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Sei modi di NON avvicinarsi alla meditazione

Ken Mc Leod

I Sei Reami di Esistenza sono una caratteristica principale della


cosmologia del buddhismo tibetano. Gli esseri possono manifestarsi
in sei forme di esistenza:

• esseri infernali dominati dall’ira


• fantasmi e demoni affamati dominati dall’avidità
• animali dominati dalla stupidità
• umani dominati dal desiderio
• titani o semi-dei dominati dall’invidia
• dei dominati dall’orgoglio

Come in molte mitologie, queste descrizioni si riferiscono a specifici


aspetti della nostra struttura psicologico-emozionale. Per esempio il
proverbio “l’orgoglio precede la caduta” trova riscontro nella
descrizione del reame degli dei, dove al massimo godimento
possibile che vi si sperimenta non può che seguire la discesa in un
reame di esistenza inferiore meno felice. Allo stesso modo, la
terrificante descrizione dell’esistenza di un essere infernale riflette
l’esperienza soggettiva di una persona totalmente consumata dalla
rabbia. Ogni aspetto di quell’esperienza è paurosa, dolorosa e
complicata. Persino la divisione in inferni di fuoco ed inferni di
ghiaccio riflette il modo in cui una rabbia furibonda o un freddo
odio si manifestano internamente.

Un maestro Zen contemporaneo, Uchiyama Roshi, ci offre


un’interpretazione dei sei reami intesi come sei possibili attitudini
errate alla meditazione.

La meditazione del reame infernale


Questo reame sorge nella meditazione quando ci sentiamo forzati a
sedere e costretti a farlo. E’ più frequente nell’ambiente monastico,
ma si manifesta anche nel corso dei ritiri. L’avversione che ci coglie
nei confronti della meditazione è evidente, ma per qualche motivo,
per qualche condizione esterna siamo costretti a sedere. Questa è
sicuramente una meditazione d’inferno! In quei momenti non esiste
altro che l’avversione per quello che stiamo facendo. Cosa
possiamo fare per uscire da questa condizione? Semplicemente
dobbiamo riconoscere che la nostra pratica è volontaria, è qualcosa
che noi stessi abbiamo deciso di intraprendere, senza nessuno che
ci costringa a farlo. In ogni momento possiamo alzarci e
andarcene. Se la nostra decisione di praticare è invece ferma, c’è
poco spazio per la manifestazione di questo reame di meditazione.

La meditazione del reame dei fantasmi affamati


Il secondo reame è quello dei fantasmi disperati. Siamo avidi di
risultati. Qualcosa deve accadere. Dove stanno quei lampi di
illuminazione, di introspezione, o anche solo quello spiraglio di luce
nella ricerca? Stiamo cercando qualcosa che ci soddisfi, che ci
faccia sentire completi, che riempia quel buco profondo che ci
sentiamo. Ma qualsiasi cosa succeda, quel buco non si riempie mai,
così torniamo sempre alla nostra pratica più affamati che mai.
Questa smania di risultati, di qualcosa di eclatante, mina alla base
la nostra pratica. Gli effetti della meditazione sono sottili e ci vuole
tempo perché maturino. Quando siamo costantemente alla ricerca
di qualche tipo di segno o di risultato riguardante la pratica, stiamo
essenzialmente cercando al di fuori di noi stessi. Non possiamo
trovare al di fuori alcun tipo di vera soddisfazione, perché il buco
da riempire è dentro. Dobbiamo invece guardare il buco che porta
la disperazione, percepirlo, farlo arrivare alla nostra
consapevolezza. Non appena siamo in grado di sedere assieme a
quel senso di vuoto, gradualmente scopriamo soddisfazione e pace
interiore. Il nostro disperato desiderio di qualcosa che ci riempia si
dissolve.

