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Khalid Chraibi - Selected Writings in

SaudiDebate.com
Gli estremisti non possono cercare giustificazioni nel Corano

di Khalid Chraibi
Pubblicato in Religione e fatwa, tra fede e politica il 14 Novembre 2007
Paese: Arabia Saudita
Testata: SaudiDebate.com
Tag: Arabia Saudita, Corano, fatwa, Iraq, movimenti salafiti, religione, terrorismo
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28/07/2007

Guardando i notiziari televisivi in questi giorni, si ha l’impressione che l’intero Medio Oriente
sia in agitazione, con terribili atti di violenza che hanno luogo ormai abitualmente in
molteplici scenari. L’angoscia raggiunge il suo culmine in Iraq, dove ogni singolo giorno auto
e camion imbottiti di esplosivo vengono lanciati contro luoghi affollati, come un mercato o
una moschea durante la preghiera di mezzogiorno, uccidendo decine di civili e ferendo
centinaia di persone.
Questa ondata di violenza è solo marginalmente rivolta contro le truppe straniere di
occupazione. La stragrande maggioranza delle vittime sono civili che non sono neanche presi
di mira individualmente, ma semplicemente appartengono ad un gruppo che i loro avversari
hanno deciso di attaccare, come ad esempio gli impiegati di qualche amministrazione, o i
membri di un gruppo religioso (sunnita o sciita). Molte delle vittime vengono citate come
semplici “effetti collaterali”, ovvero come persone che hanno avuto la sventura di trovarsi nel
raggio d’azione di un ordigno esplosivo al momento dell’esplosione.

Gli autori di questi atti di violenza si definiscono orgogliosamente come “jihadisti”, “salafiti”,
ecc., per sottolineare la loro appartenenza islamica. Sulla base di ciò, i governi occidentali ed i
media classificano tutti questi atti sotto la generica definizione di “terrorismo”,
riconducendoli ad una recrudescenza dell’estremismo religioso nel mondo islamico. Essi li
presentano come simboli di uno “scontro di civiltà” in corso fra i paesi islamici e l’Occidente,
o li considerano come un sintomo della lotta fra conservatorismo e modernità all’interno delle
società islamiche.

Ciò nondimeno, la maggior parte dei musulmani trova difficile conciliare questi atti di
violenza con gli insegnamenti della propria religione. Ma i leader politico-religiosi che
dirigono simili azioni hanno sviluppato le loro proprie “fatwa” in proposito, e le utilizzano per
convincere i potenziali attentatori suicidi della giustezza dei loro atti di violenza.

Essi hanno giustificato le loro azioni nella maniera seguente, in una recente intervista
pubblicata da un importante giornale americano: “Nella tipica esplosione di un’autobomba,
Dio identificherà coloro che meritano di morire – ad esempio chiunque aiuti il nemico – e li
manderà all’inferno. Le altre vittime andranno in paradiso. L’innocente che viene ferito non
soffrirà. Diviene egli stesso un martire” (’The Guidebook For Taking A Life’, The New York
Times, Week in Review, June 10, 2007).

[…] Molti giovani sauditi sono stati associati, negli ultimi anni, a questo tipo di violenze, in
scenari diversi come la Palestina, l’Afghanistan, l’Iraq, il Libano, lo Yemen, il Nordafrica,
ecc.. Le autorità saudite sono preoccupate per questa situazione, e cercano di sviluppare
nuove linee guida per fornire ai giovani un appropriato orientamento religioso, in modo da
metterli in grado di distinguere fra i veri insegnamenti islamici e l’ideologia “deviante”.

