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Il cristiano di fronte alla modernit.

Per una lettura della Gaudium et spes


di Giuseppe Lorizio [di prossima pubblicazione in Religione, Scuola, Citt = rivista per gli insegnanti di religione della diocesi di Roma] Lincontro con il Concilio Ecumenico Vaticano II risulta, oggi in particolare, ricco di fascino e al tempo stesso problematico, a causa del diffondersi di letture di stampo ideologico, tendenti ad operare una sorta di riduzionismo dellevento e del dettato conciliare a posizioni ecclesiali e teologiche preconcette e strumentali. Il problema di fondo, che, in sede interpretativa e didattica (ai diversi livelli fino a quello accademico), ci si trova di fronte riguarda la necessit di affrontare largomento raccontando un evento o presentando una dottrina. Si tratta come spesso accade di un falso dilemma. Il Concilio stato senzaltro un evento ecclesiale e socio-culturale di immensa portata, che si cristallizato e ci viene consegnato in un insieme di scritti dottrinali (che peraltro si pongono su diversi piani di autorevolezza), i quali chiedono di essere letti e interpretati correttamente e nella maniera pi esauriente possibile sia da parte dei credenti cattolici, che da quella di altri eventuali destinatari dei testi stessi. Senza il riferimento allevento conciliare gli elementi di dottrina che il Vaticano II ci offre sarebbero privi del loro humus e del loro contesto e rischierebbero di presentare una serie di teorie avulse e peraltro fra loro difficilmente componibili in un quadro concettuale coerente. Senza la componente dottrinale il Concilio rischia di essere storicisticamente interpretato e depauperato del messaggio che pure ha inteso rivolgere ai fedeli cattolici e a tutti gli uomini di buona volont. Sembra quindi compito di chi lo accosta avere costantemente presente questa bipolarit fra evento e dottrina e su questi binari proporre ai giovani, che non hanno vissuto la stagione conciliare, e quindi possono apprenderla solo attraverso lo studio delle testimonianze e dei documenti, questo fondamentale momento della storia del Novecento.

A questo criterio ermeneutico fondamentale non pu ovviamente sottrarsi lapproccio con la Costituzione pastorale sul rapporto della Chiesa col mondo contemporaneo (Gaudium et spes) e con i suoi contenuti. A livello di evento il documento stato salutato come tale da imprimere una profonda svolta nei rapporti della Chiesa cattolica con il mondo e la cultura contemporanei, mentre al tempo stesso non manca chi cerca di porre in rilievo il carattere profondamente datato di questa Costituzione, il cui ottimismo sarebbe stato ormai abbondantemente superato e per certi aspetti anche sconfitto dalle vicende successive, caratterizzanti in particolare appunto il rapporto Chiesa / mondo. Lo stesso modello teologico, che per molti interpreti e a proposito di alcuni passaggi cruciali si fatto risalire a Teilhard de Chardin, soggiacente la Costituzione sarebbe stato ormai da 1

tempo abbandonato a favore di moduli pi articolati e meno condiscendenti nei riguardi della dimensione cosmologica ed antropologica dellesistenza. Ma, se imprescindibile per un Concilio il riferimento a modelli teologici propri della situazione culturale in cui levento si celebra, anche vero che, come il magistero del Vaticano I non si pu certo identificare col modello neoscolastico che quel Concilio aveva almeno in buona parte adottato, cos quello del Vaticano II non si pu far coincidere con le posizioni teilhardiane, che pure fanno capolino in alcuni passaggi. Lermeneutica del Concilio, come ogni buona ermeneutica, di testi dottrinali chiede dunque un andar oltre, nella ricerca di un senso delle affermazioni magisteriali, capace di interpellarci al di l delle prospettive teologiche adottate immediatamente.

