella seconda parte della Vita in sueno: el delito major del hombre es haber nacido. Ma svelando questo spettacolo, la tragedia anche un quietivo, produce la rassegnazione, la rinunzia, non soltanto alla vita, ma alla stessa volont di vivere. Larte contemplazione dellidea, e la tragedia lo al suo massimo grado. Ma la musica sfugge a questa definizione dellarte. La musica costituisce unarte parallela. Essa, infatti, non contempla lidea, ma contempla direttamente la volont: oggettivazione della cosa in s proprio come lo lidea. Musica e idea delineano due mondi paralleli. In questo senso, perch capace di rappresentare in modo adeguato la volont, la musica larchetipo, il modello del mondo (il mondo prima della creazione, avrebbe detto Hegel). Come vedremo, la Nascita della tragedia costituisce una profonda revisione di questa estetica. Gli aspetti fondamentali dove Nietzsche si distingue da Schopenhauer appaiono subito evidenti. In primo luogo, nellestetica di Nietzsche viene meno lintero motivo platonico delle idee, che nella filosofia di Schopenhauer costituiva la chiave per spiegare il fenomeno dellarte. Larte non contemplazione di idee, ma ha direttamente a che fare con la natura, imitazione della natura, come Nietzsche dir in un passo su cui dovremo a lungo soffermarci. Per conseguenza, la musica non potr costituire un analogo delle idee, ma trover una difficile collocazione tra il dionisiaco e lapollineo. In secondo luogo, viene completamente meno in Nietzsche lidea che la conoscenza tragica sia un quietivo, nel senso aristotelico della catarsi. Il rapporto della conoscenza tragica con la realt primitiva delle passioni si porr in maniera ben altrimenti complessa e impegnativa. E qui veniamo allultimo punto su cui occorre soffermarsi in questo breve confronto tra Nietzsche e Schopenhauer. Dunque, la concezione dellarte, della tragedia, della musica, il primo aspetto che Nietzsche deve mettere alla prova con la sua analisi della tragedia greca. Ma attraverso di esso, emerge un aspetto pi radicale, destinato a segnare in maniera durevole il suo rapporto con la filosofia di Schopenhauer. Possiamo sintetizzarlo, dicendo che questo punto riguarda il rapporto tra conoscenza tragica e nichilismo. Nel quarto libro del Mondo come volont e rappresentazione, Schopenhauer aveva stretto questo rapporto con un rigore impressionante, sino a giungere al nichilismo come negazione della vita. Possiamo dire, in breve, che ci che genera il nichilismo la negativit portata sulla cosa in s, cio sullessenza della volont. La volont, ossia la vita, negativit, peccato originale, cio dolore e noia. La vita tragedia (per questo il genere tragico svela davvero lessenza della volont). Si presti attenzione al carattere paradossale di questo gesto teorico, che costituisce il nichilismo: la volont la cosa in s, lessenza ultima del mondo; ma, al tempo stesso, la volont negativit, dolore e noia. Che il fondamento del mondo sia il negativo, questa la tesi essenziale del nichilismo. Ora, se la conoscenza fosse soltanto ordinata dal principio di ragione, la vita sarebbe una gabbia, senza via duscita. Ma possibile una conoscenza che, come larte, attraversi il principium individuationis, penetri il velo di

Maya, e sveli il fondo oscuro della volont. possibile, cio, una conoscenza tragica. Questa conoscenza pu rendere tutta la vita unopera darte: ci che, nellarte, si realizza per un attimo (lattimo in cui la scena tragica rappresentata), qui si realizza per sempre. Quando la conoscenza si fa tragica, essa avverte il male della vita, supera la frammentazione dellegoismo, e sente il tutto che, fuori del tempo e dello spazio, manifesta lessenza della volont. Sentire il tutto, la grande trasformazione, la conversione che il conoscere tragico rende possibile. Il dolore di ogni cosa diventa ormai il proprio dolore: colui che conosce sente la compassione, la piet. La compassione il supremo atteggiamento etico, perch il compassionevole, attraverso la conoscenza, ha realizzato lessenza del tragico: in certo modo, ha rovesciato la negativit della volont di vivere. Le due vie sono dunque quelle dellaffermazione e della negazione della volont. Ma negare la volont (realizzando cos lessenza del tragico) significa negare la vita, cio si badi negare tanto il fondamento (la volont) quanto il fondato (la rappresentazione). Significa cio negare il mondo: negare tutto: negare lessere. Questo il senso dellultima pagina dellopera di Schopenhauer: non resta, dunque, che il nulla. La critica fondamentale di Nietzsche a Schopenhauer (come si svolger negli scritti successivi) tutta raccolta nella rottura di questo vincolo che stringeva la volont alla negativit, la conoscenza tragica al nichilismo. Quando il segno del negativo sar tolto dalla cosa in s, la volont torner libera di manifestarsi come potenza, cio come una tragica esuberanza. Il s alla vita, opposto al no alla vita di Schopenhauer, sar appunto il segno di questo capovolgimento, dove letica della piet e della compassione si convertir nella punta estrema dellinganno. Ma affinch quella critica della morale diventi possibile, affinch il pensiero di Nietzsche possa proiettarsi davvero oltre la filosofia di Schopenhauer, sar necessario che quel rapporto tra conoscenza tragica e nichilismo venga spezzato; e che, nel fondo oscuro della volont, sia riconosciuta unenergia capace di plasmare il mondo.

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