Così, ad un incontro con più di 600 imam e predicatori alla fine di giugno 2007, il ministro
degli interni saudita, principe Naif, ha espresso la propria preoccupazione per il
coinvolgimento della gioventù saudita negli atti di violenza in Iraq ed in Libano. L’agenzia
Saudi Press riferisce che egli ha domandato agli imam, e più in generale alla società saudita:
“Sapete che i vostri figli che vanno in Iraq vengono usati solo per farsi esplodere causando la
morte di persone innocenti? Siete felici del fatto che i vostri figli diventino strumenti di
morte?”. Egli avrebbe poi aggiunto: “volete nella vostra società persone che chiamano voi, il
vostro stato, ed i vostri leader ‘infedeli’?”

Il principe ha sottolineato il ruolo positivo che gli imam ed i predicatori potrebbero giocare
nella lotta del paese contro il terrorismo, l’ideologia “deviante”, ed i pensieri e le idee
distruttive, utilizzando regolarmente il sermone del venerdì in più di 14.000 moschee per
smascherare i “devianti” e le loro ideologie.

Teoricamente, il compito degli imam e dei predicatori è del tutto semplice e chiaro. Essi
devono spiegare ai giovani sauditi che l’Islam è basato sul rispetto della vita e della proprietà,
sulla libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, e la giustizia per tutti. E’ la religione della “ummat
al-wasat” (la comunità del giusto mezzo), come è spiegato dal seguente versetto: “Abbiam
fatto di voi una comunità equilibrata, cosicché possiate essere testimoni di fronte alle nazioni,
ed il Messaggero sia testimone di fronte a voi…” (Sura della Vacca,II: 143)

L’Islam si oppone all’estremismo nella religione, come è spiegato nel versetto: “Dì: Oh gente
del Libro, non eccedete i limiti nella vostra religione, cercando al di là della verità, e non
seguite i vani desideri di coloro che sbagliarono già in tempi passati, e che traviarono altri,
smarrendo la retta via” (Sura della Mensa,V: 77)

Anche il Profeta mise ripetutamente in guardia dall’estremismo nella religione, sottolineando


che questa fu la causa dei disastri che accaddero alle altre nazioni.

Dunque, l’Islam aborre l’uccisione indiscriminata di civili e di non combattenti. L’alto valore
che l’Islam ripone nella vita umana è chiaramente espresso in numerosi versetti coranici,
come: “Non uccidete il vostro prossimo, che Dio ha reso sacro, se non per via di giustizia:
così Egli vi ha prescritto, affinché impariate la saggezza” (Sura del Bestiame,VI: 151)

Oppure: “Chiunque abbia ucciso una persona che non abbia ucciso a sua volta, o che non
abbia disseminato la corruzione sulla terra, è come se avesse ucciso l’umanità intera. E
chiunque abbia salvato una vita, è come se avesse salvato l’umanità intera” (Sura della
Mensa, V: 32)

Il principio della sacralità della vita umana è anche sottolineato dalla “Dichiarazione Islamica
Universale dei Diritti dell’Uomo” del 19 settembre 1981, che afferma: “La vita umana è sacra
ed inviolabile, ed ogni sforzo deve essere fatto per proteggerla. In particolare, nessuno dovrà
essere ferito o ucciso, se non per autorità della Legge”.

L’Islam ha anche stabilito regole molto rigorose su come trattare i casi di omicidio. La pena
capitale può essere applicata da un tribunale che rispetti un giusto processo. Ma, a nessun
individuo è permesso di utilizzare la legge a propri fini, di decidere secondo il proprio
capriccio chi deve vivere e chi deve morire, ecc.. Una situazione del genere, se dovesse aver
luogo, sarebbe comparabile ad uno stato di “fitna” (discordia, divisione, ribellione), che è
fortemente condannato dall’Islam. La comunità musulmana è organizzata in modo da gestire e
risolvere tutti i conflitti fra i suoi membri attraverso mezzi pacifici, o utilizzando i mezzi
alternativi che la sharia ha stabilito.

Gli imam devono ricordare ai giovani che, anche in una situazione di guerra, l’Islam ha
stabilito delle regole molto rigide, che le parti in conflitto devono rispettare. Queste regole
erano osservate durante la vita del Profeta, con l’obiettivo di assicurare che i danni fossero
limitati al minimo, senza una inutile distruzione della vita (donne, civili, anziani, non
combattenti) e della proprietà (alberi, orti, pozzi, bestiame, ecc.).