Quanto ai contenuti dottrinali, mi preme in questa sede segnalare schematicamente tre elementi, a mio avviso particolarmente significativi nei quali implicato il modo nuovo di essere presenti dei cristiani nella storia richiesto dalla Gaudium et spes. E in primo luogo non si pu non segnalare il cambio di paradigma nel rapporto Chiesa / mondo che il testo fa proprio e propone: si tratta del passaggio (una vera e propria svolta) da un paradigma di contrapposizione a un modello dialogico di rapporto fra queste realt. Tale svolta conciliare risulter ancor pi individuabile se si considera il mondo, secondo la peculiaret del mondo moderno, ovvero della modernit. La contrapposizione tra i fronti creatasi a partire dalla seconda met dellOttocento e rinnovatasi in occasione della crisi modernista va ormai posta alle nostre spalle. Il che riguarda certamente anche la pastorale (non dimentichiamo tale connotazione propria della Gaudium et spes). In questo il nostro documento si trova in perfetta sintonia con la Costituzione dogmatica sulla Chiesa dove, mentre il rapporto Chiesa-Regno di Dio viene descritto come impegno fondamentale e obiettivo finale della prassi ecclesiale, un riferimento a Lumen Gentium 5 permette di cogliere la Chiesa come germe e inizio del Regno di Dio, quindi di non identificare le due realt. Se ne deduce una fondamentale indicazione non solo per la prassi ecclesiale, ma anche per l'autocomprensione della Chiesa. In essa il lavoro pastorale non ha come fine comunit dei credenti, la sua autoconservazione o il suo prestigio nel mondo, ma risulta proiettata tutta verso un orizzonte che la trascende e ne determina il senso: la venuta del Regno di Dio nella storia. Tale autocomprensone non priva di feconde indicazioni anche in rapporto al tema Chiesa / mondo: Il mondo, cio l'umanit storica, non va pi concepito come estraneo o opposto al progetto del Regno, e neanche come un semplice campo di applicazione della salvezza della Chiesa Chiesa nel mondo e per il mondo allora la formula che diversi autori prediligono, ispirandosi a Gaudium et Spes 40b. L'oggi della prassi ecclesiale esige dunque una lettura simpatetica e insieme profetica dei fermenti esistenti nel mondo, che con un luogo ormai comune si chiamano segni dei tempi. Se poi si vuol richiamare la 2

postmodernit, il messaggio della Gaudium et spes ci sembra restare inalterato: il cosiddetto postmoderno richiede attenzione teologica e pastorale e la fine delle grandi ideologie dell'epoca moderna non pu essere solo salutata con il sorriso ironico di chi dice: avevo ragione!. D'altra parte il postmoderno richiede che si sia passati attraverso il moderno, ossia che si sia compreso il mondo moderno e il pensiero moderno con una lettura almeno tanto simpatetica quanto profetica . Una seconda serie di riflessioni, si ispira alla tematica dellautonomia delle realt create, che la Costituzione afferma, non senza le necessarie precisazioni riguardante il senso di unespressione che potrebbe destare ambiguit: Molti nostri contemporanei, per, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attivit umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle societ, delle scienze. Se per autonomia delle realt terrene si vuol dire che le cose create e le stesse societ hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma anche conforme al volere del Creatore. Infatti dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verit, bont, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ci l'uomo tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica. Perci la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sar mai in reale contrasto con la fede, perch le realt profane e le realt della fede hanno origine dal medesimo Dio (Gaudium et spes, 36). Come si pu facilmente evincere da queste indicazioni conciliari, questa tematica risulta strettamente connessa con la precedente tramite la categoria della secolarizzazione, a proposito della quale occorre riflettere su alcuni punti nodali e a mio avviso decisivi, anche per una corretta comprensione dellultimo Concilio.

La riflessione sul rapporto Chiesa / mondo, infatti, non pu eludere la problematica della modernit, come luogo in cui si espresso il dinamismo della secolarizzazione, e lemergenza di una post-modernit, che in quanto tale sembra evocare per esempio col cosiddetto ritorno al sacro atteggiamenti piuttosto di post-secolarizzazione. Se da un lato risulta certamente preoccupante la deriva secolaristica, cui la modernit pretende di consegnare il vecchio continente e la sua propaggine doltre oceano e a cui non senza violenza cerca di ricondurre culture ed esperienze religiose diversamente configurantesi, non va daltra parte abbandonata una lezione feconda e decisamente attuale, che lallora card. Wojtyla ha saputo far propria, rilevando notevole spirito profetico e sapienziale nello stesso tempo. 3

Il problema del rapporto Cristianesimo/Modernit, risulta infatti decisamente complesso e bisognoso di ulteriori indagini sia nella direzione genetica, individuata e sostenuta da Karl Lwith, sia in quella della contrapposizione e della legittimit (indipendenza e contrapposizione), percorsa da Hans Blumenberg. Il dibattito fra queste due ipotesi storiografiche particolarmente significativo per la teologia dal punto di vista dellidea fondamentale che in esso viene discussa e declinata: appunto la secolarizzazione. Come giustamente notava Karol Wojtyla, di fronte allevangelizzazione si trova dicono gli studiosi di questo problema non la secolarizzazione, perch questa, se rettamente intesa, pu a modo suo rivelare la realt dello Spirito, lautentico dominio di Dio, la trascendenza della Verit e dellAmore che non devono mai venire strumentalizzati, ma il secolarismo cio la vera e propria religione del mondo [K. Wojtyla, La fede della Chiesa, Ares, Milano 19783, 67-68]. La distinzione feconda e significativa proprio allorch si tenta di interpretare la modernit e i suoi esiti in rapporto alla fede cristiana in genere e in particolare alla drammatica contrapposizione fra il credere cattolico e il pensare moderno e postmoderno. Procedendo in maniera necessariamente schematica, ci sembra che lindicazione wojtylana e le sue implicanze possano risultare feconde per il dibattito sviluppatosi a 40 anni dal Concilio almeno a tre livelli, che possono altres costituire tre ulteriori ambiti di approfondimento.