La meditazione del reame degli animali


Gli animali cercano continuamente cibo e rifugio e sono soddisfatti
quando li trovano. In questa forma di meditazione il praticante
trova il modo di sedere tranquillamente e confortevolmente, senza
alcuno sforzo ulteriore. Tutto è rilassante, il praticante si sente
rigenerato dalla pratica, che non è altro di più che un buon riposo.
Non c’è visione profonda, non c’è comprensione, non c’è alcun
movimento verso un’esperienza più intensa della vita, dei suoi
rischi e degli adattamenti che comporta. Essenzialmente si usa la
pratica come un nascondiglio. L’ottundimento è uno dei problemi
più difficili da risolvere perché è il più difficile da riconoscere
dall’interno. Qui è dunque importante l’aiuto del maestro, che
riconosce la nostra condizione e ci aiuta a superarla.
La meditazione del reame dei semi-dei
Questo approccio è altrettanto nocivo quanto quello del reame
infernale. Chi riesce a sedere più a lungo? Chi riesce a mantenere
meglio l’immobilità? Il senso di competitività fa emergere l’invidia e
il dubbio su se stessi. Chi stiamo cercando di superare? Che cosa
significa vincere la competizione meditativa? Quando abbiamo
superato tutti gli altri, abbiamo comunque ancora a che fare con
noi stessi: siamo di nuovo al punto di partenza. Strettamente
legata a questa attitudine è la questione del far domande agli altri
sulla loro pratica. Come ci sentiamo quando gli altri ci chiedono
della nostra? La pratica meditativa è strettamente personale. E’
una delle parti più riservate della nostra vita. La tradizione
raccomanda di discutere della propria pratica esclusivamente con il
maestro e con i compagni più intimi. Queste discussioni in effetti
sono molto utili, perché portano alla luce degli aspetti che
singolarmente potremmo aver trascurato. Ma attenzione
all’insorgere della mente competitiva! Chiedete sempre a voi
stessi: “Chi sto cercando di superare e perché?”

La meditazione del reame degli dei


Questa condizione porta alla sensazione di essere superiori a tutti
gli altri. In questo approccio, il praticante vuole diventare un santo
o almeno un eremita, al di fuori della confusione e dei problemi
della vita di tutti i giorni, sereno nell’isolamento, vero o
immaginato. In realtà questa attitudine di superiorità nasconde
spesso un meccanismo di fuga, dove si compensa con l’orgoglio
quelli che sono i dubbi profondi sulle proprie capacità e la
mancanza di fiducia in se stessi. La pratica della meditazione non è
intesa ad allontanarci dalla vita, ma a farci diventare sempre più
intimi con essa. Dunque, il rimedio in questo caso è mettere in
discussione il senso di superiorità, la convinzione di vivere la vita in
un modo superiore.

La meditazione del reame degli umani


Anche la meditazione degli umani è motivata dal desiderio del
risultato. Non c’è la disperazione del reame dei fantasmi affamati,
ma il desiderio che la meditazione costituisca un uso produttivo
del nostro tempo. Molte delle istruzioni sulla meditazione sono
presentate in questo modo. La meditazione serve per migliorarci,
per migliorare le nostre relazioni, per diventare più centrati, più
equilibrati, in grado di dare amore, etc.
Pratichiamo aspettandoci di ricevere qualcosa in cambio. Fintanto
che questa aspettativa è in atto, non conosceremo mai noi stessi.
Come dice un famoso maestro tibetano: “Abbandona la speranza di
avere dei risultati”. Non pratichiamo la meditazione per produrre
qualcosa, piuttosto è un modo di praticare l’essere. Non essere
qualcosa di specifico, ma semplicemente l’essere, essere
completamente.

Idealmente la pratica della meditazione non è basata su nessuno di


questi sei aprocci. In pratica, insorgono nella nostra esperienza
quotidianamente. Siamo umani dopo tutto! Possiamo, tuttavia,
usare la consapevolezza e la presenza mentale coltivate nella
pratica per sapere che cosa sta sorgendo in noi e lasciarlo lì dov’è,
senza identificarci o fonderci con questi patterns emozionali
abituali. Questa è una pratica difficile, perché richiede che noi
facciamo lo sforzo di essere in un modo a cui non siamo per niente
abituati. Lentamente, col tempo, vedremo che i nostri sforzi
origineranno un frutto: un modo di essere che non è nessuno di
quelli dei sei reami.

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