Il califfo Abu Bakr ricordava queste regole alle proprie truppe, alla vigilia della loro partenza
per la battaglia, nella maniera seguente: “Fermatevi, gente, affinché io possa darvi dieci
regole che vi guidino sul campo di battaglia. Non commettete tradimento e non deviate dalla
retta via. Non mutilate i cadaveri. Non uccidete bambini, né donne, né anziani. Non fate male
agli alberi, non bruciateli col fuoco, soprattutto quelli che portano frutti. Non uccidete le
greggi del nemico, ma salvatele per il vostro sostentamento. Potreste incontrare persone che
hanno consacrato la propria vita al servizio monastico; lasciateli andare”.
Dalle precedenti affermazioni risulta chiaro che l’Islam si oppone senza dubbio all’uccisione
indiscriminata di persone, a prescindere da qualsiasi circostanza.

L’Islam si oppone, inoltre, al “takfir” (la pratica di accusare altri musulmani di miscredenza),
che è un altro aspetto dell’estremismo. Chiaramente, nessuno può dire a proprio piacimento
che altri musulmani sono “kuffar” (infedeli) che possono essere uccisi senza timore. Questo
sarebbe il caso più estremo di “fitna”. Ricorrere alla violenza, anche a livello dello stato, è
un’eccezione e non la regola. E’ qualcosa che deve aver luogo all’interno di rigide norme:
nessun abuso di potere, nessun eccesso, rispetto per i non combattenti (civili, donne, bambini,
anziani…), rispetto della proprietà privata, che non deve essere distrutta se non in situazioni
estreme…A questo proposito, uno non può dire che intende promuovere i valori ed i principi
dell’Islam, se egli stesso viola tutte le sue norme fondamentali al fine di raggiungere i propri
obiettivi politici.

Concludendo, in uno stato moderno nessuno può utilizzare la legge per i propri fini. I singoli
individui non possono dichiarare guerra ad uno stato straniero. Né possono dichiarare guerra
al proprio governo. Altrimenti, la comunità entra in una situazione di anarchia, di “fitna”.

La confusione fra politica, religione, e “fitna” è promossa da tutte quelle parti che sono
interessate al divampare dei conflitti in Medio Oriente, perché ciò si accorda alla loro agenda
politica. I governi occidentali possono puntare il dito contro la violenza e spiegarla con
l’estremismo religioso, così da non dover scavare più a fondo nei complessi conflitti politici
che hanno luogo in Palestina, Iraq, Afghanistan, Iran, ecc.. Le autorità politiche di un paese
possono spiegare la violenza come il prodotto dell’ “estremismo religioso” o di una ideologia
“deviante”, piuttosto che come una ribellione contro la propria autorità. I “jihadisti” possono
sostenere di voler soltanto tentare di realizzare l’obiettivo di una “umma” (comunità, nazione)
unificata e regolata dall’Islam, piuttosto che gli obiettivi politici che essi hanno realmente in
mente, come la conquista del potere in un dato paese.

La gente potrebbe rimanere confusa da tutte queste rivendicazioni in conflitto fra loro. Ma il
fatto innegabile è che l’Islam è la religione della “ummat al-wasat” (la nazione del giusto
mezzo) che aborre tutti gli atti di estremismo in ogni aspetto della vita. In particolare, l’Islam
è basato sul rispetto della vita e della proprietà, sulla libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, e la
giustizia per tutti. Non ci si può sbarazzare di tutti i suoi valori, e di tutto ciò che esso insegna,
e continuare ad affermare con una qualche credibilità che si sta agendo nell’interesse
dell’Islam.

Titolo originale:

Extremists cannot claim Koranic justification for violence despite proud boasts of
‘jihadis’

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