In primo luogo essa interpella lauspicato discernimento intorno alle nuove forme di religiosit, che sembrano esprimere una sorta di ritorno al sacro. Attraverso unadeguata riappropriazione della categoria di secolarizzazione il compito in primo luogo dei teologi, quindi degli intellettuali credenti e in particolare dei filosofi cristiani, sar a questo livello appunto quello di operare un adeguato discernimento rispetto allautenticit e alla specificit dellesperienza cristiana in ordine ad altre esperienze del sacro, il che non potr non avere una caduta educativa e pastorale, attraverso il perseguimento di un cammino di purificazione di quanto di inautentico anche nella prassi delle nostre comunit credenti si esprime.

In secondo luogo la distinzione, in quanto richiama la genesi cristiana della modernit (K. Lwith), pu costituire un utile parametro di riferimento in ordine allindividuazione del campo pubblico in cui attuare il dialogo interculturale, interconfessionale ed interreligioso nellEuropa contemporanea. Tale orizzonte di riferimento non pu essere connotato da astratta neutralit e daltra parte si deve diffidare di operazioni di ritorno nostalgico a quella che Novalis chiamava Die Christenheit oder Europa, la genesi cristiana, e per alcuni versi cattolica, di quelli che oggi passano per valori laici, se espressa nei termini di una non violenta rivendicazione e studiata appunto 4

geneticamente, proprio attraverso lutilizzo della categoria della secolarizzazione, pu condurre a convergenze etiche non neutrali e comunque al riparo dal fondamentalismo integralistico proprio di ogni fideismo.

Infine e in terza istanza il binomio secolarizzazione/secolarismo penso possa aiutarci ad attivare un sano incontro-confronto con paesi e culture, anchesse europee, che appartengono allEst del vecchio continente e che hanno vissuto la drammatica esperienza dellateismo ideologico, che tuttavia non riuscito a spegnere il senso del sacro. Una mediazione teologica, culturale e pastorale in tal senso, effettuata sul campo e tramite esperienze di autentico incontro fra persone e culture, pu aiutare a mettere in guardia contro la tanto deprecata deriva secolaristica, ma anche ad impedire che il cristianesimo venga relegato nella sfera fideistica ed intimistica di unesperienza del sacro ora tollerata, ma comunque non culturalmente e politicamente significativa.

Vorrei concludere richiamando la terza tematica che mi sembra costituire un orizzonte imprescindibile offertoci dalla Gaudium et spes e tale da orientare il nostro lavoro educativo: si tratta del riferimento cristologico, cos come viene espresso nel n. 22 (uno dei luoghi pi citati) della Costituzione: In realt solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cio di Cristo Signore. Cristo, che il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verit su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli l'immagine dell'invisibile Iddio (Col 1,15) l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme gi subito agli inizi a causa del peccato. Poich in lui la natura umana stata assunta, senza per questo venire annientata per ci stesso essa stata anche in noi innalzata a una dignit sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si unito in certo modo ad ogni uomo. Questa stessa valenza antropologica della cristologia stata recentemente riproposta dallallora, ancora per poco, card. Ratzinger, nellomelia della messa pro eligendo Pontifice: Noi, invece, abbiamo unaltra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. lui la misura del vero umanesimo. Adulta non una fede che segue le onde della moda e lultima novit; adulta e matura una fede profondamente radicata nellamicizia con Cristo. questamicizia che ci apre a tutto ci che buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verit. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Credo che questa formula, quasi uno slogan, Cristo misura del vero umanesimo debba di fatto ispirare ogni azione autenticamente ecclesiale ed ogni rapporto del cristiano con gli uomini e le donne del proprio 5

tempo, perch ciascuno arrivi a percepire la profonda verit che questa formula contiene e che ben esprime il senso della dottrina del Vaticano II sui rapporti della Chiesa col mondo e con luomo di oggi.

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